Segni Elementari - Exhibition Catalogue

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L’arte contemporanea nei trulli patrimonio dell’umanità Alberobello 18 febbraio 1 giugno 2022

Ideazione e direzione artistica Francesco Carofiglio

Comitato scientifico e di curatela Francesco Carofiglio Concettina Ghisu Lorenzo Madaro Brizia Minerva Catalogo a cura di Valentina Santoro Progetto grafico Ottopiuotto Agenzia di Comunicazione e Visual Marketing per le Imprese

Presidente Regione Puglia

Michele Emiliano 7

Sindaco di Alberobello

Michele Maria Longo 8

Assessore alla Cultura di Alberobello

Alessandra Turi 9

Carofiglio 11 a José Angelino 14 c Pamela Campagna 18 Francesco Carofiglio 20 Tiziana Contu 22 Ada Costa 23 Alessandro Costanzo 25 Francesco Arena 16 d Daniele D’Acquisto 27 Franco Dellerba 29 Domenico Di Caterino 31 Baldo Diodato 33 Helmut Dirnaichner 35 Artisti e Opere Direttore artistico f Viviana Fernandez Nicola 37 Francesco Fossati 39 Shay Frisch 41 g Nicola Genco 43 Pietro Guida 45 k Sophie Ko 47 l Loredana Longo 49 p Mimmo Paladino 51 s Pasquale Santoro 53 v Raffaele Vitto 55
Francesco
ph. Amato
MIMMO PALADINO CAVALLO

La bellezza è qualcosa d’immateriale, è stupore, un sentimento in grado di dilatare il tempo della felicità.

Se mi chiedete quindi cos’è per me Alberobello vi risponderei così, o al massimo vi citerei una frase del grande Antonio Tabucchi che mi è rimasta nel cuore: Ci sono giorni in cui la bellezza gelosa di questa città sembra svelarsi: nelle giornate terse, per esempio, di vento, quando una brezza che precede il libeccio spazza le strade schioccando come una vela tesa È una frase che più di altre svela il mio stato d’animo ogni volta che mi trovo ad Alberobello, o che semplicemente ne parlo in pubblico o in privato.

Celebrare i 25 anni del riconoscimento Unesco a questa città, e farlo anche attraverso una mostra d’arte internazionale, vuol dire per noi tutti rinnovare il patto antico dei pugliesi con la bellezza, vuol dire impegnarsi, ciascuno col ruolo che gli compete, a custodirla nel tempo, vuol dire educare le nuove generazioni a costruire il proprio avvenire confidando nei suoi valori.

Una bellezza, quella di Alberobello, capace di farci conoscere nel mondo e capace di far giungere il mondo da noi, nella piena consapevolezza di essere da sempre una terra ospitale e accogliente, autentica e piena di umanità.

ph. Amato
Michele Emiliano Presidente Regione Puglia

Storicamente la nostra Comunità ha radici nella meravigliosa e spontanea contaminazione di donne e di uomini di diversa provenienza che in questo luogo difficile hanno sentito di fondersi insieme per un desiderio di nuova opportunità e di nuova vita. Il riconoscimento di Patrimonio Mondiale dell’Umanità è un suggello fondamentale a questa storia di comunità, di cui i Trulli, sono il simbolo più evidente. Vivere nei nostri Trulli la forza dell’arte come elemento naturale e spontaneo della vita quotidiana può essere occasione di catarsi personale e collettiva, di nuovi orizzonti e di linee di continuità e discontinuità con la nostra storia, rievocando le nostre madri ed i nostri padri come ideatori inconsapevoli di sculture autoctone ed eterne per bellezza mediterranea e genialità micenea.

Desiderare di restituire Autenticità ed Abitabilità ai trulli ed alle vie dell’acqua e delle persone è stato un impulso spontaneo e determinato dal coraggio di provarci sempre, per rievocare e rivivere la determinazione e la forza di credere nell’impossibile dei nostri genitori capaci di costruire Case senza Tempo e di consegnarle ai propri figli col medesimo istinto di vita e di nuova libertà. Con questo spirito il Popolo di Alberobello inaugura Iconica, per celebrare la vita nei trulli, per ammirare l’arte pulsante nelle pietre vive e nelle vite delle nostre generazioni che appartengono al Mondo intero e che del Mondo intero sono espressione reale. Viaggiamo insieme nel mondo di Alberobello, nella sua luce, nella sua forza senza tempo, nelle generazioni che si perpetuano in un sogno meraviglioso che tocchiamo ogni giorno con le nostre mani nude, nell’arte e nelle sculture dell’arte antica e nuova del paese che appartiene a tutto il mondo.

Con Iconica guardiamo al domani. Vogliamo dare un orizzonte di crescita ulteriore, una visione di futuro alla nostra Alberobello. Questi 25 anni del riconoscimento Unesco rappresentano per noi non soltanto un punto di arrivo ma, allo stesso tempo, un punto di partenza. Un punto di arrivo per quella che è stata la storia di Alberobello e il giusto premio al genio di una Comunità straordinaria che dal niente e con pochi mezzi ha costruito un unicum nel mondo. Ma sono soprattutto un nuovo punto di partenza che deve spingerci, nel segno e nel rispetto della tradizione, a rinnovare ogni giorno la bellezza universale di Alberobello. Il fulcro del progetto sono proprio i nostri trulli. Sono loro i protagonisti e li celebriamo riempiendoli di arte, valorizzandoli come beni culturali di altissimo pregio. Non sono solo espressione di storia, sono contenitori di contemporaneità che parlano ai giovani non solo di passato, ma anche di presente e soprattutto di futuro. La realizzazione di Iconica è partita da lontano e ha visto il coinvolgimento di tante menti e competenze. È stato un lavoro di squadra e di incastri perfetti di professionalità.

Concludo ringraziando il direttore artistico Francesco Carofiglio per la pazienza, l’impegno, la dedizione, la passione che ha profuso in questo progetto e tutte le figure coinvolte nella realizzazione della mostra.

Un grande grazie anche alle strutture ricettive di Alberobello per la disponibilità dimostrata nell’ospitalità agli artisti protagonisti della mostra nel segno dei valori di accoglienza e di apertura al mondo che da sempre contraddistinguono la nostra Comunità.

I trulli hanno una storia millenaria, sono la testimonianza, presente e viva, di una modalità costruttiva ereditata dalla preistoria. Metafora della pietra resistente, sono diventati un simbolo e un’icona per la Puglia e per l’Italia.

I trulli di Alberobello venticinque anni fa sono stati inseriti nella lista dei siti Unesco, ICONICA vuole celebrare questo importante anniversario con una scelta inedita e, ci sentiamo di dire, anche coraggiosa: mettere in comunicazione la dimensione arcaica della costruzione in pietra a secco con i mondi mobili, variegati, dell’arte contemporanea. Tutto attraverso le azioni e i gesti creativi di ventidue artisti di provenienza ed estrazioni culturali differenti.

