Il binomio Nazione-Famiglia nel discorso politico americano

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA

TOR VERGATA

FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN LINGUE NELLA SOCIETA' DELL'INFORMAZIONE TESI IN LINGUA INGLESE IL BINOMIO NAZIONE-FAMIGLIA NEL DISCORSO POLITICO AMERICANO

Relatore: Sandra Petroni Chiar.ma Prof.ssa

Laureando: Mirko Saveriano Matr.: 0082213

Anno Accademico 2010-2011

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INDICE

INTRODUZIONE ............................................................................................................... 5

CAPITOLO I. La metafora concettuale e la blending theory ............................................. 7 1.1 Lingua, linguaggio e linguistica generale ................................................................. 7 1.2 La linguistica cognitiva e la non autonomia del linguaggio ...................................... 7 1.3 La teoria della metafora concettuale ......................................................................... 8 1.4 Classificazione delle metafore concettuali .............................................................. 11 1.4.1 Le metafore strutturali ...................................................................................... 11 1.4.2 Le metafore ontologiche .................................................................................. 12 1.4.3 Le metafore di orientamento ............................................................................ 13 1.5 Gli image-schema ................................................................................................... 14 1.6 Le metafore a livello specifico e a livello generico ................................................ 15 1.7 La blending theory .................................................................................................. 15 1.8 Differenze tra domini concettuali............................................................................ 16 1.9 I limiti della metafora concettuale........................................................................... 17 1.10 Come lavora la blending theory ............................................................................ 20 1.11 Tipologie di collegamento tra gli spazi d'ingresso ................................................ 21 1.12 Cosa rende metaforico un blending....................................................................... 22 1.13 Teorie differenti ma complementari...................................................................... 23

CAPITOLO II. La metafora nelle argomentazioni politiche ............................................ 25 2.1 La persuasione e la retorica dei politici................................................................... 25 2.2 La metafora e i discorsi politici ............................................................................... 28 2.2.1 La metafora e i suoi “alleati” ........................................................................... 29 2.3 La personificazione di una nazione ......................................................................... 31 2.4 Gli stati “amici” e “nemici” .................................................................................... 34 2.5 Lakoff e il concetto di nazione-famiglia ................................................................. 36 2.5 Le nazioni “adulte” e le nazioni “bambine” ............................................................ 38 2.6 Giustificare una guerra e reputarla “giusta” ............................................................ 40

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CAPITOLO III. La ricerca e i risultati .............................................................................. 43 3.1 Il metodo di ricerca e il corpus ................................................................................ 43 3.2 La nazione è famiglia .............................................................................................. 44 3.3 Ronald Reagan (1981-1989) ................................................................................... 49 3.4 George Bush (1989-1993) ....................................................................................... 57 3.5 William J. Clinton (1993-1997) .............................................................................. 62 3.5 George W. Bush (2001-2009) ................................................................................. 69 3.6 Barak Obama (2009) ............................................................................................... 76

CONCLUSIONE .............................................................................................................. 82

BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................. 84

RINGRAZIAMENTI ........................................................................................................ 86

