99 minute read

Studentesse DF A-SUPSI, Nuove storie per la scuola dell'infanzia

Nuove Storie per la scuola dell'infanzia

scritte dalle studentesse del DF A-SUPSI

Le Nuove storie per la scuola dell'inlànzia raccolte in questa sezione sono state inventate e scritte durante i corsi «Teoria della narrazione ed elementi di letteratura per l'infanzia» e «Leggere e raccontare ai bambini» del DF A-SUPSI dell'A.A. 2014-2015, sotto la guida dei docenti Luca Cignetti e Sibylle Zanoli. Le autrici dei testi e delle immagini sono Clea Alessio, Elisa Beltramelli, Valentina BenizziBertoli, Catia Borges Carvalho, Federica Cattaneo, Stefania Ceschi, Patrizia Corrado, Serena Derighetti, Katia Fumiano, Rosanna Iaquinta, Susanna Lepori, Elena Mesterhazy, Giada Micotti, Sabina Minola, Véronique Piva e Amanda Tipura.

La biglia Vaniglia

di Clea Alessio, Elisa Beltramelli, Federica Cattaneo e Giada Micotti

CONCHIGLIA. VIV[ UNA fAMIGLIA DI BIGLIE. LA FIGI IA PIÙ PICCOLA F OI COLOR[ GIALLO E PFR QUfSTO TUTTI LA CHIAMANO VANIGLIA.

UNA BIGLIA CURIOSA' IJN GIORNO, STUfA DI STARSENE RINCHIUSA NELLA SUA CONCHIGLIA. DLCIDl DI PARIIRL rrn SCOPRIRE IL MONDO

VANIGLIA VA A SALUTAR[ LA MAMMA CIIL SI~ Al'l'LNA SVEGLIATA VAN('. IAAILORA ,f BISBIGLIA ,N Ut, ORrCCH O 'CIAO MAMMA OGGI VADO A LSPLORAP[ 11 MON0O1" A MAMMA AllOIIA. MOLTO PREMUROSA SBADIGI IA f f CONSIGLIA "FA FREDDO FUORI! COPRII' BlNE CO-. UNA MAGLIA, cosi NON 11 AMMALL~AI.

VANIGLIA NUOTA PFR PARECCHIE ORE. SCOPRENDO PESCI ALGHE E ANIMALI NUOVI. AD UN CERIO PUNTO PERÒ NOlA QUAlCHf COSA DI STRANO QUALCHE COSA CHE NON AV(VA MAI VISTO PRIMA VANIGLIA NON SA PROPRIO COSA SIA MA STANCA DI NUOTARE DECIDE ENIRARCI PER SC:HIAC--CIARF UN

DURANTE Il SUO RIPOSINO PERÒ LA BOTTIGLIA SI SPOSI A TRASPORTATA DALL'ACQUA E Al SUO RISVEGLIO VANIGLIA SI RITROVA SU UNA SPIAGGIA VANIGLIA È MOLTO MERAVIGLIATA DA QUEL MONDO FUORI DALL'ACQUA. TUTTO E DIVERSO E NON C'E NESSUN PESCE! VANIGLIA ALLORA. INCURIOSITA CERCA DI CAMMINARE PER ESPLORARE LA SPAIGGIA. MA ... C'È UN PROBLEMA. LFI NON SA CAMMINARE SULLA SABBIA!

VANIGLIA VFDE l1NO STRANO ANIMALI: CON LE ALI E LE PIUME CHE VOLA. [ UNA QUAGLIA' VANIGLIA ALLORA PROVA /I IMITARLA. MA NON AVENIJO NÉ Ali Nt PIUML NON ~IUSCf A

POCO PIU IN I.À PERÒ VANIGLIA VED[ UN CONIGLIO CHt SALTA ALLLGRAMLNIL PUI LA SPIAGGIA cosi PROVA A SAI I ARI: ANCHE LEI. MA NON AVENDO I.E lAMPE NON RIESCE A SPOSTARSI

DISPERATA VANIGLIA NON SA COSA FARE, IL SOLE SIA CALANDO, SI STA FACENDO SERA E INIZIA A FARE FREDDO. VANIGLIA VUOLE TORNARE A CASA DALLA SUA MAMMA.

AD UN CERTO PUNTO, VANIGLIA VEDE DEI BAMBINI GIOCARE A PALLA. QUESIA PAI LA LE ASSOMIGLIA DAVVERO TANTO; È ROTONDA E GIALLA COM[ L[I!

• IA PliOYA ALLORA VAN~IOI Alif COME ANCH!: LU 7N UN BAllER

RIESCE A SPOSlA.::_R:.:_ S _ I' _____ _

TUTTA NTFNlA ALI ORA CO EITE A VANIGLIA SI MGIRO PER LA ROTOLARE INROTOLA E SPIAGGIA. EOIOI A. E: AD UN R010LA R I ACCORCF CERTO PllNTOA~LIONE SI E CHE IL SUO r DIVENTATO UN SFILATO EGDO LUNGO FILO I UN ,

Il pupazzo di neve Lollo

di Valentina Benizzi-Bertoli, Catia Borges Carvalho, Stefania Ceschi e Amanda Tipura

Solandia era un piccolo paese di pochi abitanti che si trovava nelle vicinanze delle montagne. In questo piccolo paese però non nevicava mai! In inverno negli altri paesi vicini cadeva sempre la neve mentre a Solandia non scendeva mai neanche un fiocco di neve! I bambini di Solandia ormai si erano rassegnati: anche quest'anno in inverno non avrebbe nevicato.

Una sera però tutti i telegiornali del paese avevano dato l'allerta meteo, quella notte sarebbe arrivata la bufera di neve più spaventosa di tutti i tempi. La neve sarebbe arrivata anche a Solandia quest'anno! Tutti i bambini andarono a letto tutti entusiasti e non vedevano l'ora che fosse di nuovo giorno per vedere per la prima volta la neve.

Il giorno dopo aveva nevicato così tanto che tutte le scuole furono chiuse. Con le scuole tutte chiuse i bambini rimasero a casa. Vedendo tutto il paesaggio innevato non resistettero e corsero fuori a giocare con la neve. Era la prima volta che Solandia era ricoperta da un manto bianco. Non era mai successo e questa volta di neve ne era arrivata in abbondanza per tutti quanti e sembrava che era arrivata per rimanerci per un po'.

Tutti i bambini si ritrovarono così al parco che era diventato un posto tutto nuovo! Era completamente ricoperto dalla neve e in mezzo a tutto quel bianco si faceva fatica a capire dove erano i giochi. I bambini passarono ore e ore a giocare: avevano creato tante belle costruzioni con la neve e avevano fatto molte battaglie di neve tra di loro. Insomma di erano divertiti moltissimo! Dopo tutte quelle ore passate a giocare le mamme, tranne quella di Gigi, richiamarono i loro bambini per rientrare a fare merenda. Gigi era rimasto solo a giocare con la neve. Tutto gli sembrava così tranquillo e bello! Non aveva mai visto la neve e tutto quel bianco lo tranquillizzava. Gigi però non voleva giocare da solo, perciò decise di andare a cercare un altro bambino con cui giocare. S'incamminò sul quel lungo tappeto bianco, soffice e fresco.

Mentre camminava gli cadde per terra la sua berretta e si chinò subito per raccoglierla altrimenti sarebbe diventata fredda e invece di riscaldarli le orecchie le avrebbe congelate. Raccolta la sua berretta si raddrizzò, alzò lo sguardo e vide tre grandi palle di neve.

Gigi pensò: Che cosa saranno mai? Che strana costruzione... chissà chi l'ha fatta. Dovrò chiedere ai bambini quando tornano cos'è e chi l'ha costruita.

Gigi stava per rimettersi in cammino quando all'improvviso la sua attenzione fu catturata da un verso molto simile a un Ehi,1

Il bambino si guardò in giro perplesso ma non riusciva a capire da dove provenisse quel verso, Era sicuro di averlo sentito ma oltre a lui non c'era nessun altro, Anzi, davanti a se aveva solo tre palle di neve e basta. Decise così di ignorare la voce e di andare avanti, Doveva ancora trovare qualcuno con cui giocare. Andò avanti ma fu attirato da qualcosa di lungo e arancione. Fece allora il giro di quelle tre grosse palle di neve e fu in quel momento che lo vide. Davanti a lui c'era un pupazzo di neve]

Gigi era molto sorpreso perché questo pupazzo era a testa in giù1 Gigi non aveva mai costruito un pupazzo di neve ma tutti quelli che aveva visto sui libri, o in televisione o che aveva visto quel giorno al parco non erano esattamente come quello che aveva davanti, Gigi si mise a osservare attentamente questo strano pupazzo di neve quando, ..

Lollo: Ciao come stai?

Gigi si guarda intorno per vedere chi ha parlato ma non vede nessuno, La voce sembrava la stessa della persona che aveva detto Ehi1 in precedenza, ma anche questa volta non c'è nessuno, strano,,.

Lollo: Ehi ciao,1 Sono qui. Come stai?

Gigi allora abbassa lo sguardo sul pupazzo di neve e pensando: No. Non può essere questo pupazzo a parlare. Proviamo a parlarli, però cosi avrò la conferma che non è stato lui.

Gigi: Ciao. Sei stato tu a parlare?

Lollo: Si sono stato io.

Gigi: Ma ... ma come mai parli?

Lollo: lo parlo perché sono un pupazzo di neve speciale.

Gigi: Ma uaaaaau,1 Che bello un pupazzo di neve parlante,1 Come ti chiami?

Lollo: Mi chiamo Lollo,1 E tu?

Gigi: Piacere Lollo io sono Gigi, Chi ti ha costruito?

Lollo: Non lo so, So solo che quando ho aperto gli occhi ho visto i tuoi bei stivaletti.

Lollo e Gigi diventarono amici e parlarono così tanto che alla fine diventò buio. Gigi fu richiamato dalla mamma: era ora di andare a cena.

Gigi: Lollo devo andare a casa ora, È stato molto bello parlare con te,1 Sei molto simpatico e sai moltissime cose interessanti.

Lollo: Anche tu Gigi sei un bambino così simpatico e gentile. Peccato che veda solo i tuoi stivali. Vorrei tanto vederti anche in faccia.

Gigi: Vengo a visitarti domani e troveremo un modo per vederci in faccia va bene? Dormi bene Lollo. Ciao a domani,1

Gigi dopo cena si sdraiò nel suo letto e iniziò a pensare a come lui e Lollo potevano risolvere il problema,

Il giorno dopo tutti i bambini si ritrovarono di nuovo al parco. C'era ancora molta neve e durante la notte non era ghiacciata quindi era perfetta per giocare anche quel giorno. Quando Gigi arrivò da Lollo vide tutti i bambini che stavano ridendo del pupazzo di neve.

Bambini: Ma sei un pupazzo di neve al contrario! Non si è mai visto un pupazzo di neve che sta a testa in giù. Chi ti ha costruito ha sbagliato.

Gigi raggiunse gli altri bambini e capì subito quello che stava succedendo. Gli altri bambini stavano ridendo di Lollo e a lui questa cosa non piaceva. Perciò urlò: Ho visto una renna vicino allo scivolo! Andate a vederla, presto! In questo modo avrebbe allontanato tutti i bambini da Lollo e avrebbero smesso di prenderlo in giro.

Infatti, come previsto da Gigi, tutti i bambini corsero verso lo scivolo e lasciarono Lollo solo con Gigi. Finalmente erano rimasti soli loro due e Gigi poteva spiegare a Lollo la soluzione che aveva trovato. Ci aveva pensato tutta la notte e alla fine aveva trovato una soluzione]

Gigi: Ciao Lollo! Ho trovato una soluzione per il nostro problema! Gigi: Farò la verticale {stand)!

Lollo: Bella idea! Ma com'è che lo stand risolve il nostro problema?

Gigi: Guarda!

Gigi fece lo stand e woooao si videro in faccia!

Finalmente Lollo e Gigi si potevano vedere in faccia! Gigi si guardò intorno e capì finalmente cosa provava Lollo e quello che vedeva lui. Aveva proprio ragione! In quella posizione riusciva a vedere solo gli stivaletti degli altri bambini e vedeva tutto al contrario. Com'era strano il paesaggio visto a testa in giù] La neve non si trovava più sotto i suoi piedi ma si trovava sotto la sua testa e il cielo non si trovava più sopra alla sua testa ma sopra ai suoi piedi]

Nel frattempo gli altri bambini tornarono da Lollo e Gigi arrabbiati perché non c'era nessuna renna vicino allo scivolo. Ma .... Sorpresa] Trovarono Gigi a testa in giù!

Gigi spiegò loro che da quella posizione era tutto diverso, come se fosse un mondo nuovo, il mondo di Lollo insomma] Visto da quella posizione Lollo era un semplice e comune pupazzo di neve come tutti gli altri. Adagio adagio tutti capirono che bastava mettersi a testa in giù per vedere Lollo nella maniera corretta e smisero di ridere di lui, anzi tutti quanti erano curiosi di conoscere il mondo di Lollo e fecero la verticale come Gigi.

Da quel giorno ogni volta che nevicava, spuntava qualche pupazzo di neve costruito a testa in giù e i bambini impararono che le cose si possono vedere in diversi modi: basta cambiare la nostra posizione che il mondo cambia.

Elwing, l'elfo sventurato

di Patrizia Corrado, Katia Fumiano, Susanna Lepori e Sabina Minola

Quella sera faceva tanto freddo, fuori era già tutto buio e il prato era tutto bianco e ricoperto di brina che luccicava come polvere di stelle. Elwing era ancora nel mondo dei sogni e immaginava di volare sopra tetti di marzapane tutti colorati spolverati di zucchero a velo. Era appena entrato in un bosco di alberi fatti di caramelle gommose e stava per raggiungere una meravigliosa cascata di cioccolato fondente quando ... Drin drin driiin!

Un signore in bicicletta gli stava piombando addosso e suonava il campanello all'impazzata! Dallo spavento Elwing saltò su dal letto e si accorse che era solo un sogno. L'elfo si stiracchiò, guardò il calendario e si prese un grosso spavento: 1 ° dicembre. "Acciderbolina, mi devo sbrigare. Devo andare a conoscere la bambina che mi ha aff'idato San Nicolao. Da oggi fino a Natale avrò il compito di osservare tutto quello che farà la piccola Tiffany. Se si comporterà bene riceverà i regali che desidera. Se invece non si comporterà bene riceverà solo un sacchetto di carbone."

Elwing iniziò a vestirsi e intanto accese il fornello della cucina per riscaldare il latte. Tornò in camera e non trovò più un calzino. Cerca di qua, cerca di là e ad un certo punto iniziò a sentire puzza di bruciato. Seguendo quel cattivo odore arrivò in cucina e vide il calzino in fiamme. Tutto agitato l'elfo corse verso il fornello e afferrò la brocca del latte. Senza pensare rovesciò il latte sopra il calzino e spense l'incendio, ma che disastro ora non aveva più latte e quindi niente colazione!

Il malcapitato ritornò in camera, prese il primo calzino che trovò così ne aveva uno rosso e uno giallo e ripartì in gran fretta verso la casa di Tiffany, arrabbiato e con la pancia che brontolava. Prendendo la rincorsa per spiccare il volo nel cielo stellato non si accorse però che il prato era tutto ghiacciato e ... patapum! Finì a gambe all'aria. "Ahi ahi ahi il mio povero sederino! Per colpa di questa caduta ora volerò tutto storto e sarò costretto (dovrò) ad andare pian piano."

Tutto sporco e dolorante riprese il suo cammino e si alzò in volo. Il cielo era coperto di nuvole per questo Elwing non riusciva a vedere le stelle che lo avrebbero guidato lungo il suo viaggio. Improvvisamente ... bang. L'elfo sbatté contro le enormi corna di una renna che stava facendo il volo di prova prima del grande giorno della consegna dei regali. "Ahi ahi ahi il mio naso! Che male, ora proprio non riuscirò più a proseguire il mio viaggio."

