
4 minute read
Ritorno al futuro
STORIE DELLA BICICLETTA
LA BICICLETTA PRENDE LA SUA FORMA ATTUALE NEL 1890. A TEGLIO VENETO, NEL 1919, SORGE LA GEMMATI VELOCIPEDI, LA PIÙ ANTICA FABBRICA ITALIANA DI BICICLETTE, ANCORA IN ATTIVITÀ, CHE HA DATO ORIGINE AL MARCHIO IRIDE
Advertisement
La bicicletta è una tecnologia che ha una lunga storia sociale. Durante un soggiorno nell’isola di Wight, nell’estate del 1881, la regina Vittoria d’Inghilterra è a bordo della carrozza reale quando vede una giovane donna muoversi velocemente in sella a uno strano veicolo. Fece immediatamente convocare la ragazza alla residenza reale dove questa si presentò, poco dopo, su una sorta di triciclo distribuito nell’isola dalla ditta del padre. Il processo sociale che avrebbe condotto alla “bicicletta” così come la conosciamo oggi era ancora lungi a venire. A un certo punto del percorso di quell’artefatto tecnologico, vi erano tre modelli che potevano aspirare a diventare “la bicicletta”: il triciclo posseduto dalla ragazza dell’isola di Wight, il biciclo Ordinary a ruota alta, che rispondeva bene alle esigenze di uomini e sportivi, e la Safety bicycle, la bicicletta a ruota bassa, considerata un mezzo per donne e ragazzini. Tricicli e bicicli con sellino laterale consentivano alle donne di pedalare indossando gonne lunghe e pertanto, per un certo periodo, furono questi i modelli di maggior successo. L’introduzione, nel 1888, dello pneumatico da parte del veterinario scozzese John Boyd Dunlop, che voleva attenuare i continui scossoni a cui vedeva sottoposto il triciclo del figlio sul selciato, permise l’affermazione di un nuovo modello che conquistò definitivamente anche i ciclisti sportivi. Con un leggero aggiustamento nell’abbigliamento (fu “sufficiente” accettare di indossare dei pantaloni sotto le gonne), il nuovo modello incontrò anche il favore femminile. A un certo punto un’interpretazione tra le molte disponibili prevale: il biciclo Ordinary a ruota alta è pericoloso, punto e basta. Ogni innovazione altera inevitabilmente gli equilibri di una società. In una frazione di Teglio Veneto, vicino a Portogruaro, si cela una bottega artigiana che può raccontare molto della gloriosa storia della bicicletta in Italia: la Gemmati Velocipedi. Sorta a inizio del Novecento è infatti l’azienda produttrice di biciclette più longeva in Italia alla guida della stessa famiglia. Oggi a guidarla è Carlo Gemmati, nipote del fondatore Umberto.
1919: Iride, nasce un marchio iconico Uno scudo, bello, elegante, colorato di giallo, azzurro e rosso. E quella scritta obliqua, “Iride”, con quel font inconfondibile. “I colori si rifanno a San Giovanni mentre l’origine del nome “Iride” non l’ho mai scoperta, purtroppo - confessa Carlo Gemmati il nipote del fondatore -. L’unica cosa che posso dire è che il brevetto venne depositato nel 1924 ma era probabilmente in uso già da un paio d’anni”. I primi documenti che testimoniano l’avvio dell’azienda Gemmati Velocipedi (la scritta campeggia ancora oggi nella facciata esterna dell’azienda) risalgono infatti al 1919, subito dopo la fine della Grande Guerra. Umberto Gemmati, nonno di Carlo, dopo alcuni anni trascorsi a lavorare nell’azienda
di cicli milanesi Umberto Dei, decise di ritornare nel paese natale di Teglio Veneto dove avviò la propria attività. Dopo tre generazioni e oltre cento anni di storia alle spalle, la Gemmati Velocipedi riveste ancora un ruolo di tutto rispetto nel panorama dei velocipedi italiani. Il suo mercato si sviluppa prevalentemente nell’area

del Friuli e del Veneto con sporadiche esportazioni all’estero. “Non sono avvezzo all’uso delle moderne tecnologie digitali e, probabilmente, il mio mercato ne risente. Inizio a dirmi vecchio a causa della mia scarsa familiarità con queste tecnologie. È un mio limite con cui devo fare i conti” confessa sinceramente il titolare. La maestria però è indipendente della padronanza dei nuovi strumenti informatici. Con solo quattro unità operative (compreso il titolare), la Gemmati produce infatti dei pezzi unici: bici da corsa, mountain bike, gravel ma - soprattutto - biciclette su misura che rappresentano il fiore all’occhiello della produzione. Si tratta di prodotti che sul mercato sono assai rari se non totalmente assenti e che ogni anno l’azienda riesce a produrre in circa 150 esemplari. In parallelo è stata sviluppata una filiera che si affida a telai di importazione o alla commercializzazione di biciclette prodotte in collaborazione con un’altra azienda italiana. “La maggior parte dei telai in commercio provengono dalla Cina - spiega Carlo Gemmati -. I costi sono nettamente inferiori a quelli presenti nel mercato italiano. Ormai tutti i prodotti finiti sono d’importazione. Tuttavia c’è sempre margine per delle innovazioni che ravvivino il mercato”. Negli anni, la messa a punto di nuovi materiali ha enormemente rivoluzionato la produzione delle biciclette. “Con l’acciaio al nichel-cromo-molibdeno, debolmente legato, per esempio, mi è stato possibile realizzare telai che pesano come quelli realizzati in carbonio”. Ma l’introduzione di nuovi materiali non è l’unica innovazione che si può riscontrare nel settore dei velocipedi contemporanei. Nelle biciclette moderne la prima vera rivoluzione arrivò con l’introduzione del cambio. “Prima della Guerra esisteva il cosiddetto cambio “Regina Margherita”, con al massimo tre velocità. Successivamente, venne introdotto il cambio “Campagnolo” dell’omonima azienda padovana. È la prima fase di una vera e propria rivoluzione che oggi ha condotto fino ai cambi semiautomatici. La tecnologia dei cambi sincronizzati con comando elettronico è stata introdotta poco più di cinque anni fa - racconta Gemmati -. Tuttavia piccoli aggiustamenti e modifiche continuano sempre a essere apportate. Le biciclette si evolvono per necessità. Tuttavia – aggiunge Gemmati, con una lieve vena di nostalgia - l’innovazione fa perdere un po’ quella “poesia” che era propria delle vecchie biciclette. Un sentimento che, non a caso, ha spinto alcune persone a organizzare delle gare per biciclette storiche. La tecnologia e l’innovazione, da un lato fanno acquistare nuove opportunità, dall’altro però fanno perdere sempre qualcosa”.