Sbancor - American Nightmare

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Sbancor

American Nightmare Incubo americano

Prefazione di

Valerio Evangelisti


Prima edizione: Maggio 2003 Š 2003 Nuovi Mondi Media srl, e-mail: info@nuovimondimedia.it Sito Internet: www.nuovimondimedia.it Tutti i diritti riservati Titolo: American Nightmare - Incubo Americano Autore: Sbancor Prefazione: Valerio Evangelisti Redazione: Gabriella Canova, Antonio Imparato, Laura Malucelli, Roberto Vignoli Copertina: Nuovi Mondi Media Grafica e impaginazione: Gabriella Canova, Laura Malucelli


Prefazione Sbancor, o dello stimolo al ragionamento Sbancor, rispetto ad altri uomini del mondo finanziario divenuti noti sotto pseudonimo, ha una caratteristica: sa scrivere. I suoi interventi, ormai notissimi a chi frequenta i siti di Internet “alternativi”, “antagonisti” e di controinformazione, non sono mai fredde rassegne di dati e di interpretazioni. In essi, alla lettura critica degli eventi economici e all’esposizione delle connessioni che permettono di intenderne il significato, si sommano riferimenti alla storia, all’esperienza personale, a fatti di cronaca trascurati o non valorizzati il giusto. Sbancor è, in questo senso, una straordinaria macchina per la conservazione della memoria o, se vogliamo usare un esempio più pittoresco, il guardiano di uno di quei pannelli su cui, negli uffici o in qualche scuola, vengono fissati gli appunti con puntine da disegno. Normalmente, dei più ingialliti tra quegli appunti ci si scorda. Sbancor invece li ha tutti presenti e, quando occorre, interviene a illustrarcene una possibile coerenza. Più suggerendola, però, che cercando di renderla totalmente visibile. Il margine di autonomia lasciato al fruitore è ciò che, oltre alla competenza, distingue Sbancor dalla specie in crescita anche in Europa dei cultori di teorie cospirative. Laddove questi ultimi accordano pari dignità a un articolo di giornale, a una foto appannata e a una comparazione statistica, per poi correre immediatamente alle conclusioni, Sbancor privilegia le fonti solide e le espone in ordine apparentemente casuale, limitandosi a lasciare intuire il quadro capace di dimostrarne l’organicità. Il metodo dei primi (i Maurizio Blondet, i Thierry Meyssan ecc.) deve molto al cosiddetto “negazionismo” 3


dell’Olocausto, con la sua puntigliosità resa inane dall’assenza di uno sfondo credibile. Al contrario, il metodo di Sbancor non dimentica mai la cornice di verità, storica e umana, che sola può dare rilievo al particolare; tanto che ogni volta che può ricorre all’espediente narrativo, capace di riportare in primo piano, sia pur sommessamente, valori, scelte di campo e contraddizioni. Contrariamente al vocabolario usuale, la metodologia dei “cospirazionisti” è induttiva (dal particolare al generale), mentre quella di Sbancor è deduttiva (il contrario), ciò che è molto raro quando si parla di economia. E di impostazione deduttiva è questo libro, che, conformandosi allo stile dell’autore, miscela materiali apparentemente incompatibili: riflessioni di ampia portata e ricordi individuali, analisi rigorose e brandelli pudicamente accennati di storie d’amore, fino a concludersi col saluto a pugno chiuso a un amico ex partigiano appena morto, e con il ritorno, subito dopo, in quell’America adorata e detestata in egual misura (a seconda che si parli della vita delle persone o del sistema politico ed economico che la governa). Il libro esce a ridosso della conclusione apparente di un’ennesima avventura coloniale statunitense: la conquista di un Iraq semi-distrutto a furia di bombe, per impiantarvi qualcosa di ancora imprecisato, ma utile ai fini di una marcia di terra verso il nemico del futuro: la Cina. Sbancor prende ovviamente ispirazione dall’evento, ma fa molto di più. Con l’aria disinvolta di chi getti sul tavolo da gioco le carte che ha in mano in un ordine che sembra casuale, fornisce strumenti utili alla lettura sia del conflitto in corso, sia di quelli pregressi, sia di quelli verosimilmente ipotizzabili per l’avvenire. In pratica smonta pezzo per pezzo, con perfida lentezza, le logiche e le strutture dell’apparato militare, politico ed 4


economico statunitense. Fino a disseppellirne, sempre con esibita svagatezza, le origini più remote, iscritte nel codice genetico di un apparato di Stato solo in parte giustapposto alla nazione (e qui sarebbe utile confrontare certe ipotesi di Sbancor con il libro, appena tradotto in Italia, di Francis Jennings La creazione dell’America, Einaudi, 2003, che data certe tendenze addirittura alla Rivoluzione Americana). Personalmente, da lettore casuale e dilettante di questi temi, sono convinto che chiave fondamentale per capire il presente sia, oltre agli eventi politici, il silenzioso spostamento d’accento, nel corso degli anni Ottanta e soprattutto durante la presidenza Reagan, dall’economia produttiva all’economia finanziaria. Fu il periodo in cui il volume degli scambi di borsa crebbe fino a equivalere, quotidianamente, al bilancio annuale di uno Stato di medie dimensioni; in cui banchieri o personaggi legati alla finanza assunsero in tutto l’Occidente funzioni direttamente politiche; in cui si cominciò a concepire l’unione europea in chiave esclusivamente monetaria, con i governatori usciti dalla dissoluzione delle banche nazionali in posizione di leadership assoluta, sottratta a ogni controllo; in cui si ridisegnò la mappa del mondo cancellandone le porzioni divenute poco interessanti, al di là del possesso o meno di materie prime: quasi tutta l’Africa, parte dell’Asia, una larga porzione dell’America Latina. Era il compimento del processo che il bistrattato Marx, e dopo di lui l’ancor più bistrattato Kautsky, avevano previsto: l’astrazione assoluta della moneta, ormai svincolata da ogni processo concreto di produzione e scambio. Ideale per un connubio con la circolazione di beni immateriali quali la comunicazione, l’informazione, l’ “idea” di merce senza riferimento al valore d’uso. Era logico, a quel punto, che il comando passasse a chi 5


creava moneta virtuale a suo arbitrio (gli Stati Uniti) e, pur non producendo praticamente nulla, era padrone incontrastato del mercato immateriale; e ciò ancor prima della caduta del muro di Berlino. Dopo si trattava solo di distruggere, senza pretese di colonizzazione reale, oasi di resistenza al dominio dell’economia astratta. La Jugoslavia, per esempio, attardata su un modello inutile di economia parzialmente socialista. Diveniva d’obbligo favorirne la scissione, poi distruggerne le schegge troppo grosse. La Somalia, attestata su una posizione geografica in cui l’economia materiale aveva troppo peso. L’Afghanistan, possibile passaggio per oleodotti che forse non saranno mai realizzati, ma la cui potenzialità, reale o virtuale, incide sugli equilibri finanziari. L’Iraq, che pompi o non pompi petrolio, lo mandi o meno negli Stati Uniti, è del petrolio la raffigurazione. L’importante non è disegnare una carta geografica dello stesso colore: ciò che conta è farvi dei buchi dove esistevano sfumature cromatiche troppo intense. Di ostacolo a un Occidente che ha ormai affidato il potere politico, proprio e sul mondo, a quello economico, e in primo luogo a quello finanziario. Quella che avanzo è naturalmente una mera ipotesi, da prendere con le molle. Ma se anche una minima porzione di essa trovasse rispondenza nei dati della realtà, sarebbe da salutare con entusiasmo il fatto che un uomo come Sbancor stia dalla parte di chi il sistema non lo accetta. E che, con la sua cultura e le sue conoscenze, fornisca alimento a riflessioni forti in un periodo in cui anche il pensiero antagonista sembra tendere all’immaterialità, tanto è esangue. Valerio Evangelisti 6


Quello che stiamo vivendo è l’ultimo atto di una storia maledetta iniziata circa cinquant’anni fa. È la storia della mia generazione. Quella che nessuno ti racconterà mai per intero. Quella che nessuno vuole ascoltare. Quella che neanche io sono pronto a scrivere…

AMERICAN NIGHTMARE INCUBO AMERICANO 11 settembre 2001. Telefono privato. Numero non nell’elenco. Prima telefonata: New York 8.30(EDT)

«Hello.» «Hello.» «Ted, ben svegliato… che cazzo vuoi a quest’ora?» «Youssuf dice di accendere il televisore.» «Sì, e...?» «Dice di accenderlo fra un quarto d’ora.» «E che altro cazzo dice Youssuf?» «Niente. Non dice un cazzo di niente, per ora. Richiamami dopo.» «Ok.» Seconda telefonata: New York 9.07(EDT)

«Ted, Ted mi senti, Ted ce n’è… Dio… Ce n’è un secondo. Un secondo fottuto aereo… da dove sbuca questo fottutissimo secondo aereo… Cristo ce n’è un altro… Dio, cazzo Ted, da dove escono quest’altri fottutissimi aerei! Ted…Ted.» «Cazzo!» 7


Rumori sulla linea. «Ted, cazzo… cosa succede eh? Dimmelo testa di cazzo! Cos’è questo altro aereo di merda, eh!?! Chi aveva parlato di un secondo fottutissimo aereo?… Ted…Ted! Dio… Ted, di’ qualcosa Ted, ci sei?» «Merda!» «Ted! Oddio dimmi qualcosa, Ted che succede?» «Fottutissima merda islamica!» Fine della comunicazione.

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Buenos Aires, dicembre 2002 “Il bastimento avanzava lentamente nel grigio del mattino tra la nebbia Sull’acqua gialla di un mare fluviale. Appare la città grigia e velata. Si entra in un porto strano. Gli emigranti Impazzano e inferocian accalcandosi Nell’aspra ebbrezza di una imminente lotta. Da un gruppo d’italiani che è vestito in un modo ridicolo alla moda Bonearense si gettano arance Ai passanti stralunati e urlanti. Un ragazzo del porto leggerissimo Prole di libertà, pronto allo slancio Li guarda colle mani nella fascia Variopinta ed accenna ad un saluto. Ma ringhiano feroci gli italiani.” Dino Campana1

Dormire. Riposare e dormire sotto un lenzuolo bianco, mentre le gocce della flebo scendono piano nel braccio. Aria calda e una pala che la agita, stanca. Buenos Aires a dicembre. Un posto del cazzo per una convalescenza. Riposare e dormire. Ormai non c’è altro da fare. Forse non c’è mai stato niente da fare. Se provo a ricordare, la realtà prende i colori dell’incubo. American Nightmare, l’incubo americano. Sorrido, con aria deficiente, all’infermiera che mi cambia l’ago. Mi sorprendo a sognare che la flebo sia piena di vodka. Bianca. Absolut. Vodka svedese. Quella russa è imbevibile dopo il crollo del Muro. Vodka bianca. Indistinguibile dal liquido che mi scorre nelle vene. (1) Buenos Aires, Inediti, Vallecchi, 1942

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American Nightmare. Mi ha perseguitato per un anno. Ora voglio solo riposare e dormire. Non c’è più niente da fare. Non c’è mai stato niente da fare. Eppure quelle voci che provengono dalla storia continuano a martellarmi il cervello. Riappaiono crudeli, spietate, ogni volta che cerco di non ascoltare. No. Sono ancora dentro la storia, e non c’è tempo per riposare e dormire. Allungo una mano sul comodino. Pile di carta. I miei appunti. Ne tiro fuori uno a caso. La fine del pensiero unico: dalla crisi del neo-liberismo ai nuovi scenari geo-politici di Sbancor (28 agosto 2001) Warfare against Welfare: la posta in gioco. La posta in gioco è alta. Per l’establishment imperiale si tratta di restituire al capitalismo internazionale l'ultima chiave per poter uscire da un ciclo recessivo che si annuncia lungo. Questa chiave si chiama Warfare. Il Warfare non necessariamente è guerra, anche se ogni tanto qualche guerra è pur necessaria per smaltire le scorte d'armi e giustificare i nuovi investimenti. Il Warfare è un complesso militare industriale e di intelligence e insieme una politica economica. La possibilità di iniettare liquidità nel sistema mirata direttamente a investimenti in tecnologia che possono perpetuare la supremazia imperiale. Da un punto di vista economico il Warfare è molto più efficace del Welfare. È più selettivo, permette di distribuire i soldi fra gli amici, stimola l'innovazione tecnologica, evita politiche sociali imbarazzanti, ha minor impatto sull'inflazione e indirizza la domanda del Terzo mondo verso un prodotto, come le armi, che assicura la sopravvivenza agli wasp (white anglosaxon protestant), dimostrando inoltre l'inutilità delle politiche di aiuto a un terzo mondo barbaro e crudele. 10


Il Warfare va continuamente alimentato da visioni geopolitiche. È questo il “grande gioco”, la scacchiera, come dice Brzezinsky, dove giocare lo scontro fra le civilizzazioni.2 E che sulla scacchiera sia tornato un "old fellow" come Henry Kissinger rende il gioco particolarmente pericoloso. L'America, almeno dal tempo di Bush senior, sta cercando di superare un ostacolo psicologico: la sindrome del Vietnam che gli impedisce di far funzionare sul serio il Warfare. Ci è quasi riuscita con la guerra del Golfo e con il Kossovo. Dove potrà provare una prossima “guerra”? La Palestina è la miccia. Sempre accesa. Chi ha provato a spegnerla ha fatto una brutta fine, come Rabin. Quanto è lunga la miccia e fino a dove può bruciare? La polveriera non è in Medioriente. Il Medioriente al massimo è la seconda parte della miccia. La polveriera è in un punto imprecisato delle frontiere della cosiddetta area “turanica” (Iran, Afghanistan, Tagikistan, Khirghisistan, Azerbaijan, Uzbekistan, Pakistan). Da secoli è il ventre molle della Russia, ma (attenzione) è il ventre molle anche della Cina. Dalle etnie Uigure (turche) si risale verso lo Xin Xiang (Cina): il più grande bacino minerario e petrolifero del mondo. Da lì si controlla tutta l'Eurasia. Si controllano le “pipe lines” del terzo millennio. Da lì passano le vie della droga. Da lì passano i mercanti di schiavi che riforniscono le industrie e i commerci di tutto il mondo. La “Via della Seta”. La Via della Seta però incomincia a Gerusalemme. È qui che i “fondamentalisti” di tutte le religioni da millenni hanno segnato il luogo della battaglia fra le “civi(2) S.Huntington: “The Clash of Civilisation and the Remaking of World Order”, 1998.

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lizzazioni”: la piana di Armageddon. Sì, lo so: può sembrare follia. Che c'entrano gli interessi economici con le antiche leggende? C'entrano. Il denaro è il terreno del simbolico. Quando non può nutrirsi di numeri deve nutrirsi di sangue. Oggi il dibattito alla corte imperiale è se consentire Armageddon e accendere la miccia che brucerà fino al centro dell'Eurasia, oppure no. A favore ci sono fondamentalisti ebraici e gli ultraprotestanti millenaristi. C'è Richard Armitage e i vecchi delinquenti della CIA, gli ultimi di Phoenix, quelli dello scandalo Watergate e Iran-Contras (vedi schede a pagina 13) quelli che hanno armato i talebani. Contro ci sono gli ebrei democratici, che hanno il terrore che Israele venga sacrificata sull'altare dell'"Impero", i cattolici, i pacifisti, i leftist americani. I democratici di Clinton avevano preferito la più nota via dei Balcani. Puntavano anche loro verso il centro dell'Eurasia, ma volevano arrivarci con le bandiere della “democrazia”, la Nato, gli Europei. E, soprattutto, non volevano problemi con la Cina. Anzi, volevano pacificare tutto il Pacifico. Bush no. Ha bloccato qualsiasi accordo sulla riunificazione delle Coree, ha ripreso le “guerre stellari” e, soprattutto, odia gli ebrei. Finora ha trattenuto Sharon, che voleva attaccare durante il G8. Poi i russi sono entrati anche loro nella partita e per la seconda volta in un mese (agosto 2001) si è evitata la guerra in Cisgiordania. Per quanto a lungo reggerà? Può sembrare incredibile: ma gli unici che possono fermare il prossimo carnaio siamo noi, la moltitudine in marcia da Seattle. Per questo devono eliminarci prima. E soprattutto rompere la miracolosa unità fra le diverse anime del movimento. Ancora una volta “si può quello che si fa”. 12


LO SCANDALO WATERGATE La notte del 17 giugno 1972 cinque uomini furono sorpresi nella sede del comitato elettorale del partito Democratico (in un edificio denominato Watergate) dove avevano messo a punto un piano segreto finalizzato all’intimidazione e allo spionaggio a danno degli avversari politici. I cinque uomini erano: Bernard Baker, Virgilio Gonzalez, Eugenio Martinez, James W. McCord Jr e Frank Sturgis. Uno di questi uomini, McCord, ammise subito di lavorare per la CIA. La questione venne resa pubblica dal quotidiano Washington Post. Il Presidente Nixon si dichiarò estraneo ai fatti ma risultò che aveva ordinato all’Fbi di interrompere le indagini sul caso, cercando in ogni modo di insabbiare lo scandalo. A questo punto si vide costretto a dimettersi. Il suo successore, Gerald Ford, gli condonò tutti i crimini e lo rese immune all’azione delle autorità giudiziarie federali. Questo permise a Nixon di continuare a lavorare dietro le quinte della Casa Bianca, nel ruolo di consigliere politico, per altri 15 anni. L’AFFARE IRAN-CONTRAS L’amministrazione del Presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, fu scoperta a vendere segretamente armi all’Iran, coinvolto in una guerra sanguinosa con il vicino Iraq tra il 1980 e il 1988. Il ricavato dalla vendita veniva poi deviato ai “Contra”, ribelli che combattevano per abbattere il governo Sandinista del Nicaragua. Il movimento Sandinista aveva ottenuto il massimo dei voti alle elezioni, convalidate da osservatori internazionali indipendenti, ma l’amministrazione Reagan, che non vedeva di buon occhio un partito che considerava vicino all’Unione Sovietica e a Cuba, definiva “fraudolente” le elezioni nicaraguensi. Sia la vendita di armi all’Iran che il finanziamento ai ribelli del Nicaragua erano contrari agli atti del Congresso e in contrasto con le decisioni dell’ONU. L’operazione segreta venne scoperta quando un aereo pieno di armi destinate ai Contra cadde in Nicaragua. Reagan dichiarò di non essere a conoscenza di questa operazione e non si poté accertare il grado di coinvolgimento del Presidente statunitense perché i documenti relativi al traffico risultarono introvabili o vennero preventivamente distrutti. Il Presidente venne comunque accusato di non aver saputo controllare gli

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uomini a lui più vicini e vennero alla luce prove del fatto che la CIA si trovava coinvolta anche in un traffico di droga per ottenere fondi da destinare ai Contra. IL PROGRAMMA “PHOENIX” Il Programma “Phoenix”, diretto da Ted Shackley, fu condotto nel Vietnam del Sud a partire dal 1968. L’intento era quello di uccidere o catturare i membri civili del Fronte di Liberazione Nazionale. A tal fine la CIA reclutò e organizzò squadre di militari e paramilitari sudvietnamiti con il compito di eliminare i civili che appoggiavano i Vietcong. Una quota di civili, sospettati di essere sovversivi, da uccidere e torturare veniva assegnata ogni anno agli alleati sudvietnamiti riluttanti: per il 1969 dovevano essere 1800 al mese.

Mi viene da ridere. Questo testo andò sulla Rete. Qualcuno disse allora che ero un profeta. Solo perché avevo messo un dito su una carta geografica e avevo detto: qui. E in quel dannato posto scoppiò la terza guerra mondiale. La guerra infinita. Un profeta è qualcuno che sa come la storia finisce. Io al massimo conosco com’è iniziata. E già questo è inverosimilmente troppo… E poi… e poi so di essere stato usato, di essere stato solo una pedina, di aver provato a giocare, senza avere le carte. E qualcuno per questa, come dire, leggerezza, ora sta sotto qualche metro di terra. Qualcuno molto diverso da me, qualcuno che rispettavo. Quello che per gioco chiamavo “l’ultimo americano”, o come diceva lo pseudonimo: il Gen. Sherman. La pala del ventilatore batte l’aria calda. La “vodka” della flebo continua a fluire. Ora non ho più sogni, non ho più visioni. Ora non so più dove andrà la storia. E, se ve lo devo dire con franchezza, non mi interessa più. Guardo la flebo e penso che sarà così, quando me ne andrò sul serio. Sarò più vecchio, forse, sicuramente non sarò poi molto più saggio di adesso. Starò a guardare la 14


flebo scorrere come la vita. La mia. Troppo lunga o troppo breve, non so. Certo forse non è proprio come l’avevo sognata. Ma non è stata neanche troppo diversa. Ora ricordo solo visi di donne. Alcune me le porterò dentro per sempre. Come André Breton ripenserò a tutte le donne che ho amato e mi accorgerò che si raccolgono tutte in unico viso: l’ultima. Come mio padre lascerò degli scritti, appunti ingialliti, tracce per cercare di decifrare una storia, ormai dimenticata… Forse li guarderanno incuriositi i miei nipoti. Poi più nessuno. E allora sarà veramente finita per sempre. Ma per adesso vivo ancora, e ciò mi impone, come dire, degli obblighi sociali. Fra cui quello di continuare questa “storia”. Guardo la data sul calendario vicino. È passato tanto tempo da Genova G8. Sembrano almeno dieci anni. Che c’entra con Genova un banchiere di mezza età? Perché detto banchiere sta in un letto di una clinica privata a Buenos Aires per una ferita d’arma da fuoco? Perché l’ultimo legame con il mondo sono migliaia di messaggi firmati Sbancor sulla rete? E pensare che non sono neanche stato a Genova, colpito da sciatalgia e dall’idea di dover dormire in tenda. Ma ho visto abbastanza per capire. Come al solito troppo tardi.

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“Poi che la nube si fermò nei cieli, Lontano sulla tacita infinita Marina Chiusa nei lontani veli, E ritornava l’anima partita Che tutto a lei era già arcanamente illustrato del giardino il verde Sogno dell’apparenza sovrumana De le corrusche sue statue superbe: E udiì canto udiì voce di poeti…” Dino Campana3 Genova era una trappola. Una trappola preparata da mesi. Inutile chiedersi chi ha preparato la trappola, quando ci sei con i coglioni dentro. Può valere la pena di ricordare che c’era uno stesso capo della polizia prima e dopo Genova, con due governi diversi? Che i poliziotti italiani erano stati addestrati all’antisommossa dalla L.A.P.D., la polizia di Los Angeles, quei bravi giovanottoni americani che da Watts4 in poi sanno trattare i riots5 e i negri? Guardavo la televisione italiana, le facce sanguinanti dei manifestanti e in realtà stavo guardando l’America di trenta anni fa: “Fragole e Sangue”. L’incubo americano. Lo stesso incubo che l’11 settembre trasformerà d’improvviso il mondo in un inferno. C’erano piccole tracce lasciate sulle strade insanguinate di Genova. Tracce che portavano lontano, ma che nessuno degli inquirenti e tantomeno dei giornalisti si era provato a seguire: furono i ragazzi di Indymedia a trovarle. Era un’indagine a più mani che per giorni rimbalzò su Indy. Eccone una sintesi. Praticamente i ragazzi avevano ricostruito la catena di (3) Genova, 1942. (4) Quartiere di Los Angeles a predominanza nera. Nel 1992, dopo l’aggressione del nero Rodney King i poliziotti bianchi uccisero 51 dimostranti neri. (5) Scontri di quartiere.

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comando dei carabinieri quando venne ucciso Carlo Giuliani. Si era sempre parlato di “inesperti”. E invece chi trovavamo? Il Ten. Col. Truglio. E chi cazzo è Truglio? Era uno del Tuscania che stava in Somalia. Già, uno di quelli di cui si dice che si divertivano a collegare i cavi delle batterie ai genitali dei “terroristi” somali. E insieme a lui c’era il Capitano Cappello, anche lui delle “brigate somale”. Coincidenza? Erano loro i diretti comandanti di Placanica, il presunto killer di Giuliani. Dico presunto perché una foto dimostrerebbe che Placanica era già fuori combattimento, sanguinante dalla testa e sul fondo della jeep, quando qualcuno sparò a Carlo. Legittima Difesa. Eh già, ma difesa di chi? Non di Placanica che forse non ha sparato. Comunque il fatto è che a capo degli “inesperti”, dei “ragazzini” in balia dei pericolosi sovversivi, stava il gotha del Tuscania. Gli Imperiali. Quelli che si son fatti il Kossovo, la Bosnia, l’Albania e la Somalia. Somale comprese. Altro che inesperti: quella è la Legione Straniera! La cosa che mi colpì di più, nel dopo-Genova, fu che nessuno tirò in mezzo il capo della polizia: De Gennaro.

Placanica

Mano con pistola 17


L’uomo che aveva organizzato il tutto sotto il governo Amato (centrosinistra) e lo aveva realizzato in quello di centrodestra (Berlusconi). Quando una scelta è così bipartisan c’è da sospettare che il potere dell’uomo sia al di sopra delle parti. Che appartenga cioè a una parte “terza”. Trovo una scheda, pubblicata su una rivista, Scirocco. L'AMERIKANO È Giovanni De Gennaro, il capo della polizia che piace tanto agli americani. Dopo Genova, il principale indiziato a sloggiare dal Viminale. E invece, è proprio il suo potere ad uscire nettamente rafforzato dal tourbillon di nomine, spostamenti e defenestrazioni che ha scosso la PS. È un vero paradosso ma -contrariamente a quanto sostiene qualche osservatore poco addentro alle cose del Viminale- ad avvantaggiarsi del disastro tecnico, politico, e militare di Genova è stato -ancora una volta- proprio lui, il responsabile numero uno dell'ordine pubblico in Italia, il capo della Polizia, “il poliziotto che tutto il mondo ci invidia” (per ricordare solo un'avventata, o forse ingenua, definizione di Luciano Violante). Gianni De Gennaro è almeno per il momento- il "grande vincitore" della battaglia di Genova. Se riuscirà a resistere alle pressioni che -in seno alla maggioranza- vengono da settori di Alleanza nazionale e che vorrebbero le sue dimissioni, De Gennaro non solo sarà restato in sella dopo la mattanza del G8 -cosa inimmaginabile in qualsiasi altro paese europeo- ma con un colpo solo si sarà liberato di due stretti collaboratori che non gli sono mai piaciuti e che gli erano stati messi al fianco -imposti si può dire- nonostante le sue resistenze: il suo vice Ansoino Andreassi e il capo dell'Ucigos Arnaldo La Barbera. Infatti, contrariamente alla retorica in voga in questi giorni sulla stampa nazionale che dipinge l'"eroica squadra antimafia" -composta da De Gennaro, la Barbera e Gratteri, con l'aggiunta "ad honorem" di Andreassi- unita dalle medaglie guadagnate sul campo e da un inscindibile patto di intenti, la realtà è ben altra. In realtà sia Andreassi che La Barbera non hanno mai avuto un grande feeling con De Gennaro e la loro defenestrazione è un piccolo successo del capo della polizia. Ansoino Andreassi -che nei corridoi del Viminale viene chiamato "il comunista" perché ha sempre avuto ottimi rapporti con uomini politici

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del PCI prima e dei DS dopo (e questo spiega anche la rapidità della sua rimozione)- fu nominato per diretto intervento della sinistra. E De Gennaro non ha mai gradito i canali privilegiati che Andreassi aveva a livello governativo. Su Arnaldo La Barbera il discorso è più complesso. Con De Gennaro le cose non sono mai andate bene: tutto cominciò nel lontano maggio del 1989 quando, nei sobborghi di Palermo, l'allora capo della squadra mobile del capoluogo siciliano La Barbera arrestò Totuccio Contorno, assieme a Tommaso Buscetta, il più importante dei "pentiti" dell'epoca. Giunto in Sicilia con il benestare di De Gennaro, allora tra gli uomini al vertice della Criminalpol, Contorno -a rischio della propria vita- si trovava a Palermo da almeno un mese, all'insaputa dei magistrati, ma non si è mai saputo a fare cosa. La Barbera lo ammanettò mentre era ospite della famiglia mafiosa dei Grado, in una zona in cui era in corso una guerra all'ultimo sangue con i corleonesi che avevano lasciato sul terreno una decina di loro affiliati. Il sospetto avanzato in una serie di lettere anonime ("le lettere del corvo di Palermo") fu che Contorno fosse stato spedito in Sicilia da De Gennaro -fin da allora ritenuto un poliziotto piuttosto spregiudicato- con la licenza di uccidere, allo scopo di eliminare i più pericolosi latitanti di Cosa nostra. Le "lettere del corvo", erroneamente attribuite al sostituto procuratore di Palermo Alberto Di Pisa, gettarono brutte ombre su De Gennaro, anche perché in sede processuale saltò fuori che esistevano oltre novemila pagine di intercettazioni telefoniche intercorse fra De Gennaro e il "pentito" in trasferta in Sicilia. Quelle migliaia di pagine sono tuttora coperte dal più rigoroso riserbo. Un'operazione, quella dell'arresto di Contorno da parte di La Barbera, mai chiarita, e che spinse De Gennaro ad accusare La Barbera di aver messo in difficoltà tutta la Criminalpol. Va aggiunto che La Barbera -questore a Palermo, Napoli e Romaproprio nella capitale, a causa del suo brutto carattere (è uno che non guarda in faccia a nessuno), si era fatto diversi nemici fra i funzionari più vicini a De Gennaro. Sono proprio di Andreassi, "il comunista" e di La Barbera -assieme a quella decisamente meno importante del questore di Genova Francesco Colucci- le prime teste cadute al termine dell'inchiesta amministrativa avviata dal ministro dell'Interno Scajola.

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A condurre quell'inchiesta, De Gennaro aveva incaricato tre ispettori, guarda caso, tre suoi fedelissimi, che non lo hanno per niente deluso: Pippo Micalizio, Salvatore Montanaro e Lorenzo Cernetig. Il risultato finale è che il capo della Polizia Gianni De Gennaro, nominato dal Governo di centro-sinistra con il pieno avallo dell'opposizione di centro-destra e, soprattutto, molto sponsorizzato dagli americani, dopo Genova -smarcatosi da Andreassi e La Barbera- vede aumentare a dismisura il suo potere, specie se riuscirà a portare in porto altre due operazioni: la prima è la nomina a suo vicario di Antonio Manganelli (come avvenuto, ndr.), già vice capo della polizia, a lui legatissimo proprio a partire dai terribili giorni del "corvo di Palermo". De Gennaro potrà parlare di en plein se il posto di La Barbera dovesse andare ad Alessandro Pansa (capo delle polizie specializzate) altro suo fedelissimo, anche lui fin dai giorni dell'affare Contorno. De Gennaro ha comunque tempo fino all'autunno per far dimenticare Genova e ricollocarsi a dovere. L'importante è riuscire a superare la pausa estiva del Parlamento. Altrimenti per lui -male che vada e soprattutto altri governi europei permettendo- è già pronta una poltrona: quella di capo dell'Europol, la nascente polizia dell'Unione Europea. (…)

Dalla strada di Buenos Aires giungono le grida dei cace rolados. Que se vajan todos! Le signore della media borghesia distruggono metodicamente i bancomat con i tacchi a spillo e le scarpe impugnate come un martello. Que se vajan todos! Le vetrate delle banche cadono in frantumi, ancora una volta. Que se vajan todos! Guardo di nuovo le pale battere. Come nella prima scena di Apocalypse Now. Guardo le pale e sento il richiamo della “strada” e della “giungla metropolitana”. Guardo la flebo. Prendo in mano gli appunti e una penna… ricomincio a scrivere… Que se vajan todos!

