Pineroloindialogo aprile2015

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Anno 6, Aprile 2015

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INDIALOGO

Supple m e n t o d i I n d i a l o g o . i t , a u t o r i z z . N . 2 d e l 16.6.2010 del Tribunale di Pinerolo

Pinerolo, lavoro, arte, artigianato, cultura Bruno Manghi, sociologo: le nuove frontiere del lavoro

Dibattito sul Polo Culturale/3 Luigi Pinchiaroglio e il progetto di Lapis Maria Luisa Cosso e le politiche culturali nel Pinerolese


Buone News A cura di Gabriella Bruzzone

come prendersi cura della propria città

Gli Imbianchini di Bellezza Quasi 18mila abitanti e case di un bianco abbagliante. Questa è Pisticci, cittadina lucana in provincia di Matera, protagonista in questi ultimi mesi di un’iniziativa tanto geniale quanto lodevole. Ogni città ha la sua storia da raccontare, trasmessa talvolta a voce, talvolta tramite le sue strade e i suoi edifici, ma che in ogni caso deve essere preservata e rispettata. È quello che stanno facendo gli Imbianchini di Bellezza, un gruppo di volontari il cui obiettivo è ripristinare la bellezza del centro storico di Pisticci a colpi di calce. L’idea è del circolo Legambiente Pisticci, affiancato dalle associazioni Allelammie, Avis Pisticci, Lucanamente Lab e Ceramiche Laviola, e vede coinvolti residenti e non – tutti volontari – che condividono il medesimo scopo. Il sabato pomeriggio, quando il tempo lo permette, volontari di ogni età si ritrovano al rione Dirupo per restituirgli l’aspetto di un tempo, quel suo bianco abbagliante caratteristico della zona. Si cercano di capire la storia e le esigenze del luogo, intervenendo non solo sul colore degli edifici ma anche sulla loro manutenzione, rimuovendo i rifiuti e dando un apporto concreto di riqualificazione urbana.

Vengono utilizzate tecniche antiche, che mantengono un’attenzione particolare verso l’ambiente e l’ecocompatibilità. L’interesse verso la propria città è un modo per valorizzarla e non dimenticarla ma anche per creare aggregazione tra chi in queste strade è nato e cresciuto e chi invece se ne è innamorato dopo, come la pittrice inglese Anna Parker, attiva nel progetto da subito. L’apporto dato dagli Imbianchini di Bellezza è concreto e riconosciuto, anche se in realtà si tratta solo di una piccola tappa sul percorso. L’intento è infatti di realizzare un progetto più ampio che coinvolga professionisti, ricercatori e personalità del territorio per ridare vita alla loro città, al contesto socio-urbanistico, alla sua storia e alle tecniche del passato. L’iniziativa si può collocare nel contesto della Rigenerazione Urbana Sostenibile che ha visto molte cittadine italiane, al pari di Pisticci, protagoniste nella manutenzione e valorizzazione dei luoghi. Si tratta di una svolta importante che consente al cittadino di intervenire con idee e atti concreti in base alle esigenze effettive dell’ambiente e dei suoi abitanti.

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wwwwAw Informazione e cultura locale per un dialogo tra generazioni

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|Seminare per l’artigianato

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Si semina in autunno e si semina in primavera, non solo nel mondo legato alla terra e ai frutti che poi si raccolgono, ma anche in quello socio-culturale, attraverso l’incubazione di progetti che poi si realizzano qualche mese dopo raccogliendone i frutti. Così fanno le associazioni e gli enti, che dopo aver approvato i bilanci consuntivi e preventivi, impostano i progetti da realizzare nell’autunno, cercando anche di intercettare qualche bando europeo o locale per finanziarli. Con questo preambolo vogliamo arrivare all’evento clou dell’autunno pinerolese, la “Rassegna dell’artigianato”, che ormai da anni si trascina in modo stanco, ripetitivo e comatoso dove di artigianato c’è ormai poco. Ci auguriamo che Agliodo e il suo staff siano già al lavoro, alla ricerca di idee nuove e di persone che siano in grado di portare proposte innovative: in particolare ci piacerebbe che fosse presente un artigianato di qualità e tecnologico che anche nel territorio non manca. Uno degli elementi di crescita di un territorio, ci insegnano gli economisti avveduti, è il valorizzare il capitale umano di qualità che lì c’è. Ci permettiamo di portare come esempio il progetto delle “quattro abbazie” che affidato ad una onlus di giovani trentenni, creativi, ha saputo coinvolgere altre associazioni storiche del territorio per valorizzare un patrimonio millenario. Ci auguriamo che anche Agliodo abbia il coraggio di aprire la progettazione della Rassegna dell’artigianato alle forze giovani e creative della città per rilanciare una rassegna ormai spenta. È una delle ultime occasioni di riscatto di una amministrazione non proprio brillante. Antonio Denanni

4 Primo piano

Buone News

gli imbianchini di bellezza intervista a bruno manghi

6 In città

dibattito sul polo culturale/3 -lapis

8 Politica giovane young

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intervista a maria luisa cosso

Giovani & Lavoro

startup e percorsi di validazione

11 Lettere al giornale

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un aprile che non passa

Teatro

risate sotto le bombe

Il Passalibro

il gusto di fare ciò che si sente

14 Lettera a... il pesce più crudele 15 Donne del Pinerolese

intervista ad anna maria bermond

16 Per Mostre e Musei anche l’arte distrutta in nome di dio 17 Vita internazionale

jessica cairo e luca restagno

18 Musica emergente

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Cose dell’altro mondo

libertà civili e politiche

Visibili e Invisibili

giovani amnesty e libera

Giovani & Tecnologia

PINEROLO INDIALOGO

Direttore Responsabile Antonio Denanni Hanno collaborato: Emanuele Sacchetto, Alessia Moroni, Elisa Campra, Gabriella Bruzzone, Maurizio Allasia, Andrea Obiso, Stella Rivolo, Andrea Bruno, Chiara Gallo, Cristiano Roasio, Nadia Fenoglio, Giulia Pussetto, Francesca Costarelli, Michele F.Barale, Chiara Perrone, Marianna Bertolino, Federico Gennaro, Isidoro Concas, Sara Nosenzo, Valentina Scaringella Con la partecipazione di Elvio Fassone photo Francesca De Marco, Giacomo Denanni Pinerolo Indialogo, supplemento di Indialogo.it Autorizzazione del Tribunale di Pinerolo, n. 2 del 16/06/2010 Associazione Culturale Onda d’Urto Onlus redazione Tel. 0121397226 - Fax 1782285085 E-mail: redazione@pineroloindialogo.it

22 Andare al cinema

the yellow traffic light

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budgee

foxcatcher

Viaggiare

wondering lapland

24 Amici di Pinerolo Indialogo http://www.pineroloindialogo.it http://www.pineroloindialogo.it/eventi http://www.facebook.com/indialogo.apinerolo http://www.issuu.com/pineroloindialogo


in ci t t à

Primo piano

Intervista a Bruno Manghi

44 di Antonio Denanni

Oggi nel lavoro conta il capitale umano «Il Polo culturale ha un senso se nella nostra immaginazione riusciamo a inventare qualcosa per cui tra 5-10 anni in quel luogo incontriamo dei giovani» In questi giorni il dibattito forte in città è sul Polo culturale che si vorrebe realizzare intorno alla ristrutturazione della caserma Bochard. Noi da tempo sosteniamo che il progetto e l’impegno economico ipotizzato ha senso se è un volano per il rilancio della città: cioè se crea occasioni di lavoro soprattutto per i giovani. Parliamo di lavoro con Bruno Manghi, che nel mondo del lavoro come sindacalista e come ricercatore ci ha passato una vita. Incominciamo dall’attualità cittadina, il Polo culturale, che idea si è fatta? È un progetto realistico o un sogno dal beneficio economico incerto? Bisogna partire dalla decisione che si è presa di acquisire un’area molto vasta. Poiché questo è avvenuto, qualcosa bisogna fare. Deve essere un luogo attivo e non può dare quell’idea di decadenza e di vuoto che rischia di avere. La cosa importante è se nella nostra immaginazione riusciamo a inventare qualcosa per cui tra 5-10 anni in quel luogo a vario titolo (per studiare, per divertirsi, per socializzare, per lavorare...) incontriamo dei giovani. Se ragioniamo in questi termini la scelta è positiva. Però la regola dev’essere che ci sia un investimento privato, che a mio parere non è eludibile. Questo significa anche che il sistema pubblico deve offrire al privato delle agevolazioni, in modo che le attività che vi si andranno a svolgere possano mantenersi in modo autonomo. Naturalmente ci deve essere un concorso di idee che deve essere sottoposto al vaglio pubblico. Veniamo ai grandi temi del lavoro. Il manifatturiero che ha dato lavoro e ricchezza nell’800-900 è in un declino irreversibile o ha

ancora un futuro? Il manifatturiero italiano è irrinunciabile. Noi non possiamo rinunciare al nostro saper fare di qualità, che è una nostra caratteristica italiana. Nella competizione mondiale sarà sempre questo saper fare di medio-alta qualità che ci renderà competitivi. Quali sono oggi nel mondo le “grandi forze” che creano lavoro? Se l’Occidente va avanti a livello economico sulla base della qualità dei suoi prodotti, il capitale umano diventa strategico. Ci vogliono persone che sanno fare, che migliorano sempre il loro saper fare e creano ricchezza anche indirettamente, perché dove si concentrano dei nuclei umani giovanili altamente qualificati automaticamente il sistema dei servizi intorno migliora, perché vi è più possibilità di spesa (sono questi lavori che in termini di quantità generano nei servizi più lavoro: l’economista italo-americano E. Moretti dice in rapporto 1 a 5). Come valorizzare il capitale umano e cosa fare per attrarne di più in una piccola città di provincia come Pinerolo? La ricercatrice Mazzuccato ha scritto un libro dal titolo “Lo stato innovatore” (libro fondamentale insieme a quello di E.Moretti, “La nuova geografia del lavoro”) dove sostiene con una ricerca qualificata che nessuna delle novità che vi sono nella Silicon Valley o altrove sarebbero state possibili se a monte non vi fosse stato un investimento pubblico mirato e serio sul capitale umano. Nell’affermare ciò distingue tra capitale paziente e capitale impaziente. Il capitale impaziente viene impegnato per periodi corti (rientro in 5-6 anni), il capitale paziente è quello che vuole un ritorno anche molto in là nel tempo, ma


