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Pubblicazione bimestrale durante l'anno scolastico da Settembre a Giugno - Poste Italiane Sped. in A.P. art. 2 comma 20/c L. 662/96 - Bergamo - Aut. Trib. BG n. 427 del 15.5.1964 - NUOVA SERIE - N. 142 - ANNO 31 - Novembre-Dicembre 2012 PERIO D ICO D ELLE SU O RE O RSO LIN E D ISA N G IRO LA M O IN SO M A SCA -DIREZIO N E E AM M IN ISTRAZIO N E:24128 BERG AM O -VIA BRO SETA,138 -TEL.035250240 -FAX 035254094 -e-m ail:inaltum @ orsolinesom asca.it-w w w.orsolinesom asca.it

“Se credi non chiedere se non credi pensa che mai simile luce apparve a dar speranza al mondo”. Elisa Faga Plebani



Redazionale “Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio”.

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Carissimi amici lettori, le prossime feste natalizie ci offrono l’occasione per esprimervi il nostro sempre vivo grazie, ma anche per condividere con voi un dubbio: ciò che si sta preparando in questo periodo pre-natalizio, riguarda un Natale “cristiano” o “pagano”? Ne è prova quanto avviene: continua è la tensione a “vendere… vendere… vendere…” con ripetuti, anche ossessivi, richiami da parte di Centri commerciali, supermercati, mercatini…; e “comprare… comprare… comprare…” (oggetti fors’anche inutili) in luoghi dove continuo è il richiamo di “saldi”, di “low-cost”… Così che, purtroppo, anche il senso cristiano del Natale diventa, pure per noi battezzati, un momento di festa dal carattere, però, piuttosto superficiale! Anche Benedetto XVI, in questo Anno dedicato alla Fede, sottolinea che: “La Fede si trova ad essere sottoposta, più che nel passato, a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che,

(Lc. 2, 6-7)

particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche” (Porta Fidei, n. 22).

Con il desiderio che si viva il prossimo Natale nel suo autentico significato, facciamo in modo che ciò che abbiamo imparato da piccoli e che ripetiamo ogni volta nella recita del Credo – “Credo in Gesù Cristo, unico Figlio di Dio, nato da Maria Vergine, incarnato per noi…” – si faccia gioiosa conferma, anzi convinzione che Dio, fattosi uno di noi, ci comprende nelle nostre fatiche, ci cammina accanto come fratello e ci sostiene nel nostro andare di ogni giorno. Sia questo il nostro “vero”, “cristiano” Natale. È l’augurio più affettuoso e più fraterno da parte nostra! La Redazione


Anno della Fede

La Porta

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“Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti questo presupposto non è più ovvio, ma viene persino negato…”

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cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, a quarantacinque dalla promulgazione dell’Anno della Fede da parte di Paolo VI, a venti dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica di Giovanni Paolo II, il Papa avverte il bisogno di invitare la comunità cristiana a un ritorno alle fonti, ai fondamenti della fede, per ritrovare insieme nuovo slancio ed entusiasmo e nuove motivazioni. Dopo decenni di attenzione a un mondo sempre più secolarizzato, estraneo alla vita cristiana e lontano dal pensiero evangelico, la preoccupazione si è spostata all’interno della Chiesa stessa: ci si è accorti, infatti, che anche fra credenti e praticanti lo scollamento dalla fede è sempre più evidente. Un secolo fa Charles Péguy segnalava che in Francia stava accadendo “qualcosa di nuovo, di imparagonabile ad ogni altro fenomeno accaduto nella storia: un mondo prospero, una società prospera senza Gesù”. In tempi più recenti il Card. Ratzinger scriveva che “Quando si dice che c’è un mondo totalmente scristianizzato, vuol dire esattamente che questo mondo ha rinunciato a tutto il sistema cristiano nel suo insieme, ha rinunciato a tutto il cristianesimo”.

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(Motu Proprio “PORTA FIDEI” di Benedetto XVI n. 2)

E se forse non è il caso di parlare – come ha fatto qualche studioso – di apostasia di un intero continente dalle sue radici, è però evidente che la secolarizzazione ha intaccato anche l’interno della Chiesa come ironicamente è descritto dalla lapidaria af-

scientificamente se la fede sia o no autentica, segnaliamo alcune evidenze che giustificano queste parole del Papa: DISCEPOLI O BRAVI RAGAZZI? Non sarà forse né voluta né intenzionale, ma è effettiva la sostituzione nell’immaginario di tanti cristiani della figura del discepolo di Gesù con quella del “bravo ragazzo” che fa pensare al giovane ricco del Vangelo (Mc. 10, 17-22 e paralleli Mt. 19, 16-22; Lc. 18, 18-23). Questi sembra avere

fermazione del pensatore colombiano Nicolàs Gomez Dàvila: “La Chiesa spalancando le porte, voleva facilitare l’ingresso a chi era fuori, senza invece pensare che facilitava l’uscita di chi era dentro”. Il Papa lo conferma: “Si pensa alla fede come presupposto ovvio” così scontato, che si corre il rischio di eliminarlo dalla pratica. Dato, però, che non è rilevabile

tutte le condizioni necessarie per rispondere alla chiamata e mettersi alla sequela di Gesù il quale, non a caso, “fissatolo, lo amò”, ma declina l’invito “perché aveva molti beni”. Nel nostro mondo non la fede, ma l’etica o come si preferisce dire oggi la “moralità” (o addirittura la legalità) è considerata l’unico criterio valido per giudicare persone e comportamenti: se si è rispettosi delle regole, cosa volere di più? Cosa pretendere di più da bravi ragazzi che non fanno niente di male, hanno buone intenzioni, rispettano le regole della convivenza e della società, non sopportano l’ingiustizia, praticano il volontariato… che si dichiarano credenti, ma non praticanti perché non vogliono aver a che fare con la Chiesa? Ragaz-


Anno della Fede

della Fede zi così bravi da non aver più bisogno di nessuno, neppure di Gesù e da declinare l’invito a seguirlo. Ma senza lui, cosa resta? NOI ABBIAMO IL PENSIERO DI CRISTO! “L’uomo spirituale giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore così da poterlo dirigere? Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo” (1ª Cor. 2, 16). Non c’è orgoglio né senso di superiorità in questa frase: solo la certezza di chi sa in Chi ha creduto e sa di possedere il pensiero di Cristo. Questo possesso genera: a) la consapevolezza di ciò che si vuole: fare la volontà di Dio; b) la capacità di interpretazione (l’uomo spirituale giudica ogni cosa) e di discernimento nei confronti della realtà; c) la testimonianza di fede ricevuta in dono da Dio e donata al prossimo. Molti cristiani di oggi, a forza di voler capire il pensiero del mondo e di dialogare con esso, corrono il rischio di adeguarvisi, assumono come criterio interpretativo il punto di vista dominante. Anche gli imprescindibili apporti di scienze umane come psicologia, sociologia, pedagogia e antropologia dominano a tal punto la riflessione da mortificare il dialogo col Vangelo e la fede, come se questi non avessero nulla di nuovo o decisivo da dare rispetto a quelle.

Nella Chiesa oggi trovano ascolto e rispetto anche i pensieri discordanti o contrari alla fede il che è segno di tolleranza e apertura: ma si ha come l’impressione che a volte sia proprio la fede che fatica a trovare accoglienza!

FEDE DISINCARNATA, SENZA OPERE “Esaminate voi stessi se siete nella fede, mettetevi alla prova” (2 Cor 13, 5). Paolo chiede ai suoi di “mettere alla prova” la fede, che è poi esattamente l’opposto di chi afferma: “Credo in Dio, in Gesù, non nella Chiesa” o “Sono credente, ma non praticante”. Chi ragiona così è talmente convinto di avere fede, da non ritenere necessaria la pratica di fede e la sua dimensione comunitaria. Non si tratta solo della riedizione moderna della separazione tra fede e opere già se-

gnalata dagli apostoli (Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? (Giac. 2, 14). C’è in ballo qualcosa di più attuale, di più tipico del nostro tempo e cioè la perdita della realtà, il trionfo dell’immaginazione, la chiusura nell’individualismo e la conseguente autoreferenzialità. In altre parole, si dice: “Ho fede perché sono convinto di averla; sono convinto perché la sento in me; sono così sicuro di quello che sento che non devo renderne conto ad altri che a me stesso e a Dio”.

Si tratta di argomentazioni assurde e insensate, visto che nessuno può essere giudice e garante di sé stesso. Ma non pensa così chi, credendosi l’ombelico del mondo, non sente il bisogno di confrontarsi più con nessuno; difende la purezza delle sue intenzioni, idee e sentimenti a scapito della concretezza delle azioni e dei fatti…: atteggiamenti, questi, purtroppo comuni anche a fedeli e religiosi e contro i quali non c’è argomento concreto e reale che tenga. Don Davide Rota

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Segni dei tempi

Q uella sorpre D a un interessante “cam pionario” diinterrogativi em erge davvero la consapevolezza che ognuno, in questa Italia m artoriata dalla crisi e dagliscandali, può fare la sua parte, com inciando a pensare, a guardarsiattorno e dentro disé. Tornando a provare ilpiacere didialogare, diraccontare: insom m a, difarsi“dom ande”.

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on è facile resistere al pessimismo dominante e alla sensazione (diffusa) “che oggi tutto va male”. Certo, i problemi ci sono e se ci guardiamo attorno – basta leggere i titoli dei giornali – l’aria che tira non è certo improntata all’ottimismo. Eppure, c’è chi tenta e cerca di reagire, con il buon senso e una sana speranza cristiana. Mi è capitato, in questi ultime settimane, di essere in luoghi diversi (non solo geograficamente) e di cogliere comuni sentimenti e tensioni di una voglia di reagire e di riflettere. Sì, ho percepito realmente quei “segni dei tempi” per cui la gente, le singole persone, lavorano per costruire, nella difficoltà dei giorni, prospettive ed esperienze positive, che fanno giustizia del disfattismo e dell’arrendevolezza sparsa a pieni mani in ogni settore. Recentemente, in una cittadina della Toscana, ho avuto modo di confrontarmi con studenti e docenti che lavorano con passione ed entusiasmo attorno a progetti di comunicazione scolastica. Hanno redatto i cosiddetti “giornalini scolastici”,

vero e proprio strumento per veicolare idee, testimonianze e riflessioni. Mi hanno molto colpito i fogli pubblicati da alcuni Istituti scolastici del Meridione. Con coraggio, studenti e docenti cercano di mettere lo sguardo “dentro” realtà scomode (disagi, emarginazioni, difficoltà sociali, fenomeni di violenza e criminalità) per trarre la forza di cambiare le cose, cominciando da loro stessi, dal loro piccolo ambito locale. Cambiamo luogo. In un grosso centro vicino a Brescia – storicamente noto per la bassa scolarizzazione, per fenomeni legati all’abuso di tossicodipendenze, causati soprattutto da un modello sociale che ha spinto l’acceleratore sul guadagno e sull’esasperazione del benessere, a svantaggio di una formazione anche intellettuale – una Scuola dell’Infanzia tenta di recuperare il terreno perduto e di orientare le nuove famiglie a guardare oltre il mero consumismo e a progettare, per i propri figli, un diverso modo di vivere, dove l’armonia della crescita si accompagna all’educazione ai valori.


Segni dei tempi

ndente bellezza Tutto può servire per far giungere un messaggio positivo ai genitori (e cambiare le cose...). Ad esempio: incontri, occasioni di festa, partecipazione ad iniziative extra curricolari grazie alle quali i bimbi (e i genitori) sono coinvolti in attività che riguardano il gioco, il rapporto tra le generazioni, la creatività. Con loro ho parlato e discusso di fiabe e favole, facendo emergere come la capacità del “raccontare” - prerogativa delle società rurali - può, e deve ancora oggi, avere un valore e una funzione importanti nel dialogo con i propri figli. Ed è stata un’esperienza significativa per questi genitori, con i quali abbiamo individuato alcune “chiavi” per poter aprire una conversazione, una storia, con i propri piccoli. Interessante, pure, la serie di serate che, da alcuni anni, mi vedono tra le pareti della storica Scuola “Cittadini” di Ponte San Pietro, dove anche quest’anno è stata promossa una serata di confronto tra genitori e figli. Ho chiesto agli uni e agli altri, come è nello stile di questi incontri – molto informali, quasi come fossero un’occasione di gioco – di rivolgersi quelle domande che nessuno aveva mai osato fare reciprocamente. E’ uscito un “campionario” di interrogativi che colgono la bellezza e la problematicità del rapporto genitori-figli. Domande spesso scomode, ma vere, come quelle che riguardano la difficoltà delle scelte della vita e del senso da dare ai nostri giorni.

Ad esempio: – nel caso potessi tornare indietro rifaresti tutto oppure cambieresti alcune scelte? – che emozioni avete provato quando io sono nato? – mi hai mai mentito? – vi fidate di me? – perché avete deciso di mettermi al mondo, prendendovi una grande responsabilità? – siete contenti dei miei voti e del mio impegno a scuola? – anche voi dovete essere responsabili nell’amarci, aiutarci e accudirci? – quando sono ammalata, sono per voi un peso? – perché ogni volta che vi arrabbiate non ascoltate le spiegazioni che ho da darvi? – perché pensate che io non sia abbastanza grande e responsabile per fare alcune cose da sola? – avreste voluto avere un altro figlio? – mi avreste voluto diversa da come sono? – tu mi hai mai tradito?

– mamma, papà, avete qualche segreto che non mi volete dire, dite la verità, sì o no? – un genitore di solito vuole bene al suo bambino perché è consapevole di volergli bene o è semplicemente istinto? E queste sono solo alcune delle “questioni” intavolate, quella sera, sotto le volte della Scuola “Cittadini” di Ponte San Pietro. Quei quesiti - che sono i quesiti di tanti figli - sono usciti allo scoperto, sono stati dibattuti alla luce del sole, con la partecipazione di tutti. Dall’esperienza di Ponte, come da quelle di Brescia o della Toscana, emerge davvero la consapevolezza che ognuno, in questa Italia martoriata dalla crisi e dagli scandali, può fare la sua parte, cominciando a pensare, a guardarsi attorno e dentro di sé. Tornando a provare il piacere di dialogare, di raccontare: insomma, di farsi “domande”. Perché è anche questo l’elemento che ci rende persone e che dà sale alla nostra vita. Roberto Alborghetti

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Giovani generazioni: storie, volti, musica... per dire la fede

Conta le ste vattene

“Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. 2 Farò di te una grande nazione e ti benedirò… Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran”. (Gen 12, 1-4)

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arissimi, eccoci ancora insieme per riflettere sulle storie scritte dai giovani, sui loro volti, sulla musica che ne traccia i movimenti interiori. Ci lasceremo prendere per mano dalle loro idee e dai loro pensieri, e faremo in modo che tutto possa diventare parola buona per il nostro cuore, per gli orecchi della nostra società. E’ seminata in loro la Speranza che Dio affida all’uomo; è in loro la novità della Fede; è in loro la scommessa di un Amore puro.

