Oltreconfine 9 – Carlos Castaneda

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9 SPECIALE Il podere del silenzio La Tensegrità di Carlos Castaneda Altre sintassi (Igor Sibaldi su Carlos Castaneda) La natura delle streghe

CONFRONTI Corrado Malanga Andrea Pietrangeli Virginia Salles <> Maria Fiorentino LETTERATURA H.P. Lovecraft Guy de Maupassant Osip Ėmil'evič Mandel'štam

A CARLOS CASTANEDA

RIFLESSIONI Il Rito, il Sogno e l’Estasi Annick de Souzenelle I dolci vantaggi delle avversità

Quaderni di spiritualità arte e letteratura numero 9

Cronache dai mondi visibili e invisibili

Carlos Castaneda

isbn 978-88-97864-13-4

9 788897 864134 euro 12,00

A oltreconfine S Cronache dai mondi visibili e invisibili

ARTE Sciamanesimo e arte Stati di psicotropia rituale La Città Ideale di Tomaso Buzzi

Lo sciamanesimo è un viaggio di ritorno.


Oltreconfine 9 Carlos Castaneda © 2013 Spazio Interiore Tutti i diritti riservati L’editore ha soddisfatto tutti i crediti fotografici. Nel caso gli aventi diritto siano stati irreperibili, è a disposizione per eventuali spettanze.

Edizioni Spazio Interiore Via Vincenzo Coronelli 46 • 00176 Roma Tel. 06.90160288 www.spaziointeriore.com info@spaziointeriore.com illustrazione in copertina Michela Filippini I edizione: febbraio 2013 ISBN 88-97864-13-4


«Vuoi dire che non avevo più un corpo?» Tu cosa ne pensi? «Non lo so. Posso solo dire quello che ho provato». È l’unica cosa che conta. Carlos Castaneda e don Juan


SommarioU Oltreconfine 9 • Carlos Castaneda

speciale > carlos castaneda

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Il podere del silenzio

62 Il Rito, il Sogno e l’Estasi

di Andrea Colamedici

12 La Tensegrità di Carlos Castaneda

di Maria Capaldi

28 Carlos Castaneda Guida alla lettura 30 Come lacrime nella pioggia

Intervista a Carlos Castaneda di Bruce Wagner

36 Viaggio a Tulum

Federico Fellini e Carlos Castaneda

38 Altre sintassi

Igor Sibaldi su Carlos Castaneda

riflessioni Percorsi verso l’Oltre e verso il Profondo di Carlo Dorofatti

68 Annick de Souzenelle

Manifesto per un cambiamento interiore di Giacomo Belcari

74 Sulle tracce dell’energia maschile e femminile

di Anna Laura Cannamela Embergher

78 I dolci vantaggi delle avversità

Il potere positivo del pensiero negativo di Kieron Devlin

84 Il mondo dopo la scoperta dei pianeti transaturniani

42 La natura delle streghe

confronti

di Maura Gancitano

48 Essere nel sogno

Florinda Donner in conversazione con Alexander Blair-Ewart

50 Come un ladro nella notte

Intervista a Pava Labrea di Andrea Colamedici

di Lidia Fassio

90 Corrado Malanga

Inseguire l’Alieno e trovare l’Anima di Nicola Bonimelli

98 Lo scopo del gioco

Intervista ad Andrea Pietrangeli a cura di Giovanni Picozza

102 il doppio Reale è ciò che agisce

Le frontiere della psicologia transpersonale Virginia Salles <> Maria Fiorentino


letteratura 112 H.P. Lovecraft

Viaggiare nell’altrove di Mariavittoria Spina

121 Il Libro

di H.P. Lovecraft

124 La paura

di Guy de Maupassant

130 Poesie

di Osip Ėmil’evič Mandel’štam

132 Contatto

di Maura Gancitano

arte 148 Sciamanesimo e arte

di Satvat Sergio Della Puppa

156 Stati di psicotropia rituale

Arte, colore, magia di Stefano Mayorca

162 luoghi dell’arte La Magia come forma d’arte

La Città Ideale di Tomaso Buzzi di Silvia Tusi

168 vetrina Luigi Pensato

134 Scheletri e fantasmi

172 visioni di fuoco • Tra cinema e sogno Elegia della libertà

di Mauro Simeone

136 La risonanza dei volti

di Giovanni Picozza

138 le porte della percezione

libri_esperienze_suggestioni

140 luoghi simbolici I luoghi del disorientamento

di Sebastiano B. Brocchi

di Tristano Vagnoni


Speciale > Carlos Castaneda

la tensegrità

di carlos castaneda

Un potente metodo di espansione della consapevolezza degli antichi sciamani del Messico .........................................

di Maria Capaldi

A

Carlos Castaneda è un antropologo-sciamano noto in tutto il mondo grazie alla pubblicazione di dodici libri, usciti tra gli anni ‘60 e gli anni ‘90. Nella sua opera viene descritto l’incontro e l’apprendistato con don Juan Matus, erede di un lignaggio di sciamani-veggenti antico di diecimila anni. Si tratta di un’antica tradizione denominata conoscenza tolteca: con questo termine non ci si riferisce alla saggezza del popolo tolteco, quanto piuttosto al significato stesso del termine, che nella lingua nahuatl denota propriamente l’artista, ovvero l’uomo di conoscenza. Della biografia di Carlos Castaneda non si sa praticamente nulla. Sebbene negli anni siano state pubblicate numerose notizie al riguardo, riportate su giornali e riviste di ogni paese, l’unica vera storia su Castaneda è quella scritta da lui stesso nel suo corpus letterario, in particolare nell’ultimo libro Il lato attivo dell’infinito, nel quale racconta gran parte della propria vita attraverso la narrazione di una serie di eventi memorabili in cui si può riconoscere la manifestazione dello Spirito, in grado di cambiare per sempre la 1. Tratto dal sito di Cleargreen: www.cleargreen.com.