Il titolo della mostra, SEGNI ELEMENTARI, racconta l’equilibrio di simboli, forme, linguaggi in una rappresentazione che connette, nel felice sortilegio dell’arte, il mondo arcaico alla modernità. Gli artisti dialogano, attraverso opere e installazioni, usando lingue differenti, ma dentro un unico tessuto narrativo. Gli incroci sensoriali, il rapporto costante tra gli elementi naturali, la dimensione magica degli archetipi, e ancora, la modulazione della materia, del suono, della luce, trovano spazio e accoglienza nell’alveo misterioso dei trulli, disvelando un nuovo, sorprendente paesaggio segreto. Tutto disegna una mappa dei luoghi che per alcuni mesi resterà a disposizione dei visitatori, dei cittadini, dei turisti. Vorremmo davvero che SEGNI ELEMENTARI fosse solo l’inizio, il numero zero di un appuntamento che possa diventare ricorrente in una terra così piena di stimoli e di bellezza. Vorremmo che, come agli albori di Documenta a Kassel, le sperimentazioni del contemporaneo, attraverso questa prima, e un po’ spericolata esperienza, continuino a incontrarsi, inventando traiettorie nuove, inedite, sorprendenti. Egon Schiele, circa un secolo fa, esprimeva in poche parole un concetto che mi pare racconti, per una di quelle inattese coincidenze del sentire degli uomini, il senso stesso di questo nostro lavoro e la misteriosa alchimia dei segni elementari: l’arte non può essere moderna, l’arte è eternamente primordiale.

ph. Amato
ph. Francesco Carofiglio FRANCESCO CAROFIGLIO L’ORTO DEI GETSEMANI

Josè Angelino RESISTENZE

vetro, ottone, acciaio, porcellana, resistenze elettriche

José Angelino è nato a Ragusa nel 1977, vive e lavora a Roma. Si laurea in fisica presso la Sapienza, una formazione che gli consente di connettere dimensione estetico-percettiva e meccanismi fisici e organici, temi centrali nella sua ricerca artistica. Nel 2011 inizia a esporre e nel 2013 ottiene il Premio per le Arti Visive della Fondazione Toti Scialoja. Nel 2016, gli viene riconosciuto il premio “Arte Fiera 40” e nel 2017 il premio “Artribune” nell’ambito del festival NEXST di Torino.

Arte e scienza sono al centro del pensiero di Josè Angelino che, partito dai suoi studi di fisica, giunge ad esprimere attraverso una cifra visiva, intuizioni scientifiche, poetiche ed esistenziali. I dispositivi luminosi e sonori che compongono le sue installazioni seguono uno sviluppo di ordine speculativo e conoscitivo legato alle leggi della meccanica classica e della fisica quantistica. Configurazioni in cui entrano in gioco le componenti fisiche e chimiche degli elementi, i nessi di azione e reazione. Segni visivi, componenti sonore, variazioni e comportamenti, flussi energetici e resistenze definiscono l’affermazione estetica alla base della sua pratica artistica. Egli dilata o restringe lo spazio interponendo degli ostacoli come nella serie Resistenze, mettendo in atto procedimenti legati alla sperimentazione scientifica quanto alla ricerca artistica.

Nell’installazione Resistenze (01) per Segni Elementari l’artista realizza 12 elementi luminosi le cui interferenze visive e sonore innescano un dialogo con l’architettura naturale e biomorfa del luogo. [B.M.]

2020 ph. Amato 17
Josè Angelino L’artista L’opera

Francesco Arena

Francesco Arena (Torre Santa Susanna, Brindisi, 1978) vive e lavora a Cassano delle Murge. Dagli esordi si contraddistingue per la forte connotazione politica e sociale della sua ricerca, che interroga la storia recente italiana, dalla caduta di Giuseppe Pinelli alla prigionia di Aldo Moro, fino all’omicidio di Stefano Cucchi. Spesso utilizza i dati numerici come punti fermi di cronache altrimenti plurivoche e contraddittorie. Nel 2020 Skira ha pubblicato la monografia Francesco Arena. 5468 giorni, con testi di Vincenzo De Bellis e Jacopo Crivelli Visconti, e una conversazione con Ines Goldbach.

Francesco Arena spesso ricorre all’adozione della misura di una parte del corpo umano - il peso, l’altezza, la misura del passo o di un braccio, la lunghezza di una barba, di un multiplo o sottomultiplo di un uomo non necessariamente vitruviano - come parametro da mettere in relazione con una misura universale. Propone i dati numerici prefissati in un rapporto simbolico, collocandoli in una distanza rispetto a uno spazio definito, così che si comprimano, ridotte in metri o suoi sottomultipli, nella loro rappresentazione numerica su barre metalliche, che li fa immaginare nella loro vastità, innescando un processo mentale inverso alla compressione realizzata dall’artista: la loro espansione avviene dal momento in cui prendiamo parte al gioco suggerito dall’artista, calcolando noi stessi, poiché ogni spettatore è differente dall’altro. È ciò che ci accade quotidianamente, quando navighiamo nel nostro computer, per entrare in spazi lontani e imbastire relazioni nei pochi centimetri di uno schermo, relazioni in cui lo spazio è inquantificabile. Ne La misura delle cose (barra Francesco) (01) (2021), una barra di bronzo dorato galvanizzato, della misura di 10 centimetri di diametro, ha la stessa altezza di Francesco Arena (166 cm); lungo il corpo della barra sono incise due frasi, una va dal basso verso l’alto e l’altra dall’alto verso il basso. La frase che va dal basso verso l’alto reca la scritta: LA SESSANTAMILADUECENTOQUARANTESIMA PARTE

DELLA DISTANZA TRA QUI E LO SPAZIO. L’altezza della barra è appunto la 60.240° parte dei 100 chilometri che separano la superficie terrestre dalla linea di Karman che segna l’inizio dello spazio. Dall’alto verso il basso è invece incisa la scritta: LA TREMILIONIOTTOCENTOVENTINOVEMILACINQUECENTODICIOTTESIMA

PARTE

DELLA DISTANZA TRA QUI E IL CENTRO DELLA TERRA. L’altezza della barra è infatti la 3.829.518° parte dei 6.357 chilometri che separano la superficie terrestre dal centro della terra. [C.G.]

bronzo lucidato 2021 ph. Amato 19
Francesco Arena LA MISURA DELLE COSE (BARRA FRANCESCO) L’artista L’opera

tessitura rizomatica di fili su telaio in legno 2016 - 2017

Pamela Campagna

Pamela Campagna (Bari, 1977), fiber artist e graphic designer di fama internazionale, ha partecipato a numerose collettive e progetti nazionali e internazionali, tra cui due edizioni della Triennale di Milano, e a manifestazioni artistiche sui temi della grafica e del design a Kiev, Parigi, Tokyo, Siviglia. Lima, Bratislava. Nel 2013 collabora con l’agenzia TBWA di Dubai per la pubblicità della Nissan. Nel 2020 la banca spagnola Sabadell la sceglie per la comunicazione del Center for business development. Le sue opere sono nelle collezioni Nike di Beaverton, Oregon, Nike Brazil, San Paolo, nella sede di Poste Italiane, Roma e al Mark Rothko Art Center, Daugavpils, Lettonia.

Il lavoro di Pamela Campagna è incentrato sui mixed media, ibridazione di lavorazioni tradizionali come il tombolo, la tessitura, l’ikat ed il ricamo, combinati con la grafica, che indagano sulle possibilità espressive di forme e materiali, interagendo con il tempo, la luce, il magnetismo e l'ambiente, per cambiare aspetto e significato. Spunto narrativo sono le relazioni che quotidianamente tessiamo, sintetizzate attraverso astrazioni che ampliano il loro significato e lo rendono universale. L’artista concepisce la vita come un ricamo, col dritto e col rovescio: il dritto mostra un aspetto preciso ed esteticamente attraente, il rovescio mostra le complessità dei nodi e degli imbrogli che non mostriamo in pubblico.