«I giovani devono andare fuori, anche all’estero: hanno già una visione planetaria» vuole però che ci sia un ritorno per la società. Tutti gli investimenti nell’educazione sono capitale paziente. E senza il capitale paziente non si pongono le condizioni perché il capitale impaziente investa. Questo capitale paziente è il luogo ove la politica può agire, anche a livello locale. Un altro elemento che crea lavoro sono le imprese che fanno innovazione... Sì, però è sempre l’intelligenza umana che traina l’innovazione e la mette alla prova. Il capitale umano serve perché l’innovazione ha due aspetti, uno progettuale che interviene per modificare il prodotto e l’altro fattuale per gestire il processo; ma questo è possibile se il capitale umano sta dietro a queste cose. L’artigianato di qualità può avere un ruolo nel creare lavoro e nel rilancio del territorio? Sì, se sarà di qualità avrà un futuro in tutti i settori. La piacevole sorpresa in questi ultimi 15 anni, ad esempio, è il rilancio dell’agricoltura di qualità con l’aumento dei posti di lavoro (a Torino ci sono delle boutiques del pane!). Gli economisti dicono che l’impresa è “qualsivoglia attività umana organizzata che soddisfa i bisogni”. C’è a suo parere nel territorio qualche bisogno inevaso che potrebbe essere fonte di impresa? Non si produce una cosa qui per soddisfare un bisogno solo locale. Questa è follia. Si produce una cosa qui per soddisfare un bisogno che c’è magari a 500 km. Ragionare su un bisogno locale per creare un’impresa è un’analisi limitata. Ci vuole sempre qualcuno che dica “mi va” e questa è una scommessa. Come dice De Rita, è l’offerta che determina la domanda! Tu offri una cosa, se viene presa vuol dire che hai indovinato, se no non hai indovinato. Il bisogno lo scopri quando offri qualcosa: è l’offerta che stana la domanda!

Veniamo ai giovani, in particolare quelli laureati. Il territorio è in grado di assicurare loro prospettive di futuro o devono per forza ragionare in termini di migrazione? Tra l’altro ha ancora senso in un mondo globalizzato parlare di “italians in fuga”. Nooo! I giovani devono andare fuori. Il futuro è la grande circolazione (ma lo è stato anche il passato). Questi sono ragionamenti stanchi e vecchi che gli adulti fanno sui giovani influenzandoli malamente. Questi ragazzi hanno già una visione planetaria. Il territorio si impoverisce se non arrivano nuovi giovani e se non si fanno bambini, non se quelli che ci sono vanno via. Naturalmente oltre che incoraggiarli, bisogna dare loro anche un minimo di preparazione. Si parla tanto di valorizzare il capitale umano – come lei ha detto sopra -. Non trova che ci sia anche un grande spreco di capitale umano, soprattutto di giovani laureati? Sì, concordo, c’è un grande spreco. A Torino per fare un esempio, c’è la proletarizzazione degli avvocati: un giovane avvocato guadagna meno di un metalmeccanico! Così è per altre lauree. C’è uno spreco, si fa studiare troppo a lungo, senza un impiego lavorativo corrispondente. C’è una mitologia della cultura astratta, che è antimanuale. Ci sono i giovani disoccupati, i giovani “Neet”(non cercano lavoro e non studiano), ma ci sono in base alla nostra esperienza anche i giovani “amareggiati” o sfruttati. Cioè le aziende offrono a questi giovani del lavoro, ma a compenso zero, senza neanche la dignità di un compenso simbolico. Che cosa ne pensa? Quando la disoccupazione è elevata è chiaro che c’è chi ci marcia, che coglie l’occasione per risparmiare. I giovani fanno bene a rifiutare questo tipo di proposte.

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IN CITTÀ

Dibattito sul Polo culturale - Bochard /3 di Luigi Pinchiaroglio - Lapis

Un’occasione per (ri)pensare la Città «La procedura di appalto in projectfinancing appare la più idonea»

La realizzazione di un Polo culturale è un obiettivo ambizioso che l’Amministrazione comunale di Pinerolo ha assunto con coraggio e determinazione. Un obiettivo il cui esito positivo dipenderà da molti fattori. Provo ad elencarne alcuni: • L’eccellenza del risultato architettonico e funzionale, che dovrà consentire la realizzazione di un’ampia “Piazza dei saperi”, “trasparente” alla città e al territorio, dove gli incontri fra culture e generazioni, attraverso processi di formazione, informazione, comunicazione e socialità, p o s s a n o trovare un luogo ideale d’integrazione. • La capacità di contemplare nel progetto l’intera offerta culturale fornita dai diversi soggetti che operano in Città, con una visione volta alla valorizzazione, in chiave culturale e turistica, dell’intero patrimonio storicoarchitettonico del Comune. • L’applicazione delle moderne tecnologie, nei campi dell’autosufficienza energetica, dell’informazione, della comunicazione, dei sistemi multimediali e della domotica, unita all’offerta di servizi e funzioni a supporto del Polo in grado di garantirne la sostenibilità economica anche in fase di gestione. • La costruzione di una rete diffusa di relazioni con il territorio del Pinerolese, la Città Metropolitana e la Città di Torino, finalizzate a far diventare il Polo un attrattore di interessi culturali e turistici a livello di area vasta, creando opportunità di sviluppo economico, occupazionale e di

crescita sociale. Fattori tutti molto importanti, indispensabili per il successo dell’iniziativa, ma non sufficienti. Sulla base di questa asserzione, la proposta formulata dal Laboratorio Pinerolese per la città e il territorio Smart (LAPIS) ha inteso individuare un percorso metodologico/ procedurale basato sulla convinzione che il Polo Bochard possa rappresentare un’occasione unica per (ri)pensare le modalità d’ideazione, gestione e realizzazione delle trasformazioni urbane di Pinerolo, e delle relative forme di partecipazione, con lo sguardo rivolto alla Città futura. Il vero approccio smart, sotteso alla realizzazione del Polo culturale, non è quindi solo da ricercarsi nelle soluzioni architettoniche, funzionali, tecnologiche che si adotteranno, le quali, è scontato, d o v r a n n o essere all’apice dell’innovazione e della ricerca, ma si esprimerà soprattutto nella capacità di Pinerolo e dei Pinerolesi di trarre spunto dal Polo per avviare una nuova cultura del governo del territorio. Questa visione, propedeutica a ragionamenti di più ampio respiro, richiederebbe di: • prendere in considerazione tutte le aree, i fabbricati, le funzioni e i servizi interessati dal nuovo Polo culturale, interni ed esterni alla Bochard; • recepire il disegno di una nuova viabilità con il relativo riequilibrio modale e individuare un nuovo piano della sosta; • definire le relazioni e le sinergie fra le varie aree della Città, nonché le strategie di intervento. Tuttavia, in considerazione dei tempi

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“La capacità dei Pinerolesi di trarre spunto dal Polo per avviare una nuova cultura del governo del territorio” imposti dal Ministero, non è possibile procedere per questa via immediatamente. Pertanto lo studio di fattibilità che occorre redigere dovrà contenere in embrione alcune delle scelte urbanistiche future. Nello stesso tempo i contenuti dello studio non potranno prescindere dalle fonti di finanziamento e dalle modalità di appalto delle opere. Per questo motivo esso dovrà essere corredato da una valutazione del beneficio finanziario per l’Amministrazione, derivante dall’applicazione di una procedura piuttosto che un’altra. Una valutazione che dovrà tenere conto del costo d’investimento per la realizzazione degli interventi e del costo dell’opera nel corso di tutta la sua vita utile, prendendo in considerazione le spese di manutenzione e di gestione, nonché le diverse tipologie di rischi associati al progetto che possono tradursi in elementi di costo. Se questo è lo scenario, la procedura di appalto in projectfinancing appare la più idonea. Essa prevede, sulla base delle scelte indicate nello studio di fattibilità, la Concessione delle fasi di progettazione, costruzione e gestione di parte degli interventi, individuando

