Storie naturali 7 /2013

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storie naturali La rivista delle Aree Protette dell’Emilia-Romagna

n um e ro 7|2013

la gestione Le cinque macroaree

l’itinerario L’Alta Via dei Parchi

il corso

Guardie ecologiche e fauna minore

il personaggio Francesco Grazioli fotografo


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storie naturali

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La rivista delle Aree Protette dell’Emilia-Romagna la gestio

Numero 7, Maggio 2013

Le cinque macroare e

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Direttore responsabile Paolo Tamburini Coordinamento editoriale Regione Emilia-Romagna Assessorato Ambiente e Riqualificazione urbana Servizio Parchi e Risorse forestali Viale della Fiera, 8 40127 Bologna BO tel. 051 5276080 fax 051 5276957 segrprn@regione.emilia-romagna.it http://ambiente.regione.emilia-romagna.it/parchi-natura2000

A cura di Enzo Valbonesi, Monica Palazzini, Stefania Vecchio e Maria Vittoria Biondi

l’itinerario

L’Alta Via dei Parch i

il corso

Guardie eco e fauna mi logiche nore

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Francesco Grazioli fotografo

Consulenza editoriale e redazionale Fondazione Villa Ghigi Via San Mamolo, 105 40136 Bologna BO tel. 051 3399084 / 3399120 fax 051 3392146 info@fondazionevillaghigi.it www.fondazionevillaghigi.it

A cura di Mino Petazzini e Marco Sacchetti Progetto grafico Compositori Comunicazione Impaginazione Emanuela Nosari Redazione M. Giovanna Pezzoli

La rivista e le altre pubblicazioni regionali sono in vendita nelle librerie, nelle strutture dei parchi e delle riserve, presso l’Archivio Cartografico della Regione Emilia-Romagna, in viale Aldo Moro, 28 a Bologna, e on line sul sito ER-GEOPORTALE http://geoportale. regione.emilia-romagna.it/mapshop

Hanno collaborato

Nevio Agostini (Parco Nazionale Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna), Roberta Azzoni (Riserva Naturale Fontanili di Corte Valle Re), Silvia Baglioni (Parco Nazionale Appennino Tosco-Emiliano), David Bianco (Ente di gestione per i parchi e la biodiversità Emilia Orientale), Francesco Besio (Servizio Parchi e Risorse forestali), Laura Canepuccia, Giuliana Castellari, Sandro Ceccoli (Ente di gestione per i parchi e la biodiversità Emilia Orientale), Marzia Conventi (Riserva Naturale Salse di Nirano), Massimiliano Costa (Ente di gestione per i parchi e la biodiversità Romagna), Carla Corazza, Ornella De Curtis, Alessio Farioli, Luciana Garbuglia (Ente di gestione per i parchi e la biodiversità Romagna), Luigi Ghillani, Francesco Grazioli, Michele Isman, Elena Jori, Antonella Lizzani (Servizio Parchi e Risorse forestali), Franco Locatelli (Parco Nazionale Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna), Stefano Lorenzi, Costanza Lucci (Riserva Naturale Rupe di Campotrera), Agostino Maggiali (Ente di gestione per i parchi e la biodiversità Emilia Occidentale), Massimo Medri (Ente di gestione per i parchi e la biodiversità Delta del Po), Gino Matteucci, Gianni Neto, Giovanni Battista Pasini (Ente di gestione per i parchi e la biodiversità Emilia Centrale), Stefano Piastra, Simona Saletti (Ente di gestione per i parchi e la biodiversità Emilia Occidentale), Guido Sardella (Riserva Naturale I Ghirardi), Willer Simonati (Servizio Parchi e Risorse forestali), Giancarlo Tedaldi (Riserva Naturale Bosco di Scardavilla), Roberto Tinarelli, Sergio Tralongo (Ente di gestione per i parchi e la biodiversità Emilia Occidentale), Barbara Verni (Parco Nazionale Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna), Giuseppe Vignali (Parco Nazionale Appennino Tosco-Emiliano), Natascia Zambonini (Parco Nazionale Appennino Tosco-Emiliano), Marika Zattoni. Un particolare ringraziamento ai presidenti, direttori, funzionari e tecnici dei cinque enti di gestione per i parchi e la biodiversità e delle riserve naturali per il contributo in informazioni, suggerimenti e materiale iconografico. Editore Editrice Compositori è un marchio di Compositori Comunicazione Via Stalingrado 97/2 40128 Bologna tel. 051 3540111 fax 051 327877 www.editricecompositori.it Stampa Litographic Group, Modena Autorizzazione del Tribunale di Bologna n. 7429 del 5 maggio 2004

In copertina: escursionisti lungo un sentiero nel Parco Regionale Corno alle Scale (fotografia di Antonio Iannibelli).

editoriale Dal 2004 a oggi la rivista Storie Naturali ha raccontato le principali iniziative promosse e realizzate dai parchi e dalle riserve naturali dell’Emilia-Romagna e, contemporaneamente, è stato uno strumento efficace per illustrare le politiche regionali in questo settore. La pubblicazione, che ha avuto cadenza annuale, con questo numero sarà probabilmente l’ultima volta che uscirà in formato cartaceo. Ma la testata continuerà ad esistere su Internet, in una nuova veste raggiungibile dal sito web Parchi, Aree protette e Natura 2000 (http://ambiente.regione.emilia-romagna.it/parchi-natura2000). Perché questa decisione? La Regione Emilia-Romagna risente oggi, inevitabilmente, della sempre minore disponibilità di risorse economiche che coinvolge tutta la Pubblica Amministrazione. Da qui la necessità di contenere i costi di stampa e diffusione che una rivista porta con sé. Ma l’impegno è comunque quello di non chiudere la testata e di continuare a informare coloro che a diverso titolo si occupano di conservazione della biodiversità e di gestione delle aree naturali protette. La rivista, che dallo scorso anno è stata rinnovata graficamente, ha ricevuto negli anni molteplici apprezzamenti, ha suscitato l’interesse di un numero crescente di lettori appassionati ed è stata divulgata con successo attraverso i centri visita delle aree protette e le diverse fiere e manifestazioni di settore. Certamente questo è avvenuto anche per la qualità e la varietà dei contenuti al suo interno, che hanno spaziato dalla descrizione di importanti personaggi legati ai nostri territori, come Pietro Zangheri, Attilio Bertolucci, Enzo Biagi e Umberto Bagnaresi, ai reportage che hanno consentito di avvicinarsi, approfittando di viaggi e contatti di vari addetti ai lavori, a territori interessanti ed emblematici al di fuori dell’Italia: dal parco nazionale di Monfrague a quello indiano di Modumalai, dal delta del Danubio al lago d’Aral in Uzbekistan. Tra le sezioni della rivista, sempre molto importante si è rivelata quella dedicata alla Natura protetta, per conoscere la biodiversità regionale attraverso censimenti, ricerche e progetti su flora, fauna e habitat. Nel prossimo futuro si garantiranno, quindi, gli stessi contenuti e la stessa qualità dell’informazione, ma trasposti su un mezzo “nuovo”, Internet, per permettere comunque la continuazione di un servizio pubblico, a partire da una scelta quasi “obbligata” e anche un po’ sofferta. Molte pubblicazioni periodiche sono passate sul web, come Piemonte Parchi, e continuano a essere lette e seguite, nella convinzione che il futuro dell’informazione sarà quello della rete. Vi lasciamo quindi alla lettura di questo nuovo numero di Storie Naturali, ormai il settimo, ricco di tanti nuovi argomenti: dallo stato dell’arte della recente legge di riorganizzazione delle aree protette ai presupposti della conservazione della natura attraverso la Rete Natura 2000, dal progetto di sistema sull’Alta Via dei Parchi alle novità sulla fauna minore. Grati dell’interesse e dell’affezione con cui siamo stati finora seguiti, diamo a tutti l’appuntamento al prossimo numero on line, nella speranza che la passione per le aree protette e la conservazione della biodiversità della nostra regione traghetti sul web anche i lettori più affezionati alla carta. storie naturali 1

storie natu rali


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La rivista delle Aree Protette dell’Emilia-Romagna

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p. 50

Un itinerario lungo 500 chilometri per le montagne di Emilia-Romagna, Toscana e Marche di Monica Palazzini e Antonella Lizzani

Sviluppo sostenibile e conservazione della biodiversità

il mondo dei parchi

p. 26

Il giovane fotografo bolognese racconta la sue esperienze in campo naturalistico Mino Petazzini intervista Francesco Grazioli

p. 54

31 Il bisonte europeo e il Parco Nazionale di Bialowieza

natura protetta

delle Foreste Casentinesi di Nevio Agostini 38

L’ospitalità a Tredozio e dintorni

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Il faggione del Tramazzo e il percorso degli alberi monumentali

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Il rifugio Casa Ponte

La guida dell’Alta Via dei Parchi e altro ancora

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Reinhold Messner e l’etica della montagna

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Strutture ricettive lungo l’Alta Via dei Parchi: una scommessa di Stefano Lorenzi

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Il contributo del Club Alpino Italiano

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Andare, andare! Breve antologia di brani sull’Appennino in Emilia-Romagna

cultura e educazione

Il progetto che ha registrato le ultime testimonianze sulla vita di un tempo nei gessi romagnoli di Stefano Piastra e Massimiliano Costa

70 La mappa di comunità del Po di Primaro

36 Un luogo da scoprire: l’Alto Tramazzo Un ritratto della valle più settentrionale del Parco Nazionale

p. 36

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67 Un’arca della memoria per la Vena del Gesso

La straordinaria vicenda e i delicati equilibri gestionali del celebre parco polacco di Marco Sacchetti

50 Il progetto RIVIVRò Per far rinascere le piccole zone umide nella parte interna della Romagna di Massimiliano Costa

54 L’Alta Via dei Parchi

25 Francesco Grazioli e la magia degli animali

Il corso nella voce dei partecipanti

ecoturismo

Perché e come tutelare la biodiversità dall’Europa all’Emilia-Romagna di Enzo Valbonesi e Francesco Besio

conservazione e gestione

47 GEV e tutela della fauna minore Un corso di aggiornamento per la qualificazione delle Guardie Ecologiche Volontarie di Monica Palazzini, Willer Simonati e Stefania Vecchio

19 La Rete Natura 2000

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sommario

il sistema regionale

5 I cinque enti di gestione per i parchi e la biodiversità La nuova organizzazione data alla gestione delle aree protette di Sabrina Freda 6 Emilia Occidentale di Agostino Maggiali 9 Emilia Centrale di Giovanni Battista Pasini 12 Emilia Orientale di Sandro Ceccoli 14 Delta del Po di Massimo Medri 16 Romagna di Luciana Garbuglia

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Un progetto per la crescita sostenibile di una Zona di Protezione Speciale di Carla Corazza e Giuliana Castellari

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Il Po di Primaro

rubriche 74 78

Notizie Libri

42 SOS fratino! Misure urgenti per la conservazione della specie

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La carta d’identità del fratino

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Le attività dei volontari per la protezione del fratino in Emilia-Romagna

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nella nostra regione di Roberto Tinarelli, Alessio Farioli e Marika Zattoni

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il sistema regionale

I cinque enti di gestione per i parchi e la biodiversità La trasformazione dal modello gestionale previgente a quello disegnato dalla nuova L.R. 24/11 è ancora in corso, non ci sono quindi gli elementi per una valutazione compiuta, che dovrà essere comunque ultimata, come previsto dal provvedimento legislativo, a tre anni dall’emanazione della legge. Gli enti di gestione per i parchi e la biodiversità, tuttavia, sono oggi pienamente operativi, con gli organi di governo funzionanti e si apprestano ad approvare il proprio statuto. Uno dei principali temi discussi in fase di messa a punto della legge è stato quello rappresentato dal personale dipendente dai consorzi di gestione, a cui era necessario garantire una ricollocazione adeguata. Tutto il personale dipendente a tempo indeterminato dei consorzi è stato trasferito ai corrispondenti enti di gestione per i parchi e la biodiversità e le posizioni organizzative in atto sono state confermate. L’80% del personale assunto a tempo determinato, inoltre, è tuttora in servizio. di Sabrina Freda La gestione congiunta delle diverse aree protette, secondo il modello creato dalla Assessore all’Ambiente L.R. 24/11, sta già portando alla messa a punto di un’organizzazione trasversale e Riqualificazione Urbana per materie e all’auspicata specializzazione tecnica del personale. Si stanno paridella Regione Emilia-Romagna menti registrando sinergie che sono il frutto della collaborazione tra aree diverse ma con problematiche simili. Si rilevano alcune differenze tra i cinque enti rispetto all’avvenuto trasferimento delle competenze provinciali in materia di aree protette e siti della Rete Natura 2000, che si è compiuto in misura pressoché completa soltanto per la macroarea Romagna. Il tema delle risorse è cruciale per l’avviamento e il consolidamento della realtà dei nuovi enti e dei loro compiti di conservazione della natura e di educazione, sensibilizzazione e promozione, che unitamente alla trasformazione della governance determinata dalla legge richiedono continuità e certezza di risorse finanziarie. La Giunta regionale ha assicurato per il 2012 le stesse risorse erogate nel 2011 e così pure hanno fatto gli enti locali. Anche per il 2013 la Regione si appresta a garantire uno stanziamento analogo, mentre tra gli enti locali si registrano situazioni di criticità che devono necessariamente essere superate. Il prossimo programma regionale per il sistema delle aree protette e dei siti della Rete Natura 2000, le cui linee d’indirizzo discendono dal Piano d’azione ambientale 2014-17, sarà l’occasione per fare il punto sulla nuova gestione e individuare i principi strategici per rispondere alle sfide della legge e, in particolare, per conseguire una gestione integrata delle aree protette e della Rete Natura 2000, realizzare un’efficace azione di tutela e conservazione della biodiversità regionale, Un angolo selvaggio del tratto montano contribuire alla costruzione della rete ecologica regionale. del fiume Santerno.

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fabio ballanti

La nuova organizzazione data alla gestione delle aree protette


il sistema regionale

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I cinque enti di gestione per i parchi e la biodiversità

I cinque enti di gestione per i parchi e la biodiversità

Emilia Occidentale

Sopra, giovani escursionisti nel Parco Regionale Boschi di Carrega.

maria vittoria biondi

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Nella pagina precedente, il Parco Regionale del Trebbia, di cui si vede uno scorcio nei pressi di Rivergaro, è il primo parco istituito interamente in territorio piacentino e il più giovane dei cinque parchi inclusi nella macroarea Emilia Occidentale.

Affronto questo ruolo delicato con la passione per l’attività amministrativa che mi anima e con l’esperienza maturata nei quasi sette anni di presidenza del Parco Regionale Valli del Cedra e del Parma (Cento Laghi). Le complessità gestionali e i delicati riassetti di carattere politico-istituzionale derivanti dalla fusione in un unico nuovo soggetto giuridico dei cinque consorzi preesistenti hanno impegnato i primi mesi di vita della macroarea e del mio mandato. Posso dire, con cognizione di causa e orgoglio, che la macroarea Emilia Occidentale ha “bruciato le tappe” e con velocità, efficienza e rigore ha dato attuazione a quanto previsto dalla legge regionale di riforma. È un risultato che si deve al grande impegno profuso dal funzionario incaricato dell’attivazione del nuovo ente di gestione, Delio Folzani, direttore generale della Comunità Montana Unione dei Comuni Parma Est, al quale il presidente regionale Vasco Errani ha affidato questo compito difficile e fondamentale. Da subito Folzani ha impostato il suo operato ponendo come obiettivo prioritario l’immediata operatività del nuovo ente e la veloce liquidazione dei vecchi consorzi e, nel fare questo, ha saputo valorizzare le professionalità già presenti nei parchi, a partire da quelle degli ex direttori, che hanno saputo coniugare la continuità delle singole esperienze pregresse con il nuovo approccio di sistema di area vasta. Anche dal punto di vista dell’organizzazione istituzionale la macroarea che presiedo ha agito con la massima sollecitudine, chiedendo alla Regione di convocare le Comunità dei Parchi già il 23 e 24 aprile. A neanche 15 giorni dall’insediamento delle cinque comunità dei parchi, si è insediato il comitato esecutivo che ha ritenuto, all’unanimità, di nominarmi presidente. Ho trovato un ente già pienamente operativo, con un bilancio previsionale approvato nel precedente mese di febbraio, un organigramma già impostato

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archivio boschi di carrega

Ho ricevuto la nomina a presidente dell’ente di gestione il 4 maggio 2012, appena quattro mesi dopo l’entrata in vigore della legge di riforma del sistema regionale delle aree protette che, con la soppressione dei preesistenti consorzi di gestione dei parchi, ne ha affidato la gestione a enti in grado di aggregarli in un’unica entità amministrativa e politica di scala interprovinciale. Nel caso dell’Emilia occidentale, che con i suoi 631.982 ettari è la più grande tra le 5 macroaree in cui è stato suddiviso il territorio regionale, sono ben cinque i parchi regionali confluiti nel nuovo ente, insieme a quattro riserve naturali. Nel comdi Agostino Maggiali plesso si tratta di un’area geografica, socio-economica e ambientale di assoluto Presidente dell’Ente rilievo a livello regionale. Il contesto territoriale, assai articolato, va infatti dalla confluenza del fiume Trebbia nel Po, a ridosso della città di Piacenza, fino al crinale dell’Appennino Parmense, passando per la tutela degli importanti ecosistemi fluviali del Taro e dello Stirone e delle aree golenali del Po nella Bassa Reggiana: un’area ricchissima di valori ambientali e paesaggistici, di biodiversità e di produzioni agroalimentari tipiche ormai note in tutto il mondo. In poche parole, è una macroarea che riassume bene la complessa ed eterogenea ricchezza del sistema naturale emiliano-romagnolo, nonché la sua trentennale storia in tema di politiche per la tutela della natura e la cultura delle aree protette. In essa convivono, infatti, il primo parco regionale, i Boschi di Carrega, istituito nel 1982, e l’ultimo nato, nel 2009, quello del Trebbia.


il sistema regionale

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I cinque enti di gestione per i parchi e la biodiversità

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Emilia Centrale

sulla nuova realtà di macroarea, con ruoli e responsabilità apicali suddivise non più per “aree geografiche” ma per “aree funzionali”. Nelle linee guida del mio mandato ho posto attenzione sia al “metodo” che al “merito” delle azioni e del modus operandi dell’ente. Dal punto di vista della governance è mia intenzione sottolineare e accrescere il ruolo delle comunità dei parchi, quali organismi di raccordo territoriale tra la Regione (scala regionale), la macroarea (scala interprovinciale) e i singoli territori interessati dai parchi (scala comunale). Solo attraverso la fattiva collaborazione delle comunità dei parchi sarà possibile assicurare la massima responsabilizzazione e il massimo coinvolgimento dei singoli territori rispetto a progetti e azioni intrapresi a livello dell’intera macroarea. Sarà mia cura attivare al più presto gli istituti che la legge regionale prevede per coinvolgere la società civile e il tessuto economico nelle scelte gestionali dell’ente, come la Consulta dei Parchi e il Comitato per la promozione della Macroarea. Dal punto di vista degli obiettivi strategici e gestionali dell’ente intendo muovermi rafforzando e portando a sistema le grandi eccellenze che caratterizzano oggi la Macroarea, come in passato caratterizzavano i singoli Parchi. Un approccio integrato e sistemico non può che aumentare l’efficacia e le possibilità di successo delle azioni intraprese, siano esse di carattere conservativo e naturalistico (difesa della biodiversità e dei paesaggi, vigilanza ambientale) oppure socio-economico e culturale (educazione alla sostenibilità, valorizzazione dei prodotti agroalimentari tipici e del turismo responsabile). Un momento particolarmente significativo di questa prima fase del mio mandato ha coinciso con la visita dell’assessore regionale all’Ambiente, Sabrina Freda, ai parchi dell’Emilia occidentale. È stata una giornata ricca di confronto e arricchimento reciproco, che ha convinto l’assessore Freda a indicare la Macroarea Emilia Occidentale come “un esempio virtuoso da imitare per la migliore e più omogenea attuazione della riforma regionale dei Parchi”.

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La presenza di antichi castagneti da frutto ed essiccatoi è tipica della Val Bratica, uno dei luoghi più suggestivi del Parco Regionale Valli del Cedra e del Parma e, nella pagina accanto, l’ampio panorama che si può ammirare a fine inverno dal crinale nei pressi del Cimoncino, nel Parco Regionale Alto Appennino Modenese (più noto come Parco del Frignano).

fabio ballanti

luca gilli

Il primo obiettivo per l’anno in corso è di superare la fase di transizione e dare un assetto organizzativo e funzionale unitario al nuovo ente, costruendo un modello organizzativo e gestionale nuovo, in grado di corrispondere agli obiettivi della L.R. 24/11 e di coniugare efficienza ed efficacia, assicurando nel contempo la necessaria funzionalità ai centri operativi dei parchi, che rimangono punti di riferimento imprescindibili per la valorizzazione delle comunità locali e delle loro identità e vocazioni. Si tratta, in sintesi, di costruire quel sistema a rete delle aree protette che costituisce la vera innovazione della L.R. 24/11. di Giovanni Battista Pasini Il nuovo ente dovrà in particolare caratterizzarsi come un soggetto capace di Presidente dell’Ente promuovere e coordinare le azioni di sviluppo ambientale nell’ambito delle tematiche legate alla tutela e valorizzazione dei beni naturali. Non un ruolo di mera gestione, quindi, che sarebbe riduttivo e andrebbe a sovrapporsi ad altri enti territoriali, ma un ruolo, più importante e complesso, di promozione, animazione e coordinamento delle azioni utili a valorizzare, anche dal punto di vista economico, il patrimonio ambientale del territorio. Per fare ciò è indispensabile intraprendere una diffusa azione di coinvolgimento di tutti i soggetti presenti sul territorio, rendendoli protagonisti delle politiche di sviluppo e delle azioni per attuarle. Solo cosi è possibile superare il sillogismo “parco = più vincoli” e convincere l’opinione pubblica a guardare con interesse anche alle opportunità. In questa prospettiva occorre prioritariamente caratterizzare il ruolo dell’ente di gestione come soggetto promotore di iniziative e regista di azioni e progetti di valorizzazione del territorio, evitando di appiattirlo su aspetti gestionali. È una sfida inedita e ambiziosa, che presuppone una serie di scelte e di azioni conseguenti. Ci proponiamo quindi di definire una proposta di statuto innovativa e molto chiara nell’individuare la mission dell’ente e di costruire una strategia di mar-


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keting territoriale, comunicazione, promozione e animazione da discutere in modo aperto e poi condividere con tutti i soggetti del territorio, anche cercando partner finanziari e sponsor. A questo proposito intendiamo acquisire dalla Provincia di Modena la titolarità del progetto Fondo verde, il cui modello può essere esteso anche al territorio reggiano. A queste azioni, si aggiungono, sul piano della comunicazione, la creazione di un nuovo sito web accessibile anche attraverso i più diffusi social network e di un logo per l’ente che sia identificativo e comunicativo, oltre a un ottimale utilizzo delle strutture dei parchi a fini promozionali. Pensiamo inoltre di dare un crescente rilievo alle occasioni offerte dalla green economy, in particolare per quanto riguarda le fonti di energia rinnovabile, che possono rappresentare un’opportunità di autofinanziamento per i parchi e preziose risorse per lo sviluppo del territorio (acqua, eolico, patrimonio forestale, solare), e alla qualificazione e al potenziamento delle proposte di educazione ambientale. Non meno importanti sono il completamento del percorso partecipativo, già approvato, per valutare la formalizzazione della proposta di istituzione del Parco Regionale del Secchia e l’avvio del confronto con le province di Modena e Reggio Emilia per arrivare ad affidare alla macroarea, secondo tempi e modi concordati, tutte le aree protette attualmente di loro competenza (riserve naturali, aree di riequilibrio ecologico, paesaggi protetti, SIC e ZPS). Ci preme inoltre concludere il percorso di approvazione dei piani di gestione e delle misure di conservazione dei siti della rete Natura 2000 compresi all’interno dei due Parchi Regionali e della Riserva Naturale Cassa di Espansione del Fiume Secchia e riprendere il confronto con i comuni della collina reggiana

giorgio barbato

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Il Campanile Basso, una delle guglie arenacee del Parco Regionale Sassi di Roccamalatina e, sotto, veduta del Lago Scaffaiolo, situato a 1775 m di quota sotto la vetta del Monte Cupolino, nel Parco Regionale Alto Appennino Modenese, ormai in prossimità del Bolognese.

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che avevano manifestato l’interesse a costituire un Paesaggio protetto, come pure con i comuni territorialmente coinvolti nel Parco Nazionale Appennino Tosco-Emiliano, che avevano espresso la volontà di individuare un’area contigua al parco stesso. Con la Regione Emilia-Romagna, invece, dovremmo intraprendere una forte azione, in accordo con le province di Modena e Reggio Emilia, affinché venga rivista la perimetrazione della macroarea, includendo le porzioni di territorio modenesi e reggiane (i comuni rivieraschi del Po e altri tre della pianura modenese) inserite nella macroarea di Bologna e in quella di Parma-Piacenza. Per quanto riguarda, infine, il profilo organizzativo dell’ente, rimane da completare l’integrazione operativa delle varie sedi e strutture, nonché quella del personale, con la predisposizione della nuova pianta organica a partire dall’organico esistente. Sullo sfondo, almeno per i prossimi anni, c’è uno scenario di probabile ulteriore restrizione delle risorse finanziarie pubbliche, che rende indispensabile ricercare la massima condivisione e integrazione con comuni, unioni dei comuni e province, chiedendo loro, da un lato, lo sforzo di confermare gli attuali impegni finanziari e, nello stesso tempo, sviluppando nuove iniziative e nuovi investimenti in grado di accrescere le capacità di autofinanziamento e di intercettare partner finanziatori, in particolare rilanciando le iniziative del Fondo Verde.

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archivio sassi di roccamalatina

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Emilia Orientale

milko marchetti

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Sopra, la zona nei pressi del Rifugio Le Malghe, nel Parco Regionale Corno alle Scale, con gli impianti sciistici prossimi all’area protetta e, nella pagina precedente, uno dei salti delle ben note cascate del Dardagna, nel Parco Regionale Corno alle Scale.

biente naturale, del paesaggio agrario e del patrimonio storico, architettonico e culturale; educazione alla sostenibilità; attività ricreative e turistiche idonee. Ma come sostenere economicamente tutto questo? Senza addentrarsi in analisi politiche, economiche e sociali, è chiaro a tutti che il nostro Paese porterà per anni il peso di una crisi senza precedenti. Le realtà che maggiormente subiranno tagli e limitazioni saranno naturalmente quelle che la maggioranza del quadro politico e istituzionale ritiene superflue; alcune, con qualche giustificazione, altre, come le aree protette e i servizi che sono in grado di offrire, proprio no! È in questo contesto che il peso delle aree protette rispetto ai loro territori deve essere riconsiderato, che il loro ruolo e le loro attività devono trovare nuovo slancio. Il Comitato Esecutivo eletto dalle Comunità dei parchi ha il compito di dare queste risposte, risposte non solo economiche ma di qualità, risposte che non possono riguardare solo gli organi amministrativi delle aree protette ma devono saper coinvolgere i rispettivi territori. L’aspetto dell’appartenenza rimane centrale rispetto a ogni altra azione. Abitanti, residenti, enti locali, produttori agricoli e altri operatori economici, associazioni, visitatori debbono creare l’humus per far radicare e far crescere la consapevolezza dell’importanza di una politica per l’ambiente che sia in grado di salvaguardarlo per il nostro futuro e per quello dei nostri figli. I nostri soci di maggioranza, ovvero i cittadini, debbono aiutarci a far crescere questa mentalità anche negli organi elettivi, pretendere che ai primi posti delle gerarchie istituzionali vi sia la salvaguardia dell’ambiente, e della salute, e sapere che senza le risorse e gli impegni diretti non riusciremo a creare le condizioni per cambiare mentalità e modo di vivere. L’impegno degli organismi dirigenti e degli operatori dell’ente sarà altissimo, perché siamo ben consapevoli che “alla natura si comanda solo ubbidendole”.

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giorgio barbato

Tanti ancora si chiedono cosa sono i parchi naturali e a che cosa servono. Per alcuni sono semplicemente luoghi dove passeggiare, giocare o fare un pic-nic. In realtà, come sappiamo, i parchi svolgono funzioni assai più complesse e necessarie al miglioramento della qualità della vita di chi ci abita e dei cittadini che li frequentano. I territori nei quali sono collocati ricevono benefici essenziali, eppure permane una considerazione superficiale di questi luoghi; non è raro sentir dire: “bisogna tenerli, d’accordo, ma costano più di quel che danno”, quasi come se l’esistenza dei parchi fosse un obbligo a cui ottempedi Sandro Ceccoli rare e non un fattore di benessere e miglioramento delle nostre esistenze. La Presidente dell’Ente riorganizzazione regionale delle aree protette cerca di dare una risposta anche a queste resistenze e perplessità. Non si tratta soltanto di ridurre i costi, ma anche di ottimizzare i ruoli e le funzioni e, in definitiva, di creare un organismo che permetta una diversa visibilità e una diversa considerazione delle aree protette da parte dei cittadini. La sintesi delle attività svolte nei vari parchi, incrociata con le esigenze e le strategie future dell’Ente di gestione per i parchi e la biodiversità Emilia Orientale, porta a individuare una serie di possibili filoni di promozione territoriale, che hanno a che fare soprattutto con il ruolo di sistema che il parco, con il patrimonio naturale che custodisce, deve svolgere per l’uomo ma anche per tutti gli altri esseri viventi di un territorio. Dell’ente fanno parte i parchi regionali Gessi Bolognesi e Calanchi dell’Abbadessa, Corno alle Scale, Monte Sole, Laghi Suviana e Brasimone e Abbazia di Monteveglio. Nel complesso tutelano un mosaico di ecosistemi importantissimo per il Bolognese, che hanno il compito di far comprendere e valorizzare al meglio. Ma quello che importa è cosa fare, come fare e soprattutto chi fa. Gli obiettivi generali sono quelli dello statuto: tutela, riqualificazione e valorizzazione dell’am-


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Delta del Po

territorio inteso come area vasta nello spirito della legge regionale. Alla luce delle difficoltà finanziarie che coinvolgono tutte le realtà, in particolare, è necessario rivedere le “pratiche” di finanziamento e autofinanziamento che riguardano i nuovi enti, a partire dalle politiche regionali. E questo è un problema che davvero non può essere rinviato, poiché dalla sua soluzione dipende la concreta operatività e l’esistenza stessa dei nuovi enti.