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Lasciamo spazio a Federica, una ragazza che ha voluto rispondere all’interrogativo scritto alla fine della riflessione apparsa sul numero precedente (Quante persone sono disposte a tanto per inseguire un sogno? Quale prezzo sono disposte a pagare per poterlo realizzare?) e ci ha scritto le sue considerazioni sul sogno, analizzando il sogno di libertà nel mondo. Ascoltiamola…


Giovani generazioni: storie, volti, musica... per dire la fede

lle se puoi e... dalla tua terra! “Non esiste una vera e propria definizione per descrivere realmente cosa sia la libertà. Ognuno ha la sua definizione di libertà, qualcuno magari potrebbe sentirsi libero quando è in sella alla propria moto e riesce a sentire il vento in faccia e tra i capelli, qualcun altro, invece, potrebbe sentirsi libero prendendo parola ad una certa assemblea, o altri ancora per il fatto stesso che, arrivati alla maggior età, assumono dei diritti e dei doveri tra i quali quelli di voto. La libertà, a questo punto, è qualcosa di relativo alla zona geografica, alla mentalità della gente, allʼetà ma, soprattutto, alle scelte di vita che ognuno si impone. Sicuramente in Africa o in Iraq, soprattutto le donne, avranno una concezione di libertà diversa, talvolta opposta, rispetto ai coetanei europei o americani. Per unʼafricana essere libera significherà non essere vittima di una mentalità barbara che sfocia in atti quali lʼinfibulazione, o non essere considerata merce di scambio. In Iraq, invece, la definizione di libertà di ogni ragazzo sarà lʼessere esente da un servizio militare che lo porterà alla morte. A parer mio, la libertà è poter pensare con la propria testa senza essere influenzati da altri, poter scrivere ciò che si pensa senza una censura soffocante e opprimente, poter uscire e relazionarsi con altre persone esponendo le proprie idee politiche e religiose. Se analizziamo le situazioni dei vari Paesi del Mondo notiamo che attualmente lʼAmerica è seconda solo allʼEuropa occidentale quanto a rispetto della libertà e dei diritti umani; tuttavia, un aumento della criminalità violenta ha portato a passi indietro in diversi Paesi. Tra le altre gravi questioni relative ai diritti umani, alcune parti del Continente soffrono di mi-

nacce alla libertà di stampa, inclusa la violenza contro i giornalisti e le infrazioni alle libertà di associazione e di riunione. La primavera araba del 2011 ha avviato un periodo di radicali cambiamenti politici nei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, che è stata storicamente la regione meno libera in tutto il mondo. La caduta dei leaders di lunga data e le richieste crescenti, da parte del popolo, di democrazia hanno portato nuove opportunità per la riforma e la transizione democratica in Paesi altrimenti segnati da gravi abusi e privati di quasi tutti i diritti politici fondamentali e le libertà civili. Negli ultimi cinque anni, la regione asiatica è stata lʼunica a registrare guadagni costanti in materia di diritti politici e delle libertà civili. A parte la Cina, in cui oltre la metà della popolazione non vive libera, e in Corea del Nord, il paese meno libero nel mondo, una serie di Paesi asiatici ha fatto progressi notevoli nelle istituzioni elettorali democratiche - elezioni, partiti politici, pluralismi - in autonoma associazione. Tuttavia, persistono lacune per quanto riguarda molti diritti fondamentali. Nonostante lʼAfrica sub-sahariana sia la patria di alcuni dei peggiori paesi al mondo, in termini di rispetto dei diritti umani, la regione ha visto progressi verso la democratizzazione, non uniforme, nel corso del 1990 e nei primi anni del 2000. Negli ultimi anni, tuttavia, si sono presentati passi indietro sia tra i migliori paesi, come il Sud Africa, sia tra i paesi più repressivi, come il Gambia e l'Etiopia. La mancanza di rispetto dallo Stato dei diritti, le infrazioni alle libertà di espressione e di associazione, la corruzione diffu-

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Giovani generazioni: storie, volti, musica... per dire la fede

sa, e la discriminazione nei confronti delle donne sono tuttora un serio problema. NellʼAsia Transoceanica e in Europa orientale vi è una svariata gamma di paesi, da quello più rispettoso dei diritti umani a quello meno rispettoso. Georgia, Ucraina e molti paesi dei Balcani hanno bisogno di un monitoraggio continuo per assicurare il progresso democratico. LʼEuropa occidentale ha tradizionalmente mantenuto un livello esemplare di rispetto delle norme democratiche e dei diritti umani e, in generale, ha continuato a farlo negli ultimi anni nonostante la grave crisi economica. Molti paesi hanno sviluppato problemi legati al trattamento degli immigrati e delle minoranze e la libertà di espressione deve affrontare minacce in diversi stati. Lʼultimo rapporto annuale dellʼorganizzazione americana “Freedom House”, che controlla lo Stato dei diritti politici e delle libertà civili nel mondo, ha classificato la Serbia, la Croazia e il Montenegro come “Paesi liberi”. Il processo di integrazione e sviluppo che vede coinvolta lʼarea balcanica sta portando i suoi frutti. Anche Kosovo, Albania e Bosnia-Erzegovina sono stati inclusi nella lista dei “Paesi parzialmente liberi”. “Freedom House” ha pubblicato i risultati dell'ultima edizione sulle libertà nel mondo. Secondo l'indagine, il 2010 è stato il quinto anno consecutivo in cui la libertà globale ha subito un declino. Nel rapporto sono state evidenziate delle battute d'arresto nella storia degli ultimi 40 anni. I Paesi liberi sono scesi nel 2011 da 89 a 87; l'Italia si conferma a pieni voti nella Mappa della Libertà. “Questo dovrebbe essere un campanello d'allarme per tutte le democrazie del mondo”, ha detto David J. Kramer, Direttore esecutivo di Freedom House. “I nostri avversari non sono solo impegnati nella repressione, lo stanno facendo con aggressività senza precedenti”, si legge nel comunicato diffuso. “Il Medio Oriente e lʼAfrica del Nord rimangono le regioni con il più basso livello di libertà nel 2010 e purtroppo continua il loro declino poiché non ci sono le basi per una vera democrazia”, è ancora evidenziato nel rapporto. Se i Balcani stanno lottando per diventare Paesi liberi, la sponda Sud del Mediterraneo si trova a dover ancora affrontare interamente la questione senza nessuna garanzia per un futuro migliore”. Federica Pilloni Classe Terza Secondaria primo grado “Madre Camilla Gritti'' Carbonia

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Grazie, Federica! Il tuo intervento è provvidenziale per la riflessione che andremo a fare in questo secondo numero del nostro Periodico… In nome del sogno di libertà (valore che si lega al rispetto della dignità umana, alla necessità della sussistenza, al desiderio di continuità della specie, all’appello di responsabilità…), molti uomini e donne hanno deciso di scommettere su un futuro percorribile e hanno lasciato la loro terra. Obbligo, costrizione, esigenza, bisogno, urgenza, opportunità… La migrazione è un fenomeno molto complesso che ha da sempre interessato la condizione dell’essere umano. E’ possibile individuare due dimensioni che la caratterizzano: una “esteriore” costituita dal viaggio, dalle situazioni contingenti, non sempre favorevoli, che il soggetto si trova a dover sperimentare quotidianamente e una “interiore” che fa riferimento alla perdita dei luoghi e degli ambienti carichi di significato per l’identità di una persona e all’integrazione con il nuovo contesto. Queste due dimensioni ci introducono alla riflessione sul difficile e lungo lavoro di integrazione che una persona che lascia il proprio paese di origine deve compiere tra il vecchio e il nuovo, tra il passato e il presente.

Un’immagine spesso associata alla migrazione è quella di una ferita, di una lacerazione, di uno strappo, più o meno drammatico a seconda di molteplici fattori. In effetti, la migrazione produce una frattura nella continuità temporale. La migrazione è, quindi, un evento traumatico che implica svariati cambiamenti nella realtà esterna e che ha conseguenti ripercussioni sulla realtà interna. Lasciare il proprio Paese risveglia sentimenti di perdita e di sradicamento che vanno ad incidere sul sentimento di identità. E’ possibile che queste dinamiche provochino una crisi che può sfociare in un’effettiva catastrofe oppure, al con-


Giovani generazioni: storie, volti, musica... per dire la fede trario, possa tradursi in una rinascita creativa e arricchente. Sappiamo, tuttavia, che spesso il trauma migratorio non coincide con il momento della partenza o del viaggio, ma coincide con un processo articolato in una pluralità di fattori tutti caratterizzati da sentimenti di ansia e di smarrimento. Talvolta il processo migratorio inizia già nel paese di origine, nel momento in cui si forma e si sviluppa una categoria di popolazione potenzialmente migrante, costretta a vivere un periodo di incertezza e di transizione. In altri casi, la migrazione ha, invece, le caratteristiche più di una scelta individuale e non implica il coinvolgimento di altre figure della famiglia o della comunità. Inoltre le modalità di migrazione variano molto a seconda degli individui e dei nuclei di famiglia: alcuni preferiscono tagliare immediatamente i ponti con il passato, altri vivono in un continuo rimpianto e sperano in un ritorno, altri ancora mandano nel nuovo Paese alcuni membri per preparare l’arrivo degli altri familiari. Spesso succede che, sulla spinta di elevate aspettative nei confronti del nuovo Paese, il migrante viva momenti di euforia e di soddisfazione. Il primo impatto è, però, seguito da atteggiamenti di ritiro, di isolamento da un ambiente nuovo, innescando un meccanismo di autoprotezione. Questo atteggiamento di ritiro può avere una valenza benefica nel caso in cui sia temporaneo. Se, invece, questo tipo di reazione diventa stabile, il rischio è quello di iniziare un circolo vizioso di regressione e di distruttività. Oltre al ritiro, è possibile che il migrante esprima rabbia, ostilità, aggressività e ira soprattutto nei confronti delle persone a lui più vicine, a causa delle difficoltà di comunicazione con l’insidioso mondo esterno.

Altri sentimenti comuni sono la diffidenza e il sospetto, connessi non solo alla difficoltà di comprensione e di controllo delle novità, ma anche alle esperienze che hanno preceduto la migrazione. Tutti questi atteggiamenti sono messi in atto per cercare di proteggere e ricostruire la propria identità. L’emigrante diventa estraneo al suo passato ed estraneo al presente e al futuro. La solitudine, l’isolamento, l’estraneità e la disperazione sono spesso elementi caratteristici della crisi della migrazione intesa come sradicamento. In tale sradicamento non è più possibile fare affidamento sulle vecchie radici perché perdute, mentre le nuove faticheranno ad essere create. La migrazione mette a confronto con una realtà (quella ospitante) sulla quale è possibile, per alcuni, avere certe conoscenze, ma rispetto alla quale non è detto che vi sia stata esperienza. Spesso, inoltre, nel nuovo Paese non vi sono testimoni del proprio passato ed ecco che la continuità dei legami identificatori viene a mancare. La capacità di tollerare la sofferenza del distacco e della solitudine è un fattore preannunziatore di un esito positivo della migrazione. L’individuo che dimostra tale capacità può essere in grado di affrontare sia la perdita di ciò che è a lui familiare, sia l’esclusione che dovrà inevitabilmente subire nella prima fase della migrazione. Con questi sentimenti di smarrimento, i lontani e precedenti modi di vivere diventano spesso oggetto di profonda nostalgia. I migranti sembrano per questo non riuscire mai a sentirsi pienamente a proprio agio nel paese che li ospita. E’, quindi, possibile che una delle fonti più profonde della sofferenza di molti migranti sia rintracciabile nell'impossibilità a mettere in atto ed agire la propria cultura e il proprio passato. Il dolore del migrante è legato sia al ri-

cordo di qualcosa che non c’è più, che è lontano e che è perso spesso per sempre, sia legato ad altri interrogativi che riguardano i cambiamenti dei luoghi di origine, delle persone dalle quali ci si è separati, al dubbio di essere riconosciuti o meno, di essere ritenuti ancora “parte di loro”, appartenenti a quella cultura, a quel gruppo. Il migrante continua ad avere, quindi, una spinta verso il luogo d’origine. Tuttavia, occorre sottolineare il rischio di un meccanismo di ripiegamento su un passato più immaginario che reale. Il modo di affrontare il momento migratorio dipende molto anche dall’atteggiamento personale nei confronti del nuovo, dell’ignoto. C'è chi per natura rimane aggrappato a ciò che è noto, familiare e ha bisogno di avere accanto qualcuno la cui presenza risulti rassicurante ed è, quindi, poco disposto al cambiamento. Altri, invece, sono incuriositi dal mutamento e da ciò che è nuovo e non sono, quindi, attratti da legami stabili.