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vita di un individuo in maniera radicale e irreversibile. Per Castaneda, infatti, era di fondamentale importanza rinunciare alla propria storia personale e trasformarla in un’avventura totalmente astratta, vale a dire rendere prettamente energetico qualcosa di profondamente umano. E uno degli eventi più memorabili nella storia di Carlos Castaneda fu proprio il suo incontro con don Juan Matus. «Don Juan Matus era un indiano yaqui del Messico, l’erede e il leader – il Nagual – di un lignaggio di veggenti uomini e donne, il cui scopo e fine erano la libertà di percezione, intesa come la libertà di percepire ciò che la fisica quantistica riconosce oggi come la natura fondamentale dell’universo: un universo di energia che secondo quei veggenti messicani è organizzato da una forza intelligente chiamata intento».1 Carlos Castaneda incontrò don Juan in una stazione di autobus nel nord del Messico: un amico gli aveva parlato di quel vecchio indio come di un esperto di


Speciale > Carlos Castaneda

piante psicotrope, argomento su cui Castaneda stava lavorando per la tesi di laurea in antropologia. Tutto il loro incontro si fondava su un equivoco: Castaneda cercava un esperto di piante, ma don Juan non era soltanto quello. Era fondamentalmente uno sciamano, un veggente di prima grandezza che inizialmente si rifiutò di dare qualunque tipo di informazione. All’interno della visione del mondo del vecchio indio, infatti, delle piante di potere non era possibile parlare. Se Castaneda voleva conoscere davvero le piante avrebbe dovuto sperimentarne personalmente gli effetti, ossia il potere. Già dal primo incontro don Juan vide che Castaneda aveva una conformazione energetica particolarmente interessante, e lo agganciò fissando intensamente il suo occhio sinistro, entrando in connessione profonda con lui. Una volta agganciato, Castaneda ritornò a cercare don Juan e a poco a poco iniziò a fare uso delle piante attraverso la guida dello yaqui. Castaneda si trovò ben presto proiettato in quella che definì come una realtà separata, qualcosa di totalmente estraneo alla mentalità media di uno studente universitario di tipo occidentale, qualcosa di razionalmente incomprensibile. Tuttavia, a qualche livello, si stava rendendo conto che era il suo corpo ad avere bisogno di tornare sempre da don Juan: in compagnia di quell’indio poteva sperimentare un’interruzione nella propria continuità percettiva che faceva bene sia al corpo fisico che a quello energetico. La ragione non era dovuta semplicemente all’ingestione delle piante di potere, ma soprattutto alla presenza di don Juan, che lo stava iniziando a uno stato di consapevolezza in cui tutto acquistava un significato più intenso e la visione del mondo circostante diventava estremamente più nitida. Castaneda ha

in seguito chiarito che per avere accesso alla conoscenza degli sciamani dell’antico Messico non è affatto necessario prendere sostanze di nessun tipo, anche se va fatta, ovviamente, una distinzione tra le droghe sintetiche e le piante di potere. Castaneda ha sottolineato che le droghe fanno malissimo al corpo, tanto che lui stesso si era ammalato proprio a causa del grande quantitativo di sostanze che l’indio gli aveva somministrato. D’altra parte, Don Juan usò le piante per interrompere la visione eccessivamente razionalista del mondo di Castaneda, dato che non aveva più molto tempo a disposizione da dedicargli per far sì che portasse a termine il proprio apprendistato.

carlos castaneda e la conoscenza degli sciamani dell’antico messico

Una delle caratteristiche fondamentali degli sciamani dell’antico Messico è la loro capacità di vedere, cioè di percepire l’energia così come fluisce nell’universo. Essi «definivano l’atto di vedere come lo stato di consapevolezza intensa grazie al quale il corpo umano è in grado di percepire l’energia come un flusso, una corrente, una vibrazione simile a un vento. Vedere così l’energia, è un atto dovuto al blocco momentaneo del sistema di interpretazione caratteristico di ciascun essere umano. [...] Gli stregoni del Messico antico scoprirono che ogni singola parte del corpo umano è impegnata, in un modo o nell’altro, nel trasformare questo flusso vibratorio, questa corrente di vibrazioni, in una sorta di immissione di dati sensoriali. Per mezzo della sua utilizzazione, l’insieme globale di questo bombardamento di informazioni sensorie si trasforma nel sistema di interpretazione che permette agli esseri umani di 13


Speciale > Carlos Castaneda

come lacrime nella pioggia

Intervista a Carlos Castaneda .........................................

di Bruce Wagner (Details Magazine, 1994) brani tratti da Interviste a Carlos Castaneda. Si vive solo due volte Stampa Alternativa 1997 traduzione di Matteo Guarnaccia