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A fianco, una coppia di aironi cenerini impegnata nella costruzione del nido e, nella pagina precedente, un tipico paesaggio deltizio all’alba.

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Sopra, la suggestiva foresta allagata di Punte Alberete, a una decina di chilometri da Ravenna.

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fabio liverani

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Il primo anno di vita del nuovo ente è stato caratterizzato da un’intensa e complessa attività amministrativa dovuta ai molteplici adempimenti per lo scioglimento dell’ex consorzio di gestione del Parco Regionale Delta del Po. Contemporaneamente è stata avviata la fase costituente, segnata da diverse difficoltà di ordine politico, dovute principalmente ai rapporti tra gli enti soci. A oggi sono funzionanti gli organi fondamentali di governo (comunità di parco e comitato esecutivo), ma non essendo ancora stato approvato lo statuto mancano gli organismi di partecipazione previsti dalla legge regionale. di Massimo Medri La stessa struttura tecnica non è ancora assestata, non essendo stato possibile Presidente dell’Ente procedere alla nomina del direttore. Lo slittamento delle decisioni inerenti lo statuto è stato in parte causato dal riordino istituzionale generale che ha coinvolto gli enti locali. L’indeterminatezza del ruolo delle province, e in parte dei comuni, e i tagli alla finanza locale hanno provocato uno stallo molto pericoloso. Nonostante il percorso accidentato, abbiamo cercato di non trascurare i progetti in corso, portando a termine gran parte dei programmi già avviati e gettando le basi per nuove ipotesi progettuali. Il futuro è, come ovvio, fortemente condizionato dalle scelte che matureranno sia tra gli enti soci sia in seno alla Regione sul ruolo che dovranno giocare questi nuovi enti. La volontà espressa dai comuni e dalle province del Delta del Po è chiaramente quella di coniugare le azioni di tutela e di conservazione della biodiversità con politiche di valorizzazione e sviluppo territoriale. Il comitato esecutivo si è insediato con un programma che prevede il completamento di tutti gli strumenti di pianificazione e la messa a sistema delle varie opportunità di fruizione del


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I cinque enti di gestione per i parchi e la biodiversità

I cinque enti di gestione per i parchi e la biodiversità

massimiliano costa

Ho assunto la presidenza nel gennaio 2013, raccogliendo così la sfida di riuscire ad accompagnare la crescita di questo nuovo ente, tutto da costruire. La Romagna è una delle macroaree più eterogenee tra le cinque in cui è stato suddiviso il territorio regionale: con un unico parco regionale, tra l’altro di recente istituzione, tre riserve naturali e numerosi siti della Rete Natura 2000. Quindi, mai come in questo caso, l’esigenza di fare sistema sottesa alla riforma di Luciana Garbuglia operata dalla L.R. 24/11, deve necessariamente passare attraverso la gestione Presidente dell’Ente integrata di tutti i diversi istituti di tutela. È per questo motivo che il funzionario incaricato si è impegnato da subito a compiere la ricognizione necessaria all’assunzione della gestione delle aree protette di competenza provinciale. Rispetto agli altri enti di gestione delle macroaree, ai quali competono attualmente, in questa prima fase, soltanto i parchi regionali, l’ente che presiedo ha assunto per primo nel panorama regionale anche la gestione delle riserve naturali, del paesaggio naturale e seminaturale protetto e delle aree di riequilibrio ecologico istituiti in provincia di Rimini e gestirà inoltre anche i siti della Rete Natura 2000, non appena saranno approvate le misure di conservazione e i piani di gestione. Da questo assetto deriva una governance molto complessa, alla quale sono chiamate a collaborare quattro province, con pesi diversi in quanto interessate da aree protette molto differenti. Il Comitato esecutivo ha inoltre già promosso, nei limiti posti dalla L.R. 24/11, un’azione di coinvolgimento dei comuni che nei loro territori ospitano riserve naturali e altre aree protette. Rimane comunque la piena responsabilità delle quattro province nella partecipazione al governo dell’ente, nonostante il destino piuttosto incerto delle province e le difficoltà in cui si trovano a operare. Il Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola rappresenta il cuore e l’eccellenza della macroarea ed è indispensabile procedere al rafforzamento del suo ruolo, anche attraverso il tempestivo avvio dell’iter di approvazione del piano territoriale, che è possibile anche in virtù dei vari lavori propedeutici già compiuti. Il parco deve mantenere un forte radicamento locale e per questo va salvaguardato il ruolo e l’autonomia della Comunità del Parco nell’ambito della governance dell’ente. Un altro aspetto importante da affrontare riguarda il personale dell’ente, oggi ancora molto carente. Basti considerare che il parco

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Due immagini del Parco Regionale Vena del Gesso Romagnola: sopra, il Monte Mauro ravvivato dai colori autunnali del fogliame e, nella pagina precedente, panorama, dalla cima del medesimo monte, degli ambienti calanchivi e dei campi coltivati che circondano gli spettacolari affioramenti gessosi dell’area protetta.

regionale non aveva personale proprio, ma si avvaleva della collaborazione di quello dell’Unione dei Comuni della Romagna Faentina. L’ente ha confermato la convenzione con l’unione dei comuni e può ora contare anche sul personale in comando dalle province: da Ravenna il dr. Massimiliano Costa, nominato direttore, e la dr.ssa Cristina Tampieri per le attività di educazione e comunicazione; da Forlì-Cesena il dr. Fiorenzo Rossetti, responsabile delle attività di educazione ambientale. A loro si aggiunge il personale già operativo nella gestione delle riserve naturali. L’elevata professionalità dei collaboratori mi fan ben sperare di poter affrontare le difficili sfide di questa fase di avvio della gestione, ma credo che, con l’assunzione effettiva delle competenze sulla Rete Natura 2000, si dovrà raggiungere una maggiore strutturazione. Non voglio tacere l’importanza delle risorse finanziarie che, essendo il parco ancora molto giovane, non hanno avuto il tempo di crescere e consolidarsi, al pari di altri parchi regionali. La legge regionale prevede un comitato, che attiveremo al più presto, affinché si possa impegnare nel reperire fondi anche attraverso canali di finanziamento privati, oltre che mediante progetti europei. Con le prime iniziative del mio mandato intendo mettere al centro la valorizzazione delle potenzialità turistiche del territorio, soprattutto attraverso l’integrazione dell’offerta turistica con progetti di sistema veramente fondati sull’uso consapevole e sostenibile delle risorse naturali. La Romagna ha una grande tradizione di studi naturalistici, basti pensare alla straordinaria opera di Pietro Zangheri, e una cultura diffusa favorevole alla conservazione dei beni naturali. Quello che manca credo sia un lavoro di integrazione tra l’azione di conservazione della natura, la valorizzazione del patrimonio naturale e la promozione delle attività economiche. Anche questo è un compito che spetta all’ente.

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Romagna


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La Rete Natura 2000

di Enzo Valbonesi e Francesco Besio

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Regione Emilia-Romagna Assessorato Ambiente e Riqualificazione urbana Servizio Parchi e Risorse forestali

Il tema della conservazione della biodiversità è sicuramente appassionante e intercetta sentimenti e principi etici che sono tipici del genere umano, ma tocca anche aspetti molto concreti della nostra esistenza come l’economia, i modelli di sviluppo della società, i conflitti sociali e, di conseguenza, la politica. All’inizio del suo grande viaggio sulla Terra l’uomo ha cercato di soddisfare il principio basilare della sopravvivenza per sé e per i suoi simili, consolidando nel tempo la sua supremazia sulle altre forme viventi, dopodiché ha provveduto a ricercare il proprio benessere, spesso anche a scapito di popoli lontani e tecnologicamente meno avanzati. Attualmente, come molti ormai percepiscono, stiamo attraversando un periodo storico molto delicato e particolare nella storia dell’umanità: da un lato, infatti, si sono raggiunti risultati tecnologici e scientifici di elevatissimo livello, dall’altro miliardi di persone vivono ancora in condizioni di estremo disagio sociale, per non parlare di chi non ha di che vivere. Nel contempo, il processo di globalizzazione tende sempre più a standardizzare i comportamenti dei vari popoli, che cercano di raggiungere livelli di benessere sempre più elevati e inevitabilmente necessitano di quantità sempre maggiori di energia, materie prime, risorse naturali e servizi. Nell’eterno conflitto tra uomo e natura, che è ancora ben lontano dal trovare una soluzione, siamo insomma passati da una civiltà preistorica dove ci si doveva prioritariamente difendere dalla natura a una società

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Perché e come tutelare la biodiversità dall’Europa all’Emilia-Romagna


Dall’alto in basso: il pelobate fosco è una rara presenza delle zone umide di pianura; preziosi rappresentanti della fauna minore, come chirotteri e anfibi, possono coabitare negli ambienti ipogei; una ricca fioritura di aquilegia alpina.

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Nella pagina precedente: un bello scorcio dell’ambiente lagunare delle Vene di Bellocchio, sito di importanza comunitaria e zona di protezione speciale in provincia di Ravenna.

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moderna che deve difendere la natura per non perdere la capacità di mantenersi anche in futuro a livelli di qualità e benessere accettabili. Secondo il principio, ormai acquisito nel mondo occidentale e negli organismi internazionali, che la conservazione della natura deve essere uno dei principali obiettivi della società contemporanea, la politica di tutela della biodiversità dell’Unione Europea, nel lontano 1979 e in seguito nel 1992, si è concretizzata con l’approvazione di due Direttive (Uccelli e Habitat) che hanno avuto l’obiettivo di individuare aree di elevata naturalità, denominate SIC (Siti di Importanza Comunitaria) e ZPS (Zone di Protezione Speciale), che potessero consentire di costituire i principali nodi della rete ecologica europea. I legislatori europei, in sostanza, hanno ritenuto opportuno concentrare i maggiori sforzi di tutela della natura in quelle aree che presentano ancora un’elevata qualità in termini di naturalità, al fine di salvaguardare le specie animali e vegetali ancora presenti, a partire da quelle più rare o in declino. Anche in Italia, negli anni ’90, è stato intrapreso questo percorso di individuazione delle aree di elevato pregio ambientale e, ad oggi, oltre 6,5 milioni di ettari, pari al 21% della superficie del nostro Paese, ricade all’interno della Rete Natura 2000, con oltre 2.500 siti (SIC e ZPS). A vent’anni dall’emanazione della direttiva Habitat si può insomma sostenere che molto è stato fatto, ma il cammino che rimane da compiere è ancora lungo e l’obiettivo prefissato dall’Europa di salvaguardare le specie animali e vegetali e gli habitat maggiormente a rischio di estinzione è, purtroppo, ancora molto lontano dall’essere stato raggiunto. Nell’attuazione della politica di conservazione della natura in Italia, infatti, si può parlare sia di luci che di ombre. I principali aspetti positivi si possono sinteticamente riassumere così: • individuazione di una vasta rete di aree da sottoporre a tutela (21% del territorio nazionale); • individuazione di numerose specie e habitat da tutelare; • attuazione di attività di ricerca e monitoraggio dello stato di conservazione di specie e habitat; • attuazione di attività di informazione e di educazione ambientale sui temi della conservazione della biodiversità; • attuazione di progetti pilota di conservazione della biodiversità (LIFE); • approvazione di normative, seppure parziali, per la regolamentazione delle attività antropiche più impattanti. D’altro canto, però, si devono tuttora registrare forti criticità e limiti nell’efficacia delle politiche di tutela, perché, di fatto, si è aggirato il nodo principale, non essendo ancora stata avviata a nessun livello istituzionale una seria politica di riconoscimento economico per chi svolge un’attività produttiva nel rispetto della tutela della biodiversità e in questo modo crea condizioni ambientali favorevoli alla conservazione delle specie animali e vegetali di interesse conservazionistico. Ciò ha determinato, in molte realtà, una forte resistenza delle popolazioni locali a condividere le politiche di conservazione della biodiversità, nelle quali hanno ravvisato solo le eventuali penalizzazioni economiche derivanti dalle necessarie regolamentazioni, senza comprendere i possibili vantaggi, le opportunità da cogliere, le azioni che potrebbero essere promosse a favore di chi risiede o lavora in tali aree. Questa situazione conflittuale ha nei fatti determinato una condizione di stallo: da un lato non si promuovono azioni concrete per la conservazione della biodiversità e, dall’altro, non si ha la forza di regolamentare in modo efficace le attività umane più impattanti, per cui si può affermare che molti siti della Rete Natura 2000 in Italia sono stati individuati sulla carta 10-15 anni fa, ma che in diverse aree non si è ancora potuto registrare un vero e proprio cambiamento gestionale finalizzato alla conservazione della biodiversità. Il bilancio di questi 20 anni, per farla breve, non è fallimentare, ma non è certo esaltante!

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fabio liverani

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Gli alberi si specchiano nelle acque immote della celebre foresta allagata di Punte Alberete, una zona umida di riconosciuta importanza internazionale.

Anche la Regione Emilia-Romagna ha contribuito alla costituzione della rete ecologica europea con i suoi 158 siti (139 SIC e 87 ZPS) che si estendono su una superficie complessiva di circa 270.000 ettari, pari al 12% dell’intero territorio emiliano-romagnolo, la metà dei quali ricade all’interno di aree naturali protette (parchi e riserve naturali). I siti, in buona parte rivestiti da boschi (43%), ma che interessano anche aree agricole (26%), zone umide (19%) e praterie (8%), sono distribuiti in modo omogeneo su tutto il territorio regionale. L’Emilia-Romagna, per la sua varietà di ambienti, del clima, delle condizioni edafiche e della sua collocazione geografica intermedia tra continente europeo e area mediterranea, offre condizioni di vita preziosissime per numerose specie animali e vegetali, alcune delle quali vivono esclusivamente nel nostro territorio regionale. Dalle indagini condotte negli anni passati sono emersi, a questo proposito, dati molto interessanti: • gli habitat di interesse comunitario in regione sono oltre 70, di cui 21 di interesse prioritario, tra i quali vanno senz’altro ricordate le ampie zone umide del delta del Po, di riconosciuta importanza internazionale, le praterie d’alta quota e le meravigliose foreste appenniniche; • la flora regionale annovera oltre 2700 specie diverse di piante, di cui una trentina di interesse comunitario; • la fauna regionale è altrettanto varia e preziosa e sono circa 200 le specie di interesse comunitario presenti nel nostro territorio, tra le quali il lupo, i chirotteri, la testuggine di mare, lo storione, per non parlare della ricchissima presenza di uccelli. Questo variegato e prezioso caleidoscopio di natura rischia, però, ogni giorno di essere eroso dalle diverse attività antropiche che tendono a ridurne lo spazio in termini assoluti e a frammentarlo, intaccandone l’efficacia e ostacolando le relazioni tra le diverse specie. Di fatto, i siti della Rete Natura 2000 costituiscono forse l’ultimo baluardo al processo di riduzione della naturalità in regione, ma la partita sul loro futuro è ancora tutta da giocare. Ma in termini più concreti che cosa è stato fatto a livello gestionale negli anni scorsi e cosa occorre fare nei prossimi?

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monica palazzini

claudio pia

francesco grazioli

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La Rete Natura 2000

La Rete Natura 2000

Nel 2008 sono state approvate dalla Regione le Misure Generali di Conservazione delle ZPS, un primo importante passo verso una più efficace conservazione della biodiversità e, a breve, anche per i SIC verrà approvata per la prima volta un’analoga regolamentazione finalizzata alla loro tutela. Nel contempo gli enti gestori dei siti (province e parchi) si sono adoperati, grazie ai finanziamenti del Piano Regionale di Sviluppo Rurale (Misura 323), per definire le Misure Specifiche di Conservazione per ogni sito, in modo da individuare le idonee forme di gestione sulla base del quadro conoscitivo e delle principali minacce riscontrate. Il percorso di analisi e individuazione degli indirizzi gestionali specifici di ogni sito, oltre agli enti gestori degli stessi e alla Regione, ha visto coinvolti anche gli altri enti pubblici e i principali portatori di interesse, in modo da favorire un’ampia condivisione delle scelte gestionali da attuare e ottenere così una maggiore tutela di questi preziosi scrigni di natura ancora ricca di organismi viventi, alcuni molto rari non solo per la nostra regione, ma per l’intera Europa. Secondo questo percorso, entro il prossimo autunno per tutti i siti della Rete Natura 2000 verranno approvati i modelli gestionali, da attuare attraverso divieti e vincoli, ma anche mediante l’indicazione delle attività che devono essere promosse in futuro per accrescerne l’attuale livello di biodiversità. È questo il grande nodo ancora da sciogliere: come e dove reperire le risorse economiche per rendere concrete e reali le indicazioni presenti nei documenti? Vale a dire, come passare dalle parole ai fatti? Se si è ormai convenuto tutti sulla necessità di adoperarsi per ottenere un maggior rispetto degli equilibri naturali che regolano la vita sulla Terra, è sulle modalità di attuazione di questo principio fondamentale che ci si deve confrontare e misurare in modo più stringente. Dal momento che gran parte delle aree naturali in questione ricadono in proprietà private e siccome la conservazione della biodiversità comporta oneri economici per chi la esercita, viene da sé che tale sforzo non possa essere sopportato dai singoli proprietari, per cui è necessario affiancare

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di risolvere tutti i problemi che attualmente sembrano insormontabili (carenza di risorse energetiche, materie prime e spazio oppure inquinamento di aria, acqua e suolo); • la difficoltà a rinunciare a abitudini consolidate nel tempo, soprattutto nelle società occidentali storicamente più avanzate, che sono caratterizzate da un’impronta ecologica molto pesante. In sintesi, tutti ritengono sia giusto tutelare la biodiversità, purché ciò non comporti sacrifici economici, in termini di mancato reddito o costi aggiuntivi, oppure disagi nella vita quotidiana o, ancora, ostacoli allo svolgimento delle proprie attività legate al tempo libero. La realtà dei fatti è che ci si indigna se l’inquinamento urbano è insostenibile, la discarica dei rifiuti viene realizzata nelle vicinanze della propria abitazione, se la cementificazione delle coste ha deturpato angoli di spiaggia un tempo incontaminati, se i cibi di cui ci si nutre contengono sostanze pericolose per la propria salute, se gli ambienti naturali che si visitano sono poveri di animali e piante, se il paesaggio viene alterato da manufatti di varia natura e così via, ma, pur sapendo che della natura non si può fare a meno, non si è disposti a rinunciare a nulla per conservarla. Salvo pretendere che lo facciano gli altri. In altre parole, siamo esigenti con gli altri e permissivi con noi stessi!

Sopra, il gufo di palude può essere avvistato mentre sosta durante i periodi migratori nell’area del Parco Regionale Delta del Po; a fianco, una coppia di spatole nelle Valli di Comacchio.

Le praterie umide d’alta quota custodiscono numerose specie della flora protetta.

alla politica dei vincoli e dei divieti, diretti a una opportuna regolamentazione delle attività più impattanti, una seria politica di riconoscimento del ruolo che i gestori del territorio (agricoltori, allevatori, selvicoltori, ecc.) svolgono quotidianamente, a condizione che rispettino rigorosi disciplinari per la tutela degli ambienti naturali. In definitiva, nel momento in cui essi adottano pratiche colturali e gestionali più rispettose dell’ambiente, utili a prevenire il degrado degli habitat, nonché la perturbazione delle specie tutelate, è doveroso, oltre che etico, che la collettività che beneficia direttamente o indirettamente di questa gestione sostenibile, riconosca economicamente tale sforzo. Diverse sono le strade che si possono intraprendere, ma se si ritiene giusto e opportuno riconoscere il mancato reddito e/o i costi aggiuntivi derivanti dall’applicazione delle norme, sia per svolgere attività a favore della biodiversità, sia per non svolgere quelle potenzialmente dannose, è necessario che gli enti competenti si attivino per reperire risorse economiche che consentano di erogare indennizzi, incentivi e sgravi fiscali. Solo se si sarà in grado di riconoscere in modo tangibile i “servizi ecosistemici” compiuti dagli operatori privati che svolgono la loro attività all’interno dei siti della Rete Natura 2000, attraverso l’erogazione di specifici contributi pubblici o la riduzione dei tributi di varia natura periodicamente versati, si potranno determinare le condizioni di consenso sociale che consentiranno di attuare concretamente i principi dello sviluppo sostenibile, almeno in queste aree di pregio che devono trasformarsi in veri e propri “laboratori dello sviluppo sostenibile”, dove sperimentare politiche economiche diverse e più moderne.

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Particolare dell’infiorescenza di Himantoglossum adriaticum, una appariscente orchidea caratterizzata dal lungo labello nastriforme.

non è affatto migliorata e, in realtà, ancora oggi si assiste a un costante depauperamento delle risorse naturali e a una rarefazione delle specie animali e vegetali che popolano la Terra, compresi gli habitat dove esse vivono, salvo rare eccezioni costituite soprattutto dalle specie più adattabili e meno esigenti, che riescono a convivere con l’uomo negli ambienti naturali residuali ancora presenti o addirittura negli spazi urbani. Le principali cause che contrastano l’evoluzione dei comportamenti umani verso un vero sviluppo sostenibile sono ben note e possono essere così sinteticamente riassunte: • le ferree regole dell’economia, che spingono a trarre il maggior profitto dalle attività produttive, mentre è risaputo che, molto spesso, la tutela degli ambienti naturali comporta un onere aggiuntivo o un mancato reddito per chi svolge una qualsiasi attività lavorativa; • le forti disuguaglianze socio-economiche ancora esistenti tra i popoli, che determinano modelli di sviluppo a elevato impatto ambientale (i paesi in via di sviluppo hanno, comprensibilmente, come obiettivo prioritario il miglioramento della loro condizioni di vita, costi quel che costi in termini di degrado dell’ambiente circostante); • la fiducia nella capacità dell’uomo di sviluppare sempre nuove tecnologie in grado

fabio ballanti

fabio ballanti

L’uomo trae dal pianeta Terra l’energia e i materiali che utilizza quotidianamente: la sua impronta ecologica, cioè gli effetti che i suoi comportamenti provocano sull’ambiente (urbanizzazione, produzioni industriali, trasporti, attività estrattive, produzione energetica, agricoltura intensiva, attività venatoria, ecc.), è sempre più pesante e provoca inquinamento, estinzione di specie, distruzione di habitat. Da più parti ci si chiede se e per quanto tempo una tale pressione sarà ancora sostenibile. Da questa forte preoccupazione si è sviluppato un filone culturale e scientifico che ha elaborato il concetto di “sviluppo sostenibile”, con l’obiettivo di ricercare il giusto compromesso tra uno sviluppo illimitato e quello sopportabile dalla Terra, in modo da poter conciliare le legittime aspettative di ogni essere umano a una vita sana e felice e la necessità di mantenere la Terra per le generazioni future, garantendo anche la sopravvivenza degli organismi viventi che ne regolano i delicati e complessi equilibri ecosistemici; in altre parole, la conservazione della biodiversità. Nonostante sia ormai maturata, nei popoli e nei governi, una certa sensibilizzazione sul tema della salvaguardia della natura nella sua accezione più ampia, che è stata più volte formalizzata in convenzioni e protocolli internazionali (Washington, Berna, Rio de Janeiro, Kyoto, ecc.), la situazione in molti casi

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Sviluppo sostenibile e conservazione della biodiversità


il mondo dei parchi

Il giovane fotografo bolognese racconta le sue esperienze in campo naturalistico Mino Petazzini intervista

francesco grazioli

william vivarelli

Francesco Grazioli

Ci siamo conosciuti qualche anno fa, complice William Vivarelli. Eri molto giovane, molto appassionato e già molto bravo. In pochi anni hai fatto grandi passi avanti. Ci racconti di te? È una presentazione lusinghiera. Diciamo che ho subito creduto in quello che stavo facendo, senza mai perdere di vista il sogno, covato fin da piccolo, di diventare un documentarista. La strada è lunga, ma la determinazione non manca e i riscontri che ricevo mi incoraggiano a perseverare. La mia è la storia di un normalissimo ragazzo nato nel 1981 a Bologna, la città in cui sono cresciuto e tuttora vivo, con una viscerale curiosità ben impressa nel DNA. Fin da quando ero bambino ho avuto la fortuna di frequentare regolarmente l’ambiente alpino e la splendida campagna romagnola, dove ho anche vissuto per un periodo all’inizio della mia “carriera lavorativa”, entrando in contatto con mondi piuttosto diversi dalla routine urbana di molti miei coetanei, che hanno fatto di me, a più riprese, un esploratore entusiasta di campi, boschi e fossi. Crescendo la mia grande passione per il mondo naturale si è definitivamente formata grazie alle prime fortuite frequentazioni con naturalisti di lungo corso (veri e propri “personaggi”). Persone in grado di distinguere gli uccelli dal canto, riconoscere piante e fiori, tracce degli animali, nidi e tane. Custodi di meravigliosi segreti agli occhi di un ragazzino che certe cose le aveva viste solo nei documentari televisivi o su qualche rivista. Quando hai cominciato a fare fotografie? I primi ricordi fotografici risalgono a un viaggio in Danimarca con la famiglia, quando ebbi il “privilegio” di scattare qualche immagine con la reflex di mio padre. I primi tre rullini, di cui custodisco ancora i negativi, li feci però durante la gita di terza media, con la reflex semiautomatica di mio fratello (una Minolta che poi passò a me al compimento dei 18 anni). Allora era molto più facile disegnare: a 16 anni ho cominciato a pubblicare alcune mie cose con regolarità su una rivista di 3ntini Editore e, in un paio di occasioni, anche su quella dei Carabinieri. Il 10 febbraio del 1999, la svolta! Con la Minolta finalmente mia, mi trovai proiettato nella mia seconda passione: la fotografia. Da tempo frequentavo in motorino o bicicletta la Val di Zena e le prime colline bolognesi in cerca di serpenti, rane e insetti. La voglia di documentare quelle curiose creature diventò il mio primo e irrefrenabile passatempo, che mi portò a marinare in più occasioni la scuola. I primi problemi al corpo macchina mi obbligarono a usare la Nikon FM di mio padre che, per disperazione, il Natale successivo, mi fece trovare sotto l’albero la mia Nikon FM2n nuova di trinca. Ricordo ancora l’emozione nel togliere la linguetta di plastica tra otturatore e pressapellicola... Nel 2000 ho cominciato a frequentare il mondo della fotografia professionale, come assistente di due fotografi: uno di sport e l’altro di moda. Sono state esperien-

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Francesco Grazioli e la magia degli animali


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Nella pagina precedente, un vespertilio maggiore (Myotis myotis) e un miniottero (Miniopterus schreibersii) in volo in una delle cavità dei gessi e, nel riquadro piccolo, Francesco Grazioli e la sua imponente strumentazione.