In Raining, un ulteriore elemento trasformativo, la pioggia, arrugginisce i chiodi fissati sull’opera, lasciando un segno del suo passaggio. La serie Rhizomes (01) è realizzata modificando la tecnica del ricamo a tombolo, ispirata alla teoria del rizoma di Deleuze e Guattari, connessioni incessantemente stabilite tra catene semiotiche, organizzazioni di potere e circostanze relative alle arti, alle scienze e alle lotte sociali. Il rizoma, a differenza degli alberi o delle loro radici, collega un qualsiasi punto a un altro punto, e i suoi tratti mettono in gioco regimi di segni molto diversi, persino stati di non-segno: non ha inizio né fine, è come ragnatele realizzate annodando i fili a due a due, in cui il labirinto intrecciato forma disegni digitali ispirate alla geometria della pelle e del suo adattamento forma/ movimento dell'espressione facciale e corporea. In The big knotting l'immagine è divisa in una partizione di stringhe di ritmi diversi, annodate 2 a 2 e tese in un telaio di legno, come una sequenza temporale di momenti con diverse intensità e consistenze, che conduce attraverso la nostra essenza alternata, fatta di vuoto e carne.[C.G.]

Pamela Campagna RHIZOME
ph. Amato 21
L’artista L’opera

dipinto a tecnica mista, stampa digitale su supporto opalino 2022

Carofiglio

Architetto, scrittore, artista, regista teatrale e cinematografico. Progetta musei, installazioni d’arte, concept e spazi per la performance. Unisce all’attività artistica e progettuale, quella didattica, tenendo seminari e workshop incentrati sulla generazione dell’idea creativa.

Tra le sue opere installative più recenti, Lettere Sospese (2021), realizzata in occasione del settantesimo anniversario di Olivetti Lettera 22. L’installazione, selezionata tra i finalisti dell’INDEX ADI, concorre all’assegnazione del Compasso d’Oro 2021.

L’artista L’opera

Francesco Carofiglio conduce da decenni una ricerca che ha il suo fulcro principale nel rapporto tra immagine e parola, suono e musica. Egli parte dalla narrazione, con qualunque mezzo. Sia questa scrittura, disegno, immagine in movimento, performance, installazione, tutto prende forma senza confini linguistici. In questa installazione, simbolicamente chiamata

L’orto dei Getsemani (01), l’artista entra nel mistero di un dio debole. Di una sconfitta. L’orto del Getsemani è il luogo della paura, del tradimento, il luogo in cui Cristo è oppresso da una tristezza mortale. Nel dipinto raffigurante l’Orazione nell’orto di Andrea Mantegna, la natura scabra e drammatica è partecipe del dolore tutto umano che Cristo sta vivendo.

Nell’installazione di Carofiglio la natura è un altare, un tronco d’ulivo, scavato e levigato, devastato dalla xilella, posto al centro di un antro buio e vuoto, e accanto una camera di attese dolorose, tredici ritratti su piccoli schermi luminosi, testimoni attoniti del dolore e della fragilità umana. [B.M.]

23
Francesco

mixed media (plastica, tessuti), filo di ferro, filo di nylon, filo di rame, filo di cotone, filo di lino, pagine di libri, chiodi, ossi di seppia, pennini, carta, radici, sughero, galleggianti, piume, foglie essiccate, metallo, plexiglass, acrilico 2012 - 2021

Tiziana Contu

Tiziana Contu nasce a Cagliari, dove vive e lavora. Fiber artist di livello internazionale, ha partecipato a numerose edizioni del Festival Oggetto Libro, alla Biblioteca Braidense e Museo del Design di Milano (2021), di Paratissima Torino, di Parcours d’Artiste Chat d’Oiseaux, Bruxelles, MINIARTEXTIL Como (2018), al Canova Prize exhibition NYC (2018) e, con una personale, alla Maison d’Italie a Parigi, nel 2013.

Le sue opere fanno parte delle collezioni dell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano Arezzo, Collezione libro d’artista di SBLU Spazio Albello di Milano, Collezione d’arte del Comune di Nuoro; Collezione Corrias Lucente di Roma; Villaggio Industriale Leumann di Collegno-Torino; Collezione Civica Trame d’Autore del Comune di Chieri-Torino.

Tiziana Contu racconta storie con i fili. Nei suoi lavori le parti metalliche provengono da aereoplani e i fili di rame da camion: è lei stessa a estrarli, per poi assemblarli o lavorarli all’uncinetto. La dimensione artigianale intrecciata al riutilizzo degli scarti industriali influenza profondamente la sua ricerca artistica, nelle sue opere confluiscono l’arte della tessitura, la modellazione ceramica, insieme ai papier découpées e agli objets trouvés, nella costante ricerca del potenziale evocativo di fili ingarbugliati e dipanati di cotone, lino e seta, assemblati insieme a fili di rame e ferro. Nascono opere che, partendo dalla ricerca di incontro/scontro dei materiali accostati per attrazione tattile, cromatica e olfattiva, raccontano storie, come fa la penna di uno scrittore. Opere racchiuse in gabbie metalliche aperte, appese a fili, che contengono materiali e oggetti di consistenze e provenienze disparate, che lei, che si autodefinisce una raccoglitrice, tiene nel suo laboratorio, in attesa che un pensiero o un’idea li trasformino in una narrazione visiva.

L’arte di Tiziana Contu parte dalle nostre emozioni, che sono il frutto di ciò che viviamo, nascono da diversi stati d’animo, ma anche dalla ferma convinzione che l’arte non può e non deve essere esclusivamente intimista, c’è la storia personale ma anche il collegamento con la vita di tutti i giorni: la realtà, il mondo, i fatti che accadono, che non possono lasciare indifferenti.

[C.G.]

TIZIANA CONTU TEMPO SOSPESO
ph. Amato 25
L’artista L’opera

Vetro e laser, assemblaggio a secco, 2022

Pioniera in Puglia dell’avanguardia internazionale, Ada Costa esordisce con un alfabeto visivo costituito da linee orizzontali, verticali, diagonali che si evolvono in moduli, con l’aggiunta di spirali.

Negli anni ‘80 si concentra sul cerchio, come base per colonne e semicolonne, e la sfera, su cui fa interagire la luce di raggi laser. Il vetro diviene via via materiale d’elezione per le sue installazioni, replicato in forme geometriche primarie (cubi, piramidi e parallelepipedi), con cui realizza sculture concepite come situazioni illuminate da raggi laser. Cospicua la sua attività espositiva, a livello nazionale e internazionale.

Ada Costa è stata la prima artista pugliese a sperimentare le possibilità espressive delle installazioni con i laser. Dalla metà degli anni ‘80, spesso combinato con inserti di specchi e solidi in vetro, che lo amplificano ed esaltano, il laser è diventato una presenza profondamente connotativa ed espressiva delle sue opere, insieme al vetro, replicato in forme geometriche primarie - piramidi, cubi e parallelepipedi - che, combinato con specchi, diventa un invito alla riflessione e una tensione verso l’infinito, nel quale l’artista offre la possibilità di sperimentare l’inconsistenza del proprio essere.