… Arriva il momento in cui si decide di partire... Li chiamano i viaggi della speranza. In realtà si tratta di un vero e proprio distacco dal cordone ombelicale che lega i popoli alla propria terra, alle proprie origini. Un viaggio con biglietto di sola andata, con ipotesi di ritorno molto scarse, con destinazioni il più delle volte sconosciute o solamente sentite raccontare. Un salto nel buio in cerca di lavoro, di cibo, di diritti umani, di pace, di futuro, di serenità... di vita. Viaggi che non si trovano nelle agenzie turistiche, ma nascono da chi ha il coraggio di guardarsi intorno e capire che è l’unica possibilità. Occorre essere molto coraggiosi per capirlo e per decidere di farlo. Perché ogni uomo è figlio della sabbia…

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Noi siamo i figli della sabbia, del sole e dei fiori, siamo i figli del mare. Siamo venuti dai campi e dalle grandi città . Noi ragazzi dai mille sogni spezzati, infranti e traditi, col cuore tenero e con gli occhi asciutti e bruni; noi dalla chioma color pece, siamo venuti a ballare nelle vostre piazze luminose, nelle vostre case. Siamo venuti a ballare per i vostri occhi stanchi e immobili come specchi. Siamo bambini nati da gocce d’acqua di un fiume in secca che fino a ieri scorreva lento. Siamo spighe di grano piene e forti siamo venuti a cantarvi le nostre canzoni d’amore, canzoni dolci come mandorle e miele. Le canteremo ad alta voce finchÊ toccheranno i vostri cuori per poi cantarle piano, piano, assieme, nelle vostre case, nelle vostre piazze, nelle vostre città �. (Abdelkader Daghmoumi)

Lasciamo ad Oralda (29 anni, albanese, residente in Italia) e a Coumba (25 anni, senegalese, residente in Italia) la possibilità di narrarsi‌

Ascoltiamole‌ “Uscite libere, volo di gabbiani, ricerca di una terra migliore, di un mondo diverso, dove esprimere la propria personalitĂ , il proprio carisma, i propri talenti, le proprie capacitĂ e la propria cultura, dove incontrare la sfida dellĘźIntercultura. Il mio esodo lo vedo come lĘźattraversamento di un grande mare, di un oceano, lo vedo come una mano che custodisce le ricchezze che il diverso porta con sĂŠ. Mi piace dipingerlo con lĘźimmagine dellĘźarcobaleno che appare, per reazione, ad un fenomeno naturale, chimico. Appare come per un incanto, cattura lo sguardo, facendo esclamare: “Che meraviglia!â€?. Le goccioline dĘźacqua si lasciano penetrare dalla luce di un fascio di sole e si disegnano in mille colori, ognuno dei quali esprime una propria bellezza, un proprio incanto. Questo è lĘźesodo: uscire, per lasciarsi andare; unirsi ad altre culture, impastando le proprie abitudini con quelle di altri, senza remore. Questo è lĘźesodo: formare un unico popolo, dove Dio dĂ a ciascuno la possibilitĂ di esprimere il meglio di sĂŠ. Questo è lĘźesodo: uscire dal negativo, per aprirsi al nuovo, che è tesoro; entrare in un contesto diverso, senza pauraâ€?. Oralda

“Quando intorno a te, dice Coumba, vedi bambini con unĘźaspettativa di vita davvero molto scarsa, quando una semplice influenza può diventare mortale, quando ormai non fai piĂš caso a chi muore, quando un frutto, un pezzo di pane vecchio, un pugno di riso o dell'acqua fresca ti sembrano un dono grandioso e quando ti fermi a pensare a tutto questo... ecco, quando ti fermi e ci pensi‌, è allora che trovi la forza per partire. Non importa precisamente dove, l'importante è partire. Nessuno pensa a una fuga definitiva: tutti noi lasciamo a casa affetti, ricordi, anima e cuore, è solo il nostro corpo che parte. Tutti pianifichiamo e sogniamo un ritorno; pochi riusciranno a concretizzarlo. Ecco, il nostro sogno, quando si parte, è proprio quello di poter tornare. Forse è per questo che non ho sistemato la piccola stanza dove vivo, forse è per questo che non ho mai completamente disfatto la mia valigia‌â€?. Non mettere un chiodo nel muro/Non appendere alla parete un quadro/PerchĂŠ tu domani tornerai - diceva Bertold Brecht che, nel 1933, dopo il rogo del Reichstag, lasciò la Germania e prese la via dellĘźesilio. Avrebbe da quel momento vissuto molti anni lontano dalla sua Patria, prima a Praga, poi a Vienna, Parigi e, infine, negli Stati Uniti. Non ci sarebbe stato ritorno prima del 1948 eppure, nonostante ciò, egli considerò sempre, anche nei momenti piĂš drammatici, lĘźesperienza dellĘźesilio come unĘźesperienza temporanea, transitoria, tanto che potĂŠ scrivere i versi che abbiamo appena letto, a chi, come lui, era stato costretto ad abbandonare la propria terra. “Sognare di tornare con un piccolo gruzzolo per poter avviare unĘźattivitĂ , sistemare la casa, aiutare la famiglia; sognare di tornare e di trovare un paese migliore. Solamente durante il viaggio e allĘźarrivo ti rendi conto che tutto è diverso da come te lo eri immaginato, che tutto sarĂ piĂš difficile, che il sogno del ritorno conviene metterlo da parte. Quando ero a casa, immaginavo con positivo tremore il mio viaggio e, seppur con paura, mi sentivo euforica e certa della mia decisione e sono ancora convinta di aver fatto la scelta giusta, nonostante le grandissime difficoltĂ , le umiliazioni, la nostalgia impotente, le giornate fredde‌ Almeno qui sono certa di sopravvivere, di bere, di mangiareâ€?. “Tu lascerai ogni cosa diletta/piĂš caramente; e questo è quello strale/che lĘźarco de lo esilio pria saetta./Tu proverai sĂŹ come sa di sale/lo pane altrui e come è duro calle/lo scendere e il salir per lĘźaltrui scaleâ€? (Dante Alighieri, La Divina Commedia). Coumba


Giovani generazioni: storie, volti, musica... per dire la fede Mentre leggiamo questi due cuori, pensiamo alla gente costretta a partire in ogni parte del mondo! Pensiamo ai Paesi immensi e ricchi di risorse, che non hanno saputo trattenere le proprie genti; pensiamo a quanto pochi siano i paesi dove rifugiarsi, dove sperare di ricevere conforto e, purtroppo, accorgersi che alla fine ci si trova comunque soli! Ascoltandole, cerchiamo di metterci nei loro panni! Forse anche noi siamo stati migranti‌ Magari abbiamo intrapreso un viaggio al contrario. Loro: in fuga dalla sofferenza, noi: alla ricerca del dolore per poterlo fasciare, guarire, consolare; loro: senza biglietto di ritorno, noi: con la possibilità di poter tornare in qualsiasi momento; loro: come scelta obbligata, noi: come scelta volontaria. Quanta differenza fa l’essere nati qualche migliaio di km piÚ a ovest o piÚ a nord. Eppure... eppure si sente una sorta di vicinanza; leggiamo nei loro occhi il palpitare della speranza, l’euforia incosciente di un viaggio ancora in corso; sentiamo la voglia ardente di salire su quella nave, su quel carro, lasciando a casa anima e cuore, portando con sÊ solo la speranza e una valigia da non disfare mai.

“Sole alla valle, sole alla collina, per le campagne non c'è piĂš nessuno Addio, addio amore, io vado via amara terra mia, amara e bella Cieli infiniti e volti come pietra mani incallite ormai senza speranza Addio, addio amore, io vado via amara terra mia, amara e bella... Tra gli uliveti nata è giĂ la luna Un bimbo piange allatta un seno magro Addio, addio amore, io vado via amara terra mia, amara e bellaâ€?.

“Hai fatto tutta quella strada per arrivare fin qui e ti è toccato partire bambina con una piccola valigia di cartone che hai cominciato a riempire... Due foglie di quella radura che non c'era giĂ piĂš rossetti finti ed un astuccio di gemme e la valigia ha cominciato a pesare dovevi ancora partire... E gli occhi han preso il colore del cielo a furia di guardarlo e con quegli occhi ciò che vedevi nessuno può saperlo... E sole pioggia neve tempesta sulla valigia e nella tua testa e gambe per andare e bocca per baciare... Hai fatto tutta quella strada per arrivare fin qui e ad ogni sosta c'era sempre qualcuno e quasi sempre tu hai provato a parlare ma non sentiva nessuno... E ti sei data, ti sei presa qualche cosa chissĂ ma le parole che ti sono avanzate sono finite tutte nella valigia e lĂŹ ci sono restate... E le tue gambe andavano sempre solo sempre piĂš adagio e le tue braccia reggevano a stento il peso della valigia... E sole pioggia neve tempesta sulla valigia e nella tua testa e gambe per andare e bocca per baciare... Sole pioggia neve tempesta sui tuoi capelli su quello che hai visto e braccia per tenere e fianchi per ballare... Hai fatto tutta quella strada per arrivare fin qui ma adesso forse ti puoi riposare un bagno caldo e qualcosa di fresco da bere e da mangiare... Ti apro io la valigia mentre tu resti lĂŹ e piano piano ti faccio vedere: c'erano solo quattro farfalle un po' piĂš dure a morire... E sole pioggia neve tempesta sulla valigia e nella tua testa e gambe per andare e bocca per baciare... Sole pioggia neve tempesta sui tuoi capelli su quello che hai visto e braccia per tenere e fianchi per ballare...â€?.

(Domenico Modugno)

(Luciano Ligabue)

Concludiamo questo percorso di riflessione con le parole della musica, affinchĂŠ l’esperienza del partire, dell’andarsene, che è strappo, lacerazione, nostalgia, scoperta, forse illusione, sia inno alla libertĂ , sia capacitĂ di lasciar volare le quattro farfalle dure a morire della dignitĂ umana, dell’identitĂ , della speranza, della pienezza di vita.

Mauro Barisone e SuorbĂŹ (foto di Mauro Barisone)

maurokos@hotmail.com - sr.b@tiscali.it

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Una storia vera... anzi inverosimile!

La gioia è Ricordi d’infanzia... Cecilia: un’infanzia serena, sostenuta dagliaffettifam igliari e dalle prem ure dipersone am iche;

erso l’estate del 1965 rientrai

V

Don Siro, con sensibilità e intelligenza,

dall’ospedale di Malcesine, sul

comprese la sofferenza dei miei e accol-

lago di Garda, dov’ero rimasta più di

se la loro richiesta acconsentendo che io

un anno per tentare una possibile cura.

ricevessi la Prima Comunione nella

Non risultò così e i miei genitori, pro-

chiesa di Sotto il Monte, per affidarmi

babilmente accortisi che riguardo la sa-

alla protezione di Papa Giovanni XXIII,

lute non c’era beneficio e che la soffe-

morto da soli due anni, ancora vivissi-

renza di restare lontano dalla famiglia

mo nell’affetto della gente e dei miei.

stava spegnendomi dentro, mi riporta-

Tra l’altro la mia madrina era zia Car-

rono a casa.

la, sposata ad un Roncalli. Di quel

Tornata a casa completai la preparazione alla Prima Comunione con l’aiuto di don Siro, nostro Parroco in quegli anni.

fortificata dall’incontro

Allora si studiavano a memoria le do-

con G esù

mande-risposte del catechismo di Pio X

nella Prim a Com unione

… “Chi è Dio? Dio è l’Essere perfet-

e illum inata

tissimo…”. Di don Siro conservo so-

dallo Spirito Santo nelSacram ento della Cresim a.

prattutto il ricordo di uno spirito aperto e il suo incitamento, negli anni successivi, a “non adagiarmi nella banalità, ad allargare, ad approfondire la conoscenza perché la fede ha bisogno di respiri profondi” mi diceva. Ricordo poi la sua delicatezza nel mettermi in collegamento con ragazze mie coetanee o poco più che, con una giovane catechista, Anna Odoni, di tanto in tanto, passavano a trovarmi.

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Una storia vera... anzi inverosimile!

possibile! parola diCecilia (Seconda puntata)

giorno conservo alcune foto e i miei

l’apertura e la pace, del “discorso alla

materna, Rosa, mia madrina in quel-

primi orecchini. Riguardare quelle

luna” così intenso...

l’occasione. Di lei porto il nome ac-

foto mi riportano ad un legame verso

Sono fiera di considerarlo tra i miei

canto a quello della nonna paterna,

Papa Giovanni come a quello che ho

Santi patroni, quelli di riferimento

Cecilia.

per il Santo del mio nome, i Patroni

per la mia storia personale.

Anche per la Cresima si preferì scegliere la chiesa di Ghiaie di Bonate,

della mia Parrocchia, il Santo del giorno di nascita: collegamenti non

Pochi mesi dopo la Prima Comunio-

mio paese natale. Ricordo che, suc-

scelti, ma che la vita mi ha resi fami-

ne ricevetti la Cresima. Mi ricordo di

cessivamente, la mamma mi spiegava

liari. Solo col tempo appresi di Lui,

un’altra foto macchiata di caffè, che

che avevano preferito che io ricevessi

dei suoi scritti e del suo impegno per

vi risparmio. Lì sono con la nonna

questi Sacramenti fuori parrocchia per evitare il disagio causato dalla curiosità… Risalendo agli albori della mia fede, i primi riferimenti sono legati all’esempio delle persone vicine, assorbiti, poi, attraverso la vita. Una domenica mattina, in pieno inverno, con la neve scesa abbondante la notte, ricordo mia mamma alzarsi per la Messa Prima e avviarsi a piedi, per tempo, verso la chiesa che non è a due passi da casa nostra, rischiando scivoloni. Nonostante il lavoro, gli impegni e le sofferenze per la situazione mia e di Livio, mio fratellino, non rinunciava mai alla Messa domenicale: ribadiva che da quei momenti traeva la forza per vivere il resto.

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Una storia vera... anzi inverosimile!

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Come dicevo, la chiesa è abba-

tale che concludeva con la pro-

zio Adriano, il fratello più giova-

stanza distante da casa mia e ciò

digiosa fuga in Egitto. E la non-

ne di mia mamma, dipingeva da-

era un ostacolo alla mia parteci-

na raccontava di Maria che, se-

vanti ad un cavalletto, su una

pazione alle funzioni in Parroc-

duta sull’asinello, accompagnata

piccola tela; con in mano tavo-

chia. Da poco avevamo la TV e

da Giuseppe, stringeva a sé il

lozza e colori riproduceva il pae-

io seguivo la Messa, o altri pro-

piccolo Gesù, coprendolo con il

saggio che si scorgeva dalla fine-

grammi religiosi, assieme a non-

suo mantello; vennero raggiunti

stra. Guardavo stupita il suo

na Cecilia, anche lei già malfer-

lavoro. Credo che quel momento

ma sulle gambe. Non perdevamo

fece sorgere in me la passione

mai gli appuntamenti con Padre

per la pittura.