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ze formative fondamentali, anche se dure dal punto di vista umano, che hanno dato solide basi alla mia tecnica fotografica. Dopo un anno mi sono dedicato ad altro, continuando però a coltivare la mia passione per la fotografia naturalistica, in particolare macro (per questo il mio sito, on line dal 2002, si chiama Microvita). E le macchine digitali? Quali hai usato nel tempo e quali usi ora? La mia prima macchina fotografica digitale è stata, nel 2002, una Coolpix 4500 della Nikon, una “compatta” che ha segnato la storia del “digitale”. Allora avevo un corredo professionale analogico, arrivato a essere interamente Nikon dopo un lungo travaglio. In quel periodo mi ero trasferito dai nonni materni, nella campagna di Brisighella, perché avevo trovato lavoro come acquarista vicino a Ravenna e, dopo aver incassato qualche stipendio, acquistai la Coolpix 4500 a rate. Assolutamente fantastica! Uniche note dolenti la durata delle batterie e il costo proibitivo delle schede di memoria. Ma potevo caricare sul web le mie foto di insetti la sera stessa! Il passaggio completo al digitale è avvenuto qualche anno dopo. Ho venduto il corredo Nikon faticosamente messo insieme in favore di una 1DMarkIIn (allora la reflex top di gamma della casa giapponese) e un 500 mm f4 IS USM con duplicatore 1,4X. Oggi baso la mia professione su un vasto parco ottiche, da 8 a 500 mm, tra cui obiettivi speciali come macro e decentrabili, e poi fisheye, grandangoli, mediotele e via dicendo; oltre a utilizzare parecchi flash, accessori di ogni genere (anche autocostruiti) e corpi macchina dal full frame all’APS-C. Ti occupi anche di filmati e documentari? Sì, grazie soprattutto alla possibilità di filmare in Full HD. Sequenze di immagini da me realizzate sono state trasmesse su Geo&Geo e Ulisse, due noti programmi RAI, oltre che in documentari e video per amministrazioni provinciali e progetti Life+. Attualmente svolgo diverse collaborazioni con registi e film-maker nazionali, sia in ambito naturalistico che pubblicitario e commerciale, senza perdere di vista un paio di progetti personali dedicati al patrimonio faunistico dell’Emilia-Romagna. In quali progetti Life+ sei coinvolto? Nel biennio 2010-2011 sono stato responsabile delle riprese video-fotografiche del Progetto Life+ Gypsum, che ha coinvolto 6 parchi e riserve dell’Emilia-Romagna, e in particolare del monitoraggio dei chirotteri. Soprattutto grazie alla grande fiducia che mi è stata accordata, ho potuto sviluppare un sistema fotografico all’infrarosso in grado di “immortalare” migliaia di pipistrelli in transito da alcuni rifugi ipogei oggetto di particolare tutela, senza recare loro disturbo. Insieme a un team di ingegneri elettronici abbiamo anche sviluppato un data-logger, soprannominato “Gypsolo”, in grado di contare i passaggi dei chirotteri discriminandone il verso di entrata/uscita. Queste metodologie e applicazioni, una novità nel panorama italiano e tra le prime a livello internazionale, insieme alle riprese a infrarosso negli stessi siti, permetteranno di verificare la validità degli interventi messi in atto per la tutela delle cavità. Un’altra grande soddisfazione, condivisa con i ragazzi di DCM-TeK, è stata portare a termine in tempi record il dvd interattivo Chi ha incastrato Mr. Red?, un importante strumento di divulgazione del Progetto Life+ EC-SQUARE, che a breve entrerà nelle scuole primarie e secondarie di Liguria, Piemonte e Lombardia. Sempre in tema di Life+, ho fornito materiale foto e video per i progetti Fauna di Montenero, Save the flyers e Monti della Tolfa. Collabori anche con riviste e case editrici? In questi anni mi è capitato di collaborare con molti soggetti, a volte anche involontariamente. L’edizione russa del «National Geographic», ad esempio, ha curiosamente pubblicato un’immagine mia e del mio carissimo amico Andrea Santandrea sul proprio sito, senza autorizzazione. Sono situazioni spiacevoli ormai all’ordine del giorno, frutto di una sempre più diffusa leggerezza riguardo al diritto d’autore. A questo proposito, ho notato che la possibilità di avere riscontri

Francesco Grazioli e la magia degli animali

francesco grazioli

Francesco Grazioli e la magia degli animali

Tre immagini dell’assidua frequentazione delle grotte bolognesi, come speleologo e collaboratore del Life+ “Gypsum”: in alto, una panoramica immagine del Salone Giordani, nella Grotta della Spipola; al centro, due esemplari di vespertilio di Bechstein agli infrarossi (una tecnica applicata per la prima volta in assoluto da Francesco nel monitoraggio dei pipistrelli); sopra, un esemplare di pseudoscorpione immortalato in una delle grotte protette del Parco Regionale Gessi Bolognesi e Calanchi dell’Abbadessa.

economici, spazi e buoni rapporti professionali è paradossalmente maggiore nelle riviste quasi sconosciute, gestite da piccoli editori, che in quelle teoricamente più strutturate e diffuse. Hai un luogo che ami più degli altri? In Emilia-Romagna? In Italia? Negli ultimi tre anni ho girato molto per l’Emilia-Romagna, per Gypsum e altri monitoraggi dei chirotteri. Il nostro gruppo di lavoro ha passato al setaccio molti, e a volte tutti, i SIC e le ZPS delle province di Ravenna, Ferrara, Bologna, Modena e Reggio Emilia. Credevo di conoscere quasi tutto ciò che la nostra regione ha da offrire in campo ambientale, ma mi sbagliavo! Ci siamo ritrovati in posti sconosciuti con peculiarità paesaggistiche e naturalistiche straordinarie, perle che nulla hanno da invidiare a località e parchi più blasonati. Ho maturato un affetto particolare per il Contrafforte Pliocenico, i Gessi Bolognesi, la Vena del Gesso Romagnola e la Valle del Mezzano. Tutti posti con una fauna e una flora strepitose, carichi di storia e ricchi di scorci ammalianti. In Italia un posto a cui sono particolarmente legato, fortunatamente ancora poco conosciuto, è la catena dei Lagorai, nelle Dolomiti orientali. Distese di sentieri che tagliano in lungo e in largo boschi e pascoli alpini sovrastati da cupe vette porfiriche. Pochissime strade tortuose in grado di tenere a debita distanza le “masse”. Un paradiso. E lì vicino, il Parco Naturale del Monte Corno, dove ho mosso i primi passi da bambino e dove tuttora scappo appena possibile. E in Europa, nel mondo? All’estero ho girato poco, se non per motivi turistici. Mi ha colpito molto un viaggio fatto anni fa a Cap Bon, in Tunisia. Ero con dei carissimi amici, tra cui fotografi e naturalisti, sulla scia della migrazione dei rapaci. Un territorio strepitoso, con un’agricoltura ancora ferma al nostro dopoguerra. Aratri e carretti trainati da buoi e somari. Ovunque una quantità imbarazzante di animali selvatici, indifferenti alla presenza dell’uomo. Nulla a che vedere con l’Italia... So che sei iscritto all’università... Lo ero. Ho frequentato per tre anni la facoltà di Agraria, poi ho mollato per seguire

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In alto, una splendida immagine di beccaccia, sorpresa in un castagneto del Parco Regionale Corno alle Scale; sopra, il volo di un gufo di palude nella Valle del Mezzano.

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francesco grazioli

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si riparano durante la migrazione. Da tempo sono affascinato dall’alone di mito che le circonda e dalla loro estrema bellezza. Ogni anno ne conto involarsi a decine, mentre con passo felpato e sguardo felino le cerco nel sottobosco. L’unica volta che sono riuscito a guardarne una da dentro il mirino, apprezzando la sua forma stagliarsi sulla lettiera incendiata dall’autunno, il suo sguardo sbalordito, l’espressione resa ancora più curiosa da una goccia di pioggia che si era fermata sulla punta del becco, mi è sembrato di vivere un sogno. Un vero privilegio. L’animale che ti ha fatto più dannare? Un acaro! Per non parlare dei collemboli, dei veri ossi duri, specie se in grotta! Quello che non hai ancora fotografato e che stai inseguendo? Nell’ultimo anno sono riuscito a “far pace” con alcune “bestie nere” con cui avevo conti in sospeso da tempo. L’ultimo è stato il barbastello, un chirottero forestale raro e per molti “mitico”. Mi era pure capitato di sognarlo... Ora penso che mi dedicherò con passione e dedizione ai mustelidi e, perché no, al gatto selvatico. Ci sono dei fotografi che consideri riferimenti importanti? Una delle persone a cui per anni sono stato molto legato, non solo come ex fotografo professionista ma anche come persona, è William Vivarelli. Assieme ne abbiamo fatte di cotte e di crude, nonostante la differenza d’età! Una bella complicità che mi ha aiutato molto a crescere. Un altro, con il quale stiamo affrontando situazioni e animali piuttosto ostici, è Gianni Neto. Impareggiabile fotografo subacqueo e grande appassionato di fauna, è il sostegno ideale per affrontare con costanza e serietà i soggetti più difficili. Un mito straniero, che un giorno spero di poter conoscere, è il tedesco Dietmar Nill, quasi una musa ispiratrice. Come ti documenti? Che cosa leggi? Amo documentarmi e lo faccio regolarmente, anche in maniera approfondita, per assecondare le mie curiosità e stimolare la fantasia. Alterno le letture tecniche alla saggistica. Ho un debole per i manuali e i libri di carattere faunistico, sia italiani che stranieri. Alcuni li tratto come vere e proprie reliquie e in un certo senso per me lo sono. Sul web si possono trovare un’infinità di informazioni e risposte, ma il gusto di sfogliare un libro è insuperabile. Un episodio curioso o divertente che ti piace ricordare... Nel 2009 ero con alcuni carissimi amici in una località della Riviera per documentare una colonia di nottole in un albero cavo. Era sera e il fiume di gente a passeggio sul lungomare non riusciva capire il perché di quel teleobiettivo montato su cavalletto e puntato verso l’alto. Si vociferava di qualche vip nella casa

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Due esemplari di Zerynthia polyxena in accoppiamento e, a fianco, una bellissima immagine del minuscolo mustiolo, il micromammifero più piccolo del nostro pianeta (supera di poco i 5 cm di lunghezza).

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In alto, un esemplare di chiurlo “cammina sull’acqua” e, sopra, un toporagno acquatico con la sua notevole preda.

la mia passione per la fotografia. Non so dire se ho sbagliato, ma in più di un’occasione quel “titolo mancato” avrebbe sicuramente dato un peso diverso alla mia figura professionale. Sono contento di quello che ho ottenuto finora, ma non escludo di riprendere gli studi. Magari in un’altra facoltà. Interessi e curiosità non mi mancano... Riesci a vivere facendo il fotografo naturalistico? Dicono che in Italia sia quasi impossibile... Oggi è difficilissimo tenere aperta un’attività in generale. Un tempo i fotografi vivevano bene, ma ora ritagliarsi un proprio spazio è arduo. L’editoria è in crisi nera e se un tempo, così mi dicono, i servizi, anche di stampo naturalistico, erano ben pagati, oggi le riviste più note faticano a elargire compensi (il più delle volte ormai si parla di “baratti”). Il gioco non vale assolutamente la candela, anche se serve per avere visibilità, fare cose interessanti, sentirsi gratificati. L’unico modo per sopravvivere è vendere il più possibile materiale d’archivio o rientrare in progetti con un minimo di fondi a scopo divulgativo o di ricerca. Nella fotografia commerciale la situazione è solo di poco migliore, ma è comunque dura, durissima. L’unico modo per farcela è organizzarsi al meglio e stare sulla cresta delle novità tecnologiche e dei media di ultima generazione. Nel mondo video pare che le cose vadano diversamente: è un mercato in cui difficilmente gli amatori riescono a entrare e i guadagni sono più “equi”, considerando tutto quello che c’è dietro al lavoro di ripresa. Hai dei contatti con colleghi italiani e stranieri? Ho contatti, pochi ma buoni, con altri professionisti italiani. Ci si dà una mano, più che altro scambiandosi dei favori. L’estero è qualcosa che guardo come un miraggio. Prima di correre, si impara a camminare. Voglio prima essere sicuro di stare bene in piedi dove so muovermi. Far pratica (tanta), per poi vedere cosa di meglio ci può essere là fuori. La fotografia più emozionante? In molti sorrideranno: la beccaccia. Ogni anno percorro le vallecole dove so che

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Due ulteriori, magnifiche immagini di chirotteri: in alto, un esemplare di orecchione bruno (Plecotus auritus) e, sopra, un esemplare di ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum).

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Francesco Grazioli e la magia degli animali

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Il bisonte europeo e il Parco Nazionale di Bialowieza La straordinaria vicenda e i delicati equilibri gestionali del celebre parco polacco

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In alto, una spettacolare fotografia della Dolina della Spipola, nel Parco Regionale dei Gessi Bolognesi e Calanchi dell’Abbadessa, e Francesco Grazioli alle prese con la colorata attrezzatura per le sue belle fotografie aeree.

di fronte e continuavano a fermarsi a decine. Poi le prime domande dirette e le prime spiegazioni. Così abbiamo colto la palla al balzo, improvvisando una bat-night per spiegare l’importante ruolo svolto dai chirotteri. Per circa un’ora abbiamo tenuto banco con una cinquantina di spettatori, entusiasti di vedere il via vai dei pipistrelli dal tronco cavo. È stato splendido... Un episodio triste, negativo, sconfortante che ti ha colpito... Ne ho diversi. Uno su tutti l’abbandono qualche anno fa del nido da parte dell’aquila reale, uno dei siti più interessanti della provincia di Bologna, per colpa di un fotografo dilettante. In giro se ne vociferava nome e cognome, come pure il fatto che l’avesse fatta franca. E poi siti riproduttivi di lupi abbandonati per colpa di personaggi insaziabili di immagini, piante distrutte in zone a protezione integrale per meglio fotografare dei pipistrelli, ecc. La verità è che manca una cultura ambientalista e questi fatti spiacevoli tante volte ricadono ingiustamente su chi invece si comporta secondo le regole. Come gestisci il tuo archivio? Quante fotografie hai fatto e ti ritrovi catalogate? Male, sono sincero. Ho centinaia di migliaia di immagini e ore di filmati che aspettano di essere riordinati. Ma sono troppo preso a scattare e produrre materiale per farlo. Nella fotografia ti piace sperimentare. Che novità stai preparando? Da alcuni mesi mi sto cimentando con la fotografia aerea a bassa quota, una delle primissime tecniche fotografiche, che risale addirittura alla fine dell’Ottocento e offre punti di vista davvero inusuali e significativi. In più occasioni ho utilizzato tecniche di macrofotografia ad alti ingrandimenti, sia in superficie che in cavità ipogee, per documentare invertebrati di dimensioni prossime al millimetro, uova, muffe, ecc. Scordando per un momento le enormi difficoltà nel gestire l’attrezzatura in certi contesti, è uno dei pochi modi per portare “alla luce” queste misconosciute creature infinitesimali, dagli strabilianti adattamenti. Sono orgoglioso di aver dato un contributo alla sperimentazione di sistemi fotografici automatizzati per l’analisi delle traiettorie di volo dei pipistrelli. È un tema di grande importanza e attualità, se si pensa all’impatto che l’eolico, le strade, le reti elettriche e altre strutture possono avere sugli animali, a cominciare dagli uccelli, e alla scarsità degli studi di incidenza a riguardo.

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Dopo un lungo percorso nella foresta alla luce tenue del primo mattino, siamo riusciti a sorprenderli in pastura al margine di un prato umido, a una sessantina di metri di distanza. Nonostante ci fossimo imposti un silenzio assoluto, subito si sono accorti di noi e adesso tutto il branco ci fissa con attenzione. Non avendo predatori naturali, i più grandi animali terrestri d’Europa non sono abituati a scappare: fieri e imponenti (i maschi possono superare i due metri di altezza e i 900 kg di peso) ci osservano immobili con fare altero e paziente, non minaccioso. Ne contiamo quattordici. Con il cuore che batte all’impazzata per la grande emozione restiamo ad ammirarli fino a che non decidono di chiudere l’incontro e svanire a passo lento di nuovo nel loro regno alberato. È stata proprio la forte attrazione che questo animale mitico ha sempre esercitato sul nostro immaginario a spingerci fino qui. Il bisonte europeo rappresenta il simbolo indiscusso del Parco Nazionale di Bialowieza, uno dei primi e più conosciuti parchi europei, e ha sempre intrecciato la sua storia con quella degli straordinari ambienti forestali che caratterizzano di Marco Sacchetti questo remoto angolo di Polonia in confine con la Bielorussia. Una storia particolare, considerata oggi internazionalmente uno dei più grandi successi della conservazione della natura, ma che agli inizi del secolo scorso sembrò sul punto di concludersi definitivamente.


In alto, una femmina con il piccolo e, sopra, un maschio tra gli alberi: i bisonti a Bialowieza si spostano nei diversi tipi di foresta a seconda delle stagioni.

Il bisonte europeo e il Parco Nazionale di Bialowieza

Intanto il cuore della foresta, già tutelato come riserva a partire dal 1921, era diventato parco nazionale nel 1932: molte persone, appassionate di questi luoghi, sostengono che la storia del bisonte europeo, più di qualunque altra, si accompagni in modo esemplare allo sviluppo della cultura umana e ai cambiamenti nel tempo del nostro atteggiamento verso la natura. Attualmente la foresta di Bialowieza ospita circa 450 esemplari selvatici, che salgono a 800 se si considera anche la contigua area protetta esistente in Bielorussia, tutti discendenti dal nucleo iniziale. E mentre fino al 1996 il bisonte europeo compariva ancora nella lista dell’IUCN delle specie in pericolo, ora viene considerato una specie vulnerabile, soprattutto a causa del pool genico limitato. La nuova sfida, infatti, è quella di incrementare la diversità genetica puntando alla costituzione di nuclei riproduttivi nettamente separati gli uni dagli altri: diversi branchi allo stato semibrado sono stati introdotti negli ultimi anni in altre aree protette polacche e d’Europa. Per favorire la diversità genetica anche il numero totale degli animali dovrebbe aumentare, ma la gestione di questa specie risulta molto complessa e controversa. Rispetto al cugino nordamericano, che abita le grandi praterie ed è un pascolatore, il bisonte europeo è prevalentemente un brucatore e si caratterizza per le abitudini prettamente forestali. Questo ha comportato una serie di differenze anatomiche, come ad esempio la diversa struttura della testa e la maggiore lunghezza del collo e delle zampe. È un animale sociale che vive in gruppi misti costituiti da femmine, piccoli dell’anno, giovani e maschi subadulti: in media una dozzina di esemplari, capeggiati dalla femmina più anziana. I maschi adulti, invece, formano gruppi separati più esigui o conducono vita isolata. Alcuni risvolti gestionali riguardanti questa affascinante specie ce li racconta Bogdan Jaroszewicz, direttore del dipartimento di Geobotanica dell’Università di Varsavia, che ha sede proprio a Bialowieza: «Nella dieta del bisonte si possono trovare oltre un centinaio di piante erbacee, ma normalmente sono una ventina quelle preferite. D’inverno, nella neve, deve però adattarsi e alimentarsi a scapito di gemme, ramoscelli e anche cortecce di specie arbustive e arboree forestali. Ma l’inverno qui può essere spietato con gli erbivori. Per facilitare il successo del programma di reintroduzione, i primi bisonti liberati furono a lungo foraggiati durante la stagione fredda: abituatisi al fieno sono andati poi a cercarlo nelle zone perimetrali del parco, uscendo allo scoperto e, oltre a cercare erba nei prati (tradendo in questa stagione le proprie abitudini forestali), hanno cominciato a minacciare i covoni dei contadini e degli allevatori. Questo stravolgimento comportamentale si è consolidato nel tempo, al punto che l’Unione Europea adesso eroga degli incentivi agli agricoltori perché lascino fieno nei campi a disposizione dei bisonti. Anche i forestali sono contenti, perché in questo modo viene alleggerito l’impatto invernale sulla rinnovazione naturale del bosco. Il paradosso è questo: adesso che i bisonti sono aumentati fino a raggiungere il numero ritenuto massimo per l’equilibrio della foresta, ogni anno vengono prima foraggiati d’inverno e poi abbattuti (da 30 a 50 capi) selezionando quelli malati, deboli o feriti, allo scopo di contenerne la popolazione. Come è facile immaginare, si scontrano in proposito due linee di pensiero: quelli che appoggiano la gestione corrente e quelli che invece vorrebbero non alimentarli e lasciar fare selezione invernale alla natura, rispettando maggiormente l’etologia dell’animale». C’è da aggiungere un particolare: sembra che un maschio adulto venduto a uno zoo o abbattuto a pagamento possa fruttare una cifra che si aggira attorno ai diecimila euro. Il giorno seguente è l’occasione di un incontro ravvicinato con un maschio solitario, e questa volta è lui a sorprendere noi. Percorriamo una strada forestale presso la località di Gruszki, poco prima dell’alba, quando improvvisamente scorgiamo nel buio una grande sagoma scura in movimento. L’animale si ferma davanti a noi, a poco più di venti metri, e ci punta. Ci ricordiamo che a quella distanza, se

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In tempi storici il bisonte europeo viveva nelle foreste di quasi tutto il continente, ma assieme a queste subì, a causa dell’espansione umana, una graduale e inesorabile diminuzione del suo areale, rimanendo confinato solo nelle regioni più orientali. Come nel caso di altri celebri parchi nazionali, anche Bialowieza fu in passato riserva di caccia reale, e poiché per cinque secoli i re di Polonia e gli zar di Russia vi praticarono attività venatorie, la foresta venne sottratta a ogni forma di sfruttamento. In questi ambienti ancora vergini il bisonte, pur soggetto a epiche battute di caccia (lo zar Alessandro II nel 1860, assieme alla sua corte, sterminò un centinaio di esemplari in una sola battuta), trovò estremo rifugio fino a quando, a seguito delle razzie prodotte dalle truppe tedesche durante la prima guerra mondiale, la situazione precipitò: l’ultimo esemplare della sottospecie di pianura (Bison bonasus bonasus) venne ucciso nel 1919, seguito nella sorte pochi anni dopo anche dall’ultimo bisonte della sottospecie di montagna (Bison bonasus caucasicus). Non fu possibile salvare dall’estinzione il bisonte del Caucaso, ma la comunità scientifica, e in particolare l’Associazione internazionale per la conservazione del bisonte europeo (costituita a Berlino nel 1923), si impegnò in un tentativo di allevamento e riproduzione, proprio in un recinto presso Bialowieza, dei pochi bisonti di pianura di razza pura sopravvissuti in cattività negli zoo e in aree faunistiche private. Lo scopo: tentare una reintroduzione, risuscitando la specie in natura. Per preservarne i caratteri genetici originari fu creato il primo registro genealogico per una specie non domestica. Il programma di riproduzione si basò inizialmente su due gruppi separati di sei animali ciascuno. La effettiva reintroduzione in natura fu possibile a partire dal 1952, e solo a seguito della nascita del primo bisonte in libertà, cinque anni dopo, si cominciò realmente a intravedere il successo di questa lunga, paziente e particolarissima battaglia conservazionistica. fausto branchi

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Sopra, in confronto a quello americano, il bisonte europeo ha il naso più sporgente e le corna rivolte in avanti rispetto al piano facciale e, a fianco, in inverno i bisonti escono dal fitto della foresta in cerca di cibo. Nella pagina precedente, il bisonte europeo vive in piccoli gruppi capeggiati dalla femmina più anziana. Sotto, il querco-carpineto, la formazione forestale più caratteristica del parco, si sviluppa a volte in bassure periodicamente invase dall’acqua.

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Il bisonte europeo e il Parco Nazionale di Bialowieza

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Fausto Branchi e la moglie Stasia sono profondamente affascinati dalla natura di Bialowieza; Fausto, autore delle immagini di questo articolo, frequenta il parco da oltre vent’anni. Sotto, il fiume Narewka, che attraversa l’area protetta, si tinge dei colori di un’alba invernale.

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si sente minacciato, il bisonte può caricare, e il nostro stato d’animo oscilla tra la gratificazione e la preoccupazione. Restiamo così impietriti a scrutarci per un tempo indefinito, fino a quando i primi raggi di sole filtrano tra i rami e permettono al bisonte di soddisfare la sua curiosità nei nostri confronti: si dilegua e possiamo sciogliere la tensione appoggiandoci ai tronchi scelti come riparo. Come il bisonte, anche la foresta di Bialowieza si impone per il suo eccezionale valore ecologico, e come nel caso del bisonte, risulta anch’essa fonte di discussione circa i possibili aspetti gestionali, prospettando altre importanti e delicate sfide per la conservazione di questa emergenza naturale. In territorio polacco si estende per oltre 62.000 ettari, dei quali appena più di 10.000 costituiscono il parco nazionale, una superficie relativamente modesta per un santuario della natura europea. Appare subito chiaro al visitatore come quella di Bialowieza non sia una foresta come le altre. Soprattutto nella zona sottoposta a protezione integrale, corrispondente all’area centrale del parco nazionale (circa 5.000 ettari), è la foresta che maggiormente conserva i caratteri primordiali delle antiche foreste vergini d’Europa: maestosa, complessa, diversificata, incontaminata. Il giornalista e scrittore Adam Wajrak, che abita presso la foresta, la descrive come «un’eredità del tempo non inferiore come valore alle piramidi egizie o alla cattedrale di Notre-Dame». Per questo è la più studiata e oggetto di continue ricerche scientifiche. Basti pensare che sono stati censiti al suo interno 2.500 alberi monumentali, tra i quali abeti che superano i 50 metri di altezza, querce di oltre 450 anni di età, frassini e tigli di dimensioni difficilmente immaginabili. Ospita più di 1.000 specie di piante vascolari, 2.500 specie di funghi e 13.000 specie animali (di cui 8.500 sono di insetti). Tra le tante preziose presenze faunistiche si possono citare lupo, lince, lontra, gallo cedrone, gru, aquila anatraia minore, gufo reale e tutte le specie europee di picchi tra cui il nero, il tridattilo, il cenerino e il dorsobianco. Anche la foresta però, come il bisonte, ha vissuto momenti particolarmente critici e ha rischiato più volte di scomparire. Durante la prima guerra mondiale, come già ricordato, Bialowieza subì terribili danni a causa del prelievo, da parte dei tedeschi, di 5 milioni di metri cubi di legname in appena tre anni, e della costruzione della ferrovia per il trasporto dei tronchi. Negli anni tra il 1924 e il 1929, per risollevare l’economia polacca, la foresta fu data in concessione a una società inglese che tagliò un altro milione e mezzo di metri cubi di legname, senza rispettare l’accordo di occuparsi della rinnovazione delle superfici sfruttate. Altrettanta foresta fu annientata durante la seconda guerra mondiale, quando furono i russi a occupare Bialowieza: oltre ai prelievi effettuati nelle zone di più facile accesso, si tentò lo sfruttamento anche dell’area centrale, per fortuna senza successo a causa delle difficoltà nell’esbosco dei grandi tronchi. La storia più recente, per fortuna, è quella dei riconoscimenti internazionali: sin dal 1977 Bialowieza è Riserva della Biosfera e dal 1979 fa parte dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO, nel 1997 il Parco Nazionale è stato insignito del prestigioso Diploma del Consiglio d’Europa. Entriamo nella parte strettamente protetta della foresta accompagnati da Jarek Kosiorek, forestale del distretto amministrativo di Browsk, situato nella zona nordoccidentale del parco. Ci troviamo immersi nel querco-carpineto planiziale, la foresta decidua mista di farnia, tiglio e carpino bianco, la più estesa e rappresentativa delle ben 25 comunità vegetali spontanee (di cui 16 forestali) presenti a Bialowieza. Gli alberi sono di ogni età, alcuni giganteggiano a fianco di altri più piccoli e stentati. Degli alberi più grandi, spesso enormi farnie colonnari che raggiungono i 30-40 metri di altezza, non si riesce a distinguere la chioma ma solo la parte inferiore del tronco, non di rado superiore a sei metri di circonferenza. Riconosciamo anche acero riccio, abete rosso, frassino maggiore. Il sottobosco è un intrico quasi impenetrabile di alberi sradicati e caduti, ricoperti di ogni sorta di muschi, funghi, licheni. Varie specie di geofite e giovani alberi spuntano tra bloc-

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Il bisonte europeo e il Parco Nazionale di Bialowieza

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In alto, è stato stimato che i tronchi lasciati al suolo sono in grado di ospitare più specie di organismi di un albero vivo; al centro, il raro e localizzato picchio dorsobianco (Dendrocopos leucotos) ama frequentare alberi vetusti o marcescenti; in basso, un’imponente farnia plurisecolare.

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Il bisonte europeo e il Parco Nazionale di Bialowieza

chi di corteccia in decomposizione, tronchi scheletriti ma ancora in piedi sono trivellati dai picchi. Lo spettacolo è straordinario: qui tutto è lasciato alla libera evoluzione della natura, da sempre; a Jan Jerzy Karpinski, che fu a lungo direttore del parco attorno alla metà del secolo scorso, è attribuita l’esclamazione: «La foresta di Bialowieza! Vieni, ascolta e guarda: capirai che questa è la foresta!». Jarek, il nostro accompagnatore, ci racconta invece il punto di vista dei forestali: «In quest’area la foresta lasciata a se stessa tende a indebolirsi, gli alberi troppo fitti e sottili resistono meno alle avversità. Inoltre il terreno ingombro di tronchi marcescenti favorisce alcune specie a scapito di altre, per esempio ostacola la crescita delle querce che vengono sostituite da betulle e conifere. La tutela delle querce non può essere fatta nella riserva integrale ma nelle zone contigue, soggette a un piano forestale decennale, dove attorno alle farnie viene fatta luce per stimolarne la crescita e la rinnovazione e vengono sistemati recinti attorno alle giovani plantule per difenderle dall’azione degli erbivori». Gli ecologisti obiettano che, se la gestione forestale è cominciata dal secondo dopoguerra, la foresta ha saputo sopravvivere da sola per millenni. La tensione tra le due opposte fazioni è evidente, alimentata dal braccio di ferro che da tempo porta a confrontarsi coloro che vorrebbero ampliare, per motivi conservazionistici, la modesta superficie del parco nazionale, estendendo i suoi rigidi vincoli di protezione alle zone circostanti, e coloro che hanno opinione contraria. Come sarà possibile continuare a preservare questa foresta primigenia, unica e solenne, assieme al bisonte e alle molte altre sue peculiarità faunistiche e botaniche? Ammirata dall’interno sembra immensa, ma su una carta geografica d’Europa è meno di un minuscolo puntino. Bogdan Jaroszewicz ha una speranza: «Tra mille insidie è un vero miracolo che la foresta sia arrivata fino a noi. Di fronte a nuove sfide e minacce oggi però, rispetto al passato e nonostante le idee divergenti tra le istituzioni polacche, ci sono le garanzie di tutela offerte da Rete Natura 2000 e dalle direttive europee. La foresta di Bialowieza si salverà ancora!».