campi di azione in grado di rendere gli investimenti di potenziali investitori privati economicamente remunerativi e finanziariamente sostenibili. Nel rimandare al dettaglio del documento (v.http:// www.laboratoriosmart.it/wpcontent/uploads/2015/03/ Contributo-Lapis-Poloculturale.pdf) per l’esame degli aspetti relativi alle ipotesi di funzioni da assegnare ai nuovi spazi ottenibili dal recupero del complesso Bochard, spazi che ovviamente devono favorire la socialità, l’inclusione, l’innovazione (da qui l’idea di prevedere anche volumi da adibire al social housing, a incubatore di imprese artigianali, laboratori per FabLab, ecc.), la proposta include il completamento della risistemazione di Palazzo Vittone e prevede due principali assi di intervento/ gestione, che possono essere attrattori di investimenti privati a sostegno dell’intervento complessivo: 1. Produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici ubicati sulle coperture di proprietà del Comune di Pinerolo e del complesso Bochard, per una produzione di energia elettrica stimata in circa 1.300.000 kWh/anno, che corrisponde a circa

il 65-70% dei consumi 2013 per gli edifici di proprietà comunale e ad una riduzione di emissioni di CO2 pari a circa 900.000 kg/anno. Il numero di persone teoriche equivalenti servite in un anno con l’energia elettrica prodotta corrisponde a circa 2.300 p/anno. 2. Realizzazione di parcheggi interrati in alcune piazze della Città (esclusa Piazza Vittorio Veneto), per un totale di 885 posti auto di cui 585 a rotazione e 300 pertinenziali (dei quali una parte a servizio del centro storico) con sistemazione superficiale a verde pubblico. A fronte della stima di massima dei costi indicata in tabella (in prima battuta: ~75% a carico del Concessionario, ~ 5% del Comune, ~ 20% altre fonti: Fondi, Fondazioni, ecc), si ipotizza la costituzione di una Fondazione per la valorizzazione e la gestione del patrimonio dell’intero Polo culturale e dei beni culturali comunali che, oltre a svolgere la funzione di coordinamento delle attività fra i vari soggetti (pubblici e privati) ad essa aderenti, avrà il compito di assicurare flessibilità e tempestività nel reperimento delle risorse economiche.

Stima di massima dei costi Intervento Complesso Bochard (nelle sue diverse articolazioni indicate nel documento) Impianti fotovoltaici Parcheggi Secondo, terzo e quarto lotto Palazzo Vittone Totale (escluse spese tecniche, IVA, ecc.)

Costi (Euro) 21.500.000 7.000.000 22.500.000 4.000.000 55.000.000

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Politica giovane young a cura di Emanuele Sacchetto

Intervista a Maria Luisa Cosso

«A Pinerolo manca una politica culturale in grado di riunire le tante belle iniziative in un contenitore comune» La mostra sul Beato Angelico al Castello di Miradolo fino al 28 giugno 2015

Alla Fondazione Corte Cosso è da poco finita la mostra su San Sebastiano e ora avete inaugurato quella sul Beato Angelico. Ce ne parla? La mostra su San Sebastiano fu voluta da Sgarbi, con cui nacque una proficua collaborazione. In tale occasione esponemmo numerosi quadri di Tiziano, con un’attitudine di studio, ricerca, e non solo di mera presentazione-affissione delle opere. A ragione di tale esposizione, raggiungemmo il picco di più di 1000 visitatori in un giorno solo. In seguito, grazie al nostro modo di lavorare con attenzione per i quadri, il sistema di sicurezza, l’iiluminazione e gestione in generale, ottenemmo Raffaello e oggi ospitiamo con grande gioia il Beato Angelico, con l’appena restaurato trittico sul Giudizio Universale, alcune miniature e la splendida Madonna dell’umiltà. La nostra politica è sempre stata quella di non pagare mai per il prestito delle opere, quanto piuttosto di contribuirne al restauro. Per gestire una Fondazione come la sua, occorre più disponibilità economica, capacità imprenditoriali o competenze artistiche? Tutte e tre le cose sono fondamentali. Naturalmente di denaro ce n’è un enorme bisogno. Mi spiace usare questo termine, ma oggi questo lavoro è mecenatismo. Il nostro è per ora un progetto in perdita. Ci sono spese molto consistenti relative ai trasporti delle opere d’arte, alle assicurazioni, ecc... Forse un giorno si potrà vivere in attivo con un’impresa d’arte. Oggi purtroppo questo non è possibile. In merito alla gestione imprenditoriale certamente questa è fondamentale non essendo troppo diversa questa dalla gestione di un’azienda. Infine le competenze artistiche sono indispensabili e per ogni mostra abbiamo un curatore, che si occupa di tutti gli

aspetti conseguenti come abbiamo detto, lo studio, la ricerca e non solo la presentazioneaffissione delle opere. Il Comune di Pinerolo, come saprà, sta progettando la realizzazione di un Polo Culturale alla ex caserma Bochard. Cosa ne pensa? Non so molto nello specifico del progetto, se non della volontà dell’amministrazione di spostarvi la Biblioteca Civica. In merito mi sento di ricordare quanto pregio abbia la nostra Biblioteca e quanto questa sia poco valorizzata, tenendo alcune delle più importanti opere addirittura nelle cantine che alla prima pioggia si allagano. Dunque ben venga questo progetto a patto che non sia un mero spostamento ma implichi una valorizzazione. A tal proposito è necessario uno studio imprenditorialegestionale per realizzare un’opera del genere. Al di là dei sogni di un Polo Culturale a Pinerolo, ci sono domande molto concrete da porsi. Quali spazi e opportunità dà la Bochard? Quanti metri quadrati? Quale accessibilità? Insomma una lodevole iniziativa che ha bisogno di progetti molto concreti per produrre qualcosa di buono. I pinerolesi si sono dimostrati interessati in questi anni alle mostre da voi proposte? I pinerolesi iniziano soltanto adesso ad accorgersi della nostra presenza. In un bilancio realizzato dopo tre anni di mostre, abbiamo verificato che soltanto il 26% dei visitatori erano di Pinerolo e dintorni. La maggior parte dei turisti li abbiamo avuti da Lugano, Brescia, Bergamo, Bologna, Londra,... Questo ci ha portati a dover realizzare una sorta di turismo organizzato, aiutati dall’Associazione Guide Turistiche. In particolare,

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«Abbiamo verificato che solo il 26% dei visitatori sono di Pinerolo e dintorni» quando un gruppo viene da lontano per vedere la nostra mostra, ha poi voglia di visitare il centro di Pinerolo, e dunque noi li accompagnamo. Tuttavia, Pinerolo ha scarsa capacità gestionale del turismo. Pinerolo ha in questi anni subito una crisi identitaria, che le ha impedito di emergere come invece altre realtà vicine. A cosa pensa sia dovuta questa situazione di stallo? A Pinerolo le belle iniziative non mancano certo. Abbiamo alcune realtà che sono molto importanti come il Teatro Sociale e l’Accademia di musica. Tuttavia ciò che è mancato in questi anni è il coordinamento, le iniziative comuni. Manca una politica culturale con gestione manageriale che sia in grado di riunire le tante belle iniziative in un contenitore comune, dando loro un senso identitario della città. Ci vuole una concreta programmazione globale delle attività culturali di Pinerolo, che le valorizzi e le renda il più possibile partecipate dalla nostra comunità. Lei ha investito non solo nel Castello di Miradolo, ma anche in altre attività (una pasticceria e un ristorante) nel centro storico di Pinerolo. Sono questi investimenti imprenditoriali o quale amante di questa città? Certamente il mio è amore per questa città. Per ora l’investimento è solo un costo e chissà per quanto tempo rimarrà tale. In particolare, per quanto attiene la pasticceria, c’è stata la volontà di farne rivivere l’animo originale di fine ‘800. Il mio è stato da sempre amore per Pinerolo, tanto che pur avendo viaggiato e incontrato diverse realtà per lavoro, ho sempre portato con me questa città. Dunque credo che il miglior modo per amarla è ridarle vita, valorizzarla. Parlando del progetto universitario di Pinerolo, cosa è mancato perché decollasse? Era un obiettivo utopico? Il SUMI purtroppo nacque con buone idee, ma vennero sviluppate malissimo, anche a

causa delle persone che nel tempo sono cambiate all’interno, che non credendo al progetto, hanno impedito che questo decollasse. Per quanto riguarda invece il corso di Infermieristica a Pinerolo, che voleva rievocare quello glorioso nell’Ospedale Agnelli, qui mi sento di dire che c’è stata una totale incapacità di gestione della questione da parte di Pinerolo. L’amministrazione se l’è fatta letteralmente portare via da sotto il naso. Quando ci sarebbe stato bisogno di puntare i piedi per ottenere qualcosa, il Sindaco è cascato dalle nuvole. Parliamo di giovani laureati. Il nostro territorio offre loro un modo di realizzarsi oppure devono ragionare in termini globali? Io credo fermamente che i giovani all’estero debbano andare. Ma credo anche che sia necessario tornare perché non si può impoverire l’Italia in questo modo. Purtroppo nel nostro paese l’impresa non si aiuta e questo fa sì che ci sia uno spreco di capitale umano. Tuttavia la capacità innovativa italiana, la libertà di pensiero della tecnica è molto elevata. I giovani italiani devono riscoprire queste loro potenzialità e applicarle a partire da qui. Per quanto riguarda le opportunità che il nostro territorio offre loro, porto l’esempio della Corcos, questa società multinazionale per il 50% italiana: ebbene tre direttori a livello mondiale su quattro erano proprio di Pinerolo. È necessario investire sui giovani, coprendo loro le spalle perché possano fare sperimentazione; questo si traduce in innovazione e rilancio per il nostro territorio.