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INTRODUZIONE

Oggi la politica è la principale fonte di argomenti che riguardano la vita di molte persone e pertanto è necessario che venga mostrato cosa si nasconde dietro quelle che sembrano essere semplici affermazioni. Lakoff sostiene nel suo libro “Don’t think of an elephant!” che i presidenti americani gestiscono il loro governo facendo riferimento ad una specifica metafora concettuale che vede una nazione come una famiglia: i cognitivisti dimostrano che la mente umana ha la tendenza a rappresentare metaforicamente grandi organizzazioni, gruppi sociali o enti nazionali in termini di gruppi più piccoli come appunto la famiglia, all’interno della quale la posizione egemone è quella del presidente stesso. Lakoff, inoltre, afferma che esistono due modelli precisi a cui i presidenti americani fanno riferimento e sono quelli del “padre severo” e del “genitore premuroso”. Sono entrambi del tutto validi ma, chiaramente, hanno metodi educativi ben differenti: il primo è molto più severo, rigido e rigoroso nel rispetto delle regole e adotta come metodo educativo la punizione; il secondo, invece, è più disponibile al dialogo, premuroso appunto, e come metodo di educazione preferisce la responsabilizzazione dei figli alla punizione, proponendo l’empatia come codice comportamentale valido sia all’interno del nucleo familiare che all’esterno. Lakoff ritiene inoltre che, tra i due, il modello che riscuote più successo sia quello del padre severo. Probabilmente questo è dovuto al fatto che in un contesto socio-economico in deficit, dove l’insicurezza e la paura per il proprio futuro regnano sovrane, è necessario che un adulto assuma un atteggiamento molto più severo e che si dimostri all’altezza del compito che gli è stato affidato riportando ordine e disciplina. Questo tipo di scelta andrebbe ad influire sull’immagine del presidente stesso che, in questo modo, viene rappresentato come una persona sicura di sé, responsabile e che sappia riportare la serenità nel suo Paese conquistando così la benevolenza del suo popolo. In questo contesto è possibile anche capire i motivi per cui la metafora concettuale che vede una nazione in termini di una famiglia sia molto efficace: il fatto stesso che esiste una relazione tra il presidente e i cittadini con le figure del capofamiglia e dei figli fa

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presupporre che ci sia un rapporto di fiducia che lega le due parti. Inoltre, è da considerare anche che negli Stati Uniti d’America il capo di stato è eletto direttamente dal popolo e per questo, ragionando in termini metaforici, è chiaro che un genitore, severo o premuroso che sia, agisce sempre e comunque nell’interesse dell’intera famiglia. Partendo da questo presupposto, quindi, risulta più facile capire il motivo per cui il ricorso alla metafora diventa una delle strategie retoriche più utilizzate nel linguaggio politico: grazie ad essa è possibile sia spiegare il proprio modo di vedere il mondo, sia convincere gli altri che quello è l’unico ammissibile, mostrando quindi tutto il suo potere persuasivo. Le fasi di lavoro per realizzare il presente scritto sono state tre ed è proprio per questo motivo che è stato deciso di suddividere l’elaborato in tre capitoli. Nel primo verranno confrontate due teorie che riguardano la metafora concettuale: la prima è quella risalente agli anni '80 di George Lakoff e Mark Johnson i quali, attraverso il loro libro Metaphors We Live By, spiegano per la prima volta in che modo dei concetti astratti vengono compresi ed elaborati dalla mente umana in termini di altri concetti concreti, ponendo quindi delle relazioni unidirezionali tra due rappresentazioni mentali; la seconda è quella più moderna di Gilles Fauconnier e Mark Turner i quali, pur condividendo molti aspetti della teoria originaria, hanno dimostrato che è possibile porre delle relazioni tra più spazi mentali e soprattutto che esiste una multidirezionalità di tali connessioni. Nel secondo capitolo, invece, verrà mostrato attraverso delle citazioni di noti uomini politici, quali Churchill e G.W. Bush, come la metafora abbinata ad altre strategie linguistiche, può rivelarsi uno strumento utile per influenzare il giudizio del pubblico. Nel terzo ed ultimo capitolo, a supporto delle teorie di Lakoff, verranno analizzati e commentati i discorsi inaugurali dei presidenti americani da Ronald Reagan a Barak Obama mettendo in evidenza le peculiarità linguistiche e semantiche che li caratterizzano.