A questo punto la renna si voltò verso Elwing e gli disse: "Non preoccuparti amico, sali sulla mia groppa ti aiuterò io. Dove devi andare?" "Devo arrivare fino a casa della piccola Tiffany, la bambina che San Nicolao mi ha affidato." Appena la renna capì dove doveva andare iniziò a galoppare tra le nuvole nella notte, più veloce che mai. E cantava la canzone " Bella stella dimmi tu cosa vedi da lassù, da lassù io vedo te che sorridi solo a me ... " A poco a poco il cielo si schiariva e le stelle ritornavano a splendere e ad illuminare il cammino. A questo punto l'elfo poté continuare il suo viaggio da solo e i due, che erano ormai diventati amici, si salutarono e proseguirono da soli il viaggio.

Lungo il tragitto Elwing incontrò una stella amica che grazie alla sua polverina magica riuscì a guarire il suo naso rosso facendogli passare tutti i dolori]

Finalmente l'elfo sventurato abbassò gli occhi verso il paese e vide il camino fumante della casa di Tiffany. Subito scese in picchiata pronto a infilarsi nel camino quando sentì una puzza di fumo simile a quella già sentita al mattino. "Aiuto, mi bruciano gli occhi forse è meglio se cerco un'altra entrata''. Così Elwing fece il giro della casa e scorse una piccola porticina per i gatti. Subito si infilò dentro e andò alla ricerca della camera di Tiffany.

All'improvviso ... miaoooo1 Davanti a lui due enormi occhi gialli e minacciosi (da far paura) lo stavano fissando. Erano proprio gli occhi di un gatto affamato che dopo essersi leccato i baffi iniziò a rincorrerlo per tutta la casa. L'elfo corse impaurito e con le ultime forze riuscì a sollevarsi sulla mensola (gesto? ) dei libri in una stanzetta. Appena ripreso fiato, si accorse che dal punto in cui era seduto poteva vedere la piccola Tiffany che dormiva beata e tranquilla, abbracciata al suo orsetto. Elwing finalmente aveva terminato il suo viaggio, che notte di avventure! Prima l'incendio del calzino, poi la scivolata sul ghiaccio, poi lo scontro con la renna e ora questo gatto affamato che lo rincorreva, ne aveva viste delle belle ed era solo il primo giorno ... ma ora era sano e salvo. Finalmente poteva mettersi comodo e aspettare il risveglio della piccola bambina per iniziare la sua missione anche se il suo stomaco continuava a brontolare]

Drin drin drin, Elwing si svegliò di soprassalto, era ancora immerso nei suoi sogni, anche quest'ultimo viaggio di ritorno da San Nicolao era stata una grande avventura.

Drin drin drin era la sveglia di Tiffany che continuava a suonare, anche lei sembrava ancora immersa nei sogni, pian piano apri gli occhi e si stiracchiò, spense la sveglia e prese il suo orsetto, lo portava sempre con sé. La mamma aveva già preparato la colazione e stava per andare a chiamarla, ma Tiffany aveva già sceso di corsa le scale perché non ve-

deva l'ora di aprire la prossima finestrella del calendario dell'avvento, era già il 15 dicembre!

Elwing non si aspettava questa corsa e saltando dalla mensola per inseguirla si prese una storta alla caviglia. "Acciderbolina, sono sempre più sbadato!"

L'elfo stava già pensando a dove nascondersi per non farsi vedere da Tiffany, ma il gatto minaccioso l'aveva già fiutato e con un balzo era già all'inseguimento di Elwing. Il povero elfo dallo spavento spiccò il volo ma non prese bene la mira e "splash" finì nella tazza del latte. Tiffany e il suo orsetto ora erano tutti sporchi di latte, per fortuna era latte freddo.

Tiffany, pensando che era stato il gatto a lanciare la sua pallina nella tazza, si era girata verso di lui con aria minacciosa ed era pronta a sgridarlo, ma poi si ricordò che doveva comportarsi bene perché sicuramente da qualche parte l'elfo la stava guardando per riferire tutto a San Nicolao.

Elwing approfittando di questo momento usci fuori dalla tazza e ancora zoppicante si arrampicò sulla mensola più alta che c'era in cucina, almeno lì era al sicuro dal gatto.

Tiffany a questo punto si mangiò soltanto un biscotto al cioccolato e via di corsa in bagno a prepararsi per andare a scuola.

Quella mattina faceva molto freddo e quindi prese sciarpa, guanti e berretto. Elwing fece appena in tempo ad infilarsi nel berretto rosa di Tiffany per riuscire a seguirla. Passando davanti al parco giochi tutto imbiancato di neve, la bambina vide le sue amiche che stavano facendo una battaglia con le palle di neve. "Ehi Tiffany, vieni a giocare anche tu". Subito, presa dall'entusiasmo Tiffany raggiunse le sue amiche e si divertì moltissimo a lanciare le palle di neve e cercando di non farsi colpire da quelle lanciate dagli altri.

Il tempo a giocare era passato molto in fretta e improvvisamente Tiffany udì in lontananza il suono della campanella che indicava l'inizio delle lezioni a scuola. "Oh, amiche presto dobbiamo andare, altrimenti arriveremo in ritardo a scuola!" disse Tiffany tutta preoccupata. - "Ma no Tiffany perché dobbiamo andare a scuola? È così bello stare qui a giocare. Dai rimaniamo qui ancora un po"'. Certo rimanere ancora a giocare sarebbe stato un gran bel divertimento ma andare a scuola era molto importante ... "Chissà quante belle attività avrà preparato per noi la maestra!" pensava la bambina. "Dai amiche andiamo a scuola, la maestra ci starà già aspettando e se non ci vede arrivare sicuramente si preoccuperà molto. Ho un'idea: ora andiamo a scuola e oggi pomeriggio ci fermiamo ancora un po' qui al parco a giocare tutte insieme e magari potremmo costruire anche un

bel pupazzo di neve. Allora, vi piace la mia idea?" - "Oh ma che brava bambina che sei" pensava intanto Elwing che se ne stava al calduccio tra il berretto e la testa di Tiffany.

Le amiche rimasero un attimo a pensare, poi però capirono che l'idea di Tiffany era la più giusta. Si incamminarono così tutte insieme verso scuola pensando già al bellissimo pupazzo di neve che avrebbero costruito al pomeriggio! "Certo non è sempre facile comportarsi bene - disse Elwing a voce bassa - ma anche oggi hai dimostrato di essere davvero una brava bambina e credo proprio che San Nicolao farà avverare tutti i tuoi desideri".

Il Re Rubino

di Serena Derighetti, Rosanna /aquinta, Elena Mesterhazye Verom·què Piva

"CJera un re, seduto sul sofà c'era un re seduto sul sofà che disse alla sua mamma raccontami dunque una storia che io possa imparare a memoria cosi la mamma incominciò ''.

C'era una volta, tanti anni fa, un regno molto lontano.

Questo regno era uguale a tutti gli altri regni: c'erano tante case, tante persone, tanti bambini, tanti cani, tanti gatti e tanti uccellini ... E un solo re.

Questo re viveva in un grande castello, in cima a una montagna, e si chiamava re Rubino.

Il re Rubino aveva dei baffoni lunghi lunghi e arricciati arricciati.

In testa aveva un'enorme corona, appuntita e piena di diamanti.

Il colore preferito del re Rubino era rosso, e aveva deciso con una legge speciale che ogni cosa nel suo regno dovesse essere di quel colore.

Era rosso il castello.

Erano rosse le case.

Erano rossi i prati.

Erano rosse le strade.

Erano rosse le camice, i pantaloni, le gonne, le mutande e i pannolini degli abitanti.

Erano rossi i piatti, i bicchieri, le forchette e i coltelli.

Erano rosse le collane, i braccialetti, gli orecchini e gli anelli.

Erano rosse le monete.

Tutti avevano tinto i capelli e le unghie di rosso, e ogni giorno facevano il bagno nelle barbabietole per avere la pelle rossa.

Per anni e anni andò avanti così, fino al Natale di un anno lontano. Il re, come ogni Natale, si era svegliato molto presto, per la curiosità di scartare i duecentocinquanta cinque pacchettini rossi ammassati sotto il suo regale albero di Natale rosso. Era corso nella sala del trono veloce come un fulmine, ancora in pigiama, senza neppure indossare la sua bellissima corona appuntita e le sue pantofole morbide a forma di coniglio rosso.

"Maggiordomo111" urlò Rubino. "Attendo il mio guanto e la mia forbice]". Il maggiordomo portò al re il suo guanto speciale per scartare i regali di Natale, e la forbice per tagliare i fiocchi.

Il re iniziò ad aprire i pacchetti: una collana di rubini rossa, uno scettro di oro rosso, un pupazzo a forma di orsetto rosso, un pallone rosso ... Tutto era perfettamente rosso.

Ma all'improvviso, mentre scartava il suo centesimo pacchetto, sentì un terribile suono "Miauuuuuuuuuuuuuuuuuu". Un gattaccio bianco spuntò fuori da una scatolina. Il gattino cominciò a miagolare fortissimo e sembrava molto spaventato. Il re, inorridito, da quel terribile color bianco, si mise ad urlare "Ah1111Perbacco11Cosa vedono i miei regali occhi1" e ordinò subito ai suoi servi di intingere quell'orribile gattaccio nel succo di barbabietola. Il gatto diventò tutto rosso ma, dopo due minuti, si leccò via con la sua linguaccia tutto il succo e tornò a essere bianco.

Così il re ordinò ai suoi servi di vestire il gatto con un pesante giacchino in lana rossa. Il gatto era ricoperto tutto di rosso ma, dopo due minuti, disfò la maglia con i suoi dentacci, e tornò a essere bianco.

Il re andò su tutte le furie. Il suo viso era più rosso del solito per la rabbia. "Un gatto bianco nel mio regno] Non posso crederci1111111111"

Per tutto il giorno il re non fece altro che sbuffare, e non aveva neppure voglia di mangiare. Pensava solo al modo di far diventare rosso quella creatura antipatica.

Il re guardava nel vuoto, e non si era accorto del gattino che era salito sulle sue ginocchia.

Rubino iniziò ad accarezzarlo, senza pensarci. "Devo trovare un modo per far diventare rosso quel gattaccio bianco ... "

Intanto il gatto si sfregava alla sua guancia. "Nel mio regno solo il rosso è tollerato"

Il gatto iniziò a leccarli la mano. "Però .. In fondo è Natale ... "

Le coccole del gattino stavano iniziando a far sciogliere il cuore del re che, d'improvviso, si accorse che stava accarezzando quell'orribile gatto bianco. "Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh 111111111111S to accarezzando il gatto bianco]".

Il gattino starnutì per lo spavento, e il re iniziò a ridere a crepapelle "Ahhhhhhhh1 Che buffo]" . Rubino non aveva mai riso così tanto.

Da quel giorno Rubino e il gatto bianco divennero migliori amici, e il re annullò ogni legge che obbligasse i suoi cittadini a vestirsi di rosso.

E il suo fu il regno più colorato di tutti.

VOCI DALL'ITALIA

Rosa Piemo Bagatelle

lvanPozzoni Frammenti chorastici

Introduzione a Bagatelle

di Gilberto !sella

Bagatella richiama il bagatto - prima carta dei tarocchi - e il bagatto viene inequivocabilmente associato al gioco e all'astuzia. Giocare con la vita, col destino, o in ambito diverso realizzare il suono di una partitura (in tedesco spielen, alla lettera 'giocare la musica'). Si pensi alle celebri Bagatellen di Schubert e Schumann, dove sequenze ludiche stracolme di 'materiale informativo' dimostrano di poter brillare con spiccata efficacia sia pure entro forme ristrette. Miniature il cui senso - musicale o verbale, non fa differenza - si costituisce attraverso un processo idealmente teso all'aforisma, ovvero al noema-sistema aperto ed enigmatico per eccellenza.

Anche Rosa Pierno gioca. Gioca, operando su brevi corpi verbali autonomi (ciascuno copre una lessìa oppositiva), con un'idea di testo promosso a organismo normativo-didascalico di scrittura. Ne evoca i dispositivi emozionali e razionali soggiacenti, lo assume come luogo dell'artificio guidato ma anche (o proprio per questo) luogo del conoscere. Intendo dire quel tipo di conoscenza che, qui più che mai, si aGtuisisce sperimentando l'irrisolvibile instabilità del senso: "Se la successione degli eventi si manifesta senza interruzioni o salti, non si deve per questo pensare che l'instabilità non operi anche sotto la superficie". Nel corpo delle Bagatelle offerte a Opera Nuova (una prima serie è uscita nel n° 9oho15 della rivista "Anterem") il soggetto impicito della scrittura ha qualche tratto che lo rende affine al Monsieur Teste celebrato da Paul Valéry. Ossia quell'esprit libre che "faceva variare, metteva in comunicazione e, in tutto il campo delle sue conoscenze, poteva tagliare e deviare, nominare ciò che non ha nome". Spirito mercuriale, per il quale ogni testo è occasione di dischiusura, dis-velamento.

Una costante di Pierno, messa già in atto in Coppie improbabili (2007), medaglioni dedicati all'arte pittorica dove ogni raffronto tra artisti interpellava l'inestricabile dilemma affinità/ contrasto, è quella di porre la questione della dicotomia (di ogni dicotomia), in termini assolutamente problematici. La dicotomia, cavallo di battaglia della logica classica, s'impone con ironica neutralità nei titoli di ogni bagatella, e tuttavia nello sviluppo testuale, fantasmaticamente argomentativo, si decostruisce in varia misura. Il dogma della 'messa a fuoco' cede ai contraccolpi di 'sfocature' compatibili con la curva mobile del senso. Tra polo positivo e polo negativo passano fasci

energetici devianti e destabilizzanti. Per sostenere la loro effimera identità, i poli si sfiorano, si contaminano a vicenda, si scambiano funzioni e valenze semantiche, cedendo l'uno all'altro particelle di materiale diegetico. Poiché qui la poesia, facile arguirlo, poggia su una virtuale dispositio di occorrimenti narrativi-drammatici, a diversi livelli di serendipità e/ o suggestione memoriale, mentre l'impianto metatrattatistico (di cui ai giorni nostri è stato maestro Giorgio Manganelli) funge da apparato scenico. "Il protrarsi della rappresentazione porta inevitabilmente a sviluppo figure e temi, tuttavia raramente produce configurazioni che non siano mere permutazioni di fanti con re". E se la rappresentazione non fosse appunto che un gioco di carte, con le sue aleatorie posizioni, sotto la regia di un invisibile bagatto?

Nata a Napoli nel 1959, laureata in architettura, Rosa Pierno vive a Roma. Poetessa e critica, collabora come redattrice alla rivista veronese di ricerca letteraria "Anterem" diretta da Flavio Ermini e alla rivista ticinese d'arte "il libretto" diretta da Matteo Bianchi. Tra le sue ultime pubblicazioni: Arte da camera (edizioni d'if, 2004), Trasversale (Anterem, 20061 vincitore della sezione poesia Premio Feronia 2006), Coppie improbabili, Ed. Pagine d'arte, 2007) e Artificio (introd. di G.Isella, Robin Edizioni, 2012).

Rosa Pierno

Bagatelle

Ripetizione/Variazione

La ripet1Z1one è tollerabile nella variazione e la variazione è sopportabile nella ripetizione. L'amorfia è in ogni caso esclusa per la messa in campo di artifici atti a ritardare la decisione. Invertendo marcia, non si avrebbe mutamento di direzione. Sarebbero seriali anche la caduta e l'ascesa. Il cambio di scala, consentendo di creare miniature, ridimensionerebbe il problema. Strizzando gli occhi, seguendo le volute cromaticamente vivide e smaltate, ci si dimenticherebbe del libro, che pure narra di una storia secolare. Esiste, tuttavia, una variazione galoppante che giunge fino alla conclusione e impedisce che la forma si disperda in molteplici finali. Cadrebbero, in questo caso, le discordanze, e tutto diverrebbe coerente. Se, invece, la commedia si riducesse a due sole battute, anche se intensissime, indicatrici di una desolata affezione, non si potrebbe che continuare fiaccamente fino allo scontato epilogo.

