Museo Horne

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volumi interni, dall’attenta distribuzione delle funzioni, dall’eccezionale ricchezza degli ornamenti in pietra. Così ammodernato il palazzo non servì tuttavia quasi mai da residenza dei proprietari: nel 1589 ne era affittuario Gino di Filippo Rinuccini; nella seconda metà del xviii secolo era abitato dai Nencini, che l’acquistarono nel 1812. Passato nella prima metà dell’Ottocento ai Fossi, il palazzo fu oggetto di una «sopredificazione al secondo piano», tra il 1832 e il 1849, per volere del marchese Antonio. Fu poi venduto nel 1896 dal marchese Federico ai Burgisser, i quali a loro volta lo vendettero all’architetto e collezionista inglese Herbert P. Horne nel 1911. Questi promosse e coordinò dal 1912 al 1915 un impegnativo intervento di restauro con l’ausilio dell’ingegner Eugenio Campani, eliminando i tramezzi, le superfetazioni e le tamponature effettuate nei secoli precedenti, ridando così leggibilità e valore all’edificio rinascimentale, e questo secondo criteri di restauro filologico e conservativo assai innovativi per l’epoca. Nel frattempo (e ancor prima di tali lavori) il palazzo era stato inserito nell’elenco redatto nel 1901 dalla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, quale edificio monumentale da considerare patrimonio artistico nazionale, e, dal 1913, sottoposto a vincolo architettonico. La qualità dell’architettura rende evidente come i Corsi abbiano fatto ricorso a uno dei grandi protagonisti della cultura artistica tardoquattrocentesca per la progettazione della propria casa. Tale personalità era stata individuata da Herbert Horne in Giuliano da Sangallo (e in Andrea Sansovino per gli elementi scultorei), mentre Adolfo Venturi aveva suggerito il nome di Simone del Pollaiolo detto il Cronaca. Il palazzo è in effetti oggi ritenuto opera di quest’ultimo, coadiuvato nel cantiere da Baccio d’Agnolo, mentre a un maestro vicino a Benedetto da Rovezzano spetterebbero gli elementi scultorei. il palazzo corsi


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