Catalogo pizzichini - Prima parte

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voler celare il carattere naturale dall’immagine: la struttura segnica privilegia sì la forma organica, ma il rimando alla figura simbolica prevale in un campo visivo privato del paesaggio. L’opera gioca sulla tensione tra proliferazione e concentrazione. La prima dettata dal ritmo decorativo che corre lungo la superficie della tela, dalla sua pittura fatta di segni insistenti e minuziosi che si intrecciano e si aggrovigliano. Segni che si producono e riproducono per trovare una propria specificità, una disposizione più determinata. La seconda data dall’alternarsi di luce e di ombra, dalle pause dei pieni e dei vuoti che si mettono tra l’artista e la sua vita, a creare una relazione tra creazione dell’opera e propria identità. L’artista senese diventa il possibile mediatore di nuove invenzioni visive senza neutralizzare le possibilità aperte già negli anni precedenti. Se le sue radici mediterranee gli permettono un rapporto continuativo e non negativo con la natura, l’influenza nordica e le esperienze d’oltralpe lo conducono, parafrasando Bonito Oliva, verso una sorta di “antropomorfizzazione” della natura stessa. Il suo universo di immagini è retto da una cultura umanistica che lo mette in costante relazione con il mondo che lo circonda e le sue tele, spazi densi di colore uniforme che sovente si appiattisce in valori monocromi e di segni ripetitivi, sono allo stesso tempo semplici e complesse, intellettuali e intuitive. Il suo tratto, sempre repentino e mai sgarbato, nel rompere un equilibrio acquisito, predispone l’osservatore a entrare in un vero e proprio processo analitico, musicale, tutt’altro che immediato, in un perenne oscillare tra introspezione intima, astrazione e rappresentatività, tra simbolismo e narrazione.

sempre di ragione inquieta si tratta. La sua pittura è al tempo stesso concreta, tangibile e inafferrabile: non palesa il proprio inizio e non indica un compimento. I suoi segni, per quanto iterati e presenti, non sono una vera e propria sigla: si originano in situazioni di spazio e di tempo che sono ben definite, ma non ubbidiscono a uno schema prestabilito e costante. Non sono neppure ideogrammi, nel senso che non hanno un contenuto cognitivo chiaramente oggettivato, ma sono piuttosto strumento con il quale l’artista mette insieme un principio strutturale secondo cui paesaggi, figure, animali, oggetti, profili, prospettive, si dispongono in modo sequenziato a generare un alfabeto per immagini. Questo segno, che Gillo Dorfles potrebbe definire randomico, determina una sorta di scrittura per immagini, un racconto che, con cadenza metrica, muove da impulsi razionali ma che evolve sospinto da una irrazionale carica emotiva. Il colore, luminoso e cupo, deciso e monocromo, teso e puro, esistenziale e concettuale, ora si distende e dialoga con l’agitarsi e il comporsi dei segni, Studio per “Pane al teatro delle mani” 1983

Uno spazio in tensione “La pittura si fa segno, il segno si fa pittura…” sono alcune delle parole pronunciate da Pizzichini che riescono a sostanziare il suo rendere visibile ciò che alla visione si sottrae. Per quanto la ragione possa essere considerata come la matrice delle sue opere, pur

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