Determinato/Indeterminato

Tanto più la trattazione è incompleta tanto più essa deve apparire rigorosa. La rappresentazione della vicenda, dove l'elaborazione lo richieda, porta in regioni sconosciute, delle quali, nondimeno, si desidera fornire un'anticipazione, anche nella ricca veste di preambolo illustrato. Seppure non si giunga mai al cuore del racconto, il motivo si sviluppa a poco a poco come un pane messo a lievitare. Per movimentare il resoconto si può aggiungere il solito ingrediente: l'opposto del buono, il contrario della cattiva. Fantasie, nemmeno perverse, non mancheranno di deturpare l'idea originale.

In timo/Estraneo

I pensieri inespressi non hanno concatenazione, si ammucchiano senza stratificarsi, si mescolano senza fondersi. Sembrano alla fine provenire da un luogo esterno, da una rappresentazione scenica in cui siano coinvolti attori non previsti dalla sceneggiatura. Come note di passaggio, generate dall'appoggio ad altri corpi, paiono anelli ai quali manca per sempre una catena. L'estraneo si configura come personaggio mitico, egli non ha alcuna relazione con la massa di detriti che simboleggia il personaggio principale, il solo a essere dotato di un io lirico. Anche accostando a tale idolatrato soggetto la presenza di un amante, non si ottiene un'armonica tolleranza tra le parti.

Tensione/ Distensione

Ogni proposizione è inficiata al massimo grado dal peso di una piuma, da un granello di polvere che rallenta il portato semantico e invita a ripensare il costrutto espressivo al fine di raggiungere traguardi maggiormente espressivi. Nulla pare in grado di neutralizzare il blocco che tanto grava sia sul versante della tensione sia su quello della distensione. Una pur oggettiva scrittura non potendo farsene carico, né disinnescare il turpe peso della colpa o la squisita ingenuità. L'effetto quasi ipnotico, dovuto a una stasi nell'equivalenza delle due forze, preme lungo direzioni inverse: inferiore e superiore, e non corre sorte di essere risolta, ma perpetrata

Regolare/Irregolare

Con ritmo ostinato e irregolare insiste su una demarcazione artificiosa. Dopo averla creata, la conficca nel suolo per darle l'aspetto di ciò che preesisteva. La creazione consiste in uno sbarramento e separa le cose intonse dalle rotte, gli eventi reversibili dagli accadimenti che non ritorneranno mai più nello stato precedente. Ancora vengono in soccorso doti di miniaturista che consentono di separare ciò che può riaversi da ciò che è definitivamente andato. Dove si situi l'io lirico è questione altrettanto speciosa, che risente dell'aleatorietà della domanda. Spesso si verifica una sovrapposizione dell'esistente con l'inesistente. Anche se i colori sono smorti sempre. Si può dire che accada in maniera frammentata ciò che aveva all'inizio attitudine regolare: lo si nota da un cromatismo più acceso, vermiglio unicamente nelle sue punte più alte, nelle sue mire più fulgide.

Sta bilitàllnsta bilità

Se la successione degli eventi si manifesta senza interruzioni o salti, non si deve per questo pensare che l'instabilità non operi anche sotto la superficie. Sente la pelle fremere, il battito accelerare, pulsare le tempie. Le metamorfosi presuppongono un'incessante motilità, un contraddirsi continuo che nessuna cosa lascia sussistere com'era. L'aumento vertiginoso dell'incertezza causa l'anelito a raggiungere uno stato di calma piatta. La metamorfosi non esclude, di certo, la forma unitaria, essa ne è come lo sviluppo inevitabile, il sensuale prospettare, l'anelito al perdurare. Non è, infatti, detto che ciò che muta divenga sostanzialmente altro, anche se la cosa si trasforma in maniera così estensiva da divenire irriconoscibile. Un lieve desiderio corre lungo i polpastrelli: sente che il corpo diviene arboscello.

Arresto/Svolgimento

Svolgimenti passano attraverso le forche caudine della coatta prosecuzione. Eppure, l'idillio non evolve. Il protrarsi della rappresentazione porta inevitabilmente a sviluppo figure e temi, tuttavia raramente produce configurazioni che non siano mere permutazioni di fanti con re. Diminuzione degli accadimenti, modulazione di sentimenti, tendenza eccentrica degli ossessivi pensieri formano un'esplosiva miscela a cui si suole dare nome di tresca. Nella conclusione non sarà d'alcun ausilio esprimere un coerente pensiero, visto che le ferree leggi che legano le scisse parti sono già determinate. Peraltro, non è escluso il caso che si faccia della conclusione un nuovo inizio, che si voglia rigiocare la partita solo per restare sul medesimo impiantito. In ogni caso, il finale è presto congegnato. Esiste una conclusione ed è caratterizzata da uno scioglimento delle avverse situazioni. Nel finale si osserva, infatti, la cosiddetta chiusa, che a sua volta apre allo stato di quiete.

Aumento/Diminuzione

Solo di straforo si può parlare di aumento e diminuzione per un vortice di temi, figure e voci che variano per lievissime cellule di senso, mai formando stabili figure. Non sarebbe comunque impossibile disquisire di simmetria. Sarebbe un gioco di abilità, attuato con velocissime sostituzioni. Due o più voci formerebbero un dialogo e si direbbero per questo complici; in una sorta di specchio si mirerebbero con acuminate parole per colpire il carnale bersaglio. Altro discorso si deve imbastire per le voci di accompagnamento che sperequano sempre la partita innescando gelosia e rimpianto.

Inizio/Fine

Le introduzioni agli svolgimenti possono contenere anche i finali. Esse somigliano a transizioni che aggettano verso le inevitabili conclusioni, rendendo più fluido e scorrevole il materiale narrativo e più familiari i concetti: segnalano ciò che si presenterà nel prosieguo della lettura eliminando ogni meraviglia. Rendono edotti sulle modalità di avvicinamento al tema centrale. Se nel finale sono presenti elementi che sorprendono il lettore, essi sono stati giustapposti a viva forza a metà dello svolgimento. Altre cose potrebbero essere state inserite successivamente, pur sembrando che siano state sempre presenti, avvenimenti che non erano stati previsti nella fase ideativa, ma scaturiti nell'atto stesso della scrittura, dopo che tutto era oramai finito.

Connesso/Sconnesso

Non è desumibile una regola che riguardi ciò che è legato e ciò che è scisso. Ciò che è fondamentale e ciò che è ininfluente. Tuttavia, ciò che è connesso non si sleghi e ciò che è sconnesso non si mescoli; varrebbe altrimenti la consuetudine opposta: si abbattano tutti i recinti, si celi il volto con una mascherina di velluto rosso. Relazioni s'incrociano e divergono, si confondono, sottolineano i punti periferici, deprimono quelli centrali, suscitano creste che si smorzano senza spegnersi. Nel loro libero gioco, il senso si ricompone continuamente e forma rivoli. A volte, però, evapora e non si sa come procedere.

A ttimo/Etemità

Quanto più si è in grado di accumulare impressioni e percezioni, tanto più ci si avvicina all'eternità senza distinzioni, senza intervalli o sparsi frammenti. Ci si accosta al totale con piccoli passi, ripetizioni, digressioni, ritorni senza motivo. In questo modo si può anche pensare che ogni singolo istante appartenga al totale, che l'eterno si esperisca ascoltando, che guardando si tocchi, che toccando si senta. Potere immaginifico della proiezione disegna ghirigori e labirinti in cui, fra le alte siepi di mortella, perdersi è dolce come in alto mare.

Con tin uazionellnterruzione

Per bloccare qualsiasi sviluppo, non si può semplicemente interrompere la narrazione, eliminando tutto ciò che si era nel frattempo accumulato e aveva agglutinato un senso imprevisto che reclamava una verità morale. Il senso aveva avuto modo di incrostarsi sulla roccia delle occorrenze e delle ripetizioni, donando spessore a corposi accadimenti, pertanto, ora, non si può omettere o ricominciare come se nulla fosse stato. Significato alligna come corallo o fluente alga e lievita nell'onda. Ciò che si genera a dismisura non finisce, solo si estende, come finito amore.

Ivan Pozzoni Frammenti chorastici

All'osteria dell'amore solido

Piccolo amore mio, solido, tu, oggi, cadevi e io non c'ero, a sostenerti, coi miei bicipiti aggressivi di barbaro delle foreste del Nord, la faccia dipinta di azzurro, distesi nello spasmodico berserksgangr del bere dal cranio dei vinti, inizia tutto con un tremolio, il battere dei denti e una sensazione di freddo, rabbia immensa e desiderio di assalire il nemico.

Piccolo amore mio, fragile, tu, oggi, cadevi, e c'è un'osteria dietro casa nostra, tutta brianzola, il tuo nuovo mondo, c'è un'osteria che serve cento e cento tipi di risotti da spalmare sulle tue ferite e sulle tue ginocchia sbucciate, dove io, uomo tassativo, riesco ancora ad interpretare ogni oscurità ambrata nei tuoi occhi da bimba saggia, a manipolare il caleidoscopio delle tue iridi, scoprendo, volontariamente, il fianco alla daga della tua artica lucidità.

Se non è un'osteria, il nostro amore, ci assomiglia: mangiamo e viviamo, retribuendoci, a vicenda, vittorie e sconfitte, hòtellerie, viavaiamo e mangiamo, finché l'oste Godan, il dio dei «poeti» ostinati, sbattendo un boccale di idromele sul tavolo non ci inviti a danzare al W alhalla, Mocambo a contrario, danzare lontani, alla fine dei mondi, tu tornerai alla freschezza semplice del tuo mare, ondivaga Sirena caetana di sabbia, e a me non graverà sullo zinco la terra umida di nebbia della valle senza salite o discese.

Nelle antiche osterie dell'amore solido continuano a mescere nebbia e acqua-di-mare, fuori temporaleggia, fulmini e tuoni, liquefatto dal nubifragio tutto si stinge, e noi, mangiamo e viviamo, viavaiamo e mangiamo, al riparo, nella

nostra riserva di felicità, consapevoli che, restando sospesi nell'aria, a lungo andare, i cristalli di ghiaccio brumosi confluiranno nel mare.

Il mio ex-fratello è tornato mio cugino

Ho un ex-fratello, tornato semplice cugino, che lavora a Mediaset, è un tipo molto responsabile, ha avuto la faccia tosta di farsi mantenere un vita intera, fingendo di lavorare nella ditta brianzola del babbo, filiusfamiliae scatenato, in Mazda, Porsche, o Bmw, con contratti mensili da 4.000€1 guadagnati in azienda a scrivere di wrestling nascosto nello sgabuzzino, irraggiungibile, del capannone, senza saper fare una n/ c.

C'erano babbo e zio, a spezzarsi schiena e cuore di fatica, a babbo s'è spezzato il cuore in azienda, invalido, trapiantato a sessant'anni, a zio s'è spezzato il cuore nel sonno, chissà cosa si sogna quando madama Morte ti accompagna al cimitero senza avvisare?, lui, fortunatamente, ha scarso cuore, senza emozioni o sentimenti da infartuare.

Il mio ex-fratello, tornato cugino di centesimo grado, ha sfruttato schiene, cuori, altrui biografia, pubblicista della nuova generazione, cioè incapace di scrivere un articolo senza errori di ortografia, dopo tre tentativi di rimanere in Università, tre esami totali sostenuti, diventato opinionista, telecronista di wrestling e calcio, o contenuti (contano i contenuti delle buste fattura del trimestre),

costretto a amministrare il capannone, in absentia, buttare 4.000€ di surplus sarebbe autolesionista, mettendolo sull'orlo del burrone, ha fatto un passo avanti, ciuccio manager addestrato al circo equestre.

Però lui è l'eroe indiscusso dell'intera famiglia: è stato in televisione e manda il babbo, trapiantato, a sporcarsi il cuore nuovo di carbone, s'era creato, truffando operai, fisco, ex-fratelli e fornitori, una nuova new.co, da cui è fuggito senza remore non rimarginando il buco di (circa) 1.000.000 di€ che ha lasciato in disastrosa eredità a babbo, famiglia, operai: a chi in televisione non ci va.

Non ti pago il copyright, Simone

«Non mi importa niente dei bambini del Burchina Faso che muoiono di fame» e a me non frega un cazzo dei banchieri con le mani sporche di letame.

«Non ne voglio sapere delle mine antiuomo», immagino, ahimé\ ora che stai sdraiato all'ombra d'un lumino.

«Se si scannassero tutti a vicenda sarei contento» nah~, fidati, avresti meno spazio attorno al tuo, di monumento.

«Voglio solo salute, soldi e belle fighe. Giovani belle fighe, è chiaro», con 1'€ in caduta libera ti servirebbe una montagna di danaro.

((Che gli appestati restino appestati, i malati siano malati» e i dipendenti di ogni istituzione condividano la sorte dei cassintegrati.

((E i bastardi che vivono in un polmone d'acciaio» con cui, magari, adesso condividi il verminaio,

((fondano come formaggio in un forno a microonde»

vorrei esser nel W alhalla a farti un milione di domande.

«Voglio bei vestiti, una bella casa e tanta bella figa». La vita trendy - ti ricordo - ti ha trainato via in autolettiga.

«Buttiamo gli spastici giù dalle rupi», in modo che nasca una nuova razza di Ciclopi?

«Strappiamo fegato e reni ai figli della strada» e lasciamo arricchire capitalisti avidi come barracuda.

«Ma datemi una Mercedes nera con i vetri affumicati», cazzo, in cambio hai avuto un carro funebre Ducati.

«Niente piani per la salvaguardia delle risorse energetiche planetarie». Tranquillo, continuiamo a respingere, senza remore, le nostre deleghe accomandatarie.

« Vorrei solo scopare quelle belle liceali che sfilano tutti i sabato pomeriggio» (Quali? Le finte pasionarie che lasciano il bmw ben nascosto in un parcheggio?),

«con la bandiera della pace. Non ho soldi e la botta è finita» e coi soldi ti sei giocato a poker anche la vita.

«Ma sono un uomo rapace, per le vacanze pasquali» dopo aver pagato sedici rate di tasse comunali

<<quindici milioni di italiani andranno in ferie lasciando le loro comode case vuote» lrpef, T.a.r.e.s, lmu, T.a.r.i avranno lasciato baracche ricche di banconote.

«Alla fine non sono razzista» la razza, nei morti, non è oggetto d'intervista,

«bianchi, neri, gialli e rossi non mi interessano un granché». e alla fine ho adempiuto al debito d'introdurti in versi un minimo engagé.

Quando davanti ai miei versi bastardi si solleveranno i gruppi letterari i redattori di Atelier, i democristiani, i versatori in settenari, e nessuno avrà compreso che ci ha accomunato una gran fragilità

che scrivere questi versi non è indice di offensiva aggressività, manda a tutti, tutti i mezzi-uomini, un terremoto di scherno sacerdoti e democratico-cristiani ti hanno collocato in pieno inferno, o se davvero esiste un Dio che trasformi i suicidi in semi-dei, mandami una vita intensa e combattiva da dove cazzo sei.

Il terremoto

Sono stato condannato, dall'alter ego di Ponzio Pilato, a mirare, alza il cane), col bracco a destra e il fucile a sinistra, a uno stile dinoccolato, a una stilo bizzarra, osti), non diventerò mai Dmitrij Sergeevic Merezkovskij, ad alzar, ostinatamente, l'asticella come Bubka non si rischia l'atterraggio in sottoboschi, tutti russi, i miei nuovi modelli, tutti dalla steppa, tutti Sergey non vorrei svegliarmi una mattina ed accorgermi d'essere gay a forza di alzare asticelle e d'avere a che fare con l'asta, vendere il culo ogni giorno a scrittori arroganti mi basta.

Cosa cazzo vuol dire che devo scrivere terremotato? Mi devo trasferire in baracca nell'Abruzzo non ancora ricostruito, le tangenti, in Italia, non si toccano mai, si organizzano in home banking anche la sana bustarella, sfidando la geometria piana, è diventata un fenomeno di trading. Ho tentato di scrivere una serie di versi, agitare il Pc, e buttarlo dalla finestra l'ho riacceso, trovandolo illeso, e nei word scopro sempre la stessa minestra, una scrittura surgelata come i maxi sacchetti della Orogel, con una forma flessibile simile alla scadenza di una busta di wurstell, nei centri distributivi, scaduta la busta, cambiano etichetta la mia è una scrittura calorica che condanna all'ingrasso ogni buona forchetta.