A

il senso comune uccide

«Mi chiamo Carlos Castaneda. Mi piacerebbe che voi oggi faceste una cosa. Mi piacerebbe che sospendeste il vostro giudizio. Per favore: non venite qui armati del vostro “senso comune”. La gente ha saputo che avrei parlato ed è venuta per smontare Castaneda. Per farmi del male. “Ho letto i suoi libri e li trovo infantili”. “Tutti i suoi libri sono noiosi”. Non venite con questa idea in testa. Non servirebbe a niente. Oggi sono venuto a chiedervi, solo per un’ora, di aprirvi all’opzione che sto per presentarvi. Non ascoltatemi come dei bravi studenti. Ho già avuto occasione di parlare a dei bravi studenti, sono morti e arroganti. Il senso comune e l’idealità sono le cose che ci uccidono. Ci aggrappiamo a queste cose con i denti: questo è la “scimmia”. Questo è il modo in cui ci chiamava don Juan Matus: scimmie insane. Sono stato inavvicinabile per trent’anni. Non sono uno che va in giro a parlare. Per un attimo adesso sono qui. Un mese, forse due... poi scomparirò. Noi non siamo di mentalità ristretta, non adesso. Non possiamo permetter30

celo. Abbiamo un debito da pagare verso coloro che si sono presi il disturbo di mostrarci certe cose. Abbiamo ereditato questa conoscenza, don Juan ci ha detto di non essere apologetici. Vogliamo farvi vedere che esistono delle opzioni strane, pragmatiche che non sono fuori dalla vostra portata. Provo un piacere esotico nell’osservare questo volo, è puro esoterismo! È un segreto. Non lo faccio per guadagnarci qualcosa, non ho bisogno di nulla. Ho bisogno di voi come ho bisogno di un buco in testa. Ma io sono un viaggiatore, un passeggero. Navigo, là fuori. Mi piacerebbe che anche altri avessero la stessa possibilità».

il teatro della stregoneria live

Nel 1960 Castaneda era un laureato in antropologia all’Università di Los Angeles. Mentre si trovava in Arizona per compiere una ricerca sulle proprietà medicinali delle piante, incontrò un indiano yaqui che si offrì di aiutarlo. Il giovane ricercatore offrì cinque dollari all’ora per i servizi di don Juan Matus, la sua pittoresca guida. L’assistente maestro rifiutò. All’insaputa di Castaneda, il vecchio


Speciale > Carlos Castaneda

contadino coi sandali altri non era che un potente stregone, un nagual che astutamente lo arruolò come attore nel «mito dell’energia» (Abelar lo chiama «teatro della stregoneria live»). Come ricompensa per i suoi servizi, don Juan chiese qualcosa di particolare: l’«attenzione totale» da parte di Castaneda. Lo stupefacente libro nato da questo incontro – A scuola dallo stregone – divenne immediatamente un classico, strappando sistematicamente i cardini delle porte della percezione e fulminando una generazione. Da allora, ha continuato «a togliere una dopo l’altra le pelli alla cipolla», aggiungendo diari della sua esperienza, autorevoli delucidazioni di realtà non ordinarie in grado di erodere il sé. Un titolo definitivo per la sua opera potrebbe essere “La scomparsa di Carlos

Castaneda”. «Abbiamo bisogno di un termine nuovo al posto di stregoneria, è troppo cupo. Lo associamo con delle assurdità medievali tipo: rituale, male. Mi piace di più “la via del guerriero” o “navigazione”. Questo è ciò che fanno gli stregoni: navigano». Ha scritto che una definizione appropriata per stregoneria è «il percepire l’energia direttamente». Gli stregoni hanno visto che l’essenza dell’universo assomiglia a una matrice di energia sparata attraverso un nastro di conoscenza, la vera consapevolezza. Questi nastri formano delle «trecce» che contengono tutti i mondi possibili, tutti reali come il nostro (che è solo uno tra i tanti). Gli stregoni chiamano il mondo che noi conosciamo «il nastro umano» o «la prima attenzione». Loro hanno anche «visto» l’essenza del31


Riflessioni

il rito, il sogno

e l’estasi

Percorsi verso l’Oltre e verso il Profondo .........................................

di Carlo Dorofatti www.carlodorofatti.com

A

Il Rito, il Sogno e l’Estasi sono tre porte d’accesso alla ricerca esistenziale, che non vanno ritenute separate, ma che si integrano e si fondono una nell’altra dando vita a un percorso completo. Il Rito, che ha la stessa radice di “ritmo”, esprime la ricerca di sintonia con la natura che ci circonda, della quale siamo parte e insieme alla quale siamo una manifestazione dell’Assoluto, dell’Essere. Il Rito è la ricerca di un sincronismo, di una vera e propria sintonizzazione con le manifestazioni più autentiche della realtà che ci circonda, delle sue energie, dei suoi misteri. Il Rito ci permette di entrare in sintonia con l’universo e le sue manifestazioni attraverso i simboli e gli archetipi. Il Rito può essere anche molto essenziale, basti pensare alla ritualità tipica dell’Oriente, allo Zen, all’Advaita, in cui addirittura la vita stessa diventa il rito: il corpo è il tempio, ogni gesto una preghiera e ogni pensiero un’invocazione al divino di cui siamo espressione. In Occidente riscontriamo invece la tendenza verso una ritualità più complessa, tipica della nostra tradizione magicomisterico-liturgica, che si basa sull’esaltazione dei propri stati di coscienza attraverso il simbolismo, considerato come 62

