Pambianco wine 02 I

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DOSSIER

Bergamo e autrice del primo rapporto sul turismo enogastronomico italiano, all’interno del quale sono prese in considerazione diverse best practice internazionali. E non si parla soltanto di esempi statunitensi. Basti pensare che la maggiore attrazione turistica dell’Irlanda è il museo aziendale della Guinness, la nota birra scura prodotta nel centro di Dublino, con oltre 1,6 milioni di ingressi nel 2016. A Bordeaux la Cité du Vin, museo dedicato alla cultura del vino e inaugurato nel maggio 2016, viaggia ormai attorno ai 500 mila visitatori. Ci sono poi esempi significativi per la capacità di organizzare un sistema di promozione turistica fondato su basi enogastronomiche, come la Catalunya che attraverso l’Agenzia Catalana del Turismo, braccio operativo nel settore turistico del governo regionale, ha sviluppato brand specifici, Enoturisme Catalunya e Experiències Gastronòmiques, e ha indetto per il 2016 l’Anno della gastronomia e dell’enoturismo. O il Belgio, che ha puntato sul turismo legato alla birra e creato il programma The BelgianBeerRoutes, guida online che offre la possibilità di visitare 225 birrifici collegati in rete e di seguire tutti i festival collegati al prodotto che rappresenta l’orgoglio nazionale belga. In Italia siamo certamente in ritardo anche se, osserva Garibaldi, il turismo del vino ha un pregresso storico abbastanza importante e superiore a quello di altri ambiti della gastronomia. “La possibilità di visitare pastifici, caseifici e altre aziende del food è ancora più acerba”, osserva la docente. “Certamente, per lo sviluppo dell’enoturismo, ci sono stati dei limiti legati alla normativa che disciplina le degustazioni in cantina, ciononostante esistono almeno un paio di casi d’eccellenza territoriale. Penso alla Toscana, riconosciuta a livello mondiale come destinazione turistica legata anche al vino, e alle Langhe-Roero, patrimonio Unesco”. DIFFERENZIARE L’OFFERTA In Italia però manca un’offerta enoturistica a livello nazionale, perché tutto viene demandato all’iniziativa delle singole aziende o dei territori. Non esiste, ad esempio, un sito riassuntivo di tutte le aziende aperte al pubblico. E anche nelle aree più evolute in termini di offerta, il paragone con la California non regge. “L’organizzazione in Napa Valley è eccellente, fin dal welcome center che offre tutte le informazioni utili per visitare le aziende

e soggiornare in zona. Inoltre il personale di accoglienza è estremamente preparato”, sottolinea Garibaldi, evidenziando così un altro aspetto funzionale al turismo che i californiani sono riusciti ad avviare: la formazione qualificata e specializzata per hospitality manager. Per non parlare della differenziazione dell’offerta a livello esperienziale… “La Napa Valley è visitabile con il wine train (che ovviamente offre un servizio di ristorazione e tasting, ndr), in bicicletta e in mongolfiera. Le offerte delle cantine sono altrettanto differenziate e prevedono tour storici e percorsi fondati sulla sostenibilità, forme veloci e modalità approfondite di visita. Ogni azienda, inoltre, organizza un numero importante di eventi al proprio interno e il networking risulta molto positivo, perché le realtà della Napa Valley sanno operare in rete in maniera integrata”. E allora, al di là dell’iniziativa privata, ciò che manca in Italia per crescere in modo ragionato e programmatico è proprio la base: un piano strategico di turismo gastronomico, partendo dall’enoturismo che fa da traino a tutto il resto. “Piani simili – conclude Garibaldi – sono stati realizzati in diverse nazioni, dall’Irlanda alla Finlandia per restare in Europa, ma non da noi. E costituiscono un punto di partenza, a livello analitico, per sviluppare una serie di azioni armoniche indispensabili per raggiungere l’obiettivo finale”. Che è quello di sfruttare un potenziale straordinario, ma perlopiù inespresso.

In alto, il castello di Amorosa in Napa Valley In apertura, il treno per il wine tour organizzato nella regione vinicola californiana

Settembre/Ottobre 2018 PAMBIANCO WINE&FOOD 21


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