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Libri, riviste e mostre

soll, Marida Talamona tenutasi presso il Museo Orani dal 22 dicembre 2018 al 17 marzo 2019, https://museonivola.it/mostra-evento/le-corbusier/. 4 Nivola compra una casa a Springs, presso East Hampton, nel 1948. Qui nel 1950 progetterà, assieme all’architetto Bernard Rudofsky, il giardino come un’opera ambientale introducendo una stanza a cielo aperto con alcuni murales, dei pergolati e dei muri liberi graffiti in dialogo diretto con i preesistenti alberi di mele. Il progetto all’epoca fu pubblicato in: «The Architectural Review», n. 664, aprile 1952; «Domus», n. 272, 1952. Per approfondire il progetto e le vicende tra l’architetto e l’artista si veda: G. Altea, La stanza verde. Bernard Rudofsky e il giardino Nivola, in Nivola. L’invenzione dello spazio, a cura di C. Pisovano, Illisso, Nuoro 2010, pp. 24-37. 5 Per approfondire si veda: G. Altea, La tecnica del sand-casting, in Costantino Nivola, Ilisso, Nuoro 2005, pp. 58-59. 6 Per approfondire si veda: G. Altea, A. Camarda, Nivola. La sintesi delle arti, Illisso, Nuoro 2015, pp. 174-178. 7 Numerosi sono gli interventi pubblici realizzati in ambito scolastico e nei playground americani. Questa produzione si colloca dagli inizi degli anni Cinquanta fino agli anni Settanta, alcune opere sono eseguite con l’amico Richard Stein mentre altre vedono la collaborazione di differenti professionisti. Cfr. G. Altea, A. Camarda, op. cit. 8 Cfr. M. Curzi, op. cit., pp. 30-37; S. Naitza, Una piazza per un poeta, Ilisso, Nuoro 1987. 9 Il progetto doveva includere inoltre: «la presenza di una figura materna, una sentinella o meglio una babysitter che osservava placida i bambini alle prese con immaginarie cavalcate», G. Altea, A. Camarda, op. cit., p. 281.

10 Le sculture, dalle fattezze arcaiche, furono plasmate una prima volta per il piccolo cortile della Edward C. Blum Public School 46, pensato assieme all’architetto Richard Stein e oggi parzialmente distrutto, poi furono qui riproposte con un’articolazione e una colorazione differente. La documentazione di archivio testimonia inoltre altre due installazioni simili, purtroppo rimosse e andate perse negli anni: tra il 1965 e il 1969 alcune copie, in fibra di vetro, vennero acquistate per il cortile della W.D. Richards Elementary School a Columbus in Indiana e furono collocate da Nivola in cerchio attorno a un albero come luogo di ritrovo della comunità scolastica; tra il 1967 e il 1969 questa volta senza Stein, viene realizzata un’installazione per il Children’s Psychiatric Hospital del Bronx State Hospital progettato da Max Urbahn. Cfr. G. Altea, A. Camarda, op. cit., pp. 280-281; S. Todesco, Quale destino per i “cavallini” di Nivola a New York?, «Arte e oltre/Art and beyond», n. 30, 20 aprile 2021, https://www.unclosed.eu/rubriche/sestante/ esplorazioni/348-quale-destino-per-i-cavallini-di-nivola-a-new-york.html. 11 Cfr. G. Altea, A. Camarda, I cavallini di Nivola, il senso di comunità e il ruolo dell’arte nelle città, «Il Sole 24 ore», 11 marzo 2021, https:// www.ilsole24ore.com/art/i-cavallini-nivola-senso-comunita-e-ruolo-dell- arte-citta-ADzYTUPB?refresh_ce=1; L. O’Kane, Sculptor to give a lift to project, «The New York Times», May 8, 1964]. 12 Dichiarazione di Giuliana Altea, Presidente della Fondazione Costantino Nivola: Cfr. “Statue Nivola a NY distrutte”, denuncia su Fb Museo artista, «ANSA», 10 marzo 2021, https://www.ansa.it/sardegna/notizie/2021/ 81

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03/09/statue-nivola-a-ny-distrutte-denuncia-su-fb-museo-artista_e9a7fc70e443-4023-a366-1194b85487e3.html. 13 Dichiarazione di Alessandra Camarda, ex Direttrice del Museo Nivola: Cfr. I Cavallini di Nivola torneranno nel parco di NY a fine anno, «ANSA», 11 marzo 2021, https://www.ansa.it/sardegna/notizie/2021/03/11/i- cavallini-di-nivola-torneranno-nel-parco-di-ny-a-fine-anno_b41339d6- 23e7-44af-b7d8-7aeefa4bb49e.html. 14 Il progetto all’epoca fu pubblicato in O. Guelf, The Pergola-Village, vined Orani, «Interiors», vol. CXII, n. 6, January 1953, pp. 84-85. Recentemente la proposta sta prendendo concretamente vita tramite l’impegno del comune di Orani, la Fondazione Nivola e lo studio di Stefano Boeri architetti. 15 Cfr. J.L. Sert, Centers of Community Life, in J. Tyrwhitt, J.L. Sert, E.N. Rogers (eds), CIAM 8. The Heart of the City: Toward the Humanisation of Urban Life, Lund Humphries, London 1952. 16 https://www.youtube.com/watch?v=6Ra2AOjtQ1A 17 Dalla lettera dell’ex Presidente Ugo Carughi a nome dell’Associazione DO.CO.MO.MO.Italia indirizzata al Museo Nivola e alla Fondazione Costantino Nivola consultabile on-line nella sezione Sos 900 sul sito dell’Associazione: https://www.docomomoitalia.it/wp-content/uploads/2021/03/ Lettera-DOCOMOMO_Opera-di-Nivola-a-New-York.pdf. 18 Cfr. D. Budds, op. cit.

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O. Lanzarini, The Living Museums. Franco Albini - BBPR -

Lina Bo Bardi - Carlo Scarpa,

Nero, Rome 2020.

