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“Due Medici Martiri: il colera in Borgo Ticino” di Pier Vittorio Chierico e Paolo M. Fornelli-Grasso PI-ME Editrice Pavia-2011

LA RECENSIONE

“Due Medici Martiri: il colera in

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Borgo Ticino” - di Pier Vittorio Chierico e Paolo M. Fornelli Grasso (PI-ME Editrice Pavia - 2021)

La storia ci ricorda, soprattutto in questo periodo di pandemia, che fenomeni altrettanto e forse ancora più coinvolgenti le popolazioni in maniera drammatica si sono avuti più volte nel corso dei secoli. Due eccellenti divulgatori, Pier Vittorio Chierico - borghigiano, insegnante in pensione, appassionato di storia locale, e Paolo Fornelli Grasso - esperto di stampe d’epoca, hanno pubblicato recentemente un interessante libretto sull’epidemie di colera che sconvolsero Pavia. Nell’opera, accanto alle tristi vicende che colpirono la popolazione, vengono descritte con dovizia di particolari lo spaccato storico di Pavia e con esso momenti di vita quotidiana, ma anche vicende individuali degli abitanti di Pavia fra cui due “medici Martiri”, che pochi giorni a contatto con i malati bastarono per stroncare le loro giovani vite: Massimiliano Campeggi e Guglielmo Rocca. Non a caso, Chierico e Fornelli hanno voluto dedicare il loro lavoro a tutti i medici e gli operatori sanitari che si sono trovati in prima linea, anche oggi nella trincea del Covid. Allora, come oggi, sottolineano gli Autori, si cercò di contrastare il diffondersi del morbo con il distanziamento sociale e le quarantene. Vennero sospesi i mercati settimanali e le fiere annuali, per evitare gli assembramenti, abolite le processioni religiose e le manifestazioni pubbliche in occasione delle festività popolari, mentre le autorità raccomandavano di «astenersi dal frequentare le osterie, le bettole e le vendite di liquori». Non mancarono le contrapposizioni: da una parte i “contagionisti”, così erano chiamati, che pretendevano rigorose disposizioni per diminuire la diffusione del contagio, e dall’altra gli “anticontagionisti” che consideravano le prescrizioni un ostacolo alla libera circolazione di uomini e idee. I provvedimenti di quarantena e restrittivi crearono non pochi malumori anche tra gli addetti agli esercizi commerciale e al commercio in genere. Non è un caso che, come oggi, le disposizioni che colpivano precisi interessi commerciali non sempre trovarono rispondenza nel comportamento degli interessati. I primi casi di colera si manifestarono in Italia nel 1836. Il morbo era arrivato dalla Francia dopo essersi propagato in Europa dalla Russia, che a sua volta l’aveva probabilmente ricevuto dall’India. In Lombardia i morti furono 32mila, oltre un centinaio a Pavia. Più pesanti gli effetti in città dell’epidemia del 1855. E il Borgo, luogo d’intenso passaggio e di scambi commerciali, così come lo era il fiume Ticino, fu la zona più colpita. Il colera, così, poté diffondersi più facilmente e rapidamente. Non esistevano cure efficaci, né tantomeno un vaccino. Gli autori raccontano di bizzarre terapie, basate, ad esempio, sulla canfora. Toccava quindi ai medici, a maggior ragione, esporsi al contatto con i malati cercando di alleviarne le sofferenze e di lottare contro un male dall’alto tasso di mortalità. Rocca e Campeggi non si sottrassero, fino al loro estremo sacrificio. Entrambi furono destinati dalla Congregazione municipale a svolgere il servizio di assistenza presso l’Ufficio di soccorso di Borgo Ticino, uno dei più delicati della città. I due giovani medici (26 e 33 anni) morirono un giorno di distanza l’uno dall’altro: il 19 e il 20 luglio 1855. A ricordare il loro sacrificio rimangono in città due monumenti. Il primo si trova accanto alla facciata della chiesa di Santa Maria in Betlem di Borgo Ticino e l’altro, meno conosciuto, è visibile nell’androne di palazzo Del Maino in via Mentana.

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