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CAPITOLO I. La metafora concettuale e la blending theory 1.1 Lingua, linguaggio e linguistica generale La linguistica è una disciplina descrittiva che studia scientificamente il linguaggio umano, cioè studia gli elementi che influenzano il linguaggio di un uomo che compie un certo tipo di discorso. Per descrittiva si intende che il compito della linguistica non è quello di spiegare ciò che si può dire o meno, ma ciò che effettivamente si dice. Per quanto riguarda il linguaggio, in questa trattazione viene inteso come linguaggio naturale ossia come il sistema di comunicazione usato dall'uomo per trasmettere informazioni ad un destinatario. Quindi è differente dalla definizione di lingua con la quale intendiamo la forma che assume questo sistema di comunicazione all'interno di una comunità linguistica. Negli ultimi decenni, con gli studi di Lakoff e Johnsonn, la linguistica generale ha ampliato i suoi obiettivi, tentando così di spiegare in che modo un certo tipo di linguaggio viene utilizzato per rappresentare concetti che l'uomo crea all'interno della sua mente. Cerca, inoltre, di sottolineare gli elementi che collegano questi concetti astratti alle espressioni linguistiche che vengono effettivamente utilizzate. Con queste motivazioni la linguistica inizia a lavorare a livello cognitivo, cioè spiega in che modo la mente umana raccoglie informazioni dal mondo esterno per rielaborarle successivamente. E' per questo che prende il nome di linguistica cognitiva.

1.2 La linguistica cognitiva e la non autonomia del linguaggio Nella linguistica cognitiva il linguaggio non è visto come un qualcosa di autonomo, quindi non può esserci una facoltà linguistica che sia indipendente dalle capacità cognitive umane. Questo significa che la mente non è modulare, cioè non è strutturata in moduli autonomi dedicati a facoltà diverse dell'essere umano. Il fatto che nella linguistica cognitiva il linguaggio non sia autonomo, non implica che non c'è possibilità per un uomo di apprenderlo, infatti questo processo

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deriva da altre capacità cognitive precedenti che si aggiungono con lo sviluppo fisico e sociale dell'uomo (Langacker, 1999a, p. 26):

"Of course, I am not assuming pure induction starting from a blank slate. The acquisition process is part and parcel of the physical, cognitive, social and cultural development of the language learner, and reflects an innate predisposition to learn language. This predisposition most likely represents the specialization and adaptation for language of more basic and general structures and abilities."

Le capacità cognitive sono condizionate dalle dimensioni fisiche dell'essere umano. Infatti, la mente è tutt'uno con il corpo, come si dice in gergo è embodied, ed è influenzata da due fattori: il primo è quello della sua grandezza fisica e il secondo è quello della dimensione, della struttura corporea in generale e dalle leggi del mondo circostante, come per esempio la forza di gravità. La linguistica cognitiva si pone l'obiettivo di indagare la relazione tra struttura del linguaggio e la sua motivazione cognitiva. Le dimensioni interne ed esterne all'individuo sono fondamentali per strutturare il linguaggio, perché determinano i tipi di metafora che daranno poi luogo alle forme grammaticali.

1.3 La teoria della metafora concettuale Si inizierà ad introdurre il concetto di "metafora concettuale" analizzando le sue origini attraverso lo studio della prima teoria realizzata da Lakoff e Johnson a partire dagli anni '80, sottolineando le caratteristiche principali e la sua classificazione riportando esempi tratti da varie opere di analisi linguistica, e del confronto con un'altra teoria più moderna come quella della blending theory i cui padri fondatori sono Fauconnier e Turner che dal 1994 analizzano in maniera più

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dettagliata l'uso della metafora concettuale in particolari contesti della vita quotidiana.

Gli studi sulla metafora hanno avuto un forte impulso negli ultimi anni, anche in ambiti diversi della linguistica. Grazie alla sua natura concettuale, la metafora ricopre un ruolo fondamentale nella linguistica cognitiva e permette uno studio più accurato del significato delle forme grammaticali. La teoria della metafora concettuale viene elaborata soprattutto da Lakoff e Johnson negli anni '80, i quali affermano che la metafora rappresenta la connessione tra la semantica, che per natura è astratta e propria di un codice complesso come la lingua, e la base cognitiva che informa la nostra conoscenza. Da questo punto di vista, la metafora è descritta come uno strumento cognitivo che permette ad un dominio concettuale concreto, definito come dominio di partenza, o source domain, di interpretare ed elaborare concetti più astratti appartenenti a un dominio di arrivo, chiamato target domain. E' molto importante fare una distinzione tra metafora concettuale e espressione linguistica metaforica: quest'ultima è composta da parole o espressioni linguistiche che provengono direttamente da un linguaggio o una terminologia di un dominio concettuale più concreto. Consideriamo gli esempi seguenti: AN ARGUMENT IS WAR Your claims are indefensible. I demolished his arguments. He shot down all of my arguments. LOVE IS A JOURNEY Look how far we've come. I don't think this relationship is going anywhere. We'll just have to go our separate ways. THEORIES ARE BUILDING Is that foundation for your theory? We need to construct a strong argument for that. The theory needs more support.