Se «la tutela del patrimonio artistico non può in nessun caso ridursi a un caritatevole ricovero di opere d’arte senza casa» nei musei –, avverte Giulio Carlo Argan –, i musei – afferma Ernesto Nathan Rogers – devono essere «degli organismi architettonici concepiti per conservare i documenti dell’esperienza storica non [come] cose morte per sempre, ma tali che, pur uscite dal ciclo attivo della vita, siano degne di essere mostrate e studiate ancora». In altre parole è necessario dare alle testimonianze della storia un ruolo operativo nel presente. In tal modo, potranno continuare a esercitare la loro azione educativa sulla società. Con questa doppia citazione si apre il primo dei saggi monografici che Orietta Lanzarini dedica a quattro casi studio sulla museografia del secondo dopoguerra: il Museo di Arte Antica del Castello Sforzesco a Milano dei BBPR, il MASP - Museo de Arte de São Paolo a San Paolo del Brasile di Lina Bo, la Galleria di Palazzo Bianco a Genova di Franco Albini e la Gipsoteca “Antonio Canova” a Possagno di Carlo Scarpa. Al nome degli architetti di quegli allestimenti, l’autrice affianca quello degli altri protagonisti, direttori, storici dell’arte e soprintendenti che, con modalità e azioni differenti, hanno di fatto reso possibile che quei progetti, così esemplari e paradigmatici per la museografia, arrivassero a effettivo compimento (Costantino Baroni, Francisco de Assis Chateaubriand Bandeira e Pietro Maria Bardi, Caterina Marcenaro, Vittorio Moschini). In maniera magistrale Lanzarini condensa temi e riflessioni che ormai da tempo caratterizzano il suo percorso di ricerca, ma che vengono adesso sviluppati in un racconto corale capace di restituire in maniera puntuale e approfondita quella straordinaria stagione che ha preso il via nel 1945 e che ha portato a un completo aggiornamento dei musei italiani, delineandone allo stesso tempo la portata educativa e sociale. Quattro saggi tanto autonomi e indipendenti per struttura e apparato iconografico (ben bilanciato nella scelta di immagini e disegni di archivio) 83

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quanto legati tra loro da un’analisi storica e critica al tempo stesso, in grado di restituire la complessità di una vicenda capace di «dare alle testimonianze della storia un ruolo operativo nel presente». Il rapporto tra storia antica e progetto contemporaneo, tra opere e spazi espositivi – restaurati, ampliati o di nuova concezione – torna costante nella narrazione che Lanzarini fa delle quattro diverse esperienze; il rigore del racconto storico, sostenuto da una approfondita indagine d’archivio, tanto preziosa quanto ormai rara, restituisce la profondità teorica e progettuale che sta dietro queste realizzazioni e mette in luce in maniera precisa il fine comune che, superando le singole declinazioni al medesimo tema portate avanti autonomamente da ciascuno degli architetti, tiene insieme queste diverse esperienze, anche in assenza di precisi legami formali: un museo non può più essere concepito a esclusivo vantaggio di studiosi e cultori d’arte ma deve essere un luogo aperto e accessibile a tutti in cui la finalità educativa e didattica venga realizzata attraverso «un linguaggio universale, potenzialmente in grado di trasmettere valori educativi a chiunque».

Esemplare in tal senso è il percorso portato avanti da Lina Bo e da Pietro Maria Bardi con il Museo de Arte de São Paolo sia nella sua prima sede in Rua Sete de Abril (19471950) che soprattutto nella definitiva di Avenida Paulista (1957-1968) con gli straordinari e democratici cavalete de cristal dell’allestimento; un percorso segnato da uno straordinario laboratorio educativo che saprà dare risposte puntuali alle istanze culturali del pubblico brasiliano. L’architetto e suo marito – scrive Lanzarini – lasciano l’Italia prima che prenda avvio l’aggiornamento dei musei, ma i concetti che guidano l’esecuzione di questa riforma sono i medesimi espressi dal MASP. Proprio questo aspetto è quello che permette di leggere l’esperienza brasiliana, pur con le ovvie differenze ambientali e culturali, in stretta relazione con quelle italiane. Come Albini, BBPR, Scarpa e altri allestitori, i coniugi Bardi sanno che la coesistenza di oggetti di epoche diverse negli spazi museali può dimostrare il valore della storia per un paese; tuttavia, come osserva Lanzarini, nel contesto europeo le opere sono inserite – anche in base al loro valore stabilito dagli studi – nella trama consolidata della storia ripercorribile attraverso il museo. Nel MASP accade l’opposto: sono le opere che ricreano ex-novo la trama storica. Siccome ognuna porta il suo contributo è doveroso considerarle alla pari, disponendole in maniera «democratica» l’una accanto all’altra. Questo principio giustifica la sostituzione delle tradizionali sequenze di sale – con gruppi di oggetti ordinati in base a dei parametri critici – con uno spazio in continuità. Il saggio dedicato al MASP restituisce per la prima volta nel suo complesso una vicenda solitamente indagata per singoli frammenti, la cui portata culturale (rilanciata con l’istituzione nel 1963 del Museu de Arte Popular a Salvador) si concretizza attraverso un preciso programma museografico, ma è tale da superare per certi aspetti la qualità, straordinaria nella sua concezione, della stessa architettura che quel medesimo programma è chiamato a realizzare.

Di particolare importanza è il saggio dedicato al progetto di Carlo Scarpa per la Gipsoteca “Antonio Canova” a Possagno, che Lanzarini

rilegge, forte della sua profonda conoscenza del magistero scarpiano, e del quale propone un’interpretazione completamente inedita, nuova quanto suggestiva, che vede Scarpa interpretare il lavoro di Canova attraverso la pittura di Tiepolo. La prosa dell’ala nuova della Gipsoteca si svolge in tre atti. Per la costruzione del quadro iniziale e di quello finale l’architetto si appoggia, in sostanza, ai precetti del museo di «ambientazione». Nella parte centrale del racconto, invece, il sodalizio tra le opere canoviane e gli elementi dell’architettura moderna riporta lo spettatore nel proprio tempo, senza fargli perdere il contatto con la storia. […] Il tableau vivant che si presenta al suo sguardo attraverso il boccascena ritagliato da Scarpa non ha precedenti nella museografia, né italiana, né internazionale. Ogni opera è in relazione all’altra ma ognuna gode di una propria autonomia, poiché avvolta da una differente tonalità di chiaroscuro. Se le sale non fossero intonacate di bianco, una tale intensità d’effetto non sarebbe possibile. A questo punto le due principali caratteristiche dell’ala nuova trovano una spiegazione: ammaestrando la luce e amplificandone la potenza con le superfici bianche, Scarpa può modellare una strabiliante gamma di toni di chiaroscuro. Quel «bellissimo chiaroscuro» che è il tratto distintivo dell’arte del Settecento e in particolare della pittura di Gianbattista Tiepolo. […] L’effetto è quello di una luce splendente che dall’interno del quadro sembra irradiarsi all’esterno, proprio come avviene fisicamente nella Gipsoteca. Se, come sosteniamo, Scarpa avesse rielaborato la tecnica luministica di Tiepolo per ambientare «in stile» le sculture del (quasi) contemporaneo Canova, la fonte si aggiungerebbe a una nutrita schiera di fonti archivistiche di quegli anni.