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“…dai segreti dedali uscii…. Come un ignoto turbine di suono Tra le vele di spuma udivo il suono. Pieno era il sole dei Maggio” Dino Campana

Arcipelago Toscano: “Bagno delle Donne”. 11/9/2001 Italia Portai alle labbra il boccale di birra. Bevvi un sorso, gustando prima la schiuma leggera. Continuai finché il liquido freddo non cominciò a togliermi la sete. Guardai quella linea sfocata che divideva cielo e mare. Un leggero vento piegava dolcemente verso Sud, fra la punta dell’Argentario e l’Isola del Giglio. Montecristo ora era solo un’ombra lontana. Più in là Corsica e l’Elba. Invisibili, ma sicuramente al loro posto. Sono al sicuro su questo scoglio. Lo chiamano il “Bagno delle Donne”, nome che riporta a quei pruriti del tardo cattolicesimo ottocentesco, dove l’erotismo si concentrava al massimo su una caviglia, e uomini e donne non potevano, insieme, godere del mare. Altri, e meno casti, godimenti avvenivano, come sempre stato e sarà, nel privato. Le nuvole all’orizzonte minacciavano pioggia. Domani. Prima deve girare a Scirocco. Mi piaceva questo mare ottocentesco, dove Dumas aspettò Garibaldi con il carico di fucili che sarebbero serviti a Calatafimi. Qui nell’Ottocento c’erano paludi selvagge piene d’uccelli e di malaria. Bastava andare un po’ verso l’interno e si ritrovava quella Maremma amara di briganti, anarchici e contadini, secchi come scheletri, che tremavano di febbre. Su una montagna, che si vedeva bruna in lontananza, era morto Davide Lazzaretti, “il Cristo dell’Amiata”. Fondatore del movimento giurisdavidico, forse l’ultimo di quegli eretici contadini che per quattrocento anni avevano corso l’Europa rimandando di caso21


lare in casolare il verbo “anabattista”. Omnia sunt com munia! Mistici comunisti, assai diversi dagli odierni D’Alema, Veltroni, Folena e giù, giù degenerando. Lazzaretti scendeva la montagna con i capelli lunghi, una veste bianca, salmodiando, mentre i bersaglieri di Sua Maestà il Re d’Italia sparavano. Sembrava non sentire i colpi e il rosso sangue che scendeva sulla sua veste. I bersaglieri sparavano ma avevano paura. Poi cadde a terra, morto. Ma per un istante sembrò che il miracolo si compisse e lui continuasse a scendere predicando dalla montagna la rivolta delle plebi. Vecchi tempi. L’occhiuta Toscana vota quasi compatta Forza Italia, e quel bischero del Lazzaretti se lo ricordano solo a Santa Fiora. Eppure qui si possono ancora respirare i secoli passati. Come la leggenda di quella castellana bella e dai capelli rossi rapita dai Saraceni e divenuta sposa del sultano. Quello stesso sultano, Solimano II, che a Lepanto vide la sua flotta andare a fondo, schiantata dai cannoni del Colonna. Ma c’era qualcosa di strano nell’aria… Sì, la radio… non stava trasmettendo la solita musica cialtrona, anzi parlava in inglese… Mi alzai, una delle mie solite vertigini… la pressione alta, per dio… “Attack on A m e r i c a” ma di che cavolo stavano parlando? Voci concitate, dal tipico accento yankee. Poi un urlo! “Goood! Oh my Gooood!…” La gente si guardava inorridita cercando di decifrare questa radio, questo insolito giornale… in diretta dall’America… “The second tower is crashing...” Intorno a me stavano tutti in piedi... guardai sbalordito una signora elegante con la radio in mano... La signora aveva le lacrime agli occhi... «Le Torri Gemelle, dice a New York… dio mio è una strage…» e continuava a piangere guardando il mare. Cortese, le offrii un cordiale. Più tardi, la voce di mia figlia… 22


«Papò, Meggy dice che è stato Osama.» «Allora sarà senz’altro vero.» «Chi è Osama?» «Un fanatico islamico. Uno che prima ammazzava i russi, e ora ammazza gli americani.» «Perché?» «Non lo so.» «Non ci credo. Tu sai tutto, ma non vuoi mai dirmelo!» Se ne andò arrabbiata, come solo i bambini sanno esserlo quando li deludi. Questa volta ero sull’orlo di una crisi di nervi. Tremavo, avevo le vertigini, la bocca secca. A volte mi succede. È come se la terra si mettesse a muoversi sotto i miei piedi. È come se il cervello cessasse di coordinare i movimenti. Le chiamano crisi di panico. Ma il cervello resta lucido. E mi guarda, disapprovando. In questi casi incomincio a pensare che sono di circa trenta chili in sovrappeso, che fumo troppo, che dovrei smettere di bere. E la crisi, immediatamente, si aggrava. Mi consolo pensando che Montagu Norman, il luciferino Governatore della Bank of England degli anni del Golden Standard, soffriva di attacchi peggiori. Visitato da Carl Gustav Jung fu considerato un caso senza speranza prossimo alla morte. Poco dopo fu fatto Governatore della Banca d’Inghilterra e governò la Sterlina per quasi mezzo secolo. Mai fidarsi degli psichiatri. E mai fidarsi dei banchieri centrali. Mi telefonò Paolo, pittore multimediale, mezzo napoletano e mezzo americano. «Che succede in Europa?» «Niente.» «Che ne pensi?» «Niente, non riesco a pensare…che notizie dagli States?» «Il Presidente non si sa dove sia, Cheney nemmeno, non 23


si sa se avremo altri attentati… c’è chi parla di colpo di Stato…» «E il quarto aereo?» «È caduto o l’hanno abbattuto… chissà.» «Povera gente. Com’è il clima politico?» «Brutto. Chillu Bush è nu’ sfaccimm’, sai quanto ci campa su ‘sta storia, chill e chillu fetentone do padre…» «Tu che fai?» «Torno in Italia, appena c’è un volo disponibile.» «Vabbuò. Statte accuorto, come dite voi…» «Figurati. A presto Sbancòr…» Ancora vertigini. L’emozione però in questo caso era reale: le due torri mi piacevano e forse avevo anche degli amici che ci lavoravano. “L’orrore non si ferma e forse ormai sarà impossibile fermarlo” pensavo. “È perché noi siamo cretini” ripetei, afflitto da una sindrome di Voltaire “tutto è calcolabile, tutto è deducibile, ma noi ci facciamo sempre guidare dalle emozioni. Non riusciamo a leggere neanche ciò che è scritto sui giornali, sulla rete, peggio, non riusciamo a capire neanche ciò che stiamo vivendo!” Il sonno della ragione genera mostri, aveva scritto un filosofo che non mi è particolarmente caro. Ma ormai ci sono solo mostri che abitano questo pianeta. Mostri e imbecilli. C’è da farsi un’overdose di Prozac a pensarci. Ci misi qualche giorno a tornare a Roma. Volevo che il mare lavasse tutto, che entrasse nel mio cervello, che mi togliesse le immagini della televisione. Appena entrato accesi il computer. Guardai Indymedia. Commenti. L’estrema sinistra balbettava le solite idiozie. Giustificando i morti con altri morti. Come se si trattasse di un’equazione a sommatoria: chi ha più morti vince! 24


Imbecilli di destra e di sinistra. I primi parlano di “guerra fra le civiltà”, i secondi di “guerra” fra Nord e Sud del Mondo. Ma Osama è uno sceicco miliardario che fino a ieri, e forse anche dopo, stava trafficando con gli USA, o almeno con pezzi importanti del loro governo. Imbecilli! Ecco cosa odio nella Sinistra Buonista e Terzomondista. Odio la doppia morale, i “sì… ma”, gli “è vero… ma non bisogna dimenticare che…”, i “purtuttavia”. Odio la ragioneria dei morti, l’amministrazione dei cimiteri, la necrofilia delle ragioni basate su cadaveri. E allora devo dirla tutta e fuori dai denti! Punto primo: i morti sono tutti uguali. L’amministrazione mediatica dei morti no, ma per fortuna non sono un giornalista. I morti vanno aggiunti e non sottratti alla macabra contabilità del “secolo”… Come le mama-san di My Lay6, come i ragazzi messicani della piazza delle Tre culture, come i cileni, gli argentini, i disgraziati abitanti del Nicaragua e di El Salvador, come i bambini iracheni, afghani… come quei poveri panamensi schiacciati sotto le bombe che dovevano regolare un conto fra due bande di gangster, quella di Noriega e quella di Bush senior. Come i ragazzi di Tienanmen. Sono loro, i morti per nulla, l’orrore negli ultimi anni del XX secolo… sono loro che continuano a morire nel XXI. Incomincio a invecchiare e non ricordo più tutte le immagini di occhi sbarrati, di sangue, di orrore di membra sparse, tagliate, bruciate che hanno fatto da sfondo alla mia generazione. Ricordo pochi nomi, pochi visi… so che tutto si sta corrompendo lì sotto terra, da qualche parte. So che lì, sottoterra, sono tutti uguali. Improvvisamente mi bloccai. Avevo visto su Internet qualcosa che non dovevo vedere: il timing dell’attacco. (6) 1968. Gli statunitensi compiono in Vietman il massacro del villaggio di My Lay ucidendo donne, bambini e vecchi indifesi.

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C’era qualcosa che non funzionava. Troppo tempo per la reazione: circa 75 minuti dal primo attacco al primo caccia che si è alzato in cielo. Non è possibile. Non è possibile attaccare il Pentagono e avere ancora mezz’ora di tempo prima della reazione. Ma c’era di più. Secondo la pur sommaria cronologia degli eventi ci furono 50 minuti fra il primo dirottamento a quando il Presidente venne informato. Comunque, fino alle 9.30 nessun aereo americano decollò per intercettare gli attaccanti... Gli aerei vennero dirottati intorno alle 8.15. Fino alle 9.30 non vi fu reazione delle forze aeree americane. Conoscevo una persona a cui fare una domanda. È Jack, un professore che insegna geopolitica agli alti gradi dell’Esercito. Jack porta delle strane cravatte a farfalla e un basco alla francese, inclinato da un lato, come i “parà” francesi nella guerra d’Algeria. «Jack, sono io» «Non mi chiedere nulla, nulla…» «Jack, c’è qualcosa che non mi torna.» «Solo qualcosa? Ho sempre pensato che manchi di fantasia…» «Jack, gli aerei…» «Sì…» «I caccia americani quando si sono alzati in volo e da dove?» «Bella domanda, davvero una bella domanda, il che contribuisce a rialzare le tue quotazioni che erano deprecabilmente basse.» «Qual era la base più vicina al Pentagono?» «Andrews.» «C’erano aerei in grado di prendere immediatamente il volo?» 26


«Sì.» «Lo hanno fatto?» «No, gli aerei che sono arrivati su Washington venivano da Langley, Virginia, 129 miglia a sud.» «Rifacciamo i conti: a che ora c’è l’esatta cognizione di un attacco in corso?» «Dunque, il primo sospetto è alle 8.20. È il volo 11 da Boston, quello che colpirà il World Trade Center intorno alle 8.45.» «Il volo n.77, quello che colpisce il Pentagono, a che ora arriva sull’obiettivo?» «Alle 9.45. In realtà era andato verso l’Ohio, poi ha virato intorno alle 8.55 in direzione di Washington, ora in cui le Forze Aeree Americane hanno dato l’ordine di chiusura del corridoio aereo da Cleveland a Washington.» «Cioè, mi stai dicendo che dal primo impatto al WTC all’attacco al Pentagono a Washington passa praticamente un’ora, e che dalla virata dell’aereo che colpirà il Pentagono al suo arrivo sull’obiettivo oltre 50 minuti?» «Sì, è stato stimato un tempo di reazione di 75 minuti per i primi decolli.» «Non è possibile! In 75 minuti il tempo di prima reazione… O sono matti o…» «O…» «Non lo dire…» «Dillo tu allora…» «Passo…» «Passo e chiudo.»

Gen. Myers

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Il cervello mi andava a duemila. Non si può pensare l’ipotesi che… che qualcuno sapesse… che qualcuno avesse consentito l’attacco… Quell’ipotesi, che qualche mese dopo sarebbe rimbalzata ovunque sulla Rete, adesso era solo uno di quei maledetti tarli che ti rodono da dietro. Riguardavo i dati: sì c’era qualcosa che non tornava. Nella mattinata dell’11 settembre il Gen. Richard B. Myers ebbe un incontro di routine a Capitol Hill. Quando uscì, fu informato dell’attacco al Pentagono. Myers dice che nessuno lo aveva informato dell’attacco alle due torri. Il 13 settembre Myers sostenne, di fronte al Senato, che nessun caccia era decollato prima dell’attacco al Pentagono. Ma il 14 Myers venne smentito: la CBS rivelò che le Forze Armate Americane avevano allertato la difesa aerea alle 8.38, e che cinque minuti dopo (8.56) si erano alzati gli F.15. Sfortunatamente, erano circa a 70 miglia dall’obiettivo quando il secondo aereo colpì la Torre Sud. Alle 9.30 sarebbero decollati gli F.16 da Langley, Virginia, troppo tardi per intercettare il terzo aereo che si schiantò sul Pentagono alle 9.37. Gli F.16 arrivarono a Washington intorno alle 10. Questa divenne la versione ufficiale. Inorridito calcolai le velocità degli aerei. I Boeing hanno una velocità massima di 530 miglia/ora. I caccia F.15 volano a 1.875 miglia. Gli F.16 a 1.500. Perché la ricostruzione ufficiale fosse realistica, sia gli F.15 che gli F.16 avrebbero dovuto volare a 300 miglia l’ora: il 20% della loro capacità. E poi, perché i decolli avvennero da Langley, e da Cape Code, e non dalla base più vicina di Andrews?

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Mi accesi un sigaro, un Lusitania Partagas. Un “puros” che poteva reggere anche due ore. Già, il Lusitania. Affondato all’inizio della Prima guerra mondiale da siluri tedeschi… contribuì a far entrare l’America in guerra. Nella Seconda ci volle Pearl Harbour… Questa storia è come Pearl Harbour… Sorrisi triste… Già. Vallo a spiegare ai 1.200 marinai che rimasero sotto lo scafo dell’Arizona… Da quel momento in poi fu guerra. Tutto il resto non contò più. Non contò che Hitler e il suo partito di necrofili fosse stato finanziato da Montagu Norman, sempre lui, più lunatico che mai, dalla Banca d’Inghilterra, dalla Morgan, oltre che da Warburg, e dalla Schroder, venali banche ebraiche. La guerra cancella. La guerra assolve. Con la guerra si fondano i miti dell’Impero…e ogni volta la storia si riscrive… Se provi a ricordare ti guardano con fastidio. “Guerra. Siamo di nuovo in guerra… Sono di nuovo in guerra.” Bestemmiai. “Succederà anche stavolta. Cancelleranno le tracce, cancelleranno tutto sotto una pioggia di bombe. Stanno già muovendosi, ne sono sicuro. E allora bisogna sbrigarsi a ricordare. Fare presto. Perché qualcuno dovrà raccontarla pure questa maledetta storia.” La Storia di Ted (1) Era vecchio. Era stanco. Era depresso. Quanto tempo è che stai sull’onda Ted? L’onda è lunga. L’onda è cattiva. L’onda a volte uccide. Ted stava di fronte alla televisione. Aveva staccato tutti i telefoni. Non voleva domande cretine. C’erano già troppi cretini in questa storia. Per questo aveva staccato l’audio. Gli bastavano le immagini. Le immagini delle Twin Towers che crollavano. Le immagini dell’orrore. Ted le 29


aveva già viste. Nel Laos, in Vietnam, nel Sud America, a Beirut, a Baghdad, a Kabul. Già, ma adesso la differenza era che l’orrore stava a New York City. Ted guardava il fumo e la polvere che si alzava dalle torri. Ted guardava la gente scappare. C’era uno con una stampella che correva. A sbalzi. C’era da morire dal ridere… C’era una negra grassa, c’erano i telecronisti. Troppi. Ted aveva 75 anni suonati. Ted si ricordava la Berlino del dopoguerra. Non erano in molti ormai a ricordarsela. Anche lì c’era polvere e macerie. Tante macerie. Ma pochi telecronisti. Ted pensava al Generale. Cosa avrebbe detto il Generale di questo casino? Il Generale era morto tanti anni fa. Ma era da lui che Ted aveva imparato il mestiere. Il Generale si chiamava Ghelen. Il Generale sapeva il fatto suo. Aveva combattuto “i rossi” sotto Hitler. Aveva continuato a combatterli sotto gli americani. Il Generale stava sempre sotto qualcuno. Era per questo che aveva sempre comandato. Ted adesso stava da solo. Beh, proprio da solo no, c’era sempre il “team”, la squadra, e c’erano i “ragazzi”. I “ragazzi” ci sarebbero sempre stati. Con quel loro maledetto accento italiano, anche alla terza generazione. Ma ogni anno moriva qualcuno. Moriva di infarto o di un tumore, oppure si rincoglioniva con l’Alzheimer. No, non era come ai vecchi tempi, quando si moriva per una indigestione di piombo. Ted faceva parte di un vecchio mondo. Ma questo mondo non voleva finire. Era il 2001. Il maledetto settembre del 2001 e il mondo era sempre quello che Ted aveva conosciuto. Sempre uguale. Di questo lui era sicuro. Lui sarebbe morto, ma quel mondo no. Eccolo lì davanti a lui, nella televisione. Macerie, polvere e sangue. E tanti cretini in giro che non si sapevano spiegare il perché. Ted invece lo sapeva perché. E questo, solo questo, lo faceva sentire vivo. Ted alzò il telefono… 30


Telefonata privata da cellulare coperta su Airforce One.

a

linea

«Ciao Rich, sono io.» «Io chi?» «Senti Rich non rompere le palle, ho già abbastanza guai oggi!» «Tu hai guai, oggi: TU? Ma allora sei proprio malato di mente. Tu te ne stai davanti alla tua cazzo di televisione e io sto qui a girare tutta l’America con quel pazzo di Doppia V!» «Che dice?» «Chi?» «Doppia V.» «Doppia V non dice un cazzo. È nel pallone… Doppia V è pallido… credo che abbia anche ricominciato a bere. Guarda il cielo come se gli dovesse cascare qualcosa in testa… Sai che gran danno!» Ride. «Sì, ma giù nei sotterranei della Casa chi c’è a dirigere il ballo?» «Condoleeza.» «Dio santo! Siamo nelle mani di una negra! È proprio cambiato tutto Rich!» «Sì, e non sai ancora a che velocità…» «Cioè?» «Cioè, stavolta si fa sul serio… guerra, Cristo, siamo in Guerra!» «Lo siamo da anni Rich, almeno tu e io, vuoi dire che non lo copriamo più?» «Coprirlo! Ti sei bevuto il cervello? Questa non è Oklahoma City, questa non è l’Egypt Air! Questa è la maledetta New York City e ci sono cascate le Due Torri sulla testa!» «Ok! Allora si sbaracca! Lo sappiamo fare Rich, non ti preoccupare!» «Io non mi preoccupo. Tu ti devi preoccupare!» 31


«Ok, ok, Rich… messaggio ricevuto! Roger.» «Roger ‘sto cazzo! Il Capo vuole sapere quanti ce ne abbiamo ancora sul libro paga!» «Chi lo vuol sapere? Doppia V?» «Doppia V non sa neanche come cazzo si chiama! No, lo vuol sapere Senior! Ho detto il Capo! Cazzo!» «Ok Rich, dunque abbiamo una società giù in Florida, per gli elicotteri in Colombia, poi abbiamo un’altra società per gli albanesi in Macedonia, poi c’è Wackenut, e poi c’è quell’altra fottuta società che conosci…» «Io non conosco nessuna cazzo di fottuta società. Quella non esiste. Non è mai esistita!» «Ok Rich, come vuoi… sei tu il capo adesso… se dici che non esiste vuol dire che non esiste!» «Mi sembra chiaro.» «Lo è. Senti Rich, e con Laili come ci mettiamo?» «Chi cazzo è Laili?» «La moglie del nipote di Richard Helms7, ha sposato Roger.» «E a me che me ne frega?» «Rich, non ti incazzare, credevo che lo sapessi. È di origine afghana e…» «E...?» «Fa le pubbliche relazioni per i Talebani. Sai un po’ di lobby, l’anno scorso ha ospitato Rahmatullah Hashemi, una specie di ambasciatore. Hanno fatto un convegno alla John Hopkins University.» «Cristo! Fatela sparire e che non parli con i giornalisti o stacco le palle a morsi a quel fottuto di Helms!» «Ciao Rich.» «Ciao stronzo.» (7) Ex capo della CIA ed ex ambasciatore in Iran, coinvolto nell’omicidio di John Fitzgerald Kennedy.

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Roma. Italia. Pianeta Terra. Il mio Sogno Americano… Guardavo le immagini di fuoco e di morte sul teleschermo del bar. Seguivo la traiettoria dei corpi che si lanciavano nel vuoto. Sentivo i commenti. Ma era come se un rumore di fondo coprisse tutto. I pensieri facevano fatica a liberarsi delle immagini. Cercavo di ricordare. Di dare un senso a quello che vedevo. Non ci riuscivo ancora. Avevo bisogno di sentire una voce americana. Dopo diversi tentativi raggiunsi Midnight 68. Chi è Midnight direte voi? Midnight è Midnight. Punto. Midnight 68 è una sigla su una hot line americana. Ci avevo “chattato” per ore. Poi mi aveva dato il suo numero di telefono. Poi ci eravamo visti, all’ultima assemblea del Fondo Monetario Internazionale. Poi avevamo fatto l’amore. Midnight è la più grande e bella “squillo” americana che io conosca. Midnight ha i capelli rossi. Autentici. E delle gambe lunghe quanto la Fifth Avenue. Midnight è il mio sogno americano. «Cosa cazzo stai dicendo che ce li siamo tirati in testa da soli, gli aerei, maledetto stronzo?» La voce di Midnight era alterata. E quando Midnight era alterata si sentiva di più il suo strascicato accento del South Carolina. «Honey, non sto dicendo questo…» «E cosa stai dicendo allora, maledetto italiano testa di cazzo? Ma ti rendi conto di cosa è successo qui, di cosa sta succedendo ora? Stanno scavando da giorni e trovano solo una maledetta marmellata di carne e ossa! C’è un buco nero come il carbone al centro di Manhattan! E giuro che in questo buco nero ci butteremo tutti gli islamici del cazzo che riusciremo a trovare sulla terra!» Singhiozzi. «Fuck you, italiano di merda... tu e le tue storie di spie!» «Honey…» 33


«E non chiamarmi Honey! Qui stiamo tutti impazzendo, scenderemo in piazza con le bandierine a stelle e strisce, diventeremo tutti marines finché non avremo sfondato l’ass-hole a quei maledetti terroristi… non li avremo fatti a pezzi!» «Darling, aspetta, non sto dicendo che vi siete tirati gli aerei in testa solo per gioco...! Quello che è successo è orrendo, non c’è nessuna giustificazione. Non ci può essere. Sto male anch’io, darling, la televisione la vedo pure qui! Voglio solo dirti che c’è qualcosa che non mi convince in questa storia, qualcosa di ancora più orrendo di quello che è successo!» «Cosa ci può essere di peggio di un disgraziato che si butta dal 60° piano per non arrostire vivo, eh? Cosa ci può essere?» «Di peggio ci può essere solo quello che ci fa i soldi e potere, sulla sua cazzo di pelle bruciata. Immaginati qualcuno talmente cattivo da farlo. Qualcuno che sapeva ed è stato zitto, qualcuno che mentre guarda la televisione sa tutto quello che è successo, l’unica persona che non si fa domande…» «E chi è questo, il diavolo?» «Qualcosa di molto simile, darling» «E tu dici che è un americano?» «Io dico che oggi ci sono milioni di americani che piangono e che ce n’è qualche decina che ride. Poi ce ne saranno un centinaio a cui brucia il culo…» «Ma come cazzo ti vengono in mente queste cose? Come fai a pensare a questo mentre qui c’è la guerra, dico la guerra vera, quella con i morti… i soldi, sempre i soldi… sono la tua fissazione da fottuto banchiere!» «Darling... non litighiamo su questo. Io faccio il banchiere tu fai la squillo e siamo sempre stati bene così. Scusami… volevo dire… A te sembra normale quello 34


che è successo?» «Come normale?» «Sì, dico, ti sembra normale che un gruppo di merdosi islamici si fregano almeno quattro aerei, due li buttano contro le torri e uno sul Pentagono? Dico sul fottuto Pentagono! E l’FBI? E la CIA e tutte quelle agenzie che campano sulle vostre tasse? E se quattro islamici fanno tutto questo casino, perché non ci sono riusciti i russi vent’anni fa?» «Beh, in effetti questo è strano… ma no… non è possibile, che cazzo stai cercando di dirmi?» «Senti, quando sono venuto negli USA ho passato ore di controlli negli aeroporti... e questi invece entrano ed escono come se fossero a casa loro… su, devi ammetterlo. Non possono aver fatto tutto da soli. Dovevano avere degli “insider” nei servizi, oppure qualcuno che questi servizi li conosceva bene…» «Questa tua dei servizi incomincia ad essere una fissazione… «Senti, è solo una ipotesi.. ma ci sono troppe cose strane… Qui siamo tutti incollati alla televisione ma la sensazione è di trovarsi di fronte a un film. I morti sono veri, ma è tutto il contesto che è falso: perché Bush non ha reagito subito e ha continuato a parlare con i ragazzi nella scuola? Dov’era l’aviazione? Cristo, 75 minuti, sono passati 75 minuti prima che il primo aereo si alzasse in volo…» «Che vuoi dire?» Era meno aggressiva, adesso, Midnight. «Non voglio dire niente, cerco solo di mettere in fila dei fatti. Ma penso che dovrebbero essere le Autorità a dirci qualcosa e invece fanno solo propaganda...» «E quindi…» «Quindi c’è una parte della storia che deve rimanere segreta. Qualcuno vuole che resti segreta. Alla faccia dei 35


morti e dei diritti degli americani...» «Ok, non dico che mi hai convinto… certo che voi italiani di servizi segreti ve ne intendete…» «Sì, ogni volta che salivo su un treno fra gli anni ’70 e gli anni ’80 mi facevo il segno della croce…» «Tu ti facevi il segno della croce… allora siamo proprio messi bene.» Rise. «Ok darling, io provo ad andare un po’ avanti in questa maledetta storia. Tu vedi se trovi qualcosa di interessante in giro e...» «E…» «Vengo a trovarti presto negli States…» «Mhmm… ci devo credere?» «Sì.» «Forse, ma solo forse, hai ragione.» «Comunque ci vediamo presto?» «Perché?» «Primo perché ho voglia di vederti poi perché il casino è da voi, in America. E io dal casino non riesco a stare lontano.» «Quando?» «Il tempo di organizzarmi… dopo Natale.» «Beh, come diceva mia nonna durante la Grande Depressione, anche dal male può venire qualcosa di buono!» «Come finì tua nonna?» «In un bordello di New Orleans.» «Finché c’è vita c’è speranza, darling.» «Non capisco come faccio a sopportarti!» Era il massimo che potevo aspettarmi da Midnight. Riagganciai contento.

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TELEGUERRA! Decine di ore di televisione. Immagini di catastrofe ripetute ossessivamente. New York ridotta come West Beirut. Storie infinite di uomini macinati dalla storia. Per chi credeva fosse possibile convivere con la barbarie. Per chi credeva che la barbarie si potesse usare. Il consenso monta. L’ignoranza che diventa cultura. E anche ora all’orrore seguirà altro orrore, alla guerra altra guerra. La barbarie occidentale, dai tempi di Alessandro il Grande, ha saputo con esattezza come si sciolgono i nodi: con la spada. La sinistra affranta, divisa, biascicante. Esibisce contabilità mortuarie insignificanti: i bambini dell’Iraq contro i morti delle Twin Towers. Raccomandandosi di non colpire i civili. Come se, dalla guerra di Troia in poi, ci fossero stati altri motivi a spingere l’uomo alla battaglia diversi dall’eccitazione del massacro, dal saccheggio, dallo stupro. La Sinistra promette sottomissione al Nuovo Ordine Mondiale. La Sinistra è definitivamente finita. Meglio così. Diceva Mao Tse Tung: “Ci sono morti pesanti come montagne ed altre leggere come una piuma”. Mao Tse Tung dovrebbe appartenere alla cultura orientale. Ma questa frase sembra uscire da un copione di un film di John Wayne. Mao era probabilmente un gerontocrate afflitto da demenza senile. Mao era un sadico. A Mao piacevano le ragazzine. Mao aveva studiato in seminario. Oriente ed Occidente sono la stessa cosa. I “Sette Samurai” diventano “I Magnifici Sette”. Kurosawa può essere tradotto da Yul Brinner. Oriente e Occidente sono la stessa cosa. La stessa maledetta truffa. Nel gracidare insensato dei telecronisti di guerra, dei giornalisti addomesticati, dei commentatori a gettoni, degli esperti di niente risuona un grido di donna 37


disperata: Oriana. Il grido di Ecuba sulle rovine di Ilio. Per favore non chiedete mai a Ecuba di essere razionale e politically correct. Oriana, per di più, è una ragazzaccia toscana, una di quelle che se ci fossero ancora Guelfi e Ghibellini starebbe per le strade a far cagnara. Oriana-Ecuba dice ciò che non si può dire e non va detto. Troppo fragili ancora sono le nuove alleanze tessute dagli americani nel mondo islamico. Troppo lontane le basi degli aerei. Troppo forte il rischio della prima guerra totale islamica. Meglio fingere che il Presidente del Pakistan sia un lord di campagna inglese, meglio corteggiare i criminali dell’Alleanza del Nord, meglio credere ancora una volta ai contorsionismi politici di Arafat. Ci sono mille buone ragioni per far tacere Oriana. Ma il grido è alto e doloroso. È il grido di una donna occidentale contro la barbarie delle teocrazie. È un grido che nessuno vuol udire, soprattutto i preti, di ogni religione. E Oriana viene strumentalizzata da destra, si fa strumentalizzare da destra, insomma la dà, la sua intelligenza, al primo che capita. Oriana ha capito che “the clash of civilisation” è iniziato e si schiera. Perché sa che gli islamici si stanno già schierando. Non capisce la trappola, l’orrore delle due Torri la abbacina. Eppure dice ciò che la gente pensa. E ciò che la gente pensa è spesso crudele, cattivo, ingiusto. La sinistra “sdegnosa” rigetta la provocazione. E ancora una volta si condanna a non capire. Oriana-Ecuba ha visto il mondo dalla prospettiva dell’orrore. E ha reagito per quello che è sempre stata: una liberale borghese. È importante capire come reagisce. Perché come lei reagiranno milioni di persone. Milioni di persone che penseranno alla vendetta, certo, ma soprattutto a chiudere le porte a tutto ciò che è diverso da loro. Milioni in Occidente che si rifiuteranno di capire, che non vorranno 38


ascoltare, che rifiuteranno la realtà. E c’è un miliardo e mezzo di mussulmani che non aspetta altro che di veder confermati i propri pregiudizi sull’Occidente laico e ateo. Un miliardo e mezzo che può diventare un miliardo e mezzo di barbuti sessuofobici e di donne in Burka. E la macchina del conflitto allora diventerà reale. Tanto reale da stritolare qualsiasi obiezione. Perché non dire subito che Osama, un rottame della guerra fredda, l’ex alleato, l’anticomunista-Osama, è scappato di mano a chi l’aveva creato? Perché non buttare acqua, invece di benzina, sul fuoco, e ridurre la questione a quella che appare la soluzione più verosimile, un’azione di “intelligence” per neutralizzare al Qaeda? Ma è proprio quello che non si fa.

Oriana Fallaci

Osama bin Laden

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E iniziava la guerra Afghana L’unico che ha capito qualcosa di ciò che ci aspetta è il vecchio Guy Debord, nei Commentari alla società dello spettacolo: “L’imbecillità crede che tutto sia chiaro, quando la televisione ha mostrato una bella immagine, e l’ha commentata con una generosa menzogna. La semiélite si accontenta di sapere che quasi tutto è oscuro, ambivalente, montato in funzione di codici sconosciuti. Un’élite più chiusa vorrebbe sapere il vero, difficilissimo da distinguere chiaramente in ogni singolo caso, non ostante tutti i dati riservati e le confidenze di cui può disporre. Per questo amerebbe possedere il metodo della verità, ma si tratta quasi sempre di un amore infelice.” Mi sarebbe piaciuto fosse ancora vivo a guardare lo spettacolo mediatico delle due torri. Ma lui non c’era più. Si era fatto saltare le cervella qualche hanno prima, dopo aver scritto due libri inimitabili e aver giocato memorabili partite a poker. Fra qualche anno o qualche decina d’anni saremo tutti scomparsi, quelli della nostra dannata generazione, la “storia” non la racconterà più nessuno. Chi conosce la “storia”, questa “storia”, non può fare a meno di provare a raccontarla. Anche se il suo desiderio più profondo sarebbe dimenticarla. A volte ti sembra che sia possibile. Scorri i giornali e non trovi più nessun riferimento alla “storia”. Ti senti normale, anche il mondo ti sembra normale. Poi compare un nome, un fatto, un attentato o un colpo di stato in qualche cazzo di paese nascosto nel buco di culo del mondo. E la “storia” ricomincia a mangiarti il cervello. I fatti si ricollegano ai nomi. Sempre gli stessi nomi. E allora ricominci a cercare. E trovi sempre la stessa roba, sempre nuova. Sempre lo stesso odore di morte. Ma tutto 40


ricomincia a scapparti di nuovo dalle mani. “Il vero è il falso, il falso è il vero, il bello è brutto, il brutto è bello…” Macbeth: Le streghe. La “storia” è una droga dura. Dopo un po’ che la maneggi si ha la sensazione che l’orrore non finisca più, ma che aumenti, si diffonda, corrompa l’aria e il sangue si insinui nel sonno, come un incubo, fino a sognare a occhi aperti. Ora l’incubo si è materializzato. Ce l’abbiamo davanti per ore e ore di televisione. Entra nelle case dalle finestre elettroniche. Lo spettacolo del secolo: il cuore della finanza internazionale che si sgretola seppellendo migliaia di persone. E si apre un altro capitolo della “storia”. La “storia” è una malattia da cui devi guarire, se vuoi sopravviverle. Ma la “storia” ricomincia. E tu ormai ci sei dentro, fai parte di essa. Nel 1963 avevo solo dieci anni. La televisione finiva presto. Spesso andavo a dormire dopo Carosello. Quella sera no. Interruppero le trasmissioni per una notizia fuori programma. Allora non sapevo ancora che quella notizia avrebbe segnato il mio ingresso nella “storia”. JFK era stato assassinato a Dallas. “Qui Dallas… vi parla Ruggiero Orlando.” Un uomo vestito di bianco, sudato. La bocca impastata dal whisky. Le braccia lunghe, troppo lunghe, che si agitavano irrequiete. Dopo un po’ era semisdraiato sulla scrivania. In bianco e nero. Ogni tanto la trasmissione tornava in Italia per i commenti. Aspettavo come in trance quella voce ubriaca. Quegli occhi semichiusi che recitavano la diretta più incredibile del secolo. In bianco e nero. Il più grande spettacolo che avessi mai visto… letteralmente inchiodato di fronte a quella faccia devastata dal sonno e dall’alcool… Allora non sapevo che stavo assistendo solo al prologo di uno spettacolo che mi avrebbe accompagnato per tutta la vita. 41


Allora non sapevo che sarei entrato anch’io nella “storia”. Le Twin Towers furono costruite solo tre anni dopo. Nel 1966. Scenari, geopolitici scenari Avevo aspettato che fosse passata mezzanotte per compiere il rito. Mi ero preparato come un antico astrologo. Avevo selezionato le carte, i documenti e ora li avevo tutti d’avanti. Dovevo montare lo scenario di quello che accadeva. Ho sempre considerato ogni scenario simile a un rito. Dagli scenari derivavano le previsioni. Anche dopo anni di lavoro su modelli matematici e su statistiche economico-finanziarie, ritengo la costruzione di uno scenario una funzione essenzialmente “mantica”. Le cifre e i modelli potevano servire, certo, ma prima dovevo sentire la voce. La voce della storia. Poi per analogie, metafore, sineddoche e metonimie sarei arrivato a “vedere” il futuro, o, come si dice in gergo economico, a giungere a una realistica “proxy”. Con la memoria, la storia prendeva la sua forma. Adesso riuscivo a vedere dall’alto l’area che mi interessava: il Centro Asia. Terra favolosa di viaggi. La “Via della Seta”. Le orde di Gengis Khan e Tamerlano. Le pile di teste decapitate fuori Samarcanda. Gli afghani. Il passo Kyber e i Dragoni Leggeri della cavalleria di Sua Maestà Britannica fatti a pezzi a Kabul. Il “Grande Gioco” sui confini fra Russia e Impero Britannico. E ora le ex Repubbliche sovietiche: il Kazakistan, il Turkmenistan, il Kyrghyzstan, l’Uzbekistan, il Tajikistan. Campi di cotone che si trasformano in campi di oppio, petrolio e gas. Tanto petrolio e tanto gas ma nessuna “pipe line” per trasportarlo verso il Golfo. Si poteva cominciare: le linee dello “scenario” man 42


mano venivano fuori. I dati. Eccoli. Nel 1999 il Pentagono ha spostato la competenza militare sul Centro Asia dal Comando del Pacifico al Comando Centrale. Chiaro. È cambiato tutto lo scenario del fianco sud della Nato. I Balcani sono definitivamente destabilizzati. La Russia è ridotta a un paese di mendicanti, mafiosi e puttane. Il comando del Pacifico ha un solo grosso problema, la Cina. Le truppe americane stazionano nel Golfo Persico. Tutto il fianco sud della Nato si è spostato a Sud-Est e ora prova a risalire a Nord, verso l’Asia Centrale. La Nato non è il termine adatto: qui ci sono solo americani ed inglesi. Wasp, white anglosaxon and protestant. Questi sono gli unici veri “players” nel Grande Gioco. Ma cosa significa questo decentramento geopolitico? Significa, per esempio, che la Turchia se ne può andare a farsi fottere, così diventa un’altra mina vagante al sud dell’Europa. E così i tedeschi imparano a volersi costruire la loro area monetaria, l’Euro. La strategia americana dopo la Guerra Fredda è chiara. Si tratta di evitare che si crei quella cosa che loro chiamano Eurasia. Per chi vive in mezzo a due oceani è possibile vedere Europa ed Asia come un unico continente. Dall’Atlantico a Vladivostok. Nello stesso tempo si passa dalle alleanze stabili ad alleanze a “geometria variabile”, secondo gli interessi dell’America. C’è qualcosa di perverso però. Qualcosa che rimanda verso “l’orrore”, perché resuscita e usa qualcosa che proviene dalla parte non umana dell’uomo. Qualcosa di arcaico e di terribile. Qualcosa che la nostra “civilizzazione” ha tentato da sempre di segregare. Questo “lato nero” della geopolitica proviene in diretta dalle scuole di etnologia della CIA. Sono le identità di sangue, le etnie, che marchiano la terra di confini labili, 43


ma pericolosi. Sono le religioni che devono distruggere l’infedele, in un delirio storico e geopolitico senza speranza. Sono la negazione dell’Occidente illuminista e cosmopolita effettuata attraverso l’evocazione dello spirito delle origini. È necromanzia. Come quella degli “Skull & Bones8”. Immagine da www.whitehouse.org

Le divisione funzionali alla “geometria variabile” devono essere riorganizzate secondo linee di appartenenza etnico-religiosa. È un vecchio schema delle operazioni di destabilizzazione. Lo provarono in Vietnam usando i Hmong in funzione antivietnamita. Lo hanno usato nei Balcani, in Pakistan, in India. Forse anche in Italia con la Lega Nord. L’area che si vuole sottoporre a controllo va prima divisa secondo linee che demarcano le “civilizzazioni”. Quelle linee diventeranno linee di guerra e forniranno, nel caso, pretesti per intervenire militarmente. Il centro della scacchiera si è dunque spostato a Est. Nel cuore dell’Eurasia. Proprio lì dove l’aveva collocato Zbignew Brzezinski in Uzbekistan. Avrà avuto i suoi motivi, nella “Grande Scacchiera” parlava addirittura di Tamerlano e di una identità etnica uzbeka. (8) Società segreta studentesca dell’Università di Yale di cui faceva parte George Bush Senior e, pare, anche il figlio.