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di Nevio Agostini

Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna - Servizio Promozione, Conservazione, Ricerca e Divulgazione della Natura

Nell’estremo angolo nord-occidentale del parco nazionale si sviluppa l’alta valle del torrente Tramazzo, così lontana dalle millenarie selve casentinesi e dai luoghi più famosi dell’area protetta come Camaldoli e La Verna. Il parco include questo territorio grazie alla presenza di una valle solitaria, ricca di boschi di proprietà pubblica (demanio della Regione Emilia-Romagna), che è anche dotata di una efficiente rete sentieristica e di un’ottima organizzazione ricettiva. I punti di riferimento di tutto questo territorio montano sono il paese di Tredozio e più a monte, già all’interno dell’area protetta, il Lago di Ponte, con l’omonimo rifugio. Lo specchio d’acqua, realizzato dal Consorzio di Bonifica una cinquantina di anni fa, di recente è stato consolidato e oggi è tornato al suo aspetto migliore. Nel complesso il paesaggio dell’alta valle del Tramazzo è caratterizzato da formazioni forestali in gran parte di origine naturale, dove alle quote superiori domina il faggio, e da boschi dove nelle esposizioni meridionali prevale il cerro e in quelle più settentrionali e con terreno più superficiale il carpino nero. Da segnalare sono anche i castagneti secolari della zona di Cà Cerreta e i numerosi rimboschimenti di conifere compiuti negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso (le specie più utilizzate sono state il pino nero nelle aree più degradate e l’abete di Douglas e l’abete rosso in quelle più ricche di terreno fertile).

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Un ritratto della valle più settentrionale del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi

Il territorio di Tredozio è storicamente parte della cosiddetta Romagna-Toscana e, come gli altri centri dell’Appennino forlivese, conserva caratteristiche e tradizioni di entrambe le regioni. L’influenza fiorentina, protrattasi per secoli, ha lasciato tracce importanti nella cultura delle vallate. La valle del Tramazzo, in particolare, è stata sin da epoche remote una zona di transito tra la pianura romagnola e la Toscana, come testimoniano i rinvenimenti archeologici del 1200 a.C. di Santa Maria in Castello, a pochi chilometri da Tredozio, appartenenti alla cultura protoappenninica. Le prime consistenti notizie storiche su Tredozio risalgono al periodo bizantinoravennate (nel 562 venne fondata la pieve di San Valentino) e nel 925 si trova citato per la prima volta il Castrum Treudacium dei conti Guidi. Dopo il 1000 nella zona sorsero chiese e monasteri: San Pier Damiani fondò l’eremo di Gamogna e più tardi nacquero i monasteri di Trebbana (1063) e d’Affrico, nei pressi di Tredozio, a testimonianza dell’intensa attività religiosa in un territorio che si andava sempre più popolando. Per cinque secoli Tredozio seguì le sorti di tutti i centri della parte medio-alta delle vallate romagnole: un ultimo lembo della Toscana geograficamente situato, però, in terra di Romagna. In queste zone di confine tra Stato Pontificio e Granducato imperversavano i contrabbandieri, ma vissero anche nobili famiglie e illustri personaggi provenienti da Firenze o da Faenza. A questo periodo si devono alcuni tra gli edifici rurali e i palazzi cittadini più belli, simboli della ricchezza e del potere di grandi famiglie come i Fantini, i Bonaccorsi, i Frassineti. Oggi Tredozio è una località turistica che ha nell’ospitalità il suo punto di forza e il territorio circostante, grazie alla ricca trama di percorsi e a una strada forestale che abbraccia tutta l’alta valle, è diventato un piccolo paradiso per gli appassionati di mountain bike e gli escursionisti. Tra i percorsi per mountain bike il più logico e anche il più facile da individuare è Tredozio-Colle del Tramazzo, un anello di 25 km con 700 m di dislivello e un tempo di percorrenza di 4 ore. Si parte da Tredozio (328 m) e si segue la strada di fondovalle, asfaltata per tutto il primo tratto (6 km), sino ad arrivare nei pressi della chiesa di Scarzana (557 m). A Scarzana la strada diventa sterrata e inizia a salire, anche se la salita vera e propria comincia nei pressi del bivio per il Lago di Ponte. Si risale il boscoso vallone del Tramazzo fino a raggiungere uno spettacolare punto panoramico, dove si ammira tutta la vallata e, in primo piano, più in basso, la radura al margine del rifugio Casa Ponte. Tra rade macchie di cerri, si

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Un luogo da scoprire: l’alto Tramazzo

nevio agostini

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natura protetta


Un luogo da scoprire: l’alto Tramazzo

tagliano le pendici nord-orientali del Monte Val dei Porri e si raggiunge il valico del Tramazzo (971 m), dove si gira a sinistra (lasciando a destra la strada che porta alla provinciale San Benedetto-Marradi). La strada si fa più accidentata e, con una breve ma ripida salita si raggiunge il Colle del Tramazzo e un ideale punto di sosta, la Fonte del Bepi, con i tavoli all’ombra di maestosi faggi secolari e una fonte appena sotto la strada. Il percorso prosegue sul crinale doppiando il Monte Collina (977 m) e poi scende verso Cà Cerreta (759 m); prima di raggiungere quest’ultima località, si sfiora una cresta a sinistra, al di là della quale c’è la splendida Valdanda. Volendo, dalla radura dove si stacca il sentiero 565 è possibile compiere un’altra breve deviazione per vedere il colossale Faggione del Tramazzo. Oltrepassati Bagno (624 m) e Passatoio (580 m), la strada si allarga e diventa asfaltata, conducendo a Isola e poi, dopo il ponticello sul Tramazzo, alla strada già percorsa all’andata, nei pressi delle vecchie scuole, un chilometro circa a monte di Ottignana, per poi ritornare a Tredozio. Per chi preferisce camminare una prima opportunità è il Sentiero Natura, percorribile in meno di due ore e provvisto di 10 punti sosta, che parte dal rifugio Casa Ponte (indispensabile è l’opuscolo descrittivo acquistabile presso la struttura, che suggerisce una serie di osservazioni sul mondo vegetale riguardanti il rapporto tra bosco, clima, natura e forma del territorio).

A fianco, un’escursionista lungo il sentiero CAI 559 che conduce al Valico del Tramazzo. Sotto, l’imponente roverella che cresce nei pressi del monastero e della chiesa di Trebbana e, in basso, due escursioniste abbracciano uno dei grandi castagni di Cerreta.

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A cura di Franco Locatelli e Barbara Verni

Alcune guide e carte sui sentieri della valle del Tramazzo e del parco nazionale: N. Agostini, Sentiero Natura “Tredozio La natura e le forme del paesaggio”, Ente Parco Foreste Casentinesi, 1997; S. Bassi, In Bici nel Parco. 20 itinerari per scoprire in Mountain bike il Parco, Ente Parco Foreste Casentinesi, 2005; S. Bassi, A Piedi nel Parco. 34 escursioni nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, Ente Parco Foreste Casentinesi, 2010; M. Vianelli, S. Bassi, Le Foreste Sacre, Giunti, 2008; N. Agostini, Carta Escursionistica del Parco (5a edizione), Ente Parco Foreste Casentinesi - Selca, 2012; M.Vianelli, Alta Via dei Parchi. Un lungo cammino nell’Appennino settentrionale, Regione Emilia-Romagna - Ediciclo Editore, 2012.

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Nell’alta valle del Tramazzo sono numerose le strutture ricettive, a cominciare da quelle situate nel centro storico di Tredozio, che offrono menù dai sapori tipici, come il ristorante La Lanterna, i ristoranti pizzeria La Luna Rossa, Henry e Le Volte e il B&B Guelfo. Uscendo dal centro si incontrano agriturismi immersi nel verde delle colline romagnole, con cucina e camere: Ridiano, ben noto per le sue carni grigliate, Marzanella, in un complesso rustico superbamente ristrutturato, Pian di Stantino, che propone una cucina trentina con influenze romagnole. Incastonato in un piccolo borgo medievale è l’agriturismo Cà de Monti, rinomato per l’agnello e il maialino allo spiedo. Ricerca gastronomica e sapori indimenticabili caratterizzano il ristorante Mulino San Michele, un ambiente raffinato e intimo ricavato all’interno di un vecchio mulino. Altre strutture offrono solo il servizio alberghiero o di affittacamere, per diversi target di turisti, come Scarzana, Casa Ottignana, Torre Fantini, le Agriville La Collina, Cà Gianna e l’ostello, campeggio e punto camper Le Volte.

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L’ospitalità a Tredozio e dintorni

Un luogo da scoprire: l’alto Tramazzo

Per gli escursionisti più esigenti una proposta sicuramente appagante, suggerita dalla guida A Piedi nel Parco, è il percorso Sul Cozzo del Diavolo, un anello di circa 6 km, con 450 m di dislivello e un tempo di percorrenza di 4 ore. Dal rifugio Casa Ponte si segue il Sentiero Natura fino a Casa Le Piane e, rimanendo sul sentiero 559, si raggiunge in un’ora e mezzo il valico del Tramazzo (971 m). Al bivio si imbocca sulla destra il sentiero 553, che sale per un ampio versante dominato dai rimboschimenti, raggiungendo la cresta e il roccioso dente del cosiddetto “Cozzo del Diavolo” (il nome si deve a una leggenda, peraltro ricorrente nelle montagne di mezza Italia, secondo cui la rocciosa parete settentrionale sarebbe stata creata dai cozzi di un demone infuriato). Si è a cavallo di tre valli: quelle del Tramazzo, del Montone e dell’Acerreta (in comune di Marradi). Il percorso è a tratti impervio: particolarmente scosceso è il versante nord che si inabissa verso la sottostante Val dei Porri. Oltrepassato il Poggio della Solista (967 m), il sentiero continua sempre in cresta: tra la vegetazione si scorge il versante marradese, con la chiesa di Trebbana e, nella parte opposta della valle, il suggestivo eremo di Gamogna. A un chilometro e mezzo dal Cozzo del Diavolo, si imbocca il sentiero 557 che, dopo una ripida discesa con l’attraversamento della strada del Tramazzo, riconduce al rifugio Casa Ponte. Il rifugio è anche il punto di partenza del Sentiero delle Foreste Sacre, di cui si è scritto nel precedente numero di «Storie Naturali», e un posto tappa dell’Alta Via dei Parchi e dal rifugio il sentiero e l’alta via conducono, attraverso un percorso di grande valore naturalistico e spirituale di un centinaio di chilometri, sino al santuario francescano della Verna. Ma non si può accennare alle escursioni nell’alta valle del Tramazzo, senza raccontare di “Ferro”, al secolo Gabriele Ferrini, che è davvero l’anima dei sentieri di tutto questo territorio. Non c’è cittadino di Tredozio, del resto, che alla richiesta di un qualsiasi escursionista su chi può dare informazioni sui sentieri e sul parco non risponda: «Provi a sentire con Ferrini». La figura è inconfondibile, per l’aspetto atletico nonostante i 70 anni suonati (una via di mezzo tra Fausto Coppi e Marcello Fiasconaro) e gli inconfondibili baffi alla Pancho Villa. E in effetti Gabriele Ferrini è un riferimento per tutti, anche per noi del parco, riguardo alla gestione della rete escursionistica e alla progettazione di nuovi percorsi nell’alta valle. Gabriele è anche guida del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, membro del Soccorso Alpino e volontario della Protezione Civile. Ma l’enorme passione per il suo territorio ne ha soprattutto fatto il beniamino di molti bambini e ragazzi

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Nella pagina precedente, due escursionisti sul crinale tra le valli del Tramazzo e del Montone e, sotto e a fianco, la cartina dell’Alta Valle del Tramazzo con l’indicazione del percorso per mountain bike e un gruppo di appassionati che risalgono la strada della valle.

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Un luogo da scoprire: l’alto Tramazzo

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zo. Dal Lago di Ponte passano itinerari per tutti i gusti e anche per gambe non molto allenate, come il Sentiero Natura e i sentieri che portano ai “giganti”, immensi alberi monumentali sotto le cui fronde sono passati secoli di storia e le vite degli uomini e delle donne di questa terra di crinale. Sfruttando una rete di rifugi vicini e amici, è possibile progettare trekking ad anello di due o tre giorni e più, con possibilità di navette per bagagli e persone. Dal Lago di Ponte, parte il Sentiero delle Foreste Sacre, che in sette tappe porta fino alla Verna, all’estremità opposta del parco nazionale. Dal 2012 Casa Ponte è punto tappa dell’Alta Via dei Parchi. Per informazioni: Rifugio Casa Ponte 0546 943178 info@rifugiocasaponte.it www.rifugiocasaponte.it.

Michele Isman e Laura Canepuccia Gestori del rifugio

delle scuole primarie e secondarie, che approfittano della sua istintiva capacità di interpretare la natura nei progetti didattici promossi dal parco. Gabriele e sua moglie Valeria sono stati anche i primi gestori del rifugio Casa Ponte (dal 2003 al 2006). Attualmente Gabriele è convalescente, per un serio incidente di montagna, e attraverso questo articolo dedicato alla sua valle gli facciamo i nostri più sentiti auguri per un rapido ritorno ai suoi cari sentieri.

Un sorridente Gabriele Ferrini, vero punto di riferimento per il parco nazionale e per tutti gli appassionati che frequentano la zona, accanto a un cartello indicatore della “sua” valle.

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Situato nell’alta valle del Tramazzo, a 7 km da Tredozio, il rifugio si trova all’estremità nordoccidentale del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, nei pressi del piccolo Lago di Ponte. Raggiungibile in auto e aperto tutto l’anno, dalla primavera del 2012 è gestito dall’associa-

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zione culturale “Mario Albertarelli” che ne ha fatto uno spazio di accoglienza nel quale, oltre ai tradizionali servizi di un rifugio, si organizzano soggiorni esperienziali, corsi, incontri, mostre e tante altre iniziative sul mondo della natura. Casa Ponte è un’antica casa contadina, con spessi muri in pietra. Nelle ex-stalle al piano terra si trovano la cucina, dove vengono preparati piatti semplici e robusti panini partendo da materie prime “buone, giuste e vicine”, e la sala conviviale, dove non c’è la televisione, ma in compenso ci sono un camino, una piccola biblioteca, un telefono e un computer con rete wi-fi per comunicare con il mondo; al piano superiore, oltre all’alloggio dei gestori, 20 letti colorati in tre camere con bagno condiviso. Muovendosi a piedi lungo sentieri ben segnati, si possono raggiungere San Benedetto in Alpe e il torrente Acquacheta (con le celebri cascate), Bocconi (nella valle del Montone), gli eremi di Trebbana e Gamogna, Lutirano e perfino Marradi, oltre naturalmente a passeggiare nei boschi e lungo i corsi d’acqua dell’alto Tramaz-

michele isman

triarchi arborei. Il sentiero, lungo 8 km, inizia dalla strada forestale del Tramazzo, all’altezza di Cà il Bagno, e risale il crinale verso il passo del Tramazzo. Lungo il percorso si incontrano la Regina del Bagno, una grande quercia che cresce nell’omonima località, i castagni e i faggioni della Cerreta, nei pressi di Cà Cerreta, il Faggione del Tramazzo, il Carpinone della Valdanda e i Giganti del Bepi, i grandi faggi della Fonte del Bepi. Tutti questi esemplari sono contrassegnati lungo il percorso da un’apposita segnaletica. Anche se non si trova nella valle del Tramazzo, ma nella vicina valle dell’Acerreta, merita di essere segnalata anche la Quercia di Trebbana, che cresce vicino al monastero e alla chiesa di San Michele di Trebbana: una roverella di dimensioni eccezionali, con una circonferenza di 4 m e un’età stimata di 400 anni (è raggiungibile dal rifugio Casa Ponte, risalendo il sentiero 557 fino al crinale, dove si prosegue a nord sul sentiero 553 e si scende poi dal Monte Cerro per il sentiero 549a).

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Non ci si aspetta di trovare grandi patriarchi in questa parte di Appennino contraddistinta, fino a qualche decennio fa, da uno sfruttamento del bosco piuttosto intenso. Ma basta percorrere per un breve tratto il sentiero 565, che si stacca dalla pista forestale del Tramazzo poco sopra Cà Cerreta, per trovarsi di fronte, all’improvviso, uno degli alberi più vetusti di tutto il parco nazionale: il Faggione del Tramazzo o, come alcuni l’hanno ribattezzato, la Grande Madre, per la particolare forma del tronco, caratterizzato da grandi “mammelloni” originati dalle cicatrici di enormi rami. L’albero, di dimensioni colossali, è alto quasi 35 m, con una circonferenza che supera i 5 m e un’età stimata di oltre 300 anni. Il Faggione del Tramazzo, però, non è l’unico grande albero presente nella zona e il parco, in collaborazione con la Provincia di Forlì-Cesena e grazie a un finanziamento della Regione Emilia-Romagna, ha recuperato un percorso, denominato “I giganti del Tramazzo”, che riscopre diversi di questi grandi pa-

Il rifugio Casa Ponte

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Il Faggione del Tramazzo e il percorso degli alberi monumentali

Un luogo da scoprire: l’alto Tramazzo

nevio agostini

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Misure urgenti per la conservazione della specie nella nostra regione

Il fratino (Charadrius alexandrinus) vive sulle spiagge e in alcune zone umide della nostra regione. È un uccello poco appariscente e poco conosciuto, che si può tuttavia considerare una specie simbolo per la salvaguardia di determinati ecosistemi costieri: si tratta, infatti, di una specie minacciata e facilmente riconoscibile, la cui protezione determinerebbe un miglioramento dello stato di conservazione anche di altre specie animali e vegetali che dipendono dai medesimi ambienti. In passato il fratino utilizzava per la nidificazione quasi esclusivamente i litorali sabbiosi, dove colloca il nido in una piccola depressione, in genere tra le dune embrionali, cioè nella fascia di transizione tra la spiaggia pianeggiante e le dune, e si alimenta di piccoli invertebrati che cattura sulla battigia, muovendosi con corse molto rapide, tanto che le zampe non risultano visibili, interrotte da arresti improvvisi e repentini cambi di direzione. La disponibilità di superfici con copertura vegetale scarsa o nulla ai margini e all’interno di zone umide gestite dall’uomo ha inoltre permesso la colonizzazione di dossi e barene di lagune, stagni e valli da pesca, zone affioranti dei bacini delle saline e anche banchine stradali e parcheggi prossimi al litorale o a canali e persino zone umide di Roberto Tinarelli, Alessio Farioli e Marika Zattoni artificiali e lontane dal mare che per i più svariati motivi hanno temporaneamente AsOER - Associazione Ornitologi una copertura vegetale scarsa o nulla (bacini di decantazione dei fanghi e delle acque dell’Emilia-Romagna Onlus di zuccherifici, zone umide appena ripristinate, ecc.). La colonizzazione di ambienti

Il litorale ancora naturale che separa le Vene di Bellocchio dal mare è ideale per la nidificazione del fratino. Nella pagina precedente, una femmina con i piccoli.

marco sacchetti

SOS fratino!

Dall’alto in basso: i piccoli di fratino sono nidifughi e già dopo un giorno dalla nascita sono in grado di seguire i genitori; un esemplare marcato con anello colorato e caratteri alfanumerici leggibili a distanza; il maschio è riconoscibile dalla femmina, soprattutto in abito nuziale, per la nuca color ruggine, la stria oculare nera e le sottili macchie nere ai lati del petto.

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diversi da quello originario ha permesso al fratino di resistere nell’ultimo mezzo secolo allo sviluppo del turismo balneare e agli effetti negativi determinati dall’erosione, dalla trasformazione e dall’inquinamento dei litorali. Negli anni Ottanta del secolo scorso appena il 10 % della popolazione nidificante in Emilia-Romagna utilizzava i litorali, mentre le saline costituivano l’ambiente con il maggior numero di coppie e con i massimi valori di densità e, insieme a stagni, valli da pesca e lagune costiere, ospitavano i due terzi circa della popolazione nidificante regionale. Ma in seguito la forte riduzione delle condizioni ambientali idonee per la riproduzione in questi ambienti ha relegato la specie principalmente all’ambiente originario, le spiagge, dove è però soggetta a una grande incidenza e varietà dei fattori di minaccia. Il fratino è tutelato dalla Direttiva comunitaria 2009/147 (ex 79/409) sulla “Conservazione degli uccelli selvatici”, e dal 2005 è riportato nell’Allegato I come specie di interesse comunitario. In effetti è una delle specie più minacciate in Europa e in Italia e, forse, è la più minacciata attualmente in Emilia-Romagna. La popolazione nidificante regionale ha, infatti, subito nell’arco di quasi trenta anni un marcato e continuo declino: 300-400 coppie nel periodo 1982-86, 115270 coppie nel periodo 1991-96, 40-50 coppie nel periodo 2008-11. Gli ambienti utilizzati per la riproduzione in Emilia-Romagna sono i litorali sabbiosi, le zone umide con acque lentiche salmastre o salate (stagni, lagune, valli da pesca, saline), le aree bonificate nel corso del Novecento e situate in prossimità di zone umide, i bacini di decantazione di fanghi e acque di zuccherifici, le zone umide d’acqua dolce create e gestite attraverso l’applicazione di misure agroambientali, i terreni temporaneamente privi di vegetazione in prossimità del litorale (parcheggi, aree di cantiere, aree di deposito di fanghi da dragaggi e scavi). In cinque di queste sei tipologie ambientali utilizzate per la nidificazione, negli ultimi trenta anni la popolazione si è fortemente ridotta o pressoché azzerata a causa di trasformazioni ambientali e fattori ecologici sfavorevoli per la specie. Solo i litorali sono stati caratterizzati negli ultimi decenni da una sostanziale stabilità del numero di coppie nidificanti, nonostante il successo riproduttivo molto basso di quest’ultime. È evidente che i litorali, pur essendo sicuramente ambienti ottimali per la disponibilità di cibo, costituiscono attualmente un sink habitat (habitat trappola) per la popolazione nidificante. Il loro intenso livello di antropizzazione, infatti, comporta ripetuti e costanti interventi di rimozione dei detriti dagli arenili e lavori di manutenzione delle spiagge per la balneazione durante l’insediamento delle coppie e all’inizio del periodo riproduttivo


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SOS fratino!

in marzo-aprile e più avanti, in maggio-giugno, la presenza di persone, cani vaganti, bagnanti e veicoli a motore che possono disturbare gli individui in cova e portare alla distruzione dei nidi, oltre a indurre la predazione di pulcini e uova da parte di cani, corvidi, gabbiani reali e ratti. Da non dimenticare, infine, è la frequentazione abusiva e la costruzione di capanni temporanei anche nei 19 chilometri di litorale delle Riserve Naturali Demaniali, in cui l’accesso sarebbe in realtà vietato. Nel 2008 l’Associazione Ornitologi dell’Emilia-Romagna ha avviato un programma di monitoraggio dei siti riproduttivi e delle coppie nidificanti presenti sul territorio regionale, che ha portato all’individuazione di circa 40-50 coppie nidificanti concentrate principalmente in due aree litoranee (Lidi ferraresi - Vene di Bellocchio e Foce Bevano). Dal 2010 il progetto comprende anche la marcatura degli adulti nidificanti con anelli in metallo e anelli colorati in PVC leggibili a distanza, che viene effettuata nell’ambito di un progetto nazionale coordinato da ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Questo ha

24-27 giorni. In caso di insuccesso la coppia può tentare una seconda nidificazione. I piccoli sono nidifughi e a 24-36 ore dalla nascita seguono già i genitori alla ricerca di cibo. La longevità massima registrata è di 14 anni e 11 mesi. I quartieri di svernamento della popolazione europea di fratino sono situati nelle zone umide costiere atlantiche, a sud del canale della Manica e della regione mediterranea, lungo le coste e nei laghi salati interni dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente. In Italia transitano in migrazione e probabilmente svernano individui provenienti dall’Europa settentrionale. Le popolazioni nidificanti nell’Italia settentrionale sono parzialmente migratrici. Al di fuori del periodo riproduttivo il fratino frequenta soprattutto le spiagge e le zone umide della fascia costiera. La migrazione post riproduttiva avviene tra agosto e metà ottobre e quella prenuziale tra fine febbraio e aprile inoltrato.

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umide costiere e nei laghi salati interni di tutti i paesi europei, fino alla Scandinavia meridionale, e dell’Africa settentrionale. In Italia la maggior parte delle 1500-1850 coppie stimate nel periodo 2009-10 è localizzata in Sardegna, Sicilia e nelle regioni adriatiche. Nidifica in colonie lasse o più spesso ai margini di colonie di limicoli, sterne e gabbiani oppure in coppie isolate. I nidi sono piccole buchette foderate con frammenti di bivalvi e/o sassolini e vengono costruiti in zone prive di vegetazione o con scarsissima copertura vegetale. Per la riproduzione vengono utilizzati anche ambienti artificiali di nuova formazione, soprattutto se collegati all’habitat di elezione rappresentato da sabbia, fango e terreni salmastri e asciutti. La deposizione avviene tra la metà di marzo e la metà di agosto (al massimo da fine aprile-maggio). Le uova, da una a tre, sono di color camoscio chiaro, macchiettate di nero, e vengono incubate per

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Il fratino è un piccolo limicolo che si nutre di insetti, crostacei e molluschi che scova nel fango o nelle zone di battigia.

• realizzare e ripristinare isole e dossi con condizioni idonee per la riproduzione della specie in saline, lagune e valli salmastre; • adottare una gestione dei livelli dell’acqua favorevole per il successo riproduttivo in saline e valli salmastre; • limitare la presenza del gabbiano reale e prevenirne, in particolare, l’insediamento nelle aree più vocate per la riproduzione del fratino.

permesso di seguire gli individui e valutarne il successo riproduttivo, le eventuali covate di sostituzione in seguito a fallimenti nonché la fedeltà al partner e ai siti di nidificazione. Le informazioni ottenute hanno confermato che il successo riproduttivo è molto basso (nullo per molte coppie) e indicato che la popolazione è costituita da un’elevata percentuale di individui con oltre dieci anni di età. Nel 2011, nonostante i tentativi di protezione dei nidi e dei pulcini attuati dai volontari dell’AsOER in collaborazione con il Corpo Forestale dello Stato e il Parco Regionale Delta del Po, solo 4 coppie delle circa 50 nidificanti hanno portato alla schiusa delle uova: in tutto sono nati 9 pulcini, di cui solo 3 si sono sicuramente involati. Nel 2012, su circa 50 coppie nidificanti, sono nati 12 pulcini, di cui soltanto 6 sono sicuramente arrivati all’involo. Si può quindi ipotizzare che, in mancanza di urgenti ed efficaci misure di conservazione che consentano un buon successo riproduttivo, la popolazione regionale sia condannata all’estinzione nei prossimi anni. Per questo è davvero indispensabile, da subito, coinvolgere sia gli enti che gestiscono le aree di riproduzione (comuni, capitanerie di porto, ecc.), sia le associazioni ambientaliste e quelle di volontariato, in modo che tutti si impegnino a collaborare, per quanto è nelle loro competenze e disponibilità, all’attuazione delle misure urgenti di conservazione del fratino definite dall’AsOER (www.asoer.org) in collaborazione con il Parco Regionale Delta del Po, il Corpo Forestale dello Stato e l’Amministrazione Provinciale di Ferrara. Non lasciamo che il fratino sparisca dal nostro litorale!