I miei versi saranno abbastanza bislacchi? C'è chi mi confronta con Cecco,

chi con Cécco Bèppe, anti-artista irredento, chi a Esenin, chi a un lanzichenecco, a volte io faccio fatica a equipararmi a me stesso, mellifono usignolo stonato, sarà forse il mio essere aquila a rendermi un terremotato?

L'alieno

Dei fari si accendono allo sbocco della tangenziale di Milano stride un rumore di impatto al suolo, brucia il terreno non è l'inondazione del solito Seveso a creare rumor d'uragano è sbarcato un alieno.

Arrivano in loco ambulanze e carabinieri richiamati dalla confusione, l'attracco di un Unidentified Flying Object non è un consueto risvolto; dalla torre di Cologno Monzese arrivano celeri i fanti della televisione l'intervista esclusiva su Mediaset Premium amputerebbe ogni indice d'ascolto.

<<Dottor Alieno» - sgomita il giornalista pubblicista - «ha intenti di belligeranza?», nella speranza di strappare all'alieno una firma gratis sulla liberatoria; «Somaro mio» - risponde l'alieno - «secondo te sarei sbarcato in Brianza se avessi avuto intenzione di conseguire anche una mezza vittoria?».

«Sono un alieno, e vorrei lanciare un messaggio alla vostra nazione, che, insieme a Grecia, Portogallo e Spagna è terrona dell'Unione Europea, la Bea (Banca centrale aliena) è disponibile a favorire stock option - come dite voi - in modo che ogni banca d'Italia, attuata una ricapitalizzazione, abbassi i tassi di interesse ai conti correnti, irritando i colon dei milioni di risparmiatori italiani fino a crear loro una recessiva diarrea».

La giornalista trentenne, in minigonna e scollatura di rappresentanza tenta di interrompere l'alieno con una domanda d'ordinanza: costui, puntando col medio, le manda un fulmine, sparita, via, com'era abituata, di tanto in tanto, a sparir sotto qualche scrivania.

«Punto due della Bea - continua l'alieno - dovrete incrementare ogni forma di flessibilità, cioè usate un flex o una mola Bosch sui sorrisi di chi spaccia disoccupazione sotto la falsa retorica dell'opportunità: dall'era Craxi hanno esaurito ogni credibilità. Se volevate mandare l'Italia a troie tanto valeva tenersi in Camera Ilona Staller e smettere di votare, come ciucci, i microcefali epigoni sinistra-centrodestra della Merkel affrontando sul Transatlantico, MonteTitanic, la punta dell'iceberg della recessione».

<<Punto tre della Bea - conclude l'alieno -, se da Arcore arriva Berlusca neanche inizio non vorrei, tra le varie nipoti di Mubarak, incappare in un'odissea nell'ospizio (di Cesano Boscone) o se da Firenzi mi arriva il Fonzie con la faccia da cassamortaro non vorrei spendere milioni di alien-dollari in detersivi a cercar di smacchiare un giaguaro, dovrete vendere le Alpi alla Svizzera, il Tirreno alla Corsica e l'Adriatico ali' Albania e svuotare l'oceano di un debito pubblico col cucchiaio della gerontocrazia».

All'improvviso a sirene spiegate arriva un'autolettiga della Croce Verde Pavese due nerboruti infermieri, attenti a schivare medio e media, incamiciano l'alieno genovese che, divenuto immediatamente alienato, interrompe il discorso e si incammina tranquillo. Come cazzo hanno fatto a confondere messaggi d'alieno con un comizio di Beppe Grillo?

Il destino di Siface

Tito Livio, contro Polibio, si compiace di spiegarci il destino di Siface.

La cronaca: raccontiamo i meri fatti come farebbe Govoni coi suoi fiori soddisfatti.

Gli antefatti: Scipione attiva Massinissa e Lelio contro un Siface costretto a dare er mejo.

Per Siface, in Magnos campos, è amarissimo il boccone d'essere sconfitto al Bagrada insieme ad Asdrubale Giscone: Postero die Scipio cum omni Romano et Numidico equitatu Masinissamque Laelium expeditisque ad persequendos Syphacem atque Hasdrubalem mittit militum.

Catturato Siface la resa di Cirta è certa i cavalieri di Lelio stravincono in trasferta la disfatta è colpa di Siface: nisba! ci finisce in mezzo Sofonisba costretta a ingurgitare una tazza di veleno come nel Critone fece Socrate senza esserle da meno.

Scipio C. Laelio cum Syphace aliisque captivis Romam misso, cum quibus et Masinissae legati profecti sunt, ad Tyneta rursus castra refert ipse. Siface è imbarcato verso Roma, caput mundi incarcerato da una catena di gerundi, a Zama c'erano Mazetullo e Ticheo e Siface stava a Tivoli Annibale ebbe volatili da diabetici, cioè cazzi amari, e a Cartagine furono davvero cavoli.

Morte spectaculo magis hominum quam triumphantis gloriae Syphax est subtractus, Tiburi haud ita multo ante mortuus, quo ab Alba fuerat traductus.

Dove stanno bene i fiori? In un vaso: non servivano ventisei versi a distruggere il Parnaso.

Equitaglia

Nella terronia d'Europa, l'itaglia, siamo tornati in clima di piena Inquisizione, se abbiam sventura di trovare un cedolino verde nella cassetta della posta il non sapere mai cosa ci aspetta riduce i disgraziati in stato di fibrillazione: multa, comparizione, istanza di suicidio, cartella di un'imposta magari inventata, la sera prima, dalla Corte dei conti Vlad non so, una tassa sulla disoccupazione, sull'aria, sull'usura degli ipad, ogni nuova tassa rende la confessione di reddito una sorta di sciarada da strappare sotto l'attenzione vigile del novello Torquemada, di solito burberi esattori InEquitalia o finanzieri con la terza elementare addestrati, con l'esperienza delle escort, a scovar qualcuno da succhiare.

Facciamo i conti coi conti Dracula, i conti con 945 inutili bare, che si difendono, art. 671 dietro un cervellotico divieto di mandato imperativo un divieto che all'italiano medio ha il sapore del divieto di mandar tutti a cagare, il referendum, scientemente, essendo consultivo, abrogativo, mai destitutivo consente che il bene statale diventi un beneficio da dinasta servono soldi a pippar cocaina, andare a zoccole/trans, cenare a caviale ed aragosta, e i servi della globa(lizzazione), incatenati agli uffici di collocamento, a vivacchiare con 1.000€ al mese non hanno nemmeno l'energia di protestare

contro una classe di dominatori corrotti, ignoranti, ridotti a meri pr tanto mediocri da far pena addirittura alle Br.

Facciamo i conti, ad esempio, con una delle nuove originalissime vaccate il redditometro è l'ultima versione della gogna che, con una tolleranza del 20% tra uscite e entrate equipara, senza un minimo di vergogna, il disoccupato che, con 1.000€, ne spende 1.201 il crasso dirigente di Equitalia che, con 1.000.000€ di reddito, ne

spende 1.200.001 ballano, insomma, 199.800€ tra i due evasori "virtuali", che, ai fini della lotta all'evasione, meritano nel nostro ordinamento i medesimi strali, l'uno, magari, in un attacco di idiozia, per essersi mangiato a colazione due brioche, l'altro, impunito viveur per mantenere nei due box di Montecarlo sette Porsche, terrorizziamo i redditi bassi, con continue lettere di certificazione, tanto mister 1.000.000€ di reddito non manca dei mezzi d'affittare l'intera Cassazione.

Davanti ad uno stato usuraio che massacra, indistintamente, in nome dell'equità fiscale il disoccupato che lavora in nero e l'amministratore delegato di una multinazionale non resta che tirare un'amara, disperata, conclusione: la camorra, almeno, chiede i soldi in anticipo e ti garantisce protezione.

«Disoccu-nati»

Dovevo una manciata di versi ad un valente ragazzo campano che, certamente, deluderò non usando la mia recente rima corrosiva vorrei cementarmi, in versi di cimento armato, sulla scottante tematica del «disoccu-nato».

Cos'è il «disoccu-nato»? Vorrei essere Jorge Francisco lsidore Luis Borges Acevedo, io che Acevedo e che Acesento, e redigere un magnifico elenco:

i «disoccu-nati» sono: (a) appartenenti all'Imperatore (Equitalia), (b) imbalsamati, (c) introvabili oltre Cortina, d'Ampezzo, (d) tagliati al flessibile Bosh, (e) di una generazione che niente chiede e niente otterrà mai, (f) ... , (g) cani randagi, (h) stagizzati o stragizzati, che è uguale, (i) della stessa diffusione degli autori slovacchi sponsorizzati in un famoso blog da [S], (f) scomparsi nel nulla come la IX Legio Hispana, (g) dove stanno bene i fiori: di fuori, (h) della stessa consistenza di una s.a.s., G) senza la i (cioè Natural Animals Treatment), (k) in continua ricerca di uno stabile collocamento (ufficio), (I) nato è meglio di Pato, o Pato è meglio di nato (chiedere a B. Berluschina), (m) che hanno rotto il vaso, e, senza vaso, dove stanno bene i fiori?, (n) et cetera, (o) abitatori del tempo e non dell'ospizio.

Dovevo una manciata di versi a Mariano, Mariano non studiare: la laurea è un errore di gioventù, Mariano non strillare: «sazio e disperato con o senza TV», Mariano non svaccare: tutte le vacche non sono matte e tutte le matte non sono vacche, Mariano non mollare: non ti servirà a niente cambiare decine di casacche.

Odin: Non avere altri dèi di fronte a te. Non ti farai idolo né immagine: niente Amici o Uomini e Donne. Dva: Non pronunciare il nome del Signore tuo Dio lvan(o). Tri: Santifica tutti i giorni di disoccupazione. Cetyre: Onora tuo padre e tua madre, e le loro pensioni. Pjat': Non ucciderti. Sest': Non commettere adulterio, niente atti impuri, insomma, non commettere atti. Sem: Non diventare deputato o senatore del Regno. Vosem: Non dire falsa testimonianza contro il tuo prossimo, menti in ogni altro caso. Devjat': Non desiderare il divorzio del tuo prossimo. Desjat': Non desiderare la casa del tuo prossimo, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo, insomma, rapina solamente - come la nostra amata nazione - chi non conosci.

Dovevo una manciata di versi a Mariano, che non mi accuserà di essere un epigono d'un epigono d'un epigono zanzottiano è che alle 03.31 di notte, dopo una bottiglia di Sangria sono ubriaco come l'ignoto poetastro lucano non degno di nota che alita aerofagia, e se mi si sfida sul ring dello sperimentalismo si rischia di trasformarmi in uno spietato fautore del super-capitalismo mi costringi a scrivere, Mariano, che cazzo studi a fare filosofie: diventa un esperto di bilancio creativo o uno spacciatore di tossicomanie.

I redattori di V anity F air escono in Mondadori

Ho smesso di scrivere in versi, senza avere ancora compreso la differenza tra un verso e un non-verso, leggendosi, entrambi, da entrambi i versi, dal 20/09/2014, e siamo, oramai, alle 04.00 abbondanti di una mattina fredda del 18/ 02ho15.

Spinto dall'urgenza di finire una bottiglia di amaro Montenegro, mi riorganizzo amaro, Lucano, nell'ineluttabilità della Pharsalia, nell'amarezza di un mondo dove nessuno conta niente tranne Cesare e Pompeo, dove nessuno conta, l'uomo, in qualsiasi conta, è sostituito da macchinette infallibili.

Ho scoperto di essere amaro: ironico, sarcastico, amaro buffone, nell'era della crisi della «poesia», vate-closed, accendo micce, da Pietro Micca, che micca esplodono all'istante: restano inavvertite - come mi faceva notare oggi Ambra, in Iran o in Cina l'arte è causa di omicidio di stato in Italia, al massimo, sintomo di stato di suicidio dell'artista militante. Desidero essere condannato a morte, in modo che ai miei versi sia dato valore irriverente e ribelle, e condannato alla resurrezione, in modo che due neo-stronzi a Emmaus trovino spazio in televisione.

Non desidero diventare redattore di Vanity Fair, uscire in Mondadori con un volume su come non rimanere single,

vorrei che i miei versi siano temuti, retribuendo terrore a terrore, come cecchini appostati davanti al Parlamento, in fondo, di decretinisti, ne basterebbero anche cento, meglio un blow-job di una troia che un job-act di una troika a mandare avanti una nazione sulle rotaie del fallimento.

Marketing e markette

Sopra a un blog assai sdoganato, tutto si sdogana dopo Schengen, oramai i contenuti dell'arte italiana son decisi dagli yesmen, ci si chiede, in acribia, con discorsi senza sbocco come mai una Cavalli si sia trasformata in brocco.

Partì al trotto, da ragazza, disperando les bonshommes, apparendo e scomparendo, come fanno les fantòmes, col fantino giusto, di cartello, imbroccò il galoppatoio e firmò contratti, a iosa, con diffida al mattatoio.

Le Cavalli son cadute sull'altar dell'abbazia coi Frati(ni) ci(ste)rcensi a cantar la litania non si abbeveran al maniero, si son date alla maniera di racimolare schèi sventolando la criniera.

Fare versi non dant panem solamente a noi carneadi: nessuno urla cave canem se la borsa è dell'Einaudi.

L'attesa spasmodica

Inizio i miei versi con la frase: l'attesa è spasmodica, ché se l'attesa è modica non conduce a una vita spasmica, e attendendo mi faccio attendente, cavalier servente dell'arte ufficiale, spizzicando bastoncini di surimi e un bicchiere di Bellini, la rima è servita, non occorre nemmeno il rimario Virgilio Parole, mi butto direttamente dalla finestra del verso senza dover fare capriole.

L'attesa m'attende, e, stando sull'attenti, con massima attenzione, ho scoperto che Mondadori ed Einaudi, i maggiori critici, il lettore mi darebbero ruolo di artista laureato se scrivessi versi di diverso spessore, tipo De Angelis, facendo un mischione insensato di emozione, sensazione, erezione in modo da consegnare sempre in tempo nuovi volumetti e incassare assegni senza l'imbarazzo che il significante dello scrivere a mischioni sia solamente uno scrivere «a cazzo».

Proviamo, con la nuova metodologia: tre righe senza senso, e una riga mia, ingannare il lettore non è un reato che distrugga la coscienza se il 99% dei lettori, oramai, non sia malato di immunodeficienza, cerco di aprire il vocabolario «a cazzo» e, dotatomi di un'alta dose d'androfobia, decostruisco i miei testi incipitando da un termine estratto a sorte, l'unica fregatura è che ho a casa solo il dizionario di Greco antico e vorrà dire che mi laureerò (come cazzo si scrive?) grande artista tra lingue morte.

Apro, e come incipit del testo esce il termine krateo: ho capito, va', non ho il talento di scrivere da sadduceo.