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Ero ancora convinto che fossero effetti dell’eccesso di alcool. Eppure il delirio geopolitico stava avverandosi… Controllare il Centro Asia attraverso il regime “criminale” di Karimov e dei generali di etnia uzbeka in Afghanistan e altrove. Una specie di “Orda d’oro” sulla “Via della Seta”, che chissà poi perché tutti continuano a chiamare così: quella è la via del petrolio, del gas e forse dell’oppio, sicuramente degli uomini e donne cinesi, che cercano fortuna nell’emigrazione: trattati come schiavi. Dunque l’importanza geopolitica del Centro Asia è chiara. E in particolare è importante l’Uzbekistan e il suo “democraticissimo” presidente Karimov. Uno che vince le elezioni al 91% di consensi: lo vota anche il suo principale oppositore. Uno che ha fatto minare tutto il confine con il Tajikistan, provocando la morte di 89 persone e di un numero imprecisato di cammelli e capre. Si dice che però rendite cospicue siano assicurate ai militari che trafficano con le mappe dei campi minati: sono in vendita. Karimov finora è l’unico leader delle ex repubbliche sovietiche che abbia consentito a truppe USA di installarsi sul suo territorio. È l’ultima fase della guerra fredda: creare nei resti dell’impero sovietico dei centri “filoamericani”. Come la Georgia di Shevarnadze. E insieme spingere sui conflitti etnico religiosi, come in Cecenia. Usando gli eretici “wahabiti” provenienti dall’Arabia Saudita. Gli uomini di Osama bin Laden. Durante gli anni cupi della dittatura comunista, i sovietici avevano trasformato l’Uzbekistan in un grande campo coltivato di “oro bianco” (cotone). È facile previsione che, visto le caratteristiche simili delle piantagioni, i prossimi raccolti siano di “poppy flowers”. 45


Oppio. Da qualche parte la droga dell’Afghanistan deve pure essere ripiantata, no? Arabi e caucasici. Epiche battaglie medioevali fra etnie orientali. Basta ricostruire la storia per poterla riprodurre e governare. Proviamo a ragionare. Ci sono due aree importanti: l’area del Golfo Persico e quella del Caspio. Due aree instabili politicamente, ma ricche di petrolio. Prima si usano gli arabi contro l’Unione Sovietica e si entra in Centroasia dalla porta di servizio. Si lascia che l’alleato Pakistano crei i “Talebani”. Chi ha progettato l’oleodotto afghano? Americani e Sauditi, Unocal e Delta Oil, la compagnia di famiglia dei Saud. Masud9 e gli uzbeki però resistono nel Nord. I Talebani non riescono ad unificare l’Afghanistan. Gli oleodotti non si fanno. I Talebani hanno fallito e devono essere eliminati. Poi occorre mettere ordine, democrazia, legalità. L’Impero richiede la produzione di conflitti, per poter poi esercitare la funzione imperiale dell’ordinatore. L’Impero non ha nemici, se non quelli che crea appositamente. L’Impero fa solo guerre umanitarie per riportare la “legge e l’ordine” presso i barbari che ha preventivamente aizzato. Se è vero questo scenario, allora cambia anche la geoeconomia del petrolio, si torna allo schema: Caspio versus Arabia. I numeri sorreggono molto a fatica l’ipotesi. Sostituire le riserve saudite è impresa immane, e non certa di successo. Arabi nel Caucaso, dalla Cecenia all'Afghanistan. Sotto le bandiera di al Qaeda o della Delta Oil. Poco importa. E al centro del problema la dinastia saudita e la sua controversa successione. Il vecchio e corrotto Fahad sta morendo. Dalla dinastia di Abd-Al-Aziz-Al Saud, morto nel 1953 provengono 44 figli. Fra questi i “sette” di una stessa madre, gli “al (9) Leader della resistenza afgana contro i talebani.

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Sudari”. Questi sono i filo-occidentali, il Ministro della Difesa Sultan e quello dell’Interno Nayef. Ma il designato è Abdullah, più tradizionalista ma irrimediabilmente vecchio: 78 anni. E come al solito i servizi segreti sauditi non nascondono più di tanto qualche simpatia per bin Laden. Bell’imbroglio. Infine l’Arabia Saudita non è più quella di una volta, dove il consenso si pagava. Il reddito pro capite annuo è sceso da 24.000 dollari a 8.000 in trent’anni. E l’arabo è venale, semiticamente venale. Bel casino. In più gli americani vogliono andare nel Caspio a cercare altro petrolio per svincolarsi dai sauditi. Improvvisamente nella mia visione storica si inserì un lampo: le armate di Hitler che puntano sul Caucaso a cercare anche loro il petrolio nella Seconda guerra mondiale, dopo che la manovra di Rommel in Africa settentrionale è fallita. Il Generale Von Paulus. Era lui che doveva sfondare. Finì a Stalingrado la sua corsa in un inferno di ghiaccio e di fuoco. Un’intera armata tedesca annientata. I russi combattevano casa per casa e quando arrivavano sul tetto facevano saltare tutto, compresi i tedeschi che si erano asserragliati ai piani inferiori. Le mitragliatrici dell’NKVD, la polizia militare di Stalin, sparavano alle spalle dei russi che si ritiravano. Stalingrado. Atrocità e sangue, pezzi di filo spinato che spuntavano dall’ano ghiacciato dei prigionieri. Da una parte e dall’altra. Colonne di civili russi mitragliate e buttate nei fiumi ghiacciati. Carri “Tigre” contro “T35”. Carri sepolti nella neve che aspettavano di essere superati per sparare alle spalle. Cariche di Cosacchi. Bandiere Rosse con Falci e Martello e bandiere Rosse con la Svastica Nera. L’inizio della fine del Terzo Reich. Il comunismo era già finito da un pezzo. A Kronstadt nel 1923. Morti, troppi morti per 47


il petrolio del Caspio. Ed ora ricominciava la danza… la danza macabra del denaro, del potere e della morte… Per quella sera bastava. Le sedute psico-geopolitiche mi snervano. Aprii il frigo. Vidi una bottiglia ghiacciata di Vodka. Procedetti. E andai a dormire sereno. Mi svegliò la mattina presto una telefonata del mio capo (ebbene sì, anche noi banchieri abbiamo un capo, qualcuno che comunque è alla testa della cordata di cui fai parte). Il mio capo è abilissimo. Pur non sapendo quasi nulla né di economia, né di storia, né, credo, di qualsiasi altra materia dello scibile umano, capisce tutto di tutto. Come un uccello razziatore vola su concetti che non gli appartengono, ma che è pronto ad acciuffare. «Allora siamo alla guerra fra religioni?» «No» risposi addormentato «non mi sembra ancora.» «E Huntington?» Chiese lui implacabile. «Huntington è come Umberto Eco da noi. Un’opinione che conta, ma a cui non si dà quasi mai retta.» «Quindi non c’è una “guerra fra religioni”?» chiese il capo con apprensione. Una sua figlia adottiva, infatti, non era bianca. «No, ancora no» risposi «certo che se continuano così potrebbe anche scoppiare. I mussulmani sono 1,5 miliardi. Dall’Atlantico all’Indonesia, più quelli che stanno a casa nostra…» «E allora?» «E allora ho l’impressione che siamo sul filo di un rasoio, e che dobbiamo essere molto cauti, nei prossimi mesi.» «Come se comandassimo noi» fece lui sconfortato. «Esatto» gli risposi «come se comandassimo noi. Ed è ora di farlo se vogliamo evitare il peggio!» «Sei il solito estremista utopico.» Ribatté lui chiudendo la conversazione. 48


Della Cultura, dell’Islam, e dell’ignoranza… La cartina di Huntington Kultur und Zivilisation. Così dicevano austeri professori tedeschi due secoli orsono. Nell’epoca moderna sospetto non esserci più Kultur ma solo forme diverse di una stessa Civilisation, e la traduzione inglese del termine non è per nulla innocente. Definire la cultura occidentale è arduo. Quando poi lo fanno gli studiosi anglosassoni si rischia l’involontario umorismo dell’ignoranza. Ad esempio Samuel Huntington è fin troppo citato. Sembra infatti che l’avere il suo “Clash of civilisation” in salotto, possibilmente in inglese, oggi faccia la differenza fra un cretino qualsiasi e un cretino colto. Proprio Huntington in quel saggio propone una cartina della “Western civilisation”. La guardai e inarcai un sopracciglio: la Grecia, considerata per secoli culla della civiltà occidentale, sta dall’altra parte! Irrimediabilmente esclusa dalla civiltà occidentale. A cosa si deve questa stravaganza? La spiegazione la trovai in un esilarante articolo di Timothy Garton Ash: “Is Britain Europe?” Su “International Affairs”, n.77, gennaio 2001. La carta infatti era stata redatta dai cartografi del Royal Institute of International Affairs per una pubblicazione di William Fallace che riguardava la linea di confine fra cristianità occidentale e cristianità orientale. Dunque fra cattolicesimo e chiese di rito ortodosso. L’incidente non è però scevro da inquietanti significati. Quella cartina, infatti, si ritrova in diverse mappe che disegnano i più recenti conflitti dei Balcani, in cui la Serbia sta fuori dalla “western civilisation”, mentre la Croazia è dentro. E, d’altra parte, quella carta acquista un significato simbolicamente forte per le chiese ortodosse, che si considerano le uniche eredi della cultura cristiana, mentre a ovest sono situati i

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traditori della fede, coloro che per venali interessi commerciali consegnarono Bisanzio ai mussulmani ottomani. Il “lapsus” geografico di Huntington svela la sua vera visione geopolitica, che colloca, verosimilmente, il centro dell’Occidente in un punto imprecisato dell’Atlantico, forse equidistante fra la costa della Cornovaglia e l’isola di Manhattan.

Buenos Aires Sono guarito ma mantengo la stanza in ospedale. Gli alberghi non sono più gli stessi a Buenos Aires, dopo la catastrofe economica. Giro un po’ divertito questa città distrutta dal debito estero e dalla stupida convinzione, avallata dal Fondo Monetario Internazionale, che un peso valesse un dollaro. La più elevata follia delle grandi banche internazionali divenuta realtà. Vedendo cose mirabili: l’autogestione della vita sociale organizzata dai Comitati di Quartiere, spesso guidata dalle madri di Piazza di Maggio. Eroine nerovestite cui tocca ora prendersi cura del futuro di un paese che ha ucciso il loro personale futuro, privandole dei figli e delle figlie, torturati, lanciati dagli aerei come pezzi di carne, “desaparecidos”. Guardo il denaro scomparire ed essere sostituito da unità di conto di ore di lavoro, rilasciate dai Comitati di quartiere. Guardo i ragazzi di Indymedia costruire reti di computer. Guardo realizzata l’Utopia di Gesell e Landauer nella Repubblica dei Consigli di Baviera, nel 1919. Torna tutto nella storia, sempre diverso. È il “grado zero” del comunismo: l’utopia libertaria divenuta realtà. Non sarebbe durata molto a lungo, certo. Eppure, finché c’è, è un altro mondo possibile e qualcuno, tanti, l’hanno vissuto e ricordato. Da fuori dell’Argentina mi giungono notizie confuse. Il resto del mondo è “normale”. Guerre, attentati, leggi spe50


ciali. La Costituzione Americana calpestata. Meglio qui, in questa “sospensione” della storia. Qui il mondo è tornato incredibilmente vero. Come se le “casseruole” avessero svegliato la popolazione dal sonno del capitale. Quel sonno che genera mostri. I mostri sono fuori. E abitano il loro territorio preferito: l’economia.

Francisco Goya, Il sonno della ragione genera mostri, acquaforte e acquatinta, Madrid, Museo del Prado.

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ECONOMICS.DOC Il pensiero economico angloamericano durante la Great Depression aveva in John Maynard Keynes, un economista vanesio, moralmente discutibile, ma indiscutibilmente colto, il suo principale esponente. Noi abbiamo Paul Krugman. Sic transit gloria mundi. Comunque, ecco cosa ha da dirci: “…fra un anno ci renderemo conto che i ter roristi hanno provocato indirettamente un rilancio del l’economia. I fatti dell’11 settembre hanno prodotto poli tiche più espansionistiche dal punto di vista fiscale. La Federal Reserve ha tagliato i tassi di un altro punto. Per quanto sia sgradevole ammetterlo, quell’atrocità le ha dato l’opportunità di agire con più prontezza e forza di quanto osava pensare. In secondo luogo l’attacco ha aperto le porte a un forte aumento della spesa pubblica, proprio la politica invocata da tanti economisti, ma che sembrava politicamente impossibile (…) Vale la pena ricordare che le guerre stimolano le economie più che deprimerle: non siamo in guerra nel senso tradizionale, ma non sarebbe così strano se l’attacco alle Torri si tra sformasse in un beneficio per l’economia.” Beh, se l’avessi detto io, così chiaramente, sarei finito sul rogo! Questa è la differenza fra abitare al Centro dell’Impero e l’abitare in periferia! Proseguivo, inesausto, le minute contabilità della crisi e le ragioni meno evidenti della guerra. Dunque: la crisi economica americana è iniziata nel marzo 2001. È da quel momento che è cominciato il rallentamento. È possibile individuare il primo picco della crisi fra marzo e aprile 2001 e il secondo in settembre. La crisi, negli studi del National Bureau of Economic Research, precede e non segue l’11 settembre. E, proprio prima dell’11 settembre, si raggiunse il punto più alto del grafico che permette di misurare gli investi52


menti esteri in America, cioè la capacità americana di importare capitali che pareggia il suo cronico deficit di bilancia commerciale.

Ma quando mai s'è visto un Impero che attira i capitali da paesi meno industrializzati per finanziare le proprie imprese e la propria innovazione tecnologica? Roba da satrapi persiani o da bolscevichi russi. Gli imperi, quelli di razza, quelli veri, esportano i capita53


li dal centro alla periferia e campano sulle rendite finanziarie di questi capitali. Ma il mondo si è “arrovuotato”, come direbbe il Principe di Salina. E oggi i ricchi chiedono ai poveri i capitali che servono allo sviluppo dei ricchi. Sviluppo che poi andrebbe analizzato caso per caso, vista la quantità di carta straccia spacciata per azioni e bonds, che circola sul mercato statunitense. Stavo ancora osservando l’andamento del Dow Jones a cavallo dell’11 settembre. C’era qualcosa che non convinceva. Quella picchiata che portava da oltre 10.000 punti a poco sopra i 9.500 immediatamente prima dell’11. È come se qualcuno avesse saputo e fosse stato preso dalla febbre del ribasso, che puntualmente è arrivata dopo l’11. Guardai il grafico e sbiancai. Dunque dall’11 al 17 settembre la Borsa era chiusa, ed è rappresentata da una diagonale che man mano diventa più ripida, fino ad arrivare ai minimi. Fin qui, tutto bene, si fa per dire. Il reale era ancora razionale. Ma quella repentina caduta, che da sopra i 10.000 porta il Dow Jones a poco più di 9.500 in meno di due giorni, cos’era? Qualcuno che aveva cominciato a speculare l’8 e aveva smesso prima del 10 settembre. Chi? Perché? Il più grande caso di insider trading della storia! Un’anticipazione del crollo successivo? E se così, vuol dire che qualcuno sapeva in anticipo cosa sarebbe accaduto! Decisi di telefonare a Parvus, nome in codice di un mio amico banchiere. A differenza di Sbancor, Parvus è un maledetto stalinista. Acuto analista di performance borsistiche, esperto di crisi e soprattutto critico-critico dell’economia americana. Parvus usa una tecnologia sofi54


sticata, quando funziona. Piccole web-cam che permettono di fare una videoconferenza in diretta e di trasmettersi testi. È il suo giocattolo preferito. Dopo una buona mezz’ora di tentativi infruttuosi finalmente in linea. «Ciao, vecchio porco stalinista» «Ciao, anarchico fottuto!» «Allora, a che punto sono arrivate le tue paranoie tardoleniniste?» «Esattamente dove sono arrivate le tue. Puoi dire quello che ti pare ma lo schema è chiaro: crisi da sovrapproduzione, guerra, fascismo.» «Sì, manca solo l’Armata Rossa che monta alla riscossa…» «Ah, non ci credi: guarda cosa c’era sul sito della Morgan Stanley, una delle principali banche d’investimento americane, la mattina dell’11 settembre.» Inforcai gli occhiali, mi impiccai quasi con la Web-cam e guardai attonito lo schermo. Traduco: Report caricato sul sito Internet di Morgan Stanley, martedì 11 settembre, 7.30-8.00 [ora di New York] Che cosa può ridurre drasticamente il deficit delle partite correnti americane, e per questa via eliminare i rischi più significativi per l'economia degli Stati Uniti e per il dollaro? La risposta è: un atto di guerra. L'ultima volta che gli USA hanno registrato un surplus delle partite correnti è stato nel 1991, quando il concorso dei Paesi esteri ai costi sostenuti dall'America per la guerra del Golfo ha contribuito a generare un avanzo di 3,7 milioni di dollari.

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«Dai, Parvus, è uno scherzo!» Parvus (serio) «Purtroppo no, hai visto l’ora?» «Ma dico, stavano lì proprio nelle due torri a scrivere questo mezz’ora prima dell’attacco?» «Esatto.» «Beh… quando si dice che le banche angloamericane hanno dei grandi centri di ricerca e previsione economica allora è vero…» «Direi di sì…» «E poi che altro hai?» «Beh, in realtà, per chi abbia letto i reports degli analisti finanziari usciti a caldo dopo gli attentati dell'11 settembre, non c'è nessuna sorpresa. Infatti questi reports si guardavano bene dal tracciare un quadro completamente negativo della situazione post-attentati. Al contrario, distinguevano con attenzione tra i settori destinati a essere colpiti e quelli favoriti dagli eventi dell'11 settembre (e quindi tra i titoli di borsa da cui stare alla larga e quelli su cui speculare).» «E hanno guadagnato?» «Chi avesse seguito questi consigli (ad eccezione che per il petrolio e per le costruzioni, colpite dalla crisi economica) si sarebbe trovato piuttosto bene. A un mese dall'attentato la Cisco System era cresciuta del 17%, Oracle del 30%, QLogic del 38%, Uniphase del 46%. Più in generale, l'indice delle società tecnologiche quotate a Wall Street (il DJ Stoxx Technology) era cresciuto del 35% in un mese. Per non parlare della difesa. La Lockheed Martin (che produce aerei da guerra) alla riapertura della Borsa di New York è cresciuta in un solo giorno del 19%. Ma anche altri titoli del settore si sono comportati molto bene nel mese successivo all'attentato: Raytheon (che produce i missili Tomahawk) +43%; Northrop Corporation (che costruisce bombe per i bom56


bardieri invisibili B-2 ed è leader nelle tecnologie di sorveglianza elettronica) +33%. Ma anche la Boeing, che in teoria dovrebbe patire molto della crisi dell'aeronautica civile, conta di rifarsi delle perdite previste in questo settore con la costruzione di aerei militari e di ordigni bellici (tra l'altro, sta lavorando a un prototipo di aereo da guerra completamente radiocomandato). Per avere un'idea dell'euforia che si respira in questo momento nel settore della difesa, pensa che la United Defense (che produce armamenti per l'esercito statunitense) il 23 ottobre ha fatto richiesta di ammissione alla Borsa di New York: era da oltre tre anni che nessuna nuova società del settore della difesa decideva di quotarsi in Borsa…» «Quando parti sei una mitragliatrice di dati… fermati un attimo... ma tu ci hai giocato su questi titoli…» «Beh, su qualcuno sì…» «Maiale!» «Beh, sai, le contraddizioni in seno al popolo… e poi dovevo rifarmi, avevo perso più del 40% dall’inizio dell’anno!» «Ok. E che altro hai?» «Quello che sanno tutti: che la crisi c'era già prima. La situazione, infatti, era questa: USA ormai in recessione, Giappone in stagnazione, Paesi del Sud Est asiatico già colpiti dal calo degli ordini americani, Europa anch'essa in forte rallentamento. Proprio il giorno prima dell'attentato la Banca dei Regolamenti Internazionali aveva pubblicato il rapporto relativo al secondo trimestre del 2001. Un rapporto ben poco confortante. La BRI segnala una contrazione delle emissioni nette di bond nonostante gli spread creditizi favorevoli: chiaro segnale di un rallentamento della domanda di prestiti per nuovi investimenti. 57


«Questo ok, ma dopo?» «Questo è appena l'inizio. Appena tre giorni dopo l'attentato la Federal Reserve ha pubblicato alcuni dati relativi alla produzione americana. Che in un solo colpo battevano due record negativi: a) la produzione industriale americana nel mese di agosto segnava un calo dello 0,8% (calo tendenziale del 4,8% su base annua). Era l'undicesimo calo consecutivo: un andamento così negativo non si registrava dal 1960. b) È in calo anche il tasso di utilizzo degli impianti, tornato ai minimi del 1983 (in pratica la capacità produttiva inutilizzata è ormai superiore al 25% del totale). La conclusione è obbligata: eravamo, siamo, in presenza di una classica crisi da sovrapproduzione. Per di più, con l'aggravante di essere sincronizzata tra le principali economie mondiali.» «Questa tua idea di “sovrapproduzione” è un’idea fissa.» dissi, cercando di decifrare linee e istogrammi. «Ah sì? Allora guarda queste cifre, è un “report” che sto preparando… Io ti saluto, vado a dare un’occhiata al listino.» «Ciao maiale!» Scaricai dal computer il lavoro di Parvus. Testo, grafici e tabelle si componevano lentamente, mentre sorridevo, idiota, alla Web-cam. Warfare di Parvus C'è una costante nella storia economica degli Stati Uniti da più di un secolo a questa parte. Ed è la stretta correlazione tra interventi militari e ripresa dell'economia. Questa correlazione è così stretta che chi legga la tabella dettagliata dei cicli economici americani che si trova sul sito di un istituto governativo come il National Bureau of Economic Research si

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imbatte in questa avvertenza: “I dati in grassetto si riferiscono all'espansione economica dei periodi di guerra [wartime expansions], alle contrazioni economiche postbelliche e all'intero ciclo che include le espansioni dei periodi bellici.” In altri termini: dalla guerra civile americana in poi, il nesso tra guerra ed espansione economica è indiscutibilmente accertato e assolutamente ricorrente. Ma vediamo più da vicino la questione, prendendo in esame le principali avventure belliche americane dagli anni Quaranta del secolo scorso ai nostri giorni. a) La Seconda Guerra Mondiale Fu soltanto grazie all'ingresso nella Seconda Guerra Mondiale e alla messa in opera della macchina bellica relativa, e non grazie agli investimenti di Roosevelt in opere pubbliche, che gli USA riuscirono a risollevarsi dalla Grande Crisi degli anni Trenta. Lo ha ribadito non più tardi di qualche settimana fa il premio Nobel per l'economia Peter North, replicando a un incauto giornalista che faceva presenti i meriti del keynesismo10 per l'uscita dalla crisi degli anni Trenta: “Non siamo usciti dalla depressione grazie alla teoria economica, ne siamo venuti fuori grazie alla Seconda guerra mondiale”. Le cifre, del resto, parlano da sole. Durante il New Deal rooseveltiano la spesa pubblica civile era cresciuta dai 10,2 miliardi di dollari del 1929 ai 17,5 del 1939. Ciò però non aveva potuto impedire che, nello stesso periodo, il PIL calasse da 104,4 a 91,1 miliardi di dollari, e che la disoccupazione invece salisse dal 3,2% al 17,2% della forza lavoro complessiva. Dal 1939 lo scenario cambia. Il sistema economico è dapprima tonificato dalla vendita di armi agli Inglesi e (10) Keynes sosteneva che lo Stato, intervenendo sull’economia tramite la spesa pubblica, può favorire l’uscita dalle crisi o evitarle (stato assistenziale, Welfare).

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ai Francesi (ma, come oggi sappiamo, le grandi imprese americane, dalla Ford alla IBM, non disdegnarono di fare contemporaneamente affari anche con i nazisti), e poi definitivamente rimesso in carreggiata con l'ingresso diretto degli USA in guerra (dicembre 1941): il PIL riprende a crescere, la disoccupazione viene praticamente azzerata. b) La guerra di Corea Subito dopo la guerra torna la crisi economica, pur mitigata dalla domanda differita di beni di consumo accumulatasi durante il conflitto, e dall'avvio del Piano Marshall in Europa. Già nel 1949, comunque, gli USA sono nuovamente in recessione. Provvidenziale, nell'estate del 1950, scoppia la guerra di Corea. Il risultato è una fortissima spinta al riarmo. I Paesi della NATO triplicano in soli 3 anni le loro spese militari, che passano infatti dai 38 miliardi di dollari del 1949 ai 108 miliardi del 1952. Ma la parte del leone la fanno gli Stati Uniti, le cui spese militari nel 1952-3 giungono al 15% del PIL. Non a caso la guerra di Corea è tuttora considerata "un caso paradigmatico" di "forte incremento esogeno della spesa pubblica". Un incremento che durerà a lungo: anche dopo la fine della guerra, infatti, le spese militari, pur diminuendo, resteranno a lungo attestate su percentuali del PIL più che doppie rispetto agli anni precedenti la guerra di Corea. Ma, ciò che più conta, all'enorme incremento delle spese per gli armamenti corrisponde una nuova fase di espansione economica: definita, per l'appunto, il "boom coreano". c) La guerra del Vietnam Nel 1961, quando John F. Kennedy raggiunge la presidenza, gli USA sono da tempo in piena crisi economica. La risposta è quella del Welfare e dell'aumento

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della spesa pubblica. Ma, ancora una volta, l'82% di questo aumento è ascrivibile alle spese militari. Viene inoltre potenziata la vendita delle armi ad altri Paesi (prima cedute per i nove decimi gratuitamente). I risultati non si fanno attendere: il valore delle armi vendute dagli USA aumenta in sei anni di ben sei volte. La guerra del Vietnam, e le relative spese militari, tornate a superare il 10% del PIL, ridanno slancio all'economia americana. La quale, infatti, a partire dal 1964, conoscerà una delle più lunghe fasi espansive della sua storia (sfuggendo alle recessioni che in quegli stessi anni attanagliano l'Europa). Anche in questo caso, il nesso tra impegno bellico ed espansione dell'economia è chiaro come il sole. Così chiaro da essere entrato nel senso comune di chi si occupa di economia. Tant'è vero che qualche tempo fa un editorialista del Sole 24 ore si è potuto lasciar sfuggire, come se niente fosse, un'affermazione come questa: "La pur magra crescita del quarto trimestre del 2000 ha conferito a Bill Clinton l'alloro di essere stato l'unico presidente dai tempi di Lyndon Johnson, ma quelli di Johnson erano tempi di guerra (del Vietnam), a non aver conosciuto neanche un trimestre di regressione del PIL". d) Lo scudo stellare di Reagan Già sotto la presidenza Carter le spese militari ricominciano ad accelerare il passo. L'occasione è off e rta dall'invasione sovietica dell'Afghanistan (24 dicembre del 1979): già nel numero di Business Week del 21 gennaio 1980 si parla esplicitamente di New Cold War Economy e si ipotizza una sensibile crescita della spesa per armamenti. Cosa che avviene puntualmente. Ma l'accelerazione diviene frenetica con l'arrivo di Reagan alla presidenza degli Stati Uniti, e con il lancio

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della sua creatura prediletta: lo "scudo stellare". Le spese per la difesa aumentano dal 1981 al 1985 del 7% all'anno, mentre la quota delle spese militari all'interno del bilancio federale cresce dal 23% al 27%. Ancora una volta, le spese per gli armamenti vengono giocate in chiave recessiva dando luogo a un curioso paradosso: mentre con una mano Reagan agita la bandiera del liberismo, con l'altra dà vita a uno dei più giganteschi programmi "keynesiani" di spesa pubblica. Con il particolare non trascurabile che la spesa pubblica non viene impiegata per servizi sociali e di assistenza, ma adoperata per produrre e comprare armi. e) La guerra del Golfo Con il crollo del Muro di Berlino e l'agonia dell'Unione Sovietica, l'America si ritrova, di colpo, senza il "Nemico" per eccellenza: il regno del Male (secondo la cortese definizione di Reagan, riecheggiata nelle settimane scorse nelle parole di Bush contro bin Laden) sta uscendo ingloriosamente di scena. Per fortuna c'è Saddam Hussein, ex grande alleato dell'Occidente (nella guerra contro l'Iran), che nell'agosto del 1990 decide di invadere il Kuwait. La risposta è una guerra, condotta con un enorme dispiegamento di mezzi, dapprima attraverso bombardamenti, poi con un intervento terrestre diretto dell'esercito americano (16 gennaio-28 febbraio 1991). Dal punto di vista strategico si tratta di una vittoria importante per gli Stati Uniti, che consolidano la presa sulle risorse petrolifere del Golfo Persico. Il politologo americano Samuel Huntington ha così sintetizzato la posta in gioco e i risultati della guerra: “La Guerra del Golfo è stata la prima guerra tra civiltà dell'epoca post-Guerra fredda. La posta in gioco era stabilire se il grosso delle maggiori riserve petrolifere

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del mondo sarebbe stato controllato dai governi saudita e degli emirati, la cui sicurezza era affidata alla potenza militare occidentale, oppure da regimi indipendenti antioccidentali in grado e forse decisi a utilizzare l'arma del petrolio contro l'Occidente. Il quale non riuscì a spodestare Saddam Hussein, ma riportò una vittoria in quanto ribadì la dipendenza della sicurezza degli Stati del Golfo dall'Occidente e si assicurò un'imponente presenza militare nel Golfo anche in tempo di pace. Prima della guerra, Iran, Iraq, il Consiglio per la cooperazione nel Golfo e gli Stati Uniti competevano per l'acquisizione di influenza nel Golfo. Al termine del conflitto, il Golfo Persico era diventato un lago americano." La guerra, già prima dell'attentato alle Twin Towers, era, per così dire, nell'aria. Lo era nella forma soft del progetto di difesa missilistica (il cosiddetto "scudo stellare 2”), proposto già sotto la presidenza Clinton e poi rilanciato con arroganza da Bush e dal ministro della Difesa Rumsfeld. Con il necessario corollario della ricerca di un "Nemico", che nel caso specifico veniva rinvenuto (ben poco plausibilmente) nei cosiddetti "stati canaglia", ossia Iran, Iraq e Corea del Nord. E lo era - questo è l'importante - sotto forma di necessità economica. Che la spesa militare e la guerra facciano bene all'economia capitalistica è cosa che non riguarda soltanto gli Stati Uniti, e che non riguarda solo il passato. Vediamo quindi, per concludere, i vantaggi del "Warfare" - con lo sguardo rivolto alla concreta forma che esso sta assumendo in queste settimane. Le spese militari sono una forma di spesa pubblica per il rilancio dell'economia. Esse rappresentano, cioè, una forma di deficit spending, ossia una delle

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forme attraverso cui lo Stato finanzia l'economia (se è il caso anche indebitandosi). Ma perché proprio questa forma viene preferita al "Welfare", nonostante che quest'ultimo rilanci direttamente i consumi individuali? Per numerosi motivi. In primo luogo, perché le spese per il "Warfare" possono essere facilmente sostenute e giustificate anche da chi ha un approccio "liberista" in economia: in altri termini, anche chi rifiuti l'intervento attivo dello Stato nell'economia (proponendo tagli alle spese per l'assistenza, la sanità, gli anziani, ecc.), e riceva il voto degli elettori su questa base, non avrà poi difficoltà a convincerli che nel caso delle spese militari l'intervento ci deve essere, eccome. Perché in questo caso è in gioco la "sicurezza nazionale", la "protezione delle frontiere", la "vittoria sui nemici della Nazione", ecc. In secondo luogo, le spese per gli armamenti sostengono una parte ragguardevole dell'industria degli Stati Uniti. Le spese militari sostenute dagli Stati Uniti dalla Seconda Guerra Mondiale in poi hanno, in effetti, creato un "complesso militare-industriale" che non ha confronti al mondo. Da questo punto di vista, le spese per il "Warfare" impediscono agli Stati Uniti di dover affrontare i costi (economici e sociali) di una gigantesca ristrutturazione industriale. L'economia americana è drogata dall'industria bellica, ed è di vitale importanza risparmiarle crisi di astinenza... In terzo luogo, le spese per gli armamenti vanno a imprese che, per definizione, operano in un regime oligopolistico (quando non di monopolio puro e semplice) e protetto dalla concorrenza straniera. Da sempre le industrie belliche sono nazionali; questo

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è vero, anche oggi, per le imprese statunitensi, a dispetto degli incroci azionari che pure vi sono tra imprese americane e imprese europee. In ogni caso, è impensabile che forniture belliche per l'esercito degli Stati Uniti vengano direttamente appaltate a imprese straniere. In tal modo i sussidi alla Difesa non devono fare i conti con la concorrenza (feticcio che in qualche caso può riservare sgradite sorprese) e i loro effetti si traducono invariabilmente in commesse per le imprese americane. L'esempio più recente (la notizia è del 26 ottobre) riguarda la gigantesca commessa per la fornitura del nuovo caccia militare "Joint Fight Striker". Si tratta della maggiore commessa militare mai effettuata dagli Stati Uniti. Vincitrice dell'appalto è risultata la Lockheed Martin, azienda che ancora pochi mesi fa era in preda a una grave crisi, e che ora invece assumerà 8.000/10.000 lavoratori. L'unico possibile concorrente era un'altra azienda americana, la Boeing. La Lockheed, secondo gli esperti, è stata preferita "per il semplice fatto che ha maggiore bisogno di questo contratto rispetto alla Boeing". Del resto, la Boeing sta già lavorando (oltreché al nuovo F-22 coprodotto con la Lockheed, che sarà pronto nel 2005) a una nuova generazione di aerei radiocomandati in grado di volare senza equipaggio e dovrebbe quindi vincere il prossimo appalto. E, inoltre, molto probabilmente giocherà comunque un ruolo importante come subfornitrice, assieme a imprese europee (alle quali comunque, ad eccezione forse della britannica BAE, toccheranno le briciole). Per avere un'idea delle cifre in gioco, basterà ricordare che il valore di questa fornitura è in partenza di 200 miliardi di dollari, stanziati dal governo americano. A essi però vanno subito aggiunti i 2 miliardi di dollari stanziati per la fase di sviluppo dalla Gran Bretagna.

