Le Coste e il Mare della provincia di Salerno

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ANNO VII • N. 20 • 2005 • Ê 5,00

ITINERARI ALLA SCOPERTA DELLA REGIONE

CAMPANIA FELIX


Il risanamento ambientale e la tutela delle risorse naturali e paesaggistiche devono essere intesi non come un vincolo, ma come una pre-condizione per realizzare un nuovo modello di sviluppo. Attrae iniziative economiche (e visitatori) un territorio “sano”, non inquinato, con un’alta qualità di servizi e di infrastrutture, un elevato livello di vivibilità nei centri urbani e rurali. La “questione ambientale” diventa, quindi, un’azione di stimolo, che unisce analisi e proposta, al fine di orientare le grandi trasformazioni necessarie al comprensorio salernitano. Un capitolo particolarmente importante è quello relativo alla lotta all’erosione delle coste. La nostra provincia con la sua vocazione turistica, sta attivando tutti i finanziamenti possibili per la difesa delle spiagge e degli arenili, anche prevedendo piani pluriennali, definendo accuratamente le priorità e le emergenze. Uno degli straordinari giacimenti di ricchezza ancora non del tutto valorizzati è rappresentato certamente dai fondali e dalle aree sottomarine che costituiscono delle vere e proprie riserve ambientali di primissimo piano. Il lavoro da svolgere è enorme ed il reperimento delle risorse è un compito arduo e difficile soprattutto alla luce della situazione complessiva della finanza pubblica. In base a queste motivazioni la collaborazione tra i vari livelli istituzionali e le politiche di concertazione in merito ad interventi mirati possono contribuire a ridurre il rischio di dispersione e di polverizzazione degli interventi. La Provincia ha già promosso iniziative di supporto tecnico ed operativo ed ha inserito la salvaguardia dell’ambiente tra le proprie priorità programmatiche: la strada intrapresa è quella giusta, occorre continuare a profondere il massimo sforzo per cogliere quei risultati che consentiranno di stimolare positive ricadute sia dal punto di vista del miglioramento della qualità della vita che sotto il profilo del rilancio economico, soprattutto nel settore turistico. Angelo Villani Presidente della Provincia di Salerno


Numero speciale Le coste e il mare della Provincia di Salerno Editore, direttore editoriale e artistico Mariano Grieco Coordinamento scientifico Teobaldo Fortunato Direttore responsabile Dario Coviello Relazioni esterne Ersilia Ambrosino

SommariO

Testi: Teobaldo Fortunato con Piero Califano Giovanna Fasanino

Il mare incantato

Le coste della provincia di Salerno

Foto: Alfio Giannotti

La costiera amalfitana

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e Archivio Altrastampa Progetto grafico

La costa cilentana

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Altrastampa Copertina Panorama da Ravello Foto: Alfio Giannotti

•I

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Il mare incantato Le coste della provincia di Salerno testo: Teobaldo Fortunato con Piero Califano e Giovanna Fasanino foto: Alfio Giannotti e archivio Altrastampa

In alto: Giovanni Boccaccio. A destra: panorama di Ravello.

“...Assai presso a Salerno è una costa sopra il mare riguardante, la quale gli abitanti chiamano la costa d’Amalfi, piena di piccole città, di giardini e di fontane e d’uomini ricchi e procaccianti in atto di mercantantia si come alcuni altri. Tralle quali cittadine v’è una chiamata Ravello...”. Siamo nel XIV secolo ed il signore che descrive in maniera così arguta è messer Boccaccio: uno dei primi turisti d’élite della Divina Costa o piuttosto una fiction letteraria mutuata da altri autori? Francamente non ci sentiamo di liquidare in modo irriverente cotanto ingegno... ci sarebbe bisogno di incomodare critici e biografi per capire se uno dei padri della letteratura nostrana, ospite “poco gradito” al castello di Nocera, intorno agli anni Sessanta del Trecento abbia compiuto un’escursione anche a casa Rufolo. (Vale la pena ricordare che l’accenno a Ravello è contenuto

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nella Novella IV della Giornata II del Decameron). Ed a seguire, di eccellenti presenze a Ravello come ad Amalfi, fino ai nostri giorni ve ne sono state tante, personaggi

stregati dagli scorci infiniti e pieni di colore, dalla malìa dei panorami. Molti, Gore Vidal, l’irriverente scrittore americano che ha abitato fino a pochi mesi fa a Ravello,

nella Rondinaia, li ha definiti artisti “ribelli”: Andrè Gide, Leonard e Virginia Woolf, Enrik Ibsen, Edward Morgan Forster, David Herbert Lawrence. Gore Vidal

giunse nel 1948, in compagnia di Tennessee Williams e si innamorò subito di questo angolo di paradiso. È delle cronache rosa ante guerra, il racconto del brevissimo,

ma intenso e fugace incontro tra il compositore Leopold Stokowsky e la superba Greta Garbo, a Villa Cimbrone. Cosa dire di John e Jacky Kennedy, fotografati nei

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In questa pagina. Panorama dal belvedere di Villa Rufolo. Pagina seguente. In alto: Teodoro Duclère, Ravello. Al centro: la piazza del Duomo. In basso: la torre di Villa Rufolo.

primi anni Sessanta del Novecento, nel salotto cittadino, di fronte al Duomo? Questa però forse è storia di un tempo ancora troppo vicino per essere compresa appieno. Cerchiamo dunque di ripartire da dove ci eravamo proposti per il nostro soggiorno

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vacanziero rilassante e quanto meno culturale. Potremmo chiamarli appunti di viaggio? Ravello paga il tributo della sua fama alla fausta posizione naturale ed alla messe enorme di opere d’arte che hanno fatto del gioiello incastonato alla sommità dei monti,

Patrimonio dell’Umanità. Ovunque, si incontrano colonne, epigrafi, cornici, architravi, memorie marmoree di spoglio. Il paese si erge a 360 metri sul livello del mare su un massiccio tra la Valle del Dragone e la Valle del fiume Reginna Minor. Due dimore aristo-

cratiche da sempre dominano la scena: Villa Rufolo sottolineata dalle inconfondibili due torri in stile arabo-normanno, dal minuto chiostro arabescato, e la Torre di Klingsor erta sul lussureggiante giardino. Qui, Richard Wagner intravide nel-

l’ultima decade del maggio 1880, dopo una lunga cavalcata da Amalfi su fino a Ravello, il giardino di Klingsor. A Villa Rufolo, abbandonata dal XVIII secolo, si era stabilito nel 1851, Francis Nevile Reid con la moglie Sophie Caroline Gibson Carmichael, dopo


In alto, a sinistra: il giardino di Villa Cimbrone. A destra: panorama dal belvedere di Villa Cimbrone.

averla rilevata dai marchesi Camera d’Afflitto. Nevile era l’erede di una tradizione tutta europea, quella del Grand Tour che dal Settecento in poi fino a metà Ottocento, aveva visto attraversare i centri italiani di maggiore interesse, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Pompei, Paestum, la Sicilia, non solo dai rampolli delle nobili casate francesi, inglesi e tedesche ma anche da una folta schiera di intellettuali da Winckelmann a Chateaubriand. L’altra punta di diamante è Villa Cimbrone, a strapiombo sulla collina sottostante da cui lo sguardo si perde ad oriente, dove l’aurora, in ogni stagione, illumina l’ansa segnata dal Golfo di Salerno. Ferdinand Gregorovius, a proposito del Belvedere del Cimbrone, annotò: “Nel contemplare quegli orti di Armida, fra le rose e le ortensie, quel mare magico... nasce il desiderio di poter volare”. Nelle sue stanze Ernest William Beckett, stabilì un cenacolo letterario a cui fecero capo tutti gli intellettuali del gruppo di Bloomsbury. Ma le evidenze architettoniche a Ravello rivestono tutte notevole interesse: in primis, il Duomo dalle bronzee porte del 1179, firmate da Barisano da Trani, regalate alla Cattedrale dal nobile di Ravello

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Sergio Muscettola. La navata centrale è dominata dal pulpito in mosaico, opera magistrale di Bartolomeo da Foggia, datato al 1272, dono dell’aristocratico Nicola Rufolo alla consorte Sighelgaita Della Marra. Da visitare sono inoltre, la Chiesa di San Giovanni del Toro con un bel pulpito anch’esso in mosaico dell’XI secolo di Alfano da Termoli, la Chiesa di Santa Maria a Gradillo che da qualche tempo ospita eventi d’arte, mentre anticamente

era il luogo ove si riunivano i signori ravellesi. Sede oggi invece, della sala convegni del Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali è la Chiesa della Santissima Annunziata, eretta da re Ladislao quale omaggio ai fedeli Fusco, connotata dalle due piccole cupole gemelle. Interessante è anche il convento francescano del XIII secolo al cui interno è custodita una ricchissima biblioteca; il chiostro romanico risuona di musica nelle notti d’estate.

Intorno alle origini di Ravello, vi sono ancora molti dubbi se sia sorto come piccolo centro, intorno al VI secolo d.C. allorquando profughi dell’Ager Nucerinus cercarono riparo contro le frequenti incursioni barbariche o piuttosto, aveva rappresentato dall’epoca imperiale una testa di ponte verso le villae maritimae impiantate lungo la costa. L’epoca di maggiore espansione coincise con la nascita della Repubblica d’Amalfi, intorno all’anno 810 d.C. ed i con-

tatti più frequenti con il mondo arabo e quello bizantino. Le gentes di antico lignaggio e di lunga memoria, tra cui vanno annoverati i d’Afflitto, i Muscettola, i Frezza, i de Marra, i Rufolo, grazie a floridi commerci, diedero un apporto economico immenso allo sviluppo della città. Della raggiunta potenza dei Rufolo è traccia nei versi di Eustacchio Venosino: “En Rufola Navis, En Enrici Fama Ravelli”. Una antica tradizione, peraltro non conferma-

ta dalle fonti, vuole che il toponimo derivi da Rebellum, ribelle, in ricordo dell’antica ostilità alla più potente Amalfi. La città fu dotata anche di una fortificazione costituita da tre ordini di mura difensive e numerose torrette. Alle soglie dell’evo moderno, fu travolta da eventi sismici, invasioni, pestilenze ed emigrazione, concause che se ne decretarono la lenta decadenza, le hanno permesso però di continuare ad esercitare quel fascino irresi-