VOCI DAL MONDO

Sergio Wax Poesie da Terra e Sale

Sergio Wax Poesie da Terra e sale

il nostro tempo si frantuma, cede

Il nostro tempo si frantuma, cede la dimensione chiara dell'azzurro all'urto della macchina. Giochiamo le speranze come dadi gettati su una tavola consunta. È un falso tentativo risolvere il problema con anonimi lucidi cavilli di forma e di potere: la distruzione continua metodica, fossili sgretolati i nostri voli chiusi nel cristallo.

la ragnatela di luce che gioca

La ragnatela di luce che gioca sul fondo muta i dorati rilievi di sabbia come brezza misteriosa Si liquefano spazi e tramonti impalpabili. Ci guidano alle origini tracce dimenticate, nascoste nelle pieghe di fenomeni semplici, descritti, misurabili a peso e intensità. Si rovescia il rapporto: dal numero torniamo all'infinito come bambini in cerca d'una fonte.

corto il nostro respiro

Corto il nostro respiro. La speranza scandisce il ritmo ignoto di metafisiche immortalità. Il gallo canta ancor prima dell'alba: già nel liquido amniotico sono i germi del tempo. Incerti sogni di luce, armature di vana indifferenza, vertici di paura, brevi slanci. Non siamo mai preparati alla fine.

memorandum per una contestatrice

Il tempo non patisce sofferenza: solo a noi tocca d'essere le vittime anche se (e quando) giochiamo ai tiranni. È naturale il sopruso, ci lievita dentro come inutile gramigna, non basta rivestire l'invettiva dei panni candidi dell'innocenza. Nella radice è la nostra speranza: la terra e l'acqua ove si piange e muore, ove i colori ti dicono gioia o rinuncia. Qui il canto si distende in toni azzurro verdi, le fatiche nascondono valori sconosciuti, si odia ancora, ma il ritmo è del giorno. Non ci riscatta, Joan Baez, la protesta: il baco rode il torsolo, distrugge.

avremo i nostri mentori

Avremo i nostri mentori. Nel tempo si dissolvono colpe e iniquità. rimane il gioco dell'oggi: imbandita la mensa i convitati recitano a soggetto - un ignoto copione già stilato battuta per battuta In un varco qualunque aperto nella roccia risuona l'innocenza di un'onda bianca, appena immaginata.

da Venezia

La verità rimbalza tra le regole asettiche, dipana una matassa di sofismi e di dubbi impietosa distorce congetture nuove ed antiche, svuota l'esperienza d'ogni cristallo. anche un'ipotesi data per certa è solo gioco mutevole di luci e prospettive. Qui tuttavia disegnano perfetti eterni cerchi, i colombi, si vive un placido scirocco, un accettarsi semplice e muto, da creder quasi a favole chiare, rivissute.

ricresce sempre l'albero

Ricresce sempre l'albero della superbia. Amarissimo frutto (il tentativo inutile di raggiungere chiare verità è fallace in partenza) il nostro esilio freddo, esasperato, e la favola antica d'esser tutti fratelli raccontata per gioco, in girotondo. La violenza continua: attraversiamo il tempo, ormai cacciati da un paradiso mitico, perduto.

è tempo d'erosione

È tempo d'erosione che scandisce alle spalle il suo ritmo lentissimo incompiuto mentre il cerchio si chiude. Rimbalzano i minuti tra le cose << il pane si fa pietra non si spezza » accendono i cortei aspre luci al tramonto. Ne riconosci il senso: è tempo d'erosione, si frantuma il potere, il vostro turno, speranza breve, è chiuso.

il tempo ritorna

Il tempo ritorna a svolgere la notte soffocando ogni grido per un mattino lucido ancora fresco e intatto di trasparenze azzurre e puliti contorni ecco al risveglio pietra su pietra la città disarmata riceve l'insulto della nostra solitaria esistenza.

l'arcobaleno è solo gioco d'acque

Il tempo ha una curiosa dimensione: quella del cerchio che ci ruota attorno. Non vale prepararsi a nuovi miti lucidi e chiari, a distese di fiori, a lasciare i tormenti, a riscattarci soltanto con un gesto: rimangono nel centro le radici aggressive del vivere, l'arcobaleno è solo gioco d'acque.

anche se le parole lentamente

Anche se le parole lentamente sembrano abbandonare il nostro tempo sempre ci rimarrà !'indicibile canto dell'infanzia a tratti suscitata da un ramo che si sfoglia da asparagi selvatici sottratti ai roveti sul ciglio dei sentieri. Abbiamo visto insieme mille giorni di sole e di tempesta vivi comunque, in lucida follia. Altri forse verranno e li vivremo male soffrendo il lento distacco e l'inguaribile ansia di vivere tutte le età. Già non contano i suoni. Basta il placido respiro delle lance che il mare culla al ritmo della luna e non sarà parola

quando giunge il momento

Quando giunge il momento d'un cantare pulito sulle acque come fresca rinascita di vento forse anche il tempo perde ogni pericolo e il respiro s' acqueta, frammento indistruttibile dell'ampio nostro ritmo inesausto. Così luce ritorna tra le cose quasi ogni giorno alla ricerca dell'antica madre e d'un amore limpido, nascosto.

Autoritratto

Un'alba chiara, da me germinerà forse ancora, tra l'uva e gli aranceti. Questa è l'attesa, amorosa madre: ci fa calare il nostro tempo, adagio nelle tue braccia d'ombra e all'improvviso, mentre l'azzurro impassibile accende le pietre a fuoco bianco, una gazza ghermisce rauca il canto alle cicale, il sole picchia semplice, assoluto. Scenderò solo, col cappello in mano .

a me stesso

Non sarà mai difficile capire il suono acuto e freddo dell'astratta giustizia, della logica. È l 'angoscia insondabile che preme empie come un disastro vecchi corpi caduchi, cavando verità dai nostri schemi labili e imbiancati. Forse è soltanto breve passaggio di follia: riprenderà la danza delle immagini sul gigantesco schermo, quasi al limite del nostro muro d'ombra.

Sicilia tragica

Ombre di notte, aspettate. Non chiudetegli gli occhi. Il mio ululato è vecchio di centomila anni. Ho visto il sangue ritornare alla terra. Il pianto non lava le ferite la violenza e la morte non lo temono. Ombre di notte, aspettate. Mio figlio deve parlarmi, la sua bocca è sale e fatica. Non voi l'udrete: le pietre e le mie mani l'ascolteranno. Il mio ululato è vecchio non dovete coprirlo. Legno da ardere le nostre ossa, , delitto le nostre paure. Ombre di notte, inghiottite anche me.

Fanciulla dietro i fiori

Forse mia figlia anche tu che nascondi la bocca dietro un mazzo di fiori e non sorridi che tocchi appena una foglia in silenzio respirando l'estate.

lasceremo alle spalle

Lasceremo alle spalle frantumi di speranze, segni del tempo, albe intatte e disperse. Avremo consumato i nostri giorni: luci brevi, difficili ombre smorte di sassi e di colori. Ancora illeso sgorga fontana dissepolta, un canto a rinnovare la leggenda: inaudibile voce corre quasi insensata tende la corda antica slitta fra i nostri dubbi bianca s'adagia, assorta in un sorriso .

non di me parlerete

Non di me parlerete che m'avrà già sconfitto il vano tempo trascorso e !'ombre lunghe: cercherete una traccia nelle pagine antiche, una radice in quel poco di voi che scarne dita potranno raccogliere. Sarà come tornare ai vivi giochi dell'aria tra le foglie, per un attimo solo rimandato l'incontro col potere. Non a me penserete aspettando in silenzio un giorno opaco: e l'orlo della sera vi schiuderà assorte fantasie.

a mio figlio per il secondo compleanno

Il tuo sorriso nuovo, Gabriele, ce lo porta il mattino come ciliegia fresca gocciolante sul lino della tavola. Così va il tuo rumore per le cose: arcobaleno folle inconsapevole che scivola incantato sciame d'argento e grida nel giardino.

La nuvola

Le forme all'alba scuotono la polvere del buio, rinascono alla luce. È lo sfarzo del sole che distrugge il velo strappato, il sogno ondeggiante; s'infiltra, proietta ombre distorte ai muri, ripercorre la sua parabola tesa, t'afferra, t'aggancia al suo ritmo rivela lo scenario; infine un altro brumoso tramonto snoda il suo cavo d'acciaio neutrale e senza storia mentre l'atteso soffio della notte taglia appena la siepe e si dilegua.

SCRITTURE SU SCRITTURE

Per una difesa della parola. Note in margine alla lettura di Non date le parole ai porci. Prove di libertà di pensiero su cose della mente e cose del mondo di Cesare Viviani

di Mariarita Buratto

Di ogni cosa perfetta ho visto il limite (salmo 119,96).

Il versetto 6 del capitolo 7 del Vangelo di Matteo da cui deriva il titolo di questo ultimo libro di Cesare Viviani dice testualmente:

Non date ai cani le cose sacre, né gettate davanti ai porci le vostre perle, perché non le calpestino con le loro zampe e si rivoltino a sbranarvi.

Dunque nel titolo c'è un bisticcio fra "parole" e "perle". Viviani non è nuovo a questi giochi di parole, la sua prima fase poetica è tutta attraversata dalla ricerca di una nuova verità nel linguaggio che si manifesta anche in questi slittamenti semantici: solo per fare un esempio, in Fiumana, opera pubblicata da Guanda nel 1977, c'è un poemetto che ha per titolo Odora il padre. Ma se in quella prima fase l'effetto poteva essere comico, qui è una cosa molto seria: alle "perle" del testo evangelico si sostituiscono le "parole", la somiglianza di suono fra "perle" e "parole", che giustifica la sostituzione, spalanca un universo nuovo di significato, e fonda una sorta di equivalenza fra le perle del testo evangelico e le parole cui si riferisce Viviani. Le perle evangeliche sono i misteri sacri: se le parole sono perle da non dare ai porci allora le parole contengono una luce, una forza, un valore che non si possono sprecare.

Nella prefazione a / racconti dei Chassidim, un libro molto presente alla sensibilità di Viviani, Martin Buber scrive che a un rabbi, il cui nonno era stato discepolo del Santo Baalsham, fondatore del Chassidismo, era stato chiesto di raccontarne una testimonianza. «Il rabbi racconta che suo nonno era storpio, ma volendo raccontare che il Santo Baalsham era solito saltellare e danzare mentre pregava si alzò e raccontò e il racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e danzando come facesse il maestro. Da quel momento guarì»'.

' M. Buber, I racconti dei Chassidim, Garzanti, Milano 1979, pag. 3-4.

Così allora devono essere le storie: devono avere la forza di far guarire. Nelle parole, nelle storie che di loro si compongono, c'è una guarigione, una forza che salva, un possibile riscatto.

Mi piace pensare che questo libro, così ricco e vario, così umile e alto, come I racconti dei Chassidim, sia un libro sapienziale, che ha il suo nucleo generativo e la sua forza nell'esperienza e nella multiformità della vita oltre che nella volontà di comunicare, di mettersi a disposizione dei lettori con il suo bagaglio di esperienza e conoscenza. Questa volontà, se abbiamo ancora davanti agli occhi il titolo, è testimoniata dalla forza della funzione imperativa, che rivolge un invito perentorio ai lettori, destinatari del divieto, tutti i lettori di un libro che si descrive umilmente come un tentativo: "Prove di libertà di pensiero su cose della mente e cose del mondo".

Questo libro nasce dunque da una considerazione altissima della parola, per il poeta strumento di lavoro come il marmo per Michelangelo: la poesia, come l'analisi psicanalitica, come il tessuto delle relazioni che sono il cuore della vita, è fatta di parole. Perché le parole non perdano il loro valore devono essere rispettate nella loro autonomia e difese attivamente dai parlanti, che, appunto, non devono darle ai porci, devono difenderle come un bene prezioso, delle perle appunto, dagli attacchi del conformismo, della mercificazione, della svalutazione.

Con un'allegoria bestiale di matrice dantesca, Viviani disegna i tratti dell'antropologia del porco, vorace inghiottitore di parole che poi usa solo per i suoi obiettivi2 , con un crescendo che culmina con l'identificazione nel mafioso del porco per antonomasia3 : di fronte a questo orrore «bisogna imparare a tacere e a ritirarsi, lo sguardo abbassato come davanti a una brutta cosa»4 • Bella variazione del dantesco «Non ti curar di lor, ma guarda e passa». Ma, nonostante i tratti dei porci restino espressionisticamente incisi nella memoria del lettore, l'attenzione limpida dell'autore è volta a contrapporvi i tratti luminosi e chiari di un diverso tipo d'uomo: non "vorace", non centrato solo sui suoi obiettivi, decentrato rispetto al suo io, capace di accettare i limiti di sé e della vita, accolta nella sua finitezza, immersa nella natura che lo sovrasta. La proposta di un decalogo alternativo alle tavole del Sinai definisce con icastica leggerezza questo modo d'essere e di relazionarsi, adatto a ciò che l'uomo oggi sa di sé e del mondo5 •

92. ' C.Viviani, Non date le parole ai porci, Il Melangolo, Genova 2014, pag. 89 e go e

3 C.Viviani, op. cit., pag. 104. 4 C. Viviani, op. cit., pag. 93. 5 C. Viviani, op. cit., pp. 50-51.

È un libro apparentemente semplice, che non si lascia catturare in un discorso, è come la vita che scorre minuto dopo minuto, giorno dopo giorno: porta le tracce del mutamento, mantenendo alcuni motivi di fondo, su tutti la consapevolezza che nelle cose umane nulla è come sembra, nemmeno le categorie più alte cui ci affidiamo nella nostra vita, i sistemi di pensiero, le religioni. Qui V iviani è un vero "maestro del sospetto", per attribuirgli la definizione che Paul Ricoeur aveva dato di Nietzsche, Freud e Marx. Ogni giudizio, ogni interpretazione, ogni verità possono essere ribaltati, e bisogna quindi cercare altrove se si vogliono dei fondamenti: è l'insegnamento della psicanalisi, il dato della presenza dell'inconscio che fonda un limite nuovo a partire dal limite dato, che siamo finiti, che finiamo.

Stefano Verdino, acuto lettore dei versi di Cesare Viviani, a proposito de L'opera lasciata sola, mentre rileva la ricerca di un'espressione semplice e elementare ma che non suona mai banale, sottolinea il «coraggio storico di questa scelta verso la povertà formale da una parte e la pienezza e frontalità del discorso dall'altra»6. Mi pare che queste parole descrivano molto bene «il tono confidente e affettuoso di questo libro», «il forte impulso affettivo rivolto sia alla materia del dire sia al lettore>?.

Il libro è diviso in due parti, presentate con un ordine cronologico inverso, prima la più recente, Lemmario e diario (2008-2013), poi la più lontana nel tempo, Pensieri e aforismi (1997-2003), e questa seconda parte va a ritroso, a passo di gambero si potrebbe dire, perché prima ci sono un gruppo di pensieri e aforismi datati 2000-2003, un secondo gruppo datato 1998-1999, un terzo breve gruppo datato 1998 e un quarto datato 1997.

Questa parte intitolata Pensieri e aforismi (1997-2003) non rappresenta una novità nel lavoro di Cesare V iviani: la propensione per il pensiero appuntito e fulminante, come possiamo definire l'aforisma, era presente già in Pensieri per una poetica della veste, edito nel 1988 da Crocetti. Ma anche nei testi di poesia, annunciata nelle ultime pagine de L'opera lasciata sola, diventa dominante la tendenza a una poesia-pensiero, che si sviluppa verso raccolte di testi brevi come luminose schegge meditative inseriti nell'impianto poematico del discorso poetico.

In un'intervista del 2010, Viviani mi diceva le ragioni per cui ha sempre prediletto l'aforisma, forma asistematica fragile proprio perché breve. Mi diceva che «la forza dell'aforisma è la qualità perentoria

6 S. Verdino, La distanza del nome, Campanotto, Udine 2001, pag. 10. 7 L. Anceschi, La metafora onirica, in La nuova metafora, in "marka", 24, aprile

1988, pp. 13-14.

dell'affermazione, che però con la sua brevità mostra subito anche la precarietà da cui è circondata, per cui non diventerà mai un'affermazione soverchiante, convincente, una sopraffazione del pensiero sul pensiero di chi legge, perché la brevità ne garantisce il mantenimento della fragilità. Gli aforismi sono accensioni, illuminazioni, squarci che affondano in un buio circostante che impedisce di conoscerne i precedenti e il seguito, per cui restano come sospese nel vuoto ... Se il pensiero è breve, non è così espanso, articolato e diffuso, non è onnisciente e onnipotente, ma è come un grido, come una voce, può essere pure una voce alta, una voce forte, però mantiene e mostra tutta la sua nudità, la sua fragilità»8 •

La prima parte del libro, Lemmario e diario {2008-2013) 1 è davvero nuova e per certi versi sconcertante: c'è una continua variazione, mai casuale, di temi e di situazioni, enunciati da un titolo che spesso, rispetto a quello che segue, è una sorpresa. Colpisce l'assoluta concretezza, la materialità da cui nasce la riflessione, alla presenza di uno sguardo penetrante che registra e osserva le scene della vita e le riconduce pazientemente all'unità e alla coerenza di un insegnamento. I motivi di fondo, come ripresi e modulati da strumenti musicali diversi e svolti con una tecnica che richiama il contrappunto, vedono come dominante, una specie di basso continuo, il tema del limite, inteso in tutte le sue accezioni: è il limite dell'esperienza e della possibilità umana, presente in ogni attimo dell'esistenza; è il limite della vita, della conoscenza, cui si oppone altissimo il sentimento dell'onnipotenza dei singoli, nel nostro tempo declinato anche come dittatura della scienza e della tecnica.

