Poggi. Design made in Pavia

Page 1

POGGI design made in Pavia

edizioni photoSHOWall


TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI


POGGI design made in Pavia

IDEAZIONE mtp arredamenti con photoSHOWall A CURA DI Davide Tremolada Intraversato FOTOGRAFIE Raphael Bet PROGETTO GRAFICO Paolo Alberico SI RINGRAZIANO Carlo e Roberto Poggi


SOMMARIO


Roberto Poggi. Ritratto

12

Incontri con Poggi

20

Fabbrica Poggi

22

A colloquio con Roberto Poggi

38

L’archivio Poggi

44

Poggi e il design del mobile italiano

52

Foto d’archivio

64

Mostra “il Mondo di Poggi. L’officina del design e delle arti”

70


L’insegnamento di Poggi si può rappresentare simbolicamente con l’immagine di un dettaglio degli incastri con cui è realizzato un suo mobile. Incastri che contengono tutti i segreti della sua maestria.

6


7


Roberto Poggi ha deciso di affidare, anzi confidare segreti di alta falegnameria, ad un maestro dell’architettura Italiana, Franco Albini. Albini, come ha fatto Alvar Aalto con le anse del Ticino per il progetto “Patrizia”, ha tratto ispirazione dall’ambiente pavese, in particolare dagli uccelli delle risaie, per disegnare il suo “Cicognino”. Come molti altri pezzi del catalogo, il Cicognino ha iniziato dagli anni ‘50 una migrazione che dalla fabbrica del Vallone l’ha portato nei musei di tutto il mondo. Questi oggetti hanno fatto tanta strada che oggi si è persa sin quasi la memoria della loro origine. Ma il centro studi e produzione dove sono nati i progetti di maestri del design italiano come Albini, Zanuso, Magistretti, Helg, La Pietra si trova a Pavia. Davide Tremolada, luglio 2016

8


9


10


11


Roberto Poggi. Ritratto Raphael Bet 2016

12


13


Tutto è cominciato con il mio amico Pirovano, col quale facevo roccia, che doveva sistemare la sua casa in montagna. Per la ristrutturazione gli avevano consigliato un certo architetto, Albini. Io ovviamente ero il falegname di famiglia e questo fu il primo lavoro della ditta Poggi con l’architetto Albini (gli arredi dell’“Albergo-rifugio Pirovano”). A partire da questo lavoro Albini ha stabilito con noi una sorta di esclusiva per la produzione dei suoi mobili in legno. La prima sedia che abbiamo deciso di produrre in serie la numero 832 del nostro catalogo, diventata famosa come “la Luisa”, ha vinto il compasso d’oro nel 1955. Roberto Poggi, luglio 2016

14


15


«Vede i listelli che compongono quest’anta? Vede come s’incrociano? E’ per far sì che l’anta non s’imbarchi; sono ricavati da un’unica tavola. Mio papà falegname aveva prodotto in serie solo incubatrici per un amico che allevava polli, noi siamo arrivati ad avere 40 dipendenti e ad essere, con Flos, gli unici ad essere proposti negli anni 60, nel negozio C&B di via Durini (Negozio delle famiglie Cassina e Busnelli, oggi showroom Cassina)». Roberto Poggi, luglio 2016

16


17


«L’archivio dei disegni e prototipi che custodiamo, è la testimonianza del nostro patrimonio progettuale e di quanto i maestri del design (Albini, Zanuso, Magistretti) abbiano contribuito a costruirlo». Carlo Poggi, luglio 2016

18


19


Incontri con Poggi Vittorio Prina 2016

20


In un primo saggio pubblicato sulla rivista Domus nel 1991 analizzai gli arredi mobili progettati da Franco Albini, sulla scorta di un’elaborazione innovativa che li raggruppa secondo tipologie strutturali/nuclei morfologici. Un’intervista a Roberto Poggi completava il quadro. In seguito incontrai ancora Poggi a distanza di alcuni anni: il testo che segue – una panoramica sulla vasta produzione di Poggi relativa sia ad Albini che ad altri maestri italiani – riassume l’incontro. In questa occasione, Poggi espresse la sensazione di crisi in cui versava un’industria che manteneva caratteristiche artigianali. La Ditta Poggi nel frattempo è stata chiusa e molti pezzi sono stati prodotti da altre società. È di fatto andato perduto un enorme bagaglio di esperienza culturale e artigianale, attualmente non più compatibile con una produzione che prevede il minimo impegno finanziario a fronte del massimo guadagno nel minor tempo possibile. 21


Fabbrica Poggi Raphael Bet 2016

22


23


24


25


26


27


28


29


30


31


32


33


34


35


36


37


A colloquio con Roberto Poggi Vittorio Prina 1991

(In: Domus, n. 729, luglio 1991, pp. 72, 73)