Gli affondi poi sul Museo di Arte Antica del Castello Sforzesco dei BBPR (di cui è ricostruita la travagliata genesi progettuale e il portato teorico-concettuale che anima l’intera vicenda) e sulla Galleria di Palazzo Bianco di Franco Albini rileggono e restituiscono da una diversa prospettiva due tasselli fondamentali di quel processo che rinnova integralmente la museografia italiana avvicinando didatticamente ma non didascalicamente l’opera d’arte al suo pubblico. Questo è il risultato più importante della museografia postbellica: gli allestimenti messi a punto dai coltissimi architetti coinvolti nell’impresa non sono degli esercizi stilistici, ma dei prontuari per decodificare dei valori, quelli dell’arte, tanto difficili quanto fondamentali per la crescita di chiunque voglia imparare.

A completare il volume è un’antologia di scritti degli stessi protagonisti, cui si unisce la voce di Giulio Carlo Argan, un’antologia di cui per brevità vengono proposti alcuni passaggi fondamentali ma che ha il valore di proporre in lingua inglese il contesto in cui maturano istanze e soluzioni. Decidere di pubblicare il volume interamente in inglese (prefazione di Stefano Collicelli Cagol con appendice dei testi in italiano) è una scelta di grande valore in quanto apre al dibattito internazionale quella straordinaria stagione ancora in larga parte da indagare. Un aspetto questo ancora più importante se si guarda alla drammatica manomissione di tanti di quegli straordinari esempi.

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F. Santoro, Apprendista a Taliesin.

Una esperienza personale nella scuola di Frank Lloyd Wright,

LetteraVentidue Edizioni, Siracusa 2021.

Il libro dell’architetto Francesco Santoro, resoconto dell’anno di apprendistato svolto in gioventù presso la Taliesin Foundation in Arizona, presenta il raro pregio di ricostruire sincronicamente differenti fasi della storia professionale, e soprattutto pedagogica, di Frank Lloyd Wright e della sua scuola. Alla figura del Maestro statunitense si affiancano nella narrazione altre figure di primo piano nel panorama storicocritico e progettuale, ma anche più ampiamente intellettuale, del secolo scorso. Tra queste emerge fin dalle prime pagine quella di Bruno Zevi, chiamato in causa dallo stesso Santoro quando, confuso e soffocato dal mondo accademico italiano e palermitano di metà anni Ottanta, decide di scrivere una lettera al noto studioso romano per chiedere consiglio sul proprio futuro, esprimendo tutti i propri dubbi circa l’effettiva utilità dell’insegnamento dell’Architettura in Italia. Come solo i veri maestri, Zevi non solo risponde ma consiglia, supportando la scelta di effettuare un’esperienza americana presso la scuola-studio di Taliesin: Le esperienze si ripetono ed io, alla sua età, chiuso in una scuola fascista, provavo sentimenti assai simili ai suoi… Rompere con questa atmosfera e andare a Taliesin, alla Frank Lloyd Wright Foundation, Taliesin West, Scottsdale, Arizona […]. Se lei sente il richiamo e il messaggio dell’architettura organica, deve dirigersi a Taliesin.

Siamo nel 1989, F. Ll. Wright è deceduto esattamente trent’anni prima, ma l’attività progettuale, e didattica, della comunità di Taliesin è ancora vitale. La struttura pensata, progettata e realizzata pazientemente dall’architetto statunitense in una fase di crisi lavorativa collocabile attorno agli anni ’30 del 1900, si muove fra il completamento di lavori già cominciati o impostati mentre era ancora in vita, ed altri che si sono aggiunti nel tempo e che vengono affrontati secondo la filosofia e lo spirito del fondatore.

Ciò che fa di questo libro un unicum è la visuale privilegiata di Santoro, che ci tramanda la propria esperienza in prima persona, in un costante e fluente scambio fra la vita quotidiana nelle Taliesin, quella nel Wisconsin e la seconda, successiva, in Arizona, e precisi riferimenti storiografici per la ricostruzione degli inizi e degli sviluppi delle due comunità.

Il tutto senza omettere citazioni tratte dagli scritti di Wright, su tutti dall’Autobiografia, perché mai come nelle architetture wrightiane è possibile sentir riecheggiare le parole stesse del Maestro, in un’unità di pensiero ed azione che ancora ne rende vigorosa, e appunto trasmissibile, la lezione. E in ciò l’Autobiografia, seppur testo fortemente individualista, costituisce in sommo grado anche la sintesi della teoria e della pratica wrightiane. Come scriveva Enzo Paci in Wright e lo “spazio vissuto” (1959) chi sa cogliere, oltre il superficiale aspetto “romantico” di Wright, il vero senso del suo “individualismo”, sa che esso è la “presa di coscienza” della concretezza dell’uomo, dell’uomo che non è solo essere scientifico ed essere economico, ma è, tutto intero, essere organico, anima e corpo vivente.

Nella ricostruzione della filosofia che plasmò il pensiero e l’azione

dell’architetto americano, emerge, come ben noto, la figura di Ralph Waldo Emerson ma, a spiegare la struttura e l’organizzazione pedagogica di Taliesin, si impone un’altra influenza, forse meno nota, ossia quella di Georges I. Gurdjeff, mistico armeno, il cui Istituto per lo sviluppo armonico dell’uomo di Fontainebleau vide fra gli allievi la terza moglie di Wright, Olgivanna. E fu proprio quest’ultima ad indirizzare il marito verso gli insegnamenti, che potremmo definire autopoietici, del sapiente orientale, in un particolare e felice scambio fra filosofie distanti ma affini: il trascendentalismo emersoniano incontra così il misticismo gurdjieffiano, l’Oriente incontra l’Occidente, in una visione non tanto sincretica, quando archetipale, esperienziale prima che teoretica, cui Wright si rifece sempre, e che seppe concretizzare con esiti alterni in quasi tutte le sue architetture.

E che l’architettura non possa essere disgiunta dalla formazione completa dell’individuo è esplicito in numerose pagine dell’Autobiografia, puntualmente citate da Santoro: Taliesin non somiglia in nessun modo ad una normale università. Taliesin si basa sul principio della partecipazione a tutti i lavori che si ritengono necessari. Lo studente impara facendo. Impara a costruire lavorando alla costruzione. Impara a cucinare lavorando nella cucina. Impara a disegnare lavorando nella sala da disegno. A ogni studente è richiesto di contribuire equamente in tutte queste attività.

Nell’introduzione al volume dell’architetto siciliano, William J.R. Curtis pone in evidenza i punti di forza del testo: Alcuni tra i migliori passaggi nel testo di Santoro riguardano le descrizioni della natura, come quella della flora del deserto, scrive lo storico inglese, e aggiunge è divertente pensare a quanto lontane da ciò gli devono essere sembrate le mode architettoniche italiane del tempo, il neorazionalismo di Rossi o la pervasiva trivializzazione postmoderna del passato operata attraverso riferimenti superficiali.

Tra un turno in cucina e uno dedicato alla pulizia delle diverse aree della struttura, un turno nei campi e le lezioni di canto, sempre in linea con l’ideale dello sviluppo completo e disciplinato dell’individuo, Santoro ha la possibilità di osservare direttamente ogni dettaglio degli edifici, e di carpirne l’intimo legame che connette le parti e il tutto al contesto naturale, le sequenze spaziali e l’aspetto ieratico e processionale dell’architettura, ricorrendo alle parole di Philip Johnson.