Mariano. Nonna Cecilia abitava

Erano quelli tempi in cui il con-

con noi, perciò trascorrevo la

cetto di integrazione era argo-

maggior parte del mio tempo

mento poco sentito e la persona

nella cucina, in sua compagnia.

disabile restava spesso e volen-

Il pomeriggio, verso le quattro,

tieri appartata in casa, riferita so-

finiti o no i compiti, dovevo so-

lo alla famiglia, un po’ per prote-

spendere quello che stavo facen-

dalle guardie di Erode ed ecco

zione e un po’ per una sorta di

do per pregare con lei. Imparai a

sotto il manto trovarono un

disagio.

recitare il Rosario con le litanie

agnellino belante. Storie che mi

Certamente il mio inserimento

in latino, cento Requiem pregati

incantavano.

nella realtà scolastica non risultò

particolarmente nel periodo dei

Con nonna Rosa ricordo, inve-

facilmente realizzabile. Fortuna

morti, la Via Crucis nei tempi di

ce, i pomeriggi della domenica,

volle che uno zio, fratello di

Quaresima…

quando stavo a guardarla mentre

papà, fosse bidello alla scuola di

Confesso che spesso protestavo

mungeva e dava da mangiare al-

Valtesse, vicino a Bergamo e

o pregavo distrattamente, ma di

le mucche, ai polli, ai maiali. Ri-

che, in qualità di custode di quel

tanto in tanto mi capitavano an-

cordo con piacere tanti momenti

complesso scolastico, abitasse in

che momenti di fervore in cui

vissuti a casa sua nella grande

un appartamento affiancato alle

sfogliavo e leggevo le riviste

cucina. Il camino acceso, le cal-

aule. La sua disponibilità e quel-

missionarie a cui la nonna era

darroste sbucciate e, a Natale, il

la della sua famiglia ad ospitarmi

abbonata e i suoi vecchi libri

presepe con vecchie statuine,

nei mesi di scuola, mi permise di

della Messa, con la copertina ne-

preparato in una nicchia ricavata

frequentare la seconda elementa-

ra e il bordo rosso delle pagine,

nel largo spessore del muro di

re. Si aggirarono così gli ostacoli

ancora in latino. Ascoltavo, cu-

quella stanza, dove tutto sapeva

organizzativi riguardanti il tra-

riosa le storie di antichi martiri:

di buono e di genuino. Tra i mo-

sporto e lo spostamento alle au-

Cecilia, Agnese, Lucia, Tecla,

menti speciali lì vissuti ne ho

le, al bagno, alla mensa… Devo

Tarcisio, Alessandro o leggende

uno preciso: era uno di quei po-

dire che, anziché riconoscere

tramandate nei

racconti orali.

meriggi di domenica, nella pe-

l’opportunità ricevuta, io recepii

Ricordo quella del tempo di Na-

nombra quieta di quella cucina e

questo essere nuovamente via da


Una storia vera... anzi inverosimile!

casa come un ulteriore, ripetuto distacco dai miei. Purtroppo, in quegli anni, nei dintorni non avevamo il servizio scuolabus; i miei compagni andavano a scuola a piedi o in bici. Natalina, una giovane maestrina siciliana, passando davanti a casa mia e offrendomi un passaggio sulla sua cinquecento, consentì di risolvere la difficoltà del trasporto. Tra l’altro, allora, io non utilizzavo ancora la carrozzella per spostarmi, per cui bisognava portarmi in braccio. A ciò rispose la disponibilità della cuoca, sorella della bidella, e di un’altra signora che abitava vicino all’edificio scolastico. Queste signore mi aiutavano negli spostamenti dall’auto all’ aula e viceversa. La sensibilità e la collaborazione di queste persone mi permisero di frequentare la scuola vicino a casa, in Fontana. Fu un’esperienza preziosa che segnò un tempo di effettiva integrazione e mi permise di trovare compagni con cui mi sentivo a mio agio. Con alcuni, che abitavano nella mia zona, condividevo interi pomeriggi a giocare o fare i compiti. E quell’estate del ‘67 fu per me particolarmente serena, grazie a questi nuovi amici che, su una specie di triciclo adattato a me, mi spingevano lungo le strade nei dintorni, allora tranquille. Viva, mi sentivo viva... Cecilia

Cecilia desidera offrire con tanto affetto, agli amici lettori, un piccolo dono natalizio, opera delle sue mani abilissime, anche se usate con grande fatica. La dolcezza dei volti della Santa Famiglia, da lei ricostruiti, doni gioia e serenità a tutti con l’augurio più affettuoso di un vero, santo Natale.

continua…

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“Bergamaschi DOC”

In occasione del50°anniversario dim orte diPapa G iovanniXXIII, ilPapa buono,“bergam asco D O C”, a suo ricordo e onore, verranno presentatiin questa Rubrica, a com inciare dalla m artire Beata Pierina M orosini, alcunisacerdoti,religiosie laiciche, onorando la loro origine bergam asca, hanno vissuto in sem plicità dispirito, m a con una cosìgrande fede da affrontare ilm artirio.

L’11 ottobre 1962, Papa Giovanni XXIII presiedeva la prima riunione del Concilio Vaticano II; Paolo VI lo porterà a termine, l’8 dicembre 1965. Gli altri Papi, succeduti a questi due grandi artefici del Vaticano II, hanno accolto l’eredità di questa grande intuizione che ebbe Giovanni XXIII. Il Vaticano II fu definito, infatti, l’avvenimento religioso più importante del ventesimo secolo. Benedetto XVI dichiarò all’inizio del suo Pontificato: “Anch’io, nell’accingermi al servizio che è proprio del Successore di Pietro, voglio affermare con forza, la decisa volontà di proseguire nell’impegno di attuazione del Concilio Vaticano II, sulla scia dei miei predecessori e in fedele continuità con la bi-millenaria tradizione della Chiesa”. Per solennizzare queste nozze d’oro del Concilio Vaticano II, Benedetto XVI ha indetto l’Anno della Fede, iniziato il giorno che si faceva memoria dell’apertura del Concilio Vaticano II, cioè l’11 ottobre 2012. Sempre durante questo Anno pastorale 2012-2013, ricorrono i cinquant’anni della morte del Beato Giovanni XXIII e cinquantacinque della Beata Pierina Morosini, cittadini, “bergamaschi doc”, figli di contadini e di povera gente, cresciuti in famiglie numerose nelle quali i maggiori dovevano, per forza, accudire ai minori. Ma ciò che potrebbe sembrare una “sgabola” (una sfortuna), risultò invece una “chance”. Dio sa sempre scrivere diritto anche sulle righe storte. Sia Giovanni XXIII che Pierina Morosini hanno vissuto da protagonisti la loro avventura umana. Hanno creduto in Dio; hanno amato il proprio ambiente e la propria famiglia come figli devotissimi. Hanno trovato, con l’aiuto di Dio, la forza e il coraggio di affrontare le sofferenze e le incomprensioni della vita. Per questo, quando è giunta la loro ora, hanno saputo rispondere con una semplice parola, proprio come fece la Vergine Maria: “Eccomi!”.

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“Bergamaschi DOC”

Pierina Morosini

P

ierina Morosini nacque a Fiobbio (BG), il 7 gennaio 1931. Era figlia di Rocco e di Sara Noris ed era la prima di nove figli. Fu battezzata e ricevette la Cresima e la Prima Comunione nella sua Parrocchia di Fiobbio. Dopo la quinta elementare frequentò un corso di taglio e cucito presso le Suore del Sacro Cuore di Albino (BG). A quindici anni venne assunta come

operaia tessile nello stabilimento Honegger di Albino. Con il suo salario manteneva la numerosa famiglia, poiché il padre era invalido. Il 27 aprile 1947 partecipò al Pellegrinaggio diocesano a Roma, in occasione della Beatificazione di Santa Maria Goretti. Si comunicava ogni giorno prima di entrare in fabbrica raggiungendo, prestissimo, la Parrocchiale di Albino. Viveva con la famiglia in uno sperduto casolare fra i boschi del monte Misma (Cedrina Alta) e, durante l’andata e il ritorno, era solita recitare il Santo Rosario. Il 4 aprile 1957, lungo il sentiero che la riportava a casa, fu aggredita da un giovane che lei cercò di richiamare alla morale e al quale non riuscì a sfuggire. Morì il 6 aprile nell’Ospedale Maggiore di Bergamo, senza riprendere conoscenza. Dagli stessi sanitari fu riconosciuta come una nuova Maria Goretti. Fu sepolta l’8 aprile nel piccolo Cimitero di Fiobbio con grande partecipazione di popolo e di sacerdoti. Dieci anni dopo, nel 1967, il Vescovo

di Bergamo, Mons. Clemente Gaddi, avviava l’iter per la Causa di Beatificazione dell’umile ragazza di Fiobbio. Il 10 aprile 1983, la salma di Pierina Morosini venne traslata, dal Cimitero di Fiobbio, alla chiesa parrocchiale e posta in un sarcofago di marmo bianco. E’ stata Beatificata da Giovanni Paolo II, venticinque anni fa, il 4 ottobre 1987. La sua Festa liturgica ricorre il 6 maggio. Quando Santa? La domanda non vuole essere provocatoria. E’ semplicemente un desiderio. Sappiamo benissimo che i tempi dei Processi per venerare un cristiano come Beato o come Santo, sono sempre molto lunghi. La prudenza non basta mai e la Chiesa in questo senso usa piedi di piombo. Ma i credenti di Bergamo, e di Fiobbio in particolare, desiderano vedere presto sugli altari questa umile testimone della loro terra nella quale prese corpo la testimonianza del servizio, della pazienza e della purezza.

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“Bergamaschi DOC”

Paolo VI disse che: “Il nostro tempo ha bisogno di testimoni più che di maestri”. La nostra Beata è beata, non tanto perché si è lasciata uccidere piuttosto che piegarsi ai desideri della persona che l’ha aggredita lungo il sentiero del Misma, ma perché questo momento fu preparato e testimoniato da tutta la sua vita. “Chi è fedele nel poco, lo è nel molto”, si legge nel Vangelo. Il momento altissimo di fedeltà che ha reso Beata questa umile fanciulla della terra bergamasca, non è nato come i funghi. E’ un momento paragonabile ad un piccolo seme. Lentamente è maturato lungo gli anni della vita di Pierina. Le è stato messo nel cuore con il Battesimo; l’educazione della mamma lo ha innaffiato permettendo al piccolo seme di mettere le radici. La bontà di Dio lo ha fatto crescere, ma Pierina lo ha protetto e custodito gelosamente. Il chicco di grano che si butta nel solco il mese di novembre, ha dovuto accettare di scomparire per svilupparsi. Solo così si possono ammirare le bionde messi con le turgide spighe... Gesù, parlando ai suoi discepoli, usava spesso questi paragoni della terra e della natura. Le similitudini sono come il pane sminuzzato nel latte perché la realtà sia più digeribile. Il tempo di ieri è storia; quello di domani è mistero; l’oggi è dono! Ricordo ancora con precisione quella lontana mattina del 5 aprile 1957. Io frequentavo la seconda magistrale all’Istituto Suardi di Bergamo. Sul quotidiano bergamasco “L’Eco di Bergamo”, con abbondanza di particolari, si narrava l’aggressione del Misma…; cioè l’aggressione che Pierina Morosini aveva subito quel ve-

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nerdì pomeriggio, 4 aprile, mentre stava tornando a casa. Ma il fatto presentava ancora molti lati oscuri. La gente non parlava d’altro. Alcuni giorni dopo la morte di Pierina Morosini, (morì 48 ore dopo aver subito l’aggressione, senza riprendere conoscenza), il professore di religione, don Pagnoncelli, aprì una discussione, nella nostra classe mista, formata da ventotto studenti, circa la morte di Pierina Morosini. Ognuno intervenne a dire la sua. Io ricordo benissimo quanto raccontò una studente che veniva da Albino e che riferì la testimonianza che aveva raccolto da una signora del paese: “… Pierina passava quasi ogni giorno nel negozio della signora Virginia Contini di Albino a fare la spesa e teneva sempre gli occhi bassi e quasi sempre era accompagnata da bambini o da ragazzi. Diceva la signora Virginia che quel giorno, il 4 aprile, la Pierina era in compagnia di alcune sue compagne di lavoro e sorrideva. La signora Virginia era diretta ad aprire il negozio e ricorda immediatamente quanto le era capitato una settimana prima, quando Pierina era passata a fare la spesa. Mentre le faceva il conto, lei le anticipò il risultato… Virginia la guardò meravigliata!... Poi, quando fu uscita, come se stesse parlando a se stessa disse:

“La somea ü sibrot (ciabatta rotta) e ne sa più di tanti altri”. E rimase profondamente stupita di trovare, in una ragazza che all’apparenza sembrava una “povera ragazza”, tanta saggezza e tanta profondità”. Racconta ancora questa mia compagna di classe: “Quel 4 aprile, dice la signora Virginia, era in compagnia di alcune sue compagne e lei era diretta in negozio. Aveva gli occhi aperti, ma era come se stesse sognando. Guardando i capelli di Pierina vi vide dei riflessi di luce e pensò: ma guarda, dalle trecce di questa ragazza partono dei raggi di luce!… Ad un tratto, dai raggi di luce, attorno alla testa di Pierina, partirono come delle stelle. Uno spettacolo luminoso!. Poi improvvisamente le stelle scomparvero e Virginia vide Pierina come tutta in un sole: con un bel colorito bianco e roseo; bella, bellissima! Sembrava felice, beata! Le sue amiche ai lati le vedeva scure. Poi la Morosini si spostò sull’altro marciapiede. Virginia si riscosse! Le sembrava di aver sognato… ma era per la strada”. Poche ore dopo, Pierina veniva aggredita e colpita alla testa con un sasso, lungo il sentiero che la riportava a casa. La testimonianza riferita sopra, si trova scritta anche nel libro di Ermenegilda Poli dal titolo: “Beata Pierina Morosini: la martire del Monte Misma”. Sogno o profezia? Certamente, ai sogni bisogna guardare con un occhio speciale e non bisogna credere come fossero realtà. Ma, se vogliamo spingere il nostro sguardo nelle Scritture, vediamo che il Signore per far conoscere, a volte, la sua volontà ai suoi figli, si è servito anche dei sogni. Non ha esitato a


“Bergamaschi DOC”

chiedere l’aiuto di Giuseppe attraverso un sogno, quando si trattava di salvaguardare l’onore della Vergine Santissima; o la salvezza del Figlio Suo, quando era perseguitato da Erode. A questo punto entriamo nel campo della Fede e sappiamo bene che la Fede non si può dimostrare come il teorema di Pitagora. La Fede è un dono, ma quando ci troviamo di fronte ad un miracolo, Gesù dice: “La tua fede ti ha salvato!”. E’ la Fede che provoca il Signore perché faccia un miracolo. Certo, per essere proclamati Beati, e quindi Santi, non bastano i sogni. Pierina non era certamente la persona che viveva di sogni. Il solo fatto che fosse la prima di nove fratelli, che avesse un papà invalido e vivesse in un casolare sperduto sulla montagna, ci fa comprendere che fin da piccola dovette rimboccarsi le maniche e lavorare. Questa parola può suonare male agli orecchi di “Telefono Azzurro”. Ma, durante l’infanzia di Pierina, non esisteva ancora questa Istituzione. D’altronde, dove i bisogni sono molti, tutti devono fare dei sacrifici, correndo il rischio di chiedere troppo a chi è ancora piccolo. Pierina ha sicuramente lavorato molto anche quando era solo una bambina. Imparò presto a fare tutto. Era sempre presente per assistere i più piccoli (otto fratelli più piccoli di lei); per pulire e riordinare; per scendere in paese a fare le commissioni; per fare catechismo in Parrocchia; per andare a scuola; e ovviamente, dopo i quindici anni, per essere presente ai turni di lavoro in fabbrica. Ce n’era per tutte le ventiquattro ore della giornata! Eppure non c’è nulla di esagerato in

quanto riferito sopra. Pierina era così! Il programma di vita della nostra Beata Si potrebbe riassumere in poche righe. Tornando dal Pellegrinaggio che fece a Roma in occasione della Beatificazione di Maria Goretti, scrisse sul quadernetto che le serviva per annotare i suoi propositi: “Ritorno dalla Cerimonia in San Pietro. Penso a Maria Goretti… La penso così come l’ho contemplata nella gloria del Bernini. Ma è troppo poco. Mi piace di più vederla in mezzo a noi. Perché i Santi hanno questa missione: di scendere in mezzo agli uomini”. Pierina, come un bravo sportivo, si è allenata e si è data delle regole, semplici e alla portata di tutti: piccoli fioretti, piccole rinunce, frequenti preghiere e una sconfinata fiducia in