38


Vittorio Prina- Parliamo della particolare accezione con cui lei interpreta la parola progetto. Roberto Poggi- Prima del progetto ci sono solo delle sensazioni: il desiderio, il piacere di fare qualcosa. L’essere obbligati a fare ha come risultato un prodotto con carenze. I vincoli sono quindi necessari, risolverli diviene una componente essenziale per l’avanzamento del progetto. Certamente, ma l’importante è cominciare trovando dentro di sé pensieri latenti, piccoli impulsi, stimolati da sollecitazioni “esterne”: quella certa automobile, una molletta per i panni, un tappo di bottiglia. All’inizio della nostra vicenda capitava sovente la richiesta di progettare l’arredamento di una casa intera, nascevano così grandi esperienze. Come con Albini. Certamente.

Dalla vincita del premio al concorso indetto dalla Società del Linoleum nel 1948 alla collaborazione con Franco Albini, durata ventisette anni, sino all’attuale tentativo di creare un apprendistato alla progettazione per i giovani, Roberto Poggi ha contribuito attivamente allo sviluppo del design italiano, rappresentando un caso atipico, e forse unico, nell’ambiente della produzione.

Vorrei approfondire meglio il rapporto che secondo lei esiste tra progetto e produzione, quel particolare confronto che viene a crearsi tra “Poggi progettista” e un progettista “esterno”; credo infatti che non si possa mai parlare di una richiesta “asetticamente” separata da un diretto rapporto progettuale con lei. La produzione è legata in maniera inscindibile alla progettazione intesa non come indotto di una committenza distaccata

39


e non partecipativa, ma come insostituibile relazione di complementarietà. Tutto ciò è molto vero. Noi non abbiamo mai sentito la necessità di progettare per “committenza”; la progettazione determinata soltanto da necessità commerciali non ha in sé alcuna carica: se da una parte c’è il progettista e dall’altra soltanto il realizzatore, l’unica mediazione è quella della matita o del tavolo da disegno. Io credo invece ci debba essere il desiderio da parte di entrambi di creare qualcosa assieme. Desiderio e non necessità, altrimenti il fatto progettuale diventa meno poetico. Altrettanto si può affermare nel rapporto tra progetto e tecnologia? Il filo conduttore non deve essere la macchina: certamente bisogna disegnare tenendone conto, ma senza lasciarsi prendere dal tecnicismo. Non ci deve essere condizionamento da parte del metodo di attuazione prima che il progetto sia pensato. L’apporto umano specializzato deve essere capace, in fase di lavorazione, di accettare le difficoltà e di risolvere e mediare il rapporto tra progettazione e tecnologia. Il primo passo consiste nell’ingegnerizzazione del progetto che permette di superare ostacoli ancor prima di passare al prototipo. Questo viene quindi realizzato in maniera tale da avvicinarsi al prodotto ultimato. In seguito si analizzano le possibilità produttive; noi ad esempio produciamo in piccole serie, a lotti dai trenta ai cento pezzi.

40

È quindi una scelta motivata quella di non programmare una produzione su vasta scala, di non acquisire semplicemente dei diritti d’autore, di contenere le dimensioni dell’azienda per una migliore qualità? Io non posso che “esprimermi” così, conservando il piacere di lavorare senza particolari scadenze. Questo atteggiamento può costituire una limitazione? Certo ma a me è sufficiente che alcuni architetti, progettando un oggetto, pensino che potrebbe essere prodotto solo da noi: allora si comincia a lavorare assieme. Lavorare insieme in un senso quasi esclusivamente artigianale… Ma sempre con dei contenuti altamente tecnologici; un progettista che entra in contatto con questo tipo di artigianato trova senz’altro il miglior modo per esprimersi. Ogni nostro prodotto è stato pensato e realizzato dal progettista qui con noi. Mai abbiamo messo a catalogo pezzi sviluppati secondo altre strade. Come si decide che un pezzo non può essere messo in produzione? A volte capita che alcuni progetti eccezionali non vengano prodotti a causa del costo elevato o dell’eccessiva difficoltà di inserimento nel mercato. Si decide di accantonare l’ipotesi di comune accordo con il progettista; quasi sempre ci si accorge assieme che non funziona.