La durezza e al contempo la fragilità del vetro, unitamente alla capacità di riflettere la luce, provoca uno sfasamento nella percezione spaziale e nell’intuizione delle consistenze materiche.

Nell’installazione CRONOTOPO 01), lo spazio viene ridisegnato con il moltiplicarsi di nuove geometrie, che modellano gli ambienti, conferendogli una dimensione e una rilettura architettonica inattesa, grazie alla serie di solidi in vetro che rifrangono i raggi laser. Si verifica quindi un cortocircuito tra il nostro spazio mentale e la geometria dei volumi circostanti, nel quale chi guarda può perdere e/o ritrovare la propria immagine: Ada Costa invita a rimodellare i nostri confini, fisici e mentali, con una sensibilità vicina alla spiritualità orientale. [C.G.]

ph. Amato 27
ADA COSTA
C R O N O T O P O
Ada Costa L’artista L’opera

ALESSANDRO COSTANZO DESERTO #1183

ovatta sintetica, rete industriale, spray e polveri su ovatta sintetica 2021

Alessandro Costanzo è nato a Catania nel 1991; vive e lavora a Catania. Ha studiato inizialmente all’Accademia di Belle Arti di Urbino, conseguendo successivamente il diploma di secondo livello in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Catania. Le sue installazioni sono frutto dei diversi media che Alessandro Costanzo fonde tra loro, come la fotografia, il video, il disegno e la pittura. Il suo lavoro si basa sullo studio dell’azione del tempo sulla materia, sottolineando il gesto anti-quotidiano.

Di ovatta sono costituiti i lavori recenti di Alessandro Costanzo realizzati con strutture-reti, telai di vario formato che accolgono al proprio interno strati sovrapposti di cotone bianco o dipinto. È una scultura che vive pienamente la sua dimensione parietale, interfacciandosi con i fondali attraverso un rapporto diretto. Non vuole avere confini perimetrati la scultura di Costanzo, ma declinare il proprio stesso peso specifico in una dimensione altra e aperta, capace di modificare percezioni spaziali e intime. Il lavoro di Costanzo è, anzitutto, uno spazio di investigazione attorno alle radici proprie della scultura e delle sue specifiche declinazioni di senso, talvolta anche imprevedibili, in grado di stabilire un rapporto immersivo tra spettatori e opere, tra il passo di chi osserva e la dimensione plastica della scultura. Una scultura, la sua, che si concentra anzitutto verso un’indagine profonda dei confini stessi del linguaggio, nei suoi aspetti materici ma anche di peso specifico e del suo posizionamento nello spazio. Perciò l’artista verifica diverse tecniche, orientandosi poi su display espositivi in grado di avvolgere le sue sculture in una sospensione sensuale. [M.B.]

29
Alessandro Costanzo L’artista
ph. Amato
L’opera

D'ACQUISTO STRING (MINI)

legno sbiancato, oggetti 2013

Daniele D’Acquisto

Daniele D’Acquisto è nato a Taranto nel 1978, vive e lavora a Fiorenzuola d’Arda. L’intenzione di modificare le dinamiche fisiche della realtà è al centro del suo lavoro; questo avviene con la realizzazione di oggetti stranianti, carichi di energia capace di muovere i significati. Le tecniche che D’Acquisto utilizza sono svariate, cambiando in base ai materiali utilizzati, mezzi scientifici per lo studio empirico e della percezione. Nel 2021 realizza una mostra personale presso la Galleria Gagliardi di Torino.

Lo spazio contemporaneo è suddiviso in ambienti che vanno dal tangibile al metaverso in cui l’immaginazione diventa vivibile. Daniele D’Acquisto con il suo lavoro modifica le dinamiche fisiche della realtà, realizzando oggetti stranianti e pregni di significato. Le opere di D’Acquisto partono da un materiale conosciuto e che si relaziona con il corpo di chi lo utilizza e con il suo movimento, modificando l’ambiente. Stringhe 01) è il confronto tra lo spazio e le radici della scultura che portano a muoversi per realizzare e per osservare. Lunghe stringhe di legno avvolgono gli oggetti riproducendone le forme e creando armonia, sinuosità e una leggerezza insolita che turba e affascina. Le tecniche utilizzate da D’Acquisto sono mezzi scientifici per lo studio empirico e della percezione. Forming vede protagonisti oggetti diversi fra loro e con nessuna connessione, se non quella di realizzare ed essere realizzati. La fotografia racconta la loro comunicazione con lo spazio che li ospitava: uno spazio mutato dalla presenza di questi oggetti e dalla pittura che D’Acquisto realizza sulla parete del suo studio per ricalcare le forme di ciò che utilizza. Questi nascono quindi per ripensare un luogo, segnarne un perimetro con il corpo e vedere ambienti immaginati che diventano realtà.

[M.B.]

31
DANIELE
ph. Amato
L’artista L’opera

FRANCO DELLERBA CAVALLI A DONDOLO

legno e luminarie 2020-2022

Franco Dellerba è nato Rutigliano (Bari) nel 1949; vive e lavora a Capurso (Bari). Già dagli anni Settanta a Bari viene attratto dalle atmosfere mistiche e popolari che caratterizzano le feste religiose. Queste diventeranno il punto di partenza del suo lavoro, portandolo alla realizzazione di accorpamenti in cui l’iconografia tipica del santino rituale viene combinata in un forte legame con le luminarie. Quest’ultime nel lavoro di Dellerba saranno sempre ricorrenti, diventando il suo tratto distintivo. Nel 1980 realizza la prima mostra personale presso la Galleria Bonomo di Bari.

L’opera

Partecipare ad una festa popolare significa immergersi in una dimensione al limite tra reale e ciò che non lo è. Ci si ritrova inclusi in un’atmosfera fatta di suoni, odori e di spazi che rivelano la loro bellezza nascosta grazie alle luci. Franco Dellerba ci porta a rivivere ciò con le sue sculture; un readymade in cui inserisce linee luminose che ci raccontano storie celate e che danno all’oggetto una nuova vita. L’uso che Dellerba fa delle sue luminarie ha inizio negli anni Settanta, momento catartico in cui la sua scultura si anima di luce propria. La luce caratterizza lo spazio fisico e ideale; la sua Porta apre un varco di transito verso l’onirico, connettendo lo sguardo con ciò che non si conosce. Le opere di Dellerba declinano il concetto di ritualità che non si lega esclusivamente al mondo religioso, ma che fonde le sue radici con le dinamiche della tradizione meridionale. L’artista abbatte il concetto di produttore e approda in un ambito antropologico dal quale comunica chiaramente una memoria da preservare: una memoria sacra e profana, o una memoria fanciullesca come quella raccontata dai cavallucci a dondolo, che come le altre opere diventano sculture attive che comunicano il loro movimento. [M.B.]

33
Franco Dellerba L’artista
ph. Francesco Carofiglio

Domenico Di Caterino

Domenico Di Caterino (Napoli, 1973) si affaccia sulla scena artistica internazionale dagli anni Novanta, tra l’Accademia di Belle Arti di Napoli e il Laboratorio Okkupato S.K.A. La sua ricerca mette in discussione i codici di genere dell’arte contemporanea, anche nell’ambito della street art, mediante un’azione performativa che prevede l’abbandono dei suoi lavori in contesti urbani e il tacito invito al pubblico di rimuoverli, distruggerli o prelevarli, innescando entropicamente una società per azioni diffusa.