La non accettazione del limite e la paura della morte, che è il limite estremo, si manifesta nelle molte facce e incarnazioni dell'attaccamento che Viviani non manca di descrivere.

Anche la poesia è esperienza del limite:

Poesia si ha quando la potenza del linguaggio o del pensiero riesce a mostrare anche il limite di sé, il niente che l'accompagna: così questa potenza espressiva ... manifesta la sua ricchezza, lo splendore e insieme la sua caducità9.

M. Buratto, L'artigiano dell'invisibile: incontro con Cesare Viviani, in Comunicare Letteratura, Osiride, 3, 2010, pp.72-73.

C. Viviani, op. cit. , pag. 41.

L'essenza della poesia è una vertigine, la vertigine che si prova di fronte all'abisso del vuoto. Allora se l'essenza della poesia è inafferrabile, si può ben dire che l'essenza della poesia è l'esperienza del limite 1° .

E lo è anche la parola, nella sua meravigliosa autonomia:

Ogni parola ha in sé un limite, un vuoto, una parte che è e rimane incomprensibile 11 •

E lo sono le relazioni, tutte, tra genitori e figli, amici, coniugi.

Il tema del limite è articolato accanto a quello del vuoto, percepito anche qui, come in tutta l'opera poetica di Viviani, come struttura fondamentale dell'esistenza:

Il vuoto sta alla vita come l'aria, l'ossigeno: senza il vuoto non c'è vita" .

Molte riflessioni sono dedicate alle fughe messe in atto per sfuggire quel vuoto che è poi la nostra origine e il nostro compimento: dai compiti più banali della vita quotidiana alle costruzioni più alte di senso è tutto un tentativo di riempire il vuoto.

"Dacci oggi il nostro compito quotidiano" ... Il compito fondamentale del compito è quello di riempire il vuoto. Anche la meditazione, anche il rilassamento, anche l'ozio possono essere compiti, sono compiti13 •

E poco più sotto:

La domanda che ci accompagna e ci pungola tutta la vita è quella dei genitori: "Li hai fatti i compiti?"14

Vengono rapidamente delineate scene di vita che disegnano i contorni della città (Milano), con particolari curiosi come la visita a un negozio di scarpe, Billa (da non confondere con Billon, l'insegna di un nuovo supermercato vicino a casa sua, la mappa della zona di Milano coi nomi delle vie percorse in auto col padre durante un trasloco, il flash di due anziani che attraversano in tram la città, l'istantanea di

'° C. Viviani, op. cit., pag. 21. 11 C. V iviani, op. cit. , pag. 69. " C. Viviani, op. cit., pag. 69. ' 3 C. Viviani, op. cit , pag. 46. •• C. Viviani, op. cit., pag. 46.

«donne che si alzano dai sedili dei treni per prepararsi all'arrivo: e hanno quasi tutte i tratti di guerriere» '5 .

Alcune immagini sono memorabili per la loro plasticità, come ad esempio Ferrata:

Il pensionamento spezza una continuità introducendo la discontinuità. Allora bisogna trovare rimedio e trovare una fratica quotidiana a cui aggrapparsi come alla fune di acciaio nelle ferrate' .

Oppure:

Chi. .. vuole conservare tutto e non separarsi da niente è chiuso e pieno, rotola nella vita come un otre?

Una parte abbastanza omogenea di riflessioni è dedicata alla vecchiaia e alla malattia, di cui si indagano con ironia gli effetti paradossali.

L'impressione caleidoscopica che dà questo libro non deriva solo dai temi, ma anche dalla variazione del registro linguistico e della modalità con cui è scritto il lemma: può essere una interrogazione, vera, retorica o disgiuntiva, seguita o meno dalla risposta; può essere una proposizione seguita o da una negazione o da una conseguenza da essa deducibile; quasi sempre il ragionamento procede in modo dilemmatico, per antitesi o contrasti.

Alcuni lemmi sono particolarmente perfetti nella loro definitività, e hanno il pregio di rivelare in modo diretto, cioè mentre e dove nascono, sensazioni che sono all'origine di immagini ricorrenti nelle poesie più alte di Viviani, ad esempio Spavento:

Nella mia vita ho spesso avvertito uno spavento. Ora arrivo a capire cos'è: è lo spavento di essere in un mondo in cui sono attorniato da rocce che hanno milioni di anni e da alberi plurisecolari, mentre negli anni ho visto tanti essere umani, amati o solo conosciuti o sconosciuti, scomparire per 18 sempre .

Oppure Bellezza e salvezza:

Alla fine la bellezza è la nostra salvezza. Perché infatti devi temere di diventare limo, sostanza minerale, parte di quella vita nascosta sotto la coltre

•s C. Viviani, op. cit., pag. 40. '" C. Viviani, op. cit., pag. 99. 7 C. Viviani, op. cit., pag. 112-113. '~ C. Viviani, op. cit. , pag. 52.

di foglie cadute che, per i suoi tanti colori, distesa rosseggiante e rilucente, ti sembra così bella?'9 .

Mi sembra che sia da sottolineare, ed è un fatto nuovo nella scrittura di Viviani, la presenza nella scrittura del racconto dell'io, implicita o diretta, senza diaframmi o nascondimenti; è un io che si espone, si confessa (bellissimo il «Sono diventato brutto e ingombrante come l'altare della patria»!20 ), racconta episodi della sua vita, osserva e registra atteggiamenti e fatti mai gratuitamente: è un io che ha deposto qualunque tratto narcisistico, ha accettato la sua giusta misura all'interno del mondo e della natura, ha affermato come un valore fondamentale la sua uguaglianza con gli altri uomini.

In conclusione mi pare che la difesa della parola da cui muove il testo sia solo un esempio, un modello della più generale necessità etica e poetica di affermare, rispettare e difendere l'altro, ogni alterità che incontriamo nella nostra esistenza: la natura, la vita degli altri, esseri umani e animali, la parola. A partire da noi stessi, che siamo sempre altro rispetto a ciò che crediamo di essere.

' 9 C. Viviani, op. cit. , pag. 56. 20 C. Viviani, op. cit. , pag. go.

Storie geometriche. Quando la scrittura creativa incontra la matematica a scuola

di Laura Branchetti e Matteo Viale*

1. Scrittura creativa a scuola e trasversalità

Uno dei pregiudizi più forti trasmessi dalla tradizione scolastica è che italiano e matematica rappresentino materie separate che non possono dialogare e che un muro invalicabile divida l'ora di italiano da quella di matematica. Un simile pregiudizio risulta radicato, anche se negli ultimi decenni si sono accumulate esperienze sul campo e ricerche in ambito didattico che hanno evidenziato inequivocabilmente la necessità di un lavoro condiviso tra insegnanti di lettere e insegnanti di materie scientifiche nell'ottica di un rinnovamento dell'educazione linguistica. Ciò vale in particolare per la matematica, nell'apprendimento della quale la componente linguistica svolge un ruolo fondamentale, documentato ormai da una ricca bibliografia scientifica.

Oggi, anche i documenti ufficiali della scuola sottolineano la necessità di un approccio interdisciplinare al sapere, con programmi trasversali in cui vi sia un'effettiva interazione tra discipline; d'altra parte è ormai evidenziata l'esigenza di un'educazione linguistica effettivamente trasversale, che non sia cioè fine a se stessa, ma in cui il lavoro sulle abilità linguistiche (leggere, scrivere, ascoltare e parlare) rappresenti uno strumento per accedere al sapere nel suo insieme.

In questo contributo ci soffermiamo tuttavia su un particolare aspetto della possibile collaborazione tra educazione linguistica e matematica, cioè sulla scrittura creativa come chiave di accesso alla matematica attraverso l'espediente narrativo. Vorremmo qui far riflettere sul fatto che è possibile creare occasioni di scrittura creativa a scuola anche a partire da contenuti legati alla matematica. Sulla base di una documentata esperienza realmente realizzata in alcune classi, sugge-

• Laura Branchetti ha scritto i paragrafi 2 e 4, Matteo Viale i paragrafi 1 e 3. Gli autori ringraziano le insegnanti Katia Tarozzi (Scuola Primaria "G. Serotti", Osteria Grande, Bologna), Alessandra Romoli (Istituto Comprensivo di Castel San Pietro Terme, Bologna), Monica Turati (Istituto Comprensivo di Verano Brianza, Monza e Brianza), Daniela Mundo (Istituto Comprensivo "A. Sassi" di Renate, Monza e Brianza), Alessandra Ansaldi (Istituto Comprensivo di Barzanò, Lecco) per la disponibilità a svolgere nelle proprie classi la sperimentazione didattica alla base di questo contributo.

riamo l'idea che, se ben condotto da un punto di vista didattico, un esercizio del genere può risultare di utilità anche dal punto di vista dei contenuti scientifici e offrire spunti importanti sia all'insegnante di italiano che di matematica. Se da un lato l'attività di scrittura, anche creativa, può ancorarsi con profitto a contenuti matematici, dall'altro, la matematica può beneficiare di un approccio creativo, tanto più utile proprio perché troppo spesso ignorato dai metodi tradizionali.

2. Serve creatività per fare matematica? «Per spiegare bene la matematica si devono raccontare delle storie». Così Cédric Villani, matematico francese, premiato nel 2010 con la medaglia Fields, parla della matematica ad un giornalista che gli chiede per quale ragione sia proprio lui, uno dei matematici più noti e bizzarri tra i contemporanei, l'ospite d'onore del Lucca Comics 2013.

L'associazione tra matematica e creatività è fin troppo semplice. Al centro della ricerca artistica e scientifica c'è uno stesso cuore pulsante, che è proprio la creatività. Nonostante troppo spesso la bellezza e la curiosità abbandonino le aule scolastiche al suono della prima campanella per lasciare spazio a calcoli e formule difficili da apprendere, nella matematica e nella scienza la creatività ha un ruolo importante, anche ad altissimi livelli, soprattutto quando si parla di scienza "vera", di ricerca "pura". Deve essere messo in evidenza la relazione che si instaura tra didattica e l'apprendimento e il rapporto intimo e personalissimo che ogni matematico ha con la scoperta. Come il matematico esplora la sua immaginazione alla ricerca dell'idea, dell'invenzione, della definizione giusta, allo stesso modo lo studente deve avere modo di essere creativo e di giocare con le sue idee matematiche. Per citare le parole del matematico Giorgio Bolondi, «l'esposizione troppo formalizzata di una teoria non dà nessuna idea di quella che è, in realtà, l'attività mentale del matematico. [ ... ] L'importante è l'attività personale degli allievi: non si impara a fare matematica ascoltando una lezione purificata, ma manipolando oggetti matematici [ ... ]. Noi cediamo sempre al miraggio dei programmi messi a punto con cura e pensiamo che un corso ben strutturato sia il fine ultimo della nostra pedagogia. [ ... ] Quello che conta, non è solo la quantità e la qualità del nostro lavoro, ma la quantità e la qualità del lavoro dello studente, lavoro in cui mette in campo le sue capacità, i suoi punti di forza e di debolezza».

E se un modo per fare matematica con le proprie mani, con le proprie parole, con la propria immaginazione e con la propria fantasia fosse quello di scrivere una storia matematica, con protagonisti numeri

pazzi o figure geometriche dai lati lunghissimi e la testa che sfiora le nuvole? Queste storie potrebbero vantare almeno un antenato illustre, uscito nel 1884 e famoso ancora oggi, dopo 130 anni: il bellissimo romanzo di Edwin A. Abbott, Flatlandia. Racconto fantastico a più dimensioni.

Quando si affronta il tema della creatività e della lingua legato all'apprendimento della matematica, l'attenzione si rivolge in particolare al fatto che gli studenti prendano confidenza con il linguaggio della matematica. Infatti, la lingua usata dagli studenti in matematica (assieme al lessico specifico) può diventare un vuoto "matematichese", stereotipato e privo di significato, appreso mimando l'insegnante o il libro di testo.

Se si trascura il linguaggio e il rapporto degli studenti col testo, sia esso letto o prodotto, si rischia che negli studenti si consolidi l'idea della matematica «come un cerimoniale da compiere scrivendo, piuttosto che come una realtà da capire pensando», per usare le parole del matematico Mario Dolcher. Un distacco progressivo dal testo indotto dall'uso ripetuto di un linguaggio prodotto da altri, non personalizzato, scarsamente interiorizzato, porta con sé una progressiva perdita della capacità di pensiero e di riflessione, l'impossibilità di produrre frasi che abbiano un vero e proprio significato per lo studente. D'altra parte, come sostiene la psicologa del pensiero matematico Anna Sfard, il pensiero è una «forma individualizzata di comunicazione interpersonale»; se manca la comunicazione interpersonale a causa di un linguaggio che non si sente proprio, il pensiero scompare.

Le storie, la creatività, la narrazione, la scelta fantasiosa delle parole, del contesto, dell'esempio possono perciò avere un ruolo decisivo anche nell'apprendimento della matematica. Matematica che, in fondo come ci svela Bruno D'Amore nel suo libro Matematica, stupore e poesia - non è altro che una particolare, eccezionale, forma di poesia.

3. Storie geometriche e strategie narrative degli studenti Per capire come la matematica e la scrittura creativa si possono intrecciare abbiamo chiesto ad alcuni insegnanti di scuola primaria e secondaria di primo grado di proporre ai loro studenti di completare una storia, che iniziava in questo modo: «C'era una volta un triangolo, che si sentiva a disagio perché era basso e tutti gli altri triangoli erano più alti di lui. Un bel giorno incontra una circonferenza ... ».

Abbiamo così raccolto circa 80 storie, scritte da bambini e ragazzi di istituti scolastici della Lombardia e dell'Emilia-Romagna:

10 storie scritte a coppie da bambini di una classe IV primaria (Verano Brianza, Monza e Brianza); 12 storie scritte da studenti di una classe di II secondaria di primo grado (Barzanò, Monza e Brianza); 18 storie scritte individualmente da bambini di una classe II primaria (Renate, Monza e Brianza); 12 storie scritte da coppie di bambini di una classe IV primaria (Castel San Pietro, Bologna); 26 storie scritte individualmente da bambini di una classe IV primaria (Osteria Grande, Bologna).

Se si guarda alle strategie narrative scelte dai bambini per svolgere il compito assegnato, si può notare come risulti ricorrente nelle storie l'idea della solidarietà che si instaura tra il triangolo "basso" e la circonferenza che prova ad aiutarlo a risolvere il suo problema. Frequente è la condivisione tra le due figure di una diversità: se il triangolo si sente basso, la circonferenza è spesso discriminata per essere una figura senza lati in un mondo di poligoni oppure è vista come sovrappeso per la sua rotondità (non a caso, una delle storie analizzate parla ad esempio di «una circonferenza bella cicciotta di nome Rotondella»).

Come è naturale aspettarsi per la sensibilità dei bambini, è la favola il modello ricorrente, con la conseguente - e altrettanto naturale - antropomorfizzazione delle figure geometriche. Nella linea narrativa ricorrente, la condivisione di un sentimento di discriminazione porta il triangolo e la circonferenza, protagonisti delle storie secondo la traccia assegnata, a stringere amicizia. In alcuni casi si frappone fra i due una qualche figura di "bullo" (in molti casi il rombo, visto come «grosso e antipatico»).

Gli sviluppi narrativi proposti dai bambini sono sostanzialmente di due tipi: nel primo caso, la circonferenza cerca di risolvere il problema del triangolo, mentre, nel secondo caso, il triangolo assume consapevolezza della propria diversità e impara ad accettarla, spinto dall'aiuto della circonferenza o dagli eventi.