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stibile che ne fa ancora una delle mete più esclusive del jet set internazionale per la sua posizione appartata e la salubrità dell’aria. In posizione leggermente più alta e riparata è Scala, dalle origini antiche; nell’anno 1073 fu rasa al suolo da Roberto il Guiscardo ed in seguito depredata dai Pisani dopo la battaglia del 1137. Fu possedimento di nobili famiglie napoletane sotto il dominio degli Angioini prima e degli Spagnoli dopo, fino all’Unità d’Italia. Numerose sono le chiese; tra le tante ricordiamo il Duomo di San Lorenzo che si staglia sulla piazza principale; la Chiesa e il Campanile di San Giovanni Battista a Campidoglio, la diruta Basilica di Sant’Eustacchio. Nel 1731, fu fondato l’ordine monastico delle Suore del Santissimo Redentore, voluto da Madre Maria Celeste Crostarosa e grazie alla collaborazione di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori che fondò la Congregazione dei Padri Missionari. Il convento delle suore dai colori rosso e azzurro, tuttora è sede di noviziato. Scala ha dato anche i natali a Gerardo de Saxo che nel secolo XI fondò gli Ospedalieri, oggi Sovrano Ordine Militare dei Cavalieri di Malta. Il territorio è diviso come un tempo in sei borghi: Centro, San Pietro,

Santa Caterina, Campidoglio, Minuta e Pontone. Il paesaggio è profuso della grande aura di spiritualità che aleggia intorno: una passeggiata a Punta d’Aglio, a Santa Maria dei Monti, alla Torre dello Ziro ed alla Riserva Naturale Integrata di Valle delle Ferriere, in cui è possibile ammirare rare felci tropicali, rigenera l’animo, soprattutto nelle assolate giornate estive. Nel più antico paese di tutta la costa d’Amalfi meritano una visita accurata i suoi monumenti: il Duomo dal pavimento di maioliche e dai soffitti dipinti o, a Minuta, gli stupendi affreschi nella Chiesa dell’Annunziata. Si segnala l’Itinerario Alfonsiano tutto contenuto nel perimetro di via Torricella, con una visita alla Cappella delle Apparizioni e la Grotta dell’Ovo, oppure l’Itinerario Benedettino, composto da sei monasteri, un tempo solidi e fiorenti. Si parte dal Convento di Campoleone, proseguendo per l’Abbazia dei Santi Benedetto e Scolastica a Tavernata tra Pontone e Pogerola, quella dei Santi Giuliano e Marciano sulla sommità del monte Cerbelliano, Santa Maria de Aquabona, Sant’Elena, verso il quartiere amalfitano di Pianello fino a Santa Maria de Fontanella a Priegi nella vallata del Dragone.

Pagina precedente. In alto: panorama di Scala. Sotto: panorama dalla Torre dello Ziro a Pontone. In questa pagina. In alto: panorama di Scala. In basso: interno del Duomo di Scala.

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In questa pagina. Veduta dall’alto di Atrani. Pagina seguente. In alto: panorama di Atrani. In basso: la cosiddetta Casa di Masaniello.

Fuori dal centro cittadino, un bosco di poderosi castagni invita gli amanti dell’equitazione e dell’escursionismo montano. André Gide, giunto a Ravello, dopo un’escursione a Scala, scrisse: “Ravello mi ha impressionato, così la costa, ma alla fine del mio soggiorno ho visitato un piccolo paese che chiamano Scala, che può non piacerti dal nome, ma non si può appellarlo diversamente. È un escalier quasi metafisico, che ti porta in alto e ti mantiene sospeso in una contemplazione infinita”. Poco rimane della cinta muraria medievale, delle grandi porte d’accesso alla

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civitas e delle torri ora poco più che ruderi, ghiottonerie architettoniche per gli intellettuali d’oltralpe: intorno agli inizi del secolo Ventesimo, il danese Karl Wunstolf riadattò per i suoi compatrioti, le rovine della Chiesa di San Cataldo in una casa degli “artisti”. Ritornati a Ravello, imbocchiamo una stradina oltremodo ripida. Sinuosa e verosimilmente antica congiunge Ravello ad Atrani scalo marittimo già frequentato dagli Etruschi e dai Greci d’Occidente. Rimase quasi del tutto disabitato fino a quando divenne parte integrante della Repubblica Amal-

fitana. Ritenuta città “gemella d’Amalfi”, nella sua chiesa i duchi furono investiti e sepolti. I Normanni la occuparono intorno all’XI secolo, ad essi seguirono gli Svevi, gli Angiò e gli Spagnoli. Determinante fu l’ascesa al trono napoletano dei Borbone che impiantarono lungo la vallata del Dragone, cartiere, pastifici e filande dando un rinnovato impulso all’economia del minuscolo paese. Atrani preserva una conformazione simile ad un borgo medievale, circondato dai resti delle mura. Entro il nucleo centrale sono sorte la Chiesa di Santa Maria Maddalena, quelle di San Salvatore, San Michele, del Carmine, Santa Rosalia, Santa Maria del Bando. La Collegiata di Santa Maria Maddalena fu edificata nell’anno 1274 su quel che rimaneva di una torre medievale. Artefici furono gli abitanti del posto che innalzarono l’edificio sacro per essere scampati ai pirati saraceni. Oggi, presenta notevoli interventi di restauro. Nella Chiesa di San Salvatore de Birecto per secoli sono stati investiti i Dogi, con l’imposizione del berretto dogale, da cui deriva l’intitolazione. Eretta nel X secolo, tra gli elementi più importanti evi-

denzia un piccolo campanile a vela che sovrasta l’orologio sulla facciata ed una porta in bronzo datata al 1087, donata da un mercante; inoltre un pluteo di marmo, del XII secolo, decorato con una rilevata scena allegorico celebrativa con due pavoni ai lati di un simbolico albero. In via Arte della Lana, poco lontano dalla piazza, si erge il Monastero francescano di Santa Rosalia e l’omonima chiesa. Al suo interno è possibile ammirare un prezioso organo del XVIII secolo e un’anonima tela con l’effige di Santa Rosalia. Nel tessuto urbano si incontrano ancora la Chiesa di Santa Maria del Bando, situata a breve distanza dalla Torre dello Ziro. Databile al XII, domina tutto il centro cittadino. Attigua alla Chiesa di San Salvatore de Birecto è quella di Santa Maria Immacolata. Interessanti sono altresì la Cappella di Santa Gertrude del 1687 e la Chiesa del Carmine in cui si conserva un presepe seicentesco, allestito durante le festività natalizie. Caratteristica è la Chiesa di San Michele Fuori le Mura del XII secolo. Atrani grazie alla sua struttura urbanistica che trova il naturale


Al centro: Vedute di Amalfi. Giacinto Gigante, Cattedrale Pagina successiva. di Amalfi. In alto: In basso: la Valle Amalfi in una dei Mulini in una cartolina cartolina d’epoca. d’epoca.

corollario nella spiaggia - una sorta di proscenio su un’ideale cavea di teatro romano, tagliato in due dal lungo ponte della strada rimane impressa nella memoria

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dei turisti per l’aspetto bizzarro e pittoresco. La Fontana Moresca, eseguita nel 1927 da Luigi dé Bartolomeis, fa da sfondo alla piazza, chiusa quasi del tutto sui

lati. Nel 1923 giunse sulla Divina Costa Mauritius Cornelius Escher: realizzò quelli che l’artista stesso definì “esercizi pratici”, ossia i 110 disegni dedicati ai paesaggi costieri in cui però fu certamente “il villaggio” (Atrani) ad affascinarlo maggiormente per la magia delle intricate viuzze che ispirarono, nel 1931, l’opera “Atrani, Costa d’Amalfi” e “Metamorphosi” nel 1939. Se per superficie è forse il più piccolo comune d’Italia, ha tuttavia accanto alle opere d’arte anche scenari naturalistici interessanti quali le grotte, tra cui quella definita di Masaniello, dove, secondo racconti leggendari, pare si sia rifugiato dopo la rivolta che da lui prese il nome. Varcato il tunnel che da tempo ha sostituito l’antica strada, si giunge ad Amalfi, forse avamposto marittimo romano di Nuceria Alfaterna, situata oltre il massiccio dei monti Lattari. Se negli ultimi decenni la ricerca archeologica sta tentando di ricostruire la storia della cultura materiale d’età antica, presente

nel tessuto urbano (tanti sono i rocchi di colonne e le epigrafi), della città che dà il nome all’intera costa, bisogna ricordare che fu la prima Repubblica Marinara d’Italia. Sfaldato l’impero romano, è stata tra i primi centri ad aver intessuto nuovamente rapporti commerciali fra l’Europa occidentale e le coste orientali del Mediterraneo. Furono in tal modo ripresi quei traffici intensi che per millenni avevano fatto affluire nei maggiori porti italici dell’impero, spezie, aromi, sapori esotici e prodotti nuovi: il caffè ad esempio e la carta. Coniò una propria moneta: il tarì. Diede i natali all’inventore della bussola, Flavio Gioia. Furono in città, codificate talune leggi marittime, contenute nella Tabula de Amalfa, utilissime, a lungo, per gli uomini di mare. Nel 1112, a Gerusalemme, gli Amalfitani edificarono un famoso ospedale in cui fra’ Gerardo Sasso da Scala fondò l’ordine militare e religioso dei Cavalieri di San Giovanni, successivamente di Cipro, poi di

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In alto: Amalfi, il Chiostro del Paradiso. In basso: Amalfi, la scala che porta ai Cappuccini. Pagina successiva. Il Capo di Conca dei Marini.

Rodi ed infine di Malta nell’anno 1530. I Normanni le strapparono l’indipendenza ed in seguito gli Angioini seguiti dagli Aragonesi ne svilirono la potenza dei commerci, recuperata nel Ventesimo secolo quando è divenuta un rinomato centro balneare. Ad Amalfi non si respira unicamente la storia e l’arte. Il clima mite favorisce un turismo che nella stagione fredda ha pochissime se non rade battute d’arresto, grazie anche all’incomparabile bellezza dei suoi monumenti, quali il Duomo. Edificato nel IX secolo, al tempo in cui la Repubblica Marinara si affermava quale grande emporio commerciale, subì un rifacimento nel 1203, assumendo quelle linee stilistiche arabo-normanne, portate dai nuovi signori. Un ulteriore restyling lo ebbe verso il 1570. In seguito ad un crollo avvenuto a metà del XIX secolo, fu ricostruito di nuovo e, nel 1891 la scenografica scalinata fu risistemata come anche la facciata impreziosita da esili lamine auree. Quest’ultima è coronata dallo splendido mosaico con Cristo in trono tra gli Evangelisti. L’opera fu realizzata dal veneziano Salviati su cartone approntato da Domenico Morelli.