Magari verrà in seguito ripescato dalla memoria, sotto la sollecitazione di differenti stimoli visivi: bisogna progettare guardando, cioè bisogna saper guardare. Parliamo ora dell’importanza e del limite dello schizzo e del disegno in genere. Provocatoriamente rispondo che la cosa più bella è non disegnare. In ogni caso dipende dall’intesa che c’è tra due persone: lo schizzo in genere contiene la provocazione iniziale, o un dettaglio. Il prototipo è assolutamente indispensabile: a volte si fanno prototipi di parti dell’oggetto, dove si suppone ci sia qualche carenza, oppure dove la forma non “reagisce” opportunamente. Si analizzano i possibili punti critici del progetto per una verifica strutturale ed estetica; è un continuo andare e tornare dall’idea progettuale al prototipo e viceversa, una continua verifica incrociata. Questo processo di chiarificazione e risoluzione fa sì che analizzando i novanta pezzi prodotti posso affermare che tutti sono stati mantenuti esattamente come erano nati, non hanno mai avuto bisogno di modifiche. Pensi alla libreria LB7 di Albini del 1957: ha ancora gli stessi componenti, le stesse viti, il pezzo di ricambio è identico al primo che è stato prodotto. Quanto è lecito, allora, rimettere in produzione un mobile disegnato per esempio negli anni ’50 apportandovi modifiche suggerite da ragioni commerciali? Per quanto mi riguarda non è lecito.

Le spiego analizzando ancora la LB7: non è necessario apportare alcuna modifica perché non vi è nulle da aggiungere e nulla da togliere; potrei forse realizzare i mobiletti che si inseriscono tra i montanti in maniera più economica, ma non con un eguale “valore” artigianale. Prendiamo poi il Cicognino. L’unica esigenza che sento è quella di renderlo smontabile. Ma il Cicognino è nato smontabile! Si trattava originariamente di un trespolo con un vassoio che si poteva togliere. La Luisa è nata anch’essa smontabile, solo in seguito, a causa di alcune difficoltà poste dai rivenditori e di problemi insiti nella tecnologia del tempo, è stata realizzata tramite incollaggio; oggi la Luisa è nuovamente smontabile, le giunzioni delle spalle con le traverse sono ottenute meccanicamente. Nella prima edizione erano posizionate, nel bracciolo e nelle traverse, tre spine, delle quali una di bloccaggio in metallo e le altre due in legno che impedivano la rotazione; ora è stato deviato l’asse del bloccaggio e rimangono solo due spine, l’asse di rotazione è neutro. Il sedile del 1950 è in tutto uguale a quello del 1990. La scrivania Stadera – SC27, sempre di Albini, nasce negli anni ’50 con base in marmo, colonna in metallo e piano in legno: poi per ragioni economiche, con Albini, abbiamo realizzato una base in fusione. Se dovesse essere rimessa in produzione, come prevediamo, si ritornerebbe all’idea originale: tornire il marmo trent’anni fa costava

41


moltissimo, ora decisamente meno. Il Cicognino di Albini esemplifica al meglio la giusta soluzione nel rapporto che deve intercorrere tra innovazione tipologica, forma, funzione, carica simbolica, uso corretto del materiale. È innovativo perché instaura anche una nuova abitudine nell’usare e confrontarsi con un oggetto. L’innovazione e il ridisegno sono entrambe possibili componenti della progettazione, ma in questo periodo mi sembra che prevalga il secondo e in alcuni casi osserviamo la palese riproduzione di tipologie e forme storiche. Certo nella progettazione l’invenzione è fondamentale, anche se bisogna pensare che il modo di sedersi o di dormire è praticamente rimasto inalterato da sempre. Parliamo per un momento del suo rapporto con l’arte, innanzi tutto come collezionista e frequentatore di ambienti artistici. Io non sono un collezionista. Ho vissuto e vivo nel mondo dell’arte; le partecipazioni alle Triennali mi hanno dato l’occasione di approfondire le mie impressioni sull’arte, conoscendo molti artisti e diventando loro amico. Con alcuni, spesso, lo scambio non si limitava alle idee e ai consigli, ma coinvolgevano le loro opere e i miei pezzi. Tornando invece ai progettisti, oltre che con Albini con chi ha collaborato in questi anni? Prima di tutto voglio far notare come ogni

42

architetto, lavorando con noi, ha progettato in maniera decisamente diversa rispetto a quando disegnava per altri: questo proprio per quella particolare atmosfera di collaborazione di cui abbiamo parlato. Magistretti ci conosceva per i lavori che avevamo realizzato, la nostra collaborazione nasce alla fine degli anni Sessanta: è un progettista di grandi capacità riflessive che pone particolare attenzione al dettaglio. Con Edoardo Vittoria abbiamo vissuto un’ottima esperienza alla XV Triennale di Milano nella quale facevo parte del Comitato di coordinamento della sezione italiana (Lo spazio vuoto dell’habitat). Marco Comolli ha anticipato molte espressioni di attuali tendenze: abbiamo realizzato insieme diversi arredamenti, una sezione della IX Triennale e molti pezzi singoli, nessuno dei quali purtroppo è entrato in produzione. La collaborazione con Marco Zanuso è nata con la realizzazione della sedia SD57 del 1973 ed è continuata con un dialogo bellissimo determinato dal piacere di discutere guardandosi negli occhi con un foglio di carta bianca davanti. Con Afra e Tobia Scarpa abbiamo realizzato alcuni pezzi e iniziato una ricerca complessiva che vogliamo continuare. Tra i giovani è con Ugo La Pietra che ho condotto negli anni Sessanta una delle più belle operazioni di ricerca. Abbiamo messo in produzione soltanto