chiave di accesso alle energie dell’universo attraverso gli archetipi: quindi il numero, il rapporto, la misura (da cui la geometria sacra), oppure le rappresentazioni attraverso l’arte e l’architettura. Ecco allora l’archetipo che ispira il simbolo e diventa un riferimento stratificato nell’inconscio collettivo. Jung aveva capito molto bene il meccanismo dei simboli ancestrali come chiavi di accesso alle energie elementari dell’universo, che sono le medesime energie della vita che ci anima, che ci rende vivi, pensanti e probabilmente in grado di intuire una nostra natura che va oltre la realtà normalmente percepita. Oggi la ritualità cerimoniale e l’uso dei simboli sono tornati alla ribalta con la diffusione delle tradizioni neo-pagane, neo-sciamaniche, wiccan, che hanno ripreso elementi della tradizione ermetica, alchemica e massonica. Pensiamo alla nascita di Ordini di vario genere e al revival magico che si è avuto nell’800 e nei primi anni del ‘900, con la Golden Dawn, con Crowley, poi con Kenneth Grant e i diversi sviluppi; in Italia gli aspetti magico-rituali furono indagati in particolare dal Gruppo di Ur, da Evola, da Reghini e dalle massonerie che ancora conservavano una qualche autenticità operativa. In


Riflessioni

Luigi Pensato, Tempio iniziatico

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Confronti

corrado

malanga Inseguire l’Alieno e trovare l’Anima .........................................

di Nicola Bonimelli

A

Gli dei sono diventati malattie, dice Hillman con Jung. E se le malattie diventano alieni? Sappiamo che il mondo occidentale, lì dove un tempo si scovavano dèmoni e demòni, ha iniziato a vedere manie e disturbi: l’indemoniato ha cambiato nome, è diventato un malato. Ma come dice Cocteau: il diavolo cacciato dalla finestra rientra dalla porta come raggio di sole. Non c’è bisogno di leggere la Storia della follia di Foucault per capire che i nomi possono imprigionare l’essenza delle cose. Allo stesso modo, però, non possono annientarla. Ogni prigioniero è potenzialmente Edmond Dantès, conte di Montecristo, che bramando la sua vendetta, aspetta il momento della sua evasione e della sua rivincita. Forse gli alieni sono una variante estrema di quelle potenze altre dall’umano – aliene appunto – che l’uomo ha rinchiuso nei trattamenti sanitari, obbligatori o volontari. Dunque gli alieni esistono? Fino a qualche tempo fa avremmo potuto chiederlo a Corrado Malanga. Con il suo accento metà ligure – è nato a La Spezia – metà pisano – vive a Pisa da più di trent’anni, dove è ricercatore di chimica organica presso la cattedra di Chimica e Chimica Industriale della facoltà di Scienze Matematiche, 90

Fisiche e Naturali – ci avrebbe raccontato storie non di indemoniati, men che meno di schizofrenici, ma di addotti, migliaia di addotti, ovvero persone visitate, possedute, rapite dagli alieni. Probabilmente ci avrebbe convinto che quanto la fantascienza racconta degli alieni è più vero di quanto siamo solitamente disposti a ritenere: le sue ricerche, infatti, non sono frutto di sprovveduti amanti dell’ignoto, ma sono condotte da uno stimato ricercatore di chimica di fama internazionale con strumenti scientificamente riconosciuti quali l’ipnosi regressiva e la Programmazione Neuro Linguistica. Qualche tempo fa Corrado Malanga, il più esperto alienologo italiano, avrebbe risposto: sì, gli alieni esistono. Oggi, se vogliamo una risposta alla nostra domanda, non possiamo rivolgerci a lui, sebbene sia certamente tra le persone più informate dei fatti. La questione infatti è un po’ più complicata e anche molto più interessante di quella che indaga semplicemente la presenza aliena sul nostro pianeta o, peggio, dentro di noi. Se siamo a casa, abbiamo freddo e decidiamo di accendere il fuoco, prima di preoccuparci della legna dobbiamo chiederci se abbiamo un camino, a meno di non voler bruciare il salotto accendendo


Confronti

il fuoco sul pavimento, creando cioè dei danni irreparabili. Ecco, potremmo dire che Corrado Malanga, dopo aver lungamente girato nei boschi delle anime degli addotti per cercare legna – gli alieni – ha capito di non aver mai pensato al camino, al suo camino, e forse nemmeno pensava al vero motivo del suo cammino. Questo camino o cammino che sia oggi lo chiama Anima, quella parte di lui che lo scienziato, preoccupato di capire i fenomeni (degli) altri da sé – o alieni! – ha per troppo tempo trascurato. Non deve essere stato facile dire a se stesso e al mondo: «Mi sono sbagliato». Non perché la questione degli alieni abbia del tutto perso valore o perché semplicemente non esistano. Il punto è che esiste qualcosa di più importante, l’Anima: parola di scienziato! Così questo camino è davvero anche l’inizio di un nuovo cammino, una rinascita, una nuova genesi. Non a caso Genesi (Spazio Interiore 2013) è il titolo del libro in cui Malanga tenta una nuova impostazione del problema, una nuova mappa del territorio, un’indagine che concilia fisica quantistica, ricerche ufologiche e mitologie universali. D’altro canto, come dice Malanga, «è giunto il momento di fare chiarezza sulla genesi dell’intero Universo». Intero Universo sta anche per Universo Interiore. L’Universo, infatti, non è solo quello lì fuori, che si può vedere e studiare con un telescopio o con un microscopio. L’Universo è soprattutto Universo Interiore, ossia la nostra Anima, e Corrado Malanga, dopo anni di indagini aliene, è stato costretto a fermarsi a seguito della perdita della vista e a iniziare a guardare dentro di sé, mettendo umilmente in discussione, rielaborandole, le sue ricerche ventennali. Se gli dei, o i demoni, sono diventati malattie che successivamente si sono ritra-