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Gli aerei prenotati (da Stati Uniti e Gran Bretagna) sono 3.002 (di cui 150 per la Gran Bretagna). Si prevede che altri 3.000 aerei dovrebbero essere venduti ai Paesi Nato, portando così in cassa alla Lockheed altri 200 miliardi di dollari. È appena il caso di dire che l'attentato dell'11 settembre ha accelerato i tempi per la chiusura del contratto e la messa in produzione dei velivoli. In quarto luogo, il perimetro delle aziende coinvolte dalla spesa bellica è molto più ampio di quello delle imprese che producono armi in senso stretto. Il primo esempio che viene in mente, a questo riguardo, è quello del cibo in scatola Campbell, che deve la sua fortuna proprio alle commesse belliche. Ma questo esempio, per quanto significativo, può risultare fuorviante. Perché l'industria bellica ha prima di tutto a che fare con beni di investimento e con tecnologie di avanguardia. E questo oggi significa in primo luogo: il settore aerospaziale, l'industria dell'elettronica (hardware e software) e l'industria dei nuovi materiali. Non è un caso, quindi, che dopo l'attentato delle Twin Towers i titoli di molte società informatiche siano cresciuti anche del 30-40%. Del resto, è stato ricordato di recente che "l'alta tecnologia americana ha un'origine militare": in particolare, "la seconda guerra mondiale e la guerra di Corea furono una manna dal cielo" per l'industria elettronica, in quanto "il Dipartimento della Difesa fu generoso di finanziamenti alle imprese locali per lo sviluppo dei circuiti integrati.” Non solo: "Ancora nel 1987 il principale datore di lavoro della Silicon Valley era il colosso aerospaziale Lockheed." In definitiva: il settore bellico consente di effettuare a carico dello Stato enormi spese in beni di investimento,

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in ricerca e sviluppo, nelle tecnologie di punta. In quinto luogo, le armi hanno un valore di scambio: si possono vendere come ogni altra merce, realizzando enormi profitti. In effetti, secondo l’Istituto Internazionale di Studi Strategici, gli USA nel 1998 hanno prodotto oltre il 40% delle armi vendute nel mondo. Nel caso, poi, che i Paesi compratori abbiano bisogno di facilitazioni di pagamento, intervengono i sussidi pubblici all'esportazione: a tale proposito, in un articolo pubblicato qualche anno fa sulle spese militari sostenute sotto la presidenza Clinton, si poteva leggere che "i sussidi all'esportazione di armi sono costati ai contribuenti americani 7,6 miliardi di dollari nel 1995". In sesto luogo, si possono usare "per conto terzi". È quello che è accaduto nel caso della Guerra del Golfo, per la quale gli alleati degli Americani (a cominciare dall'Arabia Saudita) hanno dovuto pagare, in qualità di "contributo alle spese", la bella cifra di 189 mila miliardi di lire (non stupisce, quindi, che nel 1991 la bilancia dei pagamenti americana, di solito cronicamente in rosso, segnasse un attivo...). In settimo luogo, le armi hanno un valore d'uso. Che, singolare caratteristica, si può esplicare anche senza doverle usare: per esempio, come mezzo di pressione politica, a scopo "dissuasivo" o “intimidatorio”, ecc. Infine, hanno il valore d'uso che si esplica nell'usarle. E che consente di distruggere il capitale in eccesso (facendo ripartire così l'accumulazione) e/o di controllare aree strategiche dal punto di vista geopolitico e geoeconomico. L'Afghanistan è una di queste aree. Perché si trova tra Cina e Russia. Perché è un punto

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di passaggio strategico tra Europa e Asia. E perché obbligatoriamente sul suo territorio dovranno passare gli oleodotti in grado di sfruttare le risorse petrolifere delle repubbliche ex-sovietiche (a cominciare dal Kazakhistan); risorse di tale entità (si parla di 40 miliardi di barili) da consentire, a chi ne controllasse i flussi, di potere in prospettiva fare a meno anche del petrolio saudita.

Quel Parvus sarà anche un fottuto stalinista, ma l’economia l’ha studiata, Cristo! Dunque Parvus pensa la guerra come continuazione dell’economia con altri mezzi o, per dirlo in gergo economista, come l’unico moltiplicatore in grado di fare da volano a una ripresa di un’economia decotta. C’è del meccanicismo in tutto ciò, ma la verità non è troppo lontana!


Apocalypse Now! In diretta dalla Sala Ovale La Sala Ovale era sempre quella. Quella delle decisioni. Sbagliate o giuste che fossero. Decisioni che lasciavano sempre qualche cadavere di troppo in giro. Decisioni su cui si sarebbe dovuto tornare. Prima o poi. Decisioni che avrebbero reso ricco qualcuno e povero qualcun altro. Tutto questo aveva un nome: politica. Se le stesse cose fossero state decise in un bar di periferia si sarebbe chiamata criminalità organizzata. Ma il bar di periferia non aveva la sala ovale, non aveva il proiettore e tutte quelle cartine colorate. «Signor Presidente?» «Sono pronto, cominciate pure.» «Bene signore, non voglio farle perdere tempo. So quanto lei sia sotto pressione in questi giorni. Ma la situazione, più o meno, è questa: abbiamo circa 60 paesi che ospitano terroristi. In quasi tutti sappiamo chi sono. Ora il problema è quanti attaccarne per volta e che effetto ha l’attacco su alcune variabili macro: il prezzo del petrolio, il consenso dell’opinione pubblica, l’impatto della spesa militare sull’economia e su Wall Street. Poi ci sono le variabili micro.» «Per esempio?» «Quelle di cui possiamo anche fregarcene, per esempio cosa pensano gli europei, cosa dirà il Papa ecc, ecc.» «Giusto. Procediamo.» «Abbiamo disegnato i seguenti scenari.» Appare una prima cartina «Questo è lo scenario “Guerra Locale”: coinvolge solo Afghanistan e Pakistan. Effetti collaterali vicino allo Zero. Rischi: un allargamento all’India o alle ex repubbliche sovietiche del Centro Asia.» 69


«Effetti sull’economia?» «Beh, secondo i nostri calcoli dovrebbe stabilizzare la Borsa a prima dell’11 Settembre.» «Solo? Ok, proseguiamo.» «Qui l’affare si allarga a tutto il subcontinente indiano. Gli effetti macro sono un po’ più forti. Prezzo del petrolio stabile. Certo ci perdono un sacco di soldi quelli che hanno investito nella new economy in India.» «Andiamo avanti. Ho fretta.» «Sì signore: questo è il terzo. Qui salta gran parte dell’economia del Golfo e il Sudan. Prezzo del Petrolio oltre i 50 US$. Guerra comunque rapida. Gli economisti non sanno decidere fra effetti positivi e negativi. Ripartirebbe l’inflazione, ma le spese militari non sarebbero ancora considerevoli, in fondo una guerra del genere l’abbiamo già fatta in Iraq. Signore, noterà che in questo caso ci concentriamo solo sui “Sunniti” e non tocchiamo gli Sciiti.» «Da quando sei diventato un esperto di Religioni?» «Da quando ci servono nei conflitti signore.» «Ok, andiamo ancora avanti.» «Questo è lo scenario peggiore. Il conflitto si allarga dall’Asia Centrale al Medio Oriente e al Nordafrica. Attentati terroristici bloccano le vie di comunicazione. I pozzi di petrolio sono in fiamme ovunque, siamo costretti a intervenire massicciamente e a occupare militarmente i pozzi. Forse dovremo usare armi nucleari tattiche. Questo è lo scontro di civiltà signore.» «Quali civiltà, non sono tutti paesi islamici? «Sì, signore, ma potrebbero arrivare anche all’Indonesia, alla Malesia, nelle Filippine, nelle altre repubbliche ex russe.» «Qui che succede?» «Un bordel…. Mi scusi signore, questa è una guerra per70


manente. Non si può pensare di chiuderla in un tempo ragionevole. Può durare da 50 a cinquecento anni. Effetti sul prezzo del petrolio devastanti: dovremmo militarizzare tutti i pozzi. L’Economia europea e giapponese andrebbero in recessione per dieci anni. Le spese militari che dovremmo affrontare potrebbero far decuplicare il disavanzo di Bilancio. Signore questa è una Grande Guerra! La Terza Guerra Mondiale!» «Suona bene! Effetti sul dollaro e Wall Street?» «Secondo alcuni economisti il Dow potrebbe superare i 25.000 punti, Signore, il dollaro diverrebbe di fatto l’unica moneta. Gli effetti sull’industria si possono stimare in un incremento più o meno pari a quello della Seconda guerra mondiale.» «E cioè…» «35%» «Interessante!» «Signore?» «Niente… Niente. Beh, ragazzi tenetevi pronti e aggiornate i conti. Questa guerra non sarà breve. Ma prima o poi la vinceremo. Lo dice anche Papà.» «Bene signore. Agli ordini, signore…» «Andiamo… Non voglio perdermi Rumsfeld che parla in Televisione. Papà dice che è meglio di Groucho Marx. A proposito…» «Sì signore?» «Che parentela aveva Groucho con Carlo Marx?» «Nessuna signore, credo sia solo una omonimia.» «Ah beh, meglio così… molto meglio così.»

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I danni dell’ignoranza: quando un polacco anglofilo si occupa di Islam! Che il signor B. fosse una mina vagante l’avevo già ampiamente sottolineato nel mio libro precedente sulla guerra in Yugoslavia. Gli avevo dato del paranoico alcolizzato. Ora mi accorgevo che ero stato troppo tenero. Nel suo caso andrebbe abolita la legge Basaglia, è un pazzo omicida scatenato! Fa più danni della grandine, di un tornado, di un bisonte in un negozio di cristalli. Non pensate che abbia perso le staffe. Il mio è un giudizio equanime. Basta leggersi l’intervista seguente (dopo essersi assicurati di avere una solida poltrona) per rendersi conto con che razza di degenerato abbiamo a che fare. Uno che pensava che il fondamentalismo islamico non fosse un problema. Uno che si incavolava pure se l’intervistatore dissentiva. E questo nel ‘98, quando già c’era stato il primo attacco alle due torri e l’assalto ai marines in Somalia. Se potessi dare un consiglio all’amministrazione Bush, all’FBI alla CIA, o anche al corpo dei pompieri direi: rinchiudetelo, prima che sia troppo tardi! Intervista a Zbigniew Brzezinsky11 Domanda: Il precedente direttore della CIA, Robert Gates, ha dichiarato nel suo libro di memorie che i servizi segreti americani hanno cominciato ad aiutare i Mujaheddin afghani sei mesi prima dell'intervento sovietico in Afghanistan. In questo periodo lei era il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter. Lei ha quindi giocato una parte in tutto questo, vero? Brzezinsky: Sì. Secondo la versione ufficiale della faccenda, gli aiuti ai Mujaheddin da parte della CIA sono (11) Da Le Nouvel Observateur (Francia) 15 Gennaio 1998, pag. 76.

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iniziati durante il 1980, ovvero, dopo che l'armata rossa aveva cominciato l'invasione dell'Afghanistan il 24 Dicembre 1979. La realtà, rimasta fino ad oggi strettamente celata, è completamente diversa: è stato il 3 luglio 1979 che il presidente Carter ha firmato la prima direttiva per aiutare segretamente gli oppositori del regime filo sovietico di Kabul. Quello stesso giorno ho scritto una nota al presidente nella quale si spiegava che a mio parere quell'aiuto avrebbe determinato un intervento armato dell'Unione Sovietica in Afghanistan. D: Nonostante questo rischio lei ha sostenuto questa azione segreta. Ma lei stesso desiderava questo intervento sovietico ed ha cercato di provocarlo? Brzezinsky: Non è proprio così. Non abbiamo spinto i russi ad intervenire, ma abbiamo consapevolmente aumentato le probabilità di un loro intervento. D: Quando i sovietici hanno giustificato il loro intervento con la necessità di contrastare un coinvolgimento segreto degli Stati Uniti in Afghanistan, nessuno li ha creduti. Invece c'era un fondamento di verità. Lei ha qualche rimorso, oggi? Brzezinsky: Rimorso di che tipo? Quell’operazione segreta è stata un'ottima idea. Ha avuto l'effetto di attirare i Russi nella trappola afghana ed io dovrei pentirmene? Il giorno che i sovietici hanno varcato il confine afgano ho scritto al presidente Carter che finalmente avevamo l'opportunità di dare all'Unione Sovietica la sua guerra del Vietnam. Infatti per circa dieci anni Mosca ha dovuto portare avanti una guerra insostenibile da parte del governo, un conflitto che ha demoralizzato ed infine sgretolato l'impero sovietico. D: E nessuno di voi è pentito di avere supportato l'integralismo ed il terrorismo islamico con armi ed addestramento? Brzezinsky: Cosa è più importante per la storia del

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mondo? I talebani od il collasso dell’impero sovietico? Qualche musulmano esaltato o la liberazione dell'Europa Centrale e la fine della guerra fredda? D: Qualche esaltato musulmano? Ma e' stato detto e ripetuto che il fondamentalismo islamico rappresenta oggi una minaccia mondiale. Brzezinsky: Balle. Si dice che l'occidente abbia una politica globale riguardo all'Islam. Ciò è stupido. Non esiste un Islam globale. Prova a guardare all'Islam in modo razionale e senza demagogia o emozione. È la religione principale al mondo ed ha un miliardo e mezzo di seguaci. Ma cosa lega il fondamentalismo Saudita, la moderazione di stati quali il Marocco, il militarismo pakistano, il filo occidentalismo egiziano e gli stati laici dell’Asia centrale? Nulla più di ciò che unisce le nazioni cristiane.

Zbigniew Brzezinsky

...un consigliere così non si può augurare manco al tuo peggior nemico… 74


Gli USA e il petrolio Entrai nell’aula sbuffando e di malumore. Non si poteva fumare: “Se non si può fumare, almeno sarà, almeno, permesso pensare? Ne dubito. Ne dubito fortemente.” Ero stato chiamato a tenere un seminario sul petrolio, da un mio amico docente, come “esperto della materia”. Mi guardai intorno sdegnato. Gli studenti erano tutti troppo perbenino per i miei gusti. Comunque tirai un respiro profondo e cominciai. «C’è chi crede che il prezzo del petrolio sia come il prezzo di qualsiasi merce: determinato dall’offerta e dalla domanda. Bene, anzi male. Malissimo. Domanda e offerta al massimo spiegano un 20% del prezzo. Qualcuno di voi sa quale era il prezzo del petrolio nel 1950?» Silenzio. «Me lo immaginavo» dissi sconfortato «Era di 2 dollari al barile circa. E nel 1955, nel 1960, nel 1965?» Sguardi interrogativi. «Sempre di 2 dollari al barile.» «Testoni», bofonchiai fra me e me. Implacabile proseguii: «E la curva della domanda fra il 1950 ed il 1965 cresceva o scendeva?» «Cresceva?» azzardò un occhialuto. «No, non cresceva: stracresceva, c’era il boom economico, la grande industrializzazione, c’erano i frigoriferi, le radio, le lavatrici, gli aspirapolveri, tutti quei maledetti aggeggi infernali che oltre a fare rumore d’inferno consumano energia. E poi c’erano le automobili. Un numero che mai la terra aveva visto. E le automobili allora non avevano neanche la quinta. Sapete con un pieno quanto si faceva su una BMW dell’epoca?» Silenzio. «Meno di 100 km! La domanda di energia cresceva e il prezzo del petrolio rimaneva fermo. Perché?» 75


Silenzio. «Perché se ne estraeva sempre di più, ma sempre allo stesso prezzo: 2 dollari. E quanto andava agli arabi di “royalties”?» Silenzio. «Fra lo 0,2 e lo 0,5%. Poi venne Enrico Mattei e propose 50/50 purché si rompesse il “cartello delle 7 sorelle”. Mattei dirigeva l’ENI, una società di Stato. Che fine fece Mattei?» «Incidente aereo?» azzardò l’occhialuto. «Sì, chiamiamolo incidente. E chiamiamo la bomba di piazza Fontana una fuga di gas, e le due Torri un’esercitazione di un pilota ubriaco… Sì, sì… fu sicuramente un incidente! Comunque, se non è la domanda e l’offerta che determina il prezzo del Petrolio qual è, come la chiamate voi… ah sì, la “variabile esplicativa”?» Silenzio. «È la storia, teste di capra, la variabile esplicativa è la storia. E adesso vi racconto come è iniziata.» Mi accomodai per quanto potevo sulla sedia, mi infilai in bocca un Montecristo “languito”, spento, formato non disprezzabile e dal sapore vecchia Inghilterra, e iniziai: «C’era una volta un re. Il re voleva formare una dinastia. La dinastia saudita era stata fondata da Muhammad bin Saud, Emiro della città di Najd, nell’altipiano dell’Arabia Centrale, nel 1700. Qui il beduino si convertì alla predicazione di Muhammad bin Abdul Wahab. Un fanatico che aveva fatto dell’Islam, che già era di suo religione, come dire, intollerante, un vero e proprio inferno puritano. Quello che ci voleva, comunque, per un programma di conquista. I turchi se ne accorsero e nel 1818 dopo che i Saud avevano conquistato mezza Arabia, gli fecero guerra. 76


Abdullah, l’allora capo saudita fu portato a Costantinopoli e decapitato. Ma a quell’epoca i turchi erano già stirpe decaduta: permisero al figlio di Abdullah di ristabilire il regno con capitale Riyadh. Varie lotte intestine alla famiglia regnante costrinsero il nipote di Abdullah a fuggire in esilio presso l’emiro del Kuwait Mubarak. L’emiro del Kuwait scelse il giovanissimo Ibn Saud, figlio del nipote di Abdullah, come leader, e lo addestrò di conseguenza. Gli insegnò, come lui stesso anni dopo disse, “a considerare il vantaggio e lo svantaggio”. Ibn Saud fu messo alla prova presto. I turchi incitarono i Rashid, una tribù nemica, a invadere il Kuwait, che era sotto protettorato britannico. Abd al Aziz ibn Saud fu mandato dall’emiro kuwaitiano a conquistare Riyadh. Il giovanotto compì la missione affidatagli, uccise il Governatore dei Rashid e nel 1902 venne proclamato governatore del Najd e Imam dei wahabiti. A ventun anni restaurò la dinastia dei Saud. Durante la Prima Guerra Mondiale il Saud manovrò con mediorientale efficacia, evitando di mettersi contro i turchi, ma nello stesso tempo blandendo gli inglesi. Il Colonnello Lawrence lo odiava. Probabilmente i Saud intascavano soldi sia dai turchi, sia dagli inglesi. Nel 1925 le truppe dei Saud, gli Ikhwan, guerrieri di rara ferocia conquistarono l’Hijaz. I vecchi alleati degli inglesi, gli Haschemiti della rivolta del deserto contro i turchi, vennero sconfitti. Lawrence cercò di tornare in Arabia per combattere al fianco dei vecchi alleati, ma il comando inglese glielo impedì. Mecca e Medina caddero sotto il controllo dei wahabiti. Ibn Saud dovette far fuori anche gli Ikhwan, troppo fondamentalisti, odiavano anche il telegrafo, il telefono, la radio e le automobili. Nel 1930 i sauditi erano i padroni dell’Arabia. 77


Ma proprio allora sorse una nuova minaccia: i soldi scarseggiavano. Chi conosce il mondo arabo, sa che potere e mancanza di denaro difficilmente riescono a convivere a lungo. Fu allora che il sovrano ricordò ciò che gli aveva detto un suo vecchio compagno di viaggio. Un inglese, commerciante a Gedda e convertitosi all’Islam con il nome di Abdullah. Il suo vero nome era Harry St. John Bridger Philby. Jack per gli amici. Sarebbe divenuto famoso grazie a suo figlio: Kim Philby il capo dei servizi segreti inglesi che passò ai sovietici. Comunque “l’amico inglese” gli aveva detto che nel sottosuolo dell’Arabia, forse, c’erano immense ricchezze. «Oh Philby» disse Saud, «se qualcuno mi offrisse un milione di sterline gli darei tutte le concessioni che mi chiedesse.»12 Inizia qui una complicatissima storia di trattative in cui Philby gioca su almeno quattro tavoli diversi, anticipando così le poco eleganti virtù del figlio. Comunque, nel 1933 la bozza di accordo con la Socal Americana era pronta. 35.000 sterline in oro, come anticipazioni e prestiti per il primo anno e altre 20.000 per il secondo. Infine un bonus di 100.000 sterline alla scoperta del petrolio. La concessione si estendeva su 800.000 kmq di territorio arabo. Ibn Saud disse al suo fidato ministro delle finanze Abdullah Sulemain: «Confida in Allah e firma». Così iniziarono i rapporti fra i sauditi wahabiti e gli wasp americani. Ma Roosevelt poco capì dell’importanza dell’evento. Il primo ambasciatore americano in Arabia Saudita arrivò solo nel 1939, e la prima legazione fu istituita nel 1942.» Un occhialuto mi chiese ragguagli sulla crisi petrolifera. «Ora» dissi, con quell’aria di supponenza che mi aveva rovinato molte amicizie «per chi non è della mia genera(12) Daniel Yergan, Il Premio - L’epica storia della corsa al petrolio, Sperling & Kupfer Editori, 1991.

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zione è difficile capire tutti gli intrecci che stanno dietro la cosiddetta “truffa petrolifera” del 1973. E poi ci vorrebbe un uditorio preparato… comunque, visto che insistete… Correva l’anno di grazia 1973. Anno orribile per l’economia americana, e quindi per l’economia mondiale. Gli statunitensi stavano perdendo la guerra del Vietnam, ma il pericolo maggiore non erano i viet. Era l’oro che per la prima volta nel “secolo Americano” cominciava a scarseggiare. Nel 1969 gli Yankees si erano accorti di avere i forzieri vuoti. Eh sì, a Fort Knox non c’era oro sufficiente per, come dire, “onorare i biglietti verdi”. Oggi che siete abituati a monete “pezzi di carta” e alle carte di credito di plastica potreste anche dire: «E chi se ne frega?» allora no. La gente pensava che portando alla Federal Reserve un mucchietto di dollari in cartamoneta avrebbe avuto in cambio dell’oro. Poi quello che faceva con l’oro erano cazzi suoi, magari un “cadeau” alla moglie. Altri tempi, d’accordo, oggi anche le puttane le paghi con l’American Express, ma allora, come dire, insomma, ci si teneva a questa storia della parità aurea. E ammettere che si era battuta moneta senza copertura, allora era ancora “unfair”. È qui che gli statunitensi fondano il loro Impero: su una bancarotta. Non è il primo caso, non sarà neanche l’ultimo. Ma l’abilità nell’occasione è superba. Non solo si convincono i paesi europei ed il Giappone a continuare a usare il dollaro come se nulla fosse avvenuto (solo De Gaulle protestò un po’) no, si fa di meglio. Si prende una merce denominata storicamente in dollari, il petrolio, e se ne fa crescere a dismisura il prezzo. A guardarlo ora quel picco che porta da 2 $ a oltre 5 $ il barile il prezzo del greggio, fa ancora paura! Qual è il vantaggio immediato della “truffa”? Innanzitutto i paesi industrializzati sono costretti a comprare dollari per 79


pagare le importazioni di petrolio. Nonostante la bancarotta il dollaro inizia a crescere. Pochi ricordano che con la parità aurea un dollaro valeva 625 lire e la sterlina 1750. Gli americani, svincolati dalla parità aurea, potevano stampare quanti dollari volevano. Questi dollari avrebbero avuto per molti anni l’odore del petrolio. Qualche buontempone s'inventò il termine petrodollari. Non solo, gli USA sono sempre il terzo produttore mondiale di petrolio, le loro riserve, anche se in gran parte destinate alla difesa strategica, le conservavano, rivalutate. Si dirà; ma come controllare tutti questi “petrodollari” in circolazione? Semplice: gli arabi disponevano di una sola “piazza finanziaria”: Beirut, la Svizzera del Medioriente, il rifugio di tutti i “peccatori”, il paese dei Cedri, da cui proveniva una delle spose di Salomone, lodata anche dall’Ecclesiaste per la sua avvenenza. Nel 1975 scoppia una rissa a Beirut durante un matrimonio. I maroniti massacrano di botte dei palestinesi di fronte a una chiesa. Roba da italietta di provincia, direte, certo, ma una fazione palestinese ritorna sul posto con i mitra… e li scarica sulla folla… uccide dei ragazzi cristiano-maroniti dell’organizzazione falangista di Gemayel che si erano rifugiati in una Chiesa. I maroniti, che non hanno mai avuto un buon carattere, si armano e preparano la vendetta. Cecchini maroniti sparano dall’Holiday Inn, nella zona degli Alberghi, i mussulmani si organizzano e contrattaccano. Scendono i Drusi dalle montagne dello Chouf. Il Presidente del Libano ordina all’esercito di intervenire. La brigata mussulmana si rifiuta e si schiera con i palestinesi. Beirut è in fiamme. A Tal al Zhatar i maroniti prima assediano e poi massacrano i rifugiati palestinesi di un campo profughi. Nei villaggi del Libano del Sud le milizie sunnite e i palestinesi danno la caccia al cristiano. 80


La Siria interviene a favore dei maroniti, (sì miei cari, proprio lui, Assad, il Leone di Damasco, che era un alawita, si schiera con i cristiani perché gli fa comodo…). La guerra del Libano è iniziata. Durerà oltre vent’anni. I capitali arabi volano a Londra, Zurigo, New York. Ma torniamo alla “truffa del petrolio”. Uno degli artefici della grande beffa fu l’allora ministro Saudita Yamani. Un articolo uscito sull’Observer un paio di anni fa racconta la storia vista da Yamani. “Sono sicuro al 100% che gli Americani erano dietro il rialzo del prezzo del petrolio. Le compagnie petrolifere navigavano in cattive acque, avevano un mucchio di soldi in debiti e necessita vano di un alto prezzo del petrolio per salvarsi.” Sempre secondo l’Observer, Yamani fu convinto di questo interesse americano da un incontro con lo Shah dell’Iran. Yamani era preoccupato che un incremento dei prezzi avrebbe potuto generare pericolose conseguenze per l’OPEC, perché gli avrebbe alienato le simpatie americane. Re Faisal gli consigliò di sentire il parere dello Shah di Persia. “Perché sei contrario all’aumento del prezzo del petrolio”, gli disse lo Shah “Non è proprio quello che vogliono? Chiedi ad Henry Kissinger: è il primo a volere alti i prezzi del greggio!”.» Proseguii di fronte a occhi sbarrati dietro gli occhiali. «Non avevo mai dubitato delle caratteristiche di “Suk” del mercato petrolifero internazionale, ma quasi mi bruciai il naso con il sigaro, quando lessi le dichiarazioni di Yamani all’Observer! Già, perché poi l’articolo proseguiva riferendo che Yamani era sicuro delle sue affermazioni anche perché le aveva ritrovate nelle ‘minute’ di un incontro segreto svoltosi su un’isola svedese, dove inglesi e americani avevano deciso un rialzo del prezzo del greggio del 400%. Avevo già sentito parlare di quell’isola. Si chiama 81


Saltsjoeband, c’è una meravigliosa residenza dei Wallenmberg, i banchieri. Nel 1973 ci si tenne un incontro del Bilderberg Group13. Non ve la raccontano così la storia nelle facoltà di economia, eh? Neanche nei Master. E allora qualcuno di questi benedetti Professori mi spieghi per una volta almeno i prezzi del petrolio con la teoria dell’equilibrio generale. O l’andamento del dollaro con il monetarismo.» Uno studente con capelli lunghi e barba si alzò e disse: «Scusi professore, ma adesso tutti parlano del Petrolio del Caspio. Qualcuno afferma anche che sia la causa della guerra in Afghanistan…Lei che dice?» Sorrisi. «Quella del petrolio del Caspio è una sorta di “leggenda petrolifera” nata nel 199714. Ma nella storia del petrolio le leggende sono sempre più vere della realtà. Prima o dopo si avverano, ma spesso con alcune piccole differenze rispetto alla versione originale. Queste differenze fanno la ricchezza o la povertà di molte nazioni. Dunque, nel 1997 il Dipartimento di Stato Americano fa filtrare la notizia che ci sarebbero 200 miliardi di barili/giorno di riserve nell’area del Caspio. Il Caspio avrebbe potuto quindi competere con i paesi OPEC. Stiamo attenti alle date però. Proprio nel 1997 siamo al culmine del tentativo USA di isolare l’Iran. Immediatamente risuona il “mantra” della “Caspian policy”. Oleodotti e gasdotti che dal Sud dell’area del (13) Bilderberg. E’ una associazione nata nel 1954, a opera del Principe Bernardo di Olanda, ex ufficiale delle SS. Prende il nome dall’Albergo dove si tenne la prima riunione. Giocò un ruolo importante nella definizione del “Piano Marshall”. Il Principe ne fu presidente fino al 1976, anno in cui dovette dare le dimissioni, in quanto coinvolto nello scandalo Lockeed. Il Bilderberger riunisce annualmente personaggi scelti dell’oligarchia finanziaria e industriale Europea in meeting molto riservati. Henry Kissinger è stato più volte invitato. Per notizie sui vari incontri vedi: www.bilderberg.org un sito estremamente informato su questa encomiabile congrega di lestofanti. (14) The Middle Est Economic Survey. n. 38, 17 settembre 2001.

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Caspio portano il Petrolio via Turchia! È il sogno di quasi 30 anni di politica energetica americana: un petrolio non OPEC, non mediorientale e neppure russo, che passa al di fuori dei confini dei paesi OPEC e della Russia. Qualche anno dopo lo scenario è mutato. Il petrolio del Caspio esiste, ma esiste molto più a nord: nelle piattaforme offshore di Kashagan, nel nord del Kazakhstan. Secondo l’E.I.A., l’Agenzia Governativa Americana per l’Energia, solo a Kanshan ci sarebbe un “campo” da 40 miliardi di barili. A sfruttare Kanshan attualmente è un consorzio: l’Offshore Kazakhstan International Operative Company (OKIOC). Dentro, dopo una lunga battaglia, è riuscito ad entrare anche l’ENI. La storia del petrolio del Caspio dunque non è completamente falsa ma è anche molto diversa da come fu raccontata nel 1997. Il vero problema è come trasportare il petrolio e il gas Kazacho. Per ora la direzione è verso il Mar Nero. Sia l’oleodotto Tengiz-Aktau, che porta 160.000 barili/giorno, sia il nuovissimo TengizNovorossik che nel 2015 raggiungerà la capacità di 1,34 milioni di barili/giorno passano per la Russia. Non solo, il petrolio va poi imbarcato sul Mar Nero e deve traversare il Bosforo e i Dardanelli. La Turchia si oppone, si rischia il collasso delle vie commerciali marittime. A metà degli anni ’90 si affaccia un progetto “innovativo”: una pipe line, o meglio due pipe line, che puntano a Sud, traversano l’Afghanistan e sboccano in Pakistan, a Muiltan sul Golfo. Petrolio e Gas non OPEC, non mediorientale che non passa per la Russia. Ecco di nuovo il sogno del 1997! Ma c’è un problema. Nel 1995-96 l’Afghanistan è un paese in piena guerra civile. Le varie fazioni dei Moujhaddin da Al Masud, a Dostum, a Rabbani a Hekhmatjar si massacrano allegramente fra di loro. I “promoters” del progetto, l’america83


na Unocal e la Delta Oil Company, di proprietà della famiglia Saud, decidono di giocare la carta dei Talebani. Il Pakistan non aspettava altro. Inizia così la “resistibile” ascesa degli “studenti di religione”. Fino a qualche mese prima dell’11 settembre c’era in America una lobby fortissima a favore dei Talebani. Una lobby legata a Unocal. E sapete chi era il capo-lobbysta?» Sguardi interrogativi «Il vecchio Henry, sì proprio lui, Henry Kissinger!» Fortunatamente proprio allora suonò la campanella!

Henry Kissinger, Nobel per la Pace

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Gli occhi di Tovarich (1) Tovarich aveva gli occhi azzurri. Tovarich non si chiamava così, ma a Kabul tutti lo chiamavano da sempre con quel nome. Tovarich aveva 15 anni. Di una cosa sola era sicuro, non era nato per un atto di amore. Era nato per un atto di guerra di un soldato dell’Unione Sovietica contro una ragazzina afghana. Tovarich la guerra la conosceva bene, anzi non conosceva altro. Di sua madre ricordava solo le carezze e una piccola nenia che gli cantava da bambino. Tovarich era cresciuto presto. Sua madre non era invecchiata. Gli uomini con la barba lunga l’avevano portata allo stadio, insieme ad altre. Gli avevano tirato pietre . Sembrava quasi un gioco, finché il Burka di sua madre non aveva cominciato a cambiare colore. Prima era azzurro scuro. Poi diventò rosso… infine aveva un colore marrone. Quasi si confondeva con la terra. Tovarich si era tappato le orecchie per non sentire le grida. Ma gli occhi non era riuscito a chiuderli. Non li avrebbe più chiusi. Neanche la notte. Per questo non lo prendevano. Per questo era ancora vivo. Quella strana insonnia che lo teneva sveglio era il suo modo di vivere. La notte era libero e poteva pensare a tutto quello che voleva. Di giorno poteva agire senza pensare. Per questo era più veloce degli altri. Per questo era più vivo degli altri. Quella sera Tovarich fu il primo ad accorgersi che qualcosa non andava. Era finita da poco la preghiera del Muezzin “Allah akbar…”. La sera autunnale scendeva su Kabul. Tovarich aveva sentito qualcosa nell’aria che non doveva esserci. Un attimo prima che scoppiassero le bombe… solo dopo era cominciata la contraerea e quelle stelle filanti nel cielo. Il cielo era scuro. Da su scendevano quei grandi oggetti che lasciavano una striscia di fumo bianco prima di esplodere.