la libreria Uno sull’altro, che purtroppo ha ottenuto scarso successo commerciale. Ricordiamo infine Franco Albini. Vorrei poterlo fare in poche parole: è stato mio maestro di lavoro e di vita. Quando due persone si danno la mano, si capiscono al settanta per cento; poi nascono affinità, si discute, a volte ci si scontra. Quanto il rapporto con Albini ha influito nella formazione della ditta Poggi. Sia io che mio fratello, che ora non c’è più, eravamo in un momento di formazione quando conoscemmo Albini; io inoltre lasciavo gli studi a causa dell’improvvisa morte di mio padre nel 1949. La nostra ditta aveva già condotto alcuni lavori di ricerca vincendo un concorso indetto dalla Società del Linoleum nel 1948.

La prima prova fu la sedia Luisa, sulla quale è seduto, premiata con il Compasso d’Oro. Da questa esperienza nacquero: la Luisella (una Luisa senza braccioli), una sedia pieghevole e la poltroncina Adriana; all’incirca la stessa struttura della Luisa venne adottata, in metallo questa volta, per la seggiola dell’Istituto Universitario di Venezia, dotata di piani di scrittura e il cui sedile era in un particolare legno compensato imbevuto di resine. Un’altra grande esperienza fu l’allestimento della sala consiliare del Comune di Genova; vennero realizzate diverse sedie e poltroncine tra le quali una girevole dotata di dispositivo di ritorno automatico alla posizione d’origine, di sedile ribaltabile e fissata a terra per mezzo di una base circolare eccentrica…e così via via per tutte le altre esperienze compiute assieme.

L’incontro con Albini è stata per noi determinante; era ciò che cercavamo ed è proseguita per ventisette anni di lavoro assieme, continuati poi con Franca Helg, Marco Albini, Antonio Piva. L’incontro avvenne per merito di un comune amico, Pirovano, per il quale abbiamo realizzato gli arredi del rifugio di Cervinia progettato appunto da Albini. Albini aveva ideato oggetti per alcuni concorsi; da questi siamo partiti, lavorando e trasformando senza praticamente tener conto del mercato.

43


L’archivio Poggi Raphael Bet 2016





«L’archivio dei disegni e prototipi che custodiamo, è la testimonianza del nostro patrimonio progettuale e di quanto i maestri del design (Albini, Zanuso, Magistretti) abbiano contribuito a costruirlo». Roberto Poggi, luglio 2016

48


49


50


51


Poggi e il design del mobile italiano Vittorio Prina 2004

52


La prima parte del presente testo è dedicata alla produzione dei pezzi disegnati da Franco Albini, la seconda alla produzione dei maggiori maestri del design italiano: un tentativo di sintetizzare la lunga e complessa attività di Roberto Poggi, titolare dell’omonima ditta con sede in Pavia, che ha contribuito sostanzialmente alla storia del design italiano. Dalla vincita del concorso indetto dalla Società del Linoleum nel 1948 sino a oggi, Poggi è un’industria artigianale caratterizzata inizialmente dalla produzione su commissione, tra le prime a trasformarsi nel dopoguerra per la produzione di pezzi in serie; realizza, con rapporto esclusivo per lungo tempo, la maggior parte degli arredi mobili progettati da Franco Albini. In seguito produce opere per Franca Helg, Antonio Piva, Marco Zanuso, Vico Magistretti, Marco Comolli, Ugo La Pietra, Gianfranco Gasparini, Afra e Tobia Scarpa e altri, con un catalogo che conta più di novanta pezzi in produzione e decine di progetti, studi, prototipi. Sette pezzi di sua produzione sono esposti al Museo della Triennale di Milano, quattro

53


fanno parte di una mostra itinerante nel mondo dedicata ai cento migliori esempi del design italiano e, dallo scorso anno, la poltroncina Luisa di Albini è esposta permanentemente al MOMA di New York. La produzione di Poggi è in piccola serie – lotti dai trenta ai cento pezzi – ed esclude la produzione su larga scala, la mera acquisizione di diritti d’autore e le sconsiderate tempistiche dettata da scadenze non connesse alla progettazione. La produzione è preceduta da un’accurata ingegnerizzazione del progetto e dalla realizzazione di prototipi, con un continuo passaggio dall’idea progettuale al prototipo e viceversa. Questo processo comporta, analizzando i novanta pezzi prodotti sino a oggi, il mantenimento di tutti gli elementi esattamente come sono nati senza necessità di modifiche. Si pensi alla libreria LB7 di Albini del 1956 che conserva ancora i medesimi componenti, viti, e pezzi di ricambio. Nel caso di riedizioni di pezzi celebri alcune modifiche sono state apportate al fine di recuperare i requisiti originali dell’oggetto. La poltroncina Luisa di Albini è nata smontabile, in seguito assemblata con incollaggio a causa di problemi connessi alle tecnologie disponibili all’epoca; ora è ancora smontabile. La prima edizione prevede, nel bracciolo e nelle traverse, tre spine: una di bloccaggio in metallo, le altre due in legno che impediscono la rotazione. In seguito l’asse di