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Oltre il protiro impreziosito da monofore e trifore, il portale di bronzo, databile intorno al 1066, fuso a Costantinopoli, fu donato da Pantaleone Comite. Il campanile in stile romanico risale al 1276 ed ha la caratteristica di essere rivestito completamente di maioliche. Suggestivo è il Chiostro del Paradiso (1266), attiguo al Duomo. Evidenzia caratteristiche stilistiche arabeggianti; ha una ricca decorazione di archi intrecciati impostati su esili colonne binate. All’interno del piccolo chiostro hanno trovato posto reperti lapidei romani e medievali. Autentico gioiello architettonico è infine la cripta, edificata nel XIII secolo per ospitare le reliquie del santo patrono, Andrea, venute dalle terre d’Oriente in seguito alla Quarta Crociata. Addentrandoci nella Valle dei Mulini, un tempo operoso quartiere, si incontrano le vecchie cartiere, di cui qualcuna è ancora attiva delle 16 documentate alla fine del Settecento. Interessante è il Museo della Carta a mano di Amalfi, ubicato in un’antica cartiera e costituito da una ricca biblioteca dotata di oltre tremila volumi specialistici. Verosimilmente furono gli Amalfitani i primi in Europa a fabbrica-

re la carta, grazie ai frequenti ed intensi contatti commerciali con il mondo arabo da cui mutuarono le tecniche di fabbricazione mediante la macerazione dei vegetali. Lasciata alle spalle Amalfi, seguiamo le anse tortuose della strada che ci conduce a Conca dei Marini. Come altri paesi della costiera, le origini di Conca dei Marini risalgono all’epoca romana. La città divenne famosa per l’attività mercantile che la fece prosperare per molti secoli anche sotto il dominio degli Svevi e degli Angioini. La sua storia è strettamente legata a quella di Amalfi, con la quale condivise i momenti di gloria, durante l’epoca splendente della Repubblica, ma anche i periodi di declino, sottomissione e malattia. Oggi Conca dei Marini è un meraviglioso borgo marinaro che, grazie alle caratteristiche case dai tetti bianchi e dal mare color smeraldo, si sta man mano trasformando in una richiestissima meta turistica. Conca è anche un luogo esclusivo, ove in epoche non lontane si sono concentrate le ville dei maggiori vip della scena internazionale: le residenze esclusive degli Agnelli, dei Moet et Chandon, di Carlo

Ponti e Sofia Loren, dei Ruffo e dei D’Urso, ospiti dei quali furono artisti, scrittori, registi di grido che sono venuti a bagnarsi in questo mare cristallino, tra cui Jaquelin Kennedy o la Principessa d’Olanda. Famosa non solo per il paesaggio caratteristico, Conca dei Marini ha molti beni architettonici. Il Convento di Santa Rosa è una bellissima struttura risalente al 1539, donata dall’allora Arcivescovo di Amalfi al Comune di Conca dei Marmi che a sua volta, nel 1679, donò la costruzione a Suor Maria Pandolfo fondatrice di un Convento di Domenicane chiamate di Santa Rosa. Fu nelle cucine di questo convento che nacque la famosa sfogliatella Santa Rosa rinomata in tutto il mondo. Chiuso al pubblico, conserva comunque la sua imponenza. L’annessa chiesina di Santa Maria de lo Grado (XI secolo) è ormai bisognevole di restauri. La Chiesa di Sant’Antonio da Padova, dal campanile maiolicato, fu restaurata nel 1909. Nell’interno caratterizzato da absidi piatte e una volta a crociera, si possono ammirare un’acquasantiera in marmo e pavimenti in maiolica. Nella zona di Penne, invece, è situata la Chiesa di San Michele Arcangelo. La Chiesa di

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In alto: Conca dei Marini, il Convento di Santa Rosa. A destra: una scultura a Furore. Pagina successiva. Il fiordo di Furore.

San Pancrazio, poco lontano dalla statale, è immersa nel verde di un uliveto, immortalato da una poesia del poeta salernitano Alfonso Gatto. L’edificio sacro è costituito da tre navate e altrettante sono le absidi e le porte d’ingresso. Le navate laterali presentano una volta a crociera e tre cappelle con numerosi ex voto dei marinai riapprodati indenni dalle tempeste. Di recente è stata restaurata la facciata del campanile in seguito al crollo di quella originale. Dal belvedere si può ammirare un panorama unico sulla costa e sul mare. Infine sulla penisoletta della marina, Capo di Conca, è la Torre Costiera, detta Torre Bianca, voluta dal marchese di Villafranca ed edificata dal viceré di Napoli don Pedro de Toledo, intorno al 1563 per far fronte alle incursioni musulmane. È destinata ad ospitare il costituendo Museo del Mare e dell’Arte Marinara. In epoche passate, tuttavia, fu adibita a cimitero ed ospitava, addossate una all’altra, le salme dei Conchesi. A poca distanza dal paese è possibile visitare la Grotta dello Smeraldo. Fu scoperta per caso dal marinaio Luigi Buonocore nel

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1934 ed è raggiungibile sia dal mare che dalla terra. L’interno presenta una caratteristica quasi unica: racchiude in sé sia gli elementi di una grotta carsica che quelli di una grotta marina. Nel corso dei secoli la grotta fu invasa dal mare, cosicché sia le stalattiti che le stalagmiti sono immerse nell’acqua fino a notevole profondità. Un’apertura posta a circa 12 metri sott’acqua permette l’entrata dei raggi solari che ci regalano un incredibile colore smeraldo. Particolarmente interessante è il presepe subacqueo di ceramica di Vietri sul Mare. Si prosegue alla volta di Furore, il cui fiordo svela tutto il suo fascino se lo si raggiunge dal mare. È stato il torrente che scendendo per secoli a precipizio nel mare dall’altopiano di Agerola, ha scavato il costone nella montagna alle spalle di Praiano. La eccentrica conformazione fisica del paese ne fece un’imprendibile roccaforte durante le devastanti incursioni saracene. Gli abitanti a lungo sono stati dediti alle attività legate al mare nonché alla pastorizia, all’artigianato ed al commercio sfruttando, quale naturale approdo, il fiordo, reso famoso, in tempi più recenti, anche per le frequentazioni di personaggi del mondo del cinema; qui ebbero un casa anche Anna Magnani e Roberto Rossellini. Furono fiorenti cartiere e mulini grazie alla forza motrice delle acque del ruscello Schiato. Il toponimo deriva da Terra Furoris (terra del furore), in virtù forse della violenza dei flutti marini, durante le tempeste, contro la scogliera nel fiordo ricco di anfratti e gole dai nomi sinistri: Scoglio del Sangue, Pizzocorvo, Vottara, Punta Cam-

pana, Pedata, Malo Passo. A Furore si annoverano quattro edifici di culto. Il più antico è San Giacomo dell’XI secolo. In esso, in tempi recenti sono stati rinvenuti affreschi attribuiti a Roberto d’Oderisio, un pittore del XIV secolo, d’ambito giottesco, attivo anche nell’Agro Nocerino, ad esempio nel Battistero Paleocristiano di Santa Maria Maggiore. Vi è inoltre, la Chiesa di Sant’Elia Profeta, edificata intorno al XIV secolo e rinnovata verso la fine del 1400. Notevole è un trittico del 1482 dell’artista Angelo Antonello da Capua. Interessanti sono ancora le Chiese di San Michele e di Santa Maria della Pietà. Ma, autentiche peculiarità sono i Muri d’Autore. Ogni anno, Furore diviene il “paese dipinto”, dalle bizzarre policromie baciate dalla luce settembrina: gli artisti rinnovano l’appuntamento e raccontano le tradizioni e le cronache piccole e grandi del paese, attraverso le forme e le espressioni pittoriche e plastiche, in una sorta di grande e variopinto museo en plein air. Ridiscendendo la strada verso Positano, sulla dorsale che degrada dal monte Sant’Angelo a Tre Pizzi fino a Capo Sottile, si incontra Praiano. Al centro del paese vi è la Chiesa parrocchiale di San Luca Evangelista, il santo patrono della cittadina. Interessanti sono il busto d’argento realizzato nel 1694, la reliquia del santo e i dipinti attribuiti a Giovanni Bernardo Lama, un pittore attivo nel XVI secolo. Restaurato intorno al 1772, l’interno si presenta a tre navate, scandite da pilastri che sostengono archi a tutto sesto. Una volta a botte unghiata sovrasta la navata centrale, mentre le navate ai due lati sono sostenute


In questa pagina. Veduta di Praiano. Pagina successiva. In alto: panorama di Positano. In basso: una tipica stradina di Positano.

da volte a crociera. Notevole è il pulpito ligneo decorato dalle immagini dei Santi Pietro e Paolo. L’altare maggiore invece, è adornato da maioliche del XVIII secolo così come il pavimento su cui campeggiano motivi aviomorfi, fitomorfi, volute e, in un tondo, l’effige di San Luca intento a dipingere. Quasi a guardia del territorio del piccolo villaggio, svetta, a destra della chiesa, il campanile, scandito da tre piani di cui l’ultimo evidenzia monofore. Una breve galleria, lungo la strada statale, occulta alla vista la più bella cupola in maiolica dell’intera Costiera Amalfitana. Siamo a Vettica Maggiore: la chiesa è quella di San Gennaro risistemata nel 1602. Oltrepassate le pregevoli porte di bronzo i cui pannelli rievocano scene della vita del santo, all’interno, diviso da tre navate, accanto ad un’urna con reliquie sacre, sono collocati quadri di Giovanni Bernardo Lama e di Francesco Saverio Carvelli. Sul monte Trivio svettano in alto, il Convento e la Chiesa di Santa Maria de Castro costruiti intorno al 1599 dai frati Domenicani che solo recentemente sono stati restaurati. In posizione più bassa è la minuta Chiesa della Madonna di Costantinopoli. A circa 200 metri, il piano stradale nasconde al di sotto la Grotta della Porta. In essa,

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è possibile ammirare graffiti incisi sulle pareti, e gli utensili in selce databili al Paleolitico Superiore ed al Mesolitico. Da Praiano, si gode il panorama con sullo sfondo i tre isolotti dé li Galli: la Rotonda, il Gallo lungo e il Castelluccio, resi celebri dalle mitiche sirene che invano, nell’epos omerico, tentarono di incantare Ulisse. Agli inizi del Ventesimo secolo, il ballerino russo Leonid Massine vi giunse e se ne innamorò al punto da comprare l’intero arcipelago. Le Corbusier progettò per lui una dimora sui resti di una villa romana. Massine non riuscì a portare a termine il progetto iniziale che fu ultimato dal ballerinocoreografo Rudolf Nureyev negli anni Ottanta. Più in là, oltre l’orizzonte, si staglia nitida al tramonto lo “scoglio” di Capri. Dal mare, in barca, si possono ammirare robuste torri: quella di Praia, eretta per difendere l’abitato dalle incursioni saracene, l’ulteriore Torre Grado a Vettica, un tempo fortificazione d’epoca vicereale, oggi riattata in abitazione. La nostra escursione prosegue alla volta di Positano, l’autentica, l’unica, regale sirena di tutta la costa, il “nascondiglio ai margini della storia”, secondo le parole dello scrittore antifascista Stefan Andres che vi soggiornò a lungo. Non ci interessa indagare sulle ori-

gini del paese, nonostante tracce antropiche siano già presenti durante il Paleolitico, come documentato dai rinvenimenti nella Grotta della Porta, non lontana dal centro. Una grande villa marittima, forse di un ricco nucerinus, è emersa sotto la platea della chiesa parrocchiale quasi a ridosso della spiaggia. Databile al I secolo d.C., fu travolta dal collasso degli effluvi piroclastici dell’eruzione pliniana del 79 d.C., depositati sul massiccio che sovrasta il paese. Sono riemerse pareti affrescate con scene illusionistiche dalle accese cromìe. Se dell’epoca romana null’altro conosciamo, si può affermare però che già prima del X secolo, nel locus, è testimoniata la presenza di una badia benedettina dedicata a San Vito. Positano divenne un potente centro marinaro, al tempo della Repubblica Amalfitana. Rivale di Amalfi divenne ricca in virtù dei floridi commerci col mondo arabo. Tracce della contaminazione culturale sono ravvisabili in taluni elementi architettonici: ad esempio nelle finestre ad arco delle case coperte da grandi volte. Ma deve la fama internazionale al fascino dei suoi scorci, al dedalo delle interminabili scale e delle stradine che conducono tutte inesorabilmente alla spiaggia di Marina Grande. Qui approdarono nei primi decenni del