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Tovarich sapeva come si chiamavano. Cruise. Tovarich conosceva tutti i tipi di armi che esistevano al mondo. Prima o poi le avrebbe usate tutte, pensava. Tovarich adesso sapeva cos’era quella cosa in cielo che non doveva esserci. Lo chiamavano Stealth. Aveva visto la foto su una rivista americana a casa del Maggior Generale. Il Maggior Generale non stava più a Kabul da qualche anno. Ma Tovarich aveva ereditato molti dei suoi oggetti. Glieli aveva lasciati il Maggior Generale. Insieme a uno strano telefonino. Grossi così non li aveva mai visti. Il Maggiore gli aveva detto di usarlo quando avesse avuto qualcosa di importante da dirgli. Finora Tovarich non aveva mai chiamato il Maggiore. Il Maggiore si scocciava se qualcuno lo chiamava per dirgli sciocchezze. Adesso aveva qualcosa di importante da dirgli. Tovarich era contento. Il satellitare tossì un po’ per trovare la linea. Ma ce la fece. La voce del Maggior Generale arrivava da lontano, ma non troppo. «Hello Sir, dove stai, sono Tovarich.» «Tovarich! Sto a Takeshent, Uzbekistan. Da dove chiami figlio di puttana, eh?» «Kabul, Sir. Hanno cominciato! Cascano missili un po’ dovunque!» «Lo so Tovarich, lo so… non ti far beccare, eh. Io non sto troppo lontano!» «Solo i fessi si fanno beccare Sir, me lo hai insegnato tu. Dimmi, che devo fare?» «Informazioni, Tovarich, informazioni. Come sempre. Dove stanno i capi, cosa pensano di fare, chi è disposto a parlare con noi, chi è disposto a tradire, ecc, ecc.» «A tradire sono disposti tutti qui.» «Anche tu?» «Sir, io gioco solo per me stesso, come te.» «Ok» rise «Chiudi la linea adesso, la possono intercetta-

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re. Cerca di andare a Nord, verso Mazar i sharif.» «Dove c’è il vecchio maiale?» «Proprio lì, Dostum è il nostro uomo adesso.» «Quello è l’uomo di tutti.» Tovarich sputò per terra. Risate… «Vai su al Nord… ho bisogno di te da quelle parti. Richiamami quando sei arrivato.» «Ok Sir.» «Tovarich…» «Sì, Sir?» «Pensi ancora a tua madre?» «Qualche volta Sir.» «Ok, riguardati… chiudi, ciao!» «Ciao Sir!»

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Ciudad de l’Este Miglioro. Adesso posso fare anche dei viaggi. Decido di andare a Iguatsù, lì dove il grande fiume Paranà si rompe in cascate altissime, in forre e torrenti come la Garganto do Diablo. Siamo al confine fra tre stati, il Brasile, l’Argentina e il Paraguay. E proprio in Paraguay esiste una città maledetta: Ciudad de l’Este. La Guida Eoutard dice che ci si può comprare “la felicità per cinque dollari”. Mi sembra un buon prezzo. Ne ho bisogno. Supero il ponte che collega il Brasile al Paraguay ed entro in una città che è la più incredibile del mondo. Una città che vive di traffici: tutti scrupolosamente disonesti. Se si vuole vedere l’aspetto “hard” della globalizzazione, Ciudad de L’Este è il posto ideale. Prostituzione, droga, armi, Rolex falsi, la mercanzia è esposta e si tratta solo in dollari. I mercanti sono di tutte le razze, molti libanesi, ma anche gente dell’estremo oriente. Le baracche intervallano vecchie case di legno di foggia tropicale. E il clima è tropicale. L’umido dell’aria si mischia alle impalpabili goccioline provenienti dalle cascate. Si naviga in queste strade come se si fosse già sotto l’effetto di una droga potente. E sono appena arrivato. Ragazzine indio invitanti sulle porte, cocaina ancora purissima che viene dal Perù e dalla Colombia, sigari cubani “veri”. Sto in questo giardino delle delizie, cercando di decidere cosa sia più indicato per la mia convalescenza, il che purtroppo esclude la coca ma lascia spazio alle ragazzine e ai cubani, quando vedo un gruppo di uomini dalla barba lunga e la tipica acconciatura col turbante, che tutti avevamo notato nelle interviste a Osama. Mi blocco. Chiedo indiscreto al venditore di sigari chi fossero “los turcos”, come in Sudamerica si chiamano 88


tutti gli arabi. Come se fosse cosa risaputa mi risponde “al Qaeda”. Capisco, non è il caso di fare più domande cretine. Capisco. Se sono arrivati già qui, e ci sono arrivati come testimonia l’attentato all’antica Sinagoga di qualche anno fa a Buones Aires, la situazione è assai grave. Niente da fare. Ricomincia l’incubo. Prendo il pullman che mi riporta indietro, verso l’Hotel International, lo stesso dove passarono la luna di miele John Lennon e Yoko Ono. Mi ci vorrà una dose doppia di caipirhinja per riprendermi. Al Continental la fanno dei simpatici ragazzi brasiliani. La sera sto da solo nella sala del restaurant. Un indiano Guaramì suona l’arpa del suo popolo, intervallando antiche canzoni in Guaramì, una lingua ormai parlata da pochissimi, con successi internazionali. I Guaramì furono sterminati dai portoghesi, nonostante la resistenza organizzata dai gesuiti a Missiones. Ora ne resta qualche tribù in Paraguay. Religioni. Religione morte, religioni vive, guerra fra religioni: islamici a Ciudad de L’Este, guaramì che suonano Imagine. Forse è questa la globalizzazione: una grandiosa guerra fra religioni e culture che attraversa tutto il pianeta… L’Islam che non c’è Ero immerso in riflessioni mistiche. Leggevo “Quando il sole nascerà a occidente, bianco di accecante bagliore…” Così inizia un’opera esoterica islamica, l’Enciclopedia dei fratelli della carità e della Purezza, testo introvabile ma non per la biblioteca di Sbancor, redatto dalla setta degli “Ikwan-al-Safa” all’epoca del califfato. E di questi testi mistici, in cui parla il rinascimento arabo, ce ne sono migliaia non tradotti. Testi da cui si desume una civiltà altissima ma che, tragicamente, non esiste più. Questa civiltà finisce intorno 89


al 1200-1300, distrutta dalle invasioni mongoliche e dal predominio dei popoli di etnia turca. L’Islam antico L’Islam antico era, come tutte le religioni, attraversato da eresie profonde. E come per tutte le religioni sono i testi eretici gli unici veramente interessanti. Ismaeliti, Drusi, Fatimidi del Cairo, Dervisci. Ai limiti del deserto o nelle oasi il continuo peregrinare delle tribù bedù incontrava civiltà antichissime, come i nabatei, i seguaci di Sheitan in Iraq, i mandei della piana di Bassora, i sabei di Harran. Religioni che, a volte, come nel caso degli harraniti, discendevano in linea diretta dal paganesimo accadico, su cui sincretismi e reinterpretazioni tarde avevano stratificato elementi di Zoroastrismo, neo-platonismo, ebraismo, cristianesimo o addirittura le dottrine di Ermete Trimegisto. Inutile cercare l’origine, ogni religione si specchiava nell’altra in un gioco mirabile di equivoci e di comuni visioni esoteriche. Gli antichi dèi sumeri rivivevano in trasfigurazioni più tarde, Abramo lottava con Nemrod, Gesù altri non era che il Gayomart, il bambino splendente di luce della leggenda zoroastriana. I Magi ne testimoniavano l’autenticità. E i “magusens” pullulavano, insieme a teste parlanti tratte da uomini immersi per un anno in olio ed estratti di fiori, vi erano pozzi talmente profondi che anche in pieno giorno si potevano contemplare le stelle, e vi era Jabir, l’alchimista che contestava Democrito, sostenendo che l’atomo poteva sì scindersi, ma ne sarebbe scaturita una energia tale da distruggere una città grande come Baghdad. C’era il Vecchio della Montagna e la sua setta di fumatori di hashish. Si fumava molto, in quell’epoca, si assumevano sostanze ineffabili che aprivano lo spirito alla “visio smaragdina”. Si studiava Matematica e Astronomia ma per meglio costruire affascinanti Astrolabi e con questi Oroscopi proibiti. I Decani che vediamo raffigurati nella Cappella Schifanoja di Ferrara, e che fecero vacillare la già non stabilissima mente di Aby Warburg, erano gli oscuri tramiti fra la magia astrale e la negromanzia. Da Harran veniva il “Ghayat al hakim”, il più grande manuale di magia medioevale, tradotto alla corte di Alfonso el Sabio con il titolo di “Picatrix”. Le sue formule e le sue magie furono l’ossessione della Santa Inquisizione per almeno quattro

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secoli. In mezzo a questo pullulare di Dei, splendeva ancora pallida la luce di Sin, il gran dio maschile della Luna, di origine Sumera. Ma accanto, come nella teologia Drusa, si potevano trovare Omero, Socrate, Pitagora. Anime reincarnatesi più volte, finché sarebbe giunto il sesto Imam, il Mahadi, l’Imam della Salvezza. Allora tutti i tabù religiosi sarebbero stati infranti, compreso l’uso degli alcolici, il sesso fra consanguinei e chi sa quali altre piacevoli perversioni che ci sarebbero state riservate. L’ultima religione, all’ultimo grado di iniziazione sarebbe stata la Religione della Libertà, la Religione dei filosofi. E mentre i “sufi” contemplavano la città santa, di Hurqaila, che non era di questa terra, i più concreti soldati turchi di Saladino provvedevano a decapitarli per manifesta eresia. Questo Islam, l’unico che valga ancor oggi la pena di studiare, non esiste più. L’Islam di oggi è come il cristianesimo dei “cappellani militari” durante le guerre europee. Dio è con Noi. “Gott mit uns“. Certo restano divisioni fra Sciiti e Sunniti, fra preti di un tipo e preti di un altro. Che Allah, il potente e il misericordioso, possa perderli tutti! Ma l’Islam è finito, così come è finito il cristianesimo di Francesco o di Gioacchino da Fiore, così come sono finiti i sogni millenaristi di Muntzer o le delicate visioni di Marsilio Ficino, Tommaso Campanella, e il grido chiuso in una mordacchia di ferro dell’ultimo grande eresiarca: Giordano Bruno.

Gli americani che nulla sanno di tutto ciò si sono infilati in una riprovevole vicenda. Hanno sovvenzionato i gruppi più fanatici e ignoranti, scegliendoli con la cura che mette solitamente l’imbecille a preparare la sua rovina. I Wahabiti. Sicuri che i Sauditi sarebbero stati loro alleati. Hanno permesso che questa marmaglia di mullah puzzolenti e misogini ammorbasse il Sudan, la Somalia, l’Algeria, la Cecenia, il Pakistan, l’Afghanistan. Li hanno sostenuti in Bosnia: Itzbegovic responsabile della distruzione di Sarajevo almeno quanto Milosevic è un fondamentalista. Li hanno 91


scatenati in Albania con l’UCK e in Macedonia. Hanno invaso pure le Filippine e sicuramente deborderanno in Africa. Per anni hanno cercato di convincere il mondo che il pericolo erano gli sciiti iraniani, che, in quanto sciiti e in quanto non arabi, pochissimo avrebbero potuto fare fuori dal’Iran. E infatti si sono radicati solo in quel crogiuolo di religioni che è il Libano. L’Islam non esiste più. Mi dispiace per i solidali idioti della nostra sinistra, mi dispiace per i “preti ecumenici” e tutti quei gruppi di avvelenatori delle anime e delle coscienze che blaterano di Islam tollerante come il cristianesimo o l’ebraismo. Appunto, cristianesimo ed ebraismo non sono affatto tolleranti. Come non lo è l’Islam di oggi, l’unico che esiste. E questo Islam vuole la “Guerra Santa”. Alcuni dei suoi leader, fra cui bin Laden, aspirano a diventare i rappresentanti (per volontà di Allah) delle moltitudini di poveri e diseredati che popolano il pianeta. Questo potere li metterà in condizione di puntare alla leadership dei Paesi Arabi ricchi. Chiunque pensi che in tutto ciò vi sia un briciolo di autentica “lotta di liberazione” è o un ignorante o un pazzo scatenato. Per parafrasare Reagan, oggi la lotta è fra l’Impero del Male (gli USA) e l’Impero del Peggio (gli Integralisti). Nessuna mediazione possibile fra noi e loro. Ricordatevi i compagni del Tudeh, il Partito Comunista Iraniano, consegnati alle torture e alle esecuzioni sommarie dei pasdaran di Komeini sulla base di una lista gentilmente fornita dalla CIA. Ricordatevi la stessa operazione fatta nel 1953 in Iraq, lo sterminio di 200.000 comunisti operato da Saddam Hussein e dal partito Bath. Ricordatevi i 500.000 morti comunisti e cinesi dell’Indonesia di Suharto. Ma il peggio è il tentativo di accreditare questa religione 92


come l’arma teorica dei diseredati, delle moltitudini di poveri che soffrono sul pianeta. L’esercito che vive con meno di due dollari al giorno. L’incubo dell’Occidente grasso e opulento. È un’operazione sottile d’infiltrazione. La sinistra, affascinata dal “diverso”, ci casca. E il risultato sarà una catastrofe umanitaria senza precedenti. Altro che “scontro fra civiltà”, altro che “guerra di religione”. Questa è una “lotta di classe” a un tavolo da gioco truccato. Con miliardari sauditi travestiti da Che Guevara, trafficanti di eroina che imbracciano il mitra dei rivoluzionari, organizzazioni di schiavisti che si proclamano antirazziste. Dio che casino planetario! I Nazisti dell’Illinois Incominciai a ridere. Improvvisamente mi ero accorto che non stavo di fronte a una tragedia, ma a una farsa. La natura dello spettacolo conta molto, nella società dello spettacolo integrale. Cercai di mettere insieme le ultime notizie e i miei dubbi in materia. Conclusi che il quadro che ne usciva era di un caos mondiale a cui avevano collaborato un numero rilevante di teste di cazzo. Questo casino ha dei lati cupi e orrendi. Il massacro di cristiani nel Punjab, i bambini sotto le macerie, i morti delle due torri, sempre rivisti al ribasso. Fossero anche 200 comunque resta un massacro. Ma ciò non mi impedì di vedere il lato comico della faccenda. Procediamo con ordine. Qualche ignobile testa di manzo aveva partecipato al gioco dell’aereo sulle torri. Questo idiota è sicuramente un americano. L’idiota avrà pensato a un attentato un po’ più grande di Oklahoma City15. 500 morti? Mille? Insomma, una cosa del genere. (15) Il 19 aprile 1993, dopo un assedio da parte dell’FBI e altri enti federali durato 51 giorni, 76 persone, tra cui molte donne e bambini, bruciarono vive nel rogo della loro residenza.

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Costui fece passare gli islamici. I quali però si sono poi fregati quattro aerei. Infedeli e bari. Poi le torri non si sono limitate a un incendio, no, le torri per qualche infernale equazione sbagliata nei calcoli di struttura hanno ceduto. Il botto a questo punto è stato spaventoso. I testa di cazzo sono andati nel panico. La reazione poteva essere solo la “Guerra”. Come nel coro dell’Aida deputati, senatori, presidenti e vicepresidenti hanno intonato il ferrigno canto: “Guerra! Guerra!” Sin qui tutto bene. Si fa per dire. Manca solo Bellini: “Suoni la tromba intrepida, io pugnerò da forte…” Ma per fortuna Bellini non è nel repertorio di Bocelli. Il problema sarebbe incominciato dopo. A tre settimane dall’inizio del conflitto afgano. E.I.R. Executive Intelligence Revue Anno 10 n. 44, 1 novembre 2001 Quella guerra sconclusionata La guerra in cui Stati Uniti e Inghilterra si sono impegnati in Afghanistan è entrata nella quarta settimana e non c'è niente di cui si possa dire che "procede come stabilito". Osama bin Laden non è stato preso né vivo né morto e il regime talebano non è stato scalzato via. Ma anche se questi obiettivi fossero stati raggiunti l'Afghanistan resterebbe la palude politica in cui gli USA si sono andati a cacciare. L'opinione pubblica è rimasta un tantino perplessa nel sentire l'ammiraglio John Stufflebeem, capo di Stato Maggiore della Difesa, che il 25 ottobre ha sentenziato dal Pentagono che i Talebani: "Si sono dimostrati dei duri a combattere. Sono alquanto sorpreso dalla pervicacia con cui restano aggrappati al potere". Lo stesso giorno il quotidiano USA Today ha

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chiesto al ministro della Difesa se bin Laden sarebbe stato preso "vivo o morto". Donald Rumsfeld ha risposto: "Ebbene, si tratta di una cosa davvero difficile. Il mondo è grande e vi sono tanti paesi. Lui ha tanti soldi e tanta gente lo sostiene e non so se ci riusciremo... Sono convinto che se anche lui non ci fosse più già domani, il problema resterebbe lo stesso", data l'ampiezza della sua rete. Gli hanno chiesto se creda che dopo tre settimane di bombardamenti i talebani saranno estromessi. Rumsfeld ha risposto: "Sono già diverse set timane? Davvero così tanto? Tre settimane, ma che diamine, sono davvero sorpreso. Pensavo 10 o 12 giorni, ma sono già tre set timane. Sì, credo che vi sarà un Afghanistan post Talebano. È più facile che scovare una persona sola." Il giorno dopo Rumsfeld ha cercato di relativizzare: "Di tanto in tanto ho difficoltà ad esprimermi con chiarezza".

Siamo all’afasia, alla paralisi dell’epiglottide, alla catastrofe semantica! Dunque gli anglo-americani arrivano, pieni di buona volontà. Incominciano a bombardare con i Cruise. Primi due giorni, cifre ufficiali: costo: 2 milioni di dollari a missile; lanciati: 200 missili; uccisi: 35 afghani; costo unitario: 12,5 milioni di dollari ad afgano! Chissà, con 12 milioni di dollari quell’afgano avrebbe rovesciato almeno quindici regimi, venduto sua madre a un ruffiano di Las Vegas e scolato due casse di Budweiser! Ma si sa, i militari con i conti non eccellono. Seguono altre astutissime operazione militari supercommentate e illustrate da cartine multicolori. Risultato: 95


quattro depositi della Croce Rossa centrati su cinque che ce n’erano. Va bene i cosiddetti danni collaterali ma qui è il calcolo probabilistico che non torna. 4 su 5 fa pensare che l’unico errore sia stato quello di non centrare anche il quinto! Prosegue la farsa. Come in quelle commedie del D’Origlia - Palmi, (famoso teatrino di Roma degli anni ’60 dove la rappresentazione, per lo più sacra, non si fermava neanche di fronte al crollo della scenografia, che puntualmente insidiava lo spettacolo). Ecco l’eroe afgano lanciato in territorio nemico per scatenare la rivoluzione. Si chiama Abdul Haq. Gli manca un piede. Ahimé, anche Garibaldi zoppicava! Il disgraziato viene individuato dai barbuti talebani dopo qualche ora che è in Afghanistan, catturato e ucciso. Nonostante l’intervento di inutilmente costosi elicotteri! Probabilmente tradito dall’ISI, il Servizio segreto pakistano, come si suol dire, intimo, alla dirigenza talebana. Pare che lo Zoppo fosse anche un notevole trafficante di droga. Allah abbia pietà di lui. Il casino a questo punto è totale. Quelli del Nord, fra cui quel seminarista di Dostum, non possono avanzare, primo perché non ne sono capaci, secondo perché appartengono a una minoranza etnica e al di fuori dei loro confini tribali farebbero solo casino. I bombardamenti si intensificano. E ammazzano una povera ragazza in un villaggio dell’Alleanza del Nord! Cialtroni. Nel frattempo si scopre via via che i responsabili della diffusione dell’antrace negli USA probabilmente sono i “ragazzi delle Milizie”. Come diceva il povero John Belushi: «Odio i nazisti dell’Illinois!»

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La Storia di Ted (2) Ted era disteso sul letto, il respiro lento e preoccupato dei vecchi. Il respiro di chi sa che non ha molto tempo per respirare davanti a sé. E assaporava ogni respiro, come una sorsata di whiskey. La mente si rilassava nel passato. Era giovane quando dirigeva la stazione CIA di Miami. Dio se era giovane. E sapeva anche il suo mestiere. I cubani lo avevano capito a loro spese. Era divertente organizzare i raid sull’isola e portare indietro un po’ di scalpi di quei maledetti “rossi”. Il braccio di mare che separava la Florida da Cuba era bello. Tutto era bello a trent’anni. E lui era una giovane promessa per quelli di Langley. Con quell’aria un po’ alla Michael Caine nella “Pratica Ipcress”. E quel sorriso gelido. La “squadra” era nata allora con Felipe Rodriguez e Chi Chi Quintero. Ora gli sembrava di leggere un rapporto. Un agente CIA e un gruppo di esuli cubani, in gran parte delinquenti comuni, si erano spostati, nel 1965, da Miami (Florida) nella jungla del Laos. Erano Theodor Shackley, ex capostazione CIA a Miami, che si guadagnerà il nome di “Fantasma Biondo”, Felix Rodriguez, Josè Pasada e Chi Chi Quintero. Nel Laos era in corso una “guerra sporca”. Ufficialmente gli americani non c’erano, in realtà c’erano le “Forze Speciali”. Elicotteri “Cobra” e aerei per inondare di napalm il sentiero di Ho chi minh e la Piana delle Giare. Dall’altra parte c’era il Patet-Lao e truppe vietminh, anch’esse in incognito. La guerra si fece nella jungla, in mezzo a popolazioni semi-primitive: i Hmong che i vietnamiti chiamano con disprezzo “meo”: selvaggi. I Hmong vennero guidati da alcuni “Signori della Guerra” che avevano come principale occupazione economica le piantagioni di oppio e la raffinazione dell’eroina. 97


Shackley capì subito la situazione. Incontrò Vang Pao, un trafficante di droga, capo dei Hmong. Gli promise che i campi dei suoi concorrenti sarebbero stati bombardati. Vang Pao sarebbe stato il più grande trafficante di eroina del sud est asiatico. Shackley gli promise anche di farlo incontrare con la “Cosa Nostra”. Impegno mantenuto nel 1968: Vang Pao incontrò Sam Traficante jr. a Saigon. Intanto gli uomini di Ted Shackley erano al lavoro. La squadra era così formata: Ted al comando, Tom Clines secondo, un giovane maggiore dell’aeronautica Richard Secord a pianificare i voli. Il Gen. John Singlaub a organizzare l’armata degli assassini. Ci volle poco a fare di Vang Pao il Signore dell’Eroina. Gli aerei, dopo aver spianato le piantagioni dei suoi nemici, iniziarono a trasportare l’eroina fuori dal Vietnam. E qui ci fu il vero colpo di genio. I soldi incominciarono a essere così tanti da poter giocare in proprio. Venne fondata una compagnia aerea “Air America”, che sostituì gli aerei prestati dal vecchio miliardario pazzo Howard Hughes. Il motto della compagnia era “We Fly Right”. Commovente. I soldi transitavano per una banca australiana: “The Nugun Hand Bank”. I soldi servivano a finanziare la più grande “operazione coperta” della CIA: l’Operazione “Phoenix”. “Phoenix” voleva combattere i Viet senza le pastoie burocratiche dell’esercito. Arresti di civili, torture, esecuzioni. Si stima che circa 35.000 non combattenti siano passati nelle “fattorie” gestite da “Phoenix”. E da lì spariti nel nulla. Nell’ “Operazione Phoenix” si distinse un giovane ufficiale della marina: Richard Armitage. Ma come tutte le cose belle anche “Phoenix” finì. Nel 1972 la caduta di 98


Saigon era prossima. I ragazzi smantellarono velocemente. I Signori della Droga restarono a presidiare i campi. I “Hmong” erano stati quasi tutti sterminati dai Vietcong. Il Tramonto dell’Occidente Di nuovo in cattedra. Questa volta era una conferenza in un Centro sociale abbastanza sfigato. Da vero sadico, avevo scelto un titolo che mi sembrava indicato all’occasione: “Il Tramonto dell’Occidente in Oswald Spengler e la teoria dell’imperialismo”. Traditi dalla seconda parte del titolo gli organizzatori, tutti marxisti-leninisti, avevano accettato, chiedendosi chi cazzo fosse Spengler. Nella sala, al freddo, imbacuccato in un cappotto sedeva anche Parvus che mi guardava accigliato. «Ricordo» dissi «che all’Università ebbi per le mani un testo di Lukacs particolarmente voluminoso: La Distruzione della Ragione. Inserito in un esame di Filosofia Teoretica, forse in omaggio a quell’hegelo-marxismo che nei primissimi anni ’70 disputava provincialmente fra l’essere il marxismo una scienza o meno, il testo più lo leggevo più mi lasciava perplesso. Del filosofo ungherese, avevo già letto L’Anima e le Forme e Storia e coscienza di classe. Al loro confronto la Distruzione sembrava un manuale susloviano: con puntualità stalino-gesuitica censiva gli autori colpevoli di irrazionalismo. Nietzsche, Simmel, Spengler. Fra gli altri. Formatomi in solido ambiente razionalista e volterriano, e quindi in grado di riconoscere in Nietzsche un “iperrazionalista”, piuttosto che un irrazionalista, mi rimase però sempre un dubbio: e se Lukacs avesse operato come un “nicodemista” del tardo ‘500? Se avesse “criticato per poter parlare di autori vietati dall’ortodossia”? Se avesse voluto che leggessimo Nietzsche, Spengler, Simmel e tutti gli altri? Il sospetto mi rimase a lungo. Poi non ci pensai più. Distratto da altre teorie, dai movimenti degli anni ’70, dalla vita quotidiana. Finché nei primi mesi del 2000, bighellonando in una libreria, vidi una traduzione de Il Tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler. Sentii improvvisa l’emozione per un testo “proibito” e insieme i ricordi frammentari di antichi discussioni su “Kultur e Civilisation”. Non resistetti e lo comprai.

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Afferrai il voluminoso testo e minacciosamente lo aprii. Incipit. “In questo libro viene tentata per la prima volta una pro gnosi della storia. Ci si è proposti di predire il destino di una civiltà, e, propriamente, dell’unica civiltà che oggi stia realizzan dosi sul nostro pianeta, la civiltà euro-occidentale e americana nei suoi stadi futuri...” Guardate la copertina» mostrandola agli attoniti ascoltatori «una fronte ampia, un naso dritto, occhi corrucciati, folte sopracciglia, però curate. Si intravede un colletto rigido ed una “white tie” da frac.» Lessi la data della prima edizione: 1923. «A quell’epoca in Germania era in corso l’Azione di Marzo. Ultimo serio e disperato tentativo dei comunisti di sinistra, quelli bollati come estremisti da Lenin, per intenderci, di instaurare la Repubblica dei Consigli Operai in Germania. Le bande di disoccupati di Max Holtz attraversano la Germania lasciando una striscia di sangue e di fuoco. Rosa Luxemburg e Karl Liebenicht erano già stati assassinati dai Ferikorps, chiamati dal socialdemocratico Noske quasi quattro anni prima a Berlino. A Berlino Dada tedeschi e comunisti di sinistra scrivevano, con il loro sangue, alcune delle pagine più intense della storia del XX secolo. Basta dare un’occhiata a Spengler per capire invece da quale parte stesse. Eppure lui nel ‘23 dava già per scontata la vittoria della civiltà euro-americana: New York e Berlino saranno le città che illumineranno il mondo. Sarà stato di destra. Però….» Parvus scosse nervosamente la testa… Ricomiciai a leggere: «La storia mondiale è l’immagine del mondo nostra, non quella dell’umanità in genere. Frase secca e ben dotata di senso. Rottura con ogni “storicismo”, assunzione che la storia è la storia del soggetto che la racconta. La storia dei vincitori, assolutamente moderna, come teoria e colta. C’è Schopenhauer, c’è Nietzsche, ma c’è anche qualcosa di più moderno, che ha a che fare con le rivoluzione della fisica e della matematica degli anni 20-30. Continua parlando della storia come “acquisizione spirituale non verificata” e sembra di sentire l’eco della logica del Circolo di Vienna, o addirittura di ascoltare la musica atonale di Schonberg.» Gli uditori barcollarono, Parvus sembrò invece più interessato.

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«Ma ecco» dissi alzando stentorea la voce e rischiando di svegliare un comunista ottuagenario appisolato nell’ultima fila «Ecco improvvisa l’illuminazione di un non illuminista: La storia è la menzogna di una società la cui civilizzazione ha prevalso sulle altre. “Che alla civiltà occidentale l’esistenza di Atene, Firenze o Parigi abbia importato più di quella di Lo-Yang o Pataliputra lo si capi sce da sé. Ma è lecito fare di questi giudizi di valore la base di uno schema di storia mondiale? Allora lo storico cinese avrebbe tutto i diritto di tracciare una sua storia mondiale nel quale le Crociate e la rinascenza, Cesare e Federico il Grande siano passati sotto silenzio come dettagli irrilevanti.” (…) “E i complessi possenti costituiti dalla civiltà indù e da quella cinese non sono stati forse confinati per puro imbarazzo in qual che nota a pie’ di pagina, e le grandi civiltà americane non sono state addirittura ignorate col pretesto del loro essere ‘prive di relazioni’: prive di relazioni con che cosa?” Frasi piene di buon senso apparentemente innocue, ma al loro interno si nasconde un dispositivo teorico micidiale. Appare chiaro dopo poche righe: “…nei confronti della storia del l’umanità superiore, per quel che concerne il corso del futuro domi na un ottimismo sfrenato, incurante di ogni dato dell’esperienza, sia storica che organica, per cui ognuno ritiene di poter individuare nella contingenza dell’oggi gli ‘inizi’ di una qualche ‘ulteriore evo luzione’ lineare e meravigliosa, non perché essa sia provata scien tificamente, ma solo perché corrisponde a ciò che si desidera”. Ed ecco l’assolo: “Ma l’umanità non ha alcun scopo, alcuna idea, alcun piano, così come non lo ha la specie delle farfalle o quella delle orchidee. ‘Umanità’ è o un concetto zoologico o un vuoto nome.” Potrebbe essere una caduta nel nichilismo così caro al pensiero sul mondo dopo Nietzsche. O c’è qualcosa di più “pericoloso”? Schematizzando le pagine precedenti, in esse sostanzialmente si dice che: a) La civiltà così come la conosciamo è solo “una” civiltà. La nostra. Esistono o sono esistite civiltà “altre” che pochissimo hanno interagito con la nostra. Eventi mirabili, imperi giganteschi, intere culture ridotte a un paragrafo di un libro di storia che dedica invece dieci pagine a Federico II. Chissà quanti no-global sottoscriverebbero questa prima tesi!

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b) Se non esiste “una civiltà” non esiste neppure una “Storia della Civiltà”. c) Tantomeno si può dunque parlare di evoluzione dell’umanità. d) L’umanità non esiste. A questo punto il pensiero potrebbe ritrarsi verso il “nulla” contemplando l’assenza o il disfacimento delle idee guida della “civiltà” moderna. Ma Spengler è un tedesco di razza, non un indù. Al posto del nulla, come nelle Tentazioni di S. Antonio di Flaubert ecco apparire il molteplice: il formicolare di vita, civiltà culture che si affrontano combattono muoiono in un caleidoscopio di colori, razze, fedi. “…Civiltà, organismi viventi d’ordine superiore, crescono in una magnifica assenza di fini, come i fiori dei campi”. La vita come pullulare di forme che si intrecciano, si combattono e scompaiono senza alcuna giustificazione. Attenzione: questo è un pensiero pericoloso. Non che sia nocivo in sé, tutt’altro, ma richiede un saldo autocontrollo. È come il panteismo. Può produrre le ineffabili geometrie di Spinoza o gli incubi di Brugel. Al suo limite estremo può produrre esiti sconcertanti, degenerazioni cognitive, visioni allarmanti. Si può finire a contemplare i vermi che si intrecciano su un pezzo di carne putrefatta e dire che questa è vita! Qualcuno può addirittura porsi come obiettivo quello di recuperare carne per i vermi. E questa è guerra! Si sono abbandonate le “idee universali”, si è ridotto Platone ad un “elleno”. Tutto si relativizza rispetto alla particolare “forma di vita” che attrae la nostra attenzione, che stimola i nostri sensi eccitati. Non so se Spengler abbia mai provato l’acido lisergico o la psicobilicina. Ma sono sicuro che non ne aveva bisogno: lui vedeva già nella luce dell’allucinazione paranoica, senza bisogno di sostanze. Quando si arriva a questo stadio si entra in una morale “faustiana” in cui la distinzione fra bene e male è relativa solo alla “particolare forma di vita” che si sta provando in quel momento. Si è giustificazionisti, culturalmente parlando. Si può apprezzare la nudità dell’aborigeno, fa parte della sua cultura e della sua civiltà, ma si può apprezzare anche il “burka” che fa parte di un’altra cultura e di un’altra civiltà. E passi finché si tratti di scelte individuali. Ma la cultura e la civiltà possono imporre le proprie culture ad altri. Sicuramente ai membri della propria comunità. E così si può giustificare l’infibulazione o peggio.