54


bloccaggio è stato deviato e sono rimaste solo due spine, l’asse di rotazione è neutro; il sedile del 1950 è del tutto uguale a quello del 2004. La scrivania Stadera (SC27), sempre di Albini, nasce negli anni Cinquanta con base in marmo, colonna in metallo e ripiano in legno; in seguito è stata realizzata una base in fusione. Se dovesse essere rimessa in produzione sarebbe opportuno riprendere l’idea iniziale, in quanto attualmente la tornitura del marmo è decisamente meno costosa.

FRANCO ALBINI Franco Albini e Roberto Poggi si conoscono grazie al comune amico Giuseppe Pirovano, per il quale realizzano gli arredi del celebre rifugio a Cervinia, e proseguono elaborando per la produzione in serie alcuni pezzi studiati da Albini per concorsi; la collaborazione prosegue per ventisette anni. Poggi e Albini iniziano il sodalizio in un’epoca in cui non esiste ancora la produzione di serie; le realizzazioni sono costituite da prototipi derivati dall’arredo degli interni. Assistiamo quindi in quel periodo al passaggio dal prototipo alla produzione seriale. Le particolari caratteristiche metodologiche insite nei progetti di Albini si adattano perfettamente alle nuove condizioni.

Albini individua sin dall’inizio della sua attività tutte le tipologie sulle quali lavorerà per il resto della vita: nuclei tipologici di base che si possono definire “strutturali” e che vengono continuamente rielaborati secondo un metodo di variazione costante. Il metodo di Albini è riferibile quasi sempre a “serie di variazioni” piuttosto che a “serie evolutive”, nel senso che il primo e l’ultimo progetto della serie hanno la stessa valenza e qualità e non sono solo una serie di miglioramenti via via apportati. Le principali tipologie individuabili sono quattro; una quinta tipologia è costituita dal reticolo spaziale realizzato sia in cavo metallico che in svariati materiali quali setti in carta, costolature in legno e altri materiali; può essere però considerata una tipologia complementare che si sovrappone alle altre. La prima è costituita dalla struttura per poltroncina che troviamo già espressa nei disegni di concorso per Wohnbedarf del 1940 e prosegue con numerose declinazioni sino alla Luisa. La seconda è una struttura portante composta da elementi a X uniti da traverse e controventature: dalla poltrona per la Stanza di soggiorno per una villa alla VII Triennale di Milano del 1940, alla Fiorenza e al tavolo smontabile. La terza è una sorta di piedistallo portante costituito da una base pesante e da un montante esile: sono riconducibili a tale

55


soluzione i supporti dei dipinti a Palazzo Bianco a Genova del 1951 e la scrivania Stadera. La quarta tipologia è costituita dal montante verticale complesso che Albini utilizza e rielabora dalla Sala dell’Aerodinamica per la XV Fiera di Milano del 1934, ai numerosi allestimenti, alla libreria capolavoro Veliero. Molti sono gli arredi realizzati per occasioni specifiche, dal rifugio Pirovano a Cervinia del 1948-60, alla casa Marcenaro a Genova del 1954, all’allestimento completo per la Sala del Consiglio Comunale a Genova (con Franca Helg) del 1955, alla poltroncina in tubolare metallico e compensato per l’Istituto Universitario di Venezia del 1958. Lunghissimo l’elenco di progetti di Franco Albini realizzati da Poggi. Nella poltroncina Luisa del 1950, Compasso d’Oro nel 1955, la struttura in legno è composta da componenti incastrati a doppio pettine caratterizzati da una sezione ridotta al limite delle possibilità di tenuta. L’elemento regge schienale e sedile e si “allarga” nel punto di raccordo con un altro componente. Ulteriore sviluppo della ricerca di alleggerimento, svuotamento, apparente labilità è la poltroncina Adriana del 1951: seduta e schienale sono divisi in due parti separate, simmetriche e basculanti. Nel 1958 è ridisegnata in una versione meno ardita o “scapigliata” come annota Albini stesso. Seguono due poltroncine che sfruttano la