Con #redzone (01) (2020 - 2021) Domenico Di Caterino presenta una serie di tele che partono dalle riflessioni sui saggi di Jurgis Baltrušaitis, Formazioni, deformazioni. La stilistica ornamentale nella scultura romanica e Il Medioevo fantastico. Antichità ed esotismi nell’arte gotica, e sull’arte altomedievale di Ernst Kitzinger. L’artista individua nelle epifanie del mostruoso, nello spinto antirealistico della plastica dei secoli XI e XII, l’immanenza di un senso che parla al nostro presente. Gli intrecci di corpi umani, animali, reali o fantastici, le ardite deformazioni anatomiche, i motivi iconografici, dietro l’apparente disordine e le violente sproporzioni della scultura medievale, sono il repertorio a cui attinge, per riflettere e misurare il mondo visionario contemporaneo. Gli elementi mostruosi, macabri, fantastici e demoniaci dell’arte medievale occidentale sono il medium per compiere un viaggio nel qui e ora, attraverso una rilettura della grammatica del linguaggio artistico universale, mutando il contenuto in forma simbolica, focalizzando il presente dentro e fuori dal suo tempo: una modulazione tra il micro interiore e il macro sociale collettivo, un processo di comunicazione che richiama la paura dell’altro, dello straniero, del diverso, incentrandosi sulla demonizzazione dell’autonomia e dell’emancipazione su scala planetaria, da cui il titolo #redzone. Le immagini sono un’istigazione alla disobbedienza, che vedono l’uomo moderno come un mostro imprigionato da imposizioni e costrizioni. I colori violenti, che catturano l’attenzione del pubblico, sono una ripresa delle cromie originarie medievali. [C.G.]

35 DOMENICO DI CATERINO #REDZONE tecnica mista su tela 2020-2021
ph. Amato
L’artista L’opera

rame ossidato, resina, legno-calco, 2022 installazione site-specific

Baldo Diodato

Baldo Diodato è nato a Napoli nel 1938; vive e lavora a Roma. Dopo i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Torino e di Napoli, approda al mondo dell’arte negli Anni Sessanta con le sue sculture realizzate con i materiali più disparati, passando dal fil di ferro agli stracci. Trasferitosi a New York nel 1966, trova nuovi spunti artistici che lo stimoleranno in svariate sperimentazioni, rendendolo un artista fuori corrente, fluido nell’uso delle tecniche e dei materiali. Nel 2016 espone in una personale presso la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma a cura di Achille Bonito Oliva.

L’opera

Scolpire è quel gesto che rende grazie alla base sulla quale si scaglia con forza o con poetica delicatezza, restituendo bellezza e concependo ciò che non era visibile. Scolpire un luogo è quindi un gesto attento, intellettuale e storico, che effettua una scansione materica del passato capace di segnare il tempo. Grazie a questo tipo di scultura, è possibile evidenziare il tempo e offrire la possibilità di osservarlo analiticamente a posteriori. È quello che fa Baldo Diodato, che tramite la tecnica del frottage sovverte l’idea tradizionale di scultura a tre dimensioni e fa della storia, del luogo e del tempo le componenti principali della sua scultura bidimensionale. Tramite lastre metalliche che fa aderire alle superfici, rivela i dettagli epidermici dei luoghi calpestati. Il suo lavoro fa rinvenire la memoria fisica dei luoghi, donando la possibilità di fruirne la dimensione in un modo sconosciuto.

L’artista non lascia che lo spazio assorba inesorabilmente l’opera d’arte, ma che sia quest’ultima ad avvolgere la sua matrice e a trasformarla, dove l’architettura racconta avvenimenti storici.

Grazie ai calchi di Diodato immaginiamo i passi che hanno segnato un luogo e sogniamo il suono che i materiali ci restituiscono. [M.B.]

37
BALDO DIODATO ALBEROBELLO L’artista
ph. Amato

HELMUT DIRNAICHNER METEORE

malachite, lapislazzuli, cinabro, tormalina, cobalto, diaspro, azzurrite, foglio d'oro, foglio d'argento, cellulosa 2017-2021

Helmut Dirnaichner nasce nel 1942 a Kolbermoor in Baviera. Dopo varie esperienze si diploma nel 1976 presso l’Accademia di Belle Arti di Monaco nella classe di Günter Fruhtrunk.

Fin dai primi anni 1980 tema della sua arte non oggettuale sono le terre che egli ricerca viaggiando nel Salento, nel Messico, nei Paesi Bassi, in Spagna, ad Alessandria d’Egitto e nelle miniere di lignite nella Bassa Lusazia. Vive a Monaco di Baviera, a Milano e nel Salento.

La ricerca artistica di Helmut Dirnaichner è centrata sulla natura elementare. Esprimere ciò che è nella natura, nel mondo visibile, attraverso una immersione profonda e totalizzante che lo porta a indagare la radice delle cose, a sminuzzare minerali, terre umili e preziose di qualsiasi consistenza riducendole in forma di pigmento e introducendole nel linguaggio della pittura attraverso un processo metamorfico.

Nello spazio di “Segni Elementari” Dirnaichner installa al centro del trullo un mobiles, Meteore (01 (2017) costituito da elementi lanceolati fatti con lapislazzuli, diaspro, cinabro e cellulosa.

Da dove viene il colore del mondo? Da dove il miracolo della sua apertura?

Una poetica della natura dispiegata attraverso le altre opere qui esposte; Terra di Puglia (1987), Terra di Puglia (1998), Alfabeto neolitico (2020).

Con il libro d’artista, Le ali colorate della pietra (2020), Dirnaichner traccia una personale narrazione della sua prassi artistica con motivi e forme di un alfabeto essenziale quali cerchi, ovali, spirali, amigdale. [B.M.]

39
Helmut Dirnaichner L’artista
ph. Amato
L’opera

Viviana Fernandez Nicola (1960) nasce in Argentina, dove vive e lavora, trascorrendo lunghi periodi di attività tra l’Italia e la Svizzera. Formata alla Scuola Nazionale di Belle Arti “Prilidiano Pueyrredón” di Buenos Aires, è stata docente di scultura alle scuole di Belle Arti Beato Angelico e Regina Pacis di Buenos Aires. Ha partecipato a mostre collettive e concorsi, ricevendo il Primo Premio di Scultura del XX Salone Annuale di Ceramica Artistica in Argentina. Dal 2013 al 2017 ha esposto a Puertas abiertas, San Isidro, Buenos Aires. In Italia tiene laboratori di ceramica per ipovedenti, che influenzano la sua capacità di vedere con le mani.