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territorio

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Giovani & Lavoro di Aurora Fusillo

quando il lavoro me lo creo

Startup e percorsi di validazione In tempo di carenza di lavoro il tentativo di avviare una startup sovente è un ripiego al non far nulla in attesa di tempi migliori, ma a volte è anche una scommessa con sé stessi che può trasformarsi in un’occasione professionale a lungo termine e dare grandi soddisfazioni - a patto che si trovi l’idea giusta e la si realizzi nel modo migliore. L’avvio di una startup può avvenire in modo artigianale, da una passione o da un input personale o amicale, ma sempre più spesso oggi ci si appoggia anche a vere e proprie organizzazioni di consulenza specializzate nell’accompagnare le giovani imprese durante i loro primi mesi di vita.. Una di queste organizzazioni è THE DOERS, società innovativa di Torino che attraverso dei percorsi formativi ed esperienziali aiuta i team di aspiranti imprenditori a testare la propria idea di business per ridurre i rischi e aumentare la probabilità di successo. Attraverso percorsi di validazione strutturati, THE DOERS accompagna i giovani che vogliono avviare un’attività in proprio alla verifica di come la propria idea possa trasformarsi in un progetto di impresa. L’obiettivo è diminuire il numero di errori commessi nella primissima fase di vita del progetto e il rischio di fallimento connesso. Questo accompagnamento è fondato sul metodo Lean Startup, molto diffuso negli Stati Uniti, è scandito dai passi del processo di Customer Development, e si

avvale di una “cassetta” di strumenti specifici e continuamente aggiornati. L’obiettivo di entrambi è organizzare lo sviluppo della startup in modo che l’impatto con il mercato avvenga il prima possibile e con il minimo investimento, allocando via via più risorse man mano che il progetto diventa meno rischioso e il mercato più noto e sicuro. “Imparare ad utilizzare il metodo Lean Startup come strumento concreto e affidabile per tutti gli aspetti del mio business è stata una vera rivoluzione: non avrei mai pensato di poter realizzare la mia idea in modo così strutturato e confortevole, sentendomi sempre sicura di ciò che stavo facendo”, ci ha raccontato Irene Ameglio, startupper lean e oggi partner di THE DOERS. La sede di THE DOERS, si trova a Torino, in Via Mantova, 36; cell.: 339.3723401; mail: we@thedoers.co. Per saperne di più sui percorsi di validazione per startup e accedere a molte risorse utili per aspiranti imprenditori, consultare il sito internet www.thedoers.co. Inoltre, sabato 9 maggio 2015 (dalle 9 alle 12) ci sarà un workshop gratuito presso la sede dell’associazione Onda d’Urto (Via Vigone, 22, Pinerolo, TO) dove il team THE DOERS approfondirà alcuni argomenti del percorso di validazione, tra cui Business Model e Minimum Viable Product. Il workshop è aperto ad aspiranti imprenditori, startuppers, innovatori d’impresa, enti pubblici e curiosi.

Dall’idea al business model workshop gratuito a cura di The Doers Sabato 9 maggio, ore 9-12 presso ONDA d’URTO, Pinerolo, Via Vigone 22

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PINEROLO

Lettere al giornale

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di Elvio Fassone

Un Aprile che non passa

70 anni di libertà (non solo dall’invasore in divisa) Aprile 1945 - aprile 2015. Settant’anni, l’arco di una vita. Tutti gli anni celebriamo il 25 Aprile, e, per la verità, lo commemoriamo con un distacco crescente. Ma questo 70° anniversario ha un valore simbolico più intenso degli altri, perché ci obbliga a fare i conti con una realtà già ieri percepita con apprensione e oggi consacrata definitivamente: dobbiamo considerare scomparsi i testimoni diretti di quella pagina fondamentale della nostra storia. Alcuni ancora sopravvivono, e il nostro affetto li vorrebbe immortali, ma sappiamo che la realtà è quella. Più nessuno ci racconterà quella pagina, più nessuno dirà “credetemi, perché io c’ero”. Più nessuno porterà quella testimonianza disadorna ma vitale, che viene dall’avere partecipato ad un momento che ha cambiato il corso della storia. La sua e la nostra. Forse ai giovani questa evenienza non pare così significativa, in fondo tutto scivola nell’oblio: invece è necessario riflettere su che cosa significa, per loro e per tutti, questo pericolo di essere ulteriormente privati di radici che ci può rendere ancor più spaesati, questa “memoria” confinata ormai solamente nella pancia dei computer, questo presente che lamenta la perdita del futuro e il rifiuto del passato, ma rinuncia a costruire il primo e a difendere il secondo. La scomparsa dei testimoni della Liberazione, eccettuati pochi superstiti, obbliga noi a prenderne il posto. Non possiamo raccontare i fatti, ma possiamo far rivivere lo spirito di allora, ricostruire l’ethos collettivo che generò quei fatti. Perché la Resistenza non fu, se non per pochi,

una spinta ideologica, un’azione concertata, una guerra di armati. Per la maggior parte fu un moto di ribellione contro un’intollerabilità, un sentimento di dignità offesa che rifiutò il protrarsi della bruttura. Fu una scelta radicale, compiuta da pochi, fruita da tutti. La faccia nobile della nostra esistenza di oggi. Allora di fronte al rischio dell’oblio perché non ci sarà più chi racconta, dobbiamo guardare ai “vecchi ragazzi di ieri, che muoiono in piena gioventù” (così Luis Sepulveda), e comprendere che la Resistenza non finisce con loro, perché continua ad essere declinata in mille modi in chiave moderna. Infatti la libertà, per cui essi si batterono, non è solamente libertà dall’invasore in divisa, ma dall’invasore mentale occulto, che ci rende succubi dell’egoismo, del calcolo, dell’idea trionfante delle “libere volpi fra libere galline”. Quella perseguita allora non fu una libertà intesa come rifiuto del limite (la seduzione di oggi), ma libertà come liberazione di tutti. E il coraggio non è solo resistere alle torture per non tradire, ma oggi assume il volto del rifiuto opposto alla corruzione, all’arrivismo, all’indifferenza verso la sofferenza sociale. Così come la solidarietà non è soltanto il proteggersi a vicenda contro il fuoco nemico, ma il distribuire con equità il carico della globalizzazione e della crisi, il sostenere chi più ne sopporta il peso brutale, il contrastare la violenza in tutte le sue forme, da quella del fanatismo a quella dello sfruttamento a quella, meno avvertita, della prepotenza nelle relazioni e del rifiuto di ogni regola per auto-affermarsi. La Resistenza esce da quel tanto di mito di cui l’abbiamo avvolta, ma rimane come un racconto fondativo della nostra comunità. Il suo fascino è nella cantata di Calvino, per il quale “a vent’anni la vita è oltre il ponte”. Il suo statuto è nell’improbabile trovarsi “scalzi, laceri, eppure felici”. La sua durata, che la preserva dall’oblio, sta nell’ammonimento di Freud, “ciò che hai ereditato dal padre riconquistalo, se vuoi goderne davvero”.

Sabato 11 aprile, alle ore 20,45, al Teatro “Piemont” di Perosa Argentina, avrà luogo la rappresentazione di “Avevamo vent’anni”, da parte dei ragazzi delle SMS del Pinerolese


Teatro

arte& spettacolo

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di Sara Nosenzo

tra commedia e storia

Risate sotto le bombe

Otto settembre 1943, un piccolo teatro in provincia di Genova ospita le prove generali di una compagnia appena formata, di fortuna. Quando tutto è dilaniato dalla guerra, non rimane che l’arte più nobile: la recitazione, al servizio del popolo per rallegrare gli animi. Ad essere onesti la commediola musicale, così viene definita dalla voce fuoricampo, inizia prima che si apra il sipario. I personaggi sfilano davanti al tendone rosso introducendo i protagonisti: le prime sono due sorelle del trio Sorelle Marinetti (Nicola Olivieri, Andrea Allione e Marco Lugli), Scintilla e la maggiore Turbina, il p u b b l i c o non può non accorgersi che le sorelle sono in realtà interpretate da attori. Un misterioso impresario salverà le sorti delle sorelle? Si apre il sipario, da Milano si arriva a un piccolo paese di provincia. Durante le prove gli attori e i musicisti si devono riparare nel logoro scantinato del teatro a causa di un attacco aereo. Mussolini è stato arrestato, gli inglesi volano sulle città sganciando bombe, nessuno è al sicuro e non si può far altro che passare il tempo. È così che all’unanimità si decide di continuare a provare per accrescere la possibilità di vincere il concorso che garantirà alla miglior compagnia un buon numero di spettacoli sicuri a Genova. Il malcontento aleggia tra i personaggi, sofferenti per la fame e le promesse non mantenute da Altiero Fresconi, l’impresario che ad ogni scena perde credibilità davanti ai suoi collaboratori.