Gesù e nella sua Santissima Madre. Fra i Santi invidiava specialmente Maria Goretti: desiderava tanto essere scelta e chiamata a testimoniare la sua fede come la piccola Martire di Nettuno. Iddio la prese in parola e lei risultò all’altezza del fatto: una donna umile e coraggiosa che seppe amare fino a dare la propria vita. Un articoletto su “Squilli” (settimanale dell’Azione Cattolica femminile) del giugno 1957 proponeva Pierina Morosini come modello della gioventù femminile. Vi si legge: “Pierina Morosini era una di noi. Era un’operaia di ventisei anni che ha saputo lasciarsi uccidere per difendere la sua purezza. Lavorava in un stabilimento tessile di Albino... Faceva il primo turno. Aveva smesso di lavorare alle ore 14 e si dirigeva verso casa percorrendo la solita stretta mulattiera nel bosco, per raggiungere la Cedrina Alta (così si chiamava il luogo dove abitava). Un giovane la inseguì; le si avvicinò con malsane intenzioni e, alla ferma resistenza oppostagli dalla Pierina, l’aggredì e la colpì ripetutamente con un sasso, fracassandole il cranio”. Pierina Morosini, l’umile operaia vissuta nel silenzio ed ignorata da tutti, ha trovato il coraggio e la forza di resistere a chi osava insidiarla, nel silenzio della sua anima orante; ancora oggi ci parla con il silenzio della sua testimonianza. Assunta Tagliaferri

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Voci di casa nostra

“Le due sorelle,chiam ate da D io alla donazione com pleta, m aturarono la volontĂ diconsacrarsiperla loro santificazione e perilbene della gioventĂš fem m inile. G uidate da D on G iuseppe Brena,in un attento discernim ento, interpretando isegnidelloro tem po, colsero l’urgenza dell’educazione e istruzione cristiana. A ccettarono ildono diD io e divennero le pietre fondam entalidiuna nuova Fam iglia religiosaâ€?. (Costituzionin.2)

SO M A SCA 28/30 settembre CONVEGNO SUPERIORE COMUNITĂ€

“DAL CUORE DELLA TRINITĂ€... VERE MADRI IN CRISTO CUSTODI DELLA LUCE PER DONARE LUCEâ€?

I

l 28 settembre u.s. Madre Maria Saccomandi, la nostra “nuovaâ€? Superiora Generale, ci ha accolto con grande gioia in Casa Madre, dove siamo state convocate per partecipare al Convegno formativo organizzato per tutte le Superiore delle ComunitĂ in Italia. Il suo saluto, affettuoso e cordiale, è stato ricambiato con altrettanto calore e gratitudine, perchĂŠ siamo consape-

Convegno Superiore di ComunitĂ

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voli che il suo servizio di guida nell’Istituto è un compito difficile e oneroso, che richiede tanta disponibilitĂ e soprattutto una straordinaria carica di amore. Nell’accogliente salone delle conferenze, Madre Maria ci ha subito introdotte nel tema del Convegno presentandoci il programma. Ha dato poi la parola a Padre Roberto Taddei, biblista domenicano, che ci


Voci di casa nostra ha permesso di entrare nel vivo del messaggio biblico con la lettura, l’esegesi e il commento di Ef. 5, 8-10, parola-guida per questo sessennio 2012-18: “Ora siete luce nel Signore: comportatevi perciò come figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità”. Il relatore ci ha fatto riflettere sulla nostra identità di Donne consacrate: “essere luce - ha detto - significa essere annuncio di un’esperienza che ci ha cambiato la vita e che ci porta a testimoniare ciò che il Signore ha fatto per noi”. Ciò che costituisce poi la nostra identità è l’esperienza della fraternità che si realizza in comunità, perché la donazione di sè, fatta al Signore con la professione dei Consigli evangelici, è un elemento comune a tutti i Consacrati. Molto bella ed efficace è stata l’immagine che Padre Taddei ha usato per definire la nostra realtà di Donne di Dio: dovremmo essere come una vetrata raggiunta dai raggi del sole, che diventa essa stessa luce una volta che la luce la investe. Ma per divenire “luce” ci sono tre fondamenti necessari: la fedeltà a Dio nella Confessione trinitaria; la fedeltà alla Chiesa, segno di carità; la fedeltà all’uomo. In questa prospettiva la Superiora è l’animatrice di comunità, nel costante richiamo della Parola di Dio (Mt 5, 13-16) “Voi siete il sale della terra ... voi siete luce ...” e poi rendere gloria al Padre, anche nella fatica della testimonianza che trova nell’Eucarestia il segno più vero espresso dai verbi che accompagnano il Mistero: prese... spezzò... diede...: verbi carichi di consumazione totale del dono di sé all’umanità. Le nostre siano comunità che, insieme, si aiutino e

si richiamino vicendevolmente alla fedeltà a Dio, felici di appartenere a Lui solo in un atteggiamento di totale affidamento come hanno vissuto le nostre Fondatrici. Con una relazione dal tema “Una casa per cammini di comunione e di condivisione”, Madre Maria ha dato inizio alla seconda giornata di formazione. Ci ha proposto l’immagine della porta aperta della casa di Caterina e Giuditta, da cui entra la luce che illumina un angolo di sobrietà.

Una porta aperta significa accoglienza, ma anche possibilità di rischio di “ladri”, di freddo, di caldo... E il nostro sì di oggi si innesta nel sì di queste due donne: è il sì di una storia che ci appartiene e ci introduce all’idea della loro casa, di una casa di luce, ma anche di una casa che presenta una situazione di rischio. E allora come fare di fronte a questa realtà? In un certo senso possiamo dire che noi, in Caterina e Giuditta, nasciamo senza casa, nasciamo cercando una casa (forzando un po’ il testo di Genesi al capitolo 12 possiamo fare nostra l’esortazione fatta ad Abramo: “Vattene dalla tua terra e vai nel paese che io ti indicherò”). Noi sappiamo che Caterina e Giuditta hanno trovato casa a Somasca per un

cammino di comunione e di condivisione. In questo percorso di ricerca c’è la famosa profezia di don Brena e leggiamo in quella prospettiva l’idea di una casa: “In Somasca dovete fare permanenza … voi ne sarete le pietre fondamentali”.

Le pietre sono fondamentali per la casa; e loro sono per noi le due pietre fondamentali. La casa si identifica con le persone che la abitano: nelle Cronache delle origini troviamo scritto che: “La casa era angusta... ma era grande il bene che vi si faceva”. “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Sl 127). Chi sono questi costruttori? Caterina e Giuditta per noi sono le pietre fondamentali, sono loro il nostro primo riferimento. Sappiamo che il desiderio di avere una casa è stato molto forte per le due sorelle Cittadini, non per la loro sicurezza, ma per far entrare la luce... A noi oggi è chiesto di impegnarci a costruire le mura sopra quelle pietre. La storia della nostra fatica la dobbiamo leggere all’interno della loro storia: strettezza della casa, penuria di mezzi, esiguo numero di Suore. Storia che si ripropone anche oggi. Il Signore ci chiede di costruire anche così la nostra storia per stare nella “casa” e continuare a costruire

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Voci di casa nostra cammini di comunione e condivisione. “Non temete che con la mia morte abbia tutto a finire”, cioè che la nostra casa venga distrutta... Nella nostra storia, fatta di precarietà e fragilità, dobbiamo scoprire la storia di Cristo, una storia di fatica, ma anche di certezza nella fede. L’idea della casa ci richiama ad essere unite nel segno della carità educativa: la porta aperta deve trovare persone unite nella carità, senza titubanze; occorre essere l’una sostegno all’altra. E’ una grazia essere insieme in questa casa data e benedetta da Dio in clima di fraternità, segno visibile di condivisione. Il Vangelo, soprattutto quello di Luca, esprime l’idea della casa in molti modi: Betania - casa dell’amicizia, dove si condividono la gioia e il pianto, dove gli affetti sono stati abitati da Gesù; Zaccheo - Gesù si ferma a casa sua e cambia la sua vita; Centurione - “Non sono degno che tu entri nella mia casa”, ma sappiamo che per Gesù le nostre indegnità non sono un ostacolo; Nazareth, nell’Annunciazione di Maria - essere casa per il Signore come lei lo è stata per Gesù. E’ bello ricordare anche che la nostra Casa Madre di Somasca è fondata sulla roccia... (prova ne sono le fondamenta visibili sotto la Chiesa), dove c’è anche l’acqua della sorgente che scende dal Corno rosso, simbolo di salvezza e di rinnovamento quotidiano. E, anche se l’idea dell’acqua ci può spaventare, ci dice vita, movimento e, come la Samaritana ha richiesto “l’acqua viva”, anche nelle nostre case non manchi mai l’acqua viva della fede che ci rigenera ogni giorno. Secondo quanto indicato da Madre

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Maria nella Lettera di presentazione del percorso di questo nuovo sessennio “Ogni comunità è chiamata ad essere casa, dove la cura per la qualità della vita fraterna e l’appassionato impegno condiviso nei diversi momenti comunitari e apostolici, testimoniano nella quotidianità del cammino la forza della carità educativa che sa consumarsi per essere luce e calore: la luce della speranza e della bontà, il calore della presenza e dell’Amore anche per chi non è amato da nessuno o non si sente amato e valorizzato”. Queste parole sono per noi un forte stimolo a tenere la porta del nostro cuore e delle nostre comunità aperte perché Lui si fermi a condividere con noi il cammino.

Madre Letizia ha poi presentato la relazione del cammino del sessennio 2006-2012. Il suo intervento è stato impostato in modo originale attraverso l’esplicitazione di alcuni verbi che hanno caratterizzato il percorso di questi sei anni e ci ha permesso di ripercorrere il cammino di tutta la nostra storia di Suore Orsoline di Somasca, con l’impegno: – a custodire il Carisma educativo che ci è stato dato in dono attraverso le nostre Fondatrici,

– a sapere chi siamo per poterci collocare nella storia in cui Dio ci ha poste, – a conoscere la nostra identità di Donne consacrate come vere madri in Cristo, – ad apprezzare il bene compiuto nel tempo dalle Sorelle che ci hanno preceduto, – a sostenere e proteggere le opere educative nate e sviluppate in Italia e nel mondo, – ad andare per diffondere l’amore della carità educativa soprattutto tra i fratelli più poveri, – a vivere secondo lo spirito che ha animato le nostre Fondatrici. E’ stato bello ascoltare questa nostra storia dalla viva voce di Madre Letizia che, negli anni di servizio di Superiora Generale dell’Istituto, ha saputo, con amore tenero e forte, esserci Sorella e Madre; la nostra è una storia, a cui aggiungiamo pagine di vita al nostro semplice, ma meraviglioso album di famiglia. A conclusione di questo lungo sguardo d’amore sulla nostra storia passata e recente, Madre Letizia ha voluto lanciare un messaggio forte di speranza e di sano realismo, perché la nostra missione educativa, nata dal cuore di Dio e mediata dalle nostre Fondatrici, sia un impegno che deve continuare con sempre maggiore consapevolezza nei luoghi del nostro apostolato a vantaggio della gente che il Signore ci fa incontrare. Nel pomeriggio sono stati presentati gli Atti Capitolari e le linee programmatiche del sessennio 2012-18. E’ stato molto bello vedere testimoniata, da parte di Madre Maria e delle Sorelle del Consiglio Generale, la condivisione del lavoro capitolare at-


Voci di casa nostra traverso i diversi contributi che ogni Consigliera ha offerto alla nostra attenzione. Si è percepita la presenza viva dello Spirito, che davvero ha assistito le Sorelle capitolari e ha donato nuova forza e nuova vitalità carismatica per il nuovo cammino di questo sessennio.

La terza giornata, dopo la presentazione da parte delle Consigliere di altri documenti e, in particolare, della sintesi dei documenti ecclesiali “Evangelii nuntiandi”, “La Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” e dei materiali per i Ritiri spirituali mensili, ha avuto

La seconda giornata di Convegno si è conclusa con la preghiera, vissuta nella Casa di Caterina e Giuditta, che ha rinnovato in ciascuna il desiderio di vivere con maggiore intensità la vita di donazione educativa.

Al termine del percorso, nella Cappella di Casa Madre, come segno simbolico è stata donata a ciascuna una chiave per aprire la porta del nostro cuore e delle nostre case all’accoglienza e alla eterna novità dello Spirito e per custodire con senso di responsabilità l’impegno a costruire cammini di comunione e di condivisione.

come momento particolarissimo, la partecipazione, nella Basilica di San Girolamo, alla Santa Messa solenne, che segnava la chiusura ufficiale dell’Anno giubilare indetto per celebrare i 500 anni della prodigiosa liberazione di San Girolamo dalla prigionia.