56

flessibilità ed elasticità di fogli sottilissimi di compensato utilizzati per seduta e schienale: la prima del 1954, sovrapponibile e dotata di una struttura a X che si “allarga” a costituire anche il bracciolo: inizialmente realizzata in legno, in seguito è assemblata anche in tubo di acciaio cromato e cinghie di cuoio. La seconda, pieghevole, è proposta in due versioni con e senza braccioli: struttura in legno di olmo e connessioni in ottone a vista. La poltrona Fiorenza del 1952 (prodotta in seguito da Arflex) è realizzata inizialmente con i due elementi della struttura a X non complanari e successivamente con la seduta non più appesa al bracciolo. La soluzione studiata da Poggi ottiene la complanarità nel punto di sovrapposizione dei due elementi componenti la struttura a X grazie a uno speciale incastro maschio-femmina. La poltrona Tre pezzi PL19 (con Franca Helg) del 1959, che consente svariate possibilità di uso, seduta e posizioni del corpo, ha una struttura in tubolare metallico da 22 mm. con piedini di appoggio a terra piatti e sovradimensionati. Sedile e schienale sono sorretti da una struttura in tubolare di minore diametro con fasce di nastri elastici, imbottitura in gommapiuma e rivestimento in pelle o tessuto (i colori scelti dal Albini sono il rosso, il nero e una gamma di verdi). È realizzata inizialmente una versione con struttura in legno esposta alla Triennale di Milano del 1957. Il tavolo a cavalletto TL2 del 1951 – struttura composta da due X portanti accostate – è


completamente smontabile e assemblato utilizzando unicamente viti, due delle quali sono state prolungate a costituire le barre di controventatura. Seguono alcuni tavoli: il TL3 del 1950 completamente smontabile con gambe tornite a esclusione della porzione che si aggancia alle traverse – che conserva una sezione quadrata – e piano appoggiato utilizzando uno spinotto metallico; il TL30 del 1953 realizzato con piani in granito e colonna portante in ottone; il tavolino da letto del 1954, il tavolo tondo a cavalletto del 1954, il tavolo ampliabile del 1956, il tavolo ellittico TL22 (con Franca Helg). La citata scrivania Stadera, del 1953-57, a piedistallo unico, è inizialmente realizzata con base in granito, colonna in metallo e piano in legno rivestito di panno. In seguito la base e la colonna sono state sostituite da una fusione in metallo. Poggi realizza anche una versione della Stadera per casa Marcenaro a Genova del 1954 con base in pietra, montante in metallo e cassettiera indipendente. Le librerie LB7 del 1956 e LB10 del 1958 costituiscono un esempio dell’applicazione del montante alla produzione in serie; i montanti sono conclusi da “ciotole” regolabili in metallo brunito che permettono una semplice posa a pressione contro pavimento e soffitto. Capolavoro assoluto è la libreria Veliero in tensostruttura realizzata artigianalmente nel 1938-40 per l’appartamento di Albini e

57


rielaborata in seguito con Poggi. La struttura è costituita da due pennoni in legno massiccio ognuno composto da quattro elementi (sezione 3 x 15 mm) incernierati alla base e legati alla stessa con stralli. In sommità i due pennoni sono collegati da una catenaria alla quale sono appesi i cavi che sorreggono serie di “boma” triangolari e ripiani in cristallo. Esiste un unico esemplare che Albini lasciò allo stesso Poggi. Degna di nota è la sdraio a dondolo in legno PS16 del 1959 di ispirazione lecorbusieriana, variante del modello esposto alla Triennale di Milano del 1940: la struttura è in massello, le slitte in multistrato e la tela che regge il materassino è agganciata alla struttura con una corda in nylon intrecciata; sono inizialmente realizzati anche un esemplare in metallo e uno in compensato traforato. Da ricordare anche alcuni letti, carrelli e contenitori mobili dal 1960 al 1968 (con Franca Helg). In conclusione due piccoli capolavori: la lampada da terra Mitragliera del 1938-40, disegnata in diverse varianti, costituita da un montante in legno a sezione variabili sorretto da due corte gambe e concluso dal corpo illuminante orientabile in metallo. Il tavolino Cicognino, servomuto del 1955, costituisce un connubio mirabile tra invenzione tipologica, strutturale e funzionale: il piano tondo, originariamente asportabile e utilizzabile come vassoio, è sorretto da tre esili gambe una delle quali prosegue e si piega formando una maniglia a portata di mano.

58

ALTRI MAESTRI Poggi ha sempre mantenuto un diretto rapporto progettuale con i progettisti; la sua produzione è sempre stata legata in maniera inscindibile a una specifica concezione di progettazione, non “fredda” e distaccata, ma quale insostituibile relazione di complementarietà attuata con una geniale capacità di sviluppo e realizzazione delle idee dei progettisti spesso costituite da semplici schizzi; la progettazione non è mai stata dettata unicamente da necessità commerciali. L’inizio di un rapporto di collaborazione frequentemente è nato durante la realizzazione di arredamenti per interni, sviluppando idee e prototipi che in qualche caso si sono concretizzati nella produzione in serie. La Ditta Poggi è essenzialmente artigianale ma caratterizzata da un’alta qualità e complessità tecnologica; frequentemente i progettisti scelgono di lavorare con questa azienda grazie al fatto che l’oggetto non potrebbe essere prodotto da altri se non da Poggi stesso. Proseguo con una descrizione sintetica dei principali pezzi progettati da alcuni maestri del design italiano. Con Vico Magistretti realizza la sedia totemica Golem (SD51) del 1968, con struttura in legno massiccio e schienale in multistrato composto da un’unica stretta lama sagomata ergonomicamente.