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Durante la stagione riproduttiva 2012 sono stati catturati e inanellati 21 adulti nidificanti che, sommati ai 57 individui marcati nel 2010 e 2011, danno un totale di 78 fratini inanellati in Emilia-Romagna (quasi la metà del numero totale degli individui stimati); 13 individui inanellati nel 2010 sono stati osservati nel 2011 nelle medesime aree di nidificazione; di questi solo 4 sono stati osservati nelle stesse aree nel 2012. Le osservazioni a distanza di un anno degli individui marcati nel 2011 sono più numerose e 4 individui hanno trascorso l’inverno 2011-2012 nelle stesse zone in cui hanno nidificato. Negli ultimi anni il numero delle coppie è risultato compreso tra 40 e 50, un numero che rappresenta una stima della reale situazione poiché, in considerazione della fenologia della specie, cioè del periodo riproduttivo molto lungo e del basso successo riproduttivo, i fratini tendono a cambiare partner nel corso della stessa stagione; agli individui presenti sul territorio da febbraio, che hanno deposto a inizio aprile, se ne aggiungono altri a inizio maggio, probabilmente migratori o reduci da fallimenti in altre aree di nidificazione, la cui presenza influisce sulla stima complessiva del numero di coppie. Le zone di nidificazione si concentrano in aree

litoranee delle province di Ferrara e Ravenna, spesso coincidenti con riserve naturali statali situate all’interno del Parco Regionale Delta del Po e caratterizzate da ambienti pressoché integri e ancora poco antropizzati. Un terzo circa della popolazione nidificante, invece, frequenta aree fortemente antropizzate, con stabilimenti balneari caratterizzate da residui di dune fossili. Sulla base delle esperienze già condotte e in corso in altre regioni italiane (Abruzzo, Marche) per la protezione del fratino durante la riproduzione nei litorali, anche in Emilia-Romagna sono state posizionate sui nidi delle “gabbie” di rete metallica a maglia larga che impediscono la predazione da parte di cani lasciati liberi e il calpestio accidentale da parte dei bagnanti, ma permettono ai fratini di entrare e uscire dal nido quando vogliono. La presenza di queste forme di protezione dei nidi è stata segnalata con pannelli informativi realizzati in collaborazione con il Parco Regionale Delta del Po, il Corpo Forestale dello Stato e l’Amministrazione Provinciale di Ferrara. Più in generale le azioni ritenute importanti e più urgenti per la tutela della specie in EmiliaRomagna sono le seguenti: • garantire la presenza di tratti di spiaggia e duna non soggetti alla rimozione di legni e detriti e alla frequentazione antropica durante il periodo riproduttivo (marzo-luglio); • controllare i fattori di disturbo antropico durante il periodo di insediamento delle coppie e per tutta la fase della riproduzione; • vietare la circolazione con mezzi motorizzati lungo le spiagge; • sensibilizzare bagnanti, turisti e gestori degli stabilimenti balneari riguardo alla protezione della specie;

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Le attività dei volontari per la protezione del fratino in Emilia-Romagna

La carta d’identità del fratino Il fratino è lungo 15-17,5 cm, ha un’apertura alare di 42-45 cm e pesa 39-48 g. È un limicolo di piccole dimensioni, con il tipico schema di colorazione del genere Charadrius: becco nerastro corto e sottile, parti superiori marroni, parti inferiori bianche, testa arrotondata, collare bianco evidente e banda nera del petto limitata ai lati, zampe relativamente lunghe e nerastre. Gli adulti di ambedue i sessi sono facilmente distinguibili solo in abito nuziale. I giovani somigliano alla femmina adulta rispetto alla quale hanno un piumaggio complessivamente più chiaro. L’iride è sempre bruno scuro. In volo è visibile una sottile ma distinta barra bianca che attraversa le ali, mentre le timoniere esterne sono completamente bianche. Il fratino si nutre essenzialmente di invertebrati che caccia a vista sui banchi di fango e sabbia affioranti e nell’acqua profonda pochi millimetri. È una specie quasi cosmopolita, che nidifica nelle zone

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GEV e tutela della fauna minore La L.R. 15/06 “Disposizioni per la tutela della fauna minore in Emilia-Romagna” stabilisce forme di salvaguardia per “tutte le specie animali presenti sul territorio emiliano-romagnolo di cui esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente, compresi i micromammiferi e i chirotteri, con esclusione degli altri vertebrati omeotermi”, affidando compiti per la loro protezione alla Regione stessa, ma anche a province, enti di gestione delle aree protette, comuni e comunità montane. È ormai assodato che, rispetto a queste tematiche, l’esercizio delle attività di tutela da parte delle istituzioni e degli enti preposti non può prescindere da una sempre diffusa conoscenza tra i cittadini delle specie animali oggetto di protezione, dei loro habitat e delle minacce a cui sono sottoposte e che, in questa prospettiva, di grande utilità può essere la sensibilizzazione e il permanente coinvolgimento di quella componente della popolazione che dedica il proprio tempo libero ad attività di volontariato a difesa dell’ambiente e della biodiversità. Nella prima fase di applicazione della legge sono stati così messi a punto e diffusi vari materiali conoscitivi sui gruppi faunistici tutelati (un dépliant, vari poster illustrativi della fauna di Monica Palazzini, particolarmente protetta, un volume sui diversi gruppi faunistici, i loro habitat e i Willer Simonati e Stefania Vecchio fattori di minaccia) e, subito dopo, è stata promossa un’iniziativa regionale rivolta alle Guardie Ecologiche Volontarie. Con l’ausilio del gruppo di lavoro sulla fauna minore istituito presso il Servizio Parchi e Risorse forestali, è stato predisposto il programma di un corso di aggiornamento/specializzazione in materia di tutela della fauna minore rivolto in primo luogo alle GEV ma aperto anche alla partecipazione di agenti della Polizia Provinciale e Guardiaparco. L’obiettivo del corso era quello di formare, all’interno dei raggruppamenti provinciali delle GEV, nuclei di guardie ecologiche particolarmente preparate sulla conoscenza, il monitoraggio e la vigilanza della fauna minore. Per l’organizzazione del corso ci si è avvalsi di Federgev, l’associazione di coordinamento della maggior parte dei raggruppamenti provinciali di GEV (con estensione ai raggruppamenti di Legambiente). Il programma del corso, articolato in dieci lezioni e due uscite sul campo, è stato finalizzato all’approfondimento, per i quattro gruppi sistematici oggetto di tutela (invertebrati, pesci, anfibi e rettili, micromammiferi, inclusi chirotteri) i seguenti aspetti: • tutela della fauna minore nelle convenzioni internazionali, nelle direttive europee e nella legislazione nazionale e regionale; • conoscenza delle specie rare e/o minacciate particolarmente protette ai sensi della L.R. 15/06; • riconoscimento degli habitat favorevoli per la sosta, riproduzione e sostentamento della fauna minore, con particolare riferimento alle aree protette e ai siti della Rete Natura 2000; di censimento e schede di rilevazione dei dati per il monitoraggio • metodi Nella pagina precedente, due esemplari di della specie; tritone punteggiato.

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fabio liverani

Un corso di aggiornamento per la qualificazione delle Guardie Ecologiche Volontarie


conservazione e gestione

GEV e tutela della fauna minore

Al termine del corso si è ritenuto opportuno valutare insieme ai partecipanti il gradimento e l’utilità dell’iniziativa attraverso un set di tre domande. La prima chiedeva semplicemente se il corso si era rivelato all’altezza delle aspettative e su quali aspetti della formazione di ciascuno avesse maggiormente inciso. Nella seconda domanda bisognava esprimersi su quale iniziativa fosse ritenuta più importante tra diffondere la conoscenza delle specie e dei corretti comportamenti per non danneggiarne l’esistenza, contribuire al monitoraggio delle specie e degli habitat sul territorio, vigilare sul rispetto della normativa di tutela e partecipare alla realizzazione di iniziative concrete di salvaguardia (soccorso in caso di pericolo o minaccia per gli individui di una determinata popolazione, realizzazione di microhabitat, sorveglianza dei siti riproduttivi, ecc.). La terza domanda invitava a indicare le iniziative concrete attraverso cui i partecipanti ritenevano utile proseguire l’esperienza formativa conseguita con il corso. Di seguito sono sintetizzate le risposte di due partecipanti al corso. Il corso ha soddisfatto ampiamente le mie aspettative, gli argomenti sono stati tutti interessanti e hanno colmato le lacune che avevo su alcuni taxa. I docenti sono stati bravissimi, anche adottando un linguaggio semplice, comprensibile anche per i non addetti ai lavori, e sono riusciti, almeno nel mio caso, a farmi comprendere concetti e situazioni non sempre facili da interpretare. Mi sono sempre interessato di fauna, in particolare di fauna marina mediterranea, ma anche di tutta quella “terrestre”, compresa la cosiddetta “fauna minore”. Ho apprezzato molto il corso e, se devo esprimere una preferenza, sono orientato verso gli anfibi, i rettili e i mammiferi, che conosco molto meglio, per esempio, degli artropodi. In relazione alla seconda domanda e al contributo che possiamo dare, non mi sento di escludere nessuna delle opzioni proposte. Le ritengo tutte di primaria importanza. Per quanto mi riguarda cambierei solo l’ordine, nel senso che personalmente preferirei dedicarmi prima di tutto a vigilare sul rispetto della normativa e poi, in successione, a contribuire al monitoraggio delle specie e degli habitat,

stefania vecchio

fabio ballanti

francesco grazioli

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In alto, due esemplari di Rana temporaria in accoppiamento e, sopra, un saettone. In basso, rinolofo eurìale (Rhinolophus euryale) e barbo canino.

Il corso nella voce dei partecipanti

partecipare alla realizzazione di iniziative concrete di salvaguardia e diffondere la conoscenza delle specie e i corretti comportamenti (in realtà, già da tempo mi occupo di sensibilizzazione, nelle scuole e non solo, nei confronti di tutta la fauna e dell’ambiente in generale). Sono della Zona 5, vale a dire l’Imolese. La nostra competenza territoriale comprende tutta la vallata del Santerno, con i relativi comuni, e poi Dozza, Castel San Pietro, oltre naturalmente a Imola, per quanto riguarda la parte a sud della Via Emilia, mentre nella parte nord rientrano i comuni di Mordano, Castelguelfo e Medicina. In totale sono dieci comuni: un territorio eterogeneo e interessante. Dalle parti di Castel San Pietro, ad esempio, c’è un tratto di strada dove, nel

periodo riproduttivo, una gran quantità di rospi comuni resta sull’asfalto nelle serate di pioggia. Spesso vado e aiuto gli anfibi ad attraversare, ma con un piccolo intervento si potrebbe fare di più. È solo un esempio. Poi c’è il gambero di fiume, presente nell’alta vallata, e altro ancora. Gianni Neto, CPGEV Bologna - Zona 5 Il corso ha soddisfatto in pieno le nostre aspettative, grazie soprattutto alle competenze dei docenti e al loro entusiasmo, che hanno saputo trasmettere ai partecipanti. Per quanto riguarda le iniziative proposte, meritano tutte grande considerazione. L’importanza di diffondere conoscenza e comportamenti corretti è indubbia: è un investimento per il futuro, dal momento che stimola la conoscenza della natura soprattutto nei giovani. Monitoraggio e vigilanza le considero due azioni abbastanza interdipendenti, che richiedono altresì tempestività di intervento nelle aree di interesse. Per quanto riguarda la partecipazione a iniziative concrete di salvaguardia, mi sembra si tratti di una fase che necessariamente segue quelle di monitoraggio e vigilanza e deve evidentemente coinvolgere le competenze di esperti e contemplare la loro collaborazione. Penso che le GEV di Parma (ma parlo a titolo personale) possano inserirsi in attività finalizzate alla diffusione delle conoscenze sulla fauna minore e dei corretti comportamenti per preservarla, oltre che organizzarsi per eseguire alcuni monitoraggi in aree ben definite (ad esempio lungo Stirone, Taro ed Enza). Gino Matteucci, CPGEV Parma

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fabio ballanti

claudio pia

• nozioni di pronto intervento per gli animali in difficoltà; • interventi di protezione attiva e/o di miglioramento ambientale previsti o possibili; • metodi di censimento e contenimento; • criteri e metodi di confinamento per la fauna minore alloctona; • precauzioni di ordine sanitario nei contatti con le specie. Il medesimo programma è stato svolto, tra aprile e giugno 2012, in tre sedi diverse, in modo da coinvolgere le GEV di tutte le province: nella sede di Parma per i raggruppamenti provinciali di Parma, Piacenza e Reggio Emilia; nella sede di Bologna per i raggruppamenti di Bologna, Ferrara e Modena; nella sede di Cesena per i raggruppamenti di Forlì-Cesena, Rimini e Ravenna (ma nessuna GEV di quest’ultima provincia ha purtroppo partecipato al corso). Il corso era aperto a non più di dieci guardie per raggruppamento, con l’eccezione di quelli più numerosi. L’adesione è stata su base volontaria, previa presentazione di un curriculum personale che dimostrasse l’attività svolta dalla singola guardia ecologica, con particolare riferimento ad attività di controllo e censimento della fauna selvatica. Al corso hanno aderito complessivamente 130 GEV. Tutte le guardie che hanno concluso il corso, partecipando ad almeno l’80% delle lezioni svolte (ciascuna della durata di tre ore) e a un’uscita sul campo (della durata di 5-7 ore), sono state sottoposte a un test finale e hanno ricevuto un attestato di partecipazione. Le GEV che hanno concluso il corso sono risultate così distribuite nei singoli ambiti provinciali: 7 a Piacenza, 15 a Parma, 17 a Reggio Emilia, 9 a Modena, 19 a Bologna, 10 a Ferrara, 16 a Forlì-Cesena e 7 a Rimini, per un totale di 100 guardie (più un agente della Polizia Provinciale di Parma). I relatori sono stati individuati tra gli esperti dei vari gruppi sistematici di fauna minore che compongono il gruppo di lavoro regionale: Francesco Nonnis Marzano per i pesci, Roberto Fabbri e Lorenzo Pizzetti per gli invertebrati, David Bianco per i chirotteri, Giancarlo Tedaldi per gli anfibi e i rettili, Ornella De Curtis per i micromammiferi. Le materie trattate hanno fortemente coinvolto le guardie presenti sia riguardo alla conoscenza delle singole specie che in relazione alla loro presenza sul territorio, allo status e ai principali fattori di minaccia. Sicuramente importante è ora riuscire a dare continuità di azione alle guardie che tramite il corso si sono specializzate in materia di tutela della fauna minore, anche per non disperdere il capitale di entusiasmo accumulato, coinvolgendole nelle attività di monitoraggio delle specie e degli habitat, in primo luogo all’interno di aree protette e siti della Rete Natura 2000.

GEV e tutela della fauna minore

archivio federgev

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Il progetto RIVIVRÒ

tiche avviate dalla Regione Emilia-Romagna e dagli enti locali, sia in materia di tutela del territorio che di regolamentazione dell’agricoltura e delle altre attività antropiche, stanno determinando un’inversione di tendenza. Il progetto ha avuto come obiettivo la riqualificazione del sistema di piccole aree protette della pianura interna della Romagna e della rete ecologica tra tali aree, comprese tra il fiume Reno a nord, il torrente Sillaro a ovest, il fiume Lamone a est, il canale Emiliano-Romagnolo a sud, mediante il ripristino di habitat per favorire le specie rare presenti e ricreare le condizioni per la reintroduzione delle specie estinte tra il 1950 e oggi. Il progetto, finanziato dalla Regione Emilia-Romagna nell’ambito del Piano di Azione Ambientale per uno Sviluppo Sostenibile e dalla Provincia di Ravenna, ha visto come protagonisti e cofinanziatori i comuni di Alfonsine, Bagnacavallo, Conselice, Cotignola, Fusignano, Lugo, Massa Lombarda, riuniti nell’Unione dei Comuni della Bassa Romagna, quello di Russi. Le aree protette coinvolte sono state la Riserva Naturale Alfonsine, le Aree di Riequilibrio Ecologico “Bacini di Conselice”, “Canale dei Mulini di Lugo e Fusignano”, “Podere Pantaleone”, “Villa Romana di Russi”, i siti della Rete Natura 2000 “Biotopi di Alfonsine e Fiume Reno” e “Bacini di Massa Lombarda”. L’Università di Pavia e l’associazione Aquae Mundi, quest’ultima con la supervisione scientifica dell’Università di Bologna, hanno collaborato con gli enti locali per la scelta e la programmazione degli interventi e hanno direttamente realizzato le attività di ripopolamento o reintroduzione delle specie vegetali e animali. I singoli comuni gestori e la Provincia di Ravenna hanno realizzato i vari interventi di gestione, ripristino e conservazione ambientale, come l’acquisto di alcune piccole aree di valore, la realizzazione di stagni idonei a ospitare le specie reintrodotte, la realizzazione di pozzi artesiani per il ripristino o la riqualificazione di habitat acquatici oligotrofici, la sistemazione delle sponde dei bacini di cava, la creazione di prati naturali o di campi di specie segetali, la realizzazione di siepi alberate e filari. Contemporaneamente sono state realizzate attività dirette di conservazione, mediante coltivazione o allevamento ex situ per rafforzare i contingenti disponibili e creare lotti di riproduttori atti a permettere gli interventi di reintroduzione o ripopolamento, partendo da esemplari reperiti localmente o, per le specie estinte, dai popolamenti geograficamente più vicini. Per le specie di piante sono, inoltre,

massimiliano costa

Il progetto RIVIVRò I più anziani forse ricordano quando i canali di bonifica erano ricoperti di candide ninfee, che ne ornavano le acque in primavera. Quelli un po’ più giovani non hanno mai visto i canali così, ma possono ricordare i lamineti di ninfee bianche nelle poche paludi residue e nelle casse di espansione dei fiumi. I nostri figli non potranno ricordare nemmeno questo: le ninfee sono ormai estinte nella maggior parte delle zone umide interne e rischiano di scomparire del tutto dalla nostra pianura. Le ninfee sono soltanto un esempio: centinaia di piante e di animali acquatici stanno subendo la stessa sorte. Proseguendo su questa pericolosa strada, la pianura padana sarà presto un deserto biologico. Il progetto RIVIVRÒ, che sta per Riequilibrio della Vegetazione, degli Invertebrati e dei Vertebrati nella Romagna Occidentale, è nato dalla consapevolezza del dissesto ecologico presente nella parte interna della pianura romagnola, in cui decenni di colture intensive e sfruttamento del territorio, dall’ultimo dopodi Massimiliano Costa guerra sino alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, hanno causato la perdita Provincia di Ravenna quasi totale di ambienti naturali e l’estinzione o la drastica diminuzione locale di Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità - Romagna molte specie animali e vegetali, in particolare negli ecosistemi acquatici. A partire dai primi anni Novanta la mutata sensibilità ambientale, una maggiore attenzione per la conservazione del patrimonio naturale e dell’ecosistema, l’emanazione delle leggi sulle aree protette e della direttiva 92/43/CEE, le poli-

In alto, particolare della splendida fioritura dello specchio di Venere (Legousia speculum-veneris), una specie presente nel campo di grano naturale presso l’area di riequilibrio ecologico Podere Pantaleone, e, sopra, la ninfea bianca, una delle idrofite reintrodotte negli stagni delle aree protette della Bassa Romagna, grazie al prelievo dei rizomi da Val Campotto e dalla Villa Romana di Russi, dove erano conservati gli ultimi esemplari di Valle Mandriole, in cui la specie è estinta da ormai una decina di anni. Lo stagno realizzato nel Podere Pantaleone, in comune di Bagnacavallo, alimentato con acque di falda, ha dato i risultati migliori in termini di attecchimento e propagazione delle piante acquatiche, anche le più esigenti. Nella pagina precedente, uno dei pannelli dedicati al progetto Rivivrò e al sistema delle aree protette della Bassa Romagna, installato presso il Bosco di Fusignano, nell’area di riequilibrio ecologico Canale dei Mulini di Lugo e Fusignano.

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Per far rinascere le piccole zone umide nella parte interna della Romagna

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Nella pagina successiva: in alto, una fase del lavoro per la ricostruzione degli habitat perifluviali presso le golene del fiume Reno ad Alfonsine; al centro, una classe assiste all’inserimento di alcune idrofite nello stagno del Podere Pantaleone; in basso, due esemplari di testuggine palustre, una specie allevata nelle strutture dell’associazione Aquae Mundi, a partire da alcune decine di esemplari recuperati da una discarica abusiva nei pressi di Russi.

roberto fabbri

stati raccolti i semi di altre specie rare, poi conferiti alla banca del germoplasma Lombardy Seed Bank, che ha sede presso l’Università di Pavia. Tra le specie di piante trattate dal progetto compaiono numerose idrofite, tra cui ninfea bianca (Nymphaea alba), nannufaro (Nuphar lutea), genziana d’acqua (Nymphoides peltata), castagna d’acqua (Trapa natans), erba pesce (Salvinia natans), utricularia (Utricularia australis), ed elofite, come giglio di palude (Iris pseudacorus), giunco fiorito (Butomus umbellatus), tifa a foglie strette (Typha angustifolia), tifa minore (Typha minima), campanellino estivo (Leucojum aestivum), aglio odoroso (Allium suaveolens). Sono state trattate anche piante non legate agli ambienti umidi, tra cui numerose specie degli xero-brometi, vale a dire dei prati aridi localmente presenti sugli argini (Bromus erectus, Salvia pratensis, Blackstonia perfoliata, Leucanthemum vulgare, Hypericum perforatum) e dei coltivi (come le segetali Papaver spp., Centaurea cyaneus, Galium tricornutum, Ranunculus arvensis, Legousia speculum-veneris, Consolida regalis, Nigella damascena, Agrostemma githago). Sono inoltre stati effettuati interventi per la diffusione delle lingua cervina (Phyllitis scolopendrium) e la reintroduzione del trifoglio acquatico (Marsilea quadrifolia), una delle poche specie protette dalla direttiva 92/43/CEE presenti nel territorio regionale e da tempo estinta in provincia di Ravenna. Per quanto riguarda gli animali, gli interventi hanno riguardato alcune specie di pesci tipici delle acque a lento corso della pianura padana, come luccio (Esox lucius), tinca (Tinca tinca), scardola (Scardinius erythrophthalmus), triotto (Rutilus erythrophthalmus), cercando di ricostituire cenosi autoctone in bacini protetti e confinati, poiché alimentati da acque di falda. Inoltre, sono state ripopolate o reintrodotte alcune specie di anfibi e rettili, a partire da riproduttori strettamente locali: tritone crestato (Triturus carnifex), tritone punteggiato (T. vulgaris), rana agile (Rana dalmatina), raganella (Hyla intermedia), testuggine palustre (Emys orbicularis). Per la rana di Lataste (Rana latastei) non è stato possibile procedere alle attività previste, a causa dell’impossibilità di reperire riproduttori locali, poiché la specie è ormai sull’orlo dell’estinzione nel complesso storico di presenza tra Punte Alberete e il Bardello. Il controllo delle specie esotiche, in particolare delle testuggini palustri di origine nordamericana (Trachemys scripta ssp. scripta e ssp. elegans) finalizzato alla sopravvivenza della testuggine europea, ha permesso di asportare e conferire al centro autorizzato della Provincia di Perugia, oltre 1000 esemplari. Gli interventi di rinaturalizzazione più riusciti sono stati realizzati nel Podere Pantaleone, dove l’attenta gestione e la realizzazione di uno stagno alimentato dalle acque di falda profonda per mezzo di un pozzo artesiano, appositamente scavato, hanno permesso la sopravvivenza di tutte le specie di piante acquatiche, anche le più sensibili (a differenza di quanto accaduto nei bacini alimentati con acque superficiali, dove la pessima qualità dell’acqua ha causato rapidamente la morte delle piante!) e l’affermazione del prato arido e del campo di segetali. Altrettanto riusciti sono stati gli interventi presso le golene del Reno ad Alfonsine, mediante i quali sono realizzati boschi ripariali e golenali, due lanche e prati umidi e aridi su una superficie di oltre 10 ettari, in virtù della concessione ottenuta dal Servizio Tecnico di Bacino e di uno specifico accordo agro-ambientale con un’azienda agricola locale. Al progetto di intervento è stato affiancato un parallelo progetto di educazione ambientale, allo scopo di diffondere il valore della conservazione della biodiversità e del riequilibrio dell’ecosistema in territori fortemente antropizzati come quello della Bassa Romagna e accrescere il livello di gradimento delle aree protette locali. Il progetto si è sviluppato secondo due linee di azione, una rivolta agli alunni delle scuole e una rivolta ai residenti della Bassa Romagna. Sono state in particolare coinvolte le scuole primarie, dalla terza alla quinta, per un totale di 85 classi e 1878 bambini, organizzando per ciascuna classe una lezione in aula (con un kit didattico e un opuscolo informativo specificatamente realizzati), una visita

Il progetto RIVIVRÒ

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Il progetto RIVIVRÒ

guidata presso l’area protetta presente nel comune della scuola, un laboratorio pratico di intervento per la riqualificazione ambientale o la reintroduzione di specie (in alcuni casi nel corso della stessa visita guidata). Il progetto richiedeva la stesura di un elaborato finale alla conclusione dell’esperienza e gli elaborati più interessanti sono stati premiati con attrezzature per la ricerca di campo (retini, microscopi, presse per erbario, manuali di identificazione). Per la sensibilizzazione degli adulti, invece, sono state organizzate sette conferenze serali, una per ciascuna area protetta aderente al progetto, che si sono svolte nella primavera 2011, durante le quali è stato presentato il progetto e sono state illustrate le caratteristiche delle piccole aree protette della Bassa Romagna. In ogni sito di intervento, inoltre, sono stati posizionati pannelli esplicativi e un pannello, comune a tutti, di presentazione del sistema delle piccole aree protette della Bassa Romagna. Grazie all’associazione Aquae Mundi, infine, il progetto è stato presentato nel corso del noto programma RAI Geo&Geo, in tre puntate rispettivamente dedicate alla conservazione di pesci, anfibi e rettili. Il progetto ha dato ottimi risultati in termini di conservazione di alcune specie vegetali e animali localizzate, rare, minacciate e di reintroduzione di specie estinte, dando corpo al sistema di aree protette della Bassa Romagna e coinvolgendo in un’unica attività collegiale i gestori dei siti e delle attività didattiche. Il progetto ha inoltre favorito il potenziamento della funzione di corridoio ecologico del Reno. Il fiume, che chiude a nord la pianura romagnola e rappresenta un asse portante per la conservazione della diversità biologica a livello regionale, come è noto collega le valli di Argenta a quelle di Comacchio, oltre a far parte delle aree di collegamento ecologico regionali e della rete ecologica provinciale e a essere tutelato in qualità di SIC- ZPS.

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In alto, lo stagno realizzato all’interno del Boschetto dei Tre Canali, una delle stazioni della Riserva Naturale di Alfonsine, in cui l’acqua penetra per affioramento dai canali circostanti o in cui ristagna dopo le piogge e, sopra, il manifesto delle serate organizzate per divulgare le finalità del progetto e l’importanza della conservazione della biodiversità.

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L’Alta Via dei Parchi

andare, andare! Breve antologia di brani sull’Appennino in Emilia-Romagna

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*** [22 ottobre 1786]. Gli Appennini mi appaiono come un interessante pezzo di mondo. Alla grande pianura padana fa seguito una catena di monti che si eleva dal basso verso sud a chiudere fra due mari la terraferma. Se queste montagne non si ergessero tanto alte e scoscese sopra il livello del mare, e non fossero

il vasto piede dei monti Corno alle Scale, la Nuda e Fabuino, e a sinistra l’orrida parete di quelle rocciose montagne che prendono il nome di Riva. Giovan Battista Comelli, Dalla Futa al Cimone, in L’Appennino bolognese 1881, Club Alpino Italiano - Sezione di Bologna, 1881

nino si illuminò di un sole bellissimo (…). La serenità era. Alfonso Rubbiani, Un ricordo dell’Appennino, 1889

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La piccozza Da me, da solo, solo e famelico, / per l’erta mossi rompendo ai triboli / i piedi e la mano, / (…) Ascesi senza mano che valida / mi sorreggesse, né orme ch’abili / io nuovo seguissi / su l’orlo d’esanimi abissi. // Ascesi il monte senza lo strepito / delle compagne grida. Silenzio. / Ne’ cupi sconforti / non voce, che voci di morti. // Da me, da solo, solo con l’anima, / con la piccozza d’acciar ceruleo, / su lento, su anelo, / su sempre; spezzandoti, o gelo! // E salgo ancora, da me, facendomi / da me la scala, tacito, assiduo; / nel gelo che spezzo, scavandomi il fine ed il mezzo. / Salgo; e non salgo, no, per discendere, / per udir crosci di mani, simili / a ghiaia che frangano, / io, io, che sentii la valanga; // Ma per sostare là dov’è ottimo / restar, sul puro limpido culmine, / o uomini; in alto, / pur umile: è il monte ch’è alto; // Ma per restare solo con l’aquile, / ma per morire dove me placido / immerso nell’alga / vermiglia ritrovi chi salga: // e a me lo guidi, con baglior subito, la mia piccozza d’acciar ceruleo, / che, al suolo a me scorsa, / riflette le stelle dell’Orsa. Giovanni Pascoli, Odi e inni, 1906-1913

*** (…) Pracchia ha un buon albergo (Albergo dell’Appennino) dove invitiamo a prendere riposo perché al domani una faticosa corsa di almeno 8 ore ci spingerà innanzi un bel tratto di itinerario, e ci permetterà di riacquistare l’alto crine appenninico all’Uccelliera, al Corno alle Scale ed allo Scaffajolo. (…) Questa ascensione è magnifica, e un alpinista la farà in meno di 5 ore (…). Il Corno alle Scale (alto m. 1939,19) riceve tal nome dagli strati del macigno appenninico tagliati verso levante da un altissimo dirupo a guisa di giganteschi scaglioni. Dalla sua vetta che protendesi alquanto spianata in linea S-N si scorgono distintamente, se il cielo è limpido, le acque dei due mari, e quelle del Po; e così le isole del Mediterraneo e perfino coll’aiuto di un buon cannocchiale i navigli che lo solcano, e infinite pianure e montagne fino alla cerchia nevosa delle Alpi tirolesi. Il Corno alle Scale è altresì l’Eden dei botanici per la sceltezza delle piante alpine che vi si raccolgono (Aquilegia alpina, Aster alpinus, Bellidiastrum michelii, Primula auricola, Primula suaveolens, Potentilla aurea, Daphne mezereum). Qui siamo giunti da Pracchia in 5 ore, ma ne impiegheremo una scarsa per passare al celebratissimo lago di Scaffajolo che troveremo anch’esso sullo stesso crine a ponente del Corno volgendoci verso M.e Spigolino. Dalle balze orientali di quest’ultimo nasce il torrente Dardagna che apre la sua alpestre vallata scendendo verso settentrione, e lambendo a destra

tanto stranamente articolate da aver impedito nei tempi andati una maggiore e più costante azione delle maree, capace di formare pianure più ampie e più soggette ad alluvioni, questa sarebbe una terra stupenda col più mite dei climi, un po’ più elevata del resto del paese. Così, invece, è un singolare groviglio di dossi montuosi contrapposti gli uni agli altri; sovente non si riesce a distinguere in che direzione corrono le acque… Wolfgang Goethe, Viaggio in Italia, 1816-17