Tempo di Carta (01) della scultrice argentina Viviana Fernandez Nicola, nasce dall’esigenza di coniugare il riciclo del cartone da imballaggio con la ricerca maturata nel corso di un’attività pluridecennale nel campo delle arti plastiche. Questo equilibrio tra etica e estetica trova il suo compimento nella serie di piccole sculture, alcune montate su piedistalli, altre senza basamento, altre ancora sospese, attraverso le quali Viviana indaga sulle potenzialità di un materiale umile e deperibile come il cartone riciclato e una profonda padronanza tecnica della dimensione plastica della materia, che declina in forme organiche ispirate sia al mondo naturale - le rocce modellate dagli agenti atmosferici - sia alla lezione dei maestri del XX secolo come Henri Moore, Jacques Lipchitz o il suo connazionale Lucio Fontana. L’esito porta a uno spaesamento della materia, cui conferisce un peso e una consistenza spaziale che si capovolgono al tatto: quel che sembra pesante diventa leggero, ciò che è liscio ruvido, che è solido tenero, con un effetto opposto alla prima impressione retinica. Fernandez ci conduce in un mondo ancestrale, in cui convivono felicemente tecnica e sentimento, per citare Henri Focillon, tecnica perché l’opera d’arte diviene protagonista del divenire e costruirsi delle sue proprie forme; sentimento per le forme derivate da personali sfere affettive. Le sue sculture non rinviano direttamente ad oggetti precisi, ma, come scrive Focillon, esprimono loro stesse, divengono metafore dell’universo, sono l’innesco di un processo conoscitivo dove le relazioni formali fra le opere costituiscono la ricerca di un ordine. [C.G.]

41
TEMPO
cartapesta
VIVIANA FERNANDEZ NICOLA
DI CARTA
2000-2021
Fernandez Nicola L’artista
Francesco
L’opera Viviana
ph.
Carofiglio

Francesco Fossati (1985) vive e lavora a Lissone. Nel 2015 dà vita al suo progetto di arte pubblica dal nome Fake History, con il quale ha composto installazioni permanenti in varie città come Milano, Monaco di Baviera e Trento. Nel 2021 realizza una mostra personale presso lo Spazio Hangar di Roma dal titolo Leaves Bar e una personale presso la Manuel Zoia Gallery di Milano dal titolo Liminal Wild Plants. Il suo lavoro ha origine vegetale, utilizzando piante per creare forme che occupano lo spazio in modo essenziale e con un bassissimo impatto sull’ambiente. [M.B.]

Francesco Fossati è un artista che studia specifici fenomeni di metamorfosi in atto nella contemporaneità (a livello sociale, antropologico e ecologico) e che lungo il suo percorso di ricerca ha investigato il rapporto tra realtà e percezione della realtà, tra spazio e fruizione e tra uomo e natura. Nel ciclo di sculture realizzate attorno al 2014 si è concentrato sul perimetro della forma e sul rapporto tra essa e lo spazio circostante. La struttura di queste opere ci consente di penetrare con lo sguardo nelle intime viscere delle sculture, rintracciando quella dialettica tra pieni e vuoti che è uno dei punti cardinali di questo specifico linguaggio. Tra sculture a parete, in cui la forma diventa parte integrante di una massa plastica atavica come quella dei trulli, e singoli elementi installati su specifiche basi di metallo, l’installazione di Fossati, composta da dieci elementi, circoscrive un possibile spazio d’azione. La dimensione concreta delle cose, la materialità compiuta di questi elementi, costituiscono un invito possibile a un legame con il reale, ovvero a una connessione profonda con l’effettiva materialità delle cose concrete. All’interno della grammatica visiva di Fossati, queste opere confermano la sua capacità di cambiare pelle, di mutare. [L.M.]

43
terracotta 2012-2013
FRANCESCO FOSSATI INSTALLAZIONE Francesco Fossati
ph. Amato
L’artista L’opera

Shay Frisch

Shay Frisch è nato a Petach-Tikva (Israele) nel 1963; vive e lavora a Roma. Il suo primo approccio con l’arte avviene esponendo nel 1995 alla galleria La Tartaruga di Plinio De Matiis e verso la fine degli anni Novanta avvia la sua ricerca sui campi magnetici, che lo porterà a realizzare un discorso continuo sul principio delle connessioni. Le opere di Frisch rilasciano un campo elettromagnetico che colpisce lo spazio in cui vengono inserite e lo spettatore, testimoniando il fenomeno con la luce, segno della natura dello stampo del campo magnetico. [M.B.]

Frisch costruisce assemblaggi di forme che penetrano gli spazi, ripensandoli, come nel suo intervento site-specific per Iconica, impiegando migliaia di adattatori elettrici di uso comune che vengono attraversati dalla corrente elettrica. Si accendono così linee specifiche di luce, tracce che alle volte assumono le sembianze di veri e propri segnali che indicano possibili vie di percorrenza per una dimensione sospesa tra realtà e immaginazione. Rettangoli, quadrati, croci: geometrie dai significati plurali che Frisch concepisce mediante la ripetizione di un modulo. La complessità della luce qui torna invece a una vitalità intima. È una luce evidente ma mai predominante, perché suggerisce, non obbliga alcuna specifica percorrenza.

La prima ossessione che trapela dalle strutture delle sue opere è l’ordine assoluto, che rende i campi magnetici prima luce aurorale e rivelatrice. Le prese elettriche rintracciate nell’universo quotidiano, diventano moduli che di volta in volta si adeguano al contesto in cui l’artista intende farle agire. Sembra immutabile il lavoro di Frisch, ma in realtà è dinamico perché vive di impercettibili barlumi, costituendo fasci di luce che penetrano la ferrea geometria delle sculture a parete invadendo talvolta anche lo spazio. [L.M.]

45 SHAY FRISCH CAMPO 595_N componenti elettrici 2021
ph. Amato
L’artista L’opera

Nicola Genco

Nicola Genco (1959) nasce a Putignano, dove vive e lavora. Artista poliedrico, utilizza la grafica, il design, la pittura, la scultura come media con cui esplorare i diversi aspetti della natura, realizzando opere che mostrano ibridazioni di materiali e tecniche differenti. Dal 2016 svolge una fervida attività espositiva con numerose mostre personali e collettive, tra cui La cura delle Parole, alla Fiera del Libro, Lingotto di Torino (2021), Libri d’artista - L’arte da leggere (2021/2019), al Museo Boncompagni Ludovisi di Roma e al Castello Normanno Svevo di Bari, Exodus (2020) al Museo Castromediano di Lecce, con il patrocinio del CIR, Centro Italiano Rifugiati. [C.G.]

La storia familiare di Nicola Genco si intreccia spesso con le sue opere. Dal padre Armando, storico maestro cartapestaio, uno degli artefici del moderno Carnevale di Putignano, ha appreso tecniche costruttive che si trasformano in oggetti artistici nuovi, svelati poeticamente in ogni angolo del suo atelier, una contemporanea wunderkammer. Qui prendono vita le sue opere in cartapesta, in ceramica, in legno, in vetro, o, come nel caso dei due lavori presentati ad Alberobello, in filo di ferro intrecciato, come le anime delle creazioni carnevalesche degli anni ‘50, lavori creati da Genco per essere installati nel paesaggio, senza invaderlo, non deturpando o modificando l’identità degli spazi. Albòre (01) rappresenta un uomo seduto sul bordo del tetto della Casa d’Amore, testimone e custode di un’alba di luce e di civiltà, ma anche simbolo dell’effimera presenza dell’uomo, presente ma incorporea. Al Museo del Territorio è collocata la scultura Leggerezza, realizzata con la stessa lavorazione del filo di ferro , che rappresenta un omino con un palloncino, in equilibrio su una sfera (la terra) in metallo corroso – un ready made che è una delle tante cifre che accomuna molti lavori dell’artista. Perché, come suggerisce Italo Calvino, Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore. [C.G.]