L’esercizio di progettazione e autocostruzione del proprio desert shelter, ossia uno spazio tenda completamente dedicato e gestito da ciascun apprendista, collocato in pieno deserto, consente di applicare immediatamente al progetto la contemplazione e il rilievo della natura come vivamente consigliati da Wright stesso: Impara a guardare dentro le cose, almeno abbastanza a fondo da cogliere i pattern essenziali di tutte le cose create […] esamina la testura degli alberi, impara il pattern essenziale che caratterizza la quercia e distinguilo dal pattern essenziale che caratterizza il pino. Poi cercane altri. Procura dopo questi la vite contorta, l’acqua che scorre, le forme della sabbia. Poi prova con i fiori, le farfalle, le api… non farti distrarre dagli ovvii effetti superficiali che differenziano ogni cosa, ma cerca al loro interno l’essenziale geome- 87

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tria del pattern che dà loro carattere… astratto è il pattern dell’essenziale e l’ornamento è il carattere della struttura rivelata. E ancora, in un passaggio che deve molto ad Emerson, ma non può non richiamare alla mente anche il Galileo del Sidereus Nuncius, chiosa Tu devi leggere nel libro della Natura.

L’idea stessa di Taliesin nasce nel Wisconsin a seguito del viaggio compiuto da Wright in Italia, nello specifico a Fiesole, dove inizialmente avrebbe voluto collocare il proprio studio, ammirato dalla spontanea integrazione di artificio e natura che si compiva nella penisola: Nessun edificio italiano appare fuori luogo in Italia (…) collocato in modo naturale come le pietre, gli alberi e i declivi dei giardini che costituiscono un tutt’uno con esso.

Ma la lettura della Natura si accompagna alla grande attenzione rivolta al contesto ampiamente inteso, antropizzato, anche laddove solo debolmente. Così si può comprendere la passione nella raccolta e nel riutilizzo delle decorazioni degli indiani americani, la sensibilità nel collocare statue e petroglifi non dettata dalla mera ricerca dell’esito estetico, ma basata su un senso profondo di comprensione delle culture indigene ed antiche.

Di grande interesse le due sezioni del libro dedicate al trasferimento prima, in vista dell’estate, da Taliesin West in Arizona alla Taliesin primigenia, nel Wisconsin, per chiare ragioni climatiche, e poi al successivo rientro ad ovest. L’esodo dell’intera comunità è l’occasione per visitare lungo la strada non solo le grandi architetture di Wright, ma anche di altri maestri americani ed europei, fra cui, a titolo di esempio, Neutra e Schindler i quali, dopo il lavoro a Taliesin, svilupparono un approccio progettuale che mediava fra Loos e gli insegnamenti wrightiani; oppure le realizzazioni di Bruce Goff, estroso architetto purtroppo quasi dimenticato, amico di Wright e Sullivan, a cui si deve l’affidamento dell’incarico per la Price Tower.

Una curiosa coincidenza vuole che, superata la volontà del Maestro di aprire uno studio in Italia in occasione del succitato viaggio in Toscana del 1910, si giunga anni dopo al dissidio e al conseguente allontanamento di un allievo, Paolo Soleri, proprio a causa dell’intenzione del giovane progettista italiano di esportate il modello educativo di Taliesin nel paese d’origine. Se a ciò si aggiunge una sempre più spiccata divergenza nelle vedute urbanistiche fra i due, si comprende la genesi di Arcosanti, esperimento urbano fondato sul principio di Arcologia, ossia di architettura ed ecologia, che molto deve ai Metabolisti, agli Archigram e a Buckminster Fuller negli esiti formali, ma che nel profondo deriva dalla visione che potremmo definire post-urbana dello stesso Soleri, se per urbano intendiamo quanto storicamente sviluppatosi nella Modernità, e parimenti quanto poi diversamente preconizzato dalla Broadacre City di Wright. Santoro ha modo di visitare Arcosanti, poco distante da Phoenix, durante il viaggio a ritroso verso Taliesin West, dopo l’estate, ma non prima della visita all’edificio simbolo dell’intera carriera di F. Ll. Wright. Come a sancire l’ideale completamento dell’anno di apprendistato, si compie infatti la visita collettiva alla Casa Kaufmann, nota anche come Fallingwater. La perfezione unica raggiunta in questo progetto sembra segnare la sublimazione dell’intero anno americano di Santoro, il quale,

una volta tornato a Taliesin West, viene sopraffatto dalla routine progettuale e soprattutto dalla staticità di un ambiente che, più che protrarre l’insegnamento del maestro americano, ne va formando un vero e proprio culto, non scevro da dogmatismi e momenti rituali degni di una sacralità quasi pagana. Emblematico il racconto delle serate comunitarie dedicate all’ascolto delle registrazioni dei vecchi discorsi di Wright tenuti agli allievi. Senza scomodare Walter Benjamin, è evidente che la riproducibilità tecnica contrasta con l’unicità e la freschezza dell’approccio wrightiano, in grado di fondare sì un metodo, ma che traeva la propria raison d’être dalla passione, dalla libertà e dalla forza creatrice di una personalità straordinaria. Proprio perché massimamente l’individuo deve cercare la propria completa formazione, che per natura è continua e mai effettivamente raggiungibile, l’imitazione e la pedissequa fedeltà al passato non potevano che chiudersi in una forma di accademismo, per quanto illuminato.

L’ultimo periodo scorre principalmente negli archivi, dove Santoro ha modo di ricostruire le testimonianze di altri ed illustri apprendistati svoltisi presso la scuola, fra cui va ricordato quello di Bruno Morassutti, prima del sodalizio con Angelo Mangiarotti, e quello di Angelo Masieri, per la cui famiglia Wright progettò lo sfortunato palazzo sul Canal Grande a Venezia.

La scuola di Taliesin è tutt’ora in vita ma, dopo alterne vicende e trasferimenti, non trova più sede negli spazi originari così ben descritti da Santoro bensì, e il fatto oltreché ironico è forse anche simbolico, è ospite presso Cosanti ed Arcosanti, le due strutture utopistiche, e intrinsecamente wrightiane, ideate e realizzate da Paolo Soleri.

F. T.

Marco Zanuso e Alessandro Mendini. Design e architettura, a cura di Pierluigi Nicolin, con Nina

Bassoli, Gaia Piccarolo, Maite

Garcìa Sanchis, Adi Design Museum, Milano, 8 marzo-12 giugno 2022.