La commedia in due atti si sviluppa di pari passo con gli avvenimenti storici. Il fascismo è caduto, gli alleati vengono a liberare l’Italia. Le carte in gioco cambiano, come gli abiti di scena. La componente musicale dello spettacolo, in tutto dodici canzoni, rigorosamente cantate e suonate dal vivo, intrattengono e divertono la platea, permettendo agli spettatori di apprezzare non solo la voce, ma anche le espressioni facciali e ciò che accade alla prima metà dei personaggi mentre la seconda è impegnata nelle prove “dal vivo”. Il ritmo è trascinante e la bravura del cast sfuma gli errori di pronuncia a cui è soggetto maggiormente Gianni Fantoni, nel ruolo di Altiero Fresconi. Degna di nota è la scenografia che riproduce per intero uno scantinato completo di scale utilizzate dagli stessi attori. I costumi ripercorrono bene gli anni narrati e permettono più facilmente di calarsi nella storia del nostro paese. Il sogno italiano di questa compagnia che cerca e investe tutto per una seconda occasione, una rinascita dalle ceneri. La storia spazia dal genere romantico al musicale, al politico, ripercorrendo fatti reali e fittizi con coerenza e credibilità. Le battute degli attori coinvolgono e rilassano l’atmosfera drammatica dell’ambientazione lasciando solo sorrisi sotto le bombe. Unica pecca i continui problemi con i microfoni: spesso le voci non si sentivano distintamente, creando confusione e fastidio nel seguire la storia narrata.

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Il Passalibro

Società

di Valentina Scaringella

Paola Mastrocola

Il gusto di fare ciò che si sente Puntate il cannocchiale su di voi, per favore. Bene, e ora osservate il vostro cielo. Li vedete? Come che cosa! No, non sono astri. Sì, certo, brillano. A volte, poi, così intensamente da far quasi male. Quei punti interrogativi che costellano la nostra esistenza. Quale senso abbiamo noi? E soprattutto: noi un senso lo abbiamo? Domande che, ne L’esercito delle cose inutili di Paola Mastrocola, si pone anche Raimond. Uno che pensa che nulla capiti per caso. Come gli incontri che si fanno lungo la propria strada. Anche quando non si sa quale strada sia. Se il suo cammino e quello di Res non si fossero incrociati, niente sarebbe infatti accaduto. Niente si sarebbe scritto di Variponti, il Paese delle cose inutili. Ah, non lo avete mai sentito nominare? Volete sapere dov’è? Beh, è un po’ ovunque. E, se non il suo nome, di certo conoscete i suoi abitanti. O, forse, persino ci abitate. Dite di no? Non vi è mai capitato di contemplare la luna? O, fermi a un semaforo, di assistere allo spettacolo di un giocoliere? O di mettervi a raccogliere conchiglie sulla spiaggia? O di vedere qualcuno trapiantare primule o scalare una montagna? E non sapete dei libri invenduti? Non avete dei dizionari di latino e di greco lasciati in disparte? Il ricordo d’una poesia? E gli animali abbandonati? I genitori dai figli distanti? I nonni dai nipoti lontani? Li avete mai visti? Ecco. Perché questa è la storia di chi non viene o non

viene più considerato utile. Quella in cui si può riconoscere l’anziano messo in panchina, addirittura fuori da ogni fuoricampo, perché oramai impossibilitato a sostenere il ritmo del gioco a eliminazione di una società in corsa. L’adulto che vuole darsi da fare, ma il da fare purtroppo non lo ha, perché non gli è concessa a priori alcuna opportunità. Il giovane dalla passione non condivisa, a cui vien detto che ciò che conta è solo l’interesse materiale. E, tra i tanti altri, il ragazzino che quella sua personalità in evoluzione se la vede schiacciata, messa in dubbio e derisa da famiglia e compagni di scuola. Come Guglielmo, l’amico undicenne di Raimond. Nato a Torino. Alle prese con un fratello minore e una sorella maggiore. E, oltre a dei genitori o troppo assenti o troppo ingombranti nella loro intermittente presenza, con le prime pene d’amore e un’accanita banda di bulli. In soccorso del quale accorre proprio l’apparentemente inutile. Una volta ritrovati il senso e la gioia del suo essere quel che è. Grazie a un’insolita corrispondenza: perché può capitare di ricordarsi di sé soltanto quando si è ricordati dagli altri. Non è infatti facile sottrarsi alla vorace pattumiera della cultura dello scarto, capace di trasformare tutto e tutti in usa e getta. E allora? Diventiamo fonti rinnovabili di cambiamento, difendendo il nostro significato e quello altrui. Come Raimond. Incoraggiati dalle parole di Seneca a Lucilio (epist. 8): le cose più importanti le fa proprio chi pare non far nulla!

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dal tempo

Lettera a... di Cristiano Roasio

Lettera al mondo... e al mio vicino

Il pesce più crudele Vorrei poter appiccicare un grosso pesce di carta ritagliato da un quotidiano pieno di tragedie sempre uguali, sulla schiena stanca, voltata e impassibile, del mondo. E lo vorrei guardare, spiare nel suo eterno rotolare tra le galassie, con quel buffo e insensato orpello insignificante eppure così divertente, e ridere di lui. Vorrei dare una gomitata al mio vicino e fargli notare la mia trovata che su quelle spalle brulle e antiche affiora come un vulcano che si credeva spento ma ora ha ripreso ad eruttare, a singhiozzi, scosso da risate, e accorgermi che quando lui, il mio vicino, vedrà la carta di giornale, il suo viso, sempre del vicino, esploderà in una risata e dirà: “certo che sei proprio un tipo simpatico, ma non sono cose da fare queste!”. Vorrei continuare a seguire questo tonto e grasso pianeta diventato ormai lo zimbello di tutti i passanti. Nel risveglio crudele della primavera, tra vestiti sempre più corti che non fanno altro che ricordare a quella pelle rosea quanto poco le resti da sorridere, in una sinfonia distorta di uccellini epilettici che canta non tanto la gioia quanto la propria autodeterminazione distruttiva, non lo perderei di vista un attimo, perché qualcuno, magari chi ha già subito in passato lo scherzo del pesce, potrebbe farglielo notare e allora tutto il gioco

finirebbe in una palla di carta stracciata, o peggio in un terremoto infastidito e sdegnato. Ma se avessi la fortuna di conservare quel divertimento, vorrei far ridere la luna, sì, lei sarebbe l’ultima a vedere quel buzzurro mondo tirarsi su la coperta di stelle e buio e accorgersi finalmente che tutti hanno riso di lui, che nulla è serio e nulla merita più di un’alzata di spalle. Spalle piene di pesci d’aprile. E invece no. Ancora una volta, proprio in questi giorni, mi sembra ovvio che alla forza di gravità non si scappa, la stessa forza di gravità capace di staccare quel pesce dalle spalle del mondo e trascinarlo a terra, in mille pezzi, in rottami incendiati. Quella stessa forza fisica capace di far impazzire il mio vicino che alle gomitate predilige le mitragliate, ai pesci d’aprile preferisce dogmi su cosa e come mangiare, ridere e scherzare. E ci sono anche quelli che invece del pesce d’aprile in carta sono soliti ritagliarlo dalle banconote, convinti che così il pesce sia migliore, più ricco e più divertente. Non c’è niente di peggio che dare un senso a ciò che non ce l’ha. Aprile è il mese più crudele – genera lillà dal suolo morto, mescola memoria e desiderio, smuove pigre radici con piogge primaverili.

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Società

Donne del Pinerolese

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a cura di Sara Nosenzo

Intervista ad Anna Maria Bermond

“Un amore durato quarant’anni” Ci racconta la sua esperienza di docente? Venivo da una famiglia di insegnanti ed era scontato che le ragazze si sarebbero dedicate all’insegnamento. In realtà io sognavo di diventare medico, ma, ai miei tempi, non era facile appagare i propri desideri, e mio padre mi iscrisse d’autorità alla facoltà di lettere. Mi laureai velocemente e anche brillantemente, ma senza gioia. La sorpresa arrivò quando mi trovai di fronte a una scolaresca: erano ragazzine delle medie. I loro occhi curiosi, interroganti, i loro volti che si accendevano di interesse, l’accorgermi di quanto bene o quanto male potessi fare loro con le mie parole e il mio atteggiamento fecero scattare in me qualche cosa che non mi ha mai abbandonato: mi sono innamorata del mio lavoro. E ho continuato ad amarlo per quarant’anni. Un insegnante può fare tanto, in particolare un professore di lettere: puoi affrontare temi che vanno al di là del programma scolastico, che danno prospettive a una vita intera. Ricordo che in quinta liceo cercavo sempre, per la classe che avrei abbandonato, una poesia che potesse essere un ricordo, una bussola nelle vicende della vita. Talvolta, qualche ex alunno/a, incontrandomi, me la ricorda ancora , come se ci fosse un’intesa speciale tra noi. E’ stato bello, per me, insegnare. Tanto che continuo ancora adesso, all’Unitre. Un’altra sua passione è la poesia. E’ così da sempre? Da ragazzina la poesia mi annoiava, anche perché mi facevano studiare prima filastrocche, poi Il cinque maggio o simili amenità. Finalmente incontrai Omero, e qui cambiò tutto. Del Leopardi ho ancora presente la commozione che provai leggendo L’Infinito. Molta poesia del Novecento è bellissima, anche se, a volte, ardua e fa parte delle mie letture serali. Ho iniziato a scrivere poesie per me stessa, come meditazione, come sfogo di emozioni e inquietudini. Non pensavo a pubblicarle, anche perché nella poesia ti sveli completamente, e io sono abbastanza timida. Mio marito, però, scoprì il mio scartafaccio segreto, gli piacque, lo portò alla casa ed. Effatà che decise di pubblicarlo. Nacque così il mio primo libro di “quasi preghiere” “Ed io scivolerò fra le Tue braccia”. E