L’evento è stato particolarmente significativo come segno di condivisione, di gioia e di vicinanza spirituale con la Congregazione dei Padri Somaschi e ha avuto un epilogo straordinario e commovente: il Preposito Generale Padre Franco Moscone, alla conclusione della Santa Messa, ha voluto, con atto ufficiale, donare in custodia perenne al nostro Istituto: due documenti del 1837 firmati dalle nostre Fondatrici e inerenti la condotta dell’acqua per la casa e le panchette da sistemare in Chiesa per le educande ospitate nel Collegio di Somasca, e il quadro ex-voto originale raffigurante la guarigione di Caterina Cittadini per intercessione di San Girolamo, datato 1842. Le firme, poste da Padre Franco e da Madre Maria sui documenti attestanti il dono, hanno suggellato il gesto di reciproca stima e collaborazione; il grande e spontaneo applauso, che ha concluso la breve e intensa cerimonia all’altare di San Girolamo, ha espresso sincera e profonda riconoscenza. Il Signore, che continua a manifestarci la Sua vicinanza, ci invita a vivere con fedeltà generosa e gioiosa la nostra Vita di consacrazione a Lui. Sia lode alla Trinità, nel cui nome abbiamo vissuto questa esperienza formativa e fraterna. Suor Eraldina Cacciarru

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Voci di casa nostra

Al Rev.mo Padre Franco Moscone Preposito Generale Chierici Regolari Somaschi

A nome mio personale, e di tutte noi Suore Orsoline di San Girolamo in Somasca, desidero esprimere a Lei e a tutti i Chierici Regolari Somaschi il più sincero ringraziamento per il graditissimo e significativo gesto di fraternità, che avete voluto manifestarci nel dono preziosissimo dei documenti originali del 1837 firmati dalle nostre Fondatrici e del quadro originale ex-voto del 1842 attestante la grazia Domenica 30 settem-

ricevuta dalla Beata Caterina Cittadini per interces-

bre,

sione di San Girolamo.

a

conclusione

dell’Anno

giubilare

Per noi il Giubileo Somasco non poteva concludersi

indetto per celebrare

meglio; è stato un momento molto intenso e commo-

i 500 anni della pro-

vente, che ci onora e ci conferma la Vostra vicinanza

digiosa liberazione

spirituale, segno eloquente di vera fraternità in Cri-

di San Girolamo

sto.

dalla prigionia, i

Ripensare agli eventi quotidiani della nostra storia,

Padri

Somaschi,

di cui i documenti che ci avete donato sono una chia-

per le mani del

ra espressione, è una autentica opportunità di grazia

Preposito Generale Padre Franco Moscone hanno

per continuare ad attingere forza a quella radice cari-

donato in custodia perenne al nostro Istituto di Suore

smatica, che qui a Somasca ha portato abbondanti

Orsoline di San Girolamo in Somasca due preziosi do-

frutti di santità.

cumenti del 1837 con la firma di Madre Caterina e

L’Anno giubilare appena concluso si pone in questa

Madre Giuditta e l’originale del quadro ex-voto del 1842 attestante la miracolosa guarigione dalla malattia di Madre Caterina per intercessione di San Girolamo. Doni speciali per un cammino di comunione e condivisione costruito nel tempo attraverso tante esperienze e piccoli gesti quotidiani. La gratitudine per questi preziosi doni è il sentimento che anima ogni Orsolina di Somasca, di cui Madre Maria ha voluto farsi voce in una lettera di ringrazia-

scia di luce e di benedizione. Preghiamo perché i nostri Istituti possano continuare a camminare sulle strade della storia con l’umiltà e la forza di chi ha posto tutta la sua fiducia in quell’Amore dolcissimo del Crocifisso, che libera da ogni paura e rende capaci di autentica maternità e paternità in Cristo. Con stima e fraterna riconoscenza

mento inviata a Padre Franco. Suor Maria Saccomandi Superiora Generale

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Voci di casa nostra VERCU RA G O (LC) GRUPPO SPORTIVO “MOLLIFICIO COLOMBO”

UNA STUPENDA “BICICLETTATA” IN TERRA SARDA

Siamo un Gruppo di ciclisti e vorremmo dormire da voi una notte. Arriviamo in bici da Vercurago”. Gioachino non sapeva che quel nome, dall’altra parte della cornetta, avrebbe provocato uno sconquasso. Non poteva sapere che Suor Iride, la direttrice di Villa Tecla, Casa per Esercizi spirituali gestita dalle Suore Orsoline di San Girolamo di Somasca, situata a Flumini di Quartu Sant’Elena, a pochi passi dallo splendido golfo degli Angeli e dalla grande spiaggia del Poetto, era proprio di Vercurago. E infatti, puntuale come il tic di un orologio a pendolo, è arrivato dalla cornetta: “Di Vercurago? Cè che te set?”. Sei parole per annullare la distanza tra Lombardia e Sardegna e anticipare, via filo, un viaggio che poi, pedalata dopo pedalata, avrebbe confermato le speranze della partenza. Lunedì 3 settembre 2012 Dieci arditi ciclisti amatoriali, Gioachino Riva, Rolando De Fanti, Giuseppe Figini, Alessandro Brusadelli, Giulio Orrù, Giovanni Boffi, Giorgio Frigerio, Luigi Sabadini, Candido Frigerio, Elio Bolis, tutti fedelissimi del Gruppo sportivo “Mollificio Colombo” di Vercurago, decidono di cimentarsi in una nuova impresa: il periplo della Sarde-

gna. Per non farsi mancare niente, portano con sé un autista, Bruno Riva e un cagnolino, Castagna, inseparabile mascotte. Del resto non sono nuovi a imprese di questo tipo: gli annali parlano di Pellegrinaggi a Lourdes, Fatima, Santiago, Petralcina, Assisi e Roma mentre le cronache più spicce raccontano di uscite la domenica mattina concluse rigorosamente a tavola, tanto che il Gruppo si è meritato, portata dopo portata, il nome di “Clan della forchetta”. Il viaggio in Sardegna, otto tappe in bici suddivise in dieci giorni, è un sapiente mix tra buon cibo e prestazione agonistica. Il percorso è studiato per alternare sali e scendi vertiginosi e tranquillizzanti visioni panoramiche. 530 chilometri per godersi una vacanza e intanto tenere allenata la gamba. Divertendosi, senza aspirare a diventare campioni o a vincere una medaglia, consapevoli che il traguardo più meritato e sudato è quello della soddisfazione personale condivisa con le persone a cui vuoi più bene. Se poi riesci a portare in alto anche il tuo paese, beh, c’è da saltare a piedi uniti. Un tour su e giù per la Sardegna, vissuta chilometro per chilometro, da Porto Torres fino a Olbia, passando per Alghero, Bosa, Suni, Ottana, Gavoi, Sorgono, Montevecchio, Uras, Ales, Villaurbana, Marrubbiu, portando sempre Vercurago nel cuore. Ad Arborea, infatti, il sottoscritto, capo truppa, nonché Presidente della Pro Vercurago, è riuscito anche a confezionare su due piedi un gemellaggio con la Pro Loco locale, accettando di buon grado di tifare per la bellissima concorrente sarda che in quei giorni era in finale a Miss Italia. “Avevano organizzato un rinfresco in grande stile - racconta con l’acquolina ancora in bocca - Impossibile non partecipare”. Due giorni dopo, l’arrivo a Flumini di

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Voci di casa nostra Quartu Sant’Elena con l’alloggio in riva al mare a Villa Tecla dalle Suore Orsoline di Somasca, ben accolti, fra-

BERG A M O SCUOLA PRIMARIA “CATERINA CITTADINI”

GITA A DAONE E TRENTO (27-28 settembre)

S

ternamente ospitati… in stile “lombardo”, il giusto riavvicinamento, almeno metaforico, a casa per rendere un po’ meno traumatica la fine della vacanza e il catapultamento, il giorno successivo, nella realtà di tutti i giorni… su quel ramo, famosissimo, del lago di Como!

Un grazie vivissimo alle Suore ospitanti nella loro bella accogliente Casa di Villa Tecla di cui manteniamo un bellissimo, grato ricordo e un desiderato prossimo ritorno. Gioachino Riva Presidente Pro Vercurago

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i parte… nei nostri occhi brilla una luce, un turbinio di emozioni nel vedere il cielo azzurro, le cascate luminose: un paradiso naturalistico che raggiunge il suo apice nel Parco dell’Adamello Brenta. Lì i primi assaggi della natura incontaminata: boschi dorati, tra i quali spiccano le meravigliose cascate di Rio Bianco; l’acqua chiacchierina che fischia, zufola come gli accordi di una musica. E’ un luogo speciale dove la natura è protetta; è bello ammirare e immergersi nell’incanto della pace e del silenzio. Il Parco diviene il laboratorio scientifico all’aperto, una palestra culturale e distensiva dove le guide, compagne di viaggio, ci spiegano la bellezza e la ricchezza

della natura da conservare al futuro. Verso sera tappa a Riva del Garda: il lago non si stacca dal cielo. A pochi passi, sopra il greto, s’attruppano barche colorate; le onde frusciano come schiacciate dalla distesa d’acqua. E così siamo arrivati alla meta! Entrati nell’albergo e appoggiate le valigie, gustiamo una cenetta veloce con pasta al pomodoro, pollo impanato e un dolce tipico della zona. Poi tutti a letto, in attesa della notte magica per confabulare tra noi amici. L’indomani visita al Castello di Stenico; la sua storia è millenaria, con diverse evoluzioni nel tempo. Con un solo sguardo lo si abbraccia: all’interno un cortiletto che immette nelle sale di abitazione strettamente riservate ai padroni e agli ospiti. Quasi per aumentare la magia del


Voci di casa nostra BERG A M O SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO “MARIA REGINA”

GITA IN SLOVENIA (16-19 ottobre)

A luogo, alla nostra sinistra tre gradini scendono alla chiesetta antica dove l’effige sacra invita alla preghiera. E’ pomeriggio e il cielo è blu intenso. Ci sentiamo felici per aver vissuto un’esperienza ricca di sensazioni. Avvertiamo “un vento nuovo che spira nel gruppo e lascia ben sperare”. Poi, tra canti, barzellette, indovinelli e risate a crepapelle, torniamo soddisfatti alle nostre case. Grazie, care maestre, per averci regalato quest’esperienza che ci ha arricchito culturalmente e ha rinforzato i legami di gruppo. Alunni delle Classi 5ª A-B

bbiamo vissuto quattro giorni speciali, caratterizzati dal divertimento e dalla voglia di stare insieme, ma anche dalla curiosità e dall’interesse per la scoperta e la conoscenza di posti nuovi. Chi siamo? Siamo i ragazzi e le ragazze delle Classi terze della Scuola “Maria Regina”e vorremmo raccontarvi la nostra gita scolastica in Slovenia.

Miramare La tenuta triestina di Miramare è appartenuta alla Famiglia degli Asburgo per molti anni. L’esteso giardino del Castello è ricco di innumerevoli piante e, in mezzo a tutto quel verde, troviamo laghetti, fontane e panchine per godere della splendida vista. Il sontuoso Castello è formato da molte camere: la biblioteca, la camera degli ospiti, le due camere dei padroni con i rispettivi bagni, salottini, camere dedicate alla musica... Le camere sono molto diverse: quelle del marito sono in stile marinaresco, mentre quelle della sua signora sono completamente diverse; in comune hanno solo le immense vetrate con vista sullo splendido mare.

stata trasformata in un Campo di concentramento. Abbiamo visto le celle dove vivevano gli Ebrei prima di essere avvelenati e poi bruciati. Infatti, ancora adesso i muri sono ricoperti di cenere. In onore dei deportati c’è una lapide con scritto, nelle lingue dei rispettivi deportati: “In memoria dei caduti”. Abbiamo visitato il Museo con l’esposizione di lettere e oggetti usati durante la 2ª Guerra Mondiale e sia-

Risiera di San Saba Durante la gita siamo andati a visitare la vecchia Risiera, che è

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Voci di casa nostra mo rimasti colpiti dall’atmosfera “tetra” del luogo. Non riusciamo a pensare che delle persone ne abbiano sterminate milioni solo per “la razza impura” (da loro definita). Le grotte di Postumia Le grotte di Postumia si estendono per 20 km sotto il suolo sloveno. Sono su tre diversi livelli, scavati da un fiume sotterraneo che ora scorre nel livello più basso. Al loro interno si trovano meravigliose stalattiti e stalagmiti che crescono di 1mm ogni trent’anni e sono molto fragili; basta toccarle per interrompere il loro sviluppo. Ci sono piaciute molto perché abbiamo visitato un paesaggio suggestivo ricco anche di fantasia e diversità: le varie stalattiti e stalagmiti, per esempio, che hanno formato, nell’arco di anni, figure inaspettate e diversificate.

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Entrando in Lubiana abbiamo subito notato un grande monumento al centro di una piazza che rappresentava Preseren, il più grande letterato della Lingua slovena. Piazza Preseren è collegata al centro storico attraverso tre ponti: oltrepassandoli ci siamo immersi nell’atmosfera del mercato lubianese: alimenti, souvenir, fiori... C’era proprio di tutto. Attraversando il mercato siamo giunti al Ponte dei quattro Draghi, simbolo di Lubiana, al cui parapetto, come al Ponte Miglio di Roma, erano legati dei lucchetti che rappresentavano il sigillo dell’amore lasciato dai giovani. Continuando la passeggiata per il Centro storico, abbiamo visitato l’interno della Cattedrale di San Nicola, la chiesa più importante di Lubiana, con i suoi affreschi ed il suo immenso organo: siamo rimasti estasiati dalla sua bellezza. Attraversando la via dei calzolai ci siamo imbattuti nella Biblioteca di Lubiana, una delle più importanti al mondo. Abbiamo, infine, concluso il nostro giro arrivando nella Piazza del Congresso. Il pensiero di tutti noi dopo la gita è stato univoco: Lubiana è una città vi-

vibile, ricca di storia e di cultura. Insomma: è una città a misura d’uomo. Lago di Bled Il terzo giorno siamo andati al Lago di Bled. Appena arrivati abbiamo subito notato la piccola Isola al suo interno e abbiamo deciso di dividerci in tanti gruppetti per esplorare il paesaggio lungo il lago. Alcuni di noi sono andati al Castello su una montagna che si affaccia sul lago, altri invece sono rimasti a passeggiare sulle tranquille rive. Il lago è immerso nel verde della vegetazione ed è dimora di anatre, cigni, oche e numerose specie di uccelli e pesci. Infine ci siamo “rinfrescati” con un gustoso gelato. Sul lungolago si vedevano svariate barchette che trasportavano i turisti a visitare l’isola al suo interno. Concludendo dobbiamo assolutamente ringraziare la nostra Preside Suor Carla e tutti gli insegnanti che ci hanno accompagnato in questa splendida esperienza. Le Classi terze


Voci di casa nostra BERG A M O ISTITUTO SCOLASTICO “CATERINA CITTADINI” - “MARIA REGINA”