Corrado Malanga • www.corradomalanga.vacau.com

sformate in esseri alieni, è il momento di comprendere che possono davvero rapirci se non ci mettiamo in ascolto di Anima, di quella parte di noi che è la nostra straniera per eccellenza. Anima ci abita e più di ogni altra potenza oscura ha bisogno di parlarci di sé, ovvero del nostro Sé, il nostro più illustre sconosciuto, per quanto familiare esso sia: Unheimliche, sosterrebbe Freud, Ombra, direbbe Jung. Il film 6 giorni sulla Terra di Varo Venturi, in cui fai un piccolo cameo, è ispirato alle tue ricerche. Il protagonista che indaga questioni aliene è un professore universitario di biochimica che viene ostacolato dal mondo accademico. Qual è stato, negli anni, il tuo rapporto con l’ambiente universitario e scientifico rispetto alle tue indagini? Mi occupo di questioni aliene da quando avevo quindici anni, da quando iniziai a leggere i libri di Peter Kolosimo. Non ho mai fatto mistero di questo mio interesse, nemmeno quando sono entrato all’Università. Man mano che facevo carriera, iniziando a tenere lezioni e diventando ricercatore, sono cominciate pure le mie partecipazioni in televisione per parlare di alieni. Alcuni colleghi mi dissero che 91


il doppio

reale è ciò che agisce Le frontiere della psicologia transpersonale .........................................

Virginia Salles <> Maria Fiorentino

A

Entrambe psicoterapeute di formazione junghiana e transpersonale, entrambe esploratrici dell’invisibile, Virginia Salles e Maria Fiorentino si confrontano sui limiti e sulle prospettive della psicologia contemporanea, soffermandosi sul senso del femminile, dell’arte e dell’immaginazione. Quali sono le chiavi più interessanti che la psicologia contemporanea offre a coloro che posseggono quell’istinto per il transpersonale di cui parlava Jung? virginia salles – L’istinto per il transpersonale ci apre a quelle esperienze della realtà interiore che alla maggior parte delle persone risulta incomprensibile. È una potente forza evolutiva che è sempre stata scoraggiata e persino demonizzata dalla psicologia tradizionale. Nella psicoanalisi classica, per esempio, l’inconscio viene, in ultima analisi, considerato come la sede dei nostri più bassi istinti animali e associato agli aspetti più infimi della natura umana. Le esperienze dirette della dimensione spirituale, come quelle descritte nella letteratura spirituale, nello sciamanesimo, ecc., non 102

vengono mai contemplate, anzi vengono considerate come manifestazioni di gravi malattie mentali. La più moderna visione della psiche proposta dalla psicologia transpersonale (che va oltre il personale) offre una cornice teorica di riferimento molto più ampia, capace di contenere le nuove possibilità conoscitive che emergono da queste esperienze delle sconfinate dimensioni interiori, di comprenderle e assecondarle. Non solo libera l’essere umano dalla minaccia incombente delle etichette psicopatologiche, ma, in un certo senso, ne autorizza la libera espressione. maria fiorentino – La psicologia contemporanea sta svolgendo un grande lavoro di recupero della tradizione terapeutica antica. Avevano già iniziato i padri fonda-


Confronti

Maria Fiorentino

Virginia Salles • www.virginiasalles.it

tori della psicologia del profondo, Freud e Jung, i quali si erano rivolti alla cultura greca per supportare alcuni concetti fondativi delle loro teorie. Ora noi conosciamo i sistemi di cura del mondo antico, basati non solo sulla ritualizzazione di alcuni momenti di passaggio della psiche, ma anche sull’incubazione e sulla lettura dei sogni da parte dei sacerdoti preposti ai grandi oracoli del mondo antico. Alcuni settori della psicologia odierna stanno andando oltre le nostre radici greco-romane per indagare e conoscere i concetti di malattia/guarigione delle tradizioni sciamaniche. Al giorno d’oggi la nascita dell’etnopsicologia, una disciplina che comprende al proprio interno molti indirizzi e che studia i sistemi di cura delle varie culture, permette ai terapeuti occidentali di confrontarsi con concetti assai lontani dalla loro tradizione scientifica. La psichiatria transculturale rivolge la sua attenzione ai modelli terapeutici presenti nelle popolazioni di tutto il mondo. Le culture non occidentali contengono molti riferimenti alla dimensione transpersonale, elemento che manca nella nostra storia. L’etnopsicologia e l’etnopsichia-

tria possono rappresentare dunque quelle chiavi che ci permettono di fare questa esperienza, e non soltanto da un punto di vista intellettuale. Il mondo è divenuto più piccolo e ora possiamo entrare in contatto con esperienze lontane dai nostri criteri tradizionali. Come è utile declinare oggi il concetto di immaginazione? maria fiorentino – L’immaginazione, ossia la capacità di evocare e/o creare immagini è un’attività presente nell’essere umano fin dalla preistoria. È l’elemento che raccorda il mondo oggettivo esterno con la dimensione interna soggettiva. La psiche si è sviluppata proprio a partire da questa facoltà. Si tratta dunque di una funzione molto importante, che interviene nel processo di conoscenza e lo modella. L’immaginazione si declina principalmente su due livelli: la dimensione delle immagini inconsce e quella della elaborazione degli oggetti reali. Sulla base delle immagini inconsce Jung costruì il metodo dell’immaginazione attiva: un procedimento per entrare in contatto con le proprie immagini interne, spesso sconosciute alla coscienza: «Se ci concentriamo su un’immagine interiore [...] il nostro inconscio produrrà una serie di immagini che formeranno una storia 103