Novecento, i “prigionieri volontari di questo scenario mitologico”, come annota Siegfried Kracauer. Altri intellettuali della Scuola di Francoforte giunsero a Positano negli anni Venti: Theodor W. Adorno, Ernst Bloch, Alfred SohnRethel, Walter Benjamin. Già sul finire dell’Ottocento, Vincenzo Caprile e Antonio Mancini, prima ancora di Paul Klee, giunto nel 1902, vi sostarono per dipingere scorci e marine. Imponente si erge nella piccola piazza Flavio Gioia, contornata dalle caratteristiche case d’un bianco immacolato, la chiesa romanica del XIII secolo di Santa Maria Assunta, dalle maioliche gialle e blu della cupola. Si conservano il busto di San Vito, patrono cittadino e l’icona bizantina della Madonna Nera con il Bambino in grembo, sull’altare. Risalendo o scendendo, ci si imbatte nel palazzo voluto da Gioacchino Murat durante la reggenza napoletana. La “città verticale” ha folgorato generazioni d’artisti che l’hanno scelta quale patria elettiva: il poeta svizzero Gilbert Clavel, ospite nel 1909, acquistò la torre quadrata di Furnillo e chiese al futurista Fortunato Depero di arredarla. Il paese è ancora come allora, connotato dall’apparente confusione degli archi, delle case e dei vicoli.


In questa pagina. Panorama di Positano. Pagina successiva. In alto: la costa presso Minori. In basso: panorama da Maiori.

John Steinbeck scrisse: “quando vi capita di scoprirla, l’impulso è di tenerla segreta, solo per voi...”. Ed è talmente nascosta alla visuale che è possibile vederla, solo quando si è giunti dal mare o percorrendo la strada. Per tornare indietro, verso Amalfi, sceglieremo stavolta una comoda imbarcazione e recupereremo le ulteriori tappe del nostro viaggio a ritroso, verso levante. Superata Atrani, in località Castiglione sorge un’antica torre; nel secolo scorso fu proprietà di Eduardo Scarfoglio, il fondatore del giornale Il Mattino, che, per essere la costruzione spaccata quasi a metà, la chiamò “‘o Carusiello” (il salvadanaio). Percorsi pochi chilometri, una tappa nuova è a Minori, ameno luogo scelto dai ricchi romani dell’Ager Nucerinus per impiantarvi, su ampi terrazzamenti, nel corso del I secolo d.C., una patrizia villa marittima, scoperta nel 1932. Al centro del viridarium, vi è una vasca su cui si affaccia il triclinioninfeo dal bellissimo pavimento

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musivo con scene venatorie e tiasos marino. Minori nell’anno 987 era sede vescovile, in quanto già erano custodite entro un’urna d’alabastro, le reliquie di Santa Trofimena. Nel XIII secolo, ebbe l’appellativo di Civitas. Tra i monumenti più interessanti la chiesa dedicata alla patrona della città, dove è possibile ammirare la grande pala d’altare con la Crocifissione del senese Marco Pino. Doppiata un’altura, si raggiunge Maiori, Reginna Major in antico, per differenziarla dalla contigua Minori, Reginna Minor. Tralasciando le leggendarie origini, Maiori fu un importante emporio commerciale della Repubblica Amalfitana. Già nell’anno 839, fu sede dell’Ammiragliato, della Dogana, dell’Arsenale e del Fondaco del sale. Fu dominata dai Normanni e, nel 1135, distrutta come del resto tutti i centri della costa dai Pisani. Nel 1306, fu donata da Carlo D’Angiò alla moglie Maria. Sotto Alfonso II d’Aragona lo stato amalfitano

passò ai Piccolomini, che vendettero il feudo per debiti contratti. I viceré spagnoli approntarono lungo le coste un sistema difensivo fortificato che tuttavia, nel 1558, non impedì al pirata Barbarossa di saccheggiare i centri costieri deportando molti abitanti. La tradizione vuole che durante la cattività, alcuni abitanti di Maiori, devoti alla Madonna, riuscirono a fuggire. Giunti in patria edificarono l’edicola nota come Santa Maria delle Catene. Molto interessante è la Collegiata di Santa Maria a Mare edificata sul monte Torina, sui ruderi della Rocca di Sant’Angelo distrutta dai Pisani nel 1137. La basilica ospita la statua lignea policroma della Vergine che, secondo la leggenda, fu recuperata dal mare, nel 1204 in una balla di cotone. Ogni anno, il 15 agosto, viene portata in processione dai pescatori che riportano la statua in chiesa correndo su per la Scala Santa a simboleggiare la Celeste Assunzione. La navata centrale della chiesa ha un bellissimo soffitto a cassettoni dorati

del 1529. Nella cripta che ospita il Museo della Collegiata si conservano un prezioso paliotto tardo gotico d’alabastro, la cassetta della bottega degli Embriachi del XVI secolo, antichi codici miniati. Una visita merita la rocca che sovrasta il paese sulla collina del Ponticchio, eretta nel IX secolo. Nel Quattrocento, il castello fu ridisegnato secondo una pianta poligonale. Sono ancora visibili le mura e l’interno con i casolari, i magazzini, le cisterne e la chiesa in onore di San Nicola che dà il nome al castello. Il Santuario dell’Avvocata sul monte Falerzio invece, sorge sui resti di un’antica chiesa e su una cappella entro una grotta. Nel 1663 i frati Camaldolesi presero dimora fino al 1807. Successivamente il cenobio fu utilizzato quale avamposto militare. Distrutto nel 1848 da un incendio, nel 1892 fu ripristinato l’altare nella grotta recuperando il luogo al culto. Lungo la strada costiera, poco prima di Capo d’Orso, in un’imponente grotta naturale, fu

impiantato il complesso monastico di Santa Maria de’ Olearia, già documentato nel 973. Oggi la struttura evidenzia tre cappelle sovrapposte. La più antica è posta al livello inferiore, ricavata nella roccia; ha le pareti affrescate con

immagini della Madonna, San Paolo e San Giorgio. L’ambiente successivo, a due navate diviso da una colonna centrale, evidenzia cicli pittorici dell’XI secolo. L’ultima cappella, collegata alle altre da piccole scale, è affrescata

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In alto: Maiori, Museo della Collegiata, paliotto in alabastro, part. Al centro e in basso: Santa Maria de’ Olearia.

con episodi della vita di San Nicola. Una peculiarità comune a tanti monumenti antichi è costituita dalle firme vergate sulle pareti dai numerosi pellegrini che hanno visitato il pio luogo nel corso dei secoli. Alcune incise in greco, recano la data del 1475, testimoniando così i rapporti mai interrotti tra Amalfi ed il mondo greco orientale. Nella parte estrema occidentale del paese che ha la spiaggia più ampia di tutta la costiera amalfitana, nel 1405 furono costruiti la Chiesa ed il Convento di San Francesco, sui ruderi dell’antica Cappella della Madonna del Soccorso. Tra le opere d’arte presenti si segnalano un coro ligneo, dipinti attribuiti alla scuola di Andrea Sabatini, la statua cinquecentesca della Madonna del Soccorso opera del Laurana, ed infine una statua di San Francesco sempre del XVI secolo. Interessante è il Castello di Miramare, edificato nell’Ottocento dal marchese Mezzacapo. Oggi finalmente in restauro, evidenzia sulla facciata tre torrette cilindriche. Alla medesima famiglia appartenne anche l’attuale Palazzo di Città del XIX secolo in cui risaltano specchi e stucchi dorati. Deliziosi sono i giardini interni dalla curiosa forma a croce di Malta, contornati da vialetti di roseti e vasche interrate ed alimentate da una diramazione del Reginna. Singolari, del paesaggio costiero di Maiori, sono le torri tra cui quella dell’Annunziata, detta Torricella, tra Maiori e Minori, costruita nel 1563 ed annessa al Castello Miramare durante l’Ottocento. Sul versante opposto svetta la Torre dell’Angolo, detta anche “Torre delle Formicole”, più nota come Torre Normanna, in cui sono collocati tuttora due cannoni in bronzo con lo stemma della città. A Capo d’Orso sono ancora i resti di una torretta circolare, oltre quelli della Torre del Tumulo, dove furono seppelliti i corpi di mille soldati caduti durante la battaglia di Capo d’Orso del 1528. Un’altra interessante chiesa di Maiori è San Nicola de’ Cicerali, a pianta quadrata con volte a vela, eretta nel 1362 quale cappella gentilizia della famiglia Franconio, successivamente acquisita dai Citarella che costruirono il palazzo adiacente. Ricca di suggestione e di fascino è la Grotta dell’Annunziata venuta alla luce, in seguito ad un violento terremoto del XII secolo che produsse

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una fenditura nella roccia restituendo così questa stupenda grotta. Attraversandola, è possibile raggiungere un laghetto d’acqua dolce. Ancora a ritroso, oltre Capo d’Orso si incontra il minuscolo paese di Erchie originato probabilmente dall’Abbazia benedettina di Santa Maria de Erchi, fondata nell’anno 980 ed attiva fino al 1451. Un’antica torre d’avvistamento divide la linea di costa in due ampie spiagge da cui si scorge il declivio della montagna ricoperto da agrumeti e vigneti. Subito dopo Erchie, la strada per Vietri sul Mare degrada e taglia in due il borgo di Cetara. Il toponimo di chiara derivazione latina, Cetaria, tonnara, ne tradisce la grande vocazione marinara. A ridosso della costa si staglia la Torre Vicereale innalzata nel XVI secolo, per l’avvistamento di incursori. nell'’879, occupata dai Saraceni, divenne un avamposto per le razzie nel golfo di Salerno. Costituì l’estremo possedimento ad oriente della Repubblica d’Amalfi per contrastare eventuali sbarchi nemici. Successivamente divenne lo scalo marittimo dell’Abbazia di Cava de’ Tirreni almeno fino al 1833. La più importante chiesa di Cetara è San Pietro, di stile romanico, dall’elegante campanile del XIII secolo e

dalla cupola maiolicata. Ricostruita nel Settecento, custodisce pregevoli opere d’arte e la tomba di Grandonetto Ausilio, il cetarese che condusse in salvo il principe Federico, secondogenito del re Ferdinando I d’Aragona, nel 1485, al tempo della congiura dei baroni. La Chiesa, con l’annesso Convento di San Francesco, fu costruita nel

1585. È a semplice navata con cappelle laterali. Vi è effigiata suor Orsola Benincasa, originaria di Cetara, che, secondo un racconto leggendario, preservò il paese da un assalto dei Turchi grazie ad una provvidenziale tempesta che disperse le navi degli incursori. Prima di Vietri sul Mare, la strada s’inerpica su, verso la frazione di Raito. Da ogni angolazione si guardi

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In alto: Capo d’Orso. In basso: la Torre di Erchie.