59


Il carrello Palmer (CR53) del 1971, rimasto in produzione per un arco di tempo limitato, ha tre gambe e un piano ellittico il cui bordo è protetto da un copertone per bicicletta da corsa (palmer), in seguito sostituito da un tubolare in gomma. Un letto a baldacchino, la cui struttura è inizialmente pensata quale scaffalatura per libri, ingloba nell’angolo superiore due punti luce integrati. Segue la sedia Barbettis (SD71) del 1981, sviluppo della Golem alla quale sono aggiunti i braccioli, mentre lo schienale rigido diventa flessibile mediante una sorta di balestra a più elementi. La sedia SD75 del 1985 ha una struttura in massello e schienale composto da una sola asta piatta che funziona da balestra. Il mobile MB76 a contenitori accostabili e sovrapponibili del 1985 è in paniforte placcato di palissandro o noce: le maniglie sono costituite da tagli-fessure a sfondo colorato. Per Afra e Tobia Scarpa realizza il tavolo TL59 del 1976: la prima soluzione, penalizzata da problemi strutturali, è costituita da una base rettangolare in marmo che sorregge un piano in cristallo raccordato con due profilati a sezione triangolare. In seguito la base è realizzata con una fusione monolitica in alluminio e due piatti circolari di differente diametro: il primo costituisce l’appoggio a terra, il secondo sorregge il piano. Con Marco Zanuso propone la sedia SD57 del 1974 e il tavolo TL58 entrambi generati

60


dalla tipologia strutturale a cavalletto. La sedia SD60 del 1977 nasce dall’idea del tavolo TL61, progettato per una fornitura privata, il cui profilo laterale costituisce la struttura che regge i pannelli imbottiti di sedile e schienale; la sedia è priva di traverse in quanto sedile e schienale agiscono da controventatura. La libreria LB65 del 1978, il cui riferimento visivo è mutuato dal prospetto di un edificio per uffici, è realizzata con ante a graticcio a maglia quadrata, inizialmente pensate per un letto. La soluzione determina una sorta di filtro visivo degli oggetti contenuti che sono percepiti solo parzialmente. La libreria LB72 del 1983 è composta da colonne portanti monoblocco, alternate a ripiani molto sottili di varie lunghezze, agganciate alle spalle laterali delle colonne stesse. Con Gianfranco Gasparini produce il tavolo TL74 del 1982 con struttura a cavalletto in trafilati di acciaio inossidabile, piani rettangolari di varie dimensioni a profilo arrotondato e lati minori curvilinei. Lo stupendo mobile angolare a paravento con pianta a base triangolare, struttura in legno ebanizzato e due grandi ante curve, una in legno e la seconda in ottone traforato, è realizzato per la casa di lusso alla XVII Triennale di Milano. L’incontro con Ugo La Pietra permette la realizzazione della celebre libreria Uno sull’altro del 1970, inizialmente pensata come struttura monoblocco (laccata bianca) e in seguito

realizzata con struttura smontabile a incastri sovrapponibili di differenti lunghezze (40, 60, 80, 100 cm.). Vero e proprio elemento spaziale dotato di infinite possibilità di aggregazione, sfortunatamente non ha ottenuto il meritato successo commerciale. Risalgono al 1970 gli studi di materiali in plastica trasparente opacizzata che consentono la realizzazione di numerose lampade: Globo, da terra a intensità regolabile, è composta da tre semisfere e un cilindro ricavati da lastre plastiche fresate e successivamente soffiate; da tavolo composta da un cilindro fresato con tre piani quadrati inseriti a costituire l’appoggio; da tavolo a sezione triangolare con filtri mobili colorati sostituibili, in plastica trasparente fresata. Il mobile contenitore del 1997 a elementi componibili è composto da quattro colonne con volumi alternati a ripiani in noce e mogano, incernierati con elementi a vista in ottone realizzati su disegno. La collaborazione con Marco Comolli inizia in occasione della Mostra Internazionale dell’abitazione alla XI Triennale del 1957, prosegue con arredi e pezzi su commissione e con la realizzazione di prototipi, alcuni dei quali realizzati in serie. É del 1997 il tavolo allungabile TL 90: struttura in legno massiccio, piano in paniforte contornato in legno massiccio con laterali a incastro; le prolunghe sono dotate di scorrevoli metallici.