Un doppio approfondimento tra due protagonisti indiscussi dell’architettura e del design italiano, Marco Zanuso e Alessandro Mendini, è esposto nelle navate del recente Adi Design Museum dedicato alla collezione storica del premio Compasso d’Oro. Se il confronto può sembrare inusuale e per certi versi contrastante, messe da parte le ragioni per cercare di afferrarne le motivazioni, lungi dall’essere un banale accostamento tra due mondi progettuali – moderno per il primo e postmoderno per il secondo – restano due singole personalità che hanno operato in contesti economici, sociali e temporali molto diversi, determinando inevitabilmente esiti non comparabili.

I due racconti, sebbene siano parziali, mostrano i tratti salienti dei due percorsi professionali, sottolineando talvolta elementi inediti e diverse interpretazioni di modalità operative simili: le esperienze editoriali che hanno contribuito allo sviluppo di un pensiero critico, l’impegno trasversale nei campi dell’architettura e del design, il rapporto con aziende e imprenditori che ha stimolato l’affermazione di una personale espressione progettuale. Verosimilmente le opere di Zanuso e Mendini non sono mai state così vicine come 89

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nell’allestimento progettato dallo Studio Nicolin, in cui sei pareti componibili in legno, dello stesso modulo e disposte a lisca di pesce, racchiudono tematicamente disegni, oggetti, scritti, appartenenti a un contributo specifico per ogni singolo autore: Comfort, Nuova Estetica, Grande Scala, Costruzione Modulare, Innovazione e Muri in Pietra per Zanuso; Alchimie, Global Toys, Decorazioni, Musei, Case, Testo e Immagine per Mendini. Un ultimo pannello, collocato nella seconda navata del museo, che espone tutti i premi del Compasso d’oro alla carriera (premio ottenuto sia da Zanuso nel 1994 sia da Mendini nel 2014), accosta come unica eccezione a tutto il percorso due ritratti firmati da Roberto Sambonet, accompagnati dalle rispettive biografie.

Un primo sguardo d’insieme sui dodici pannelli permette di cogliere la centralità della «parola» affiancata a disegni e schizzi come mappe concettuali per Mendini: ogni mio progetto, grande o piccolo che sia, me lo devo spiegare criticamente, sotto forma di dimostrazione. Parto scrivendo, credo sia un obbligo: non si può disegnare senza aver pensato e io penso e scrivo [P. Nicolin, M.G. Sanchis, Marco Zanuso e Alessandro Mendini. Design e Architettura, Electa, Milano 2022, p. 113], versus disegni tecnici, schizzi e fotografie legati al processo costruttivo dell’oggetto/spazio/architettura per Zanuso. L’approccio maggiormente riflessivo e introverso di Mendini trova solide basi nella crisi sociale e politica del modello postbellico di sviluppo industriale cavalcato invece da Zanuso, che affida alle innumerevoli possibilità offerte dalla tecnica il suo atteggiamento positivista al progetto e al ruolo dell’architetto-designer come interprete della modernità e del riscatto sociale della comunità.

Marco Zanuso (1916-2001) si laurea al Politecnico di Milano nel 1939, di lì a poco arriva la guerra che accresce un sentimento di necessaria «ristrutturazione di una società disorientata e dissolta». È in questo clima che si fa strada il modello di architetto/maestro i cui interessi si muovono su scale diverse, ma sempre dominati da una ricerca rigorosamente scientifica sul processo e sull’elemento come modulo: nasce per conseguenza la necessità di scoprire un riferimento dimensionale che possa connettere tutti gli elementi della costruzione in un sistema aderente alle necessità funzionali e che contemporaneamente rispetti la continuità delle superfici e dei volumi. Questo riferimento noi lo chiamiamo modulo [P. Chessa, M. Zanuso, La casa prefabbricata. Il modulo, in «Domus», n. 205, gennaio 1946, p. 2]. Il suo contributo nelle redazioni di «Domus» (1946-47) e di «Casabella-Continuità» (1953-64) lo rende interprete del dibattito culturale dell’epoca, concentrandosi sui temi della prefabbricazione edilizia e della costruzione architettonica. Zanuso opera nel contesto postbellico respirando fiducia e ottimismo scaturiti dai rapporti con l’industria e dalle possibilità offerte dalla sperimentazione di materiali inediti che gli consentono di formulare una chiara metodologia da applicare a ogni scala del progetto: dallo studio del nastro Cord – un nuovo materiale elastico prodotto dalla Pirelli – nasce la celebre poltrona Lady (Arflex, 1951); la sedia da cucina Lambda (Gavina, 1959-1964 con Richard Sapper) deriva invece da una ricerca sulle tecniche di realizzazio-

ne della carrozzeria della Lancia Lambda.

Sono anni di contaminazione e di scambio tra diversi saperi e professionalità. Tra i principali sodalizi si annoverano quello con Ennio Brion alla guida dell’azienda Brionvega per il quale si dedica non solo alla progettazione di oggetti iconici, insieme a Richard Sapper, come i televisori transistor Doney e Algol (1962), Black (1969) e la radio portatile TS 502 (1964), ma costruisce lo stabilimento principale a Casella d’Asolo (Treviso, 1963-67), una delle opere che rappresenta al meglio la poetica progettuale nata dall’integrazione tra modulo, tecnologia e assemblaggio di elementi prefabbricati. Questa architettura evidenzia anche il ruolo assunto dal contesto ambientale che penetra all’interno dello spazio grazie alle diverse modulazioni della luce e ai pilastri in calcestruzzo a ombrello rovescio di due altezze diverse, che, come alberature, richiamano il movimento del paesaggio: La fabbrica aveva una sua qualità domestica, con questa trasparenza verso il paesaggio, le vetrate modulari aperte sulla natura. Era domestica specialmente all’interno, andava al di là della rigidità della fabbrica [Si vede che sono distratto. Franco Raggi a colloquio con Marco Zanuso, in M. Zanuso, Scritti sulle tecniche di produzione e di progetto, a cura di R. Grignolo, Mendrisio Academy Press-Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2013, p. 320].

L’incontro con Adriano Olivetti è determinante per intraprendere una visione della fabbrica come luogo «domestico» che garantisca comfort e abitabilità. In anni precedenti, l’architetto realizza le fabbriche Olivetti a Buenos Aires (1954-1961) e a Guarulhos (San Paolo, 1956-1961), in cui inizia a sperimentare l’idea di una continuità spaziale tra interno ed esterno attraverso elementi strutturali che definiscono e caratterizzano l’edificio architettonico a tutte le scale. Questa abilità costruttiva nell’applicazione dei materiali viene confermata anche nell’ultimo capitolo tematico della mostra dedicato a progetti realizzati dalla metà degli anni Sessanta che hanno come comune denominatore la pietra. Il processo adottato è sempre lo stesso, ma gli esiti sono diversi e dipendono dalla relazione che Zanuso instaura con la materia, il luogo e la tecnica. Le case gemelle ad Arzachena (1962-1964) ripropongono la modularità nella pianta generale e nei singoli ambienti; in questo caso il modulo è declinato rispetto alle possibilità offerte dal granito locale e alla concezione dell’abitare come scambio continuo tra interno ed esterno. Manca in questo racconto un contributo alle collaborazioni tra progettisti che in Mendini è, invece, esplicitamente dichiarato: oltre al designer Richard Sapper c’è anche una giovane Cini Boeri, non menzionata, che lavorerà dieci anni nello studio Zanuso (1952-1963), relazione sicuramente stimolante per entrambi.