qui capitò una cosa inattesa : tante persone, spesso sconosciute, mi scrivevano, o mi fermavano per la strada, persone semplici, spesso anziane, ma anche, ricordo, due ragazze giovanissime, per dirmi “grazie”, che le mie poesie le avevano consolate, accompagnate, commosse. Che gli avevano fatto bene, dato speranza. Allora pensai che se questo era l’effetto delle mie parole e dei miei pensieri, non dovevo tenere per me questo “dono”: così è nato il secondo libro “Sottovoce Ti parlo”, di cui è stata necessaria una seconda edizione. Forse, chissà, ce ne sarà un terzo... Lei non è pinerolese di nascita. Ci parla di questa nostra città, dei suoi pregi e dei suoi difetti? Venni a Pinerolo a ventidue anni, fresca di laurea, abbandonando tutte le mie amicizie a Casale Monferrato. Fu difficile ambientarmi. Però mi accorsi che in quegli anni Pinerolo era una città viva, piena di fervore. Ogni sera c’era un dibattito. Nascevano, e purtroppo morivano, nuove riviste: per es. La Fornace o Cronache del pinerolese, di cui fui anche costante collaboratrice. Anche economicamente era una città fiorente. L’impressione fu dunque positiva, anche se non fu facile stringere amicizie. Però, dopo qualche anno, venni accettata anche io! Al punto che nel ‘96 venni eletta consigliera comunale e risultai la più votata. Mi diedi da fare, in quegli anni: feci nascere la commissione per le Pari Opportunità, e lavorai perché la legge contro i maltrattamenti alle donne, che giaceva da anni in Senato, venisse mandata avanti. Raccogliemmo una quantità di firme e le consegnammo al senatore Mancino che era venuto a Pinerolo. Quasi non ci credevamo, ma proprio da noi quella legge ebbe la spinta per riprendere il cammino. Feci nascere la Banca del Tempo, tuttora in attività. Oggi, Pinerolo mi sembra in regresso: la crisi c’è dappertutto, ma la nostra città ne appare particolarmente segnata: negozi chiusi, strade dissestate.... Però culturalmente è ancora viva. Per esempio da due anni tengo un Gruppo di lettura presso la Biblioteca. Ci troviamo mensilmente per discutere di un libro scelto insieme. Ebbene, il gruppo si va allargando, il che significa segue a pag.21 interesse e partecipazione.


società

Per Mostre e Musei di Chiara Gallo

l’arte millenaria tra le vittime

Anche l’arte distrutta in nome di Dio Cadono le teste delle antiche statue assire, come cadono le teste dei cristiani in Medioriente: la mano che tiene l’ascia è sempre la stessa, quella dell’Isis. L’IS o ISIL, o ancora ISIS, come si fa chiamare ora il nuovo Stato Islamico, Califfato proclamato da Abu Bakr al-Baghdadi nel 2014, sta continuando a mietere vittime, non solo sul piano umano, anche sul piano artistico culturale. Ha assicurato finora la distruzione di 290 siti: 24 distrutti, 189 danneggiati gravi e 77 da verificare. Una furia inspiegabile ed ingiustificata dettata solo dalla volontà di cancellare ogni traccia della storia nell’intera zona dell’ex Mesopotamia, ora sotto il controllo dell’estremismo islamico. Siria e Iraq hanno riportato finora i danni peggiori. Ad essere devastate le antiche mura di Ninive, attuale Mossul, le rovine di Nimrud, capitale degli antichi Assiri, i resti della città di Hatra, fondata nel lontano III secolo a.C. dai Seleucidi, e, più recentemente, ci giungono notizie anche della distruzione delle antichissime mura di Tal Hafar. La conta delle devastazioni sembra non finire più. Ma cosa spinge questi combattenti di Allah ad un accanimento così feroce verso quello che è il loro stesso passato? Perchè decapitare statue

millenarie che simboleggiano la cultura e la bellezza di questi luoghi? Le risposte sono molteplici e neanche poi tanto scontate. Quella più diffusa e “ufficiale” riguarda l’intento degli jihadisti di proseguire con la loro politica del terrore verso l’Occidente, abbattendo simboli che fanno riferimento a culti che non rispondono al nome dell’unico vero Dio. Cancellando, smantellando e deturpando templi, statue, come se fossero militari in carne e ossa, l’Isis intende urlare al mondo la propria supremazia non solo sul territorio, ma anche sulla storia e sulla tradizione che appartiene a tutti. Un’altra motivazione è quella che riguarda la divulgazione del messaggio islamista, non tanto verso l’Occidente, quanto verso lo stesso mondo arabo in ascolto sui social network. Vi è infine un’ultima risposta alle tante domande suscitate da questa rabbia incontrollata, quella economica. Questa è certo la ragione meno evidente, ma forse la più importante: vendendo sul mercato nero i preziosi reperti iracheni e siriani ad acquirenti, più che altro occidentali, i combattenti dello Stato islamico riescono a garantire liquidi alle proprie linee, aumentando così il loro potere sul territorio e, purtroppo, nel mondo.

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ndo così per il mo

Vita internazionale di Alessia Moroni

Intervista a Jessica Cairo e Luca Restagno

Waiting for...Australia! Aspettando l’Australia

Una coppia. Un viaggio. Un sogno. Ecco come si può riassumere la chiacchierata con Jessica Cairo, laureanda in Scienze Biologiche, e Luca Restagno, laureato in Economia e prossimo al conseguimento della Laurea Magistrale. Tutto questo ovviamente prima della loro partenza per l’Australia, prevista per Novembre. Con un bagaglio culturale non indifferente andranno dall’altra parte del mondo per circa due anni, al fine di lavorare ed imparare perfettamente l’Inglese. Come vi siete organizzati in vista della partenza e dell’avventura che vi attende? Luca: ci siamo divisi i compiti, lei si sta occupando degli obbiettivi a lungo termine, come cercare i corsi di laurea, mentre io sto raccogliendo informazioni più imminenti, come la base di soldi di cui disporre fin dall’inizio e cercare dei possibili lavori. Jessica: questo mese dovremo fare il visto ed abbiamo già fatto i passaporti. Alla fine è circa un anno che progettiamo questa esperienza. Subito abbiamo pensato all’Europa, poi al Canada, ma alla fine la scelta è stata l’Australia. È dunque molto tempo che ci pensate. Com’è stata la ricerca di informazioni? J: molto divertente ed è stata una scoperta, non pensavamo ci fossero così tanti italiani in Australia e parlare con loro è stato un grande aiuto. L: gli italiani che vivono in Australia fanno molti video per far capire come sono lì la vita ed il lavoro. Abbiamo dunque contattato amici di amici anche tramite Facebook, tutti italiani, che – perché no – pensiamo di ritrovare là. Qual è la città dove pensate di andare? E che lavoro cercherete una volta arrivati? L: subito avevamo pensato a Perth,

ma risultava troppo lontana dalle altre città. Inizialmente andremo a Sydney e poi a Brisbane, che è una città dal clima favorevole e più piccola rispetto a Sydney. J: stiamo imparando a fare bene le pizze, per arrivare lì già con un mestiere specifico e trovare un lavoro nel settore dell’hospitality. L’idea, se ho capito bene, è di stare qualche anno in Australia e poi tornare in Europa. Pensando a priori, cosa intendete fare una volta tornati? J: dipende. Da una parte mi piacerebbe rimanere in Australia e trovare un corso di Laurea Specialistica nel mio settore. Altrimenti ho comunque in mente di continuare gli studi in Europa, più precisamente pensavo al Nord Europa. Come vi sentite nel partire insieme e nel dover convivere come coppia per la prima volta? L: è una cosa positiva, dopo cinque anni insieme. È una specie di prova, ma prima o poi dovremo farlo, no?