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Dallo schema sopra possiamo notare come sia strutturata la metafora concettuale: l'elemento A è B, dove B è compreso attraverso termini selezionati dal dominio concettuale di A. Nel primo esempio, la metafora concettuale è "AN ARGUMENT IS A WAR" dove l'elemento A è rappresentato da ARGUMENT e l'elemento B da WAR. L'espressione metaforica linguistica invece è la messa in pratica della metafora concettuale come può essere appunto la frase "Your claims are indefesible".

C'è un insieme di corrispondenze tra il source domain e il target domain: agli elementi costituenti del primo dominio corrispondono altri elementi del secondo. Questo gruppo di relazioni viene definito col termine mappings. Osserviamo l'esempio seguente relativo alla metafora concettuale LOVE IS A JOURNEY :

Source domain: JOURNEY The travelers The vehicle The journey The distance covered The obstacles encountered Decisions about which way to go The destination of the journey

=> => => => => => =>

Target domain: LOVE The lovers The love relationship itself Events in the relationship The progress made The difficulties experienced Choices about what to do The goal(s) of the relationship

Dallo schema sopra indicato possiamo capire quanto sia importante conoscere una metafora concettuale e l'insieme delle relazioni che collegano i due domini in quanto sono queste che forniscono gran parte del significato delle espressioni linguistiche metaforiche di una particolare metafora concettuale. Come accennato in precedenza, la natura del source e del target domain è diversa. Il primo riguarda elementi che appartengono al mondo concreto e pertanto include elementi che si riferiscono ad argomenti come il corpo umano, salute e malattia, animali, macchine e strumenti, edifici e costruzioni, piante, giochi e sport, cibo, transazioni economiche, luce e oscurità. Il secondo invece si riferisce ad elementi astratti della vita quotidiana come le emozioni, desideri, società, religione, politica, economia, relazioni umane, tempo, vita e morte.

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E' importante notare che le metafore concettuali hanno una caratteristica fondamentale, quella, cioè, di essere unidirezionali: partono dal dominio concreto e vanno verso il dominio astratto e questo permette di spiegare concetti intangibili del target domain, e quindi difficili da comprendere, attraverso elementi concreti appartenenti al source domain.

1.4 Classificazione delle metafore concettuali Esistono vari modi per classificare una metafora concettuale a seconda del punto di vista dal quale la si analizza. In base alla loro funzione cognitiva, esse si distinguono in strutturali, ontologiche e di orientamento.

1.4.1 Le metafore strutturali Nelle metafore strutturali, il source domain fornisce una buona struttura del concetto del target domain. La funzione cognitiva di questo tipo di metafora è quella di permettere al parlante di comprendere un concetto A tramite il significato della struttura del concetto B. Per esempio, nel caso della metafora TIME IS MOTION possiamo comprendere la nozione di tempo attraverso elementi di base come oggetti fisici, la loro posizione e la direzione del loro movimento. Ma c'è anche una condizione di fondo che si applica a questo esempio: il tempo presente è allo stesso livello di un osservatore canonico. Quindi dati gli elementi di base e analizzata la condizione di fondo, otteniamo il seguente insieme di mappings:    

I tempi sono oggetti. Il passare del tempo è movimento. I tempi futuri sono davanti all'osservatore, mentre quelli passati sono dietro. Un oggetto è in movimento, le altre sono ferme.