In questa pagina. In alto: veduta di Cetara. In basso: Cetara, la cupola della Chiesa di San Pietro. Pagina successiva. In alto: una tipica strada di Vietri sul Mare. In basso: panorama di Vietri sul Mare.

s’impone Villa Guariglia, dal nome dell’ultimo proprietario Raffaele Guariglia, Ministro degli Esteri del Governo Badoglio. La sontuosa dimora divenne, dall’agosto del 1944 all’aprile del 1945, residenza del re d’Italia Vittorio Emanuele III e fu scelta quale sede della Commissione Alleata di Controllo Nazionale, subito dopo lo sbarco degli Alleati. Oggi, passata alla Provincia di Salerno per lascito testamentario, ospita il Museo della Ceramica ed il grande parco accoglie, nelle calde sere estive, orchestre internazionali. In alcune delle 36 stanze hanno trovato degna collocazione i quattromila volumi della biblioteca e i tre settori in cui si articola il prezioso Museo della Ceramica che raccoglie policrome terrecotte devozionali, oggetti di cultura materiale, brocche, piatti, zuppiere, vassoi, “riggiole” e nell’ultima sezione, sono mostrate opere del “periodo tedesco”. Già, perché a Raito ed a Vietri, negli anni Venti si stabilirono artisti d’ambito nordico: Irene Kowaliska, Richard Dölker, Thewalt Hannasch. Un’ulteriore sezione è dedicata alla produzione dell’artista vietrese Guido Gambone. Ma da Raito, si giunge ad altre piccole frazioni, incastonate tra i boschi cedui dei monti che costituiscono i primi massicci della celeberrima

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penisola: Albori, Benincasa, Dragonea cui faceva capo l’Alta Via dei monti Lattari che conduceva un tempo al Valico di Chiunzi. Il punto d’inizio o la meta finale è Vietri sul Mare. Il nome deriva da Veteri, luogo, città antica, tradisce origini preromane: il rinvenimento di deposizioni funerarie con relativi corredi, conferma che vi fosse uno stanziamento etrusco e poi greco, tra il VII ed il IV secolo a.C. Se si trattasse o meno della Marcina cui accenna Strabone, è una vexata questio che gli archeologi non hanno ancora chiarito in maniera esaustiva. Vero è che a Marina, il rinvenimento fortuito di un ambiente termale, in località Bagnara, ha confermato la vocazione commerciale dello scalo marittimo in età romana, forse legato alla grande Nuceria Alfaterna, situata all’interno a poca distanza. La struttura termale databile tra il I secolo a.C. ed il I d.C. evidenzia un piccolo vano circolare absidato originariamente con funzione di laconicum ed in seguito trasformato in frigidarium, dotato di vasca ad immersione. Al momento del rinvenimento, la terma era stata utilizzata come faenzera ovvero una piccola fornace per la lavorazione della ceramica. Caratterizzato appunto, da svariate e variopinte faenzere, il


centro storico ruota intorno alla cupola dagli embrici blu e gialli della Chiesa di San Giovanni Battista il cui nucleo originario risale al X secolo. Ha subito notevoli ricostruzioni, a partire dalla II metà del XVII secolo fino alla sistemazione conclusiva nel 1732. È ad unica navata con transetto; all’interno si conserva uno splendido polittico rinascimentale con la Natività della Vergine. Uno degli edifici più caratteristici del paesaggio vietrese, è senz’altro oggi, la fabbrica di ceramica realizzata nel 1954, dall’architetto Paolo Soleri. Il profilo ondulato della facciata, connotata da tubuli colorati e l’interno dalla forma elicoidale costituiscono un’insolita quinta architettonica che chiude, addossandosi alla roccia, la prospiciente piazza Matteotti, prima che l’orizzonti si allarghi verso l’ampio golfo di Salerno, protagonista nel settembre del ‘43 di un episodio decisivo del secondo conflitto bellico. All’indomani della firma dell’armistizio, l’8 settembre, quattro divisioni americane sbarcarono sul grande litorale salernitano, tra le spiagge di Battipaglia e di Paestum, dando seguito all’operazione “Avalanche”. Quel tratto di mare, millenni prima, era stato l’approdo di tanti coloni greci fuoriusciti dalle madrepatrie e fondatori di Poseidonia e Velia, in seguito mal difeso scalo per le scorrerie saracene. Dopo il tracollo economico dell’Impero Romano, fu per secoli infestato dalle paludi malsane fino a quando qualche decennio prima dello sbarco, era ricominciata l’opera radicale di bonifica di quelle terre. “S.A.R. il principe di Piemonte / qui acclamato / addì 5 maggio 1932 X / vide / nella rigogliosa fecondità di queste terre / rifiorire / presagi e promesse di grandezza e potenza / per l’Italia / che restituiva nel nome dei Savoia del genio del Duce / ritempra nella pia bontà del lavoro / dei campi energie e propositi di fede / per ogni ardua conquista per

le più degne vittorie per tutte le meritate fortune. / I fratelli Pastore al sacro ricordo / del padre loro antesignano di bonifica redentrice, avviando per l’augusto / visitatore l’omaggio vollero che in / un segno duraturo rifulgesse per lui / Nei campi fedele...”. È questa l’epigrafe vergata su una lastra marmorea, posta in alto sulla facciata anteriore della torre, nella tenuta di Porta di Ferro che ricordando l’augusta visita del delfino di Casa

Grand Tour. Dal Secolo dei Lumi infatti, durante la stagione della grande epopea dei siti vesuviani si erano spinti sempre più a Sud, per godere della possenza litica delle colonne doriche dei maggiori templi pestani. Nell’ampia piana del Sele, già sul finire dell’Ottocento era iniziata una prima opera di bonifica e di drenaggio delle acque ristagnanti che in seguito, durante il Ventennio Fascista, ebbe un im-

Savoia, nei primi anni Trenta (1932), testimonia la bonifica totale degli impaludati e malsani terreni. Siamo nella immensa distesa, a perdita d’occhio, della piana di Paestum, laddove avevano allignato acquitrini ristagnanti, generando la temibile malaria, vero flagello in tanta parte d’Italia. Fin dalle epoche in cui la civitas romana era stata abbandonata e gli abitanti, discendenti dei Greci d’Occidente della gloriosa Poseidonia, si erano inurbati a Capaccio, in quelle lande desolate nessuno si era avventurato. Piuttosto, forse avevano osato solo i più temerari ed ostinati viaggiatori del

pulso faraonico ed una pianificazione massiccia, come anche più a Nord, nell’Agro Pontino. La masseria di Porta di Ferro, come le numerose altre tenute con tutto il loro cospicuo patrimonio terriero, non hanno perso tuttavia il fascino di sterminate oasi di quiete e di pace, pur nel caotico paesaggio dei grandi agglomerati che si susseguono, lungo il litorale caratterizzato da una fitta fascia pinetale, un tempo intatta oasi per molte specie di uccelli. Lasciata alle spalle Salerno e la costa pestana, il nostro sguardo si rivolge a Sud, verso le frastagliate coste del Cilento.

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Pagina precedente. Veduta di Salerno con l’omonimo golfo. In questa pagina. In alto, a sinistra: veduta del litorale pestano. A destra: accampamento militare presso i templi di Paestum dopo lo sbarco alleato. Sotto: Antonio Smink Pitloo, Campagna di Paestum.


In questa pagina. Veduta di Agropoli dal mare. Pagina successiva. Agropoli, la porta di accesso al centro storico.

Affacciarsi sull’ultimo tratto di costa della Campania è come attraversare le porte del tempo. Le spiagge, ora profonde, pietrose e candide, ora di sabbia sottile e dorata, le coste scure e frastagliate, l’entroterra con il verde della macchia mediterranea, aprono al turista, al viaggiatore di passaggio, uno squarcio su una parte del territorio campano in gran parte scevro da invadenti modernità. Tutto conserva la semplicità della vita di anni ormai lontani. I caseggiati solo in alcuni casi si affacciano sul mare, si riflettono con discrezione su piccoli porticcioli ancora in uso. Molto spesso, quello che si è sviluppato vicino al mare è il borgo dei pescatori, mentre il paese è arroccato, a poche decine di metri d’altezza, sul crinale di un monte o su un costone impervio. La miscellanea di colori, odori e suoni che ne viene fuori scava prepotentemente un posto nell’animo di chi,

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anche solo per caso, si affaccia in questo angolo di Campania, e lo costringe ad un ritorno. Nella sua immobilità, nel tempo che scorre quasi in una maniera diversa, la costa cilentana si fa scoprire un poco alla volta e ogni volta per un aspetto diverso. Una passeggiata lungo queste coste impone uno sguardo al passato, una ripassata della storia più antica (ma non solo), una rivisitazione di narrazioni mitologiche straordinariamente evocative di questi luoghi. Per assaporare al meglio la prorompente bellezza di queste coste l’ideale è fare una lunga passeggiata in barca da Agropoli fino a Sapri e viceversa, magari puntando sulle spiaggette nascoste e incontaminate, disseminate lungo questo meraviglioso tratto di costa campana. E così, abbandonata la terraferma, il primo quadro che si ammira è bello da mozzare il fiato. Non si può descrivere o fotografa-

re sempre alla stessa maniera: è una realtà ricca di sfaccettature, come le sue coste di anfratti, promontori e grotte. Da terra, l’aspettativa del viaggiatore che vuole scoprire questo angolo di Campania non resta certo delusa: ogni comune e frazione è un piccolo scrigno di arte e cultura con le discrete chiese, le torri, le ville nascoste nei borghi e i monumenti della storia più recente della nostra Italia. Lungo poco meno di cento chilometri, infatti, il profilo marino racconta la storia e l’amore per il mare e la terra, elementi inscindibili dalla vita e dalla rinvigorita economia locale. Un esempio lampante è rappresentato dalla cittadina di Agropoli, ricca di infrastrutture moderne, accattivante per il turismo, soprattutto locale, facile da raggiungere via mare, ma anche via terra grazie a efficienti collegamenti stradali e ferroviari.