Non è un caso se per Mendini, nato quindici anni dopo Zanuso, la dimensione di gruppo è sin da subito di primaria importanza, tanto da spingerlo a creare dei progetti collettivi e antiautoriali come nella Casa della Felicità (Lago d’Orta, 19381988, con Alchimia, Giorgio Gregori), dimora ideale commissionata dall’imprenditore Alberto Alessi dove le micro-architetture che compongono i singoli ambienti sono affidate a diversi progettisti: Aldo Rossi, Robert Venturi, Andrea Branzi, Frank Gehry. Laureatosi al Poli- 91

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tecnico di Milano nel 1959, Mendini lavora nello studio di Marcello Nizzoli fino al 1970, anno in cui assume la direzione di «Casabella» per i successivi sei anni. In seguito, dirigerà «Modo, mensile di informazione sul design» (1977-1979) e «Domus» (1979-1985; 2010-2011). Il contesto socio-economico è profondamente cambiato: il 1973 è l’anno della devastante crisi energetica, del tramonto dell’epoca d’oro dei «trent’anni gloriosi», degli anni di piombo, dell’instabilità politica, della dissoluzione del ceto medio e della ritirata della committenza borghese. Lo scontro tra questi due momenti storici è visibile confrontando banalmente la poltrona Lady (1951) di Zanuso e la Proust (1978) di Mendini. La prima diventa modello del sogno femminile borghese, accogliente, dalle linee morbide; la seconda è un ready made di elementi che vanno dalla poltrona settecentesca ma ingigantita, al puntinismo di Paul Signac, ma esasperato nei colori, che simboleggia la necessità di trovare nuovi rituali.

Mendini si fa inoltre portavoce attraverso le pagine di «Casabella» dei gruppi di avanguardia del design radicale che si riuniranno nel 1973 per fondare Global Tools, una scuola di architettura e design che aveva come obiettivo l’esaltazione delle facoltà creative di ogni singolo uomo, tuttora sopraffatte dallo specialismo e dalla frenesia efficientistica. Terminologia, assunti, metodi e strutture della scuola sono curiosamente semplici: come chi intende colmare la distanza alienante che si è stabilita fra il lavoro delle mani e quello del cervello [Documento n. 2, «Bollettino Global Tools», n. 1]. È facile quindi comprendere il significato dei disegni o delle mappe concettuali che ricoprono le pareti dei moduli in mostra dedicati a Mendini: in fondo anch’essi raccontano processi, come accade nei disegni di Zanuso, ma non sono più legati a una tecnica; diventano racconto, parola, colore ed emozione, fino quasi ad assumere sembianze umane.

Tra gli anni Settanta e Ottanta Mendini collabora con il gruppo Alchimia, fondato da Alessandro e Adriana Guerriero, dove avvia una riflessione sul tema del redesign: un nuovo linguaggio visivo che offre un diverso significato agli oggetti del quotidiano come nel progetto per la Thonet 14 (1978) e per la Vassilj di Marcel Breuer (1978). Questa visione «animistica» dell’oggetto lo porterà a rivoluzionare aziende come Alessi e Swatch.

Nel procedere in questa rilettura – a tratti interiore, introversa, spezzettata e ricomposta nel caso di Mendini e completa, chiara, dichiaratamente progettuale per Zanuso – si trova, infine, un punto di contatto fra i due nella relazione che si crea tra spazio e oggetto: lo spazio degli uomini non è uno spazio vuoto: è uno spazio che deve essere popolato di cose, perché solo con la mediazione delle cose gli uomini si radicano nello spazio e dello spazio fanno mondo. Il problema è dunque inventare da capo gli oggetti con i quali si realizza lo spazio [P. Nicolin, M.G. Sanchis, op. cit., p. 19], che siano un’elegante poltrona Lady o un’eccentrica Proust, le seggioline ludiche per bambini K1340 o i cavatappi “teatranti” Anna G. e Alessandro M.

M. B.

Sommario dei fascicoli pubblicati

N. 101. Gesamtkunstwerk - Design: trattatistica, storiografia, critica e poetica - Gusto e disgusto nell’arte contemporanea - La tutela europea del design - Libri, riviste e mostre

N. 102. Architettura tra esperienze e aspettative - Interno e interiorità - L’arte contemporanea e i suoi scenari - Libri, riviste e mostre

N. 103. Tre tendenze e due ipotesi sull’architettura di oggi - Cos’è la tettonica - Design, mobili ed economia - Libri, riviste e mostre

N. 104. La storiografia è progettazione - Il fenomeno dei giovani artisti - Design: progetti possibili - Libri, riviste e mostre

N. 105. L’euroarchitetto - Il video d’artista nello spazio del museo - Design e ergonomia oggi - Libri, riviste e mostre

N. 106. Design: de gustibus est disputandum - La Bartlett School - La Biennale delle donne e dei video - La foto d’arte tra reale e virtuale - Libri, riviste e mostre

N. 107. Un’etica per l’architettura - Le ultime frontiere della Pop Art - Strategia, design, piccola impresa - Libri, riviste e mostre

N. 108. Reale surreale e virtuale nella storia dell’architettura - Storia, arte, movimento - Steven Holl o dell’architettura concettuale - Il design dei servizi - Libri, riviste e mostre

N. 109. Architettura come paesaggio - Note sulla Stillehre - Il protodesign futurista - Libri, riviste e mostre

N. 110. Surrealismo e virtualità - La definizione di «artefatto» nella cultura del progetto - Sul ritorno della pittura figurativa - Note sul design degli anni Novanta - Libri, riviste e mostre

N. 111. Arti visive: un senso da ritrovare - Figure della storiografia architettonica - Il Design per l’usabilità - Libri, riviste e mostre

N. 112. Internet non s’addice all’architettura - Nuova soggettività. L’architettura tra comunicazione e informazione - La creatività nel terzo millennio - Il dibattito italiano su design e ambiente - Libri, riviste e mostre

N. 113. Manhattanismo - Per cucire lo strappo - Scripta volant - Libri, riviste e mostre

N. 114. L’architettura italo-europea (fascicolo monografico)

N. 115. L’architettura «piccola» - Donne e design: il contributo dei Gender Studies - Il punto di rottura dell’arte tra il XIX e il XX secolo - Libri, riviste e mostre