21 OTTOBRE: FESTA DELLA CASTAGNA

L

a prima festa dell’anno si è conclusa, ma anche se il tempo corre veloce, ciò che lascia ha sempre valore, soprattutto quando si tratta di incontrarsi. Se poi il vento spazza le nuvole e il sole riscalda le giornate di fine ottobre, il risultato è un 10 assicurato, anche con qualche errore di distrazione! E’ vero! A volte non si è positivi, ci si lascia impigrire e non si ha voglia di condividere e stare con gli altri. Ma, a festa finita, è sempre faticoso separarsi e lasciarsi alle spalle il cortile della Scuola, congedandosi nel parcheggio per rivedersi il lunedì. Domenica ha la magia del giorno di festa, del vestito colorato e della famiglia che si riunisce, mentre solitamente il lunedì è giorno lavorativo, il vestito è la divisa e, a rappresentare la famiglia, insieme agli scolaretti, c’è solo o la mamma o il papà. Il cortile della Scuola che accoglie di domenica non è una consuetudine e per questo è un po’ come un caldo abbraccio. Un tempo di festa e di gioco, vissuto nello spazio della scuola, aiuta i nostri figli a concepire metaforicamente lo spazio della conoscenza, del sapere e dell’apprendimento come un luogo intimo, familiare, che rassicura, di cui non si deve aver paura, che fa parte della vita, che è piacevole o semplicemente bello! Questa è educazione, mentre la disponibilità di chi spende il proprio

tempo per organizzare e, quindi, rendere possibile una festa che è per il bene di tutti, è anche generosità. Una Comunità educante, dunque, che si riunisce per la prima festa dell’anno, quella “della castagna”, (“della pizza e delle crèpes” suonerebbe poco orobico), allora sì, il nome è azzeccato. A parte la proposta culinaria, mentre Suor Leonilde fa gli onori di casa, Suor Loredana accoglie con simpatia e affetto i suoi “vecchi” genitori. Insieme a loro, la partecipazione delle maestre di tutto l’Istituto, presenti anche in qualità di mamme, sottolinea il valore della continuità, che nella Scuola è vincente. I bambini si sentono proprio come a casa e possono correre in uno spazio protetto: non solo perché è recintato, ma per il fatto che, giocando di qua e di là, è facile per loro incontrare figure di riferimento che hanno lasciato, nel passaggio alla Scuola primaria o secondaria di Primo grado, e che possono riabbracciare, anche solo per qualche istante, prima di riprendere la corsa a perdifiato con gli amici di sempre. La scelta dei giochi di un tempo, realizzati con materie naturali e di riuso creativo, è bella e soprattutto fa presa sui bambini, anche solo per il fatto che ci possono giocare con i propri genitori. Mentre il salto della corda è stato un

omaggio alla maestra Iris, il gioco dell’okey al sesso maschile, per l’anno che viene si potrebbe pensare ad uno stand tutto al femminile dove le mamme e le proprie figlie possono creare insieme… cosa non si può mai sapere. Daniela Bertuletti una mamma

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Voci di casa nostra BERG A M O SALONE/TEATRO DELL’ISTITUTO

COMMEDIA DIALETTALE UNA SERATA ALL'INSEGNA DELLA SERENITÀ

L

a giornata di sabato 3 novembre u.s. si presentava con tutte le caratteristiche proprie della stagione: nebbiolina mattutina, pioggierellina durante la giornata e, nel tardo pomeriggio, pioggia sostenuta. Tutto faceva presupporre che, con un tempo simile, poche persone alla sera sarebbero uscite di casa per andare a Teatro. Suor Lucia, Presidente del CAMSOS era alquanto... preoccupata: pensava all’impegno profuso da tanti collaboratori, un nome per tutti Mariarosa Gervasoni, nel preparare l’evento; ai membri della Compagnia dialettale che avrebbero recitato per poche persone; al... ricavato economico per le Missioni delle Suore che sarebbe stato... minimo. Ma, mai come in questo caso, il detto “l'uomo propone e Dio dispone” si è mostrato nel suo lato migliore. Cioè, quando si pensava al peggio, nonostante la pioggia e una temperatura non certo invitante, il Salone Teatro si è riempito di persone; addirittura più del solito! (circa 350). All’inizio, Suor Lucia ha salutato i presenti e relazionato di quanto il CAMSOS ha fatto nell’anno in corso per le varie Missioni di Bolivia, Brasile, Filippine, India e di come il sostegno alle famiglie, circa MILLE Adozioni a Distanza, continui con generosità. Il Cav. Gianni Pisoni, poeta dialettale, ha declamato in vernacolo una garbata poesia con un richiamo alla missionarietà delle Orsoline: “… Mèt la mà ‘n del portafòi, chèl pochì che pödì dà… E sto ròss de missiunare co ste suòre i proederà”. Puntualissimi alle ore 21.00, i membri della Compagnia dialettale “LA COMBRICCOLA Gino Gervasoni” di Gazzaniga hanno iniziato la recita della Commedia “LAUR DE L’OTER MOND”. Tre atti divertentissimi in cui una famigliola composta da padre, madre e Nocentina la fi-

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glia, da tempo in età da marito e un poco bruttina, ha vinto un soggiorno di due settimane al Grand Hoted Danieli di Venezia. Durante il soggiorno veneziano, Nocentina pare abbia colpito il cuore di un miliardario; in realtà un giovane napoletano di nome Salvatore, che si spacciava erede di una famiglia facoltosa, ma ben conosciuto dalla Polizia perché abituato a circuire donne danarose. Per lui la nostra famiglia bergamasca, soggiornando al Danieli, era certamente ricca, non potendo immaginare il motivo del soggiorno al Grande Albergo. Tutto questo “imbroglio” ha dovuto poi essere smascherato al rientro in Bergamo, quando Nocentina e Salvatore hanno parlato in famiglia per preparare il matrimonio. Due ore trascorse nella serenità di un sano divertimento, arricchito anche da alcune estrazioni con ricchi premi. Al termine della rappresentazione, lunghi applausi hanno esternato agli interpreti della brillante commedia la soddisfazione di aver partecipato e… un invito a tornare presto per una nuova commedia. PS. Il Consiglio CAMSOS ringrazia di cuore Mario Gervasoni che, con tanta sensibilità, anche a nome di tutta la Compagnia, offre gratuitamente lo spettacolo. Grazie Mario, noi ti aspettiamo di nuovo presto! Oreste Fratus


Voci di casa nostra M ILA N O PARROCCHIA SANTI SILVESTRO E MARTINO

INCONTRO MISSIONARIO CON LA CHIESA “AMBROSIANA”

L

a Giornata Missionaria Mondiale 2012, che quest’anno ha avuto come titolo “HO CREDUTO PERCIO’ HO PARLATO” è stata vissuta, come sempre, con grande entusiasmo e partecipazione da tutte le Parrocchie della bergamasca. Nei giorni 27 e 28 ottobre, invece, Suor Theresa Edacheril, Consigliera generale dell’Istituto delle Orsoline di San Girolamo in Somasca, è stata invitata a parlare delle Missioni dell’Istituto in una Parrocchia milanese che ha festeggiato la medesima Giornata a livello di Diocesi. Un’opportunità grande ci è stata data di far conoscere, innanzitutto, qualcosa di noi ad altri, ma soprattutto di intessere rapporti nuovi ed intensi. E’ ciò che abbiamo sperimentato sabato e domenica in quella bellissima

Parrocchia; bellissima come struttura esterna, ma bellissima come persone che la compongono: persone impegnate nel campo missionario e liturgico, nella Caritas e nell’aiuto e attenzione a chi ha più bisogno… che, attorno al loro Parroco don Franco e agli altri tre Sacerdoti presenti, lavorano perché tutto abbia a svolgersi sempre al meglio. Ad accoglierci c’era Maurilia, il “motore del Gruppo” che, insieme a Gabriella, Rose Mary, Armida, Giulia, Linda, Carla…, hanno subito manifestato la loro gioia di conoscerci e di averci con loro. Siamo state accompagnate in un appartamento dove vengono ospitate mamme e bambini con difficoltà e lì abbiamo alloggiato accolte da Mariangela, educatrice e Assistente sociale, che da subito si è premurata di non farci mancare niente, facendoci sentire a casa. Poi i primi incontri e i primi scambi con chi veniva in chiesa per la Messa delle ore 18.00, in cui Suor Theresa ha avuto un tempo adeguato per presentare il lavoro che le nostre Suore fanno in terra di Missione; la stessa possibilità ha avuto anche nelle tre sante Messe di domenica, a cui i presenti hanno risposto con un’attenzione particolare e tanta solidarietà. La sera, Gabriella e suo marito Carlo, dopo il lavoro in Parrocchia, ci hanno invitate a casa loro per una deliziosa cenetta e, insieme a Maurilia, abbia-

mo vissuto una bellissima serata conclusasi, poi, in Duomo dove abbiamo partecipato alla Veglia missionaria presieduta da Mons. Mario Delpini, Vicario generale della Diocesi di Milano, che ha consegnato il Crocifisso

a una ventina di missionari, religiosi e laici, in partenza. Tantissimi i partecipanti venuti da ogni parte della Diocesi che hanno pregato, cantato e danzato attorno alla Parola del Signore portata all’altare da un gruppo Gospel. Quanto ho raccolto dal pensiero di Mons. Delpini non è molto, ma importante e decisivo per poter vivere una vita che sia veramente servizio. “… Io preferisco le storie che finiscono con una decisione; storie come quelle che ci hanno radunati questa sera per accompagnare partenze per fare della vita un servizio, per deci-

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Voci di casa nostra dersi a offrirsi in dono, forse per un’imprudenza a motivo dell’amore e della fede… La fede, infatti, ama le scelte che finiscono con una decisione… Gesù insegna che siamo chiamati ad amare per costruire legami fedeli e di comunione… L’amore non è semplicemente individuale, ma è bellezza della Chiesa. Per questo la partenza dei missionari non è un andar via; è un modo di costruire la missione sotto lo stesso cielo. Ecco cosa significa Essere conquistati dall’amore!... La fede ama le storie che finiscono con una decisione e si appassiona alla fedeltà come la condizione per essere affidabili…”. Queste parole le ho ritrovate in quanto detto da Suor Theresa che, parlando di quanto ha vissuto lei nei suoi primi anni di missione e dalle nostre Sorelle che stanno ora continuando, ha dimostrato in modo chiaro che la vita del missionario è un continuo “dono d’amore”. E ho ritrovato pure queste parole in chi, in questa Parrocchia, vive la sua missione senza partire per terre lontane, ma mettendosi a servizio di quanto, ogni giorno, avviene di bello, di faticoso, di gratificante, di difficile. Grazie davvero con un cuore grande a tutti voi, amici cari. Ciò che Suor Theresa e io abbiamo sperimentato è stata un’accoglienza straordinaria, affiancata a sentimenti di fratellanza, di vera amicizia, di condivisione. Veramente abbiamo visto come la presenza del Signore muove ogni vostro spendersi. Suor Concetta Rota Bulò

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IN D IA M YSO RE COMUNITÀ “NIRMAL BHAVAN”

FESTA DELLE FONDATRICI

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l 12 ottobre u.s., la Comunità Nirmal Bhavan, unita alle Sorelle delle Comunità di Jyothi Nilaya e delle altre Comunità, si è ritrovata per Celebrare la Festa delle Sorelle Cittadini e per rinnovare la comunione fraterna. E’ un momento, questo, per rafforzare lo “spirito di famiglia e di condivisione fraterna” e pure per condividere la nostra felicità, la nostra gioia e la nostra amicizia. Dice, infatti, il nostro Direttorio al n. 57: “Valorizziamo e qualifichiamo gli incontri intercomunitari, ogni situazione o iniziativa che vivifica il senso di appartenenza all’Istituto. Superiamo ogni distanza, ogni rischio di chiusura al bene comune con una corretta comunicazione che ci aiuta a sentirci famiglia”. E’ importante vivere come Sorelle in comunione e in spirito di condivisione proprio come ci hanno insegnato Caterina e Giuditta Cittadini. Siamo chiamate, infatti, a vivere il nostro Carisma a livello comunitario, che è l’unico modo per dare una testimonianza veramente cristiana. Anche la nostra Regola di vita ci dà indicazioni preziose per vivere la Vita di comunione valorizzando ogni persona e ogni momento della vita comunitaria, il dialogo, la condivisione gioiosa e il perdono reciproco in tutte le occasio-


Voci di casa nostra GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE

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ni. Caterina e Giuditta hanno scelto Cristo come loro Sposo e tutta la loro vita si è basata sull’essere di Cristo trasmesso anche a chi hanno sempre incontrato. Anche a noi oggi chiedono di vivere la nostra Vita religiosa nella dignità di Sposa di Cristo Crocifisso, di amare Lui solo e di vivere una vita come piace a Lui. “Essere di Cristo per portare Cristo” è il motto del nostro Istituto e tutte noi ci sentiamo chiamate a viverlo nella nostra missione di Apostole educatrici. Abbiamo iniziato il nostro incontro con un momento di preghiera comunitaria in cui abbiamo chiesto l’intercessione della Beata Vergine Maria, della Beata Caterina Cittadini e di San Girolamo Emiliani per darci il coraggio di vivere la nostra Vita consacrata in modo radicale. Ci siamo poi ritrovate per un momento di gioiosa condivisione, modo altrettanto valido per costruire una vita fraterna. Suor Theresina Vadakekara

omenica 21 ottobre nella nostra Parrocchia è stata celebrata la Giornata Missionaria Mondiale che ogni anno si svolge in modo molto significativo. Si ricordano, infatti, le grandi opere lasciate dai nostri missionari e il coraggio da essi avuto nell’impegnarsi a mettere in pratica il messaggio del Vangelo. Pensando a loro, ci ha fatto riflettere molto e apprezzare, pure, la vita di sacrificio nel portare la fede al cuore della gente; anche per noi, Suore Orsoline, dopo aver ricevuto esempi di vera fede, è dovere continuare il lavoro missionario in modi diversi, ma sempre possibili. Nella Parrocchia di Santa Filomina in Mysore si dà molta importanza a questa Giornata. Sono stati preparati diversi stand e organizzati sport e giochi per i bambini e per tutte le persone che, al termine, hanno lasciato pure un piccolo contributo per aiutare i missionari che lavorano instancabilmente. Come già altri anni, è stato allestito un banchetto per la vendita di oggetti e un banchetto per dare la possibilità di gustare anche qualche dolce. Quanto è stato raccolto è stato poi dato in offerta per i bisogni dei più poveri ed è stato bello vedere come la gente povera sa essere solidale con altri poveri. E’ stato un giorno prezioso in cui ciascuno ha sentito la responsabilità di portare avanti il proprio compito e di pregare per tutti i missionari del mondo. Suor Rosa Manjaly

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Voci di casa nostra FILIPPIN E VA LEN CIA “CASA CITTADINI”

UNA GIORNATA RICCA DI TANTE FESTE

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OTTOBRE 2012: giorno di diverse occasioni di festa nella nostra Comunità. La Chiesa intera, innanzitutto, celebra la Giornata Missionaria Mondiale: – La Chiesa filippina gioisce per la Canonizzazione del martire Pedro Calungsod, modello per i nostri giovani. – Noi, Suore Orsoline di San Girolamo in Somasca, celebriamo la Festa di Sant’Orsola, protettrice del nostro Istituto che, con la sua vita, ha risposto prontamente alle sfide del suo tempo arrivando fino al martirio. – Noi, Comunità di Casa Cittadini, festeggiamo il compleanno delle nostre bambine nate in questo mese e celebriamo il Battesimo di Isay, una bambina che tempo fa è stata trovata abbandonata mentre dormiva in una jeep e portata nel nostro Orfanotrofio. E’ stato importante, per noi Suore, scegliere questo giorno per l’ingresso di Isay alla fede. La Celebrazione del Battesimo è stata una festa molto commovente e partecipata da molte persone.