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La metafora TIME IS MOTION nella lingua inglese è concepita in due modalità diverse: la prima è TIME PASSING IS MOTION OF AN OBJECT e la seconda TIME PASSING IS AN OBSERVER'S MOTION OVER A LANDSCAPE. Queste due versioni possono essere analizzate in esempi come:

TIME PASSING IS MOTION OF AN OBJECT

TIME PASSING IS AN ABSERVER'S MOTION OVER A LANDSCAPE

The time for action is arrived. I'm looking ahead to Christmas. The time will come when ... On the preceding day ...

He passed the time happily. We're coming up on Christmas. We're getting close to Christmas. There's going to be trouble along the road.

Nel primo caso, l'osservatore è fisso e i riferimenti temporali sono oggetti indipendenti che si muovono in varie direzioni. Nel secondo invece, i tempi sono fissi ed è l'osservatore che si muove in relazione al tempo. Da quanto detto, si capisce quanto queste metafore siano importanti perché forniscono un tipo di struttura che ci permette di comprendere espressioni che fanno riferimento a concetti astratti.

1.4.2 Le metafore ontologiche Le metafore ontologiche, rispetto a quelle strutturali, forniscono una minore struttura cognitiva. La funzione principale di questo tipo di metafore è quella di dare un valore ontologico ai concetti astratti. Questo significa che noi concepiamo le nostre esperienze in termini di oggetti, sostanze e contenitori senza però specificare esattamente a che tipo di oggetti, sostanze o contenitori si intendono. In altre parole, le metafore ontologiche permettono di vedere una struttura ben delineata dove essa è molto sottile o addirittura assente:

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Source Domain PHYSICAL OBJECTS

=> =>

SUBSTANCE

=>

CONTAINER

=> =>

=>

Target Domain NONPHYSICAL OR ABSTRACT ENTITIES (e.g., the mind) EVENTS (e.g., going to the race), ACTION (e.g., giving someone a call) ACTIVITIES (e.g., a lot of running in the game) UNDELINEATED AND PHYSICAL OBJECTS (e.g., a clearing in the forest) PHYSICAL AND NONPHYSICAL SURFACES (e.g., land areas, the visual field) STATES (e.g., to be in love)

Dagli esempi sopra citati notiamo come concetti astratti prendono vita, o comunque acquisiscono qualità attribuibili ad un essere vivente. Questa importante caratteristica è chiamata personificazione e permette, appunto di assegnare abilità umane a entità astratte. E' molto utilizzata in letteratura, ma è molto frequente anche nell'uso quotidiano come mostrano le espressioni seguenti:

Life has cheated me. Inflation is eating up our profits. The computer went dead on me. Cancer finally caught up with him.

La personificazione, come si può notare, utilizza uno dei domini di partenza più produttivi che esistono: noi stessi, o meglio, il corpo umano. Tramite l'ausilio di questo strumento, possiamo comprendere meglio concetti legati ad entità astratte.

1.4.3 Le metafore di orientamento Le metafore di orientamento, rispetto alle precedenti, forniscono una struttura per i concetti d'arrivo ancora più minuta e la sua funzione è quella di rendere i concetti astratti in maniera coerente con il nostro sistema concettuale. Il termine "orientamento" deriva dal fatto che molte metafore che hanno questa funzione utilizzano parole che si riferiscono all'orientamento spaziale umano come "up/down", "center/periphery", e così via.

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Osserviamo lo schema seguente: Speak up, please. Keep your voice down, please. Lazarus rose from the dead. He fell ill

MORE IS UP; LESS IS DOWN: HEALTHY IS UP; SICK IS DOWN: CONSCIOUS IS UP; UNCONSCIOUS IS DOWN: CONTROL IS UP; LACK OF CONTROL IS DOWN: HAPPY IS UP; SAD IS DOWN: VIRTUE IS UP; LACK OF VIRTUE IS DOWN: RATIONAL IS UP; NONRATIONAL IS DOWN:

Wake up. He sank into a coma. I'm on top of the situation. He's under my control. I'm feeling up today. He's really low these days. She's an upstanding citizen. That was a low-down thing to do. The discussion fell to an emotional level. He couldn't rise above his emotions.