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Alcune culture sono “naturalmente” predatorie. I Gentiluomini degli Stati del Sud degli Stati Uniti necessitavano di schiavi per mantenere la “propria cultura”, imperniata sulla produzione del cotone. Le tribù nomadi del Sahara considerano il furto, l’abigeato o la riduzione in schiavitù dei negri elementi fondamentali della loro “cultura”. Senza di ciò scompaiono. Ma torniamo a Spengler: “Così considerato il tramonto dell’Occidente significa nulla di meno che il problema stesso della civilizzazione. Qui si pone una delle questioni fondamentali di ogni storia superiore. Che cos’è la civilizzazione intesa come conse guenza logica e organica come compimento e sbocco di una data civiltà?… La civilizzazione è l’inevitabile destino di ogni civiltà. Il trapasso dallo stadio di civiltà a quello di civilizzazione si è compiuto nel quarto secolo nel mondo antico, nel diciannovesimo secolo in quello moderno occidentale. (…) Invece di un mondo una città, un unico punto in cui si raccoglie l’intera vita di vaste regioni, mentre il resto isterilisce; invece di un popolo formato, legato alla sua terra, un nuovo nomade, un parassita, l’abitante delle grandi città, il puro uomo pratico senza tradizione, ripreso in una massa informe e fluttuante, l’uomo irreligioso, intelligen te, infecondo (…) rappresenta un passo gigantesco verso l’anor ganico, verso la fine.” La città e i suoi abitanti parassiti, ma intelligenti…l’uomo anorganico. Sembra un incubo da fantascienza. Ma non era quella città di “irreligiosi” l’obiettivo della Jihad? Che in Spengler vi sia più saggezza di quanta normalmente gli si attribuisca? Ma eccolo di nuovo tedesco ed implacabile: “Imperialismo è pura civiltà. Ora proprio tale forma è l’inelutta bile destino dell’Occidente. Nell’uomo di una civiltà la forza è rivolta all’interno, in quello di una civilizzazione è rivolta all’e sterno. Perciò in Cecil Rhodes io vedo il primo uomo di una nuova era.” Cecil Rhodes, proprio lui! Già, perché Cecil Rhodes, il fondatore del South Africa, della Rhodesia, lo scopritore di miniere di diamanti, gli attuali De Beers, è la base di tutti i miti anglofili. Una specie di King Arthur rinato. È straordinario che sia l’ideale di Spengler. Spengler, uno che non si ritrasse neppure dal dubbio gusto di esporre la bandiera nazista al passaggio di Hitler. Rhodes era un imperialista, ma di un imperialismo che Lenin non sarebbe mai riuscito a capire.

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Per Rhodes l’imperialismo è certo una visione politica ed economica, ma è soprattutto un “common sentiment” che accomuna l’umanità anglofona. L’Impero sognato da Sir Cecil-Rhodes è la riunificazione di tutte le popolazioni anglofone in un Nuovo Ordine Mondiale. Americani, Inglesi, Australiani, Canadesi, Neozelandesi. Insomma le nazioni che attualmente fanno parte di “Echelon”. Non è un caso» soggiunsi sarcastico «che le borse di studio della “Rhodesian Foundation” siano riservate a studenti anglofoni. La vinse pure Bill Clinton, ma si dice solo dopo aver incontrato la Signora Harriman, a cui fu presentato da Caroll Quigly, il grande storico, autore di Tragedy and Hope. Bene, bene, bene… dopo tanto parlare di “Civilisation” siamo arrivati alla più nobile massoneria anglo-americana: la massoneria del denaro. Che Dio ci aiuti. Già perché Rhodes non è che l’altra faccia di Kurtz, l’indimenticabile protagonista di Cuore di Tenebra di Joseph Conrad. Anche Kurt aveva delle idee… dei progetti. Era animato da una visione, come Rhodes. La visione di Rhodes era l’impero anglofono. L’ultima visione di Kurtz fu l’Orrore. Ma qual è questa massoneria anglo-americana d’ispirazione Rhodesiana? Di questa massoneria abbiamo una sola vera traccia. Quigly scrive: “Esiste ed è esistito per generazioni un international Anglophile network... sono a conoscenza di questo network perché lo ho studiato per vent’anni e per due anni nei primi anni sessan ta mi è stato concesso di esaminare le sue carte, i suoi incart a menti segreti... ma la mia principale differenza di opinione è che esso desidera restare sconosciuto, mentre io credo che il suo ruolo nella storia sia stato tale da dover essere conosciuto.”16 Se provate a digitare su un motore di ricerca Internet “New World Order”, o le sigle che di volta in volta hanno interpretato questo “anglophile network” (“Round Table”, “Council On Foreign Relations”, “Royal Institute for Foreign Affaire”, “Trilateral”, “Bilderberg Group”) verrete aggrediti da migliaia di siti che descrivono tutte le nefandezze del mondo e le congiure più segrete. In gran parte sono siti delle Milizie e della Destra Americana. Troverete anche qualcosa di interessante. Ma l’essenziale sta nella scarna citazione di Quigley: (16) Trad. it. in G. Alvi, Lo strano caso del Professor Quingley, Surplus, n. 6, 2000.

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1. Esiste ed è esistito per generazioni… 2. Desidera restare sconosciuto… 3. Io credo che il suo ruolo nella storia sia stato tale da dover essere conosciuto. Il dibattito è aperto.» Conclusi, poi, nell’incredulità generale. Mi alzai riposi il volume, indossai l’impermeabile e dissi a Parvus: «Su, vecchio mio, lasciamoli discutere, ne avranno per un bel pezzo, noi andiamo a bere qualcosa, che qui fa un freddo!» Ce ne andammo sottobraccio, inseguiti da sguardi stralunati.

Dentro la rete del Terrore Di nuovo a casa, alla scrivania. Strinsi nervosamente il sigaro fra i denti. Ripetei: “Non è possibile cazzo, questo sta diventando un giallo di Agatha Christie.” Strinsi fra le mani una copia del Corriere della Sera del 3 novembre. C’era la curiosa dichiarazione di bin Laden contro l’Italia, citata prima di Gran Bretagna e Francia. Guardai il TG del giorno dopo, si parlava dei “mille” soldati italiani che sarebbero dovuti andare in Afghanistan. bin Laden aveva commentato ad Al Jazeerah la notizia dell’invio degli italiani un giorno prima. Almeno un giorno prima, visto che la cassetta recapitata all’emittente del Qatar era preregistrata. Qualcosa qui non funzionava. Qualche giorno prima Le Figaro aveva scritto un lungo articolo su un misterioso incontro fra bin Laden e il capo stazione CIA dell’Emirato a Dubai. Si sarebbe parlato anche di attentati. Stesso giorno il Guardian rispondeva sottolineando chi è il “proprietario” di Le Figaro: il gruppo Carlyle, che con bin Laden e i sauditi ha sempre avuto rapporti, e il cui presidente è James Baker III. Messaggi trasversali, mafiosi. La stampa internazionale parlava con linguaggio proprio del Giornale di Sicilia. Dio santo, eccoci proprio in mezzo a una guerra di gangsters! 105


Il quadro andava acquisendo una sua nitidezza. Ma ancora era troppo debole per diventare una tesi politica. Il terreno era minato, pieno di trappole. Occorreva procedere con cautela. Ricontrollare tutte le informazioni, evitare le false piste, non cadere nella “disinformatia”. Io ho imparato l’arte della filologia leggendo Nietzsche. Ho letto quasi tutti i grandi romanzi “noir” da Edgar Allan Poe a James Ellroy. Io lavoro nell’ “intelligence” di una banca. E vi dico: eravamo arrivati al punto di sederci intorno a un tavolo e riepilogare prove e indizi. Questa volta si aveva a che fare con dei professionisti veri. I migliori sul mercato da cinquant’anni. Quelli che da cinquant’anni hanno inquinato la storia mondiale, prendendola a calci nelle palle ogni volta che si allontanava dal binario prestabilito. La sfida mi eccitava. Ma sapevo che questa è la prima trappola: la presunzione intellettuale. Quasi tutti i miei migliori compagni, nell’era della “rivoluzione italiana” negli anni ’70, ci caddero. Uno dei miei pochi maestri, recentemente scomparso, e di cui sento ancora dolorosa l’assenza, mi ripeteva spesso che questo è il peccato maggiore, quello che danna gli “eroi greci”. Il peccato di “Hybris”. La smisuratezza nella conoscenza, la non conoscenza del limite. Quanti giovani eroi del ’77 finirono in prigione o peggio ammazzati come cani per la strada solo perché pensavano di poter governare il “terrorismo” con l’intelligenza? Non c’era dubbio, la loro “intelligenza” e la loro “cultura” erano assolutamente superiori a quella del “Geometra Moretti”. Improvvisamente ebbi un altro “flash”… La morte di Moro, come un mio amico, divenuto giornalista del F o g l i o, me l’aveva raccontata pochi giorni prima: “…Una beffa della storia, Moretti vinse, ma al momento stesso della sua vittoria fu sconfitto da una crisi di pani co. Con una pistola in mano balbettava incoerente di fron 106


te al suo “Nemico”. Incapace di finire Moro, quell’Aldo Moro che l’aveva già sconfitto negli interrogatori, quel politico di vecchia razza che lui non riusciva a capire e non avrebbe mai capito. E il lavoro sporco, l’ultima sca rica nel corpo fragile di Aldo Moro dovette spararla un “borgataro”, Germano Massari. Uno che aveva votato “contro” l’uccisione di Moro. Uno che aveva le palle piene delle Direzioni Strategiche e dei capetti politici. Uno a cui il giorno dopo tutti i capelli divennero bianchi. Uno però che non si tirava indietro neanche di fronte agli errori. Quella raffica non uccise solo Moro. Uccise anche le B.R. e qualsiasi altra idiozia armata. Chiuse un’epoca. E distrusse anche la vita di Germano.” Hybris. Il peccato di Icaro. Evitiamo l’Hybris. Che la sola sapienza è il sapere di non sapere (Socrate) quel non sapere che mette a nudo (Bataille). Poi feci un po’ d’ordine sulla scrivania ingombra di carte, ritagli di giornali e agenzie e cominciai a mettere ordine fra le prove. Selezionai solo quelle che avevano conferma su organi di stampa.

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Maggio 2001. Richard Armitage fa un lungo viaggio in India. Contemporaneamente George Tenet, il capo della CIA, è in Pakistan.

Cosa voleva dire? I due si controllavano a distanza? Facevano parte dello stesso gruppo? No, non credo. Bush voleva far fuori Tenet, sospettato di essere un uomo di Clinton. Armitage era un amico di vecchia data, uno di Phoenix e Iran Contras. Era il capo segreto dell’operazione “droga in Afghanistan”, probabilmente. Eppure viaggiavano nello stesso periodo su due frontiere diverse, ma molto vicine17.

Giugno 2001. Allarme terrorismo. La BND tedesca avverte la CIA di un possibile dirottamento. L’aereo verrebbe usato come un arma contro importanti simboli americani e/o israeliani18. Luglio 2001. Tre funzionari americani(Tom Simmons, ex ambasciatore in Pakistan, Karl Inderfuth, ex Assistente Segretario di Stato per il Sud Asia, e Lee Coldren, ex esperto del Dipartimento di Stato per il Sud Asia) incontrano una rappresentanza di Taliban a Berlino. Gli annunciano che gli Usa stanno pianificando un attacco all’Afghanistan per ottobre. Sono presenti agenti russi e tedeschi che confermano la minaccia19. Estate 2001. Diverse notizie di esercitazioni congiunte fra americani, tagiki, uzbeki e khirghisi20. Estate 2001. Secondo fonti indiane il capo dell’ISI (servizio segreto pakistano) fa trasferire 100.000 dollari a Mohammed Atta, quello che fino ad oggi è considerato il lea(17) The Indian, SAPRA, 22 maggio. (18) Frankfurter Allgemeine Zeitung, 14 settembre. (19) The Guardian, 22 settembre, BBC, 18 Settembre. (20) The Guardian, 26 settembre.

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der del commando suicida dell’11 settembre21. 4/14 Luglio 2001. bin Laden riceve cure nell’”American Hospital” di Dubai. Si incontra con un esponente della CIA. Il nome è Larry Mitchell22. Agosto 2001. L’FBI arresta un militante islamico a Boston. Fonti dell’intelligence francese confermano che è un uomo di bin Laden. L’FBI scopre che l’uomo ha seguito lezioni di volo e che è in possesso di manuali di guida della Boeing23. Agosto 2001. Dopo ripetuti avvertimenti da parte dei servizi russi alla CIA, Putin ordina di avvertire il governo statunitense “in the stronger possibile terms” di possibili attentati ad aeroporti e fabbricati governativi24. 1/10 Settembre 2001. 25.000 soldati britannici e una flotta superiore a quella che intervenì alle Falkland si posizionano nel Golfo, in Oman, per l’operazione “Essential Harvest”. Nello stesso tempo 17.000 soldati americani e 23.000 soldati Nato sono in Egitto per l’operazione “Bright Star”. Due gruppi navali da battaglia USA si posizionano di fronte alle coste pakistane. Tutti questi movimenti di truppe sono anteriori all’11 settembre! 4 Settembre 2001. Arriva negli USA il Generale Mahamoud Ahmad, capo dei Servizi Segreti Pakistani. 9 Settembre 2001. Il comandante Masud viene assassinato da due “giornalisti” algerini. Comunicato dell’Alleanza del Nord sulla (21) The Times of India, 11 ottobre. (22) Le Figaro, 31 Ottobre, E.I.R. 2 novembre. (23) Reuters, 11 settembre. (24) MS-NBC, Intervista a Putin, 15 settembre.

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morte di Masud: “Noi crediamo che sia stato un triangolo fra Osama bin Laden, ISI, che è l’intelligence dell’esercito pakistano, e Talebani.”25 11 Settembre 2001. Fino alle 9.30 (ora di N.Y), circa 75 minuti dal primo allarme, non decolla nessun caccia statunitense.

Riepilogando a) Gli USA erano verosimilmente informati dell’attacco, anche se la data non era chiara. Nessuna misura d’emergenza scattò agli aeroporti. b) Gli USA minacciavano un attacco all’Afghanistan per Ottobre e qualche solerte funzionario aveva informato Osama bin Laden. c) La CIA aveva avuto rapporti “informali” con bin Laden almeno fino a luglio 2001. d) Uno dei principali “sponsor” di bin Laden, il capo dell’ISI, era negli USA durante l’attentato. Di lui si sospettano rapporti con il leader del “commando suicida”. Indicato dall’alleanza del Nord come un vertice del “triangolo” responsabile della morte di Masud. e) I caccia americani si alzarono in volo 75 minuti dopo l’allarme! f) C’è stato un buco nella difesa. Un buco abbastanza grande da far passare quattro aerei! g) Domanda n.1: il Presidente ne era informato? Presumibilmente no. h) Domanda n. 2: Qualcuno dell’entourage del Presidente era informato? Presumibilmente sì. i) Domanda n 3: Quando il Presidente capì (se mai quella testa di manzo capisce qualcosa) perché non reagì? Presumibilmente perché ebbe paura, non gli conveniva, (25) Il comunicato dell’Alleanza del Nord viene trasmesso dalla Reuters il 15 settembre 2001.

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meglio stare al gioco. j) Domanda da un milione di dollari: chi comanda il Presidente degli Stati Uniti d’America? Ripresi fiato. Pallido. La testa mi girava. Neanche io riuscivo a credere a quello che le notizie sommate insieme sembravano dire. Era troppo. Anche per Sbancor. Guardai le ultime agenzie per rilassarmi: ATTACCO USA: GIALLO SU MORTE PRESUNTA SPIA AMERICANA = (AGI/EFE) - Islamabad, 5 nov. Un alone di mistero continua a circondare la vicenda del presunto agente segreto americano catturato dai talebani e deceduto in un carcere afghano. Gli integralisti afghani hanno assicurato che l'uomo, conosciuto come maggiore John Bolton o Mazhar Ayyub, non e' stato torturato ed e' morto di malattia. Secondo le informazioni riportate dai giornalisti pakistani, il presunto agente della Cia avrebbe partecipato alla guerra in Vietnam e in passato avrebbe lavorato per la CNN. La sua cattura sarebbe avvenuta a Spin Boldak, un centinaio di chilometri a sud di Kandahar, nell'Afghanistan meridionale. I talebani, che hanno espresso l'intenzione di consegnare la salma al Comitato Internazionale della Croce Rossa, ne hanno attribuito la morte a problemi epatici e polmonari, e al fatto che l'uomo non era abituato al cibo afghano. Nei giorni scorsi l'ambasciata dei talebani a Islamabad ha dato notizia della cattura di altri tre presunti agenti segreti statunitensi in Afghanistan. (AGI)

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La Storia di Ted (3) Ted si accese una Pall Mall senza filtro. Anche se il medico glielo aveva proibito. “Povero Bolton” disse “È morto come un mercenario!” Già ma non erano tutti mercenari ormai? “Che Dio maledica quel frocio di Carter” disse Ted fra sé e sé. La storia riprese a scorrere come un film. La sua mente non poteva produrre più idee. Solo ricordi. 1973. Ted, dopo qualche tempo passato in Europa, impiegato peraltro utilmente nel recuperare fondi per il “Golpe Cileno”, andò in Iran e lavorò insieme a Richard Helms. Helms, membro come Bush degli “Skull & Bones”, società segreta di Yale, iniziò la sua carriera nell’OSS, il servizio segreto americano durante la Seconda guerra mondiale. Lì conobbe, nell’immediato dopoguerra, diversi esponenti dell’ex gerarchia nazista, con cui, dobbiamo ritenere, sviluppò un “common sentiment”. Implicato nelle indagini sull’omicidio Kennedy, Helms quando lasciò la CIA, nel 1979, distrusse circa l’80% del materiale riguardante le “covert operations”. 1975. George Bush (senior) venne nominato capo della CIA. Ted Shackley venne promosso Deputy Director per tutte le “covert operation worldwide”. Teddy sarebbe potuto diventare un futuro capo della CIA ma il destino, baro e bugiardo, portò al potere il Presidente Carter. La carriera di Shackley si interruppe. L’ammiraglio Turner incominciò a epurare la CIA dagli elementi troppo compromessi. Il vecchio gruppo si ritrovò tutto alla corte dello Shah Reza Pahalevi. Addestrarono la Savak, la famigerata polizia segreta dello Shah. Helms era ambasciatore in Iran. I ragazzi lavoravano in privato come consulenti. La CIA li usava ancora ma, come dire, in “outsourcing”. “Quel frocio di Carter, lui e le sue maledette noccioline.” 112


Pensò Ted “Ha tolto alla CIA la possibilità di svolgere operazioni coperte con l’aiuto di assassini o delinquenti riconosciuti. Come se questo cazzo di lavoro si potesse fare con gli impiegati. Idiota.” È l’Executive Order 11905, da questo momento in poi la CIA ma anche l’FBI useranno sempre più spesso “società private” per svolgere incarichi imbarazzanti. In Colombia per esempio è una società americana che provvede agli elicotteri per la guerra anti-Farc. Lo stesso avviene in Kossovo e Macedonia. Interi settori della difesa e della sicurezza vengono “privatizzati”, comprese le prigioni, dove opera la Wackenut Corporation. “Già, il vecchio Wackenut” i ricordi di Ted ormai sono come uno schedario della polizia “lui sì che c’ha saputo fare. Nessuno o quasi si ricorda che era con noi in Florida. Quando Guy Bannister e i ragazzi si addestravano per far fuori JFK.” Altri tempi. Lavorare nel privato non era come lavorare per l’Agenzia. Alcuni membri della squadra, Edward Wilson e Frank Terpil, vendevano esplosivo a Ghedaffi. La CIA andò su tutte le furie. Loro sputtanarono Carter mettendo in piazza i legami d’affari di suo fratello con Ghedaffi. In compenso Ted Secord ed Eric Von Marbod acquisirono una succosa commessa dall’Egitto per il trasporto via mare degli equipaggiamenti militari, con una compagnia chiamata Eatsco. “Ma per vedere dollari veri abbiamo dovuto aspettare il 1979”. Epoca di grandi cambiamenti. Da un lato iniziò l’operazione Iran-Contras. I rapporti con i Contra li aveva quella vecchia volpe del “Phoenix”, Chi Chi Quintero. Nel gruppo c’era un vecchio pilota di Air America, Barry Seal (alias Adler Berriman). Dall’altro scoppiò la questione degli ostaggi in Iran. Ted trattò con gli iraniani. Erano anni che lui e Helms stava113


no organizzando la “via bulgara” per l’eroina: Iran, Kurdistan, Turchia, Bulgaria, Balcani. In ogni paese un po’ di guerriglieri, come quegli idioti dei Curdi o quegli scemi dell’UCK. In ogni paese politici corrotti, e poi i vecchi “Lupi Grigi” quei fascisti turchi, teste di cazzo certo, ma con due palle così. C’entravano pure con l’attentato al “polacco”, ma di quella storia Ted non era mai riuscito a capirci nulla. Comunque, in Iran c’erano degli amici. E gli amici conoscevano pure quei corvacci di Ayatollah, che quando si parla di dollari sono uguali a tutti i preti del mondo. Gli ostaggi vennero rilasciati il giorno dell’insediamento di Ronald Reagan alla Presidenza degli Stati Uniti. Sarebbe passata alla storia come “October Surprise”. La prima fase di Iran Contras fu finanziata però dalla cocaina. Un aeroporto a Mena Arkansas era la base dei voli che portavano coca e rimandavano indietro armi. Era il vecchio schema del Laos rivitalizzato per l’occasione. Uno degli aerei usati era un vecchio C-123K usato in Laos. Nel 1986 quest’areo, chiamato “Fat Lady”, precipitò abbattuto dalla contraerea sandinista. Ai comandi c’era Buzz Sawyer, il secondo si chiamava Eugene Hasenfus. Fu fatto prigioniero dai Sandinisti e finì sulla CNN. Coglione. Ma gli affari veri erano in Iran. Ted fece incontrare Richard Secord con Albert Hakim, un trafficante mediorientale. Insieme costituirono l’”Enterprise”. In meno di due anni “Enterprise” aveva cinque aeroplani, venti piloti a contratto e due campi di atterraggio. Air America volava ancora. Il capo dell’operazione è sulla carta, solo sulla carta, quel coglione del Colonnello Oliver North. “Quello sembrava sempre avere un palo di scopa nel culo”, pensò Ted. L’Enterprise realizzò 16,1 milioni di 114


dollari nella vendita dei missili a Khomeini. “Neanche avevamo finito il lavoro in Iran ed ecco che quei cazzoni di “rossi” cascano nella Trappola del Signor B. in Afghanistan. Dio, quella sì che era un’operazione. Richard Armitage, il più giovane del vecchio gruppo, ci si buttò a pesce. Dunque, in Pakistan avevamo le basi, c’era l’ISI a coprirci. E poi c’era la nostra banca di fiducia, la BCCI Banca Pakistana fondata da Abedi, le cui fortune potrebbero riempire un libro. Per fortuna George Bush aveva risolto il casino della Nugan Hand Bank nel 1982. Era volato in Australia, aveva parlato con un laburista testa di cazzo, Hayden, e aveva risolto tutto. Forte il capo. I fondi neri della CIA erano stati spostati sulla BCCI di Abedi. Afghan connection.” Le collusioni dei servizi segreti americani con Osama bin Laden sono impressionanti. Ted pensò che solo un mondo di teste di cazzo poteva continuare a evitare di vedere ciò che era anche troppo chiaro. Uno di al Qaeda fu arrestato per l’attentato alle Twin Towers del 1993. Si chiamava Alì Mohamed, egiziano. Era un ex sergente dei Berretti Verdi addestrato a Fort Bragg. Dal 1986 al 1989 era in forza all’esercito americano. Aveva combattuto in Afghanistan contro i sovietici. Formalmente per gli USA era in licenza. Tornò, nessun provvedimento disciplinare venne preso contro di lui. Si congedò, era in contatto sia con la CIA che con l’FBI. Per tutti gli anni ’80 e ’90 gli USA “coprirono” l’organizzazione di Osama, nonostante che almeno dal ’90 avesse iniziato attentati contro gli USA. Certo: dietro Osama c’erano troppi interessi. L’eroina afghana, la possibilità di costruire gli oleodotti in Afghanistan. E poi questi fanatici vanno bene per tener buoni gli ebrei, incastrati in una guerra infinita. “Counterinsurgency” pensò Ted. Il titolo del suo libro, 115


l’impegno di una vita. Creare casino per prevenire il casino. Usare il terrore per allontanare il terrore. I mezzi che giustificano il fine. Perché è sui “mezzi” che si fanno i dollari. “Cazzo” pensò Ted, “Sono troppo vecchio per fare il filosofo ma questo gioco è come la roulette, bisogna alzare sempre la posta e vince sempre il banco!” Gli orizzonti si ampliarono. Le attività di al Qaeda erano ovunque, in Cecenia, in Bosnia, in Albania, in Macedonia. Le mafie aumentavano, le rotte della droga aprirono quelli che dopo sarebbero diventati corridoi economici. Di sicuro chi governava la storia adesso non era più Ted, era Richard Armitage. Ted si ripassò la scheda in testa. Richard Armitage: Deputy Secretary. Consigliere di George W. Bush per il Medioriente, attuale numero due al Dipartimento di Stato con Colin Powell. Classe 1945, nel 1967 conseguì la laurea all’Accademia Navale. Combattè in Vietnam. Partecipò all’operazione “Phoenix” diretta da Ted Schackley. Organizzò la ritirata da Saigon. Nel maggio 1975 Armitage fu assunto dalla DIA (Defence Intelligence Agency). L’ultimo suo incarico fu in Iran nel 1976, dopo lasciò il servizio e passò al settore privato. È opinione comune che collaborò con la CIA, attraverso società private di consulenza per molti anni a seguire. Alcuni suoi critici sostengono che fu lui l’ideatore del traffico di eroina nell’Afghanistan. Nel 1978 entrò nello staff del senatore Robert Dole. Partecipò nella campagna presidenziale del 1980 all’Interim Foreign Policy Affaire Board. Dopo l’elezione di Reagan divenne Deputy

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Assistant Secretary of Defense for East Asia and Pacific Affaires. Ebbe diversi altri incarichi pubblici fino al maggio 1993, quando dirigeva col grado di Ambasciatore gli aiuti alle repubbliche dell’ex Unione Sovietica. È ritenuto uno dei più decorati funzionari degli Stati uniti. È stato decorato fra l’altro da governi esteri, come la Repubblica di Corea, la Thailandia, il Bahrein e il Pakistan. Attualmente la sua posizione è fra i falchi dall’amministrazione Bush con uno specifico obiettivo: attaccare le basi degli Hezbollah in Libano e attaccare in Siria.

Lo avevano scritto nel 1998 che bisognava far fuori l’Iraq. Una lettera a Clinton, firmata da tutta la banda: Perle, Wolfowitz, Abrams, Negroponte. Il “New American Century”. Il nuovo secolo americano. Un secolo di Guerre e di Dollari! Degli altri “vecchi” solo di uno finora era trapelata una notizia: Richard Secord era stato avvistato a Taskhent, capitale dell’Uzbekistan, terra del “democraticissimo” presidente Karimov. Negli anni ‘50 in Uzbekistan si coltivava “l’oro bianco”, il cotone. Terra ottima per i papaveri da oppio. Ma era Richard Armitage il vero uomo chiave di questa vicenda. Lui che aveva i contatti con Ahmad (il capo del Servizio segreto pakistano). Ted aveva visto Ahmad qualche giorno prima dell’11 settembre… Ted sapeva che dopo si sarebbe dovuto vedere con Richard. “Forza Richard” pensò Ted “Questa è la più grande storia di merda in cui tu sia mai finito. Ma se c’è uno che può farcela a governare questo casino sei proprio tu. Vecchia puttana.” 117


Antrax I sospetti si appuntano su un intreccio di gruppi della destra: milizie, fondamentalisti cristiani, survivalisti, formazioni di anti-abortisti fanatici, neo-nazisti e razzisti ariani. In diverse occasioni non ufficiali, funzionari della FBI e del Dipartimento della Giustizia hanno confermato di cercare in quella direzione, facendo anche notare che dal 1999 questi ambienti di estrema destra hanno minacciato più di ottanta volte di usare l'antrace come arma biologica. Inoltre, esperti e addetti fanno capire che le spore di antrace in questione effettivamente provengono da laboratori americani. Fanno anche notare che le lettere con cui si diffonde l'antrace, in cui si proclama "morte all'America" in nome di Allah, non sono opera di mussulmani ma espedienti pacchiani di depistaggio. Tra gli esperti spicca Gary Ackerman, direttore del Progetto contro la proliferazione delle armi chimiche e biologiche dell'Istituto di Monterey di Studi Internazionali, il quale ha detto che sospettare i fondamentalisti cristiani non è fuor di luogo giacché essi si dicono convinti che l'apocalisse sia cominciata l'11 settembre. Ackerman ha fatto l'esempio del gruppo fondamentalista "Christian Identity", secondo cui il nuovo millennio vedrebbe lo scontro tra Dio e "i seguaci di Satana", tra cui si troverebbero "gli ebrei, i non bianchi e il Governo degli USA". Queste organizzazioni "adesso cercano di terrorizzare la gente". Ackerman ha spiegato che i gruppi fondamentalisti pianificavano già negli anni Ottanta e Novanta di contaminare l'acqua potabile con l'antrace. Larry Wayne Harris, estremista impegnato in una crociata contro il governo, fu arrestato a metà degli anni Novanta mentre era in possesso di antrace e poco

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tempo dopo furono arrestati esponenti del Patriotic Council del Minnesota e della Aryan Nation in Ohio, che erano in possesso di sostanze tossiche26.

Bestemmiai ad alta voce. Ancora i Nazisti dell’Illinois!

(26) EIR n 45, 8 novembre 2001.

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Midnight 68 «Pronto, Sbancor?» «Honey! ...Cioè, Darling!! Come stai?» «Senti, ho trovato qualcosa. Ma non so, sembra un romanzo…» «Darling, ormai sono disposto a tutto.» «Si parla di un software, si chiama “Promis”… insomma sembra che c’entri con l’attentato…» «Da dove vengono le notizie?» «Internet. Un sito di un ex agente della L.A.P.D., Mike Ruppert, guardalo, l’indirizzo è www.copvcia.com» «Lo guardo subito. Hai trovato qualcos’altro?» «Sì, è una specie di romanzo anche questo, si chiama “Last Circle” te l’ho mandato via e-mail. E poi… non so… ho parlato con qualcuno che sembra ne sappia di più. Vorrebbe incontrarti.» «Come si chiama?» «Te lo dico dopo…» «Come lo conosci?» «Come conosco te…» «Ma porca puttana…» «Sììììì?» «Ma almeno sono io o lui il cornuto?» «Sei il solito fottutissimo dago.» «Dove possiamo incontrarci io e Mr. Mammola?» «Non si chiama Mammola…» «Di bene in meglio! E dove lo vediamo, in un bagno per gay della metropolitana?» «Non sei proprio spiritoso, quando sei geloso. Lo vediamo qui. A Manhattan.» «Ok. Tanto ti avevo promesso che passavo prima di Natale. Possiamo organizzare un appuntamento.» «Sbancor… è che…» 120


«Cosa, Darling?» «È che ho paura.» «Dai Darling, c’è tutta Internet a caccia di fantasmi. Siamo nella società dello spettacolo globale. E siamo in diretta. Di che hai paura?» «Non lo so. Ma ho paura.» «Darling, fattela passare. Consiglio un whiskey con ghiaccio. Dai, prima di un mese sono da te.» «Ok, ma…» «Ma cosa?» «Stai attento...» «Sì, sì... non ti preoccupare... Un bacio.» «Baci, ti voglio bene vecchio pazzo anarchico.» «Anch’io, Luv. A presto.» Mi accesi un “898” di Partagas e ricominciai a leggere le notizie selezionate. Trovai un file interessante in un sito canadese: www.globalresearch.ca. Era un articolo di un professore dell’Università di Ottawa, Michel Chossudovsky, che aveva già pubblicato un’interessante biografia di Osama bin Laden. Si intitolava: The Role of Pakistan’s Military Intelligence (ISI) in the September 11 Attacks”. Iniziai a leggere e dopo pochi istanti fui costretto a bestemmiare di nuovo «Armitage, porco... sempre in mezzo!» Ecco il testo: “La stampa conferma che il Generale Mahmoud Ahmad ha avuto due meetings con il Deputy Secretary of State Richard Armitage, rispettivamente il 12 ed il 13 settembre. Dopo l’11 settembre ha incontrato anche il Senatore Joseph Biden presidente del potente Comitato sulle Relazioni Estere del Senato.” Che altro stava combinando l’infaticabile Generale Ahmad? Trovai la risposta poco più avanti . “Richard Armitage consegna al Generale una lista di 121


punti che Washington vuole che il Pakistan accetti. Dopo una telefonata fra Colin Powell e il Presidente Pakistano P e rvez Musharraf, il portavoce del Dipartimento di Stato Richard Boucher annuncia che il Pakistan è disposto a cooperare. (...) Il 13 Settembre il Presidente Pakistano P e rvez Musharraf conferma che manderà il Generale Mahmoud Ahmad a incontrare i Talebani per negoziare l’estradizione di Osama bin Laden” . Il Generale Ahmad si recò a Kandahar, incontrò il mullah Omar, lo informò che in caso di diniego la guerra con gli USA sarebbe stata inevitabile, incassò il rifiuto a consegnare Osama e ritornò in patria. Sarebbe ritornato in Afghanistan per un secondo tentativo. Anche questo fallimentare. Domenica 7 Ottobre, poco prima dell’inizio dei “raid” americani sull’Afghanistan, Ahmad sarebbe stato silurato e sostituito da capo dell’ISI. Questioni di soldi Avevo bisogno di rilassarmi. Telefonai a Parvus. Non a caso suo padre lo aveva chiamato Vladimir Ilich. «Ciao Parvus» «Ciao bello, come stai?» «Male. Sono depresso. Ore che navigo nei siti più strani di Internet a cercare una traccia. Ho bisogno di rilassarmi, parliamo di soldi.» Sospettoso: «Quali soldi?» Risi. «Quelli che girano intorno a questa strana storia “afghana”, non dirmi che non hai fatto qualche indagine…» «Sì che le ho fatte.» «E allora? Fuori le cifre.» «Va beh, se è per rilassarti… Dunque cominciamo da quelli che qualcuno ha guadagnato prima dell’11 settembre. In 122


borsa i soldi si guadagnano sempre prima che un fatto accada, dopo si perdono solo.» «Giusto. Procedi.» «Dunque la prima voce è che su operazioni al ribasso eseguite verso le compagnie aeree coinvolte negli attentati qualcuno abbia guadagnato almeno 2,5 milioni di dollari, ma…» «Ma?» «Secondo Herzliyah, un’agenzia israeliana esperta in antiterrorismo sono almeno 16 milioni di dollari.» «Però! Hai i dettagli?» «Sì. Fra il 6 ed il 7 settembre ci sono state 4.744 operazioni “put” riguardanti la United Airlines sul Chicago Board Options Exchange e soli 396 “calls”. Il 10 settembre 4.516 “put” sull’American Airlines e solo 748 “call”. Poi ci sono le operazioni sulla Morgan Stanley, che occupava 20 piani al WTC, poi ci sono quelle sulle borse europee, riguardano gli assicurativi, Axa e altre compagnie… in totale circa il 1.200% in tre giorni. Questi sono i guadagni!» «Sei una miniera Parvus!» «È il mio lavoro. Sei più rilassato adesso?» «Beh, sapere che qualcuno c’ha guadagnato, rende almeno un po’ più “umana” questa maledetta storia. Ma insomma, gli unici che non sapevano niente dell’attentato eravamo tu ed io?» Rise: «Ho proprio paura di sì. Bei banchieri di merda!» «E sai su quali banche hanno operato?» «Sì, pare che sia la Deutsche Bank-A.B.Brown. E sai la cosa più bella?» «No, quale?» «“Buzzy” Krongard, che oggi è un Executive Director della CIA, nel 1998 era il presidente della A.B.Brown!» «Fanculo Parvus! Questo è troppo…» «Beh sì… belle facce di bronzo…» 123