Uno dei nostri ospiti, un francese Laplane Aude, scrive a proposito del Battesimo di Isay: “Il battesimo di Isay è stato un momento di gioia e felicità soprattutto

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perché inserito nella Giornata Missionaria Mondiale, giorno in cui anche lei, proprio in forza del Battesimo, è diventata missionaria. Una bella coincidenza! L’orfanotrofio di “Casa Cittadini” dove Isay ormai vive, è un posto molto bello, tranquillo e ricco di serenità e di amore. E’ sempre un grande piacere venire qui e di sicuro, per me, anche questa volta non sarà l’ultima! Le Suore e tutte le ragazze hanno preparato una grande festa per celebrare l’ingresso di Isay nella grande famiglia del Signore Gesù. Tanti sono stati gli amici venuti a gioire con noi. Quello che più mi ha colpito è stato quanto queste persone hanno fatto per rendere questo giorno davvero “speciale”: pensieri gentili e cibo delizioso. Mi sono sentito parte della

famiglia avendo avuto, pure, la possibilità di scambiare notizie sulla Francia e sulle Filippine con il padrino della bambina. Il pranzo è stato un tempo di grande condivisione per tutti. La giornata è stata anche una benedizione per i tanti bambini che le Suore han reso felici facendoli giocare con le bolle di sapone e regalando loro biscotti e caramelle. Ben, padrino di Isay, ha chiesto ad un suo amico di venire ad offrire il gelato: non c’è bisogno di spiegare a voi italiani la felicità nel veder gustare un gelato”. Aude Laplane

A Sant’Orsola, modello per tutte noi, donna che non ha temuto di testimoniare i suoi principi, chiediamo di custodire e di proteggere la nostra Famiglia religiosa voluta da Dio e di aiutarci ad agire con coraggio per vivere come figlie della luce. Suor Celina Vilakunnel


Voci di casa nostra BRA SILE SA N TO A N D RÈ (SA N PA O LO ) UN PARTICOLARE INCONTRO E UNA “INTERESSANTE” INTERVISTA Come vice Presidente del CAMSOS ho incontrato, ultimamente, una giovane studentessa bergamasca che ha avuto modo di vivere per un anno proprio a Santo André del Brasile. L’incontro è stato l’occasione per una “interessante” intervista. CHI SEI E COSA FAI? Mi chiamo Lisa Giaquinta, sono nata nel 1993 e frequento il Liceo Artistico Statale a Bergamo. Vivo con mamma e papà a Verdellino. L’anno scorso ho partecipato ad una selezione della mia Scuola per poter frequentare il quarto anno scolastico con un interscambio in un Paese estero. Ho superato le varie prove e ottenuto anche una borsa di studio. La AFS di Bergamo, Associazione legata agli ambienti scolastici che organizza queste esperienze, mi ha trovato una famiglia ospitante e sono partita per il Brasile. La zona scelta è stata la megalopoli SAN PAOLO e la famiglia dove sarei stata ospitata si trovava nella città satellite Santo André. Dopo alcuni mesi, la mamma mi ha comunicato che a Santo André operavano anche le Suore Orsoline di Somasca di Bergamo. Così mi sono informata un poco e ho trovato che

queste Suore operavano a circa 40 minuti di autobus da dove abitavo io. COME È STATO IL PRIMO INCONTRO? Dire “forte” è poca cosa. La prima Suora incontrata è stata Suor Angela Pirri e poi le altre. Io abitavo in una casa dignitosa, ma esse vivono proprio in mezzo alle favelas: case di fango o legno, mancanti di tutto. E LA CASA DELLE SUORE? La loro casa è in muratura ed esse vi hanno lo stretto necessario. Gli altri locali sono tutti per i bimbi delle favelas. Ma questo loro essere nelle favelas le porta a conoscere le vere necessità della gente che dire “poverissima” è ancora poco. COME È LA GIORNATA DELLE SUORE? Esse sono impegnate tutto il giorno e accolgono ragazzi/e dai 6 ai 16 anni in età scolare. Pertanto al mattino accolgono chi frequenta la scuola nel pomeriggio e al pomeriggio quelli che sono stati impegnati al mattino. Le Suore e i volontari li seguono nei

compiti o in corsi di computer; gli ospiti ricevono pure una merenda e, nei casi più disperati, anche indumenti. TU COSA FACEVI? Io seguivo i bimbi piccoli nel gioco oppure li aiutavo con il computer o, esperienza meravigliosa, accompagnavo le Suore nelle visite alle favelas. E’ pericoloso andarci perché prostituzione, droga, violenza sono nascoste ad ogni angolo, ma le Suore sono bene accolte perché si è a conoscenza di quanto fanno per i loro ragazzi. Il camminare nelle strade delle favelas è un qualche cosa di inimmaginabile, bisogna solo... entrare! COSA TI HA LASCIATO QUESTA ESPERIENZA? Sono tornata a Bergamo nel mese di luglio ed ora frequento l’ultimo anno del mio Liceo, ma questa esperienza mi ha cambiato il modo di vivere e mi ha fatto decisamente maturare. Io penso solo al Brasile e già ho prenotato il biglietto per il 2013 per partecipare alla GMG con il Papa. Sono certa che resterò diverso tempo a Santo André e tornerò dalle “mie” Suore. I brasiliani hanno un termine per dire nostalgia di una persona o di un posto: la chiamano SAUDADE!!! Ecco: un pezzo del mio cuore è rimasto a Santo André. Oreste Fratus

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O N D A Z I O N E

“C aterinaC ittadini”

ONLUS

ADOZIONI a distanza

La Fondazione, in sintonia con gli obiettivi educativi dello Statuto, si impegna a promuovere la crescita integrale dei minori, a combattere il disagio femminile, a sostenere attività organizzate in vista del miglioramento delle condizioni di vita nei territori di missione Ad Gentes dellʼIstituto. Assume, in particolare, le seguenti iniziative: costruzione in terra di missione di strutture rispondenti al Carisma educativo dellʼIstituto; adozioni a distanza; interventi di solidarietà sociale; microrealizzazioni.

Già in atto da una quindicina di anni, l'iniziativa, estesa alla Bolivia, al Brasile, all'India, alle Filippine, allʼIndonesia dove operano le Suore Orsoline di Somasca, prevede l'assistenza a bimbi indigenti, sia a livello sanitario che scolastico.

Vuoi amare e aiutare un bambino a crescere? Vuoi sentirti padre o madre di chi non ce lʼha?

Gli adottati sono tutti conosciuti e assistiti dalle Suore che, periodicamente, ne danno notizia. Ad ogni richiedente viene inviata una scheda con la foto del bimbo/a adottato/a e brevi notizie sulla situazione familiare; è richiesto un impegno almeno quinquennale per dare all'adottato la possibilità della frequenza scolastica di base. È chiesta pure la disponibilità per la sostituzione dell'adottato qualora questi non fosse più reperibile o non avesse più necessità di aiuto. Sono previsti versamenti: - annuali (euro 230,00) - mensili (euro 20,00).

OFFERTE libere Vuoi offrire il tuo contributo alla Fondazione a sostegno della “carità educativa” di Madre Caterina? Un fondo, alimentato da offerte libere, è destinato: • a iniziative di solidarietà sociale a favore di persone minorenni e maggiorenni svantaggiate; • a microrealizzazioni (fornitura di medicinali, di alimenti, di materiale scolastico ecc.).

RICORDAsomma, anche minima, che qualsiasi goccia nel mare, è preziosa: è una di gocce! o ma il mare è fatt

Ecco come puoi offrire il tuo aiuto alla Fondazione: • con bonifico bancario sul c/c n. 5300 IBAN: IT79 R054 2811 1090 0000 0005 300 UBI Banca Popolare di Bergamo intestato a Fondazione “Caterina Cittadini” O.N.L.U.S., con la specifica del versamento • con versamento sul c/c postale n. 42739771 intestato a Fondazione “Caterina Cittadini” O.N.L.U.S., con la specifica del versamento. Ricorda che, essendo ONLUS la Fondazione, puoi detrarre la donazione dalle imposte per le persone fisiche ai sensi dellʼart. 13-bis del DPR 917/86 e per i redditi dʼimpresa ai sensi dellʼart. 65 dello stesso DPR.


Libri in vetrina

RONCALLI EMANUELE

Papa Giovanni Diario bergamasco Velar, 2008

SCALFARI EUGENIO MANCUSO VITO

Conversazioni con Carlo Maria Martini

RAVASI GIANFRANCO

Guida ai naviganti Le risposte della fede Mondadori, 2012

Campo dei Fiori, 2012

Nel giugno del 2013 saranno 50 anni che Papa Giovanni ci ha lasciato, fisicamente; il fatto stesso che sia uno dei Pontefici ancora vivi non solo nel ricordo degli anziani, ma anche nel presente di molti giovani, dimostra la sua permanenza tra noi, la vicinanza ai nostri cuori. Questo libro ne ripercorre con precisione e dovizia di particolari il percorso di vita, dalla nascita alla morte, attraverso i luoghi della bergamasca a lui sempre cari. “Non poteva dimenticare le radici profonde di ciò che era, la realtà nella quale gli era venuto incontro il Padre misericordioso che lo aveva chiamato alla vita, alla fede, al sacerdozio” ci dice Monsignor Roberto Amadei nella prefazione al volume. Le tracce giovannee di Papa Giovanni sono sparse un po’ ovunque nella nostra Provincia; sicuramente sono privilegiati Sotto il Monte, il “caro nido” dell’infanzia, e Bergamo città dell’adolescenza e della formazione, ma tracce della sua presenza si ritrovano in tanti altri paesi. Come ci spiega l’autore, Emanuele Roncalli, il Diario permette di costituire una prima mappatura dei luoghi visitati da Papa Giovanni e nello stesso tempo di disegnare una precisa cronologia di grandi eventi dei quali Roncalli fu protagonista nel corso degli anni. Ci aiuta, inoltre, a conoscere meglio il nostro territorio attraverso le chiese, i monumenti, le vie e le piazze intitolate al Pontefice. Di grande rilievo anche l’apparato iconografico del libro: foto note, ma anche molte inedite e “private”, contribuiscono a tracciare un ritratto nuovo e completo del Papa bergamasco.

“Le cinque conversazioni che Eugenio Scalfari ha condotto con il Cardinale Carlo Maria Martini tra il 1996 e il 2011 sono preziosi documenti di quel dialogo tra spiriti liberi e responsabili di cui il nostro tempo ha un immenso bisogno”. Vito Mancuso introduce il volume riassumendo in poche, ma significative parole, il senso stesso di questa pubblicazione. Due grandi protagonisti contemporanei, due personalità miti e decise nello stesso tempo, misurate, mai “gridate”, in netta contrapposizione con un ambiente culturale, politico e sociale che, in questi anni, ci ha disabituato ai toni pacati e rispettosi del dialogo tra soggetti “pensanti”. Mancuso si chiede cosa accomuni queste due persone, apparentemente così distanti l’una dall’altra, e ci aiuta a trovare la risposta nelle parole stesse di Martini: “Io ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un credente, che si parlano dentro, che si interrogano a vicenda, che rimandano continuamente domande pungenti e inquietanti l’uno all’altro. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa”. Scalfari e Martini, il dichiaratamente ateo e l’uomo di fede, conversano sulla situazione morale del nostro tempo, sull’ingiustizia, sull’amore, sulla morte, sull’origine dell’etica, sulla situazione del sentimento religioso nel mondo contemporaneo, sui problemi della Chiesa, sull’opportunità di un nuovo Concilio, sulla famiglia, sul divorzio e sull’aborto e su tanto altro ancora. Quello che sorprende non è tanto la vastità del pensiero, ma che effettivamente la Ragione non sia mai collocata al primo posto, ma venga “guidata da qualcosa di più fondamentale, cioè la stima, l’affetto, il calore umano”. I due interlocutori non mirano a primeggiare, non fanno sfoggio di sé, ma si aprono l’uno all’altro per “comprendere il centro esistenziale, sentirne l’emozione vitale”.

Navigare è, fin dall’antichità, simbolo del viaggio attraverso la vita, della ricerca del suo significato e del perché della nostra esistenza. Molto più incerta è però adesso la rotta dell’uomo che “naviga nel mare di internet come Ulisse che non ha, però, alle spalle nessuna Itaca e quindi, non sa dove volgere la prua della nave per puntare a una meta”. Gianfranco Ravasi ci propone, quindi, un viaggio tra la “città secolare”, la “città dell’uomo” e la “città di Dio”. Nella prima “tappa” l’autore parte dal confronto tra una città europea come Milano, con una struttura urbana a raggera, con il nucleo sacrale al centro, ad una città moderna come New York con una struttura assai differente, appunto “secolare”. In questa nuova metropoli il sacro è relegato ai margini, le religioni sono spesso considerate irrilevanti: “Se Dio dovesse ripresentarsi nella piazza principale della «città secolare», al massimo verrebbe fermato come un estraneo a cui chiedere di esibire i documenti d’identità”. La seconda “tappa” è costituita dalla “città dell’uomo” affascinante e scintillante di luci, ma dove l’uomo può procedere verso il basso e quindi fare scelte storiche sbagliate e nello stesso tempo tendere all’alto, anticipando il suo incontro con Dio. Si giunge così alla “città di Dio”, l’approdo sereno del nostro lungo peregrinare che può essere visto e compreso soltanto con lo sguardo della fede. Durante questo viaggio, guidati dalla luce splendente della Bibbia, è possibile incontrare personaggi illustri della letteratura, dell’arte, della musica e della scienza, accomunati dal tentativo di dare una risposta alle domande fondamentali della vita.

Libri in vetrina Libri in vetrina Libri in vetrina Libri in vetrina Libri in vetrina

a cura di Maria Marrese


In caso di mancato recapito rinviare al C.P.O. di Bergamo per la restituzione al mittente, che si impegna a pagare il diritto dovuto.

Bimestrale da Settembre a Giugno

Specificare il motivo del rinvio. TRASFERITO INSUFFICIENTE

DECEDUTO

SCONOSCIUTO

RESPINTO

Vuole essere portatore di un “messaggio” educativo-cristiano e portavoce delle iniziative dell’Istituto a favore di fratelli, specie bimbi, bisognosi di aiuto.

Vuoisostenerlo nelsuo sforzo digiungere...lontano? Abbonamento annuo euro 15,00 c.c.p. 13567243

soline r O e r o n Som asca u S o t oi m u a l t o i r Ist an G i diS

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