Letteratura

H.P. LOVECRAFT VIAGGIARE NELL’ALTROVE .........................................

di Mariavittoria Spina

A

ritratto di un alieno Le fotografie d’epoca in genere affascinano indipendentemente dal soggetto; l’atmosfera d’altri tempi, quella vaga sensazione di cose lontane eppure familiari, cattura l’immaginazione. Tuttavia, osservando le immagini che ritraggono H.P. Lovecraft, il Solitario di Providence, colpisce qualcosa di altro: non è tanto quel portamento un po’ legnoso o il sorriso stereotipato, quasi di scusa, indizi di un’insicurezza fin troppo umana, quanto la totalità del suo atteggiamento a farlo sembrare un alieno rispetto al contesto. Pur tentando di tenersi in disparte quest’uomo spicca, quasi fosse trattenuto su questa terra e contemporaneamente sintonizzato sull’altrove. Una stranezza difficile da non notare e sulla quale anch’egli talvolta si esprimeva. «Come tu osservi, ad esempio, io ho un carattere tutt’altro che funereo, ma quando mi metto in posa il mio aspetto fa pensare a un misto di cosmica disperazione e ferocia repressa... questo dimostra che razza di salice piangente io sembri! Quando devo recitare un discorsetto spiritoso dopo cena assumo un’aria terribilmente triste: io so-

spiro, le mie vittime sbadigliano. In mia difesa dirò che non faccio mai discorsi in pubblico, se non vi sono assolutamente costretto. Fa male a me più che agli altri».1 La sua particolare sensibilità lo rendeva dolorosamente consapevole di dare l’impressione di sembrare in qualche modo diverso, presente, eppure non del tutto, come un personaggio anacronistico, un antropologo sui generis in spedizione di osservazione partecipante tra gli umani. Considerava la propria apparenza una manifestazione esteriore del suo sentire, qualcosa cui

1. Lettera a J. Vernon Shea del 14 febbraio 1936. Salvo dove diversamente esplicitato, le lettere citate sono tratte da H.P. Lovecraft, Lettere dall’altrove. Epistolario 1915-1937, a cura di Giuseppe Lippi, Mondadori 1993.

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Letteratura

trovare rimedio: «In breve, la perfezione dell’abbigliamento mi ha consentito di non preoccuparmi più del mio aspetto, anzi, di dimenticare di essere visibile».2 Le fotografie testimoniano che l’aspetto di Lovecraft non aveva niente di anomalo, ma cosa comunicava la sua presenza da fargli desiderare di «dimenticare di essere visibile»? Che cosa può far sentire una persona diversa, finanche aliena, se non, in ultima analisi, una differente percezione della vita, di quel fiume dell’esistenza nel quale ciascuno, pur bagnandosi a proprio modo, decide se appartenere alla corrente o farsi strada contando solo sulle proprie forze? Si finisce per diventare ciò che accettiamo di essere, e anche il mondo attorno a noi cambia allo stesso modo, con l’accumularsi delle esperienze che determinano la qualità della nostra consapevolezza. Così, l’immagine di Lovecraft colpisce proprio perché sembra provenire da un’altra dimensione della consapevolezza, profondamente controcorrente rispetto allo sfondo. La sensazione di straniamento e di estraneità di questo scrittore incornicia un amalgama di suggestioni alle quali lavorò per tutta la vita come effetto più evidente di un talento molto particolare, raro, che non trovò mai un’adeguata espressione: il contatto con l’invisibile, non solo attraverso la visione, ma per mezzo di veri e propri viaggi onirici e nell’altrove. Esperienze insolite ma tangibili, che plasmarono la personalità lovecraftiana: «In effetti ci sono in me due personalità distinte: da una parte quella cosmico-letteraria, dall’altra quella storica, domestica e antiquaria. Nel mio rapporto con la letteratura il fantastico è pre-

dominante, ma nella vita reale e nel mondo visibile ha la meglio il carattere dello yankee conservatore, amante della terra e dell’antico».3 Due mondi distinti quindi, il visibile e l’invisibile, che a suo avviso richiedono atteggiamenti differenti; lo stesso concetto di personalità assume connotati precisi nei suoi discorsi. «La personalità è un attributo dell’organismo fisico... Immaginare che un simile attributo (che potremmo definire un modo di muoversi nella materia da parte di una complessa organizzazione naturale) abbia un’esistenza indipendente dal materiale che l’ha generata, o che possa sopravvivere alla morte e distruzione di questo materiale è un’assurdità così infantile che pochi biologi del nostro tempo si danno la pena di riflettervi seriamente».4 Affermazioni di questo genere potranno sembrare ovvie per un autore che si definiva un «ateo materialista meccanicista», ma il pensiero lovecraftiano non può essere limitato a questa concezione dell’esistenza. Lovecraft era solito impressionare i propri interlocutori per la facilità con cui discuteva degli argomenti più disparati, e infatti le sue parole rimandano a significati molto più complessi di quanto non appaia a un esame superficiale. L’impermanenza della personalità come attributo legato alla materia è soltanto uno degli esempi molto precisi di concetti meramente esoterici inseriti nelle descrizioni della sua esperienza. D’altro canto, il materiale a disposizione è così vasto e i riferimenti sottili che vi si trovano sono talmente variegati che varrebbe la pena di dedicarvi un intero libro,

2. Lettera a Sarah S. Lovecraft del 24 febbraio 1921, in H.P. Lovecraft, Lovecraft. Le parole, le immagini, a cura di Giuseppe Lippi, Mondadori 1994. 3. Lettera a Clark Ashton Smith del 2 agosto 1927. 4. Lettera ad August Derleth del 10 dicembre 1931, in H.P. Lovecraft, Lovecraft. Le parole, le immagini, cit.

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luoghi simbolici

i luoghi del

disorientamento .........................................

di Sebastiano B. Brocchi sites.google.com/site/sebastianobrocchi

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Ogni studioso di simbologia, desideroso di avvicinarsi maggiormente al cuore nascosto delle cose, dovrebbe considerare attentamente la simbologia dei luoghi, poiché i luoghi sono tra i primi elementi capaci di parlare alla nostra mente simbolica. Mi riferisco ai paesaggi, certo, ma anche ai luoghi creati dall’uomo. Le città degli antichi, con i loro monumenti, santuari, palazzi di sovrani, archi di trionfo, obelischi, viali di sfingi, steli, sculture, scalinate, non erano pensate e progettate soltanto per rispondere alle esigenze pratiche dei loro abitanti, né, del resto, soltanto per appagare la vista con elementi decorativi. Edifici, monumenti, persino tracciati stradali che non sembrano assecondare la conformazione del territorio, sono invece ispirati in molti casi a disegni sconosciuti. Disegni al cui significato è possibile risalire, talvolta, studiando le concezioni astrologiche, filosofiche o religiose del popolo che li creò. A questo proposito è importante ricordare che anche la religione, l’arte e la letteratura fanno da sempre abbondante e sapiente uso di luoghi simbolici. Luoghi simbolici che in certi casi si limitano a incorniciare, in altri tentano di influenzare, in altri ancora arrivano a determinare scene ed episodi rappresentati. Così, i 140

racconti che fanno parte della mitologia o della storia mitizzata di un popolo accadono in contesti paesaggistici ben precisi, affinché la natura del paesaggio circostante rispecchi in qualche modo il significato profondo dell’avvenimento narrato o possa svelarne ulteriori sottigliezze interpretative. Già nei tempi passati, i commentatori di testi importanti come la Bibbia o la Divina Commedia, si resero conto di come il paesaggio fosse abilmente utilizzato dagli autori di quei libri per esprimere visivamente dei particolari stati d’animo, dei cambiamenti interiori. «In tutte le mitologie del mondo ritroviamo dei simboli fondamentali identici che potremmo, del resto, riunire globalmente in tre gruppi, corrispondenti ai tre stati dello psichismo: l’inconscio, il conscio e il surconscio o Spirito. Universalmente, lo Spirito, il subcosciente, è rappresentato dal cielo e dal sole, mentre l’inconscio lo è, spesso, dalla luna e la notte. Quanto al conscio, è evidentemente incarnato dall’uomo-eroe, figura centrale dei miti. Questo uomo abita la superficie della terra che, per estensione, diventa anch’essa simbolo del conscio, mentre la vetta della montagna, raggiungendo il cielo, rap-


Letteratura

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Tant’è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte. Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai.

D. Alighieri, Divina Commedia

Gustave Doré, illustrazione per il Canto I dell’Inferno di Dante

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Arte

sciamanesimo e arte .........................................

di Satvat Sergio Della Puppa www.satvat.it

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La prima testimonianza di un’espressione artistica dell’essere umano risale alle pitture rupestri. A un certo punto, lungo lo scorrere dei millenni pre-storici che videro la genesi e lo sviluppo del genere umano, qualcuno seguì la misteriosa esigenza di tracciare dei segni e delle figure nei recessi rocciosi e poco agibili, apprendendo a graffire e a dipingere con pigmenti naturali nell’oscurità delle grotte. Questo avvenne, in modo pressoché simultaneo, in diversi e distanti luoghi della Terra, esprimendo figurazioni tra loro simili, soprattutto di animali e di entità antropomorfe spesso dotate di misteriosi attributi. Non dobbiamo trascurare di considerare la straordinarietà di tale processo d’elaborazione creativa, dato che la rappresentazione bidimensionale, che è propria del disegno, comportò un radicale mutamento della percezione rispetto all’esperienza ordinaria dell’individuo che osservava e viveva un mondo a tre dimensioni. Gli studiosi hanno letto quelle pitture rupestri come formulazioni rituali atte a propiziare la caccia; tuttavia studi recenti confermano che gli animali più raffigurati non sono quelli dei quali il popolo degli artisti pre-storici si nutriva. Inoltre la collocazione spesso impervia e 148

angusta di tali opere non era consona al convegno umano. In realtà l’antichissima arte rupestre fu il primo esempio di arte sciamanica. A un certo punto del suo millenario processo evolutivo, nell’essere umano si manifestò una nuova facoltà connessa alla capacità della visione interiore; come se in lui si fosse improvvisamente attivato un centro di percezione sottile, l’uomo s’inoltrò in solitudine nel grembo della Madre Terra, raccogliendosi in se stesso per connettersi intimamente ai misteri della Creazione. Questi misteri gli si presentarono come forze possenti della Natura: spiriti-animali e altre entità psicopompe che ponteggiavano il piano umano con quello spirituale, insieme ai disegni geometrici e spiraliformi che, negli stati di coscienza espansa, testimoniano visivamente i flussi dell’energia. Quelle immagini archetipiche vennero dal sognare cosciente in cui si sviluppa la visione sciamanica. Gli animali dipinti sulle pareti di pietra non derivarono quindi da una prosaica aspettativa di cibo, bensì furono le figurazioni sacrali dei caratteri e dei poteri dell’Anima universale. Alcuni dipinti rupestri che mostrano creature metà umane e metà animali hanno il particolare significato dell’immedesimazione magica: fonden-