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musica

Officine del suono di Isidoro Concas

M u s i c a emergente

I The Yellow Traffic Light

I The Yellow Traffic Light sono un gruppo shoegaze attivo dal 2011 con due EP ed una densa esperienza live che dal bacino di Torino si sta espandendo in tutto il nord Italia: è di poche settimane fa l’uscita di un video live registrato all’Edonè di Bergamo di un loro pezzo inedito. Il gruppo sta continuando a lavorare, e noi abbiam voluto conoscerli meglio. Allora, voi nascete come trio con influenze dallo psych-rock anni ’60-‘70, ma dal vostro secondo EP, Dreamless, avete virato decisamente più verso un sound shoegaze e neopsych: nei vostri live spuntano accenni dream pop e space rock, ed in tutto questo avete anche cambiato formazione. Come siete giunti a quell’impasto sonoro che è, ad ora, il vostro suono? Diciamo che principalmente sono stati due i fattori che hanno portato la band al progressivo cambiamento di sonorità e attitudine sia nel suonare sia nel comporre i brani di Dreamless e soprattutto delle new entries di questi mesi. Il cambio di formazione, forse meno essenziale del secondo fattore, ha comunque contribuito nel cammino che ci ha portato dalla psichedelia doorsiana e pinkfloydiana, cui comunque siamo ancora legati, alle sonorità shoegaze e dream pop degli ultimi brani. Quando infatti Federico e Lorenzo sono entrati nel gruppo e Angelo lo ha nel frattempo lasciato, la loro diversa esperienza e modo di approcciarsi all’esecuzione dei brani, composti principalmente da Jacopo, ha portato una forte ventata di cambiamenti nel sound generale, che è diventato più corposo e nel frattempo si è svecchiato dalle prime influenze 60’s e 70’s. Sicuramente sono però gli ascolti sia dei singoli membri che quelli condivisi da tutti e quattro ad aver portato al suono che ora ci rappresenta maggiormente. Partendo da Jacopo e anche da Luca, infatti, la band si è avvicinata allo Shoegaze e quindi sia ai gruppi storici della scena (da My bloody valentine agli Adorable, dagli Spaceman 3 ai Jesus and Mary Chain) sia alle band odierne che ne ripropongono, ognuna alla sua maniera, le classiche tinte eteree e sognanti (dai TOY ai DIIV sino all’indie pop dream degli Alvvays senza tralasciare la scena più psichedelica che ci lega ancora al passato con i Tame Impala e se vogliamo anche gli inglesi

SPLASHH). Né nella vostra biografia, né nelle vostre interviste c’è un accenno al motivo per cui vi chiamate così. Come avete scelto il vostro nome? Il nostro nome nasce da un’idea pseudo-filosofica venuta ben tre anni fa a Luca. The Yellow Traffic Light significa semplicemente semaforo giallo, ma lui ne ha proposto una sua personale (e condivisa dalla band) interpretazione: il semaforo giallo rappresenta infatti il punto focale del comportamento sia sociale che più in generale umano degli individui. Secondo questa teoria dal semaforo giallo si evince la personalità di ognuno: se si è persone decise e razionali, non si hanno problemi ad attraversare; se invece si è previdenti, insicuri, irrazionali, si aspetta che esso diventi rosso oppure si tentenna fino all’ultimo. Ultimamente sempre Luca ha rivisitato questa teoria dopo aver consumato la serie tv “Twin Peaks”, dove viene detto riguardo al semaforo giallo : “Does it mean to speed up or to slow down?”. A voi la scelta. Poche settimane fa avete pubblicato il video live di Fall, un brano che presentate come “nuovissimo”, e che presenta atmosfere più uptempo di quelle di Dreamless e richiami più marcati allo psych-rock. Avete inoltre pubblicato una foto in studio annunciando di star scrivendo altro materiale: cosa bolle in pentola, in casa TYTL? Quali sono i vostri progetti futuri? Sì e tra l’altro cogliamo l’occasione per ringraziare Daniele Ti, videomaker della Exibhition Night, la serata da cui il video di “Fall” è tratto. Fall presenta un ritmo molto più sostenuto e motorik alla TOY ispirato alle ritmiche kraut-rock dei Neu!. Gli intrecci basso-chitarristici sono invece più vicini come sound ai brani guitars-driven degli eterei newyorkesi DIIV. Prossimamente abbiamo in programma di far uscire in autoproduzione un videoclip e un brano singolo in free download sulla nostra pagina Bandcamp, ma di ciò ancora non possiamo rivelarvi nulla. In seguito il nostro progetto oltre a cercare date per questa stagione in Italia e perché no anche in Europa, è quello di tornare in sala di registrazione a Settembre per lavorare su un nuovo freschissimo EP che racchiuderà tre dei brani, tra cui presumibilmente Fall, che meglio rappresentino il nostro suono attuale. Perciò mantenetevi sintonizzati sulla nostra pagina facebook e su youtube perché presto ci saranno novità.

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Cosedell’altromondo di Massimiliano Malvicini

4 marzo 1848-25 aprile 1945 Le libertà civili e politiche: da atto a conquista I mesi primaverili scandiscono i passi della storia d’Italia: a marzo e ad aprile sono numerose le date e le ricorrenze che, seppur riferite ad eventi molto distanti tra di loro, raffiugurano un terreno comune della nostra vicenda nazionale: la ricerca della piena garanzia delle libertà di cittadinanza attiva. Risale al lontano 1848 la Carta fondamentale che delineava le prime seppur timide garanzie di libertà individuali ed associative e delineava l’architettura ministeriale dell’allora Regno di Sardegna. Il documento, concesso da Carlo Alberto durante la grande stagione di riforme liberali e di movimenti democratici - che viene storicamente definita come il lungo ’48 che prenderà il nome di Statuto albertino, verrà utilizzata come fondamento di ordine costituzionale anche nel Regno di Italia

(proclamato ufficialmente il 17 marzo 1861 presso Palazzo Carignano a Torino) fino all’entrata in vigore della nostra Costituzione nel gennaio del 1948. La ricerca per le libertà però non finisce qui. Alle vicende ottocentesche si aggiungono gli avvenimenti che portarono entro la primavera del 1945 alla Liberazione delle regioni alpine e padane dalle truppe nazi-fasciste. La ricorrenza che simboleggia la Liberazione,porta in dono anche la piena affermazione delle libertà civili, sociali e politiche che non erano solo più degli astratti principi ma erano ormai divenuti parte di una cultura collettiva. Sebbene ci volesse la tutela costituzionale e molti decenni prima che il sistema di garanzie progettato avesse pieno dispiegamento, la data del 25 aprile continua a simboleggiare un evento cruciale nella storia del nostro Paese.

1 aprile 2015 – La Palestina ammessa alla Corte penale internazionale Il Segretario delle Nazioni Unite ha recentemente affermato che lo Stato di Palestina diventerà uno dei membri del Tribunale penale internazionale dal prossimo 1 aprile. Materialmente parlando, ciò significa che da questa data esso potrà depositare le denunce per “crimini di guerra” verso tutti quei soggetti che, a parere dell’Autorità Nazionale Palestinese, hanno violato le sue prerogative sovrane e territoriali (anche se, da questo punto di vista, la vicenda giudiziaria sembra molto

intricata). La decisione del tribunale dell’Aja appare piuttosto controversa anche rispetto agli ultimi avvenimenti sia nazionali che internazionali aventi ad oggetto “l’entità palestinese”: l’ammissione al TPI potrebbe sbloccare la vicenda dal punto di vista del diritto umanitario e dei conflitti armati, ma non si capisce come potrebbe aiutare a districare la situazione dal punto di vista della sovranità territoriale in Medio oriente.

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ni diritti uma

Visibili & Invisibili

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gruppo giovani amnesty international

In Venezuela un anno dopo

Esattamente un anno fa in questa rubrica parlammo delle proteste contro il governo in Venezuela, alle quali le autorità avevano risposto con numerosi arresti e violenze. Nel periodo tra il febbraio e il luglio del 2014 43 persone persero la vita, centinaia vennero torturate o ferite e 3351 vennero arrestate, per la maggior parte arbitrariamente. Circa un anno dopo, un rapporto di Amnesty International fa luce sulla situazione ad oggi. Tra gli arrestati, 1014 potrebbero ancora essere incriminati e 25 attendono il processo in carcere. Secondo le informazioni a cui Amnesty ha avuto accesso, alcuni gruppi filogovernativi avevano esercitato violenze e fatto irruzione in case private con il benestare delle forze dell’ordine. I responsabili sono spesso sfuggiti alla giustizia a causa di indagini e operazioni giudiziarie fallimentari. Inoltre, i famigliari delle vittime, gli

avvocati e gli attivisti che hanno chiesto giustizia hanno subito intimidazioni e aggressioni. Al posto di lavorare per il dialogo, il Ministero della Difesa a gennaio ha dichiarato che in caso di manifestazioni sarà possibile ricorrere alle forze armate al completo, alle quali sarà permesso utilizzare armi da fuoco. Il 14 febbraio a Táchira la polizia ha ucciso con un colpo alla testa un quattordicenne che protestava contro il governatore locale. Pochi giorni dopo il sindaco di Caracas ha subito un arresto giudicato sospetto. Amnesty International ha sottolineato che queste misure e la generale impunità a seguito degli abusi di potere da parte delle forze dell’ordine finiranno per incentivare ulteriori violazioni dei diritti dei Venezuelani. Pertanto, il nostro sostegno e la nostra attenzione per la situazione non devono cessare.

Sabato 21 marzo 200mila persone hanno sfilato in un corteo lungo tre chilometri che ha invaso le strade di Bologna sin dalle prime ore del mattino. Don Luigi Ciotti era alla testa del corteo seguito da Piero Grasso, presidente del Senato e altri nomi illustri, oltre ai famigliari delle vittime. Piazza VIII agosto ha accolto la folla giunta da tutta Italia in occasione dei 20 anni di Libera e per ricordare, come ogni anno il primo giorno di primavera, tutte le vittime di mafia. Una lettura impegnata e consapevole di 1035 nomi che rappresentati da palloncini bianchi sono volati verso il cielo, al quale guarda “una Chiesa che sa tenere anche gli occhi rivolti a terra” come ha affermato Don Ciotti. Il suo discorso è stato fortemente significativo e ha ricordato a tutti noi giovani la partecipazione di Papa Francesco, lo scorso anno alla giornata di Latina, e l’importanza di questa presenza insieme alle sue parole, ha inoltre sottolineato come sia ormai errato ed obsoleto parlare di infiltrazione mafiosa e di quanto sia

necessario parlare di occupazione di quest’ultima, infatti “è presente negli appalti pubblici e davanti agli occhi di tutti”. Parole forti quelle del fondatore di Libera, quelle di un uomo che chiede che questa giornata venga riconosciuta come “Giornata della memoria e dell’impegno” in ricordo delle vittime di mafia a livello nazionale e che domanda con forza che anche in Italia venga introdotto il reddito di cittadinanza, presente in quasi tutti i Paesi europei, motivo per cui “l’Italia deve smetterla di arrivare sempre dopo”. Parole importanti e meritevoli di attenzione son state anche quelle di alcuni familiari delle vittime e quelle del nostro presidente del Senato, unitamente al discorso del sindaco di Bologna. Questa è stata una giornata piena di emozioni e di voglia di cambiamento, desiderio di camminare insieme affinché la verità possa veramente illuminare la giustizia.