N. 116. Design e crisi dell’auto - Case Study Houses: colonialismo modernista - Fautrier e l’Informale in Europa - Libri, riviste e mostre

N. 117. Le architetture di Escher tra Surrealismo ed Op-art - Semiotica del design e durata - Attualità del pittoresco - Libri, riviste e mostre

N. 118. Informazione materia prima dell’architettura - Tokyo: città e architettura - La grande svolta degli anni ’60 - La svolta del «volgare» - Tra sogni e conflitti: la contemporaneità della Biennale. Libri, riviste e mostre

N. 119. L’architettura di vetro - Tecnica: necessità e caso - Veggenti e visionari, André Breton tra passato e presente - Libri, riviste e mostre

N. 120. Insegniamo architettura - Sulla corporate image - Quando Mondrian e Webern sfidarono la natura - Libri, riviste e mostre

N. 121. La rivista compie 40 anni: in questo numero alcuni dei suoi testi migliori

N. 122. L’architettura delle 4 avanguardie - Le icone trasparenti e il museo della storia - Design: la legge distributiva 1101 - Libri, riviste e mostre

N. 123. Il longevo eclettismo di Philip Johnson - L’arte di oggi. Oggi, l’arte? - Design: gli oggetti a più funzioni - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 124. Ragionamenti sulla architettura - Il design per il marketing - La Biennale di Venezia tra dislocazione e direzione manageriale - Ragghianti e il linguaggio visivo - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N.125. Arbitrarietà e norma nella progettazione - Maniera e artifici per narrare l’arte - Design: dalla produzione al mercato - Panorami domestici, fra utopie moderne e visioni contemporanee - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 126. L’agenda della città - Design e Activity Theory. Il valore delle merci da reale a percepito - Un museo dell’immaginario nel cuore di Lisbona, tra realtà e scenari possibili - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 127. Normopatia, disincanto della Carta di Venezia - Tre scultori italiani - Artefatti fluidi - Verso una critica dello snobismo - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 128. Vema - Design e ready made - Human Design, alias della moda e dintorni - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 129. Architettura e politica - Snobismo e arti visive - Il design dell’energia - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 130. Architettura, arte applicata - Nuova galassia tipografico-digitale - L’iconografia dell’estasi - Quando i designer erano architetti - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 131. Città e architettura: ipotesi per il futuro - Il Design oggi - Neo-avanguardie visive? - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 132. Democrazia e architettura - Il futuro critico dell’arte - Traslitterazioni (visive) per l’oggetto d’uso e d’arredo - Moda e design: complicità e antagonismi - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 133. Per un’architettura normale - Scatti d’autore: le nuove frontiere della fotografia contemporanea - La marca messa in vetrina - Furniture design & Exhibit - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 134. Abitare la razionalità - Per una nuova classificazione delle arti - Il design aeronautico, Filippo Zappata e la Breda - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 135. Costruire di nuovo - Il design ai tempi della crisi - Arte programmata e Manfredo Massironi - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 136. Venustas blog cit. Dialogo su bellezza, architettura, mercato, democrazia - Piercing, tatuaggi, graffitismo: nuove frontiere d’arte? - Arredamento come arte decorativa - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 137. Le oscillazioni del digitale in architettura - Ricordo di Rogers - Torino 1969-2009: quarant’anni di design e sapere politecnico - Stile concettuale - AG Fronzoni: per un nuovo linguaggio grafico - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 138. Bob Noorda e la grafica di sistema - Algoritmi per progettare - Celebrazioni del centenario futurista - Magritte e Kandinskij: la rappresentazione nell’arte contemporanea - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 139. Cinque voci sulla venustas in architettura - Biennale Internazionale del Design / edizione “0”. Laboratorio di idee per l’innovazione e il futuro - L’immagine-processo. Media digitali e design del codice - Yacht design - Il Pneu World: immaginari artistico-architettonici tra XX e XXI secolo - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 140. Venezia e Amburgo: la Biennale e l’IBA - L’archivio come “forma simbolica” del XX secolo - Dieter Rams progettista d’interfacce - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 141. Circolarità ermeneutica tra Theoria e praxis nel progetto di architettura - Il contributo della Biomimesi per un design sostenibile, bioispirato e rigenerativo - Fotografia e spettacolarizzazione del quotidiano - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 142. Nescio quid: riflessi del sublime nell’architettura contemporanea - Continuando ad interpretare l’arte d’oggi - Le cose che contano - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 143. Architettura: un riesame - Per il disgelo delle arti - Design: verso una riscoperta della cultura materiale - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 144. Architettura: due paradigmi tra ’900 e ’2000 - Contro l’arte d’oggi - Radical design, Superstudio - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 145. Che cos’è la critica? - L’arte e la comunicazione dell’arte nell’era digitale - Quale storiografia per quale storia? Dalla storia universale alla scomparsa dell’Icar 18 - Edoardo Persico e il labirinto di Camilleri - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 146. Common Ground - Per il centenario di Jackson Pollock - Design: segni del tempo - Interni d’avanguardia - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 147. Architettura e identità islamica - Umano / disumano. Un percorso nel ritratto del novecento - Il Grande Fiume del design italiano - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 148. Innovazione e tradizione tra origine e inizio - La Biennale d’Arte di Venezia 2013: il Palazzo Enciclopedico e i padiglioni nazionali - A cinquanta anni dal moplen: l’eredità pesante degli oggetti leggeri - L’autore e la firma nel progetto di design - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 149. Maker - La finzione in architettura - L’impegno pubblico degli artisti in Olanda, oltre “il tempo dei manifesti” - Se la critica entra in crisi: il dibattito del ventennio ’60-’70 - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 150. Abduzione e valutazione - Per una teoria dell’arte relazionale e connettiva - Designscape. Processi istantanei del design contemporaneo - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 151. I primi cinquant’anni della nostra rivista - fascicolo speciale con una scelta dei saggi pubblicati e il sistema che comprende sia l’edizione cartacea sia quella digitale - Le pagine dell’ADI

N. 152. Due modi di essere nel web - De mundo multiplo: pensare l’arte oltre la modernità - La crisi del prodotto nel “design del prodotto” - Libri, riviste e mostre

N. 153. La fine del disegno? - Happening come rituale dell’interazione - Confronto critico tra Victor Papanek e Alain Findeli - Libri, riviste e mostre

N. 154. Historic Urban Landscape: un concetto in costruzione - Ancora sul rapporto tra arte e pubblico - Design: scenari morfologici della contemporaneità - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 155. Nuovo Realismo/Postmodernismo: dibattito aperto fra architettura e filosofia - Realismo sensoriale: per una diversa prospettiva fra Nuovo Realismo e Postmodernismo - Della omologazione in architettura - Arti visive: da zona franca a fronte comune - È del designer il fin la meraviglia - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI

N. 156. Architettura in mostra: il caso «Comunità Italia» - Modern/post: un territorio in-between - «Mostrismo»: un’avanguardia globale per un paradigma espositivo - Moda: sistema e processi - Libri, riviste e mostre - Le pagine dell’ADI Campania

N. 157. Editoriale - Una “ipostasi” della forma-tatuaggio - Aspetti e intenti del graffitismo d’oggi - Lebenswelt e architettura - Design vs Lebenswelt - Libri, riviste e mostre

N. 158. Architettura e qualità nell’età dei concorsi - La nostalgia nella cultura digitale - Conformazione e trasformazione degli spazi interni - La ricerca di una definizione di design - Libri, riviste e mostre

N. 159. «Corporea» alla Città della scienza di Napoli - Mono-ha nel contesto globale. Poetiche e culture a confronto - Distruzioni e ricostruzioni a Berlino - Il tempo del tipo nello spazio del design - Libri, riviste e mostre

N. 160. Il mestiere di architetto: prospettive per il futuro - Téchne e progetto d’architettura - Riflessioni sulla 57ª Biennale di Venezia e Documenta 14 a Kassel - Didattica e design, dal learning by doing al learning by design - La rivista «October»: temi e nuclei teorici - Libri, riviste e mostre

N. 161. La metodologia circolare della progettazione in architettura - Aldo Rossi. Topografia urbana - Artisti italiani e realtà sociale nel secondo dopoguerra - La rivista «October»: novità metodologiche e crisi di un paradigma - Il design (morale) dell’ordine - Ernesto Basile. Dall’architettura d’interni all’industrial design - Enzo Mari. Opera, multiplo, serie - Libri, riviste e mostre

N. 162. Il BIM. Un parere in evoluzione - Bruno Zevi e lo spazialismo architettonico - Semantiche del sublime architettonico - Brecht nostro contemporaneo - Il dono e l’arte, la festa e la dépense ai tempi di internet - Il “nuovo” nel modello Design-Oriented - Handmade in Italy - Libri, riviste e mostre

N. 163. L’architettura è (ancora) un’arte? - Sull’unbelievable: Hirst, il fantasy, la post-verità - La Biennale d’architettura 2018 - Crossing the border: la storia dell’arte nell’epoca della globalità - La teoria in scena: Adolphe Appia - Libri, riviste e mostre

N. 164. Architettura e tecnocultura “post” digitale. Verso una storia - Arte di ieri, oggi e forse anche domani - L’arte del XXI secolo - Il Teatro grottesco di Mejerchol’d - Industrialismo e archeologia industriale - Convergenze tra design e bioscienze - Ernesto Basile: dall’architettura d’interni al design - Libri, riviste e mostre

N. 165. Organic and mechanical - Paesaggi dell’Antropocene - Carlo Ludovico Ragghianti “architetto”. Dal dibattito al museo - Oltre il biomorfismo: l’approccio bioispirato - Libri, riviste e mostre

N. 166. Linguistica, semiotica e architettura - Il museo nell’era del web - La poesia scenica di Gordon Craig - Fare, pensare e progettare nel tempo della app economy - Essere designer: ruoli e dinamiche al confine con l’arte - Libri, riviste e mostre

N. 167. Smart Cities - Fenomenologia della nostalgia - Olivetti in Messico: 1949-2002 - Donne e architettura: il Woman’s Pavilion di Chicago - L’opera, l’immagine digitale e il Digital Storytelling 2.0 - Sulle tracce dell’opera d’arte. Video-recording e XXI secolo - Incoming/Outgoing. Flussi trans e multiculturali nel design contemporaneo - Libri, riviste e mostre

N. 168. Napoli: architettura internazionale anni ’70 - Telelavoro - Design quotidiano al tempo della vulnerabilità diffusa - L’Opificio Bertozzi & Casoni: estetica, concetto e sapienza fabbrile - Tra il sacro e l’espositivo - Cucinare e consumare: la cucina-casa - Quando i Giganti cadono. Fenomenologia della Memoria - Libri, riviste e mostre

N. 169. Chi parla inventa e chi ascolta indovina - Insegnare a distanza: il “progetto della didattica” - La prospettiva anarchica di Giancarlo De Carlo - Contro il parametricismo - Oltre il biomorfismo: il bioispirato e i materiali per lo sviluppo di prodotti resilienti e sostenibili - Antinomie del progetto Moderno - Soglie critiche. Sulla trasformazione come perdita e recupero - Tra tradizione e innovazione: gli artisti contemporanei e la ceramica - Libri, riviste e mostre

N. 170. L’analogia: l’euristica dell’architettura e del design - La città in quanto software - Sul potenziale della situazione: architettura come infrastruttura - New Media (e) Public Art. Arte oltre l’emergenza - Riflessioni sulla HfG di Ulm, per una storia delle scuole di Design - Pratiche d’immaginazione per decodificare la realtà. Alcuni artisti e opere - Due idee di vuoto: Dino Buzzati e Yves Klein - Il lato buono degli Scandinavi - Bisogni e desideri - Libri, riviste e mostre

N. 171. Dall’industrial design all’interaction e social design - Il pensiero come corpo. Per una concezione empatica dell’architettura - Soft skills e con-

sapevolezza identitaria. A che cosa serve l’arte? - Teoria e pratica del dissenso in Giovanni Klaus Koenig - Arte Ricerca Scienza: per una visione palindroma della conoscenza - Sezione visibile e réalisation. La materia delle cose (e il loro linguaggio) - Ambientalismo e Design - Libri, riviste e mostre

N. 172. Landmark e patrimonio: architetture tra cronache e storia - Pas de tubes? Corpi moderni e infrastrutture domestiche - Interno parallelo e continuo. Il Manierismo nel Barocco - Pratiche d’immaginazione per decodificare la realtà. Alcuni artisti e opere - La ferrea delicatezza. Il cammino di Muky attraverso arte, poesia e socialità - Libri, riviste e mostre

N. 173. L’esperienza della soglia: progetto minore per luoghi-di-non - Roma protorazionalista - Ambientalismo e Design - Oltre il quadrifoglio - Esperienze di coabitazione. Inclusioni spaziali, sociali e di genere alla XVII Biennale di Venezia - Libri, riviste e mostre

N. 174. Intelligenza artificiale e architettura - La grammatica del progetto - Il labýrinthos del Minotauro e l’aulé di Arianna: dall’abisso alla danza - Europólis. La città pubblica al centro dell’Europa - La mimesi e il binomio continuità/discrezione - Nuovo paesaggio italiano interventi artistici nel contesto pubblico e ruolo attivo dell’arte in Italia oggi - Libri, riviste e mostre

Direttore responsabile: Renato De Fusco Autorizzazione del Tribunale di Napoli n. 4967 del 29 maggio 1998 «Grafica Elettronica» - Via Bernardo Cavallino, 35/g - 80128 Napoli

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