«Ciao… a presto.» Dunque qui il quadro si complicava. C’era una marea di gente che su questa cazzo di storia ci stava facendo i cazzi suoi. Non si capiva più qual era il filone principale e quali i secondari. Chi fosse il lupo e chi gli sciacalli. Proprio una bella e fottuta “guerra di gangster”! Facendo ordine: 1. Gli Stati Uniti attraversavano una crisi economica senza precedenti, che non fosse l’innominabile 1929. 2. C’era un forte interesse geopolitico americano sul Centro Asia, addirittura su un paese specifico: l’Uzbekistan. Tutto ciò non giustificava certo una guerra ma, come dire, ne costruiva lo scenario di base. Provai a ragionare. Qualcosa era accaduto in Afghanistan. Qualcosa che aveva a che fare con la Droga o con il Petrolio. O con tutte e due. Qualcuno ai vertici americani voleva aprire una campagna contro l’Afghanistan: la programmava per ottobre. Questo era un “gruppo”. Qualcun altro (ma non è detto ancora che i due gruppi fossero antagonisti o in concorrenza) avvertì gli afghani e Osama. La C.I.A. continuò a tenere relazioni “amichevoli” con Osama fino a Luglio. 3. 11 settembre. L’attentato. Doveva essere un attentato spettacolare, ma forse nessuno si aspettava che le torri crollassero. Certamente nessuno poteva prevederlo. La prima rivendicazione, poi smentita, fu del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (FPLP). Strano. L’FPLP stava buono da anni. Poi gli israeliani tirarono un missile nella casa del capo e lo ammazzarono. L’FPLP si rivide di nuovo. Ero perplesso: negli anni ’70 l’FPLP di George Habbash gestì un dirottamento di 6 aerei in contemporanea. Habbash non è mussulmano, e poi non era più operativo da anni. C’era una frazione FPLP, comando Unificato, 124


che faceva capo a Jabril. Jabril era uno strano. Probabilmente manovrato dalla Siria. Comunque furono loro che diedero il pretesto a Sharon di invadere i Territori con l’assassinio del Ministro del Turismo israeliano: uno di estrema destra. 4. Nel gruppo che gestiva le prime mosse successive all’11 Settembre c’era Richard Armitage, uno che era quantomeno implicato nell’Afghan Connection. 5. Ci fu uno spiraglio di trattativa sulla consegna di Osama bin Laden. Uno spiraglio che andava percorso e che invece venne abbandonato subito. Secondo K.P.S. Gill, il superpoliziotto indiano che aveva combattuto gli integralisti in Kashmir, la consegna di bin Laden avrebbe provocato la distruzione del mito talebano. C’era da credergli. Ma la trattativa era condotta da un lato dal Capo dei Servizi Segreti Pakistani e dall’altro da Richard Armitage. E la trattativa abortì. 6. Armitage si schierò con i “falchi”, quelli che volevano a tutti i costi tirare dentro la guerra anche l’Iraq, l’Iran e la Siria, provocando il cosiddetto scenario “clash of civilization”. 7. Colin Powell si oppose. Sì, adesso si incominciava a intravedere qualcosa. Tutti i vecchi sponsor dei Talebani, da Kissinger ad Armitage a Negroponte erano nel partito dei “falchi”. Anche Condooleeza, che è una creatura del signor B. e pagata dalla Chevron. Ma non sembravano forti. Forse perché si erano dovuti coprire. Colin Powell, che era in discesa, ora sembrava interpretare la linea ufficiale. Mantenere buone relazioni con il Pakistan, evitare l’allargamento del conflitto. Come diceva Shakespeare: “C’è del marcio in Danimarca…” Intanto l’America stava perdendo le sue libertà. Se n’era accorto pure Gore Vidal27. Questo era il lato peggiore della faccenda. L’impero che (27) Gore Vidal, I Veleni d’America, Il manifesto, n. 280, 22 novembre 2001,

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diventava nazista al suo interno. La corruzione di un pugno di fanatici wasp che impestava un continente. Liberare l’America. Questo sarebbe dovuto essere lo slogan! Manhattan Danger Erano le 6 a.m., come le chiamano gli americani. Insomma era l’alba in una Manhattan fredda come un ghiacciolo freddo. Midnight uscì di casa, girò l’angolo fra la 43esima e la Fifth Avenue. A Midnight piace Manhattan all’alba, prima che si riempia di impiegati e impiegate dall’aria troppo efficiente per essere vera. Le piacciono le cataste dei rifiuti, gli ultimi barboni sfuggiti a Rudolph Giuliani, e alla sua “tolleranza zero”. A Midnight piacciono i caffè che aprono, i giornalai pakistani infreddoliti che battono i piedi per terra per evitare il congelamento, i portieri d’albergo che scopano solo davanti all’entrata. Midnight è fatta così. Una donna del Sud con un cervello nordista. Sarebbe stato tutto bello. Tutto bello se non fosse stato per quella nebbia gialla e puzzolente giù dalla parte dell’Hudson, proprio dove Manhattan diventa una striscia di terra circondata d’acqua. Quella nube che stava lì da mesi. La nube di Ground Zero. E sarebbe stato ancora più bello senza quella Lincoln nera che costeggiava il marciapiede alla sua stessa velocità. Midnight prese l’aria dura da puttana. Lei la puzza dei poliziotti la riconosceva a cinquecento yarde. Poi si sentì gelare. Non erano poliziotti comuni. Non della buoncostume e nemmeno dell’omicidi. Sembravano “uomini in nero”, Men in black. “Goddamn” pensò Midnight. “Ma qui non siamo in A rgentina, qui gli squadroni della morte non ci sono, qui siamo nella cazzo fottuta di un cazzo Manhattan, la rotta 126


in culo Fifth Avenue in fuckin’ Manhattan Slut!” La macchina continuò a marciare alla sua velocità. Gli Uomini in Nero la guardarono. Midnight sentì lo sguardo salirle sulle cosce come un ragno e provare a scostarle le mutandine. Poi la Lincoln diede gas e girò a destra. Finito. Cristo. Tutto finito. Midnight è una ragazza intelligente. Prenotò un volo per Los Angeles il giorno stesso. Telefonò a Sherman, gli fornì le e-mail di riferimento e spostò l’appuntamento in California. Chissà, forse la città degli angeli le avrebbe portato fortuna. Telefonata: NY-NY. Numeri non nell’elenco.

«Si è spaventata la puttana?» «Sì, mi sa che aveva le mutandine bagnate» «E che succederà adesso?» «Telefonerà al Cretino, al Cretino Italiano, e lui arriverà come Don Chischotte, e incontrerà Sherman.» «E noi?» «Noi facciamo fuori Sherman una volta per tutte.» «E l’Italiano e la Puttana?» «Forse anche loro. Sono solo pedine, ma incominciano a sapere troppo» «Sherman ha combattuto bene in Viet-Nam…» «La vita non si è fermata con il Viet-Nam, e neppure la storia» «La Vita è la Vita…» «E la Storia la Storia…»

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Gli occhi di Tovarich (2) Erano ormai quasi cinque giorni che Tovarich stava viaggiando verso Nord. Ci aveva messo un bel po’ a uscire da Kabul. Quelli con la barba avevano posti di blocco ovunque. E facevano sul serio. Poi aveva incontrato una colonna di camion. Gente che si spostava per andare via dai bombardamenti. Le povere cose in scatole di cartone, i bambini più piccoli appesi al collo. Se non altro il camion passava i posti di blocco. Avevano pagato in anticipo. Andavano avanti sbuffando lungo la strada. In nessun altro posto del mondo l’avrebbero chiamata strada ma, in Afghanistan, era una strada. Tovarich non dormiva. Neanche la notte. Restava vicino al fuoco. L’aria raffreddava presto. L’inverno si avvicinava. Tovarich passava la notte così. Pensava a sua madre. Pensava a quando avrebbe potuto tagliare la gola a uno di quelli con la barba. Aveva studiato a lungo la questione. Bisogna tagliare insieme la vena e le corde vocali. Così non gridava. Bisognava lasciarlo morire piano, in silenzio, mentre si dissanguava. Il Maggior Generale gli aveva spiegato tutto. Il Maggior Generale se ne intendeva di queste cose. Lui non avrebbe sbagliato. Il coltello infilato sotto i vestiti aveva la lama fredda sulla pelle. Gli dava una sensazione di sicurezza. No, non avrebbe sbagliato.

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Roma 10 novembre 2001 Era Sabato. La giornata iniziò male. La mattina dovevo andare a un funerale. Era morto un mio vecchio amico. Marcello. Partigiano combattente a La Spezia, nei GAP. Statistico, informatico. Diresse il centro calcolo della prima banca italiana. Informatizzò gli atti del primo maxiprocesso alla Mafia, lavorando con Borsellino. Viaggiò. Nel 1968 era a Chicago. Ripeteva spesso uno slogan del “Movement” americano “Here and Now”. Qui ed Ora! Pensai “Dio, quanto mi manca… gli avrei fatto rileggere le bozze e avrei discusso con lui le mie ipotesi sulla guerra.” Marcello aveva discusso a lungo con me sul movimento No Global. Lui era contrario. Perché era un Internazionalista. Per lui il mondo era una meravigliosa avventura da viaggiare. A Cuba o in Piazza Tienanmen, dove con un gesto tipicamente italiano aveva dribblato l’ordinatissima fila cinese e si era intrufolato per vedere la mummia di Mao. Con lui se ne andava una parte non piccola della mia vita. Tutti i sabati ci vedevamo in Piazza Santa Maria in Trastevere e poi andavamo a mangiare da Augusto in Piazza dei Renzi, l’ultima vera bettola di Trastevere. Era un rito che andava officiato con precise e severe osservanze. La fine, ad esempio, prevedeva caffè e sambuca all’Antico Caffè del Vicolo del Moro. La lettura dell’Unità era un obbligo. Stavo nella Chiesa di Santa Maria in Trastevere. Marcello aveva rapporti con la Comunità di Sant’Egidio. Marcello conosceva tutto e tutti. Non credo che fosse religioso, ma i cattolici hanno una particolare abilità a impadronirsi dei morti. E così eravamo in chiesa. Quando la bara fu sollevata sorrisi. Chissà cosa avrebbe detto il Parroco se avesse saputo che a portare la bara erano quasi tutti ex militanti del Circolo Anarchico Carlo 129


Cafiero, della Garbatella. Uno dei più antichi di Roma. Quando la bara fu disposta sul furgone, mi trovai irrigidito nel vecchio saluto. Un pugno alzato verso il Cielo. Intorno una folla di pugni si alzarono a salutare il vecchio partigiano. “Qui ed Ora, Marcello, Qui ed Ora!” In cielo volteggiavano come corvi gli elicotteri della polizia. Il pomeriggio ci sarebbe stato l’U.S.A. Day di Berlusconi e il corteo dei No Global contro la guerra. “Qui ed Ora, Marcello, Qui ed Ora!” Roma 10 novembre 2001 Il corteo era grande, teso, militante. Sembrava di essere tornati agli anni ’70 a Piazza Esedra. Se non fosse stato per il Rap che usciva dagli altoparlanti. Mi aggiravo in una piazza piena di visi conosciuti. Invecchiati ma sempre loro. I compagni. Vecchi operai in pensione dell’Alfa, della Sit Siemens, della Pirelli. Quelli dell’Autonomia Operaia. Sorrisi. A faccia tirata. Sorrisi che dicono tutto. Che dicono che la vita non ha rispettato i sogni, ma alla fine fa lo stesso. L’importante è essere Qui. Qui ed Ora. In quei sorrisi non c’era paura e non c’era rabbia. Eravamo solamente lì. C’eravamo ora. A Santa Maria Maggiore il corteo era enorme. Un fiume di gente. 100, 150.000? Alla sera la questura avrebbe detto “ufficiosamente” ai giornalisti che in Piazza del Popolo con Berlusconi c’erano 35.000 persone, e al corteo No Global 70.000. 2 a 1. Avevamo vinto, anche se nessuno sapeva che cosa significasse.

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Roma 10 novembre 2001

12 novembre: si schianta un aereo dell’American Airlines sul popoloso quartiere di Queens, New York: attentato o incidente? Aspettiamo il prossimo per decidere. 13-14 novembre: L’alleanza del Nord colpita da improvvisa febbre guerriera occupa Mazar I Sharif, Herat e Kabul. I Talebani in rotta verso Kandahar. Si segnalano esecuzioni di massa, violenze, mutilazioni e saccheggi. Finalmente Dostum può sfogarsi! Come in Iraq e in Kossovo, tutti gli ‘ostaggi’ o prigionieri di guerra occidentali sono stati rilasciati senza aver subito offese. In Afghanistan sono stati rilasciati: una giornalista inglese e un giornalista francese, entrati illegalmente nel paese e otto occidentali accusati di proselitismo cristiano.

Che strane guerre! Mandai un breve testo a Rekombinant, uno dei migliori siti del movimento, a Bologna. UCCISA UNA GIORNALISTA ITALIANA Scrivo di malavoglia questa piccola nota. Resto uno di quelli che pensano che di fronte alla morte il silenzio sia l’unico comportamento decente. Odio quelli che applaudono ai funerali. Avrei sperato di leggere le cose che scriverò fra poco su qualche giornale. Così non è stato. E probabilmente non sarà. Dunque, sono morti dei giornalisti. Una italiana. Una ragazza che dalle cose che scriveva, ho scaricato tutti i suoi articoli dall’archivio del Corriere della Sera, sembrava essere non solo una brava giornalista, ma anche una ragazza di cuore. Una che quando vedeva

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le ingiustizie si incazzava, e lo scriveva. Una che rischiava la pelle per scrivere, mentre suoi colleghi più famosi e onerosi rischiano solo di farci addormentare in diretta. Forse sarà anche per questo che la cosa mi ha coinvolto, più di quanto, solitamente, non mi coinvolga la stampa. Il fatto, come si dice in gergo, è questo: il gruppo di giornalisti di cui fa parte Maria Grazia riescono a vedere una base di al Qaeda intatta. L’articolo di Maria l’abbiamo letto tutti. Io ho letto anche quello di Julio Fuentes, il giornalista de El Mundo ucciso insieme a Maria Grazia Cutuli. L’articolo di Fuentes è più lungo, ma sostanzialmente racconta la stessa storia. Parla del ritrovamento delle ampolle di Sarin. Maria scrive “…E qui appare la scatola di cartone. Non riusciamo a capire che cosa contiene. Il giornalista del Mundo Julio Fuentes, la incide sul lato, tirando fuori ad una ad una le fialette di vetro bianco, ampolle sottili, come siringhe da insulina, strozzate alle estremità, isolate una dall’altra dentro piccoli scomparti di cartone. Ne contiamo una ventina. È l’etichetta attaccata alla confezione a rilevare il contenuto: gas sarin, scritto in russo, e sotto, l’indicazione dell’antidoto da usare, l’atropina… Tiriamo via l’etichetta e, per precauzione, lasciamo le ampolle...” Fin qui Maria. Julio Fuentes, che, ricordiamolo, anche a detta di Maria è quello che maneggia la confezione, parla anche lui della scritta in cirillico. " En la rustica caja de carton figuraba la inscripcion en ruso Sarin/V GAS. " Fuentas prosegue dicendo che, anche se non è un eroe, compie la coraggiosa ispezione alle ampolle. Poi prosegue la descrizione del materiale, in gran parte di provenienza russa che sta nel deposito. Ma poi scrive: “Però la cosa più inquietante della base di Farm Hada sono circa 40 contenitori di grande dimensione, serrati con lucchetti di fabbricazione cinese. Le

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ampolle erano collegate a uno di quelli, l’unico con la porta semiaperta, ancorché chiusa con una catena. Alcuni dei contenitori ispezionati esibivano etichette di compagnie degli Stati Uniti. Però quello che mi preoccupava di più, a parte le ampolle di Sarin, era un recipiente più o meno grande quanto una cartuccia da caccia, di metallo opaco, tappato con una chiusura ermetica...” Il sospetto che abbiano visto più di quanto fosse consentito vedere è lecito. Non aggiungo altro. Tranne che uno sfogo del tutto personale. Assassini! ANSA - 24 novembre 2001 Intanto un'inviata americana, Pamela Constable, del Washington Post, è tornata nel campo di addestramento di Hadda, vicino Jalalabad, sul quale la Cutuli e il reporter spagnolo Julio Fuentes, realizzarono il loro ultimo servizio, scoprendo fiale di gas Sarin di produzione russa. L'inviata del 'Post' non ha trovato tracce del Sarin. C'erano però documenti su un agente chimico di fabbricazione coreana e tracce del passaggio in tempi recenti di guerriglieri arabi. Il campo è da giorni nelle mani degli anti-Taleban ma nei dintorni restano attivi seguaci arabi di al Qaeda.

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«Pronto Sbanky?» «Sono io, darling» «Sono seguita.» «Ci credo…» «Smettila di fare il cretino, sono seguita da uomini in nero.» «Preti?» «Idiota!» «Va bene, ma sei sicura di aver pagato le tasse?» «Stupido italiano idiota… per un’americana, anche se sudista, non è normale essere seguita da poliziotti vestiti di nero.» «Pensi che tutto ciò abbia a che fare con la nostra piccola indagine?» «Sì.» «Uhm… ma non facciamo che ripetere quello che dice mezza Internet…» «C’è qualcosa che gli dà fastidio.» «E allora?» «Allora ho spostato l’appuntamento con il Generale a Los Angeles.» «Ok, ne approfitteremo per una vacanza.» «Se ce la lasciano fare.» «Dai, darling, non esagerare…» «Non esagero, pezzo di cretino! Bye. Take care!» «Bye…» Midnight era nervosa. Cominciavo a esserlo anch’io.

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Gli occhi di Tovarich (3) Il camion si fermò all’improvviso. Di fronte a loro la strada era interrotta. C’era una colonna bombardata. Camion civili, carichi di luci, insegne, bandierine. La solita paccottaglia orientale. Camion militari, residuati bellici dell’Armata Rossa. Civili e militari mischiati insieme. Dai camion penzolavano pezzi di corpi umani bruciati. Neri, come se la carne fosse stata trasformata, per una maledizione, in carbone. Ai lati della strada i sopravvissuti. Alcuni bambini piangevano. Altri giocavano. “Inshallah” pensò Tovarich, i suoi occhi azzurri freddi analizzavano il paesaggio. “La vita è così. Meglio a te che a me!”. Sarebbe arrivato l’inverno. Avrebbe coperto quei corpi di neve e ghiaccio. Poi sarebbe tornata l’estate. Come sempre. Il tempo avrebbe fatto pulizia. Si fermò a parlare con un “uomo con la barba”. Gli disse che stava andando a Mazar i Sharif per combattere i diavoli americani e quei rinnegati dell’Alleanza. “L’uomo con la barba” sembrava soddisfatto. Gli chiese di dov’era. «Sono di Kabul» rispose Tovarich e quello guardava gli occhi azzurri e i capelli biondi che uscivano dal turbante di Tovarich. «Circasso» spiegò Tovarich. L’uomo sorrise. Tovarich sorrise anche lui. Solo con la bocca. Conosceva quello sguardo. Sapeva cosa significava. Ero lo sguardo che ti faceva sentire una donna. Un oggetto di desiderio. Aveva sbagliato a dire “circasso”. Tovarich sorrise di nuovo, un altro sorriso, equivoco, e indicò un tugurio semidiroccato poco più avanti. L’uomo con la barba si mise il kalashnikov sulle spalle e cominciò a camminare. Passo veloce, eccitato. Tovarich adesso parlava spigliato, mentre scendevano il sentiero. Entrò per primo l’uomo con la barba. Tovarich stava appoggiato a una trave annerita dal fumo. L’uomo

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con la barba si tolse il “kala” dalla spalla, lo appoggiò al muro. Tovarich si portò dietro di lui e incominciò a leccargli il collo. L’uomo con la barba si rilassò. Chiuse gli occhi, per assaporare il piacere. Fu allora che la lama di Tovarich gli affondò nella gola. Tirò a sè con tutta la sua forza. Sentì la carotide cedere e rompersi. Uno scricchiolio, come fanno le ossa dei polli. Il sangue uscì in fretta rosso dall’arteria principale. Tovarich accompagnò il corpo a terra. L’uomo con la barba non avrebbe più parlato. Non che avesse molto da dire, pensò Tovarich. L’uomo stava soffocando in silenzio nel suo stesso sangue. Tovarich si appoggiò al muro per guardare le ultime convulsioni. Si sentiva bene. Era stato facile. Sulla strada non c’era quasi più nessuno. I sopravvissuti erano saliti sul tetto del camion di Tovarich che stava ripartendo. Tovarich si stese per terra. Al riparo di un muretto. Vicino a lui il “kala” dell’uomo con la barba e il suo zaino. C’erano un po’ di viveri, munizioni, una foto di un gruppo di barbuti, una copia del Corano. Tovarich iniziò a leggere. In lontananza si sentivano come dei tuoni. Bombardano Mazar i Sharif. Pensò Tovarich. Ci sarebbe arrivato domani a piedi.

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Poppy Flowers! Via Veneto, Doney: Sbancor e Parvus. «Come api sul miele» dissi, chiudendo la Repubblica. «Anzi, sui “poppy flowers”, i papaveri da oppio. Pare infatti che mentre i Talebani svendevano tutta la produzione, quelli dell’Alleanza del Nord ne erano pieni. Vuoi vedere che la colpa della guerra è di quell’idiota di Pino Arlacchi?» Parvus quasi mandò di traverso l’aperitivo: «Che vuoi dire, che c’entra Arlacchi?» «Vengo e mi spiego. Arlacchi, quello che crede che abbiamo vinto la lotta alla Mafia, l’imbecille, inizia un programma per la distruzione dei campi da oppio in Afghanistan con l’ONU. Allora» dissi tirando fuori una cartellina «diamo un occhiata ai dati.» «Dove l’hai presa?» chiese Parvus guardando stupito l’intestazione: DEA. U.S. Drug Enforcement Administration – Afghanistan Country Brief – Drug Situation September 01. «Da Internet» risposi candido. «Dunque: nel 2000 l’Afghanistan aveva più del 70% della produzione mondiale di oppio. 3.656 tonnellate. Campi coltivati 64.510 ettari. Poi nel 2001 stimano 74 tonnellate per 1.685 ettari. Guarda il confronto con i dati ONU. C’è una forte diff erenza nel 1999, di circa 1.800 tonnellate, che non è poco. Dicono che c’è una diversa metodologia. Procediamo. Il 28 luglio 2000 il mullah Omar fa un decreto per bandire la produzione di oppio dall’Afghanistan. Poi il rapporto dice che ci sono laboratori per la produzione di morfina base, eroina bianca e per uno dei tre gradi del Brown Sugar. Sono disseminati un po’ ovunque e secondo me sono recenti. L’Afghanistan fino a pochi anni fa non aveva tec137


nologie di produzione. Al massimo morfina base che veniva esportata in Turchia. Allora il sospetto è che abbiano usato i soldi di Arlacchi per ristrutturarsi: dalla coltivazione all’industria.» «Oh cazzo!» «Inoltre il programma di Arlacchi non riguarda i territori controllati dall’Alleanza del Nord, dove si producevano, sempre nel 2000, circa 300 tonnellate a Badakshan. Adesso sono loro ad avere in mano il commercio.» «Ah!» «Torniamo a noi. Arlacchi prova due volte a convincere i Talebani a spiantare l’oppio, la prima volta fallisce, la seconda ci riesce. Fra la prima e la seconda c’è il più grande raccolto d’oppio della storia: il 1999, 4.581 tonnellate secondo l’ONU, 2.861 secondo gli americani.» «Quanto fa in soldi?» «Il calcolo non è semplicissimo. Da 100 kg di oppio se ne ricavano 10 di eroina. Ora un chilo di eroina vale circa 2.000 dollari sulla frontiera Tajika, può salire a 15.000 a Dushanbè, arriva a 150.000 a Mosca.» «Cazzo! ci guadagna tutta la filiera distributiva.» «Esatto. Tanti interessi, interessi spesso diversi e in conflitto. Per esempio, se abbasso la produzione chi guadagna di più è la rete di vendita più lontana. E così via. Puoi costruirci un modello econometrico.» «E che ti dice il modello?» «Dice che li hanno fatti fessi. Hanno abbassato quasi a zero la produzione 2001, perché avevano i magazzini pieni sia di grezzo che di prodotti raffinati. Fino a settembre hanno guadagnato come pazzi. Poi, dopo l’11 settembre, hanno svenduto tutto e fatto crollare i prezzi.» «Sì, ma chi?» «È questo il punto. Una rete del genere non può essere solo afghana. Dentro ci saranno i turchi, gli iraniani, i 138


russi, i cinesi e gli italo-americani. Poi ci sono le ultime ramificazioni, i balcanici, i nordafricani, i negri. Ma il gruppo che decide deve essere molto stretto. Poi c’è al Qaeda, certamente ma devono esserci rappresentanti di Cosa Nostra e della Mafia Russa. E forse di altre mafie centroasiatiche. E infine ci sono quelli di “Octopus”.» «E chi cazzo sono?» «Sembra che sia l’ultimo nome della squadra, insomma quelli che per primi hanno iniziato questo gioco di drogaarmi-guerra. Gli ex di “Air America”. Quelli di Iran Contras, sempre loro.» «Oh, cristo! Questo vuol dire...» «Già, vuol dire che lo schema di gioco è sempre quello. Un paese di frontiera (come il Laos o il Nicaragua o l'Afghanistan), la necessità di organizzare azioni clandestine, la necessità di finanziarle con fondi neri. Il traffico di armi e droga per creare i fondi neri. E inzia il "ballo". Ciò che mi convince è che questo gruppo si muove come un serial killer: effettua sempre le stesse mosse. Ha un modus operandi attraverso cui è possibile riconoscerlo. Insomma, lascia una strada nella Storia. O sarebbe meglio dire una “pista”. Fatta di cocaina o di eroina.» «E adesso?» «E adesso si sbaracca l’Afghanistan per qualche anno.» «E dove vanno?» «Beh, i radicali nostrani hanno già incominciato a rompere i coglioni in Laos: ritorno alle origini.» «Cristo!» «Ma io credo che il grosso vada a nord» «Dove?» «Uzbekistan? Che dici?»

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Gli occhi di Tovarich (4) Fu il primo a sentirli. Erano camion e carri armati. Centinaia di camion e carri. Scappavano. Prese il “kala” si portò sul ciglio della strada. Gli “Uomini con la barba” scappavano a migliaia. «Mazar è caduta! Dostum. Una carneficina. Ci abbiamo lasciato i pakistani e gli arabi.» «Dove andate, a Kabul?» «No, no, via anche da Kabul» «E dove andate allora?» «A Kandhahar, a Sud e poi Inshallah. Ialla, Ialla!» Si riportò dietro la casa. Prese il Satellitare. Chiamò il Maggiore. «Sir?» «Sì, Tovarich, dove sei?» «A sud di Mazar i Sharif, pochi chilometri. Dostum sta vincendo» «Lo so Tovarich, io so sempre tutto. Adesso sbrigati.» «Che devo fare?» «Raggiungi le linee di Dostum, chiedi del Generale Ismail e digli il mio nome, digli che il Generale Secord ti vuole al suo quartier generale a Tashkent.» «In Ukbekistan?» «E dove se no? Si ricomincia da qui Tovarich... si ricomincia da qui... devi vedere che campi, che papaveri... molto più in grandi che in Afghanistan. Basta con le capre e i Burka! Qui ci sono donne! Donne vere, Tovarich, russe, moldave, ucraine, circasse... e c’è la vodka, fiumi di vodka!» Tovarich rise. «Tovarich» disse il Generale «Pensi ancora a tua madre?» «Di meno» rispose Tovarich. «Non ci pensare più, ti aspetto. Ciao.»

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Tovarich guardò il cadavere dell’uomo con la barba. Il terreno era impregnato di sangue. Gli occhi ancora aperti. Il sangue era marrone, come quello di sua madre. Tovarich sputò su quegli occhi aperti. Mise il kala in spalla, guardò un attimo le stelle e comiciò a camminare verso nord. Quella notte si fermò a dormire sulla collina sopra Mazar i Sharif. Qui una volta coltivavano il miglior hashish afgano. Il Nero di Mazar. Altri tempi. Tovarich si accorse con stupore che forse poteva dormire. Si avvolse nella coperta. Sentiva lontana una nenia e una voce di donna, sua madre. Dormì e gli sembrò di volare nella notte stellata e fredda dell’Afghanistan. Dormì dopo anni di insonnia. Dormì e sognò sua madre. Sognò a lungo. Mazar i Sharif era una città liberata. E come tutte le città liberate puzzava di cadavere. Gli Uzbeki di Dostum erano ovunque, c’erano anche gli Azeri, con gli occhi che brillavano di vendetta e i coltelli ancora insanguinati alla cintola. Erano stati gli Azeri a pagare il tributo di sangue più alto all’occupazione talebana. Avevano resistito fino all’ultimo. E li avevano ammazzati fino all’ultimo. Prima una pistolettata sui genitali, poi, qualche volta, il colpo di grazia alla testa. Ora potevano prendersi la rivincita. Fuori dalle città divisioni tajike del Panshir, gli uomini che avevano combattuto con Masud. Anche loro avevano la luce della vendetta negli occhi. Appena fuori dalla città il carcere, con 800 prigionieri. Talebani e miliziani di al Qaeda. «Pronto, Maggior Generale, sono qui a Mazar i Sharif.» «Benvenuto nella Terra Promessa, Tovarich. Se vuoi divertirti stasera vai dalle parti del carcere. Attento però. Aspetta le esplosioni, e solo dopo unisciti alla festa!»

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«Che festa?» «Una bella festa Tovarich: “no prisoners”. Come diceva quel frocio di Lawrence!» «Chi, Sir?» «Un inglese che tanti anni fa combatteva con voi bedè nell’Hejiaz. Comunque ricordati. Dopo le esplosioni e... “no prisoners”!» «D’accordo, Sir... “no prisoners”.»

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Le notizie corrono veloci Il massacro dei prigionieri a Mazar i Sharif era appena terminato. Il messaggio era chiaro. I talebani lo capirono al volo. Iniziarono le defezioni di massa. Fu tutto il fronte sud a mettersi in moto. I talebani sembravano dissolversi nel nulla. Adesso erano i pashtun. Anche prima erano pashtun, ovviamente, solo che adesso erano passati dall’altra parte, in massa. Facevao a gara a consegnare gli “stranieri” e gli “arabi” di al Qaeda. Formarono un governo... si riunirono in Germania... cercavano di passare per persone civili... Una dopo l’altra caddero Kabul, Jalalabad, Kandahar... Sui monti di Tora-Bora venne organizzato un poligono di tiro per i bombardieri. La caccia a bin Laden e a Omar continuava... inutilmente... Il nuovo Governo si insediò in pompa magna... «È come se in Italia avessero fatto Patrizio Peci presidente del consiglio!» commentò Parvus, disgustato. America! Cosa cazzo stavo facendo a Roma? Qui non c’era più nulla da fare. Qui bisognava andare negli USA. Se volevo davvero capire qualcosa. Mi ci vollero non più di dieci minuti per prenotare un volo Roma-Los Angeles (crisi delle compagnie aree: che delizia!). Poi telefonai a un piccolo albergo che conoscevo vicino a Hollywood Boulevard, un posto da scrittori anni ’50, con una deliziosa piscina fra palme e banani per meno di 100$ a notte nella suite. Poi telefonai a Midnight. «Honey?» «Sono io, cretino.» 143


«Perchè cretino?» «Sai che ore sono a Los Angeles?» Rabbrividii ed evitai di lanciarmi in calcoli complicati. Ci voleva una battuta! «Non è mai troppo tardi per dirti che ti amo!» «Cosa vuoi, cretino?» «Dirti solo che sto arrivando.» «Quando?» «Dopodomani all’aeroporto.» «Vengo a prenderti. Buona notte.» «Goodnight darling.» Sudando, riattaccai. Feci i bagagli. Aprii il computer, guardai la posta. Trovai due lunghi file, quelli che mi aveva mandato Midnight. Dissi: «Oh Cristo, per fortuna... me li leggerò in aereo.» Li stampai. Salii sull’aereo semivuoto. A qualcosa Osama serve! Mi ero appena seduto che una voce dalla carlinga disse che era un volo “no smoking”. Bestemmiai ad alta voce. E poi si lamentano che dirottano gli aerei, io questo lo dirotterei a Cuba, giusto per farmi una scorta di sigari! Disperato aprii il fascicolo con le e-mail di Midnight 68. Dopo qualche ora che leggevo chiesi alla hostess un doppio whisky. La hostess gentilmente mi rispose che non poteva portare un doppio whisky. «Allora mi porti un whisky, poi prenda il bicchiere e infine me ne porti un secondo in rapida successione...» “Osama...” pensai. Continuai a sfogliare le carte. Dunque, questa storia di Promis sembrava proprio un romanzo. Promis è un software prodotto dalla Inslaw. Caratteristica di questo software è poter integrare fra di loro database scritti in linguaggi e programmi diversi. 144


Sarà stato vero? Vallo a sapè. Comunque visto che tutti i linguaggi alla fine si riducono al binario 0/1 sarà stato anche possibile. Boh. 1. Questo software nella versione prodotta circa venticinque anni fa piaceva molto al dipartimento di Giustizia. In particolare a un certo Ed Meeds. Fin qui nulla di strano. 2. Però, a detta di Hamilton, il proprietario della Inslaw, incominciarono a succedere fatti strani. Ricevette richieste di assistenza da soggetti a cui lui non aveva mai venduto il software. Si insospettì. Iniziò una vicenda legale infinita. Fin qui tutto “normale”. La pirateria informatica è un costume tollerato, anche se non ammesso, pure nella Pubblica Amministrazione. 3. Poi incominciò una catena di morti. Questo era già meno normale. Sommando i vari testi ne contai almeno dodici. Meglio che in 10 piccoli Indiani! 4. Il problema era che questo software aveva una “backdoor”, non nella versione originale, ma in quelle “pirata” successive. Attraverso la “backdoor” era possibile entrare in tutti i computer che avessero installato Promis. Gagliardo! 5. Ora sembrava che mentre Hamilton era impegnato nelle sue cause civili, qualcuno fosse riuscito a vendere la versione modificata (con la backdoor) a molti servizi segreti. Compreso il Mossad e il Canada. I canadesi si incazzarono e aprirono un’inchiesta. 6. Un giornalista, Danny Casolaro, venne trovato morto, nel 1991, in un hotel del West Virginia. Le vene dei polsi erano tagliate. Nessun’idea di suicidio manifestata in precedenza. Danny stava lavorando al caso Promis e aveva parlato con Hamilton poco prima: secondo Hamilton era come il gatto che aveva visto il canarino. 7. Da quel momento le morti si susseguirono. Fra gli altri citati nei voluminosi rapporti anche Robert Maxwell (l’e145


ditore) e Bill Mc Coy, un ex agente investigativo dell’Esercito. Venne tirata in ballo anche la Wackenhut e alcune sue strane attività, fra cui la produzione di metanfetamina nella riserva indiana di Cabazon. Tutto sembrava girare intorno alle testimonianze di uno strano e inquietante personaggio: Michael Riconosciuto. 8. Diverse notizie davano Promis anche nelle mani di bin Laden. Se ciò fosse stato vero e se fosse stata vera la capacità di Promis di entrare via “backdoor” nei sistemi di sicurezza, forse molti misteri sull’estrema vulnerabilità del sistema di sicurezza americano l’11 settembre sarebbero potuti essere spiegati. Ipotesi... Ipotesi. Mai nessuno che mi desse uno straccio di prova! Proprio in quel momento la mia attenzione cadde su un altro foglio che stava nella cartella. Si parlava di un altro consigliere di W. Bush, uno che in El Salvador era responsabile della morte di almeno 35.000 persone: Elliot Abrams. Direttore dell’Ufficio per l’America Latina del Dipartimento di Stato, fu costretto ad ammettere di aver mentito dalla commissione di inchiesta su Iran-Contras. Ha precedenti agghiaccianti. Quando due giornalisti americani provarono l’esistenza di un massacro di donne e bambini in El Salvador, perpetrato da militari americani, Abrams operò per screditare i giornalisti. Ora fa parte del National Security Council, insieme a John Negroponte e Otto Reich. I “falchi” dell’amministrazione Bush.

