di
Alfredo Somoza
Libretto vademecum per emigranti italiani verso il Brasile, Emigranti, leggete questi cenni prima di partire, Edizioni della Provincia di San Paolo, 1886
eldorado carioca Correva l’anno 1888 e il Brasile aboliva la schiavitù. Era l’ultimo Paese americano a chiudere un capitolo vergognoso della storia del continente durato più di quattro secoli. Improvvisamente le campagne si svuotarono, gli impianti per la spremitura della canna da zucchero rimasero senza braccia, le piante di caffè senza cure. Gli ex schiavi fuggirono dai luoghi dove avevano conosciuto solo fame e frustate per accalcarsi nelle città. Il Brasile di fine Ottocento doveva dunque risolvere il problema della manodopera rurale. La soluzione abitava in Italia, più precisamente in Veneto, dove gli agenti del governo carioca trovarono un popolo mansueto e disposto a tutto per fuggire dalla fame. Furono un milione e mezzo gli italiani che nei successivi quarant’anni arrivarono in Brasile. Un esodo biblico, si direbbe oggi. Solo a partire dal 1970 il saldo migratorio italiano è diventato positivo. Fino a quel momento, a partire dall’inizio del secolo, l’Italia era stata terra di emigranti. Ora si era trasformata in una potenza economica, mentre molti degli Stati che un secolo prima avevano ospitato europei in fuga erano diventati a loro volta luoghi dai quali si scappava, per motivi politici o economici. Altro giro di ruota, e negli anni Duemila i Paesi emergenti cominciano a conquistare un ruolo da protagonisti sulla scena globale. Nel 2011, dopo la Cina, il Brasile entra nel gruppo delle prime potenze mondiali superando il Pil di Italia e Regno Unito. La potenza sudamericana è un Paese in piena crescita: ha da poco ottenuto un upgrade da Standard & Poor’s e ha un bisogno urgente di figure professionali specializzate. Per questa ragione il governo della presidentessa Dilma Roussef sta mettendo a punto una legge che faciliterà l’immigrazione e che dovrebbe consentire a quattrocentomila professionisti stranieri altamente qualificati, preferibilmente europei disoccupati, di lavorare nelle imprese brasiliane. Nel primo semestre 2011, il numero di immigrati approdati nel gigante sudamericano è cresciuto del 52,4 per cento; il motore di ricerca lavoro Monster conta ottantamila curricula di professionisti europei che si rivolgono al mercato brasiliano. Per quanto riguarda l’Italia, a spingere molti a guardare nuovamente verso l’America Latina sono la crisi economica e le scarse prospettive di impiego. Certo, oggi non è facile pensare di tornare a navigare le vecchie rotte dell’emigrazione; eppure la veloce industrializzazione di zone fino a ieri poverissime (come il Pernambuco, dove la Fiat sta aprendo la sua quarta fabbrica brasiliana) genera una domanda di manodopera qualificata e di tecnici di alto livello che in quelle terre non è disponibile, mentre in Italia la stessa manodopera viene lasciata per strada dalle aziende in crisi. Se gli italiani torneranno davvero a emigrare in Brasile, si ripeterà un ciclo storico che sembrava chiuso per sempre. La crisi economica che sta riscrivendo il nostro futuro si prepara a regalarci un’altra grande sorpresa.
[fototeca storica nazionale ando gilardi]
buen vivir
K