61


Roberto Poggi, su incarico della XV Triennale, collabora con Eduardo Vittoria alla realizzazione della sezione italiana Lo spazio vuoto dell’Habitat.

L’operaio specializzato, secondo Poggi, deve avere la consapevolezza dell’importanza del lavoro che svolge e dei “pezzi” che realizza, ed essere coinvolto in un rapporto dialettico con il progettista e il produttore, sia che si tratti di un falegname, di un imbottitore o di un lucidatore; oggi manca totalmente la possibilità di apprendistato.

CONCLUSIONI

A Pavia, secondo Poggi, l’artigianato è scomparso: quattro aziende con 500 operai specializzate in arredo per la casa sono state chiuse, e qualsiasi iniziativa è lasciata al privato senza alcuna sovvenzione.

Poggi mantiene costante il suo entusiasmo frequentando giovani architetti che svolgono stage presso la sede della Ditta e studenti che redigono studi e tesi sulle opere di design o sulla storia della Ditta stessa, collaborando con il Politecnico di Milano e offrendo consulenze per altre industrie di design. Ultimamente purtroppo traspare dalle sue parole uno sconforto dettato da sempre più consistenti difficoltà – soprattutto dettate della mancanza di personale specializzato – che inficiano la prosecuzione dell’attività con la continuità e la qualità che contraddistinguono il suo lavoro. La produzione, affidata sempre ai migliori progettisti, è stata costantemente coadiuvata da personale dotato di altissimi livelli di specializzazione e capacità esecutiva, formatosi con la Ditta stessa. Di fatto, nel contesto di una piccola provincia quale è Pavia, non sono state perseguite politiche destinate all’attività di insegnamento e ricerca che abbiano prodotto un opportuno ricambio professionale.

62

Alla fine degli anni Ottanta è stata istituita una “scuola del legno” di ottima qualità e con un iniziale entusiasmo che era stato esteso anche alla provincia, ma dopo due anni la scuola è stata chiusa a causa della carenza di allievi. Poggi critica anche alcune industrie che costringono il giovane progettista ad adattarsi a materiali, tecnologie e alla “linea” del produttore, eliminando la possibilità di orientarsi verso tecnologie particolari e meno standardizzate.


63


Foto d’archivio Gentilmente concesse da Carlo Poggi 2016

64


65


66


67


68


69


Mostra IL MONDO DI POGGI L’officina del design e delle arti a cura di Roberto Dulio e Stefano A. Poli 30 Novembre 2016 — 24 Febbraio 2017

Archivi Storici _ Politecnico di Milano

70


71


72


73


74


75


76


77


78


79


Vittorio Prina Architetto, nasce a Pavia nel 1959. Dall’età di sette anni suona il pianoforte e disegna. Svolge attività scientifica, di ricerca e di progettazione relativa ai principali temi dell’architettura. È relatore in numerosi Convegni, Seminari e Conferenze. Dal 1989 svolge attività didattica presso differenti sedi universitarie. È docente a contratto di Progettazione Architettonica presso la Scuola di Architettura e Società del Politecnico di Milano. È autore di più di 190 tra articoli, saggi e libri.

Davide Tremolada Architetto, nasce a Milano nel 1967, ideatore del sistema photoSHOWall.

80


Raphael Bet Appena nata, apro gli occhi, sprofondo, nella notte eterna.Una scintilla, cado nella fiamma, tu mi hai levato dalle tenebre. Nata in Italia.Assistente e fotografa a Pavia per un quotidiano nazionale, workshop alla Fnac con Kent Kobersteen, Alexandra Boulat, Mimmo Jodice, Machiel Botman. Consegue il Master di Reportage presso l’Accademia di fotografia John Kaverdash di Milano.

81


«Perchè nel 1960 è stato possibile fare tutto questo? Perchè c’era il Giamaica, dove artisti, archittetti, imprenditori creavano una miscela di creatività, follia, concretezza». Roberto Poggi, luglio 2016

82


83


84


85


photoSHOWall è un progetto di Davide Tremolada Intraversato ed è prodotto a Pavia da mtp arredamenti (utilizzando pannelli in MDF di legno riciclato). “L’idea di fondo di photoSHOWall con le sue installazioni “iGIGANTI” e la “Mostra in Cartolina” è che la fruizione delle immagini può variare in base al formato in cui vengono presentate e al contesto in cui vengono collocate. Di fatto si propone allo spettatore una riflessione su come, rompendo e ricomponendo l'unità formale dell'opera, si può generare una nuova immagine dinamica ed originale. photoSHOWall è una gabbia visiva che moltiplica le possibilità del saper vedere” Davide Tremolada Intraversato



FA BBR I CA P OGGI

www.museovr.com



info@photoshowall.com www.photoshowall.com www.museovr.com


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.