47 NICOLA GENCO ALBÒRE filo ferro cotto intrecciato 2019
L’artista
ph. Amato
L’opera

PIETRO GUIDA

IL MINOTAURO E LA FANCIULLA cemento patinato 2005

Pietro Guida

Pietro Guida nasce a S. Maria Capua Vetere (Caserta) nel 1921. Diplomatosi in scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli aderisce al Gruppo Sud divenendo uno dei protagonisti del rinnovamento culturale del capoluogo campano. Numerosi i premi e vastissima l’attività espositiva tra cui la VII e VIII edizione della Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma e la 54ª Biennale di Venezia. Ha insegnato scultura all’Accademia di Belle Arti di Lecce ed è stato direttore del Liceo artistico di Taranto. Dal 1951 vive e lavora a Manduria.

Pietro Guida ha attraversato con assoluta coerenza otto decenni di scultura, muovendosi tra astrazione e immagine, forma e figurazione. La sua ricerca si lega alla scultura italiana di Arturo Martini e Marino Marini, giungendo ad una innovazione stilistica e densità narrativa dal carattere unico che lo colloca tra i maestri del Novecento.

La sua fisionomia stilistica è nella perfetta combinazione tra forma e contenuto: equilibrio plastico, rapporto sinergico con lo spazio. Dal 1960 al 1975 realizza opere neo-costruttiviste che nascono nell’ambito della Taranto industriale. Un’esperienza del tutto nuova per la sua arte e per il contesto artistico meridionale.

Ma a partire dalla metà degli anni Settanta matura l’abbandono dell’astrazione per un ritorno fortemente meditato alla figurazione mettendo a punto una inedita classicità. Le sculture negli spazi di Segni elementari sviluppano un percorso dedicato al mito: Icaro caduto (2011), Leda col cigno (1997), Apollo e Dafne, il Minotauro e la Fanciulla (01) (2005), Orfeo e Euridice (2007) nelle vesti di una coppia moderna che rende il mito della perdita, della morte e dell’amore palpabile e attuale più che mai. [B.M.]

49
L’artista L’opera ph. Francesco Carofiglio

GEOGRAFIE TEMPORALI

pannello con vetro e cornice contenenti strati di pigmenti in polvere 2019-2022

Sophie Ko

Sophie Ko nasce a Tiblisi nel 1981 dove studia presso l’Accademia di belle arti. Continua la sua formazione a Milano città nella quale vive e lavora. Intensa la sua attività espositiva. Tra le sue ultime mostre personali si ricordano: Il resto della terra, Galleria de’ Foscherari, Bologna, 2021. La forma dell’oro 9/12 Metaxú, BUILDING- BOX, Milano, 2021. Atti di resistenza in Materie Spazi Visioni, BUILDING Gallery, Milano, 2020; Geografie temporali, Galleria Internazionale d’Arte Mo-derna di Ca’ Pesaro, Venezia, 2019. Ha vinto il Gran Premio della Pittura al MAC di Lissone nel 2016.

La pratica artistica realizzata da Sophie Ko parte da una riflessione sulla memoria e sul tempo. L’artista utilizza polveri, ceneri di immagini bruciate dei grandi maestri della pittura, pigmenti puri, elementi residuali di un processo di corrosione del tempo che non si lascia annientare, stabilendo in questo modo una connessione tra l’immagine creata e la materia con cui viene realizzata. La graduale stratificazione residuale avviene all’interno di un dispositivo, una teca reliquiario che consente alle polveri di decantare per via della gravità e segnare, attraverso questa lenta caduta, una immaginesegno, tracciando delle nuove Geografie temporali 01). L’immagine bruciata è scomparsa, così come l’oggetto della corrosione, ma questa assenza genera una progressiva e continua metamorfosi. Nell’installazione creata dall’artista per Segni elementari, tale processo viene messo in scena attraverso una sequenza di Geografie temporali, la distruzione lascia come suo resto la possibilità infinita della creazione. [B.M.]

51
L’artista
ph. Amato
L’opera

FIST

ceramica, legno, ferro 2018

Loredana Longo

Loredana Longo, nasce a Catania nel 1967, dove si diploma in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti. Vive e lavora a Milano. Numerose le mostre in Italia e all’estero, premi e riconoscimenti ottenuti tra cui ricordiamo iI  Rencontre des Ateliers Mediterannes  Tétouan, Marocco; il  Gemine Muse International al Benaki Museum (Atene, Grecia) e il  Residence Program per AIM, Marrakech Biennal, Marocco.

La pratica artistica di Loredana Longo incorpora differenti linguaggi, tecniche, materiali che esplora e utilizza con grande libertà e forza narrativa, progettualità e furore.

Il fuoco della sua ricerca rimane tuttavia costante: la distruzione come dinamica conoscitiva, come spazio in cui accade la vita. È al rigore compiuto di queste forme che l’artista consacra il suo lavoro. Una poetica della materia che ci fornisce il paradigma necessario per entrare in contatto con il carattere ustionante e scabroso del reale. L’artista celebra, con le sue esplosioni aperte al pubblico, l’irriducibile verità della materia.

Nell’ambito di Segni elementari, presenta quattro opere significative del suo lavoro; Net (2017), un tessuto con strappi e bruciature, I would like to be like a blade e Piedediporco entrambi del 2017, Fist (01) (2018), 12 calchi del pugno dell’artista, dilaniati dalla deflagrazione.

Nel suo ritratto fotografico realizzato da Letizia Battaglia (2021) l’artista è rinchiusa nuda in una gabbia, simbolo di costrizione che qui diventa strumento di difesa e consapevolezza rispetto alla violenza esteriore. [B.M.]

53
LOREDANA LONGO L’artista
ph. Amato
L’opera

ferro, acciaio, resina–scultura

Mimmo Paladino

Mimmo Paladino è nato a Paduli (Benevento) nel 1948. Il suo lavoro ha inizio negli anni Settanta con una pittura dai colori intensi dove maschere e forme geometriche sono protagoniste, avvicinandosi al decennio successivo con sculture e installazioni multimediali dal gusto primitivo e arcaico.

Nel 1988 riceve un invito alla Biennale di Venezia con una sala personale. Verrà inserito nei Settanta nel movimento artistico della Transavanguardia Italiana da Achille Bonito Oliva. [M.B.]

È una sentinella, anzi un guardiano. Immobile e concentrato nella sua arcaica staticità, sorveglia lo spazio urbano sottostante e i nostri sguardi. Il monumentale cavallo Senza titolo(01) di Mimmo Paladino è stato posizionato sul terrazzo di uno dei palazzi storici più belli di Alberobello. Ci indica che la storia e la storia dell’arte sono spazi dilatati di pensiero, echi che sussultano nelle nostre vite in un tempo inatteso. Maestro dell’arte contemporanea internazionale, Paladino ha sempre rielaborato una serie di immagini, simboli e segni che appartengono alla storia dei popoli arcaici. Il cavallo per Paladino è parte di un intimo alfabeto visivo che elabora e ricompone da lunghi anni nei propri territori della scultura, della pittura e del disegno. Scarno, essenziale, rigoroso nelle sue forme che rimangono in ogni caso mediterranee, il cavallo di Paladino sarà un baluardo da osservare, una sorta di nuova meridiana che potrà scandire i passi e il tempo di chi sarà in transito in quell’area della città. L’arte torna ad essere uno spazio di connessione tra la dimensione del sogno e quella della riflessione sulla storia. E l’uomo, il possibile cavaliere assente, è ancora una volta interprete di un nomadismo intellettuale.[L.M.]