Per quanto riguarda le soluzioni proposte, è frequente il ricorso a una qualche figura magica in grado di risolvere il problema del triangolo nei modi più fantasiosi: il "tagliapunte" in grado di smussare i lati del triangolo oppure qualche figura di medico/ mago che trova una cura («Loro conoscevano una dottoressa di nome Miriam, che allungava le forme geometriche, allora tutti insieme andarono da lei»). Ma in altri casi la circonferenza aiuta il triangolo a trovare da sé la soluzione, che può essere la ginnastica che porta il triangolo a svilupparsi in altezza oppure lo studio che gli fa crescere la testa e quindi lo allunga («studio

così tanto che gli si ingrandì il cervello e diventò molto più alto degli altri triangoli, fu fiero di lui per la prima volta in tutta la sua vita»). In alcuni casi la soluzione è più sottile e fa riferimento alla natura geometrica delle figure e alle loro proprietà, come dividersi o unirsi ad altre figure per formarne una nuova.

Di grande interesse anche le storie che al posto di una soluzione al problema preferiscono condurre il triangolo ad accettare il fatto di essere "basso": ne nasce un elogio della diversità che dà alle favole un forte valore morale e civile. La rivelazione può arrivare tramite qualche figura di saggio («arrivò un maestro di geometria che gli spiegò che ogni figura ha la propria forma, caratteristiche indispensabili diverse e che la cosa importante è che tutti rispettino le regole!11») oppure essere il frutto della consapevolezza legata a un'esperienza decisiva, come una gara o una gita («a Geometrilandia incontrarono tutte le forme del mondo, sia quelle alte che quelle basse: il triangolo e la circonferenza divennero felici perché erano tutti di altezza diversa»; «tornarono a casa propria, felici e contenti, perché avevano capito che potevano stare insieme nonostante le loro differenze»).

Sono possibili varianti a queste due strutture narrative prevalenti, come una storia in cui il triangolo, che si sente discriminato perché ha tutti i lati uguali in un mondo di triangoli "alti", stringe amicizia col decagono (che di lati uguali ne ha dieci)), creando risentimento nella circonferenza, che scioglie l'amicizia e si allontana lasciando un biglietto che recita: «Rotolo via perché voi siete troppo pungenti!!!».

Anche dal punto di vista linguistico è la favola il modello ricorrente, specie nei bambini delle primarie. Ciò emerge in particolare nell'uso dei tempi verbali, coerente con il modello favolistico, con la prevalenza dell'imperfetto per descrivere lo sfondo narrativo e del passato remoto per la vicenda vera e propria, usato anche se la consegna proponeva un presente («Un bel giorno incontra una circonferenza ... »).

Se la favola è il modello ricorrente delle storie, non mancano tuttavia ragazzi che si rifanno a serie televisive o cartoni animati, in una sorta di involontaria fan fiction. Notevole il caso di un ragazzo del primo anno di secondaria di primo grado che sviluppa un lungo racconto di ambientazione fantasy.

In generale, pur con alcune eccezioni, l'uso delle risorse linguistiche è vivace e spigliato (si pensi ad esempio all'onomastica, spesso esuberante, ma anche a molti commenti ironici e alle chiusure ad effetto), in linea con l'entusiasmo che ha caratterizzato la scrittura in aula delle storie e all'età degli autori.

4. Quale matematica troviamo nelle storie? Attraverso le storie la matematica può diventare divertente e le figure geometriche possono diventare personaggi quasi umani. Appropriandosi del testo, facendolo proprio, scegliendo i vocaboli, giocando con le parole e i loro significati, gli oggetti della matematica e le bizzarre proprietà delle forme geometriche, gli studenti di tutte le età possono entrare in contatto coi loro pensieri, riflettere, tirare fuori le loro convinzioni e mettere in gioco le proprie conoscenze geometriche.

La struttura narrativa suggerita dalla traccia ha portato quasi tutti i bambini coinvolti nella sperimentazione a far diventare le figure degli amici che corrono al parco o che si confidano segreti e si aiutano a vicenda sfruttando le loro "proprietà". Questa umanizzazione della matematica permette ai bambini di prendere confidenza con le figure e di sperimentare che le proprietà delle figure geometriche non sono solo lunghi e noiosi elenchi, ma caratteristiche che possono diventare molto utili, come si può vedere dagli esempi riportati di seguito.

Nelle storie scritte dagli alunni, fantasia e proprietà delle figure si danno man forte, permettendo agli autori di creare episodi divertenti e ironici in pochissime righe. In alcune storie occorrono alcune conoscenze matematiche per cogliere il lieve sarcasmo di alcuni personaggi, come il segmento che non vuole aiutare il trapezio a dividersi in due triangoli o il triangolo che girandosi diventa a volte alto, a volte basso.

In quasi tutte le storie, anche se la consegna non richiede una vera e propria soluzione, si tenta talvolta di fornire una soluzione al problema del triangolo basso che vuole diventare alto. Tanti personaggi, alcuni di contorno, altri protagonisti, hanno un ruolo nella strana soluzione.

Come si fa a far diventare più alto un triangolo che si sente basso? Innanzitutto bisogna capire in che senso un triangolo può essere considerato basso. Basso e schiacciato, basso e un po' cicciottello? Nei due casi ci sono soluzioni diverse) Un triangolo cicciottello non può far altro che fare una dieta o farsi schiacciare un po' da un pesce martello, mentre un triangolo basso e un po' schiacciato ha una seconda chance ... girarsi) I triangoli hanno tre altezze e non una sola, e hanno sempre almeno tre chance per essere considerati alti. Alcuni sono più fortunati da questo punto di vista, altri meno)

Un'altra strategia molto diffusa consiste nel fare sposare il triangolo con altre figure, in modo che, uniti per sempre, possano essere assieme più alti e più forti. Ci sono poi, come elementi di contorno che arricchiscono la storia, piccole creazioni fantasiose che fungono da espedienti narrativi o grandi trame studiate nei dettagli che si sviluppano passo passo. Il numero di lati è usato per dare più importanza, talvolta

più potere, alle figure, anche perché un numero di lati maggiore è visto anche come sinonimo di area maggiore (contrariamente a ciò che è valido in matematica, ma in perfetto accordo con le figure stereotipate da libro di testo, spesso convesse e tondeggianti, quando non esattamente regolari). Alle figure con più lati vengono trovati però sempre anche difetti, facce deboli della stessa medaglia. Così il pentagono diventa un temibile e prevaricante invasore, i dodecagoni altezzosi personaggi che si collocano ai piani più alti dei musei, mentre la circonferenza a volte è sminuita per il fatto di non avere lati. Anche i sottilissimi segmenti e la retta trovano spazio in questo carnevale di proprietà, il primo temibile «prepotente che voleva dividere ogni triangolo in due parti uguali», la seconda persona] trainer per far dimagrire il triangolo o la circonferenza. Retta che nella fantasia degli autori vive nel pianeta delle rette, «che essendo infinito era molto, molto lungo»)

Nelle tante storie trovano spazio talvolta anche proprietà geometriche non elementari che gli studenti chiamano in causa molto sapientemente, mentre altre volte le proprietà vengono attribuite un po' ingenuamente o frettolosamente. Il triangolo, ad esempio, ((aveva comunque tante capacità: tre lati, tre angoli, tre vertici. Poteva ruotare senza perdere la forma». In questo esempio, le proprietà diventano capacità e l'ultima affermazione ("invarianza della forma per effetto di rotazioni nel piano euclideo", in termini tecnici) è un'importante proprietà delle figure geometriche da apprendere nella scuola primaria.

D'altra parte, il triangolo isoscele viene spesso identificato come un tipino magro e molto alto, che ha il lato minore sempre sul pavimento, come se avesse delle scarpe e dei piedi. Sappiamo invece che non solo questo non è sempre vero, ma in generale i triangoli equilateri sono isosceli pur non avendo le caratteristiche di magrezza e altezza degli isosceli presi in considerazione di solito.

Si potrebbe erroneamente pensare alle storie sulle figure geometriche come un'attività esclusivamente ludica e, in una certa misura, "artificiale" , una sfida proposta dall'insegnante e raccolta dagli studenti. In realtà alcune interessanti ricerche sull'apprendimento della matematica hanno mostrato che molti studenti tendono naturalmente, spontaneamente, a umanizzare le figure geometriche per poterle immaginare e poter dare una base intuitiva a ciò che ascoltano, cercando in qualche modo di avvicinarle alla loro esperienza quotidiana. Così, per intuire cosa significa "altezza" , alcuni studenti devono immaginare triangoli con teste e piedi, oppure, per dare un senso all'area, le figure geometriche devono avere una pancia o una cornice. Ciò risulta utile, anche se può portare talvolta a una comprensione non pienamente corretta dei concetti matematici, le cosiddette "misconcezioni" che attività didatti-

che come quella proposta possono contribuire a far emergere, fornendo utili spunti di lavoro all'insegnante di matematica.

Sembra quindi che anche nella mente del bambino che impara la matematica sui banchi di scuola ci siano, sotto sotto, delle storie matematiche ... e che possano riservare delle interessanti sorprese)

Nota bibliografica

Per una presentazione dell'educazione linguistica trasversale si veda il volume di Cristina Lavinio, Comunicazione e linguaggi disciplinari. Per un'educazione linguistica trasversale, Roma, Carocci, 2004. Un esempio recente di esperienze e ricerche è rappresentata dalla parte del III volume Quale didattica per l'italiano?, a cura di Marcello Ostinelli, Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, Dipartimento formazione e apprendimento, Locarno, 2015.

Il romanzo che ispira questa sperimentazione didattica è Flatland. A Romance of Many Dimensions di Edwin Abbott (Oxford, Basil Blackwell, 1884 trad. it. Ffatlandia. Storia fantastica a più dimensioni, traduzione di Masolino d'Amico, Milano, Adelphi, 2003). Un precedente didattico di simulazione letteraria in classe a partire da Flatlandia è documentato da Monica Longobardi, Finzioni, "Italiano & Oltre", 1990/3, pp. 10 4-105.

Per quanto riguarda la didattica della matematica, si rimanda a Elementi di didattica della matematica, a cura di Bruno D'Amore, Bologna, Pitagora, 1999. Una riflessione sulla creatività in matematica è presentata da Giorgio Bolondi nel contributo Siamo tutti uguali di fronte alla matematica? al ciclo di conferenze "La matematica e la vita quotidiana" (conferenze tenute a Piacenza nell'ottobre 2007, edito nel 2008 a cura di Teresa Siche! e Paola Testi Saltini). Il ruolo della comunicazione interpersonale nello sviluppo del pensiero è ampiamente discusso nel volume di Anna Sfard, Thinking as communicating. Human development, the growth of discourses and mathematizing, Cambridge, Cambridge University Press, 2008 (trad. it. Psicologia del pensiero matematico. li ruolo della comunicazione nello sviluppo cognitivo, Trento, Erickson,

2009).

APPENDICE DI TESTI: ALCUNE DELLE STORIE RACCOLTE

[1] Amici p er la forma C'era una volta un triangolo che si sentiva a disagio perché era basso e tutti gli altri triangoli arano più alti di lui.

Un bel giorno incontrò una circonferenza bassa, di nome Laura.

Parlarono a lungo e Gianni il triangolo le raccontò la sua storia; quella di Laura era uguale, cioè soffriva perché era più bassa delle altre circonferenze; allora decisero di diventare amici.

Il giorno dopo andarono al parco e cominciarono a giocare: Laura rotolava come una ruota giù per lo scivolo, mentre Gianni scavalcava l'altalena facendo capriole avanti e indietro, usando le punte.

Si divertirono un sacco, poi tornarono a casa per pranzare; dopo pranzo Laura si fermò a casa di Gianni a giocare con i lego. Proprio in quel momento, il postino portò una lettera a Gianni che la lesse: "Ciao Gianni, sono il tuo amico Carlo, il rettangolo, ti invito a casa mia; se vuoi puoi portare qualcun altro con te, a me va bene" .

Andarono tutti e due a casa di Carlo e giocarono insieme tutto il pomeriggio.

Alla sera tornarono ognuno a casa propria, felici e contenti, perché avevano capito che potevano stare insieme nonostante le loro differenze.

[2] Lamentele geometriche Cera una volta un triangolo, di nome Tricky, che si sentiva a disagio perché era basso e tutti gli altri triangoli erano più alti di lui.

Un bel giorno incontrò una circonferenza bassa come lui, però era un po' cicciotta e quindi rotolava molto.

La circonferenza si chiamava Circolo. Consolò Tricky dicendogli che anche lei era bassa.

Sentite queste parole, il triangolo si consolò, ma era ancora rattristato.

Circolo ingrassava a vista d'occhio, sempre di più, quindi chiamò la sua amica Retta per aver consigli per perdere peso, perché lei era veramente sottile; invece Retta avrebbe voluto essere bassa; in effetti, si sa, le rette sono "lunghe"!

Tricky, dopo aver sentito queste parole, si sentì subito più felice; anche le altre figure geometriche non erano contente del proprio aspetto.

Per fortuna arrivò un maestro di geometria che gli spiegò che ogni figura ha la propria forma, caratteristiche indispensabili diverse e che la cosa importante è che tutti rispettino le regole!!!

(3) L'amicizia interrotta C'era una volta un triangolo equilatero che si sentiva a disagio perché era basso e tutti gli altri triangoli erano più alti di lui.

Un bel giorno incontrò una circonferenza che si chiamava Luisa: era rotonda e tutti (quadrati, esagoni, decagoni, rettangoli, rombi ... ) ridevano di lei e la prendevano in giro perché era cicciotta.

Gli altri se ne andarono via e Luisa gli spiegò che lui aveva lati e angoli uguali: da quel momento nacque il triangolo equilatero.

E tutti gli altri erano sorpresi perché è isoscele e ha tre lati congruenti. Luisa era contenta per essere diventata, insieme al triangolo, amici per sempre. Un giorno il triangolo chiamò il suo amico decagono: era basso e snello, aveva tutti i capelli sconvolti e le gambe con tanti muscoli. Il triangolo stava molto tempo con lui perché gli piacevano i suoi 10 lati tutti uguali.

Così Luisa si sentiva a disagio, perciò un giorno andò via lasciando un biglietto con scritto: "Rotolo via perché voi siete troppo pungenti!)!".

(4) L'amicizia al parco C'era una volta un triangolo che si sentiva a disagio, perché era basso e tutti gli altri triangoli erano più alti di lui.

Un bel giorno incontrò una circonferenza; si guardarono con occhi sbarrati; il triangolo coraggioso si avvicinò al cerchio; dopo qualche minuto parlarono insieme, seduti su una panchina.

Il giorno seguente si incontrarono di nuovo al parco, giocarono a mille giochi geometrici. .. Alla fine della giornata, divennero amici. Un giorno andarono a scuola e la maestra Chiodini disse: "Oggi ci sarà una gita" .

Salirono sul retangubus e andarono a Geometrilandia. Incontrarono tutte le forme del mondo, sia quelle alte che quelle basse: il triangolo e la circonferenza divennero felici, perché erano tutti di altezza diversa. The End.

(s] / triangoli acuti e la circonferenza "ottusa" Cera una volta un triangolo che si sentiva a disagio perché era basso e tutti gli altri triangoli erano più alti di lui.

Un bel giorno incontra una circonferenza. Alessandrino chiese alla saggia circonferenza: - Perché tutti mi dicono che sono basso?

E la circonferenza rispose: - Perché tu sei un ottusangolo.

Lui andò al parco geometria e vide il cerchio che rotolava giù per la collina, il parallelepipedo che faceva da panchina, i quadrati che sembravano scalini.

Un rombo gli spiegò che lui non era ottusangolo, ma acutangolo, quindi con una mente acuta.

Era ora di tornare a scuola e Alessandrino a ricreazione fece sentire la registrazione della voce del rombo, così da quel giorno non lo presero più in giro.

[6] Geometricus C'era una volta un pianeta fatto solo da forme geometriche: Geometricus.