È un ottimo punto di partenza per un tour tra arte, ambiente e mare. Tanta modernità, ma anche tanta storia antica e promozione delle tradizioni. Oltre alle spiagge e ai numerosi punti di ritrovo, Agropoli sa ammaliare anche semplicemente con una passeggiata nelle viuzze e su per le scalinate del cuore antico della città, cui si accede attraverso un intatto portale del Seicento. Le prime tracce di insediamenti umani sul territorio, risalgono al Neolitico. Furono i Bizantini, nel V secolo d.C., a dare alla città il nome di Acropolis, “città posta in alto”. Particolarmente accattivanti, nel centro storico cittadino, due importanti monumenti religiosi: la Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, protettrice dei pescatori, realizzata nel XVII secolo, e quella dedicata ai Santi Pescatori, Pietro e Paolo, coeva della precedente. Dalla prima, il 24 luglio di ogni

anno, parte la caratteristica processione della Vergine verso il mare, che si ripete dal 1689. Fuori dalle mura della città fortificata, dominata dal Castello AngioinoAragonese dalla pianta triangolare, trova il posto la torre di avvistamento, perfettamente conservata. Al suo fianco, i resti del convento francescano al quale, recentemente, si è aggiunta la chiesa dedicata al Santo di Assisi. La leggenda vuole che il monastero sia sorto, nel lontano 1230, proprio nel luogo in cui Francesco parlò ai pesci. Non si può lasciare Agropoli senza aver fatto visita al prezioso Antiquarium comunale, dove sono raccolte le testimonianze archeologiche dalla preistoria all’età medievale. Il turismo, da questi luoghi e fino a Sapri, non conosce invasioni. Solo le lunghe spiagge di Santa Maria e San Marco, frazioni marittime del comune di Santa Maria

di Castellabate, sembrano in piena estate sopportare appena le sdraio e le orme di bagnanti che si contano numerosi. Il borgo di Castellabate, a 278 metri sul livello del mare, nacque attorno al Castello dell’Abate, da cui prese il nome, a partire dal 1123. A volere la costruzione del castello fu l’abate San Costabile Gentilcore (ora santo patrono della cittadina), della Badia di Cava de’ Tirreni, preoccupato delle sorti delle popolazioni disseminate lungo le coste perché minacciate dalle incursioni barbariche. Castellabate divenne, così, il feudo più ricco e potente del Cilento, nei secoli a cavallo tra l’XI e il XV. L’attuale centro storico è fedele alla pianta della tipica cittadina medievale, nonostante possa vantare la presenza di alcune dimore gentilizie, risalenti al XVII secolo. Si tratta dei palazzi Perrotta e Iaquinto che meritano di essere visitati per le numerosis-

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In alto: veduta di Santa Maria di Castellabate. In basso: la Torre Pagliarolo.

sime opere d’arte custodite. Risale al XII secolo, invece, la Chiesa di Santa Maria de Giulia, elevata a rango di Basilica Pontificia nel 1988. Al suo interno è possibile ammirare un’opera importante per la conoscenza dell’arte pittorica del Quattrocento cilentano: uno splendido polittico di Pavanino da Palermo. Si segnala inoltre la Chiesa della Pietà, costruita nel XIV secolo. Ma torniamo lungo la costa, alle due marine del piccolo borgo. Immediatamente dopo Agropoli, infatti, si incontra prima Santa Maria, che colpisce per la bellezza e l’imponenza della spiaggia di località Lago. Offre ai suoi visitatori la Torre Pagliarolo, il palazzo del principe Angelo Granito di Belmonte e Villa Matarazzo. Da non perdere, scrutando la costa dalla baia, la cava di rocchi di colonne, quasi sicuramente di epoca romana, visibili sulla battigia di Santa Maria e tutelata dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno. Da mettere in conto anche una visita al porticciolo “lu Travirsu”, oggi detto Porto delle Gatte, e una passeggiata sul lungomare dominato dalla duecentesca Torre Perrotta, il cui stemma si ritrova nel coevo Palazzo Perrotta, edificio storico cittadino. Lungo il tratto di mare

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che costeggia la frazione di Castellabate è stata collocata una affascinante Madonna degli Abissi. Ma non si può non visitare l’Antiquarium, che raccoglie i reperti rinvenuti in un relitto risalente al I secolo dell’era cristiana. Viene dopo nel nostro itinerario tra mare e terra, San Marco, la seconda e più antica frazione di Castellabate. Lo dimostrano i numerosissimi reperti archeologici ritrovati qui, ma custoditi nel Museo Archeologico di Paestum. Di grande interesse scientifico e polo di attrazione per sub di tutto il mondo, il Parco Marino di Castellabate con le sue pianure sommerse ricoperte di posidonie e anemoni di mare, regno incontrastato e protetto di una ricca fauna acquatica. Dal mare, appena superate le prime scogliere prossime al porticciolo, proseguendo verso sud-est, ci si avvicina poco per volta all’incantevole Punta Licosa. Il piccolo capo, con l’omonima isola, deve il nome, di chiara etimologia greca, al bianco delle scogliere e dei ciottoli che ancora oggi custodiscono l’antica leggenda della sirena Leucosìa. Solo chi arriva via mare, fermato il proprio natante a debita distanza, può posare i propri passi sulle tondeggianti rive dell’i-

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In alto: la spiaggia di Santa Maria di Castellabate. Al centro: l’Antiquarium. In basso: fondale del Parco Marino.


sola. Volgendo lo sguardo al mare con la giusta esposizione solare o tuffandosi muniti di occhiali da sub, è possibile scorgere antichissimi resti, sommersi da pochi centimetri d’acqua. La scoperta più importante è probabilmente quella fatta da due sub nel 1988: una nave oneraria, travolta da chissà quale tempesta, ma mai intaccata dalle reti dei pescatori o dalla cupidigia dei predatori del mare. Data la scarsa profondità a cui si trova il relitto, senza spostarlo ne è stato possibile uno studio. Si tratta di un natante lungo circa 20 metri, colato a picco con la prua rivolta a Palinuro, senza perdere il

esemplare di lucertola azzurra, detta anche di Licosa, il piccolo rettile che ha trovato, difeso tutt’intorno dall’acqua, l’ultimo rifugio lontano dall’uomo. Ma non è tutto qui. Già gli antichi amanti del suggestivo isolotto, da Aristotele, Strabone e Plinio, sostenevano che fosse proprio Licosa l’ambientazione di alcuni canti omerici. Ai giorni nostri, una conferma potrebbe venire dal fatto che, ad una modesta profondità, nei pressi dell’isolotto sono visibili resti di mura ancora intonacate, complessi di abitazioni e spazi lastricati. A stretto contatto con la natura,

la costa d’Amalfi sulla linea dell’orizzonte. Da qui e fino a Capo Palinuro è veramente facile ritrovarsi da soli con il mare, il sole, il vento, fiancheggiando i lunghi tratti di scogliere che separano le spiagge e gli approdi. Così si giunge nell’insenatura di Ogliastro Marina, con la caratteristica spiaggia di alghe, e poi, Casa del Conte, dove un bell’arenile accoglie gli ospiti dei non numerosi alberghi che si alternano alla pineta e i villeggianti che soggiornano nelle tante casette, sparse soprattutto a qualche centinaio di metri dal mare. Entriamo nel territorio di Montecorice, antico

suo carico. Le anfore che trasportava sono databili intorno al I secolo a.C., ma non è questo il solo tesoro dell’antichità che Castellabate custodisce, sotto l’egida del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno. In attesa del Museo del Mare Antico Permanente, i reperti archeologici di cultura materiale, rinvenuti tra Santa Maria e San Marco di Castellabate sono custoditi nell’Antiquarium “Luca Cianfarani”, intitolato ad un giovanissimo archeologo subacqueo, prematuramente scomparso. Cercando tra i radi cespugli e i piccoli nascondigli offerti dalle pietre, ci si può imbattere in qualche

alla ricerca delle prelibatezze della cucina locale o in visita ai musei e ai siti archeologici della zona, il turista ha la possibilità di coniugare relax e cultura, in un ambiente incontaminato, a misura d’uomo. Impareggiabile esempio di connubio tra cultura, tradizioni e rispetto del territorio, il Cilento è lo specchio fedele dell’attaccamento alle proprie radici della gente che da generazioni ci vive, è il caso di dire, nonostante la modernità. Doppiata Punta Licosa, dirigiamo idealmente la prua della nostra barca verso est. Da questo momento si perde anche quell’ultimo contatto visivo col golfo di Salerno che nelle giornate più terse permette di distinguere a nord-ovest

borgo, che affonda le radici in epoca longobarda, e che sovrasta la costa adagiato a 240 metri di altezza. Nel centro di Montecorice meritano una visita la Chiesa di San Biagio, risalente al XVI secolo e il mulino a vento, unico nel suo genere in quasi tutto il Cilento, affiancato dalla caratteristica fontana di Sant’Angelo e dalla cappella dedicata alla Madonna delle Grazie. Oltre alle frazioni marine, Montecorice si divide in quattro frazioni interne, Casentini, Fornelli, Ortofonico e Zoppi. La più famosa delle frazioni marine è Agnone, le cui più antiche notizie documentate risalgono ai primi anni del Seicento. I pini d’Aleppo, col loro verde scuro, fan-

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Pagina precedente. La costa presso Punta Licosa. In questa pagina. Veduta di Ogliastro.


In questa pagina. Vedute di Agnone. Pagina successiva. In alto: il porto di Acciaroli. In basso: panorama di Pollica.

no da sfondo ad ogni scorcio di paesaggio. La Chiesa della Madonna del Carmine e le case gentilizie attirano lo sguardo appena dietro il nuovo lungomare. La realizzazione del porticciolo ha dato impulso al turismo della piccola nautica da diporto; le imbarcazioni dei villeggianti si alternano a gozzi da pesca, gusci di legno di chi da generazioni continua a trarre dal mare una modesta ricchezza, sfruttando la preziosa conoscenza delle tante “secche” che punteggiano questo tratto d’azzurro. L’occhio più attento può scorgere i resti della Torre di San Nicola, laddove la vicinanza alle nuove abitazioni ne rende più difficile la ricerca. Proseguendo verso sud si nota dal basso, la statale 267 che, seguendo il profilo della costa, si srotola in alto verso

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Mezzatorre, sbocco al mare del comune di San Mauro Cilento. La sabbia è finissima e il mare seducente, ma per arrivare a San Mauro bisogna inerpicarsi a 480 metri dal livello del mare, nell’entroterra. Piccolo gioiello medievale, la cittadina deve il nome al santo venerato nel monastero benedettino che qui si trova. Da non perdere, prima di tornare al mare, la chiesa parrocchiale, risalente al XII secolo, la Cappella dello Spirito Santo, del Quattrocento, la Cappella del Carmine e la mostra permanente della Civiltà Rurale. Tornando sul litorale, dopo Mezzatorre ci si imbatte in Acciaroli. Frazione costiera del comune di Pollica, il paese deve l’importanza nei secoli alla sede della Dogana, soppressa solo nell’Ottocento. La Chiesa dell’An-

nunziata, sorta nel corso del 1100, rimaneggiata più volte fino ai giorni nostri e i resti del rinascimentale convento francescano meritano una visita. Da notare è la bella composizione di maioliche presente sul timpano che raffigura il momento dell’Annunciazione e la torre campanaria sul portone d’ingresso. A caratterizzare da sempre il panorama resta anche la torre normanna, che già Federico II considerava irrinunciabile per l’efficienza del sistema difensivo della costa. Dall’alto dei merli, lo sguardo delle sentinelle si spingeva fino all’orizzonte. La minaccia delle scorrerie saracene rendeva necessario, ad ogni avvistamento nemico, l’attivazione di un sistema di segnalazioni visive che faceva correre la notizia del pericolo, veloce lungo la costa e verso l’interno.