*** Nel dopo pranzo del 10 agosto dell’istesso anno [1789] partii da Fanano per il Cimone, e la sera mi ricoverai in un tugurio di pastori nel sito che chiamano i Faggi, per cominciar ivi la zona di questi alberi. Sorto dal letto un’ora dopo la mezza notte, proseguii il mio viaggio col favore d’un bellissimo chiaro di luna, determinato di trovarmi su l’eminenza del monte prima del giorno, per poter di lassù vagheggiare il sole nascente. Superata dunque quella fascia di faggi che per traverso si stende quasi d’un miglio, e fatto più in alto qualche ulterior cammino, entrai in un larghissimo piano erboso che guarda la Lombardia, chiamato Piano Cavallaro, per servir di pascolo nella state ai cavalli. Fino a questo luogo la salita non è disagevole, ma il restante del cammino per arrivare al Cimone è ripidissimo, e tutto ingombro di massi di sasso arenario, il qual posso dire che da Fanano a quel sito accompagnò sempre i miei passi. Un’ora e mezzo prima dell’alba

superato aveva quella sommità, nascostasi già la luna sotto dell’orizzonte, ma quelle tenebre venivano tratto tratto diradate da un luminoso e giocondo spettacolo. Lazzaro Spallanzani, Viaggi alle due Sicilie e in alcune parti dell’Appennino, 1826

*** Pietra Mala. 19 gennaio. Lasciando Bologna per traversare l’Appennino, la strada per Firenze segue dapprima una bella vallata quasi verdeggiante. Dopo aver camminato per un’ora costeggiando il torrente, abbiamo cominciato a salire fra boschetti di castagni che fiancheggiano la strada. Giunti a Loiano e guardando a nord, abbiamo visto un magnifico panorama: lo sguardo coglie in diagonale la famosa pianura di Lombardia, larga quaranta leghe, e che in lunghezza si stende da Torino a Venezia. Confesso che ciò si intuisce, più che non si veda; ma è bello immaginare tante celebri città perse, in mezzo a questa immensa pianura coperta d’alberi come una foresta. All’italiano piace fare il cicerone. Il mastro di posta di Loiano ha voluto convincermi che vedevo il mare Adriatico (diciannove leghe): ma questo onore non l’ho avuto. Sulla sinistra è tutto più vicino e le fitte cime degli Appennini suggeriscono l’immagine singolare di un oceano di montagne ritraentesi in ondate successive. Ringrazio il cielo di non essere scienziato: queste rocce ammassate l’una contro l’altra mi hanno dato stamattina una vivissima emozione (è un tipo di bellezza), mentre il mio compagno, dotto geologo, vede in questo

antonella lizzani

Mino Petazzini

spettacolo che mi commuove solo argomenti per dare ragione al suo compatriota, signor Scipione Breislak, contro alcuni scienziati inglesi e francesi… Stendhal, Roma, Napoli, Firenze, 1826

aldo fantini

In un’annotazione degli anni ’50, Delfino Insolera scriveva: “La montagna ha avuto tanti retori, pochi poeti”. Ed è vero o almeno era sicuramente vero in quegli anni, soprattutto per le Alpi, perché più tardi, in realtà, diversi scrittori e qualche poeta hanno raccontato le zone montane e le vette con accenti meno aulici e convenzionali di quanto, con importanti eccezioni, era avvenuto in passato. Ma l’Appennino? Anche in letteratura ha sicuramente avuto meno cantori e, forse, la sua fama “minore”, almeno in altezza, rispetto alle Alpi, ha molto attenuato, nell’accostarsi ai suoi boschi, praterie d’altitudine e cime, gli eccessi di lirismo, eroismo, superomismo tipici della letteratura alpina di un tempo. Ma l’Appennino emiliano-romagnolo, negli ultimi due-tre secoli, ha avuto anch’esso i suoi smaglianti descrittori, a cominciare da Dino Campana, più volte citato anche in precedenti numeri di Storie Naturali, dal quale ho preso l’esortazione del titolo. Lo scrittore di Marradi si è ormai imposto, con il suo viaggio verso il santuario de La Verna descritto nei Canti Orfici e le sue intense e audaci descrizioni dell’Appennino romagnolo e toscano, come una sorta di patrono laico di tutti gli escursionisti che camminando in montagna, oltre a cercare panorami, paesaggi, luoghi suggestivi, piante, animali, tendono a cercare se stessi (e forse un po’ anche a perdersi). Come dimostra anche questa breve antologia frettolosamente compilata, c’è tuttavia molto altro: da Goethe a Stendhal, da Pascoli a Bertolucci, da Bacchelli a Crovi e così via. Leggere i brani raccolti, e qualche altro tralasciato per ragioni di spazio, dà l’impressione che il nostro Appennino, per la sua stessa conformazione, abbia sempre e comunque indotto chi ne scriveva a uscire dagli schemi della letteratura di montagna fondata sui paesaggi alpini, e lo abbia condotto verso una sorta di “via appenninica” al racconto della montagna, che è profondamente diversa dall’altra, peculiare nei toni, nei colori e negli accenti, ma ugualmente capace di penetrarne il segreto e coglierne la bellezza.

L’Alta Via dei Parchi

Fu detto bene che la pace abita in alto. Su nelle grandi cime dei monti dove natura è bella, soltanto bella, la tempesta passa e ripassa come una meteora innocente di strepiti, di lampi, di folgori, di caligini, solo per moltiplicare i sorrisi e le feste della luce che ritorna salutando gli scogli vittoriosi della tormenta. (…) Ricordo quando un giorno dal picco aguzzo di Monte Beni vidi come ritorna il sereno in alto, dove nessuno abita. Quanta gloria nell’atmosfera! La bufera mi aveva flagellato, nel salire, per qualche ora. Ma la cima emergeva dalla fumea di quelle nubi che in basso pareano sospinte dagli angeli delle tenebre. E in quel momento, come ad un cenno, la tempesta sfinì. Scure, immobili ristettero le nubi più alte, ingombrando tutta la volta del cielo. Solenne silenzio si fece. A un tratto quell’immenso buio emisfero si sollevò, e tutt’attorno all’orizzonte il sereno apparve come un sottile anello di luce d’oro a trasparenza zaffirina. Cento e cento vette dell’Appennino dal Cimone alla Falterona, sorsero su per incanto come isole e scogli cerulei sopra un liscio mare di nubi immobili che si accendeva qua e là di momentanei guizzi d’oro come fosse d’opale. (…) Il vento riprese, il mare di nubi si sciolse accavallandosi, le nebbie scesero frettolose incalzandosi per le valli; di là giù dalla pianura giunse ancora un brontolio di tuono; l’Appen-

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ecoturismo


Dopo Pavullo il paesaggio diventò incantevole. La luce dell’Appennino (perché l’alto Appennino ha una sua luce) si stendeva su lo smeraldo dei prati che parevano usciti allora dalle mani del barbiere, tanto erano rasi perfettamente; i boschi dei castagni si raggruppavano in macchie scure e superbe con entro sfondi e padiglioni, dove il sole scherzava con mille occhi di porpora e fiamma. E le cose erano grandi e solenni, e non c’era anima viva; e perché la bella strada pianeggiava in lieve discesa, la fatica dell’andare era nulla e tutta l’anima era nella vista. (…) Quando giunsi all’Abetone, l’anima si ricondensò e la nube si sciolse e scaricò in miserabile pioggia. All’Abetone trovai il mondo in piena civiltà internazionale: grandi hôtels, luce elettrica, automobili, chauffeurs, le solite signore vestite secondo il culto feticista imposto dalla moda: camerieri in grande sparato e abito nero, bambinaie che parlavan tedesco; signori dal vestito impeccabile: in una parola il solito culto del “Vitello d’Oro”. Alfredo Panzini, La lanterna di Diogene, 1907

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Sulle montagne (Dalla Falterona a Corniolo) // Andare andare: l’anima divina / S’annebbia: le caligini del Fato / Premon: non dunque mai per la reclina / Fronte l’ala del tuo bacio affiorato / O bellezza o tu sola; Andare, andare! / E il borgo apparve in mezzo a la montagna: / E su le roccie torreggiava bianco / E grigio e a lui nel mio pensiero alterno / Fluiron le correnti della vita… / O se come il torrente che rovina / E si riposa nell’azzurro eguale, / Se tale a le tue mura la proclina / Anima al nulla nel suo andar fatale, / Se a le tue mura in pace cristallina / Tender potessi, in una pace eguale / E il ricordo specchiar di una divina / Serenità perduta, o mia immortale / Anima!… Dino Campana, Canti Orfici, 1914

*** Un’impetuosa fiumana appenninica, convertita dal sole in riverbero di sassi, conduce il treno tra le forre degli alti Appennini. Sono dirupi e frane su cui cantano le cicale; e ci fanno, a margine coi faggi, i castagneti e la vigna. L’argilla e l’arenaria, al sole difficile, sembrano salate dal mare geologico di cui sono il fondo asciugato. Le valli sono piene d’aria cruda, d’estraneità e di melancolia, anche d’estate. Tra le case di sasso, i campanili sono dipinti di rosso. Nel colore e nell’architettura di questi monti lineati, stanno latenti e palesi le ragioni geolo-

giche; essi sono prima dell’uomo. Le strade, in capo a lunghissimi tratti fermi e vuoti, di pulito brecciame azzurrino, nel girare la spalla dei monti si pongono e voltano per intero contro cielo, e continuano di là. A Pracchia, i margini più mossi delle erbose conche di silenzio donato e di fragole fragranti, prendono più di cielo. Le strade alberate sono andanti. I monti assistono, l’ora si va accidentando, e una promette l’altra. Sono paci disposte, e sembrano regalate. Riccardo Bacchelli, Memorie di un tempo presente, 1919-1920

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Qualche vaga notizia dei tuoi monti, / la loro vita solitaria e povera / di decaduti, di dimenticati… / Dov’è più il tempo ingenuo di loro signoria / di chi saliva ad essi, inorgogliendosi? / L’Uccelliera, il Cielvivo, il Toccacielo, / la Donna Morta, la Nuda, l’Orsigna, / il Libro Aperto… Partenze notturne, / passi allegri e chiodati, bastoni ribattuti / in cadenza di marcia avventurosa, / l’attesa dei due mari da scoprire / dalla vetta raggiunta, in esultanza… / Ma sì, ancora qualcuno vi ascende, / qualcuno sembra muoversi là, per quegli alti pascoli, / una figura trascorre, visibile, sul Corno. Gaetano Arcangeli, L’Appennino, 1951-1958.

Verso Casarola Lasciate che m’incammini per la strada in salita / e al primo batticuore mi volga, /già da stanchezza e gioia esaltato ed oppresso, / a guardare le valli azzurre per la lontananza, / azzurre le

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valli e gli anni / che spazio e tempo distanziano. / Così a una curva, vicina / tanto che la frescura dei fitti noccioli, e d’un acqua / pullulante perenne nel cavo gomito d’ombra / giunge sin qui dove sole e aria baciano la fronte le mani / di chi ha saputo vincere la tentazione al riposo, / io veda la compagnia sbucare e meravigliarsi di tutto / con l’inquieta speranza dei migratori e dei profughi / scoccando nel cielo il mezzogiorno montano / del 9 settembre ’43. Oh campane / di Montebello Belasola Villula Agna ignare, / stordite noi che camminiamo in fuga / mentre immobili guardano da destra e da sinistra / più in alto più in basso nel faticato appennino / dell’aratura quelli cui toccherà pagare / anche per noi insolventi, / ma ora pacificamente lasciano splendere il vomere / a solco incompiuto, asciugare il sudore, arrestarsi / il tempo per speculare sul fatto / che un padre e una madre giovani un bambino e una serva / s’arrampicano svelti, villeggianti fuori stagione / (o gentile inganno ottico del caldo mezzodì), / verso Casarola ricca d’asini di castagni e di sassi… Attilio Bertolucci, Viaggio d’inverno, 1971

*** In settembre, un po’ per visitare gli amici e un po’ per rivisitare i luoghi, Fabio ha fatto, guidato da Enrico, un rapido giro dell’Appennino, partendo dal reticolato arterioso delle strade dei fondovalle, per riscoprire il reticolato venoso dei monti e dei fiumi. Le attuali strade di scorrimento sono state tracciate dopo che i centri abitati avevano avuto configurazione: lo si rileva immediatamente, perché i paesi si scorgono, via via, in alto, in basso, di fianco o dal retro;

in un certo senso, spiano e proteggono le vallate. La successione dei crinali la si osserva al meglio dalla sommità della Pietra di Bismantova: da sinistra a destra si vedono il monte Cusna (nel comune di Villa Minozzo) innevato quasi tutto l’anno, il Cavalbianco (nel comune di Ligonchio), l’Alpe di Succiso (che divide il comune di Collagna da quello di Ramiseto) e il Ventasso (al confine dei comuni di Ramiseto e Busana). I punti estremi dell’Appennino sono a est Civago (nel comune di Villa Minozzo) e a ovest Miscoso (nel comune di Ramiseto): nei loro prati e boschi crescono boleti e mirtilli. Raffaele Crovi, Appennino, 2003

*** Fin dalle prime curve del sentiero, Gerolamo ha la sensazione di aver attraversato un confine, come se da Madonna dei Fornelli iniziassero le vere montagne, boschi più fitti, case più rade, silenzi, paesaggi selvatici e solitari. È comunque una montagna molto diversa dalle Alpi, e non solo per via dell’età o dell’altitudine. (…) L’Appennino è tutt’altro che puro, figlio bastardo delle divinità della Terra, mentre le Alpi sono una progenie celeste, di dei olimpici e folgoranti, e i loro animali totemici sono agili e leggeri: l’aquila, il camoscio, lo stambecco. La spina dorsale d’Italia, invece, è il regno del cinghiale, che si rotola nel fango e grufola al crepuscolo, in cerca di tuberi e radici. Wu Ming 2, Il sentiero degli dei, 2010

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*** La sorte non poteva essermi più benigna (una volta tanto!), in quanto abitando tra quei buoni montanari, in prevalenza anziani essendo i giovani in gran parte chiamati alle armi, mi trovai

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storie naturali

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subito nel mio ambiente naturale: villico tra i villici, vivendo con loro seppure per breve tempo (circa un paio di mesi), potei rendermi conto, specialmente nelle zone d’alta montagna, delle loro semplici usanze, dei loro costumi, del loro modo di vivere, della loro frugale alimentazione (a base di polenta di farina di castagne e di granturco, di ricotta, di latte e di formaggio) purtroppo aggravata dallo stato di guerra. In complesso ebbi a constatare la vita grama che essi conducevano, che al giorno d’oggi non sarebbe concepibile, e ne è prova palmare l’abbandono, poscia verificatosi, di quei monti da parte dei giovani, emigrati verso le città. Certo non avrei mai pensato, allora, che alla distanza di poco più d’un paio d’anni quelle pittoresche soleggiate montagne si sarebbero trasformate in zone di operazioni guerresche, con la iattura dell’invasione delle truppe tedesche, inglesi e americane, e con la fatale conseguenza della distruzione di tante pacifiche borgate (…) ed il sacrificio di tante vittime umane; come pure ero ben lontano dal pensare che i negativi di quelle antiche e caratteristiche case, che stavo intanto fotografando, avrebbero rappresentato, un giorno, l’unico ricordo d’esse, mentre di tante altre non sarebbe rimasto che un informe mucchio di macerie, o muri pericolanti da abbattere! Luigi Fantini, Antichi edifici della montagna bolognese, 1971

antonella lizzani

Una gita al Cimone (…) I due coniugi, al solito fra di loro altercanti, / Portati dai somari, camminavano avanti; // Seguiva la ragazza, poi con posa grottesca / Il signor Pietro, il giovane e la fantesca. // Per amicarsi il padre, facea da Cicerone / L’innamorato, ch’era pratico del Cimone; // “Troveremo alla Doccia l’ultimo casolare, / E poi potremo dire d’essere in alto mare” // (…) “Giunti a Pian Cavallaro, riposeremo un poco, / E vedremo da lungi un monte gittar fuoco. // Sono le fiamme d’inferno… E pur io son d’avviso / Che siano, così in alto, quelle del Paradiso!” // (…) “C’è molta strada ancora, ma appena lassù in cima, / Che vista! E che appetito! Alle capanne prima / Io credo necessario fare colazione, / Indi all’assalto prendere la cima… del Cimone; // (…) E fissando lo sguardo avanti - era già l’alba - / Videro alta la torre, in quella luce scialba // Spiccar nera e superba sul monte, anche lontana. / Lontana, anche lontana! Vinta, la carovana / Fermossi e d’una triste nube d’avvilimento / S’oscurarono i volti, tremanti per il vento // Che gelato soffiava. L’alma luce del giorno / Colorava di verde tutti i monti d’attorno, // E la valle, ove il morbido cervino era cresciuto, / Appariva coperta da un drappo di velluto… // - Com’è bello il Cimone! - esclamò il signor Pietro / - Bello! Gli altri esclamarono. E tornarono indietro. Alfredo Testori, Sull’Appennino modenese, 1894

ecoturismo

L’Alta Via dei Parchi

nevio agostini

ecoturismo


il cultura mondo e educazione dei parchi

Il progetto che ha registrato le ultime testimonianze sulla vita di un tempo nei gessi romagnoli di Stefano Piastra

Fudan University, Shanghai (RPC) Università di Bologna

e Massimiliano Costa

archivio vena del gesso romagnola

Provincia di Ravenna / Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità - Romagna

La Vena del Gesso, nel basso Appennino imolese e faentino, è nota soprattutto in virtù dei suoi valori naturali, incentrati sulla geologia, il carsismo, le peculiarità floristiche e faunistiche, oggetto di studio sin dall’età moderna da parte di scienziati del calibro di Ulisse Aldrovandi, Luigi Ferdinando Marsili, Giuseppe Scarabelli e Pietro Zangheri. Accanto a queste emergenze, tuttavia, i gessi romagnoli possiedono anche un’importante dimensione storico-culturale. Da sempre, l’affioramento evaporitico è stato un territorio in cui vivere era più difficile che altrove e le comunità locali hanno dovuto necessariamente sviluppare, nel tempo, specifiche forme di adattamento ai forti condizionamenti ambientali: l’utilizzo agricolo preferenziale del fondo delle doline (dove il terreno era relativamente più fertile), lo sfruttamento del gesso come materiale da costruzione (e, una volta cotto e macinato, come legante in edilizia), la raccolta sistematica delle acque piovane. Questo prezioso patrimonio di conoscenze e pratiche tradizionali, perpetuatesi in modo quasi inalterato sino a pochi decenni fa, per quanto di grande interesse dal punto di vista storico e geografico rischiava però la totale scomparsa. La Vena del Gesso, infatti, oggi si presenta pressoché spopolata, avendo conosciuto, proprio per le difficoltà insediative, un esodo massiccio tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento; e gli ultimi testimoni delle generazioni che sanno com’erano i gessi prima delle grandi trasformazioni del secondo dopoguerra ci stanno lasciando ad uno ad uno. Da queste considerazioni è nato il progetto “Arca della Memoria”, sviluppato tra il 2010 e il 2012 sotto l’egida del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola con l’obiettivo di creare un database digitale di interviste filmate a testimoni privilegiati del passato recente della dorsale evaporitica, in grado di salvarne i ricordi in tema di ambiente e vita quotidiana e di trasmetterli, come sapere prezioso anche per il futuro, alle nuove generazioni. Un’operazione a cavallo tra natura e cultura, dagli evidenti scopi multipli: scientifico (studio e salvaguardia di un patrimonio orale altrimenti destinato a scomparire), identitario (rafforzamento del senso di appartenenza alla comunità locale), educativo (strumento spendibile presso le scuole in chiave didattica). I contenuti delle interviste confluite nell’archivio digitale hanno riguardato, in una prospettiva storica, i rapporti uomo-ambiente. In questo contesto, il tema della casa rurale tradizionale ha avuto grande spazio ed è stato analizzato in riferimento ai materiali da costruzione utilizzati, alle scelte ubicative, al numero e alle caratteristiche degli annessi. In relazione alla vita di tutti i giorni, il problema maggiore per chi viveva sulla Vena del Gesso, accanto a quello di una rete viaria praticamente inesistente, era forse costituito dall’approvvigionamento idrico potabile. Dalle interviste è attestato che in passato la popolazione locale utilizzava, per quanto saltuariamente e con rischi per la salute, risorse idriche di origine carsica (cariche quindi di solfati disciolti e leggermente tossiche a causa

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Un’arca della memoria per la Vena del Gesso


storie naturali

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gianpaolo zaniboni

Sotto, escursionisti percorrono un sentiero di crinale della Vena del Gesso.

Progetto “Arca della Memoria” Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola Supervisione Eugenio Fusignani (già Presidente del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola). Responsabile del progetto Massimiliano Costa (Provincia di Ravenna / Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità Romagna). Ideazione e cura scientifica Stefano Piastra (Fudan University, Shanghai - RPC / Università di Bologna). Regia e montaggio Thomas Cicognani (produzione e consulenza cinematografica e audiovisiva). Assistenza logistica Massimo Vernocchi. Fruizione e allestimento sala multimediale Atlantide Soc. Coop. Sociale P.A. Quasar snc.

Il paesaggio odierno della Vena, pressoché privo di presenza umana e caratterizzato da ampie coperture boschive, è completamente diverso da quello del recente passato, quando la dorsale era fittamente abitata e per larghi tratti spoglia, a causa del sistematico taglio della vegetazione praticato dai residenti.

Un’arca della memoria per la Vena del Gesso

collettiva” legato ai gessi, il più possibile aperto alla cittadinanza. In linea con tale convincimento, la sede per la fruizione della banca dati è stata individuata all’interno del Museo del Paesaggio dell’Appennino Faentino, ospitato nella Rocca di Riolo Terme, e in particolare nel centro di documentazione del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola, una sala multimediale inaugurata nel dicembre 2011 che è esterna al percorso museale vero e proprio e, come tale, accessibile senza dover pagare alcun biglietto d’ingresso. Qui è collocata una postazione informatica che, grazie a un apposito software, permette sia la normale visione delle singole interviste che un’interrogazione del database sulla base di specifiche parole-chiave (ad esempio i toponimi della Vena del Gesso), nuclei tematici (ad esempio l’estrazione del gesso o il passaggio del fronte della seconda guerra mondiale) o sulla base delle persone intervistate (ad esempio le sole donne, le persone più anziane, ecc.). In questo modo sono quindi contemplate sia una fruizione passiva, di tipo “cinematografico”, che una fruizione attiva e funzionale alla ricerca di temi o dati precisi. L’“Arca della Memoria”rappresenta un contributo significativo alla salvaguardia e alla trasmissione della testimonianza di chi ha vissuto su una Vena del Gesso, ormai consegnata ai libri e oggi altrimenti “visibile” solo attraverso le fotografie storiche, quali ad esempio quelle di Pietro Zangheri, il cui ricco archivio, complementare ai dati orali raccolti, è stato ampiamente utilizzato come termine di confronto e controllo nell’ambito del progetto. Le sfide dei prossimi anni consistono nel promuovere i contenuti scientifici dell’“Arca della Memoria”, rendendo la sala multimediale riolese un luogo vitale e frequentato dai residenti e, allo stesso tempo, uno strumento virtuale di riscoperta delle radici del territorio, soprattutto tra gli studenti e le giovani generazioni, i quali, qui come in numerosi altri contesti, hanno ormai scarsa consapevolezza delle matrici ambientali e storico-culturali dell’area in cui vivono (a questo scopo il database potrà anche essere incluso tra i contenuti on line del sito web del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola). Si tratta di obiettivi importanti, a maggior ragione in una realtà come quella contemporanea, caratterizzata da cambiamenti rapidi e radicali, ma all’interno della quale, nell’ambito di una globalizzazione concepita in senso multiscalare, il territorio locale va, comunque, assumendo una nuova centralità. Per diffondere ulteriormente i contenuti dell’“Arca della Memoria”, infine, è in fase di produzione, a partire dalla banca dati, un documentario di circa 30 minuti, che raccoglie i brani più interessanti delle interviste, in modo da affrontare in modo organico i temi trattati e gli elementi salienti della vita sulla Vena del Gesso in un passato tutto sommato relativamente recente, ma che già appare lontanissimo.

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Nella pagina precedente, un casolare abbandonato sulla Vena.

della presenza di ione solfato), ma che più spesso si dissetava con acque piovane raccolte in apposite cisterne. In quest’ultimo caso, si tratta di una forma di adattamento tipica del mondo mediterraneo, frequente ad esempio nel nostro mezzogiorno, in Grecia, specialmente in ambiti insulari, e in Africa del Nord, ma che in Romagna, al confine tra mondo mediterraneo e continentale, risulta assolutamente eccentrica (è una delle attestazioni più settentrionali per pratiche come queste). Il substrato evaporitico, caratterizzato da suoli poco fertili, limitava pesantemente l’agricoltura, qui ridotta a una realtà di semisussistenza, mentre al contrario favoriva uno sfruttamento minerario funzionale al settore edile. In tale ambito l’“Arca della Memoria” documenta, sulla base della viva voce dei protagonisti, la fondamentale transizione, avvenuta nel secondo dopoguerra, da siti estrattivi a bassa tecnologia e scarso impatto sull’ambiente, dove le condizioni di lavoro dei cavatori (i cosiddetti “gessaroli”) erano comunque durissime e pericolose, a siti industriali, altamente meccanizzati e a forte impatto ambientale. Accanto ad aspetti materiali, le interviste dell’“Arca della Memoria” prendono in considerazione anche aspetti culturali immateriali come il folklore. Sulla Vena del Gesso esso ruotava in gran parte attorno alle cavità naturali, da sempre circondate da un alone di mistero. La leggenda più famosa, in passato immortalata persino da opere artistiche, letterarie e teatrali, era quella della Grotta del Re Tiberio, una risorgente carsica fossile presso Monte Tondo (Riolo Terme): secondo la tradizione, il toponimo deriverebbe dall’imperatore romano, il quale si sarebbe nascosto a lungo ma inutilmente all’interno della cavità per sfuggire a una profezia secondo la quale avrebbe trovato la morte a causa di un fulmine (Tiberio, in realtà, morì in tutt’altro modo, a pochi chilometri da Roma, nel 37 d.C.). Il database digitale realizzato si compone di 17 interviste, riprese in Full HD e successivamente montate in modo da eliminare rumori di sottofondo, pause, ripetizioni, sezioni non pertinenti agli argomenti trattati e aggiungere animazioni grafiche e sottotitoli. All’interno del gruppo di testimoni selezionati, si è cercato di diversificare il più possibile il genere (sia uomini che donne), il luogo di nascita o residenza (cercando di rappresentare tutti i settori della Vena del Gesso, sia in provincia di Bologna che in provincia di Ravenna) e il mestiere, riservando in quest’ultimo caso particolare attenzione ad attività direttamente connesse o influenzate dagli affioramenti gessosi, come l’agricoltore e il “gessarolo”. Gli anni di nascita degli intervistati si collocano in gran parte tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Concluse le riprese e realizzato il montaggio, si è passati alla fase di musealizzazione del progetto. Sin dall’inizio, l’“Arca della Memoria” era stata concepita come un “archivio della memoria

piero lucci

www.venadelgesso.org

In alto, fino al secondo dopoguerra, la Vena del Gesso non aveva una vera rete stradale ma solo sentieri o carrarecce, come quella visibile in questa fotografia di Pietro Zangheri, scattata nella zona di Monte Mauro e risalente forse agli anni ’30 del ’900; a fianco, un fronte estrattivo presso la Rocca di Brisighella agli inizi del ’900 (il gessarolo sulla sinistra ha la gamba destra amputata); sopra, una cava di gesso in località Paradisa, presso Borgo Tossignano, negli anni ’20-’30.

cultura e educazione

Un’arca della memoria per la Vena del Gesso

archivio domenico malpezzi

archivio fotografico pietro zangheri

cultura e educazione


carla corazza

La mappa di comunità del Po di Primaro

Nella pagina precedente, uno scorcio del paesaggio fluviale del Po di Primaro. Sotto, la mappa di comunità scaturita dal processo partecipativo di Benvignante (FE) e, in basso, una gara di nuoto sul fiume nel 1936: la fotografia è stata scattata nei pressi del ponte fra Sant’Egidio e Gaibanella ma secondo altri, invece, raffigura il Po di Volano (la partecipazione dei cittadini al processo di costruzione della mappa è stata sollecitata anche attraverso la discussione intorno a immagini di questo genere).