55
MIMMO PALADINO CAVALLO
2019
ph. Amato
L’artista L’opera

PASQUALE SANTORO MONTFLEUR

Pasquale Santoro

È nato a Ferrandina (Matera) nel 1933; vive e lavora a Roma. Studia presso la Scuola di Nudo di Antonio Corpora nel 1956, per poi aderire al Gruppo Uno con l’intento di ripristinare i procedimenti tipici dell’arte e indirizzarli verso la ricerca. Nel 1959 realizza la sua prima mostra personale alla Galleria Appia Antica di Roma, avvicinandosi di lì a poco a una scultura dalle forme fondamentali che riflettono sulla relazione con lo spazio. Fra le sue tante mostre espone alla undicesima Quadriennale di Roma nel 1986 con la sua Sintesi e alla quattordicesima Quadriennale di Roma nel 2005. [M.B.]

«Mi sono persuaso che Santoro è un artista, un artista nato, un artista che va di attimo in attimo, progredendo, cocciuto e illuminato, stravagante e osservante stretto della regola, cercandosi la propria strada, un artista che finalmente, credo, abbia trovato la strada che gli darà quelle maggiori soddisfazioni alle quali un artista vero possa ambire», ha appuntato Giuseppe Ungaretti in un suo testo dedicato a Pasquale (Ninì) Santoro. Si erano conosciuti nel 1958, quattro anni dopo Santoro era già alla Biennale di Venezia. Lavori in importanti collezioni, una fortuna critica che va da Argan a Maurizio Calvesi e Leonardo Sinisgalli, a Nello Ponente e Filiberto Menna, giusto per citarne solo alcuni: è questo il percorso di Santoro. Proprio Menna in un suo testo sottolineava «il senso di una ricerca gelosa dell’autonomia strutturale dell’opera, […] nello stesso tempo disposta ad accogliere le suggestioni provenienti dall’universo fenomenico e dalla storia degli uomini». Forme rigorose, ricerca intensa sulla spazialità della scultura, alla storia e alla letteratura, al mito e al teatro: il lavoro di Santoro è sempre stato un punto di incontro tra differenti ambiti culturali, ma anche un terreno di sperimentazione ininterrotta sui materiali della scultura e i suoi principi basilari della sua forma. Appartenenti al ciclo  I templari degli anni Settanta, le due opere  Montefleury (01) e  Jacques De Morlais sono state concepite in ferro forato nel 1974. Il primo è un omaggio all’attore e drammaturgo francese del XVII secolo; avversario solerte di Molière, è per Santoro uno dei templari della cultura occidentale. La scultura per il maestro è quindi un percorso di conoscenza, aperto, da trasmettere ai sempre nuovi interlocutori della sua storia, quella degli uomini.[L.M.]

57
lastra in
forato 1974
ferro
L’artista L’opera
ph. Amato

RAFFAELE VITTO SOTTERRA

Raffaele Vitto

Raffaele Vitto (Canosa di Puglia, 1993), uno dei Land Artist italiani più promettenti della sua generazione, si è formato all’Accademia di Belle Arti di Bari. Ha partecipato al Bando internazionale “MONET - culture in Motion in Adriatic Network of Museum”, Galleria Nazionale delle Arti, Tirana, e a numerose mostre collettive e personali, tra le quali Geostruzione, (2021) insieme a Aurora Avvantaggiato, Microba, Bari, Impronte (2020) alla Fondazione Cardinale Giacomo Lercaro, Bologna, Nature Materielle (2019), Conversano, Terrigenum (2019), Fondazione Sassi, Matera, alla VI Edizione di Apulia Land Art Festival (2018), Casa Rossa, Alberobello.

Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Bari, Raffaele Vitto intraprende un percorso di ricerca che lo porta ad indagare le molteplici possibilità espressive della terra dei campi attraverso la loro movimentazione. Dall’incontro tra la sua formazione artistica, rivolta alle avanguardie del primo e secondo Novecento, e la tradizione familiare contadina, sono nate una serie di opere in cui Vitto instaura un rapporto dialogico tra la geometria dei solidi, astrazione meramente umana, e la natura, nel divenire delle sue forme uniche e irregolari, con riflessioni intensamente diramate sul rapporto tra la terra, i contadini e i loro strumenti di lavoro antichi e moderni.

In Origine (2019), un parallelepipedo di terra racchiude delle radici di vite che, con una leggera sporgenza, prendono la forma di una vagina, rimando a L’origine du monde di Gustave Courbet (1866) ma soprattutto al mito di Ctonie (Sotterra), che diventa Gea o Gaia - la terra, Tellus per i romanidopo che Zeus le dona il mantello di vegetazione che ricopre le sembianze infernali originarie. L’evoluzione di quest’opera ha portato all’allestimento site specific Sotterra (01) (2022), che ha come fulcro Origine, posizionata su una base costituita da centinaia di seminiere in polistirolo, accatastate a differenti altezze. L’artista ha creato un’atmosfera che rimarca con maggiore vigore il senso di Origine, e, parallelamente, invita alla riflessione sull’antica vocazione rurale di Alberobello. [C.G.]

59
2022
terra e radici di vite
L’artista L’opera
ph. Francesco Carofiglio

Evento promosso e realizzato da Comune di Alberobello

Con il sostegno di Regione Puglia e Teatro Pubblico Pugliese

Sindaco di Alberobello Michele Maria Longo

Assessore alla Cultura Alessandra Turi

Dirigente Settore Servizio Cultura Maria Punzi

Collaborazione Valentina Santoro

Immagine coordinata Ottopiutto – Agenzia di comunicazione e visual marketing per le imprese

Ufficio Stampa Fabio Dell’Olio Annamaria Minunno Social e Web Patrizia Nettis Stefano Ignazzi Fotografia Nicola e Giorgio AMATO

Direzione Artistica Francesco Carofiglio

Curatela Francesco Carofiglio Concettina Ghisu Lorenzo Madaro Brizia Minerva

Coordinamento operativo Veluvre - Visioni Culturali Anna Pellegrino Sonia Del Prete Paola Sisto

Ideazione allestimenti e disegno luci Francesco Carofiglio

Realizzazione e posa in opera Big Sur s.c.r.l.

Ringraziamenti BOPALACE ITALIA s.r.l. Montemarsale -Tessuti profumati AGA Arti Grafiche Alberobello Litos s.r.l.

Si ringraziano inoltre Trulli & Puglia Corte dell’Astore Trulli Holiday Charming Trulli Hotel Lanzillotta Trullo 100 passi Trattoria Terra Madre

Si ringraziano per la collaborazione Pro Loco Alberobello, SER – Servizio Energia Radio, Michele Chirivì, NCC Gianvito Martellotta

Testi critici

Mario Bronzino Lorenzo Madaro Alessandro Costanzo Baldo Diodato  Daniele D’Acquisto  Francesco Fossati  Franco Dellerba  Mimmo Paladino  Pasquale Santoro Shay Frisch

Brizia Minerva  Francesco Carofiglio  Helmut Dirnaichner  Jose Angelino  Loredana Longo  Pietro Guida  Sophie Ko

Concettina Ghisu  Ada Costa  Francesco Arena  Mimmo Di Caterino  Nicola Genco  Pamela Campagna  Raffaele Vitto Tiziana Contu  Viviana Fernandez Nicola

9 788894415940
ISBN 978-88-944159-4-0
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