Anche gli Spagnoli, continuarono a sfruttare questo prezioso punto d’osservazione insieme all’altra torre presente nelle vicinanze di Acciaroli, detta del “Caleo” ed edificata intorno al 1520. Insieme alla seconda frazione del comune di Pollica, Pioppi, Acciaroli è insignita, anno dopo anno, della bandiera blu per la purezza delle sue acque. Può contare inoltre su un porticciolo della capienza di 300 posti a Sud-Est della marina. Il turismo in questo angolo di paradiso ha incantato anche lo scrittore americano Ernest Hemingway che tra Pioppi ed Acciaroli ha ambientato “Il vecchio e il mare”. Prima di arrivare a Pioppi, su una collina ad appena 420 metri sul livello del mare, si adagia Pollica, piccolo comune che, stando alle ricostruzioni storiche, avrebbe ad-

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Pioppi, Castello Vinciprova e una sala del Museo del Mare.

dirittura origini greche. Da visitare la Chiesa di San Nicola del XVI secolo, il convento francescano del Quattrocento, il Palazzo principesco che risale al 1290 e l’interessante Chiesa di San Pietro. Altrettanto belle e limpide le acque dell’altra frazione di Pollica, Pioppi, resa ancora più caratteristica dalla presenza del Castello Vinciprova, risalente al XVII secolo.

attrezzato porticciolo turistico. Un antico monastero, datato intorno al X secolo, è stato nel tempo il punto di riferimento per gli insediamenti della zona. Tutta l’area, dall’entroterra fino alla lunga spiaggia dorata, è dominata dalle due cime del Monte Stella e del Monte Sacro, ognuna delle quali supera i 1100 metri di altezza. I riferimenti storici sono relativi

Da non perdere una visita al ricco Museo del Mare, in attesa del completamento del porto che dovrebbe arrivare ad ospitare 400 natanti. Dopo Pioppi e prima di arrivare alla foce dell’Alento, troviamo la Marina di Casal Velino. Tutto l’abitato si sviluppa lungo il basso corso del fiume. Anche questa località è meta di turismo balneare, incentivato dal piccolo ma

alla Cappella di San Matteo ad Duoflumina, laddove una facile etimologia riporta il nome del luogo alla vicinanza con due corsi d’acqua. Antichi documenti testimoniano come gran parte del territorio, fin dal Medioevo, sia stato di proprietà della Badia di Cava de’ Tirreni. In questo tratto di costa cilentana la bellezza dei luoghi si fonde ancora di più col fascino della sto-

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ria antica. Tra la stessa foce dell’Alento e l’arenile dell’attuale Marina di Ascea, i coloni Focesi, in fuga dall’espansione persiana, fondarono verso la metà del VI secolo a.C. l’antica Elea. La città fu tra i più fiorenti centri della Magna Grecia e patria dei filosofi Parmenide e Zenone, i maestri della Scuola Eleatica. Sfruttando le proprie capacità politiche e di ottimi navigatori, i fondatori di Elea e i loro discendenti furono abili commercianti, dando della città un’immagine degna della sua fama. A quel tempo l’aspetto del luogo era assai diverso dai giorni nostri. Due isolotti facevano da baluardo naturale ad un ampio porto fluviale, ottimo riparo per la flotta. Ogni giorno navi cariche di merci preziose attraccavano, mentre altre salpavano per destinazioni che allora dovevano sembrare ancora più lontane. Una imponente acropoli, col suo tempio dedicato ad Athena, la dea cara ai Focesi in esilio, si innalzava su ampi terrazzamenti che degradavano verso il porto. Tutto questo fu in gran parte sconvolto da una prima terribile alluvione che, nel corso del II secolo a.C., insabbiò l’ingresso del porto e congiunse le due piccole isole alla costa. Un secondo cataclisma, nel IV secolo d.C., quando la città era diventata da tempo municipio romano mutando il suo nome in Velia, vi riversò enormi quantità di materiale alluvionale. Iniziò così bruscamente il declino del luogo, che nei secoli successivi fu soppiantato dal nuovo e non lontano insediamento urbano. Una torre normanna ancora ben conservata, edificata proprio sul basamento del tempio di Athena, restò a vegliare le rovine, in gran parte sepolte. Da oltre un secolo e mezzo i lavori di scavo stanno restituendo al mondo quella gemma del passato. Incastonati nella splendida cornice del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, i ruderi della città sono un raro esempio della storia, dell’urbanistica, della ricchezza di spirito di quegli antichi greci che scelsero le coste meridionali dell’Italia per continuare ad espandersi e ad esportare la propria cultura. Nella parte più alta, in un ideale percorso che partiva dall’acropoli e proseguiva lungo il crinale, sono ancora visibili le tracce di altri tre luoghi sacri, uno dei quali dedicato a Poseidone. Sempre in alto, addossato al pendio del promontorio, c’è la struttura semicir-

colare del teatro, risalente al V secolo a.C. Più in basso, nel cuore della città antica, la Porta Rosa perfettamente conservata è testimone dell’ingegno urbanistico dei suoi costruttori. Essa divideva i quartieri settentrionali da quelli meridionali, lungo la via che dalla Porta Marina Nord giungeva alla Porta Marina Sud. Nel contempo la struttura ad arco a tutto sesto era sormontata da un percorso a gradoni, parte integrante di un altro asse viario che andava in senso perpendicolare. Nel quartiere meridionale restano di grande interesse per i visitatori il Bothros, il pozzo che raccoglieva le offerte votive, e le Thermae, costruite dai romani nel II secolo d.C., in epoca imperiale. Attualmente la lunga spiaggia creata da quei drammatici eventi è parte del litorale di Ascea Marina. La località si presta particolarmente bene ad un turismo balneare tranquillo e di buona qualità. La vita mondana che ogni sera ravviva il lungomare a ridosso della scogliera, completa la vacanza di chi calca oggi i lidi un tempo cari a Parmenide. Superata la Punta del Telegrafo, si entra nel territorio del comune di Pisciotta, caratterizzato da una gradevole marina, a completamento del porticciolo e il suggestivo capoluogo, situato a 170 metri sul livello del mare sul dorso di un piccolo altopiano. Le tracce delle origini e della sua storia sono reperibili dando uno sguardo attento al centro storico. Minuscolo, quasi un salotto privato, il cuore di Pisciotta racchiude il trecentesco Palazzo Marchesale, la Cappella della Mercede del Settecento, la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, il barocco Palazzo Ciaccio e, nella parte più alta, le rovine delle mura di un convento francescano, costruito nel XVI secolo. Il borgo si è sviluppato attorno a Palazzo Landulfo, ma attirano l’attenzione del turista anche i resti di antichi frantoi, situati lungo il corso del Fiumicello. Di nuovo sul mare, ci si accorge subito che lo scenario è diverso rispetto al resto delle coste visitate: il verde argenteo degli ulivi marca il distacco tra le colline e le spiagge, alcune delle quali raggiungibili solo via mare. Immediatamente dopo la Punta del Telegrafo, la spiaggia è scura, formata da ciottoli rotondi e piatti, che nel dialetto locale vengono chiamati “agliaredde”. Ma proce-

In alto: un tratto della costa presso Ascea Marina. Al centro: il porticciolo di Marina di Pisciotta. In basso: veduta di Pisciotta.


In questa pagina. Capo Palinuro. Pagina successiva. In alto: l’arco di Capo Palinuro. In basso, a sinistra: una primula di Palinuro. A destra: la costa presso Palinuro.

dendo a Sud, tra una scogliera e l’altra fino a Capo Palinuro, le “agliaredde” lasciano il posto ad una sabbia bianca e sottile, come quella dei fondali. La loro conformazione favorisce un particolare tipo di onde, molto caro ai surfisti da tavola per la loro regolarità. Da maggio ad ottobre, il mare lascia ammirare i suoi fondali, caratterizzati da secche, scogli e sabbia. Pisciotta, meta di turismo d’élite già dai primi anni del Novecento, scopre la vocazione turistica con l’allargamento del porticciolo, iniziato negli anni Settanta. Oggi,

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infatti, alle barche e ai gozzi a motore dei pescatori, si affiancano le barche dei diportisti, per un massimo di 300 posti. La marina, infatti, era nata come punto d’appoggio per i pescatori, che lì, subito dopo la pesca, procedevano alla salatura delle alici, ancora oggi realizzata come un tempo. Si raggiunge Caprioli, avamposto di Palinuro. La bellezza del posto, con una spiaggia molto estesa, si coniuga perfettamente con la suggestione del mito che a questo luogo sarebbe legato. Secondo la leggenda, qui sarebbe stato sepol-

to il nocchiero di Enea, Palinuro, appunto, caduto in mare e ricomposto pietosamente dai Lucani, secondo la predizione della Sibilla. Palinuro, consacrata perla della costiera cilentana già negli anni Cinquanta, deve la sua fama al mare limpidissimo, alla immensità delle spiagge, alle 32 grotte disseminate lungo il litorale, alle tantissime baie accessibili solo dal mare, alla scogliera semplicemente meravigliosa. Mai come in questo caso, le bellezze naturali soppiantano ogni altro genere di interesse per il turista che giunge in


Le coste frastagliate presso Palinuro.