Lì viveva un triangolo che si sentiva a disagio perché era basso e tutti gli altri triangoli erano più alti di lui. Un bel giorno, camminando per la strada, incontrò una circonferenza. Le due forme geometriche si presentarono. "Piacere - disse il triangolo - mi chiamo Marco".

La circonferenza rispose: "lo sono Luca. Non sono un poligono perché sono stato formato da una linea curva chiusa" . Decisero insieme di andare in un parco a giocare. Durante il percorso il piccolo triangolo gli raccontò degli scherzi che doveva subire dagli altri triangoli, perché era piccolo e basso. Quando arrivarono al parco, altri triangoli cominciarono a prendere in giro Marco: " Sei più piccolo di noi!!!". La circonferenza allora disse: "Non dovete prenderlo in giro, pensate se prendessero in giro voi!". Allora il triangolo piccolo, incoraggiato dalla sua nuova amica, mentre nessuno lo guardava, cominciò a rigirarsi su se stesso, ma non ci riuscì. A questo punto la circonferenza, le linee rette e le linee spezzate lo aiutarono a girarsi da vertice a vertice. Finalmente ci riuscì: da triangolo piccolo diventò un elegante triangolo grande come gli altri. Il bello era che tutti gli altri triangoli non riuscivano a girarsi mentre lui sì: poteva diventare sia piccolo che grande. Era proprio un triangolo speciale che diventò così speciale da finire in tutti i computer.

l7] Il fiore della Terra de1/e rette C'era una volta un triangolo che si sentiva a disagio perché era basso rispetto agli altri triangoli. Un giorno passeggiando sulle pagine di un libro di geometria incontrò una circonferenza che gli promise di aiutarlo. Dopo un po' di tempo le due figure geometriche diventarono amici per la pelle. Un giorno il triangolo basso basso e la circonferenza si incontrarono nelle pagine dei problemi, vicino alla gelateria del signor Pentagonozzi, che era un pentagono regolare molto molto saggio. Dopo aver conosciuto la storia cominciò a pensare ... pensò ... pensò ...

Pensò finché gli venne un'idea super geniale. Disse: "Nella Terra delle rette c'è un fiore magico che se viene mangiato sviluppa la tua mente e ti fa venire idee geniali che permettono di farti girare in modo da essere più alto" . Le due figure geometriche accettarono l'idea, andarono nella Terra delle rette che essendo infinita era molto, molto lunga. Dopo lunghe ricerche trovarono il fiore e lo mangiarono. Così il triangolo riuscì a ruotare su se stesso e a diventare più alto. La circonferenza capì che non avendo angoli per lei era molto più semplice. I due si sposarono e fecero nascere una nuove figura geometrica: un cono. Il cono sotto assomigliava alla mamma circonferenza, sopra al papà triangolo quando si abbracciava stretto stretto.

[8] Vantaggi delle misure ridotte

C'era una volta un triangolo che si sentiva a disagio perché era basso e tutti gli altri triangoli erano più alti di lui. Un bel giorno incontrò una circonferenza che gli disse: "Ma tu puoi andare nell'insieme dei triangoli?"

Gli rispose: "Ci ho provato un sacco di volte ma non sono a mio agio" .

Un giorno mentre il triangolo basso era nell'insieme con gli altri triangoli arrivò un segmento prepotente che voleva dividere ogni triangolo in due parti uguali.

I triangoli che non volevano essere tagliati a metà scapparono fuori dall'insieme; il piccolo triangolo si infilò in un piccolo buco mentre tutti gli altri non trovarono rifugio.

Per fortuna arrivò la circonferenza che fece rotolare via il segmento. Allora il triangolo usci dal piccolo buco e tutti gli altri gli dissero: "Però, non è mica così male essere bassi!".

Da allora i suoi amici non lo presero più in giro e il triangolo visse felice e contento con le sue ridotte misure.

[g] Amici geometrici

C'era una volta un triangolo che viveva su Marte: si sentiva a disagio perché era basso e tutti gli altri triangoli erano più alti di lui. Un bel giorno incontrò una circonferenza e andarono nel parco.

Lungo la strada incontrarono un trapezio e una retta. Il triangolo disse: "lo sono sfortunato perché sono il più piccolo del pianeta Marte". La circonferenza gli disse: "Tu hai molte capacità. Tu sei stato una delle prime forme usate dall'uomo primitivo: sei stato usato per raschiare, per cacciare, per cucire ... tu hai mandato avanti la storia". Il trapezio gli disse: "Tu hai altre capacità: sei piccolo, appuntito e perciò puoi infilarti nei piccoli buchi. Io che di lati ne ho quattro, proprio non ci riesco: devo sempre dividermi in due parti e diventare come te. Ma non sempre ci riesco, soprattutto quando i segmenti non vogliono aiutarmi!". La retta invece gli disse: "Tu non sei come la circonferenza! Tu sei importante perché sei un poligono: hai ben tre lati. Poi sei anche più complicato di me che non ho né un inizio né una fine!".

Il piccolo triangolo capì che non c'era niente di male ad essere piccoli e bassi. Aveva comunque tante capacità: tre lati, tre angoli, tre vertici. Poteva ruotare senza perdere la forma. E soprattutto aveva tanti amici geometrici.

[lo] 11 pesce Triangolo

C'era una volta nel mare un pesce Triangolo che si sentiva a disagio perché era basso e grasso rispetto ai suoi familiari, che erano molto più veloci di lui a nuotare. Un bel giorno arrivò un pesce circonferenza, chiamato Palla. Appena vide il pesce Triangolo che era a disagio decise di aiutarlo: si fece raccontare il problema. Capito il problema, Palla gli disse che anche lei aveva lo stesso problema: era grassa e bassa. Così andarono insieme alla ricerca di una soluzione.

Pensa e ripensa trovarono due ipotesi: 1. fare ginnastica per due ore al giorno sott'acqua 2. mangiare di meno

La prima era una bella e divertente soluzione, però non dimagrirono né diventarono più alti.

Allora provarono la seconda soluzione: non mangiare, però, non era divertente.

La loro forma non era ancora cambiata. Allora si rivolsero al pesce rombo, il pesce più saggio, che trovò una soluzione. Aveva due amici pesci martello che spinsero prima ai due vertici opposti del triangolo e poi alle estremità opposte del cerchio.

Così li fecero diventare più alti: il pesce Palla circonferenza diventò un ovale e il pesce Triangolo diventò magro e alto.

(11] Trapezio C'era una volta esposto in un museo un quadro molto famoso con tante forme geometriche; c'erano tanti poligoni intorno a una circonferenza. C'erano stelle, quadrati, rettangoli, pentagoni e tanti triangoli.

C'era però un triangolo più piccolo rispetto a tutte le altre forme.

Si sentiva triste perché lui era piccolo come una formica rispetto agli altri che erano alti come delle giraffe. Nessuno dei visitatori del museo si accorgeva di lui.

Un giorno il piccolo triangolo era così arrabbiato che iniziò a correre ìntorno al cerchio e fece tanta confusione.

I poligoni si trovarono capovolti, rivoltati, uno sopra all'altro ...

Il piccolo triangolo era finito sopra a un rettangolo alto alto. I due poligoni si innamorarono subito e decisero di stare sempre insieme: avevano formato un bellissimo TRAPEZIO.

(12] Il mago

C'era una volta un triangolo che si sentiva a disagio perché era basso e tutti gli altri triangoli erano più alti di lui. Un bel giorno incontra una circonferenza. Il triangolo vuole conoscerla e allora inizia a farle delle domande: "Ma quanti lati hai? Io tre e tu?". La circonferenza ci pensa un po', poi gli dice: "Io ne ho zero!" .

Da quel momento iniziano a fare amicizia e passeggiano per il parco. Dopo qualche ora di cammino trovano una capanna. I due amici, uno acuto e l'altro tondo, però molto curiosi, entrano e qui trovano l'ottagono che li accoglie con gentilezza. Il triangolo nota che dentro ci sono dei tavoli tondi e quadrati, sopra ci stanno delle bottigliette piene di liquido colorato. L'ottagono svela ai due amici il suo segreto e dice: "Io sono un mago però posso esaudire un solo desiderio".

A quel punto la circonferenza, conoscendo bene il problema del suo amico, dice al triangolo di confessare al mago ciò che lo rende triste. Il mago lo fa sedere sul tavolo quadrato e poi gli fa bere un liquido blu. Alla fine il triangolo é tutto blu ma anche alto e ora vuole tornare a casa dalla sua famiglia per giocare con i suoi fratellini.

Gli autori di Opera Nuova Prisca Agustoni 2011/t, 2014/t, 2014/2 Michele Amadò 2015/i Fabio Andina 2013/i Flavio Arrigoni 2013/i, 2014/i, 2015h Fabiano Alborghetti 2010/i Pier Carlo Apolinari 2010/i Wystan Hugh Auden 2015/i Raffaele Beretta Piccoli 2011/i Daniele Bemardi 2013/i Vanni Bianconi 2010/i Domenico Bonini 2011/i, 2015/i Tomaso Bontognali 2010/i Lorenzo Buccella 2015/ 1 Elia Buletti 2010/i Sara Camponovo, 2016/ 1 Sabrina Caregnato 2014/ 1 Pierre Chappuis 2011/i, 2012/i Lucia Colombi-Bordoli 2010/i Fabio Contestabile, 2016/t Valeria Dal Bo 2012/t Andrea De Alberti 2012/i Adele Desideri 2014/ 1 Daniele dell'Agnola 2013/i Daniela Delfoc 2011/i Mauro Delfoc 2011h Jacques Dupin 2010/t Anna Felder 2015/i Simone Fornara 2011/i, 2015/ 1 Gaetano C. Frongillo 2012/i Lia Galli 2012/i Mario Gamba 2011/i, 2015/i Claire Genoux 2013/i Laura Garavaglia 2015/ 1 Giuliana Pelli Grandini 2015/ 1 Cécile Guivarch 2014/i Silvia Harri 2011h Federico Hindermann 2010/ 1 Gilberto !sella 2013/t , 2015/i Elisabetta Jankovic 2012/i Elena Jurissevich 2010/ 1 Pierluigi Lanfranchi 2011/i Simonetta Martini 2011/i Massimo Malinverni 2011/i Manuela Mazzi 2015/i Nadia Meli 2013/i, 2014/i Paola Menghini 2010/i Fabio Merlini 2015/i Roberto Milan 2015/i Christian Moccia 2014/i Gerry Mottis 2012/i, 2013/i Laura Muscarà 2011/i Alberto Nessi 2011/i Guido Oldani 2014/i Tiziana Ortelli 2014/ 2 Amleto Pedroli 2013/i Alfonso Maria Petrosino 2010/i Vincenzo Pezzella 2013/i Annamaria Pianezzi-Marcacci 2010/i Mariacristina Pianta 2012/i Rosa Piemo, 2016/i Ivan Pozzoni 2012/i, 2106/t Fabio Pusterla 2011/ 1 Federico A. Realino 2013/ 1 Sergio Roic 2012/ 1 Marina Riva 2015/i Paola Celio Rossello 2012/ 2 Antonio Rossi 2014/i Tiziano Rossi 2011h Luca Saltini 2011/i, 2014/i, 2015/i Maria Elena Sangalli 2015/ 1 Laura Sarotto 20 13/i Oliver Scharpf 2010/i Giulia Elsa Sibilio 20 12/ 1 Tommaso Soldini 2013/i Studentesse DF A-SU PSI 2014/ 1,

2015/t, 2016/i Flavio Stroppini 2010/i, 2010/i,

2012/i, 2013/i Denise Stomi 2012/i, 2013/i, 2014/i Vincenzo Todisco 2013/i Andrea Trombin Valente 2012/i Maria Rosaria Valentini 2013/i Bemard Vargaftig 2013/i Simone Zanin 2013/ 1

Le interviste di Opera Nuova

Pier Vincenzo Mengaldo 2010h Fabio Pusterla 201 i/ 1 Gian Mario Villalta 2010/i

I collaboratori di Opera Nuova

Prisca Agustoni 2010/i, 2012h,

2013/i Claudia Azzola 2015h Giovanni Bardazzi 2010h Andrea Bianchetti 2013/i Laura Branchetti, 2016/i Mariarita Buratto, 2016/i Raffaella Castagnola 2010/i , 2011/i,

2012/i, 2013/i, 2014/i, 2015/i,

2015/i Luca Cignetti 2010/i, 2014/i,

2014/ 2, 2015/ 1 Dario Corno 2010/i, 2012/i, 2013/i Natascha Fioretti 2015/i Simone Fornara 2011/i Simone Giusti 2010h Gilberto !sella 2010/i, 2011/i,

2013/1, 2014/1, 2014/2, 2015/1 Nina Jaeggli 2010/i Sandro Lanzetti 2012/2 Paola Magi 2013/i Flavio Medici 2011/i Sara Murgia 2014/i Margherita Orsino 2011/i, 2012/i Fabio Pagliccia 2015/i Emilio Palaz 2012/i Maurizio Palma di Cesnola 2011/i Giulia Passini 2012/ 1 Matteo Maria Pedroni 2010/i Mariacristina Pianta 2012/i, 2015/i Giuseppe Polimeni 2012/ 1 Giulia Raboni 2011/i Stefano Raimondi 2011 I 1

Gerardo Rigozzi 2010h, 2011/2,

2014/2 Roberto Ritter 2011/i Sergej Roic 2013/ 1 Lorenzo Tomasin 2015/i

Matteo Viale 2012/i, 2016/i Luca Zuliani 2010/i

Le pubblicazioni di Opera Nuova

Artemis

1. Luigi Rossini, Collerico, superbo, nel tempo istesso modesto,benigno.

Scritti autobiografici, 2014

Riflessi

1. Raffaella Castagnola - Matteo Viale, POESIT Repertorio bibliografico dei poeti nella Svizzera Italiana, 2012

2. Oscar Mazzoleni - Andrea Pilotti - Marco Marcacci, Un cantone in mutamento.

Aggregazioni urbane ed equilibri regionali in Ticino, 2014 3. Michele Amadò, Disegnare il mondo, 2015 4. Michele Amadò, La casa delle Muse - LAC, 2016

Autografica 1. Federico Hindermann, Cerchi di luce, 2010

2. Prisca Agustoni, Casa delle ossa, 2010 3. Pier Carlo Apolinari, Preludi e fughe senza indicazioni di tempo, 2011 4. Roberto Milan, Il mare alla rovescia, 2011 5. Jacques Dupin, Scarto, 20 11

6. Simone Fornara e Mario Gamba, I Cavalieri davanti al fiume, 2011 7. AA. VV., Il punto illustrato, 2011 8. Sergej Roic, Il gioco del m ondo, 2012 g. Pierre Chappuis, Il mio sussurro. Il mio respiro, 2012 10. Gilberto Isella, Caro aberrante fiore, 20 13 11. Giuliana Pelli Grandini, Le Marfungole, 2013 12. Sergio Wax, Fragmentos, 20 13 13. Michele Amadò, Nient'altro che cinque minuti, 2014 14. Sergio Wax, Terra e sale, 2015

e

Cl ...

..:I a: LI.I c.,_ i:j::::i -LI.I a::c

CIUI ~iii + IIIEnn ICH SCHIIIEIZ SRDE ...

::e p. ii:: >-

..:I e 11:CI LI.I::> N LI.I ::3 :e u cn

Disponibile da subito nei negozi

CHRISTOPH MERIAN VERLAG

Poesie svizzere con sonoro originale dal 1937 a oggi

Poesie moderne in otto lingue

MIGROS

percento culturale

A cura di Roger Perret e lngo Starz per il Percento Culturale Migros. Letteratura/ Letture d'autore Digibook con 2 CD e 140 pagine, durata 155 minuti circa. CHF 39,00 ISBN: 978-3-85616-429-4

www.merianverlag.ch

Il Percento Culturale Migros promuove la poesia svizzera contemporanea, percento-culturale-migros.ch

finito di stampare nel mese di gennaio 2016 dalla tipografia Lepori e Storni, Lugano

ISSN: 1663-2982 ISBN: 978-88-96992-15-9

This article is from: