Rivista lasalliana 1-2010

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La formazione dell’uomo in detenzione

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della propria attenzione la persona in stato di detenzione predisponendo «il trattamento penitenziario che deve rispondere a particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto. Nei confronti dei condannati e degli internati è predisposta l’osservazione scientifica della personalità per rilevare le carenze fisio-psichiche e le altre cause di disadattamento sociale (...). Per ciascun condannato ed internato sono formulate indicazioni in merito al trattamento rieducativo da effettuare ed è compilato il relativo programma (...)». Teoricamente l’enunciazione di questi principi rispecchia le convinzioni pedagogiche, psicologiche e criminologiche più accreditate; concretamente esistono carenze strutturali, impedimenti operativi e tendenze prevalentemente custodialistiche. Intanto sta acquisendo più spazio e più convinti sostenitori la cultura del controllo e dell’esclusione non solo dell’autore del reato, ma anche del deviante e dell’asociale ampliando la nozione stessa di reato e implicandovi la condizione individuale (ad es. la clandestinità). Il lavoro in carcere, escluso quello cosiddetto domestico che con qualche artificio contabile impegna il 10% della popolazione detenuta, si riduce ad una velleità e a una chimera: in Piemonte tutte le 10 carceri costruite dopo l’approvazione e l’applicazione della legge di Riforma penitenziaria del 1975 non hanno strutture che consentano l’espletamento di mansioni lavorative a un numero consistente di detenuti. Risulta sintomatico il modo in cui l’Amministrazione penitenziaria rileva i dati riguardanti la posizione lavorativa dei detenuti prima di essere carcerati: risulta invariabilmente negli anni una percentuale (che per il 2008 si attesta al 65,8%) molto alta nella colonna “occupazione lavorativa non rilevata”. Per le opportunità di istruzione e formazione professionale l’offerta delle proposte risulta più apprezzabile e consistente; tuttavia, se l’attenzione si sposta a considerare l’adeguatezza dell’ambiente e dell’efficacia del suo apporto nel processo rieducativo e formativo della persona, allora emergono tutte le difficoltà e le carenze strutturali. architettoniche, logistiche, dinamiche e relazionali di spazi e tempi organizzati per la gestione della pena, la custodia, la vigilanza, che surrettiziamente e fatte salve le esigenze di reclusione e sicurezza, si adattano per quanto possibile e in quanto compatibili ad accogliere programmi didattici e di formazione professionale. Alcune antinomie si ripresentano e ripropongono paradossi: un luogo di pena che si qualifica come privazione di libertà ed autonomia, può essere anche luogo di responsabilizzazione e di autonomizzazione delle scelte e delle decisioni? Se non esistono opzioni possibili, come si mostra la capacità di valutazione e discernimento, di preferenza? Anche l’accesso alle misure alternative è stato ridotto fino a quasi cancellare la fruibilità delle stesse misure. La situazione attuale risulta più critica a causa dell’immissione massiccia in carcere di nuove tipologie di detenuti, nonostante siano confermate le dichiarazioni che


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