Il Po di Primaro è il ramo più occidentale dell’odierno delta del Po e attraversa un territorio in cui la storia idrogeologica e quella umana sono strettamente intrecciate. Attualmente le sue acque sono quasi stagnanti, con una certa movimentazione soprattutto in estate, verso sud, a causa del richiamo idrico determinato dai prelievi per l’irrigazione dei campi. In inverno, invece, il Primaro raccoglie le acque meteoriche che sgrondano dai terreni circostanti e la debolissima corrente fluisce verso il Po di Volano, in direzione nord. Il fiume e le zone adiacenti ospitano una ricca fauna ornitologica: è segnalata la presenza di 24 specie nidificanti di interesse conservazionistico per l’Europa e di altre 32 specie migratrici, tra le quali il maestoso falco di palude, l’elusivo tarabuso, il coloratissimo martin pescatore e le predatrici averle (Lanius collurio e L. minor). Nel 2006 l’alveo del Po di Primaro, le adiacenti vasche di decantazione dello zuccherificio dismesso di Molinella (BO) e un secondo tratto fluviale ora coincidente con il corso del Reno, compreso tra Santa Maria Codifiume (Comune di Argenta - FE) e il confine del Parco Regionale Delta del Po, sono stati dichiarati dalla Regione Emilia-Romagna di Carla Corazza Zona di Protezione Speciale ai sensi della Direttiva 79/409/CEE (ZPS IT4060017 Museo Civico di Storia Naturale di Ferrara “Po di Primaro e Bacini di Traghetto”). La ZPS inizia a nord, nei pressi di Ferrara, Stazione di Ecologia del Territorio nell’ambito della frazione Fossanova San Marco. Nel sito è riconosciuta la presene Giuliana Castellari Provincia di Ferrara za di 4 habitat di interesse comunitario: “3150 Laghi eutrofici naturali con vegeSettore Servizi alla Persona e Cultura tazione del tipo Magnopotamion o Hydrocarition”, “3270 Chenopodietum rubri dei fiumi submontani”, “6210 Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco Brometalia), prioritario poiché presenta una stupenda fioritura di orchidee”, “92A0 Foreste a galleria di Salix alba e Populus alba”; oltre agli uccelli, sono numerose le specie animali e vegetali di

giampaolo piva

storie naturali

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Un progetto per la crescita sostenibile di una Zona di Protezione Speciale

interesse conservazionistico, tra le quali figurano rospo comune e smeraldino, raganella, ramarro, testuggine palustre, le orchidee Orchis tridentata e Ophris sphegodes e altre specie erbacee (Cynoglossum creticum, Gratiola officinalis, Leucojum aestivum, Thymus pulegioides, Vicia hybrida). Il tratto fluviale della ZPS si snoda in gran parte nel territorio comunale di Ferrara. Nel 2008 il Museo Civico di Storia Naturale ha deciso di approfondire la conoscenza naturalistica della zona, redigendo un progetto di servizio civile volontario nazionale denominato “Lungo il fiume” (area di intervento “Ambiente - Parchi e oasi naturalistiche”). Il progetto, condotto nel 2009 con il supporto delle associazioni di volontariato di protezione civile VAB di Ferrara e Gruppo Volontari di San Giovanni in Persiceto, ha portato al campionamento degli animali acquatici (a esclusione dei vertebrati) in alcune stazioni lungo il corso d’acqua e degli insetti non acquatici in tre siti nell’area dell’ex zuccherificio. Nel corso delle indagini, inoltre, sono state compiute osservazioni sulla flora acquatica ed è stata data una valutazione, purtroppo non molto lusinghiera, dello stato del fiume, che è risultato ipertrofico, cioè con un carico eccessivo di inquinanti organici, ma comunque sempre in grado di ospitare specie animali e vegetali di pregio (in taluni casi sottoposte a un certo grado di minaccia di estinzione). Nel fiume sono, infatti, presenti dense popolazioni di castagna d’acqua (Trapa natans) ed erba pesce (la felce galleggiante Salvinia natans), entrambe comprese nel repertorio nazionale della flora protetta, e il gasteropode Physa fontinalis, secondo alcuni ormai estinto in varie regioni italiane. È stata, infine messa in risalto la capacità del fiume, in particolare nel tratto terminale, di svolgere efficaci processi di fitodepurazione grazie all’abbondante vegetazione acquatica. L’idea delle mappe di comunità (parish maps) è nata in Inghilterra negli anni Ottanta del secolo scorso ed è frutto della felice intuizione di Common Ground, l’associazione che per prima si è dedicata alla conoscenza e valorizzazione del patrimonio di un territorio attraverso il coinvolgimento attivo delle comunità locali. L’approssimarsi del nuovo millennio fu di stimolo alla realizzazione di una serie di “inventari” del patrimonio ambientale, storico, tradizionale e culturale di tante piccole comunità, evidenziando gli elementi territoriali che la stessa comunità considerava rappresentativi della propria identità. I luoghi che abitiamo, del resto, sono tutti contraddistinti da una ricchezza diffusa e misconosciuta, che incorpora saperi legati alla cultura materiale, abitudini alimentari, antiche pratiche artigianali, un bagaglio di tradizioni ricco e diversificato, peculiari consuetudini di cura del paesaggio, architetture tradizionali di pregio e, soprattutto, una densissima rete di interrelazioni tra tutti questi elementi e un senso del territorio che è anche, in ultima analisi, ciò che fa sentire a una persona di appartenere a un determinato luogo. Grazie alle mappe di comunità è possibile far emergere gran parte di questo prezioso patrimonio, elaborando e praticando insieme ai cittadini un percorso di indagine, conoscenza e valorizzazione della loro storia in grado di “rappresentare” e “ricomporre” in modo originale l’esperienza dei luoghi e dei saperi nei quali la comunità si riconosce e che desidera trasmettere alle nuove generazioni. Tutto questo può essere rappresentato attraverso un disegno cartografico “soggettivo” o qualsiasi altro prodotto o elaborato che la comunità decide di adottare. Il lavoro collettivo di indagine e scoperta di una storia comune, inoltre, fa generalmente emergere la consapevolezza di una responsabilità verso il territorio, attivando energie nuove e spesso insospettate, in grado di creare anche nuove opportunità di cura e valorizzazione dello stesso e magari portare a veri e propri patti tra cittadini e amministrazioni locali per individuare precisi obiettivi di salvaguardia, tutela e trasformazione. Nel territorio ferrarese l’esperienza delle mappe di comunità è stata sperimentata per la prima volta nel 2007 con le comunità di Benvignante e Campotto, nel territorio comunale di Argenta, e di Bosco, in quello di Mesola. I ricercatori

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cultura e educazione


storie naturali

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carla corazza

Sotto, navigazione sul Po di Primaro.

del Museo di Storia Naturale di Ferrara, impegnati ormai da un paio di decenni in studi naturalistici all’interno e all’esterno delle aree protette, sono inevitabilmente arrivati a confrontarsi con le questioni legate alle gestione del territorio: era del resto impossibile, dopo aver maturato la consapevolezza della necessità di proteggere, per il bene comune, la diversità di forme di vita, habitat ed ecosistemi di questi territori, non porsi domande, e non cercare risposte, sulle strategie da adottare a questo scopo. Accanto ai divieti assoluti (di cacciare, raccogliere, inquinare), in molti casi indispensabili a tutela della biodiversità, la protezione della natura deve puntare anche a diffondere la medesima consapevolezza tra i non addetti ai lavori, ricercando un soddisfacente equilibrio tra le esigenze della conservazione e le spinte all’uso del territorio. I campionamenti eseguiti nel 2009, che hanno portato i ricercatori a navigare più volte, lentamente, in diverse stagioni, lungo il Primaro e ad apprezzarne i suggestivi scorci di paesaggio, hanno reso evidente quanto il fiume sia meritevole di una valorizzazione culturale, didattica e turistica e, al tempo stesso, abbia impellenti necessità di tipo gestionale: le sponde sono fragili in molti punti, ad esempio, e gli insediamenti umani si concentrano all’interno delle golene. Nel tratto compreso tra Fossanova San Marco e Traghetto, il fiume lambisce 10 frazioni dei comuni di Ferrara e Argenta e 19 nuclei più piccoli, dove vivono complessivamente circa 6.500 abitanti, ai quali si aggiungono diverse decine di persone in case sparse sul territorio. Nel nostro percorso di ricostruzione della mappa di comunità, abbiamo scelto di concentrarci soprattutto sui centri abitati del territorio comunale di Ferrara, anche se non escludiamo di raccordarci con quanto viene svolto dai consigli di partecipazione esistenti nelle frazioni argentane di San Nicolò, Ospital Monacale e Traghetto. Il progetto è stato avviato nel marzo

Per informazioni e curiosità sul progetto si può contattare Carla Corazza presso il Museo di Storia Naturale di Ferrara (tel. 0532 203381/206297 c.corazza@comune.fe.it). La Mappa di Comunità del Po di Primaro è anche su Facebook (www.facebook.com/lamappadelprimaro) e riceve posta elettronica all’indirizzo mappadelprimaro@gmail.com. Per le mappe di comunità si può consultare il sito www.mappadicomunita.it.

La mappa di comunità del Po di Primaro

2012, quando hanno preso servizio presso il museo le volontarie Stefania Dal Pra’ e Luisa Robboni, selezionate tra i vari candidati sul bando di servizio civile “Il Museo di Storia Naturale per una cultura partecipata e condivisa della biodiversità”. Attraverso i contatti stabiliti con la locale delegazione amministrativa e la collaborazione di alcuni residenti, grazie a una capillare campagna di informazione (volantinaggio porta a porta, uso del web, comunicati stampa), sono già stati organizzati cinque incontri, i primi preparatori, gli ultimi già operativi. Gli uffici comunali preposti alla pianificazione territoriale sostengono l’iniziativa, dalla quale scaturiranno sicuramente indicazioni per la gestione futura delle aree circostanti il fiume. Il ruolo del museo e dei suoi collaboratori è di fare da collettore delle proposte che verranno dai cittadini: per evitare condizionamenti, il confronto con le indicazioni già avanzate dal Comune di Ferrara verrà effettuato solo al termine del processo partecipativo. Si è così formato un gruppo di una quindicina di cittadini “trainanti”, davvero molto entusiasti, che ha deciso di proseguire le attività con incontri mensili che cambieranno di volta in volta sede, per toccare le varie frazioni interessate. L’auspicio è di riuscire ad ampliare progressivamente il numero di persone in grado di fornire racconti, immagini, ricordi legati al fiume e collaborare alla stesura della mappa, anche grazie a particolari abilità grafiche o pittoriche. Gli incontri si svolgono in aziende agrituristiche, sedi di associazioni, canoniche, bar e qualche difficoltà è sorta in conseguenza dei recenti eventi sismici (alcuni locali pubblici idonei a ospitare il gruppo di volontari sono inagibili). L’ambizione è di riuscire a mettere in evidenza i legami più o meno nascosti che uniscono i luoghi e gli abitanti rivieraschi, delineando un percorso della memoria che sappia descrivere il presente e immaginare il futuro di questo fiume un po’ bistrattato, che viene tristemente indicato sulle carte geografiche come “Po morto di Primaro”.

Il Po di Primaro Non è chiaro se il corso d’acqua, come vuole la tradizione, debba il nome al fatto di coincidere con il ramo originario (primario) del Po. Sicuramente, poco prima del 1000, esisteva già un fiume che, insieme al Po di Volano, formava la biforcazione deltizia sulla cui riva sinistra sorse il primo nucleo di Ferrara. Il Primaro si faceva strada verso sud e poi verso est, sboccando in Adriatico subito a nord di Ravenna, con un porto documentato sin dal 962 d.C. e quello sì, fin dall’inizio, denominato “Primaro”; tradizionalmente fu considerato “l’erede” del grande Po di Stellata e in effetti si è supposto che fosse la riattivazione di un corso in precedenza abbandonato dalle acque. Dopo la caduta dell’Impero Romano le comunicazioni via terra si fecero più difficoltose e la navigazione fluviale divenne il mezzo più efficiente per trasportare merci e persone. Il Primaro si trasformò così in un’importante via di comunicazione dalle zone interne della pianura padana fino alle città costiere dell’Adriatico, a cominciare da Ravenna, ma ebbe un ruolo strategico anche negli scambi con la costa dalmata e l’Italia centrale (costeggiando l’Adriatico si poteva scendere ad Ancona e da lì proseguire via terra, lungo la Via Flaminia, fino a Roma). Le sorti del fiume cominciarono a cambiare dopo la rovinosa rotta del Po avvenuta nel 1152 a ovest di Ferrara, nei pressi di Ficarolo. In seguito all’esondazione, i flussi d’acqua principali si spostarono verso nord, dove a poco a poco si formò, in parte per l’azione delle acque stesse, in parte per gli interventi umani, l’o-

dierno Po di Venezia. La riduzione della navigabilità del Primaro fu molto graduale e favorita dalla bassa pendenza del suo corso, che facilitava la sedimentazione dei materiali portati dalle acque, anche se determinanti furono i ripetuti interventi che convogliarono nel Primaro diversi torrenti appenninici, ricchi di sedimenti e dalle portate irregolari. Gli interventi, adottati principalmente per ridurre il rischio di esondazioni nel Bolognese, ma nella convinzione di incrementare anche

le portate del Primaro, da quest’ultimo punto di vista ebbero in realtà l’effetto opposto. Il fiume, in ogni caso, continuò a svolgere la sua funzione nei traffici commerciali per tutto il basso Medioevo e il Rinascimento e la sua morte definitiva venne decretata solo nel 1767, quando fu deliberata dal governo pontificio e poi realizzata, nei pressi di Argenta, l’immissione nel Primaro del Reno, un fiume appenninico ricco di sedimenti e allora senza sbocco al mare.

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In alto, gli organi riproduttivi (sporangi) della felce galleggiante Salvinia natans e, sopra, un esemplare di libellula purpurea (Crocothemis erythraea).

La mappa di comunità del Po di Primaro

cultura e educazione

fondo crispi, biblioteca ariostea di ferrara

carla corazza

carla corazza

cultura e educazione


Notizie

storie naturali

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archivio rupe di campotrera

morfologico e geostorico, con significative mineralizzazioni di prehnite e importanti filoni di pumpellite, calcite e datolite. Nella riserva sono peraltro presenti habitat di interesse comunitario, già compresi nel SIC IT 4030014 “Rupe di Campotrera, Rossena” (762 ettari). Per migliorare la fruizione il Comune di Canossa, grazie a finanziamenti regionali e provinciali, ha potuto realizzare una nuova rete di sentieri di raccordo tra l’ofiolite di Campotrera, quella di Rossenella, i castelli di Rossena e Canossa, il canale ducale d’Enza e gli abitati di Ciano d’Enza e San Polo (entrambi serviti da treni locali che li congiungono a Reggio Emilia).

Era il 27 febbraio 1992 quando la Regione Emilia-Romagna, con delibera n. 893, istituì la Riserva Naturale Fontanili di Corte Valle Re per tutelare uno degli ultimi esempi di risorgive presenti nella bassa pianura reggiana, affidandone la gestione al Comune di Campegine. Nel 2012, per celebrare il ventennale della piccola area protetta (appena 37 ha), sono state promosse una serie di iniziative per sensibilizzare la cittadinanza su questi fragili ecosistemi. Tra gli eventi spicca il convegno I fontanili di Corte Valle Re: vent’anni della Riserva, organizzato da Comune di Campegine e Provincia di Reggio Emilia in collaborazione con Legambiente Reggio Emilia, che si è svolto il 29 settembre scorso a Campegine. L’incontro è stato l’occasione per ribadire l’importanza della conservazione di questi ambienti inseriti in un contesto fortemente antropizzato e la necessità di incrementare le azioni per la tutela delle acque, il potenziamento degli habitat e la protezione delle specie presenti. I lavori della mattinata sono stati aperti da Paolo Cervi, sindaco di Campegine, Mirko Tutino, assessore provinciale, e Massimo Becchi, di Legambiente Reggio Emilia, ai quali sono seguiti gli interventi di Nelson Marmiroli (Università di Parma), Saverio Cioce (Servizio Pianificazione Territoriale della Provincia di Reggio Emilia) e Roberta Azzoni (referente della riserva e del suo centro di educazione ambientale). Notevole interesse ha suscitato la tavola rotonda Gestione integrata della risorsa idrica per la tutela degli ecosistemi acquatici, moderata da Giuseppe Bortone (Regione Emilia-Romagna). Gli interventi di rappresentanti dell’Autorità di Bacino del Po, dell’Università di Parma, del Consorzio di Bonifica dell’Emilia Cen-

I Ghirardi nel nome della rosa: un’indagine floristica in corso L’Oasi WWF dei Ghirardi, a una sessantina di chilometri da Parma, nell’alta Val Taro, si estende per circa 600 ettari nei comuni di Borgo Val di Taro e Albareto (370 ettari nel 2010 sono diventati una riserva naturale regionale). L’oasi comprende una grande varietà di ambienti e habitat (superficie boscate, arbusteti, coltivi, ambienti rocciosi, calanchi, greti fluviali, zone umide, brughiere), che favorisce una particolare concentrazione di specie vegetali e animali. Nota da tempo è, ad esempio, la ricchezza dell’avifauna, sia di passo che nidificante, ma anche il contributo dell’oasi alla biodiversità vegetale è notevole, sulla scorta dei dati finora acquisiti di un’indagine floristica

Molte novità nella Rete Natura 2000 del Bolognese La Rete Natura 2000 del Bolognese si è arricchita nei mesi scorsi di due nuovi importanti siti, proposti dalla Provincia in collaborazione con i comuni e istituiti dalla Regione Emilia-Romagna con delibera n. 893 del 2 luglio 2012. Nella pianura è stato individuato il SIC-ZPS IT4050031 “Cassa di espansione del Torrente Samoggia”, che si estende per 145 ettari nel territorio di San Giovanni in Persiceto, sulla sponda sinistra del medio corso del Samoggia. Una vasta porzione di terreni prima destinati all’agricoltura intensiva ospita habitat in evoluzione, che andranno a costituire uno dei più importanti nodi ecologici della pianura bolognese, con riflessi positivi sull’assetto ecosistemico di larga scala. Oltre alla cassa, il sito comprende un tratto di 4 km circa del corso d’acqua, con meandrizzazioni e anse, attive o scollegate dall’alveo, nella parte più settentrionale. Il secondo SIC-ZPS, IT4050032 “Monte dei Cucchi - Pian di Balestra”, con una superficie di ben 2.450 ettari, è stato individuato nel territorio di San Benedetto Val di Sambro, anche grazie alla preziosa collaborazione dei volontari di WWF e altre associazioni, che hanno fornito dati sulla ricca biodiversità di habitat e specie dell’area. Il contesto paesaggistico del sito, che ricade nella zona di spartiacque tra le valli dei torrenti Setta e Savena e si colloca tra altri due importanti siti montani della Rete Natura 2000 (“Laghi Suviana e Brasimone” e “La Martina, Monte Gurlano”), è un mosaico di ambienti tipici della montagna bolognese: faggete, castagneti, boschi cedui, rimboschimenti, arbusteti, praterie e pascoli, aree incolte, rii e specchi d’acqua. Ma le novità non sono finite. Sempre nell’Appennino bolognese, infatti, il SIC “Monte Radicchio, Rupe di Calvenzano” è stato finalmente riconosciuto anche come ZPS, dal momento che è sito di nidificazione regolare di diverse specie ornitiche di importanza comunitaria, tra cui l’aquila reale! Contemporaneamente in pianura è stato approvato l’ampliamen-

cia sempreverde presente in provincia solo con esemplari isolati. La ricerca sta inoltre mettendo in luce altre specie interessanti, per esempio un consistente numero di individui di melo fiorentino (Malus florentina), un alberello che produce le mele più piccole del mondo (un centimetro di diametro al massimo!). I boschi sono anch’essi notevoli. Su suoli acidi o tendenzialmente acidi crescono splendidi boschi di cerro e castagno, un’importante stazione di pino silvestre autoctono nella stretta valle del Canal Guasto e, soprattutto, alcuni boschi misti mesofili con una buona presenza di tiglio selvatico; completano il “quadro arboreo” alcuni grandi esemplari isolati di roverella. Anche nei punti più inospitali, come i calanchi, si incontrano specie piuttosto rare, come gruppi argentati di pennellini (Staehelina dubia). In un castagneto è stata rinvenuta la rara felce setifera (Polystichum setiferum) e in alcuni campi coltivati ci si può ancora imbattere nello specchio di Venere (Legousia speculum-veneris). Ma c’è una specie, peraltro molto facile da incontrare lungo i sentieri, che per la sua delicata bellezza si può considerare il vero simbolo dell’oasi: la splendida rosa serpeggiante (Rosa gallica).

L’espansione del gatto selvatico nel Bolognese Il gatto selvatico (Felis silvestris silvestris) sta rapidamente risalendo la nostra regione e spostando verso nord il limite settentrionale del suo areale. Nel dicembre 2011 è stata documentata, mediante fototrappolaggio, la presenza di due presunti gatti selvatici nel SIC “La Martina, Monte Gurlano”, in provincia di Bologna. L’analisi fenotipica dei caratteri rilevabili dal pattern del mantello, poi validata da Bernardino Ragni (Università di Perugia), ha fatto ipotizzare che si tratti di probabili ibridi, silvestris x catus, di prima e seconda generazione. Il dato, in apparenza poco entusiasmante, in realtà accerta l’espansione di areale, recente o in atto, della sottospecie presente nella nostra regione dalla Romagna meridionale (Montefeltro) e centrale (Foreste Casentinesi) verso l’Emilia orientale, dimostrando la potenzialità

in corso. Nel settembre 2012 le specie censite risultavano già 632. La famiglia botanica più numerosa è quella delle Asteraceae (81 specie); seguono Poaceae (56), Fabaceae (54), Rosaceae (37) e Orchidaceae (33). Le specie protette dalla legge regionale sono 46. Oltre alle orchidee, tra le quali spiccano Traunsteinera globosa, Spiranthes spiralis, Serapias neglecta, Neotinea ustulata e N. tridentata, sono da segnalare una ricca stazione di elleborine minore (Epipactis microphylla), la presenza di elleborine palustre (E. palustris) e quella di genziana sfrangiata (Gentianopsis ciliata). Tra le specie arboree sono stati rinvenuti un paio di esemplari di cerrosughera (Quercus crenata), una quer-

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I Fontanili compiono vent’anni

to di 70 ettari del SIC-ZPS “Manzolino”, anch’esso a San Giovanni in Persiceto, che ha così raggiunto i 326 ettari.

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Nel dicembre 2011 l’assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna, con delibera n. 67, ha modificato il provvedimento istitutivo della Riserva Naturale Rupe di Campotrera, ampliandone il perimetro per motivi di ordine conservazionistico e gestionale. L’ampliamento ha consentito di includere per intero nella riserva il geosito che si estende a ridosso della torre medievale della Guardiola di Rossenella (trasformata in centro museale e di accoglienza dal Comune di Canossa), caratterizzato da basalti a pillow di notevole importanza naturalistica e interesse petrografico, mineralogico, geo-

trale e delle associazioni ambientaliste e dei pescatori hanno evidenziato ancora una volta le criticità della maggior parte degli ecosistemi acquatici, aggravate dai cambiamenti climatici in atto, e ipotizzato alcune proposte di gestione sostenibile della risorsa idrica. Nella sessione pomeridiana del convegno vari esperti hanno illustrato i principali risultati delle indagini realizzate in anni recenti nella riserva e delineato le principali scelte della sua futura gestione.

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Ampliata la superficie di Campotrera

di quest’ultima area come habitat idoneo per la specie. Il ritorno del gatto selvatico in Emilia-Romagna, noto a partire dal 2002, e la sua espansione verso nord avevano già indotto nel 2008 il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi a fare il punto con un importante convegno nazionale sulla biologia e conservazione dei felidi in Italia. Più di recente, in base a materiale fotografico e video realizzato da appassionati e membri di associazioni venatorie locali nell’Appennino tosco-romagnolo occidentale (zona fiorentino-bolognese), si è ipotizzato che la diffusione del gatto selvatico sia ben più ampia di quanto finora accertato; il materiale visionato, infatti, ritrae esemplari di presunti gatti selvatici in attività nella media e alta valle del Santerno (Ravenna e Bologna). Questo stimolante quadro ha indotto la Provincia di Bologna a occuparsi della possibile espansione della specie mediante una campagna di fototrappolaggio condotta dallo specialista Giancarlo Tedaldi, che da anni studia la specie nella nostra regione, e coordinata da Ornella De Curtis (naturalista del Settore Ambiente provinciale). I primi risultati inducono a proseguire il monitoraggio, anche con eventuali analisi genetiche di campioni biologici. La Provincia di Bologna, inoltre, sta definendo idonee misure di conservazione della specie.

Il vespertilio mustacchino a Roccamalatina L’approfondimento delle conoscenze sulla biodiversità nei siti della Rete Natura 2000, che ha coinvolto tutti i SIC e le ZPS dell’Emilia-Romagna, nel Parco Regionale Sassi di Roccamalatina ha portato alla luce nuovi e significativi dati sulla chirotterofauna dell’area. Nei sopralluoghi estivi i ricercatori hanno riconfermato i vecchi dati di presenza e individuato nuclei riproduttivi non ancora noti di ferro di cavallo minore e vespertilio di Daubenton. Lo studio dei siti di abbeverata e foraggiamento ha portato ulteriori risultati: lungo l’alveo del Panaro sono stati rinvenuti un individuo di pipistrello nano (Pipistrellus pipistrellus) e uno di vespertilio mustacchino (Myotis mystacinus). L’interessante ritrovamento di Myotis mystacinus, segnalato per la prima volta in provincia di Modena (A. Peron, F. Grazioli, A. Ruggeri - 2012), ne ha evidenziato la sottostima distributiva a livello regionale e la presenza lungo i corsi d’acqua dal Piacentino (A. Ruggeri - 1998) al Ravennate (M. Bertozzi, I. Salicini - 2012). In autunno i volontari dell’associazione “Quelli della Notte” e del Gruppo Speleologico Bolognese - Unione Speleologica Bolognese, grazie alla sofisticata strumentazione messa

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Nelle strade extraurbane gli animali finiscono travolti dai veicoli in quantità significati-

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Sono ormai più di 3.000 gli uccelli selvatici che il Centro Recupero Animali Selvatici del Parco Regionale Stirone e Piacenziano ha ospitato dal 2003 e negli ultimi anni quasi il 60% dei ricoveri ha riguardato rapaci diurni e notturni. Tre giovani falchi pecchiaioli, in particolare, trovati alla fine dell’estate 2011, quando i loro conspecifici erano già migrati verso l’Africa, sono stati allevati per un anno intero, con tutte le cure e le attenzioni possibili, e nell’agosto 2012, a conclusione del processo di recupero, sono stati rilasciati. È stata una grande emozione vederli prendere subito la direzione sud-ovest, quella tipica della migrazione della specie! Molto interessante è stato anche il caso di una femmina di falco cuculo, giunta nel

Trebbiantica: il fiume si veste di storia Il 13-14 ottobre 2012, ai Laghi di Tuna, in comune di Gazzola (PC), si è rinnovato l’appuntamento con “Trebbiantica”, la festa del parco regionale in cui rivive l’epopea della battaglia del Trebbia che nel 218 a.C. oppose Annibale alle truppe romane di Tiberio Sempronio Longo. Nella giornata di sabato l’associazione di archeologia sperimentale “Legio I Italica” ha allestito un castrum romano e 250 bambini, con insegnanti e

Il bivacco conquista gli escursionisti grazie al Bivypass

Pavia), hanno presentato una ricostruzione virtuale dell’antica Placentia. La festa è stata anche l’occasione per un incontro con la natura: la domenica, infatti, bambini e genitori hanno potuto seguire le escursioni guidate dalla biologa Giuliana Cassizzi. A catturare l’attenzione dei più piccoli hanno pensato i laboratori di Gino Chabod (giocattoli in legno), OPS Teatro e il suo Truccabimbi, che ha trasformato i loro visi in musetti di animali, il laboratorio del vento (aquiloni e aerei di carta) e lo spettacolo di magia e prestigio di Mago Willy. I più coraggiosi, grazie a Comunicazione in Volo, hanno ammirato il paesaggio fluviale dall’alto su colorate mongolfiere oppure provato l’emozione di una cavalcata nella natura. Grande successo hanno riscosso i piatti dell’antica Roma preparati dal ristorante “Laghi di Tuna”, come pure la burtleina con salume e le carni alla brace di Carlo Maserati (il ricavato è stato devoluto in beneficenza).

La flotta sostenibile del Parco Nazionale dell’Appennino ToscoEmiliano

2011 con un’ala rotta e perfettamente riabilitata da tecnici e veterinari del centro, che l’hanno rilasciata in natura a fine settembre, con un anello numerato leggibile a distanza fornito dalla LIPU di Parma. Nella primavera 2012 lo stesso animale è stato fotografato sempre in provincia di Parma: era andato in Africa per la stagione invernale e poi tornato a riprodursi sul nostro territorio! Due ottimi risultati che testimoniano l’alto livello del

genitori, hanno potuto respirare l’atmosfera della vita militare romana, interrogando i “soldati” sulle loro armi e vari aspetti della vita quotidiana. I bambini hanno anche assistito a uno scontro tra centurioni e a un funerale secondo la tradizione etruscoromana. Gli studiosi piacentini Manrico Bissi, Cristian Boiardi e Lorenzo Caravaggi, insieme a Stefano Maggi (Università di

Il Parco Nazionale Appennino ToscoEmiliano punta a diventare il primo parco d’Europa a mobilità sostenibile. Grazie al progetto Parco Bike, finanziato dal Ministero dell’Ambiente e realizzato in collaborazione con Sviluppo Terre Alte, l’area protetta mette a disposizione dei visitatori una flotta di biciclette a pedalata assistita che possono permettere a tutti di godere delle bellezze naturali del crinale in maniera rispettosa dell’ambiente. Anche i principianti del cicloturismo, assistiti da guide esperte, potranno affrontare le salite più ripide e apprezzare la sensazione di libertà che solo la bicicletta sa regalare. Le bike dell’Appennino, con il potente moto-

Nel Parco Nazionale Appennino ToscoEmiliano buon successo del Bivypass al bivacco Capanne di Badignana: prenotare on line ed entrare senza dover ritirare le chiavi dal gestore ha molto migliorato l’utilizzo di questa struttura di crinale: nei mesi estivi l’uso del bivacco, sul crinale appenninico che sovrasta Corniglio, è quasi triplicato rispetto allo stesso periodo del 2011. Dal 2012 si accede solamente dopo aver prenotato on line e aver ricevuto per posta elettronica il codice per la tastiera Bivypass, programmata per aprire la porta con una sequenza alfanumerica ogni giorno diversa (dalle 12 alle 12 del giorno dopo). Il direttore del parco nazionale Giuseppe Vignali sostiene che «la possibilità di verificare la disponibilità del bivacco e deciderne la prenotazione on line ha molto migliorato l’utilizzo della struttura, come pure il non essere vincolati a ritiro e riconsegna delle chiavi al gestore». Anche i gestori del bivacco sono soddisfatti. Alessandra Cavalieri Manasse dice: «Ci occupiamo da tempo del Rifugio Lagoni, nell’alta Val Parma, e abbiamo apprezzato la novità a Capanne di Badignana, che si trova ad appena mezz’ora di cammino. Il sistema di prenotazione è davvero semplice da gestire e i pagamenti avvengono on line, per cui non ci resta che controllare periodicamente il bivacco e assicurarne la funzionalità agli utilizzatori, in forte crescita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno». Gli escursionisti che nei mesi estivi hanno usufruito del bivacco provenivano per quasi il 50% dalla provincia di Parma e per il resto da quelle di Bologna, Modena, Reggio Emilia e Forlì e, in qualche caso, da fuori regione (Lucca, Pisa, Brescia, Milano, Bolzano). Per informazioni e prenotazioni: www.bivypass.com.