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Los Angeles: ore 9.45 a.m., ora locale Scesi dall’aereo dicendo: «Mai più, mai più... la prossima volta vengo in nave. 20 ore senza fumare: 20 ore, dio bono.» Sbrigate le formalità mi trovai in un bar all’aperto per aspettare Midnight. Il “nostro” bar. Accesi un Montecristo “A” che ero riuscito a nascondere alla dogana (i cubani negli USA stanno ancora sotto embargo). Il Montecristo A è un Grand Corona, il formato più grande dei sigari Cubani. Sentii su di me gli sguardi di disapprovazione della plebe igienista made in USA. Fumai sfrontatamente. Poi sentii uno sguardo d’invidia. Un signore corpulento e ben vestito seduto qualche tavolo vicino al mio. Nei suoi occhi si leggeva il dolore per un piacere smarrito da molti, troppi anni. Mi commossi e, generoso, tirai fuori il portasigari e ne offrii uno all’ammasso di carne parcheggiato più in là. Vidi circa 200 kg muoversi con una agilità straordinaria e insospettabile. Sentii una voce ringraziarmi in un prezioso accento di Boston. «Hasta la victoria!» dissi «Siempre!» ribadì convinto il grassone. Pensai che i “puros” erano l’unica giustificazione perché Fidel rimanesse ancora al potere. Midnight arrivò. Chissà perché non invecchiava mai. Era ancora più bella della foto di cui mi ero innamorato dieci anni fa su un sito “esclusivo a luci rosse”. Strana storia. Comunque funzionava. Dio benedica Internet! Midnight si sedette vicino a me, ordinò un Manhattan, 147


disapprovando con lo sguardo il litro e mezzo di birra Budweiser che avevo davanti, e disse: «Benvenuto in America, Ciccio, il paese dove cadono gli aerei come foglie in autunno ...» «Smettila di chiamarmi Ciccio se no incominciamo a litigare subito!» Imperturbabile Midnight con quel suo accento del Sud: «Ok, Ciccio, muovi le chiappone che la macchina è in sosta vietata. Dobbiamo andare a Melrose.» «E chi c’è a Melrose?» dissi, trangugiando d’un colpo l’ultimo mezzo litro di Bud. «C’è il Generale Sherman che ci aspetta.» Quasi mi soffocai con la Birra: «Chi?» «Non lo so, credo che sia il suo nome in codice... è un pezzo grosso del Dipartimento, è la “gola profonda” di cui ti avevo detto» «Strano.» «Strano cosa?» chiese Midnight. «Il soprannome, possibile che proprio tu che sei una sporca sudista non sappia chi era il Gen. Sherman?» Midnight fece una espressione di quelle che non gliene poteva fregare di meno. «Ma che vi insegnano a scuola, a masticare le gomme?» sbottai, non senza qualche ragione. «Insomma, chi cavolo era questo Sherman?» «Era un generale di cavalleria nella guerra di secessione americana. Combatteva sotto Ulysse Grant, un nordista. Un nordista che odiava i sudisti come pochi. Organizzò un’incursione di non ricordo più quanti reggimenti di cavalleria dietro le linee confederate. Passò per Baton Rouge, raggiunse Atlanta e la bruciò» «Peggio di Osama!» disse Midnight «Molto peggio. Bruciò i campi di cotone, liberò gli schiavi, distrusse le grandi ville coloniali dei piantatori sudi148


sti, distrusse ponti e ferrovie. Mise il Sud in ginocchio!» «Vedi che bello sapere la storia» ribattè Midnight «Sai raccontarmi solo storie di guerra, noioso!» «Beh, i negri violentarono anche qualche signorina bianca della Carolina del Sud!» «Già questo è più interessante, dai andiamo Ciccio o facciamo tardi!» Sherman ci aspettava in un bar molto elegante su Melrose. Era alto, molto alto. Capelli biondi corti, occhi blu. Avrà avuto sui settanta. Sembrava un vecchio soldato yankee, con il suo blazer blu e la cravatta che dava sul giallo. «Mr. Sbancor?» chiese serio. «Eccomi qui» dissi, tendendogli la mano. Una stretta forte, virile. “Sì” pensai “Questo era un soldato.” «Piacere.» disse «Cosa gradisce? Io propendo per un Old Fashioned» «Anch’io» dissi pregustandomi il whiskey Four Roses, con ciliegina, angostura e una zolletta di zucchero. Midnight prese un altro Manhattan. «Perché ha deciso di parlare proprio con me?» chiesi. «Perché lei magari è così pazzo da scrivere quello che le racconterò.» Feci un brindisi: «Ai pazzi della Grande Terra Americana!» «Questa non è più una grande terra» disse Sherman teso «questa è una maledetta palude piena di serpenti velenosi e alligatori. Questa era una gran terra. Quando ci sono venuti i miei bisavoli, subito dopo i Padri Pellegrini. Costruirono una casa nel New England, coltivavano i campi, sparavano ai tacchini e agli indiani. Benedicevano il Signore. Erano scappati dall’Europa e dalle guerre di Religione. Questa era la “loro terra”. Quando ci fu la guerra con gli 149


Inglesi il mio bisnonno combatté a Trenton insieme ad Hamilton. Passarono il fiume gelato la notte e attaccarono i mercenari tedeschi la mattina. Fu la prima vittoria del Generale Washington.» «E ora?» «Ora non ci sono più mercenari tedeschi. Ora i mercenari siamo noi» disse Sherman triste «E questa è una maledetta e schifosa palude! Peggio del Vietnam.» «Lei c’è stato?» «Sì. Da-Nang fino a Saigon. Ero lì nell’offensiva del Tet. Ero nella fanteria. Niente corpi speciali. La buona e vecchia fanteria americana, quella di Gettysburg!» «Allora conosceva molta della gente di Phoenix.» «Avrei preferito non conoscerli. Sì, li conoscevo tutti, quella banda di delinquenti. È lì che è cominciato quel cancro che non c’ha più lasciato. Quel cancro che oggi abbatte le torri, semina antrace e chissà quanti bravi ragazzi farà morire chissà dove. Lei conosce la Storia Americana?» «È uno dei massimi esperti» disse Midnight interrompendoci. «Non fa che parlare di J. P. Morgan, di Rockfeller, di Carnegie, del Colonnello House...» «Quelli erano vecchi tempi, era il “Secolo Americano”. Non dico che non facessimo cazzate anche allora, ma, come dire, c’era una visione, almeno per qualcuno. Ma lei, è italiano, perché si occupa di queste cose?» «Perché da ragazzo andavo a una scuola cattolica di preti irlandesi. I Christian Brothers. E avevo due miti. Martin Luther King e Bernadette Delvin. Poi ci sono state Memphis e Londonderry. E non ho più miti, non sono neanche più cattolico. Nel mio cuore ho solo l’odio per chi ha distrutto i miei miti di ragazzo. E se lo trovo l’ammazzo!» «Forse non siamo troppo diversi.» 150


«E oggi, cosa succede oggi in America?» «Oggi niente più visioni. Solo dollari. Dollari e Potere.» «Ma qual è stato il punto di rottura?» chiesi. «Chi può dirlo. Forse l’omicidio Kennedy. Certo il padre Joseph era un vecchio contrabbandiere e con la Mafia trafficava anche lui. I figli poi non erano quei santi che credevate voi Europei. O forse prima, durante il Maccartismo. Insomma prima c’era una generazione fatta di Dashell Hammet, Lilian Hellmann, Tennessee Wlliam, Steinbeck, Faulkner, Hemingway. Ora ci stanno soltanto puttane e mafiosi, affaristi senza scrupoli, gente senza idee. Sono troppo vecchio per fare l’hippy o il no global... La mia generazione è andata tutta...» «Ma l’11 Settembre?» «Se fossimo in Italia lo definirei un tentativo di colpo di stato. Ma in America non si può. Volevano, e in parte vogliono ancora, la guerra totale a quante più nazioni è possibile, un sistema di sicurezza interna di tipo imperiale, la fine della libertà, della nostra libertà. Hanno paura della crisi economica, hanno paura di un altro 1929.» «È possibile... ma poi che è successo?» «Solo chi aveva messo la carne sul fuoco poteva cucinarla: sono gli stessi che hanno deciso che per adesso basta la teoria del “colpevole unico” come con Lee Oswald, come con Timothy Veight. Hanno creato il Mostro, Osama, e adesso lo devono distruggere. Come a Hollywood.» «Ma allora anche Oklahoma City è... Gesù...» «Oklahoma City, l’Egyptair, il Twa, non è la prima volta che “gli islamici” ci provocano, ma finora siamo riusciti a coprire tutto.» «Ma a Oklahoma City non erano le milizie, quelli di 151


Waco?» «Sì, anche adesso le milizie sono al lavoro con l’antrace. A Oklahoma City c’era Frank Terpil, le basta?» «No.» «E allora le racconto un aneddoto. A duemila miglia da Oklahoma City, mentre la bomba esplodeva, ad Albuquerque era in corso una conversazione telefonica fra “Big Al” Carone, un ex agente CIA, implicato con la Mafia e Ted Shackley. La telefonata fu casualmente intercettata dalla figlia di Carone su un'altra linea. Ted e Big All stavano parlando del primo attentato al World Trade Center. Carone disse “Stanno andando avanti!” si riferiva ovviamente ai terroristi islamici. Ted invece disse “Non troveresti interessante che si scoprisse che sono terroristi di qui?” Carone sbalordito chiese “Scusa!?” e Ted, secco: “Esattamente quello che ho detto”.» «Ted sapeva già qualche secondo dopo l’attentato dove sarebbero state indirizzate le indagini?» «Sì.» «Succede anche da noi» dissi triste, pensando a tutti i morti delle stragi italiane degli anni ’70 e ’80. «Qui invece abbiamo la teoria: ha mai letto The Third Option di Ted Shackley?» «No, per fortuna.» «Avrebbe dovuto farlo. La “Terza Opzione” non è quella di arrivare alla pace dopo aver vinto una guerra. La “Terza Opzione” è la possibilità di mantenere un clima permanente di “Counterinsurgency Operations”. Compreso il “terrorismo domestico”. L’obiettivo in questo caso sono gli States: il loro sistema di libertà.» «Siamo a questo punto?» «No, siamo già oltre. Non sa nemmeno quanto oltre. Già, dopo Oklahoma City Clinton promulgò the “Anti152


Terrorism Bill”... acqua di rose rispetto al progetto BushAschroft...» «Ma insomma, lei mi sta dicendo che c’è una Cia parallela che vuole un “colpo di stato” in America e che è disposta a far crollare le torri, bombardare il Pentagono e fare tutto questo casino?» «Sono capaci anche di peggio...» «Sì, ma chi sono?» «Un gruppo di ex agenti segreti, mafiosi, industriali del complesso militare industriale, banchieri mediorientali, come quelli della BCCI, petrolieri. Insomma la “feccia” che ha espresso il primo Presidente Americano ex Capo della CIA: George Bush. E Bush ha fondato una dinastia. E questa dinastia ha i suoi boiardi che la dirigono, la sostengono la condizionano... siamo caduti molto in basso...» «Sì, ma dove inizia l’autonomizzarsi di questo gruppo, dico la parte operativa, gli ex agenti?» «Tutto comincia con “Executive Order 12333” durante la Presidenza Ford. Vietano l’omicidio politico alle Agenzie di Stato. Ma non vietano al Presidente di ordinarlo. Solo non può essere un funzionario pubblico a sparare. La distinzione è sottile. Lì si privatizzano l’intelligence e la sicurezza. Agenzie private sostanzialmente autonome, e non sottoposte all’approvazione del congresso. EATSCO, Stanford Technologies, Intercontinental Industries, E-Systems, Southern Air Transport, e soprattutto Wackenhut, quella banda di assassini. Sa chi c’è nel loro “board”?» «No...» «Da William Casey in giù, tutti gli ex direttori CIA e FBI. Compreso Frank Carlucci.» «Ma Frank Carlucci non è il “mentor” di Armitage?» «Certo, e se cerchi nella merda in Medioriente lo trovi 153


dovunque. Ma ce ne sono tanti ex di Phoenix. Basta cercare nel giro di “Peregrine”, una società che affitta mercenari. Ci trovi le tracce di Hunt, l’organizzatore della Baia dei Porci e del golpe in Cile, come Robert “Stretch” Stevens, il capo delle operazioni marittime per conto di Shackley, dalla Baia dei Porci all’Iran Contras...» «Cristo Santo! Ma c’è ancora qualcosa che mi sfugge. Voglio dire intorno a questa storia ci sono diversi interessi, petrolio, droga, il complesso militare industriale. Poi c’è una economia, quella americana, che ha bisogno di una guerra ogni 10 anni per non andare in sovrapproduzione. Ma come si compone il quadro? Insomma, sono mondi diversi, interessi contrastanti. Kissinger lavorava per i talebani prima di diventare il paladino dello “scontro fra civiltà”.» «È mai stato a Las Vegas?» «Sì.» «Come è che si vince lì?» «Stando contemporaneamente dalle due parti del tavolo.» «Anche qui.» «Capisco.» «È la teoria della “Controinsurrezione”. Si devono programmare attentati per far decollare progetti di repressione sempre più spinti, rendendo sempre più labile il confine della legalità. Ma questo crea dei “falsi amici” che sono anche “falsi nemici” che qualche volta diventano nemici veri. Come Noriega, Milosevic, Saddam, Osama. Solo che quando il gioco è iniziato nessuno controlla più le mosse: solo le “contromosse” sono prevedibili.» «Ma questo non è un Impero: è un gran casino!» «Voi europei avete una strana concezione dell’Impero. Pensate a Cesare. Ma chi era Cesare senza Crasso? Siete inguaribilmente romantici. Qui ci sono gli interessi economici. Generali e particolari. Poi ci sono i geopolitici 154


che fanno i piani, da Kissinger, fino a Luttwak. Questi hanno obiettivi strategici: l’Eurasia, il Sud del Mondo; a proposito, lo sa che siamo in guerra dagli anni ‘70 contro il sud del mondo? Si legga la raccomandazione NSSM200. E poi ci sono quelli che fanno il lavoro sporco. I quali non sono stipendiati, no, sono imprenditori in proprio, privatizzati. E quando il lavoro non c’è se lo creano. Noi il problema dei “reduci della guerra fredda” lo abbiamo risolto così!» «Goddamn!» «La smetta di bestemmiare. E d’altra parte noi siamo profondamente moralisti. È questo che ci frega. Non siamo capaci come voi Europei di dichiarare una semplice guerra di potenza. Noi non abbiamo nel nostro DNA il “vostro” imperialismo. Noi veniamo dalla più grande rivoluzione dell’era moderna. Si ricordi la nostra costituzione “We the people of America...!» «Beh, c’ha collaborato anche Filangeri...» «Sì ma il punto è un altro. Quando noi dobbiamo dichiarare guerra occorre che sia il nemico ad attaccarci per primo. È una tradizione e un obbligo morale. Da Fort Alamo, all’autoaffondamento del Maine, da Pearl Harbour al Golfo del Tonchino. Sarebbe stato così anche con Cuba: si legga l’operazione “Northwood”, è stata declassificata di recente.» «Sì, ma adesso?» «Dunque lei voleva nomi e cifre: eccoli...» Quando il Generale finì di parlare, riposi il taccuino pieno di appunti e di cifre. Ero pallido. Stavo per avere un’altra delle mie crisi. Mi accorsi che stavo salutando il Generale. Come se fosse un altro a salutarlo. L’altro si accorse che stavo ordinando un altro drink. Si accorse che Midnight mi teneva la mano stretta e mi guardava con paura. Anche con amore ma soprattutto con paura. 155


«Andiamo» disse «Dove?» chiese Midnight. «In vacanza. Hai mai scalato il Mattehorn?» «No, dovè?» «Vicino a Yosemite, sulla Sierra.» «Andiamo» disse Midnight. E mi baciò. This Land is your Land? Riflettevo mentre la macchina andava lungo la “One” quella strada meravigliosa che passa da Big Sur, a Monterey, su fino a San Francisco. L’Oceano sulla sinistra e boschi meravigliosi pieni di cervi, di bluebird, di scoiattoli. Pensavo all’America. A quando leggevo Hemingway e Kerouac, pensavo a Dos Passos. Amavo l’America, forse l’amavo quanto il Generale Sherman. Ma come erano potuti finire così? «This Land is your Land» canticchiavo «This Land is my Land,/ from California to the New York Island, /from the red wood forest to the gulf stream water/ this land was made for you and me...» Midnight mi guardava. Sapeva che stavo pensando ad altro. Dunque avevano fondato un Impero, il più grande Impero della Storia. Ma per farlo avevano dovuto barare come ladri. Non solo sulla moneta, ma anche peggio. Avevano assoldato tutta la feccia della terra pur di combattere i “rossi” e adesso erano talmente incastrati con la feccia da non poterla più distinguere. La feccia si rivoltava. Voleva essere pagata. Ma adesso loro non potevano. E allora la feccia ricattava. Loro erano costretti a coprirla, come a Oklahoma City, come sull’Egypt Air, come sul TWA. Ma poi la feccia esagerava e buttava giù le Torri. Ora avevano solo due scelte. O smantellare tutto il sistema della “feccia”, tutto: droga, armi, capitali riciclati, paradisi fiscali, capi di stato cor156


rotti, le grandi corporations, i consigli di amministrazione delle banche d’affari ecc. ecc. Quanti soldi e quanti morti in questo scenario? Tanti. Troppi. E poi potevano fidarsi dell’Europa e del Giappone? Oppure... oppure continuare il gioco. Ma per continuarlo dovevano essere sicuri che nessuno avrebbe parlato, e la “storia della feccia” in realtà ormai la sapevano in molti. E allora dovevano imbavagliare la stampa, chiudere le radio, mettere sotto controllo Internet, dare più poteri all’FBI e alla CIA, montare una campagna d’allarme sociale. Insomma il “terrorismo”. Il “terrorismo e il fascismo”. Mi ricordai di un’agenzia: diceva che il Guardasigilli Ashcroft faceva parte del Ku Klux Klan. Ci mancavano solo gli “incappucciati” e le croci in fiamme! «This Land is your Land...» mi accorsi di avere gli occhi rossi... colpa del vecchio “Woody”. Chiusi gli occhi, tirai fuori la bottiglia di Jack Daniels dal cruscotto. Diedi una lunga sorsata. Respirai l’aria fresca dell’Oceano. Bevvi di nuovo. “Per fortuna che guida Midnight” pensai. E cominciai a dormire. Diario Passammo la notte a Bridgeport, una strana città sull’altipiano prima di arrivare alla Sierra. Una volta era un posto di cacciatori. Non era raro vedere cervi sanguinanti sul portapacchi delle macchine. Così la vide Jack Kerouac negli anni ’50. Adesso non c’erano più cacciatori, con buona pace degli ambientalisti. Era un classico paese western, una città fantasma, rimasta intatta per il gusto dei pochi turisti. C’era una specie di saloon con una malfamata sala da biliardo frequentata da camionisti autentici. C’era un piccolo Museo del West, con una pistola che sembrava fosse appartenuta a Billy the Kid. Ma soprattutto c’era un 157


incredibile “hotel”, o meglio ciò che una volta doveva essere un bordello per cowboy e oggi per turisti. Tutto ricordava quelle case. Dalla pianola alle tende rosa broccato, al letto, fino al comodino con i pitali e la brocca per lavarsi. Io e Midnight ci accampammo lì per la notte. Fra travi scricchiolanti e il vento gelido della pianura. Ciò che accadde quella notte sono fatti nostri, e comunque non mi pagate abbastanza per raccontarlo. Partimmo la mattina all’alba, direzione Matthehorn. Un piccolo viaggio in auto nella pianura... un cervo morto all’angolo della strada... altri che sgambettavano davanti alla macchina. Lasciammo l’auto e cominciammo a salire fra le rocce e la neve. Respiravamo l’aria gelida della Sierra. Chiazze di neve, pietre e mughi. Man mano il paesaggio cambiava. La montagna era vicina, ancora invisibile nella nebbia rosa, eppure si sentiva. Camminavamo piano, mano nella mano. Felici, stupidamente felici. La macchina uscì dalla nebbia. Una macchina nera... I fari furono l’ultima cosa che vidi prima di cadere. Tenevo ancora la mano di Midnight. Neanche oggi sarei salito sul Matthehorn. Per fortuna faceva freddo. Il dolore lo avrei sentito dopo. E anche il resto. Sette ore ed eravamo a Tijuana e lì trovai la morfina. Midnight aprì un occhio. L’avevo riempita di Toradol, un antodolorifico forte, per la mia artrosi. La sua voce veniva da un altro mondo. «Dove stiamo andando?» «Messico, darling, Messico. Ho giusto un amico banchiere da quelle parti che ha una casa fantastica e una 158


piscina...» Mi interruppe. Non sono sicuro, ma mi sembrò che dicesse: «Vaffanculo brutto stronzo!». Midnight si fermò a Città del Messico. Ultima fermata. Evidentemente aveva trovato qualche comune interesse con il mio amico banchiere. Io proseguii per Buenos Aires seguendo il consiglio del banchiere: «Neanche un cretino si rifugia in un posto come l’Argentina ora!» Appunto. Intanto l’inferno proseguiva inesausto. Ora c’è l’Iraq. Prevedibile. Saddam non era forse un agente CIA quando studiava al Cairo? La lista prosegue. Noriega, Saddam I, Milosevic, Osama, Saddam II. Qualcuno sta regolando i conti in famiglia. Qualcun altro sta sistemando i conti degli USA. Lo sapete che un miserabile dollaro investito in warfare, cioè nell’improbabile risposta a un attacco all’America, e, più realisticamente nel complesso militare industriale, ha un ritorno sul moltiplicatore del PIL di 2,5 fottutissimi dollari? No? E allora studiate, ragazzi, studiate.

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“Ma io so, in qualche modo, che soltanto quando è abbastanza buio si riescono a vedere le stelle... Qualcosa sta accadendo nel nostro mondo. Le masse dei popoli si stanno sollevando. E dovunque esse siano radunate oggi, siano esse a Johannesburg in Sud Africa, a Nairobi in Kenia, ad Accra in Ghana, nella città di New York, ad Atlanta in Georgia, a Jacksom, Mississipi o a Memphis, Tenessee il grido è sempre lo stesso: Vogliamo essere liberi!”28

(28) Marthin Luther King, Sono stato sulla Cima della montagna... discorso tenuto a Memphis, Tenessee, il 3 aprile 1968, il giorno prima di essere ucciso.

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ALBUM DI FAMIGLIA Abedi Banchiere, fondatore della BCCI, finanziatore del progetto nucleare pakistano.

Angleton, James Jesus Capo della CIA dal 1948. Silurato da William Colby. Responsabile della fuga dei gerarchi nazisti. Amico e supporter di Pinochet, implicato nell’omicidio Kennedy. Ottimi rapporti con papa Montini. Un uomo molto temuto. È morto l’11 maggio del 1987. Bush, George Il primo capo della CIA nominato Presidente degli Stati Uniti d’America.

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Casey, William Capo della CIA. Uomo di Reagan per cui gestì l’October Surprise. Implicato nello scandalo Iran Contras. Muore di tumore al cervello poco prima di testimoniare sull’Iran Contras.

Colby, William Capo della CIA. In Italia, nell’immediato dopoguerra collaborò alla creazione della Rat Line, la linea di fuga degli ex gerarchi nazisti. Implicato nello scandalo BCCI. Muore in uno strano incidente in canoa.

Dulles, Allen Al centro. Viene dall’OSS, è stato direttore della CIA e sviluppò l’arruolamento di nazisti nell’Agenzia. Azioni in Indonesia, Vietnam, Gatemala, Cuba ecc. Fu silurato da Kennedy dopo il disastro della Baia dei Porci. Si sospetta un suo ruolo nell’omicidio Kennedy.

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Ghelen, gen. Richard Capo dei servizi segreti di Hitler in Russia. Poi capo dell’Organizzazione Ghelen, un gruppo di nazisti che dopo il 1945 agivano contro la Germania Est. Infine, membro dell’OSS e quindi della CIA. Riorganizzò squadre di ex SS all’interno della CIA, collaborò all’espatrio in Sudamerica di molti ex gerarchi nazisti. Deceduto.

Giancana, Sam Capo Mafia, killer, implicato nell’omicidio Kennedy, implicato in tutte le operazioni CIA anticastriste. Fu ucciso nel 1975. Non appena il direttore della Cia, Colby, seppe della morte di Giancana dichiarò: “Noi non abbiamo nulla a che fare con questa storia”. Ma una delle sue figlie ha dichiarato che gli USA avrebbero dovuto dare una medaglia al padre per i servizi resi al governo.

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Helms, Richard Membro degli Skull & Bones all’Università di Yale. OSS e poi direttore della CIA. Sospettato di complicità nell’omicidio Kennedy. Quando lasciò la CIA distrusse l’80% dei documenti riguardanti covert operation. Ambasciatore in Iran, collaborò con la Savak. Si sospetta un suo ruolo nell’October surprise, quando gli ostaggi americani in Iran furono rilasciati il giorno dell’incoronazione di Ronald Reagan. Rapporti documentati con la BCCI e i Lupi Grigi Turchi. La moglie di suo nipote, Roger Helms, di nome Laila, è afgana e curava le relazioni esterne dei Talebani in America, sino all’incontro del 2001, da lei organizzato, tra il consigliere del Mullah Omar e i più alti funzionari della CIA e del Dipartimento di Stato. Hunt, Howard Nel 1961 viene ritenuto tra i complici del presidente del Congo nell’omicidio di Lumumba. Org a n i z z a t o r e del colpo di stato in Guatemala. Capo stazione CIA in Uruguay e Messico. Implicato nell’omicidio Kennedy. Implicato nel Wa t e rgate. Ora vive in Florida. A lui è ispirato “l’uomo che fuma” della serie televisiva X-files.

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Rodiguez, Felix Partecipa alla Baia dei Porci e a varie azioni contro Fidel Castro. Sospettato di complicità nell’omicidio Kennedy. Sta con Shackley in Vietnam e poi partecipa a IranContras. Considerato da alcuni fra gli assassini di Che Guevara. Tornato negli USA nel 1979 decise di dedicarsi al traffico d’armi avviando una società con lo stesso Shackley. Diventa poi consulente della società israeliana ISDS che riforniva di armi parecchi dittatori sudamericani.

Seal, Barry Stava con Shackley in Vietnam e fu uno degli organizzatori di Air America che trasportava eroina negli USA. Implicato nell’Iran Contras dirigeva i voli dall’aereoporto di Mena, Arkansas, scambiando armi contro cocaina. Fu ucciso davanti a un WC dell’ Esercito della Salvezza da killer del cartello di Medelin.

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Shackley, Theodor Detto il Diavolo Biondo. È stato dentro tutte le operazioni coperte dalla CIA: Direttore della sede di Miami, Florida, durante la Baia dei Porci. Animatore dell’Operazione Moongoose che aveva come obiettivo l’uccisione di Fidel Castro. E in Laos dove tratta con Vang Pao l’appoggio dei Hmong alla lotta contro i Vietcong. Traffica in eroina e armi. È l’animatore dell’operazione Phoenix dove oltre 30.000 non combattenti vietnamiti furono rastrellati, torturati e uccisi. Nel 1979 in Iran con Hems. Implicato nell’October Surprise, ha un ruolo centrale nell’affare Iran Contras. Forse sa qualcosa anche di Oklahoma City. Muore il 18 dicembre 2002.

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Sturgis, Frank Combatte con Castro a Cuba, poi diventa anticastrista. Implicato in diversi attentati e tentativi di omidicio contro Fidel Castro. Fa parte probabilmente del gruppo di fuoco che assassina Kennedy. Secondo varie ricostruzioni fu fotografato (insieme ad Hunt) mentre sparava al presidente ma le foto sarebbero poi misteriosamente sparite.

Traficante, Santo Capomafia. Proprietario dell’Hotel National di Cuba prima della rivoluzione. Anticastrista, Baia dei Porci. Incontra Vang Pao e apre il traffico d’eroina dal Laos e dal Vietnam. Parte di questo traffico viene diretto personalmente da Theodore Shackley che utilizza i proventi per finanziare una guerra segreta in Laos che dura dal 1965 al 1979.

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Wackenhut, George Ex agente dell’FBI, probabilmente implicato nell’omicidio Kennedy. Ha creato un’impresa che è quotata a Wall Street e che si occupa di sicurezza, intermediazione nella vendita di armi. Un ramo della Wackenhut (la Wackenhut Corrections Co.) è ora la seconda azienda negli USA per quanto riguarda le prigioni privatizzate. La Wackenhut ha probabilmente venduto forniture per realizzare armi chimiche all’Iran nel 1990. G e o rge Wackenhut è un amico di lunga data di George Bush e ha contribuito alle campagne elettorali di Bush Sr. e di George W. Bush.

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INDICE Prefazione Sbancor, o dello stimolo al ragionamento American Nightmare Incubo Americano Buenos Aires, dicembre 2002 La fine del pensiero unico: dalla crisi del neo-liberismo ai nuovi scenari geo-politici L’affare Iran-Contras Lo scandalo Watergate Il Programma “Phoenix” L'Amerikano Arcipelago Toscano: “Bagno delle Donne”. 11/9/2001 Italia La Storia di Ted (1) Roma. Italia. Pianeta Terra. Il mio Sogno Americano… Teleguerra! E iniziava la guerra Afghana Scenari, geopolitici scenari Della Cultura, dell’Islam, e dell’ignoranza… La cartina di Huntington Buenos Aires Economics.doc Warfare di Parvus Apocalypse Now! In diretta dalla Sala Ovale I danni dell’ignoranza: quando un polacco anglofilo si occupa di Islam! Intervista a Zbigniew Brzezinsky Gli USA e il petrolio Gli occhi di Tovarich (1) Ciudad de l’Este L’Islam che non c’è L’Islam antico I Nazisti dell’Illinois

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Quella guerra sconclusionata La Storia di Ted (2) Il Tramonto dell’Occidente Dentro la rete del Terrore Riepilogando Attacco USA: giallo su morte presunta spia americana La Storia di Ted (3) Antrax Midnight 68 Questioni di soldi Manhattan Danger Gli occhi di Tovarich (2) Roma 10 novembre 2001 Roma 10 novembre 2001 Roma 10 novembre 2001 Uccisa una giornalista italiana ANSA - 24 novembre 2001 Gli occhi di Tovarich (3) Poppy Flowers! Gli Occhi di Tovarich (4) Le notizie corrono veloci America! Los Angeles: ore 9.45 a.m., ora locale This Land is your Land? Diario

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Album di Famiglia

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I valori su cui possiamo metterci d’accordo non sono quelli scritti nei libri, non appartengono a nessuna biblioteca, ma vivono nel cuore di ognuno. Sono i più semplici. Esiste forse una civiltà che odia i bambini? È comune fare i bambinie amarli. E allora mettiamoci d’accordo: tu non ammazzi mio figlio, io non ammazzo il tuo. Se vogliamo scriviamolo pure, ma non ce ne sarebbe neanche bisogno, questi sono valori di tutti. dalla “Conversazione con Tiziano Terzani” L’intero ricavato del libro è devoluto a Emergency


Di prossima pubblicazione l’edizione italiana di:

TUTTO QUELLO CHE SAI È FALSO La guida ai segreti e alle bugie dell’informazione Un’antologia dei migliori scritti di informazione alternativa che negli Stati Uniti è diventata un libro cult e di grande successo. Giornalisti investigativi, ricercatori, commentatori e accademici (tra cui Naomi Klein, William Blum, Howard Zinn, Greg Palast, Howard Bloom, Noreena Hertz) forniscono prove documentate e rivelazioni mai pubblicate prima sulle vicende più scottanti e sui temi più controversi: la globalizzazione, l’11 settembre, le industrie farmaceutiche, la mucca pazza, la strage di Waco, il nucleare, lo Ior, la psichiatria, il razzismo, il segreto bancario e il riciclaggio del denaro sporco, la prostituzione, la pornografia, la guerra alla droga, l’AIDS, le guerre segrete degli Usa in Sud America, i crimini Usa in Vietnam e molto altro. Alla fine di questo libro ti chiederai davvero se qualcosa di quello che ti hanno raccontato sia vero.


"Noi siamo i figli di un mondo devastato che provano a rinascere in un mondo da creare. Imparare a diventare umani è la sola radicalità." Raoul Vaneigen In tempi di monopolio dell´informazione, una voce indipendente, orgogliosa di esserlo. Con l´ambizione di voler proporre alternative. Quelle che noi stessi vorremmo leggere. Per cercare il non detto, oltre i condizionamenti dell´industria dell´informazione, per mantenere la vicinanza a temi e a valori fondamentali, portando in Italia il dibattito culturale internazionale. In un´inedita fusione tra libri e web, tra editoria e rete. Per comunicare, in libertà, con ogni media necessario.

Sul sito nuovimondimedia.it articoli dalle più prestigiose voci dell’informazione mondiale, notizie, riflessioni e aggiornamenti.

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Finito di stampare nel mese di maggio 2003 presso le Grafiche Zanini, Bologna


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