La verità illumina la giustizia


società

Giovani,Tecnologia@Innovazioni a cura di Greta Gontero

Budgee Sarebbe bello avere un robot personale che ci segue ovunque noi vogliamo? Per chi lo desidera è nato Budgee, un robot che segue il proprio “padrone” e gli porta borse, pacchetti, bagagli… Fa sempre comodo in effetti avere un assistente personale che aiuti a portare pesi vari (da zaini a borse della spesa) e meglio ancora se lo fa in silenzio! A questo proposito la FiveElementsRobotics ha creato Budgee, un vero e proprio robot che segue (tramite frequenze radio) un dispositivo messo addosso al proprietario, il quale può decidere una distanza predefinita.

Budgee è molto facile da usare: basta infatti schiacciare un pulsante sulla sua testa per accenderlo e attivarlo in modalità manuale o predefinita. Dal punto di vista strutturale possiede alla base una sorta di carello con sacca, la quale può contenere circa venti kg, e ha una testa con due occhi luminosi (il cui colore piò essere scelto dal cliente). Infine Budgee può raggiungere circa 7 km/h di velocità ed è in grado di riconoscere eventuali ostacoli sul percorso, evitando così di scontrarvisi. Attualmente il costo del prodotto si aggira attorno ai 1400 dollari.

Onda d’Urto / Appuntamenti Via Vigone 22 - Pinerolo

• Giovedì 16 aprile alle 18,30, Apericena delle idee • Mercoledì 22 aprile, ore 20,45, Corso di Fitoterapia con la dott. Valeria Armand • Venerdì 24 aprile, ore 18, Serate di Laurea • Ogni mercoledì, dalle 15 alle 18, informazione sui bandi Intervista ad Anna Maria Bermond,

segue da pag.15

Lei è moglie di Elvio Fassone, nostro autorevole collaboratore. Ci racconta qualche aneddoto della vostra vita coniugale? Dopo cinquant’anni di matrimonio gli aneddoti sono innumerevoli. Mi piace ricordare i nostri primi anni: io insegnavo, Elvio studiava in modo pesantissimo per sostenere gli esami da magistrato. Il mio stipendio era smilzo: 54.000 lire. L’affitto era di 22.000. Non c’era posto al nido per il mio bimbo, e la donna che gli badava quando ero a scuola costava 20.000. L’avanzo era davvero esiguo. Per arrotondare, Elvio inventava rebus e sciarade per la Settimana Enigmistica, io scrivevo novelle che, se venivano accettate, costituivano un’entrata di ben 20.000 lire. Quando arrivavano

questi supplementi si festeggiava...Fu un periodo durissimo, ma lo ricordiamo con grande affezione. Per concludere, una domanda sui giovani. Trova che sul territorio si facciano politiche adeguate per creare per i giovani occasioni per il futuro? E’ un terreno che conosco poco, anche perché in questi anni mi sono piuttosto occupata degli anziani, spesso lasciati soli e dimenticati. Mi pare che a Pinerolo, tranne la realtà delle scuole, di gruppi teatrali, di forme vive di volontariato, come quella del vostro giornale, esista ben poco. Penso però che i giovani, se hanno creatività, inventiva, voglia di impegnarsi e studiare abbiano infinite possibilità.

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Andare al cinema di Andrea Obiso

Foxcatcher/Una storia americana

Regia: Bennett Miller. Attori Principali: Steve Carrell, Channing Tatum, Mark Ruffalo, Sienna Miller, Anthony Michael Hall Mark e David Schultz sono due campioni di lotta libera, affrontano assieme le problematiche sia in combattimento che fuori, preparandosi al meglio per gli imminenti Mondiali. Mentre si stanno allenando in una fatiscente palestra americana Mark riceve una chiamata dal misterioso miliardario John E. Du Pont, che si dimostra interessato a finanziare i due fratelli e tutta la loro squadra per creare il “Team Foxcatcher”. Tra l’iniziale indecisione di David, le vittorie di Mark e l’evidente conflitto con la madre, Du Pont realizza il suo sogno. Ma il clima, nella tenuta Foxcatcher, diventa ogni giorno più surreale. Steve Carrel, partiamo da lui. Alzi la mano chi pensava potesse essere un attore di livello dopo una carriera fatta di risate facili ed altrettanto facile buonismo. Qui diventa John E. Du Pont, personaggio quasi sconosciuto e incredibilmente complesso da portare in scena, eppure così reale e genuinamente

inquietante nella trasposizione di Carrel. A fargli da contorno una serie di attori che si confermano (Mark Ruffalo) o che si scoprono del tutto capaci e affidabili (Channing Tatum) e una regia come sempre molto funzionale alla vicenda. Bennet Miller in particolare si dimostra un abile trasformista, dopo Truman Capote, A Sangue Freddo e L’arte di vincere cambia ancora registro, lasciando la letteratura, i numeri e il baseball cimentandosi con una vicenda surreale, scomoda ed inquietante. Ciò che meno convince tuttavia rimane la lentezza con cui scorre la narrazione, ovviamente la lentezza non è un difetto in sé (anzi), ma nel momento in cui perde armonia con il particolare frammento che si va a raccontare smette di essere una valore aggiunto, rischiando così di perdere mordente sullo spettatore. In Foxcatcher per fortuna questo accade raramente, ed il film risulta godibile ed appassionante.

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Appunti di viaggio A cura di Angelica Pons

A 450 km dal Polo Nord

Wondering Lapland Sì eravamo proprio curiosi, curiosi della neve, della vita in una landa tanto fredda, curiosi e già colmi di stupore solo dal nome delle aurore boreali, e persino dell’emozione che può dare lo “sleddogs”, la slitta coi cani. Abbiamo colmato solo un pezzetto di questa curiosità, perché il Nord ha un fascino senza eguali: siamo rimasti estasiati e speriamo di tornarvi. E’ facile. Il Nord Europa è ben organizzato, civilizzato, tecnologico. Voli frequenti con scalo in Germania collegano la penisola. La nostra meta è Ivalo, 450 km dal Polo, dove troviamo una stanza in un villaggio sperduto in mezzo alla neve, Ukonjärvi Holiday Village, sull’Inari Lake. La neve fa tornare bambini! Trascorriamo tre giorni a ridere e ciaspolare – ciaspole affittate da Anne di Easy adventures, 10 euro tot – e si va in lungo ed in largo nel candore a perdita d’occhio, nell’aria purissima, su laghi gelati e foreste ariose di pinetti e betulle, tra fiocchi danzanti, raggi di sole, raffiche di vento. L’unica collinetta è il belvedere dove sono lasciati i residuati bellici di un aeroplano e di un carrarmato, oltre ad un museo a cielo aperto di antiche barche e casette lapponi; c’è pure una motoslitta degli Anni ’70 e un caffè chiuso, perché la strada è impraticabile (2 m di neve) e in questa stagione non sale nessuno. Da lì si rimirano i monti siberiani e le

distese innevate. Non paghi di tanta bellezza cantiamo per evocare l’aurora. Che arriva, puntuale, nei -20° della notte, prima con un velo lieve che scompare e riappare danzando lungo tutta la volta stellata disegnando archi, volute, canne d’organo, tende e zampe d’orso. L’incontro con la natura è disarmante. Dagli scoiattolini ed uccellini (siberiantip) cui la nostra ospite dà da mangiare, ai timidi ptarmigan, uccelli mimetici come grossi polli bianchi dagli occhietti neri, alla giovane renna che ci osserva curiosa e saltella via, volando sulla superficie piatta, percorsa raramente da un gatto delle nevi, sulla cui traccia poggiamo le nostre racchette. Sento il rimbombo del mio bastoncino sotto i 60 cm di ghiaccio. Visitiamo un parco dove sono custodite in semi-cattività le rarissime volpi artiche, ma l’entusiasmo è tanto pure per i nostri nuovi amici, con la slitta: buoni, sottili e forti gli husky finlandesi, la capomuta ha 13 anni «ma non lo sa», dice ridendo la guida, Sistina. Alle nostre soste – siamo absolutebeginners! – abbaiano e ululano di gioia, pare che dicano: «Facci ripartire» e mangiucchiano la neve perché hanno caldo. Un saluto a Nemo, il lupacchiotto di Riitta Liisa, la gentile signora inglese che ci ha ospitato, il marito dall’Olanda: «Ma che cosa vi ha spinti a vivere qui, d’inverno scende a -50°?».«La natura» è la risposta.

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Sono amici di Pinerolo InDialogo e di Onda d’Urto 24


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