Hanno collaborato Roberta Azzoni, Silvia Baglioni, David Bianco, Marzia Conventi, Ornella De Curtis, Luigi Ghillani, Francesco Grazioli, Costanza Lucci, Simona Saletti, Guido Sardella, Giancarlo Tedaldi, Sergio Tralongo.

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Un attraversamento pericoloso nei Gessi Bolognesi

In seguito al bando regionale per il riordino della rete regionale dei centri di educazione ambientale è stato istituito il primo CEAS intercomunale della rete reggiana, composto dai comuni di Albinea, Bibbiano, Campegine, Canossa, Poviglio e Vezzano sul Crostolo. A inizio ottobre i sindaci hanno firmato la convenzione per la gestione associata del centro, che ha come capofila Albinea. Nel territorio dei comuni aderenti si trovano due riserve naturali, Rupe di Campotrera (Canossa) e Fontanili di Corte Valle Re (Campegine), una porzione del Paesaggio Protetto della Collina Reggiana e quattro SIC. Il nuovo centro, che mette in relazione territori molto diversi per caratteristiche naturali e paesaggistiche, dalla bassa pianura alla collina, ha lo scopo di promuovere un servizio permanente di educazione ambientale, svolgere attività di sensibilizzazione su biodiversità e sviluppo sostenibile, fornire informazioni sul territorio e le tematiche ambientali e proporre attività laboratoriali alle scuole e ai cittadini dei comuni associati.

Il CRAS “Le Civette” è sempre al lavoro

Segnaletica per i più piccoli nei Gessi Bolognesi: poche parole e molti disegni Accompagnare gruppi e scolaresche in un’area naturale è spesso occasione di spunti gestionali interessanti: la banale osservazione che bambini e ragazzi appaiono assai poco interessati alle parti scritte dei cartelli, di lettura difficoltosa anche per l’altezza, e che guardano quasi soltanto immagini e disegni, ha indotto il parco a immaginare una segnaletica a misura di bambini. È così nato un progetto partecipato che ha coinvolto varie figure professionali (guide, grafico, pedago-

re canadese Bionix Premium Series, sono dotate dei migliori accessori per il cicloturismo: affidabili navigatori (da affiancare a road-book cartacei con cartografia), porta mappa al manubrio, borse waterproof, caschi, seggiolini per i più piccoli. La carica dei motori elettrici avviene tramite apposite pensiline con pannelli fotovoltaici, distribuite in modo capillare nel parco nazionale lungo i 1.300 km di percorsi cicloturistici individuati (www.parcobike.it).

Il primo CEAS intercomunale reggiano

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dei coni attivi che caratterizzano l’anfiteatro naturale delle Salse di Nirano. Il percorso, lungo circa 150 metri e largo un metro e mezzo, è stato pensato per favorire la fruizione dell’area anche a persone con problemi di deambulazione e a ipovedenti e comprende parcheggi riservati, un camminamento privo di barriere architettoniche, supporti con indicazioni in braille e corrimano di accompagnamento, passerelle di adeguate pendenze e dimensioni per carrozzine. Realizzato con i contributi di Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, Provincia di Modena e Regione Emilia-Romagna, assicura la visibilità di una buona porzione

ve: ci sono ricerche che segnalano dati allarmanti per i vertebrati, con tassi di mortalità di decine o centinaia di esemplari per chilometro (caprioli, tassi, istrici, ricci, ghiandaie, ramarri, rospi, tritoni, ecc.), mentre non esistono stime per gli invertebrati, certamente colpiti anch’essi in misura molto rilevante. Il traffico, insomma, nuoce anche alla biodiversità. Nel Parco Regionale Gessi Bolognesi e Calanchi dell’Abbadessa sono stati almeno tre i lupi morti per investimento e un quarto è stato trovato cadavere nei pressi di una strada. Oltre ai lupi, ovviamente, tante altre specie pagano un tributo alla convivenza con l’uomo in quella specie di roulette russa che è l’attraversamento delle strade. Per limitare i danni, tuttavia, è possibile adattare le strade agli animali presenti nelle aree circostanti, obbligandoli a passare per varchi progettati allo scopo. Dopo il secondo lupo morto in un paio d’anni nel medesimo punto della SP “Valle dell’Idice”, poco a sud di Castel de’ Britti, il parco ha deciso di mettere in sicurezza il tratto più pericoloso, creando un sottopasso adatto a lupi, cinghiali e caprioli. L’intervento, completato da una recinzione a bordo strada, è sorprendentemente risultato il primo di questo genere in Italia per la grande fauna (nel Nord Europa se ne contano a centinaia, sia per minuscoli animali che per alci e orsi). A un centinaio di metri dal primo è stato realizzato un sottopasso per rospi, ricci e altri piccoli animali. Due esempi, a pochi chilometri dalla via Emilia, di come si possa restituire all’ambiente di un’area protetta quella che i tecnici chiamano “connettività”.

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CRAS, che prosegue anche la collaborazione con Libera e i suoi campi di volontariato.

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Nell’ottobre 2012 è stato inaugurato il percorso per disabili “siti aperti”, che si sviluppa su una passerella pedonale in legno e attraversa la riserva integrale, avvicinandosi a due

della riserva integrale ed è particolarmente utile per scolaresche e gruppi guidati, che in precedenza, in caso di pioggia e terreno bagnato, non potevano accedere all’area per ragioni di conservazione del suolo e della vegetazione. I cartelli informativi sono anche in inglese, per favorire il turismo internazionale, già presente nelle Salse.

gista, ecc.), diverse scuole dell’infanzia e primarie e il “consiglio comunale dei ragazzi” di San Lazzaro di Savena. Oggi i percorsi intorno al Centro Visita di Settefonti e a Casa Fantini sono attrezzati con una segnaletica semplice ed efficace, come è sempre la comunicazione dei bambini.

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a disposizione dal Life+ Gypsum, hanno incrementato le conoscenze sui siti ipogei frequentati dai chirotteri (sono stati osservati il ferro di cavallo sia minore sia maggiore, entrambe specie prioritarie nell’Allegato II della Direttiva Habitat).

Un nuovo percorso di visita attrezzato alle Salse di Nirano

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La guida dell’Alta Via dei Parchi Dallo scorso settembre, per gli amanti del trekking, è a disposizione la guida dell’Alta Via dei Parchi, una pubblicazione dedicata all’ininterrotto itinerario escursionistico, suddiviso in 27 tappe e lungo complessivamente 500 km, che percorre l’Appennino settentrionale a partire da Berceto, in provincia di Parma, fino a raggiungere il Monte Carpegna, che si erge al centro del Parco Interregionale Sasso Simone e Simoncello, nel Montefeltro. Il percorso attraversa gran parte dell’EmiliaRomagna, utilizzando come scenario quello dei suoi parchi situati in gran parte a ridosso del panoramico crinale. Un’affascinante escursione che raccorda, intrecciandole, la natura e la storia dei nostri territori montani e si sviluppa tra vette silenziose, ampi orizzonti, praterie sommitali, estesi boschi, antichi abitati, testimonianze religiose come pievi, eremi e monasteri. La guida, coordinata dal Servizio Parchi e Risorse forestali della Regione Emilia-Romagna e scritta in gran parte da Mario Vianelli, è corredata da interessanti capitoli sugli aspetti storici e naturalistici di maggiore spicco lungo l’itinerario, una cartografia essenziale delle singole tappe e dell’intero percorso, i recapiti delle 67 strutture ricettive dove pernottare e mangiare, una sezione che descrive brevemente le otto aree protette attraversate: due parchi nazionali (Appennino Tosco-Emiliano e Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna), un parco interregionale (Sasso Simone e Simoncello) e cinque parchi regionali (Valli del Cedra e del Parma, Alto Appennino Modenese, Corno alle Scale, Laghi di Suviana e Brasimone, Vena del Gesso Romagnola). Con la sintetica descrizione delle 27 tappe che scandiscono il tragitto è stato realizzato anche un pieghevole, distribuito gratuitamente dalla Regione. M. Vianelli, Alta Via dei Parchi. Un lungo cammino nell’Appennino settentrionale, Regione Emilia-Romagna, Ediciclo Editore, 2012.

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I pieghevoli di Torrile e Trecasali e del Trebbia Nel 2012 la ormai “storica” collana regionale di pieghevoli sulle aree protette (la prima serie fu distribuita con il quotidiano «La Repubblica» vent’anni fa!) si è arricchita di due nuove pubblicazioni, rispettivamente dedicate alla Riserva Naturale di Torrile e Trecasali (n. 30) e al Parco Regionale Fluviale del Trebbia (n. 31). I pieghevoli, come sempre curati dalla Fondazione Villa Ghigi, presentano in modo sintetico ma preciso le principali caratteristiche naturali e storiche delle due aree protette e sono corredati da fotografie, disegni e mappe. In entrambe le aree, come è noto, la grande

protagonista è l’avifauna, come è facile intuire dalla sgarza ciuffetto che sembra attraversare la copertina di Torrile e Trecasali e dai tre occhioni in posa nella copertina del Trebbia. Non mancano, naturalmente, capitoli dedicati agli altri aspetti peculiari delle due aree protette, la segnalazione di una serie di punti di interesse e di alcuni itinerari, varie curiosità naturalistiche o storiche e tutte le informazioni utili per prendere contatto con la riserva e con il parco e programmare una visita.

Un’originale guida illustrata del Parco Regionale del Trebbia Il volume contribuisce a presentare in modo originale l’ultimo nato tra i parchi della nostra regione. Nelle 72 pagine gradevolmente illustrate da Andrea Ambrogio, vengono descritti sia gli ambienti e gli habitat caratteristici del corso d’acqua, sia le specie di flora e di fauna più significative presenti nell’area protetta. Il Trebbia è noto per essere uno dei fiumi a maggiore qualità ambientale dell’Emilia-Romagna: come in un personale diario di campagna, l’autore usa i suoi colorati acquerelli per ritrarre i luoghi visitati, annotando anche la data delle osservazioni naturalistiche, e accompagna così alla scoperta dei diversi ambienti del parco e delle piante e degli animali più caratteristici. Scorrendo le pagine si possono ammirare accurati ed espressivi disegni dell’occhione, del corriere piccolo, della sterna comune, del gruccione e degli altri uccelli che nidificano nel territorio del parco, ma anche delle specie arboree e arbustive che incorniciano il corso d’acqua, delle piante pioniere degli alvei ciottolosi e di quelle delle praterie semiaride calcicole, senza dimenticare le eleganti orchidee che fioriscono nei prati del greto consolidato e le specie nemorali che impreziosiscono il Bosco della Croara. A. Ambrogio, Il Parco Regionale Fluviale del Trebbia, Regione Emilia-Romagna Edizioni Tip.Le.Co, 2012.

Un volume per gli 80 anni di speleologia nel Bolognese Quando si compiono 80 anni è giusto festeggiare “alla grande”, soprattutto quando a un traguardo del genere arriva il Gruppo Speleologico Bolognese - Unione Speleologica Bolognese (GSB-USB), che ha una storia ricca e intensa da raccontare. Le grotte bolognesi è in effetti un volume di grande formato e di oltre 400 pagine (€ 45), con uno spettacolare corredo di fotografie e documenti, che nel titolo richiama la memorabile pubblicazione di Luigi Fantini degli anni Trenta (la

Libri cui copia anastatica è contenuta nel DVD allegato al volume). Scorrendo l’indice balza subito agli occhi la straordinaria ricchezza dell’epopea speleologica bolognese, con capitoli che trattano degli aspetti scientifici (geologia, ecologia, paleontologia, archeologia, ecc.) ma anche di letteratura e arte e dei tanti personaggi che hanno caratterizzato le vicende delle cavità del Bolognese. Una sezione, attraverso i vividi racconti dei bambini dell’epoca, rievoca l’ultima guerra, quando le grotte servirono da rifugio per sfuggire ai bombardamenti e ai rastrellamenti dei nazifascisti. Tutte le aree carsiche sono minuziosamente descritte e illustrate con fotografie e cartine, suddividendo il territorio in varie zone trattate per sistema e tipo di cavità (nei gessi, nelle arenarie, nei travertini). Il volume, che certamente sarà a lungo il più importante punto di riferimento su questo tema nel Bolognese, è frutto del lavoro volontario di moltissimi ricercatori e appassionati, i cui interventi sono stati efficacemente coordinati dai quattro curatori. Alla pubblicazione hanno contribuito la Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna, la Provincia di Bologna e il Parco Regionale Gessi Bolognesi e Calanchi dell’Abbadessa. D. Demaria, P. Forti, P. Grimandi, G. Agolini (a cura), Le grotte bolognesi, Gruppo Speleologico Bolognese - Unione Speleologica Bolognese, Grafiche A&B, 2012.

Una guida ai grandi alberi dei Sassi di Roccamalatina Dopo quella dedicata a Monte Sole, l’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali dell’Emilia-Romagna ha realizzato una nuova guida ai grandi esemplari arborei di un parco regionale, i Sassi di Roccamalatina. La pubblicazione, messa a punto in collaborazione con il parco e pensata anche per arricchire i suoi itinerari naturalistici, si inserisce nell’intenso lavoro di ricerca, censimento e catalogazione degli alberi monumentali svolto dall’IBC ed è parte di una serie di indagini attivate su questo specifico patrimonio. Ai Sassi di Roccamalatina i singoli esemplari arborei censiti sono 30, ai quali sono da aggiungere cinque filari, un bosco di betulle e due castagneti centenari. Tra gli alberi, dislocati nei comuni di Guiglia e Zocca, sono in particolare da segnalare la roverella del borgo antico di Samone, le due roverelle della “Vignola” e la cerrosughera di Lame di Zocca (una specie significativa, poco presente in tutto il territorio regionale). Le schede accompagnano il visitatore in un percorso che da nord verso sud tocca tutti i principali ambienti che caratterizzano l’area protetta, dal fiume al bosco e alle rupi arenacee. Le tavole topografiche, oltre alla localiz-

zazione degli esemplari censiti, riportano la rete sentieristica del parco. Il volumetto è in vendita, a prezzo di costo (€ 2,50), nelle strutture del parco. T. Tosetti, C. Tovoli (a cura), Parco Regionale dei Sassi di Roccamalatina. Guida ai grandi alberi, IBC Emilia-Romagna, Editrice Compositori, 2012.

Un quaderno sugli uccelli della Vena del Gesso Romagnola La Vena è un parco ben noto per l’improvviso e spettacolare fronte roccioso che si impone nel paesaggio collinare tra Bolognese e Ravennate. Il quaderno, stampato in occasione della mostra Ali sui Gessi. Gli uccelli diurni del Parco della Vena del Gesso, rende omaggio all’avifauna dell’area protetta e delle zone limitrofe, testimoniandone l’importanza e la varietà. Nel territorio della Vena sono state segnalate complessivamente 132 specie di uccelli, di cui 92 nidificanti e 21 meritevoli di protezione secondo la specifica direttiva europea. Nel quaderno, corredato da pregevoli fotografie, si trovano notizie sulla storia dell’ornitologia nella Vena, una descrizione puntuale dei vari ambienti e delle relative specie tipiche, la check-list degli uccelli presenti e le schede di quelli più rilevanti. M. Costa (a cura), Ali sul gesso. Gli uccelli della Vena del Gesso romagnola, Carta Bianca Editore, 2012.

L’aquila reale nell’Appennino Tosco-Emiliano Nel Parco Nazionale dell’Appennino ToscoEmiliano la natura sta tornando a occupare spazi che l’uomo le aveva sottratto e osservare il volo maestoso dell’aquila reale è un’esperienza ormai sempre più frequente. A questo straordinario rapace è stata dedicata un’elegante pubblicazione, realizzata grazie a un finanziamento del Ministero dell’Ambiente e al lavoro appassionato degli autori Marco Gustin, Mario Pedrelli, Stefano Schiassi e Michele Mendi, appartenenti al “Gruppo monitoraggio aquila reale Appennino settentrionale”, e alla preziosa collaborazione, tra gli altri, di Kent Ohrn, Marco Andreini e Dag Peterson. Nonostante il libro nasca da un progetto durato due anni, contiene informazioni raccolte nel corso di un decennio di studi sul campo. In modo dettagliato, con l’ausilio di un centinaio di splendide fotografie della specie, delle principali prede e degli ambienti che frequenta, il libro analizza caratteristiche morfologiche, abitudini, distribuzione e status di conservazione delle popolazioni italiane, regionali e locali

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Libri

di aquila reale. Alla pubblicazione è allegato un DVD di spettacolari immagini del parco e del rapace, commentate da Giuseppe Vignali, direttore del Parco Nazionale, dall’etologo Danilo Mainardi e da Enrico Bassi, responsabile del monitoraggio dell’aquila reale nel Parco Nazionale dello Stelvio. M. Gustin, M. Mendi, M. Pedrelli, S. Schiassi, L’aquila reale nel Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, Tipografie Riunite Donati, 2011.

La nuova carta turistico-ambientale delle Salse di Nirano La carta, realizzata nel 2012 dal Comune di Fiorano in collaborazione con la Provincia di Modena e l’Università di Modena e Reggio Emilia, è un pieghevole, di formato tascabile, con note illustrative sintetiche in italiano e in inglese. Gli elementi caratterizzanti sono una carta geoturistica e un’immagine a effetto tridimensionale del territorio della riserva (entrambe realizzate in ambiente ESRI ArcGIS). La carta coniuga la rappresentazione dei più evidenti aspetti geomorfologici, riconoscibili da tutti i visitatori, con le essenziali indicazioni turistiche, mentre l’immagine, elaborata sovrapponendo ortofoto aeree al modello digitale del terreno, consente di apprezzare la morfologia della riserva e delle aree circostanti. La carta, corredata da fotografie degli aspetti ambientali più significativi, è completata da sintetiche informazioni sulla riserva, il fenomeno delle salse, i percorsi escursionistici e didattici, la fauna, la flora e la vegetazione, il Centro Visite Cà Tassi e l’Ecomuseo Cà Rossa, i punti di ristoro e alloggio, le attrattive turistiche dei dintorni. È acquistabile nelle strutture della riserva e in quelle di accoglienza nelle vicinanze.

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La storia dell’Appennino ToscoEmiliano sul web Il Parco Nazionale dell’Appennino ToscoEmiliano è protagonista di un libro-intervista, Si fa presto a dire Parco, curato da Emanuela Rosi, giornalista de «La Nazione», con il presidente Fausto Giovanelli. Nelle tre parti in cui è articolato, il libro accompagna la storia del parco, ne ripercorre le tappe, sottolinea idee e progetti realizzati e in corso, propone una riflessione sul futuro dell’area protetta. Le prime due interviste ricordano le vicende amministrative e politiche che hanno portato alla nascita del parco nazionale e il percorso, dal basso, di condivisione con i cittadini, di un progetto territoriale di conservazione e, allo stesso tempo, di sviluppo. Nell’ultima intervista, intitolata A lungo e ancora innovazione, viene proposta una visione delle prospettive del parco a fronte della

I Parchi e le Riserve Naturali dell’Emilia-Romagna grave crisi in cui ci troviamo immersi. Il libro, oltre all’introduzione di Emanuela Rosi, contiene anche uno scritto di Giovanni Lindo Ferretti e una breve storia fotografica in sedici immagini. È scaricabile dal sito www. parcoappennino.it/sifaprestoadireparco.php.

Quattro poster del Contrafforte Pliocenico La grande Riserva Naturale del Contrafforte Pliocenico, che tutela la spettacolare sequenza di rilievi arenacei sulle colline bolognesi, ha da poco prodotto una prima serie di poster che illustrano la flora, la fauna, il paesaggio e le emergenze geologiche dell’area protetta. I poster, in formato 50x70 cm, sono stati realizzati, insieme a una serie di cartoline di prossima uscita, nell’ambito di un progetto di promozione della riserva che ha visto la collaborazione delle realtà museali e associative e delle strutture di accoglienza e ristorazione presenti nel territorio della riserva. Tra le forme di collaborazione avviate con le strutture ricettive importante è, ad esempio, la capillare distribuzione di materiale informativo e promozionale sulla riserva e le sue attività e l’appoggio dato alle frequentate escursioni organizzate nella riserva.

“Un Tesoro di Ambiente” ai Fontanili di Corte Valle Re A conclusione del progetto di educazione ambientale “Un Tesoro di Ambiente - Percorsi di sensibilizzazione verso la conoscenza e la conservazione della Natura” (Bando INFEA 2009/2010) la Riserva Naturale dei Fontanili di Corte Valle Re ha realizzato una colorata brochure che raccoglie le immagini più significative delle iniziative proposte, che hanno avuto come filo conduttore il tema della biodiversità. L’obiettivo del progetto era di stimolare la conoscenza e l’uso sostenibile del territorio e di contribuire a valorizzare il patrimonio naturalistico e ambientale delle zone umide di acqua dolce di pianura, veri spot di biodiversità in un contesto territoriale fortemente antropizzato e compromesso. Le immagini sono accompagnate da brevi testi che raccontano, oltre alle finalità del progetto, le singole iniziative che hanno coinvolto varie tipologie di utenti, dagli alunni delle scuole ai cittadini, dagli educatori ambientali ai tecnici delle amministrazioni e ai professionisti che operano nella pianificazione, gestione e tutela del territorio.

PARCHI NAZIONALI Parco Nazionale Appennino Tosco-Emiliano

sede amministrativa Sassalbo MS tel. 0585 947200 sede operativa Ligonchio RE tel. 0522 899402 info@parcoappennino.it www.parcoappennino.it

tel. 0521 896618 / 880363 info.valli-cedraeparma@ parchiemiliaoccidentale.it

sede legale Pratovecchio AR tel. 0575 50301 sede comunità del parco Santa Sofia FC tel. 0543 971375 infosede@parcoforestecasentinesi.it www.parcoforestecasentinesi.it PARCHI INTERREGIONALI Parco Interregionale Sasso Simone e Simoncello

sede Carpegna FC tel. 0722 770073 / 727849 info@parcosimone.it www.parcosimone.it ENTE DI GESTIONE PER I PARCHI E LA BIODIVERSITÀ EMILIA OCCIDENTALE sede Langhirano PR tel. 0521.354111 / 852743 info@parchiemiliaoccidentale.it www.parchiemiliaoccidentale.it

Riserva Naturale Torrile e Trecasali

Riserva Naturale Parma Morta

tel. 0521 817131 parmamorta@comune.mezzani.pr.it ENTE DI GESTIONE PER I PARCHI E LA BIODIVERSITÀ EMILIA CENTRALE

tel. 0521 836026 / 833440 info.boschi-carrega@ parchiemiliaoccidentale.it

tel. 0536 29974 riserva.sassoguidano@comune.pavullonel-frignano.mo.it www.riservasassoguidano.it ENTE DI GESTIONE PER I PARCHI E LA BIODIVERSITÀ EMILIA ORIENTALE sede legale Marzabotto BO sede amministrativa e presidenza Monteveglio BO tel. 051 6701044 protocollo@enteparchi.bo.it www.parchiemiliacentrale.it

* Riserva Naturale Alfonsine

tel. 0544 866611 turismoalfonsine@provincia.ra.it Riserva Naturale Dune Fossili di Massenzatica

tel. 0532 299720 / 299730 renato.finco@provincia.fe.it ENTE DI GESTIONE PER I PARCHI E LA BIODIVERSITÀ ROMAGNA

Parco Regionale Alto Appennino Modenese (Parco del Frignano)

Parco Regionale Vena del Gesso Romagnola

tel. 0536 72134 info@parcofrignano.it www.parcofrignano.it

Parco Regionale Abbazia di Monteveglio

tel. 051 6701044 info@parcoabbazia@enteparchi.bo.it www.parcoabbazia.it Parco Storico Regionale Monte Sole

tel. 059 795721 info@parcosassi.it www.parcosassi.it

tel. 0521 802688 / 305742 info.taro@parchiemiliaoccidentale.it www.parcotaro.it

Riserva Naturale Sassoguidano

tel. 0533 314003 parcodeltapo@parcodeltapo.it www.parcodeltapo.it

sede Brisighella RA tel. 0546 80628 parcovenadelgesso@cert.provincia.ra.it

Parco Regionale Sassi di Roccamalatina

Parco Regionale Taro

Parco Regionale Delta del Po

sede Modena MO tel. 059 209408 protocollo@pec.parchiemiliacentrale.it www.parchiemiliacentrale.it

tel. 0523 795480 / 795423 info.trebbia@parchiemiliaoccidentale.it www2.provincia.pc.it/partecipa/ parcotrebbia

tel. 0524 581139 info.stirone-piacenziano@ parchiemiliaoccidentale.it www.parcostirone.it

sede Comacchio FE tel. 0533 314003 parcodeltapo@parcodeltapo.it

tel. 0521 931730 / 810606 oasitorrile@lipu.it www.lipu.it

Parco Regionale Trebbia

Parco Regionale Stirone e Piacenziano

tel. 0536 833276 / 0536 921214 infosalse@comune.fioranomodenese.mo.it

tel. 0525 30195 / 400611 riservaprinzera@libero.it

oasighirardi@wwf.it www.oasighirardi.org

ENTE DI GESTIONE PER I PARCHI E LA BIODIVERSITÀ DELTA DEL PO

Riserva Naturale Salse di Nirano

Riserva Naturale Monte Prinzera

Parco Nazionale Foreste Casentinesi, Riserva Naturale Ghirardi tel. 0521 931730 / 287840 Monte Falterona e Campigna

Parco Regionale Boschi di Carrega

Hanno collaborato Roberta Azzoni, Silvia Baglioni, David Bianco, Marzia Conventi, Ornella De Curtis, Elena Iori, Simona Saletti.

Parco Regionale Valli del Cedra e del Parma

Riserva Naturale Cassa di Espansione del Fiume Secchia

tel. 0522 627902 info@parcosecchia.it www.parcosecchia.it

* Riserva Naturale Fontanili di Corte Valle Re

tel. 0522 677907 cea@comune.campegine.re.it www.riservavallere.it Riserva Naturale Rupe di Campotrera

tel. 051 932525 segreteria.montesole@enteparchi.bo.it www.parcostoricomontesole.it Parco Regionale Corno alle Scale

tel. 0534 51761 info.parcocorno@enteparchi.it www.parcocornoallescale.it

tel. 0546 81066 parcovenadelgesso@cert.provincia.ra.it www.parcovenadelgesso.it Riserva Naturale Bosco della Frattona

tel. 0542 602183 bosco.frattona@comune.imola.bo.it www.comune.imola.bo.it/boscofrattona Riserva Naturale Bosco di Scardavilla

tel. 0543 499405 scardavilla@comune.meldola.fc.it www.collineforlivesi.it

Parco Regionale Laghi Suviana e Brasimone

tel. 0534 46712 parcodeilaghi@enteparchi.it www.ilparcodeilaghi.it Parco Regionale Gessi Bolognesi Calanchi dell’Abbadessa

tel. 051 6254811 protocollo.parcogessi@enteparchi.it www.parcogessibolognesi.it

Riserva Naturale Onferno

tel. 0541 984647 info@grotteonferno.it www.grotteonferno.it

* Riserva Naturale Contrafforte Pliocenico

tel. 051 6598645 / 6598477 tel. 0522 248413 riservacontrafforte@provincia.bologna.it riservacampotrera@comune.canossa.re.it. www.provincia.bologna.it/ambiente

N.B. Le riserve naturali dopo l’asterisco (*), pur essendo comprese nell’ambito geografico della corrispondente macroarea, sono ancora gestite dalle amministrazioni locali.


Una modesta escursione non pretende di uguagliare le prodezze dei più arditi e dei più dotati. Ma in qualche modo ne garantisce l’avvicendamento. Un paio di scarpe adatte, uno zaino, una borraccia, un fisico in forma, uno sguardo all’erta… tutto questo ci rende più simili a quegli esseri leggendari che non alle folle che non hanno nulla da fare, che ribadiscono la loro noia, con le gambe fuori uso, lo sguardo stravolto. Pierre Sansot In realtà il viandante non si domicilia nello spazio ma nel tempo: la sosta serale, il riposo notturno, i pasti inscrivono nella continuità del tempo un’abitazione che ogni giorno si rinnova. Il viandante afferra il suo tempo, non si lascia afferrare dal tempo. Scegliendo questo modo di spostarsi a discapito di altri, afferma la sua sovranità sul calendario, la sua indipendenza dai ritmi sociali, il suo desiderio di poter posare la bisaccia a lato della strada per gustarsi un bel sonnellino o per pascersi della bellezza di un albero o di un paesaggio. David Le Breton

€ 5,00

Regione Emilia-Romagna Assessorato Ambiente e Riqualificazione urbana Servizio Parchi e Risorse forestali Viale della Fiera, 8 - 40127 Bologna BO


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