Arte

mentare una nascita inversa che potesse risalire il flusso della sua nascita come creatura terrestre, assoggettata alla parzialità e ai limiti della manifestazione psicofisica. Mediante la scintilla di consapevolezza che in lui si era risvegliata, si sforzò d’individuare, scrollandosi dall’oblio automatico che addormenta la psiche, le correnti d’energia con cui l’Esistenza manifesta le diecimila forme, imparando a utilizzare quella stessa forza magica per divenire potente e per tentare di risalire all’Origine che non conosce né paura né morte. Così facendo, si trovò a cavalcare le onde oceaniche e archetipi-

Satvat, Sciamano libero viandante

dosi con l’animale totemico, lo sciamano richiama a se stesso un’energia più possente di quella ordinaria, che proviene dagli stati ancestrali della Creazione. L’arte delle pitture rupestri si è tramandata compiutamente in seno ad alcune tradizioni tribali; ad esempio, nei luoghi di potere del Dreaming gli aborigeni australiani continuano a ridipingere in sovrimpressione e con esattezza cerimoniale i loro antichi dipinti sulla roccia, resuscitando con il fermento iniziatico lo stesso sentire del primordiale artistasciamano. Questo, tornando simbolicamente nell’utero di Gea, volle speri-

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luoghi dell’arte

la magia come forma d’arte La Città Ideale di Tomaso Buzzi .........................................

foto e testo di Silvia Tusi

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Questa storia ha molti incipit e per fortuna ancora nessun finale. I protagonisti sono pochi e gli spettatori molteplici, cambiano di volta in volta e si susseguono senza sosta. Cambiano non solo tra loro ma anche in loro, in quanto non possono rimanere inerti di fronte a ciò che trovano: devono necessariamente fare i conti almeno con una delle tante maschere tenute ben serrate a celare la vera natura del proprio essere. Coloro che assistono allo spettacolo si susseguono non in una spirale temporale bensì metafisica, in cui non c’è né tempo né spazio ma solo un grande Uno che inghiotte tutti alla fine della partita. I protagonisti principali sono, in ordine di apparizione, Francesco d’Assisi, un libro intitolato Hypnerotomachia Poliphili, l’architetto Tomaso Buzzi, detto terzo occhio, e suo nipote Marco Solari. La scenografia è cangiante, muta in continuazione, tutta avvinghiata tra le colline umbre in un luogo chiamato La Scarzuola, e prende le sembianze di una Città Ideale. È il 1218 quando Francesco decide di fermarsi proprio qui dopo lungo peregrinare e, a causa dell’assenza di grotte o tane, si vede costretto a costruire una capanna con la scarza, un’erba palustre dall’atteg162

giamento infestante. Da questa capanna infestata dall’infestante scarza nasce un monastero, che i francescani vendono nel 1957 a Tomaso Buzzi, architetto milanese. Il luogo pare non avere alcuna importanza, sebbene sia stato edificato dallo stesso San Francesco, e viene dato via senza considerare la potenza energetica, il valore spirituale e la possibilità di utilizzarlo ancora come luogo di meditazione e preghiera. Buzzi comprende le potenzialità de La Scarzuola e del resto ha necessità di trovare un posto che gli permetta di fare il giullare, di mischiare le carte, di creare e distruggere per poi tornare a edificare, lasciando tutto incompiuto come in un sogno che inizia e finisce ma in realtà rimane sempre senza confini. Anche Marco Solari, nipote di Buzzi, comprende cosa sia La Scarzuola, forse non consciamente ma a un livello più sottile, più profondo. Alla morte dello zio nel 1981, accetta questa folle eredità che nessun altro vuole e si imbarca in un viaggio che ancora lo sta traghettando verso l’enigma e l’ignoto. È proprio il viaggio il tema principale di questo luogo stregato in cui la magia come forma d’arte ci accoglie e ci avvolge per non lasciarci più. Di viaggio infatti si


Arte

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9 SPECIALE Il podere del silenzio La Tensegrità di Carlos Castaneda Altre sintassi (Igor Sibaldi su Carlos Castaneda) La natura delle streghe

CONFRONTI Corrado Malanga Andrea Pietrangeli Virginia Salles <> Maria Fiorentino LETTERATURA H.P. Lovecraft Guy de Maupassant Osip Ėmil'evič Mandel'štam

A CARLOS CASTANEDA

RIFLESSIONI Il Rito, il Sogno e l’Estasi Annick de Souzenelle I dolci vantaggi delle avversità

Quaderni di spiritualità arte e letteratura numero 9

Cronache dai mondi visibili e invisibili

Carlos Castaneda

isbn 978-88-97864-13-4

9 788897 864134 euro 12,00

A oltreconfine S Cronache dai mondi visibili e invisibili

ARTE Sciamanesimo e arte Stati di psicotropia rituale La Città Ideale di Tomaso Buzzi

Lo sciamanesimo è un viaggio di ritorno.


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