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un luogo tanto suggestivo da ispirare poemi, miti e leggende sin dall’antichità. Ricca di reperti archeologici, pare fosse abitata già in era preistorica. Nella zona detta “spiaggia della Ficocella” è stato allestito un Antiquarium che conserva i reperti rinvenuti nelle grotte e nelle necropoli collinari di età primitive e greche. Continuando il percorso lungo le coste del Cilento, si giunge nella caratteristica cittadina di Camerota. Ricchissima di tracce di insediamenti risalenti già al periodo Neolitico, arroccata su una collina verdeggiante, vanta la presenza di insediamenti greci. Naturalmente difesa su tre lati da spaventosi dirupi naturali, conserva avanzi delle mura merlate e del castello eretti nel 909, anno in cui divenne roccaforte saracena. Ancora perfettamente integra, la torre, alta 30 metri. Dopo una rilassante passeggiata per le viuzze del centro storico, è piacevole visitare le decine di chiese e cappelle presenti sul territorio, anche fuori dalla cittadina. È il caso del Convento dei Cappuccini, la Grotta di San Biagio, le chiese intitolate a San Daniele, San Nicola, la Madonna delle Grazie, San Gennaro. Prima di tornare alle acque cristalline, è bene fare una tappa in una frazione di Camerota, Lentiscosa, dove è possibile ammirare gli affreschi custoditi nella quattrocentesca Chiesa Madre di Santa Maria ad Martyres e i ruderi del Monastero di San Basilio, risalente al IX secolo, appena fuori del centro abitato. Proseguendo, ci attende la stupenda Marina di Camerota, che contende, di anno in anno il primato della limpidezza delle acque e dell’affluenza di turisti alle vicine Palinuro e Pollica. Si tratta del tipico borgo marinaro, dove la vita del turista è scandita dai racconti dei pescatori in piazzetta, all’ombra della Chiesa di Sant’Alfonso, inaugurata a fine Ottocento. Come a Palinuro, la spiaggia principale è interrotta dalle suggestive scogliere che la frantumano in tanti piccoli angoli di paradiso, in un tripudio di blu intenso del mare e bianco accecante della sabbiolina della spiaggia. Quattro le grotte da visitare: Grotta della Serratura, del Noglio, Cala e Sepolcrale, ma sono tantissimi gli anfratti e le cale che ci si può divertire a scoprire, soprattutto dal mare. Da non perdere la Cala Bianca e la Cala dei Monti di Luna. In una delle ultime grotte di Marina di Camerota,

quella detta di Lenticelle, è custodito il famosissimo “Leone di Caprera”, la barca a vela italiana che, proveniente da Montevideo, per prima, nel 1879, solcò le acque dello Stretto di Gibilterra dopo la traversata dell’Atlantico. A quanto pare, il Leone deve il suo nome al fatto che venne usata per trasportare un dono a Garibaldi: una spada d’oro, omaggio degli emigrati italiani in Uruguay. Oltrepassata Marina di Camerota, vi è un naturale spartiacque con il golfo di Policastro, ultimo tratto delle coste del Cilento e della provincia di Salerno. Punta degli Infreschi è l’angolo più suggestivo e assolutamente non contaminato dalla mano dell’uomo dell’intero Cilento costiero, nel bel mezzo del quale si apre un approdo naturale, protetto da banchi di roccia, meta imperdibile per chi segue il nostro percorso dal mare. Le acque sono così limpide che numerosi banchi di delfini vi fanno meta, soprattutto grazie alla straordinaria presenza di pesce azzurro. Superando Punta degli Infreschi, magari a bordo di un natante, in un batter d’occhio si raggiunge la “Portofino del Sud”: Scario. Frazione del comune di San Giovanni a Piro, l’approdo è quanto di più suggestivo possa trovarsi lungo le coste del Cilento, inaspettatamente in-

Pagina precedente. Spiaggia presso Palinuro. In questa pagina. In alto: il Castello di Camerota. In basso: Lentiscosa, Santa Maria ad Martyres, affreschi quattrocenteschi.


castonato ai piedi di altissimi speroni rocciosi. Via terra, invece, si incontra prima San Giovanni a Piro, a 450 metri sul livello del mare, da cui si ha subito la percezione che il paesaggio è destinato a cambiare. Da questo privilegiato punto di vista, il turista può avere con un solo colpo d’occhio, la spettacolare visione del golfo di Policastro, ma anche dei primi incantevoli tratti delle coste lucane e calabresi. Già che c’è, prima di scendere verso lo sbocco a mare del paesino di stampo medievale, può visitare il Santuario di Pietrasanta, le Chiese di San Gaetano e San Pietro e, perché no, fare una puntata nella frazione di Bosco dove, in maniera ancora più marcata rispetto a San Giovanni a Piro, si ha la percezione che il tempo si sia fermato alle epoche più felici della storia di questi luoghi. A Bosco è possibile visitare l’intatto centro storico, i resti della Badia del 1200, le Cappelle di San Rocco e della Madonna del Carmine, oltre a dare uno sguardo, alle porte del borgo, all’enorme pannello di ceramica su cui il pennello del pittore Josè Ortega ha ricostruito le tappe di una delle più toccanti vicende della storia

della frazione: i sanguinosi moti rivoluzionari dell’epoca pre-risorgimentale. Ma il nostro excursus è dedicato prevalentemente al mare e, così, dopo avere appena accennato alla possibilità di un itinerario diverso, raggiungiamo le ormai mutate coste del Cilento. Fondata dai Greci, Scario era meta di vacanza già nell’antichità. Era solito soggiornare qui, tra gli altri, Marco Tullio Cicerone, a caccia di pesce prelibato e del succulento “garum”, la salsa di pesce tanto amata dai Romani. Distrutta prima dai Vandali nel V secolo e poi dai Saraceni nel X, Scario parve scomparire nel Medioevo, almeno fino al XII secolo, quando entrò a far parte della Contea di Policastro. La rinascita fu possibile grazie all’abilità degli artigiani del mare, in grado di rilanciare l’attività di riparazione e costruzione di barche intorno al XVII secolo, stesso periodo in cui vennero realizzate, anche qui, due Torri, la Gagliano e quella dell’Olivo. Il resto delle costruzioni e le abitazioni più importanti, invece, furono realizzate dalle famiglie nobili di San Giovanni a Piro, come i Conti Carafa, che, a Scario, vollero le loro case estive. Da non perdere

una visita alla Chiesa di Sant’Anna e alla Chiesa dell’Immacolata. In quest’ultima è custodita una preziosa statuetta della Madonna, donata nel 1846 da un capitano di vascello sopravvissuto a un naufragio. Sia che si decida di riprendere la via del mare, sia che si voglia proseguire via terra, oltre Scario ci attendono spiagge e paesaggi diversi: si arriva a Policastro Bussentino. Dalla storia millenaria, Policastro deve la sua importanza, il nome e parte della sue fortune alle acque che la lambiscono. Non solo quelle dell’azzurro mare che le sta di fronte, ma soprattutto quelle del cheto fiume Bussento che nei suoi territori si dirige alla foce. Dalla sua presenza dipende anche il diverso aspetto della costa, all’opposto di quella che abbiamo incontrato a Scario o a Camerota. Il panorama è quello di una piana fluviale, colorata da fiori e piante che segnano il passaggio definitivo nel Golfo di Policastro. Fitti canneti si alternano a cedri, glicini, pini marittimi, bouganville. Proprio la presenza di un attracco fluviale favorì l’insediamento prima di gentes italiche e poi greche. Nel IV secolo a.C.

divenne Pixous, importante emporio greco. Erano gli albori dell’attuale cittadina di Policastro, che, dopo alterne vicende, tra periodi fortunati e terribili devastazioni, è giunta fino ai giorni nostri, con il suo pregevole centro storico, l’imponente Chiesa Cattedrale, le rovine del Convento di San Francesco del XII secolo, il Palazzo Baronale del Seicento, i ruderi del castello raso al suolo nel 1800. La sede

comunale di Policastro si trova nell’abitato della frazione di Santa Marina, a 400 metri sul livello del mare. Questo borgo sorse nel X secolo come luogo di rifugio degli abitanti di Policastro, minacciati dalle incursioni che venivano proprio dal fiume. Di particolare pregio, la chiesetta di Santa Croce, realizzata in età barocca. I chilometri di costa cilentana stanno per finire, quando si arriva

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Pagina precedente. In alto: porticciolo presso Marina di Camerota. In basso: il Leone di Caprera. In questa pagina. In alto: veduta di Scario dal mare. In basso: il Castello di Policastro.


Veduta del porticciolo di Sapri.

a Capitello, frazione marittima del comune di Ispani. Le spiagge sono lunghe, abbastanza ampie, disseminate di piccole cale molto suggestive. Nato come borgo di pescatori, divenne man mano più importante e grande, soprattutto nel XVII secolo, allorquando i Conti Carafa ordinarono la costruzione di un palazzo, ora adibito a convento. Degne di nota anche la Chiesa di Sant’Antonio, un tempo parte integrante del palazzo, e la Chiesa di San Ferdinando. Intorno al X secolo, il borgo fece nascere l’attuale capoluogo, Ispani appunto, per sfuggire alle incursioni saracene e alle pestilenze. A circa 280 metri sul livello del mare, Ispani offre una singolare vista del Golfo di Policastro, dal Borgo San Cristoforo, realizzato nel V secolo. Ancora pochi chilometri e si giunge nella minuscola marina del comune di Vibonati, situato ad appena 150 metri sul livello del mare, nato per mano dell’ultimo dei principi longobardi di Salerno, Gisulfo, che fece edificare il castello di cui oggi sono visibili imponenti rovine. Villammare, nata appena agli inizi del Novecento, in origine era un pugno di case di pescatori, alle quali, mano a mano

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che passarono gli anni, si affiancarono le ville della famiglie facoltose delle colline intorno, che decisero di cercare un’oasi di tranquillità attorno alla Chiesa di Santa Maria di Portosalvo, all’ombra della cinquecentesca Torre Costiera. Villammare è esattamente quella che si definisce un’oasi di relax, sia per le dimensioni del litorale che per la tranquillità della vita che qui si può fare anche in pieno agosto. L’ultima tappa di questo itinerario lungo le coste del Cilento conduce a Sapri. Dalle origini molto antiche, pare esistesse già nell’Era del Bronzo, come dimostrano i reperti archeologici. Luogo di villeggiatura di uomini di cultura e imperatori romani, Sapri scomparve nel Medioevo, perché divenuta palustre e malsana. Per evitare scorrerie, vennero erette due torri costiere, quelle di Mezzanotte e di Capobianco. Solo nel XVII secolo venne avviata la costruzione dell’abitato attuale, che vide la nascita del borgo marinaro detto della Marinella. Allo stesso periodo sono da fare risalire la Cappella di Santo Rosario, la Chiesa di Sant’Antonio da Padova al Timpone e la Chiesa dell’Immacolata. Nel Novecento,

invece, vennero costruiti l’istituto di Santa Croce e l’edificio del Buon Pastore. Ma al di là delle acque cristalline, della qualità dei prodotti del mare, Sapri è legata ad una pagina importante della storia del Risorgimento, racchiusa in maniera esemplare nei versi de “La spigolatrice di Sapri” di Luigi Mercantini. Oltre ai monumenti dedicati alla figura e al coraggio di Carlo Pisacane e dei suoi 300 valorosi uomini sbarcati a Sapri per promuovere con le armi l’unità del popolo italiano, ogni anno viene realizzata una suggestiva rievocazione della Spedizione. Non solo: la città di Sapri, in collaborazione con numerose università italiane, ha istituito il Premio Internazionale “Carlo Pisacane”, attribuito, di anno in anno, a personaggi della cultura, della politica e del giornalismo, a conclusione di una lunga serie di manifestazioni. Il suo ampio golfo, coronato da monti che degradano dolcemente, chiude la provincia di Salerno, meglio ancora l’intera Campania, lasciando al viaggiatore la possibilità di approdare ad altri lidi e ad altri luoghi, oppure... tornare sui suoi passi e continuare a godersi l’incanto di queste coste.


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