Leggendo gli esempi notiamo come cambia la valutazione delle espressioni usate. Infatti, le formule utilizzate con un orientamento verso l'alto hanno un valore positivo, mentre quelle che hanno un orientamento verso il basso sono valutate negativamente.

1.5 Gli image-schema Le metafore si possono fondare sia su conoscenze personali che su immagini. Infatti, un altro importante strumento della linguistica cognitiva è l’image-schema, nel quale non ci sono elementi concettuali da trasferire dal dominio di partenza verso quello di arrivo, ma elementi concettuali provenienti da immagini della nostra esperienza di vita. Lo stesso Johnson definì gli image-schema "dinamic patterns that function somewhat like the abstract structure of an image, and thereby connect up a vast range of different experiences tha manifest the same recurrent structure" (1987, p. 13). Alcuni esempi di metafore basati su image-schema sono:

Image-schema

Estensioni metaforiche

In-out Front-back Up-down Motion

I'm out of money He's an up-front kind of guy I'm feeling low He just went crazy

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Una cosa molto importante da dire è che questi possono essere utilizzati come basi per spiegare altri tipi di concetti. L'esempio relativo al movimento ci guida verso il concetto di un viaggio al quale partecipa un individuo che parte da un luogo e compie un determinato tragitto fino al punto d'arrivo.

1.6 Le metafore a livello specifico e a livello generico Le metafore concettuali possono essere classificate anche secondo il loro livello di generalità. In questo contesto, possiamo distinguere due tipi di metafore: il primo fa riferimento a concetti di livello specifico, mentre il secondo a quelli di livello generico. Metafore come LIFE IS A JOURNEY, AN ARGUMENT IS WAR, IDEAS ARE FOOD sono strutturate con elementi molto dettagliati (nel caso del JOURNEY notiamo elementi come la strada, i viaggiatori, la meta, il mezzo) e pertanto le classifichiamo come metafore di livello specifico. Per quanto riguarda metafore come EVENTS ARE ACTIONS, GENERIC IS SPECIFIC, possiamo dire che sono caratterizzate da una struttura molto semplice con pochi elementi concettuali e con proprietà elementari. Pertanto sono definite metafore di livello generico.

1.7 La blending theory Finora abbiamo visto come la teoria della metafora concettuale, che ha origine negli anni '80 con Lakoff e Johnson, sia divenuta oggetto di studio della linguistica cognitiva. Questa, però, si è sviluppata in diversi campi ed ha ampliato i suoi orizzonti con quella che viene chiamata blending theory, o meglio integrazione concettuale e condivide molti aspetti con la sua forma originaria: entrambe le teorie parlano della metafora come un fenomeno puramente linguistico, includono proiezioni sistematiche di linguaggi, immagini e strutture inferenziali tra i domini concettuali e così via. Tuttavia, ci sono delle differenze

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sostanziali tra le due teorie. Quella della metafora concettuale, che d'ora in poi chiameremo CMT, pone delle relazioni tra due rappresentazioni mentali, mentre la teoria del blending, che chiameremo BT, ne permette un numero maggiore; inoltre, la CMT ha definito la metafora come un fenomeno strettamente unidirezionale a differenza della BT che invece la descrive in maniera multidirezionale.

1.8 Differenze tra domini concettuali Come già accennato, nella CMT le metafore concettuali sono analizzate come relazioni stabili e sistematiche tra due domini concettuali. Consideriamo la seguente espressione: The committee has kept me in the dark about this matter.

Gli elementi dei domini di partenza e di arrivo sono stati scelti attraverso una combinazione tra il linguaggio utilizzato e una metafora concettuale pertinente, con una mappatura di relazioni che ci indicano in che modo si delineano i due domini. Ed è proprio grazie a quest'ultima che riusciamo a capire che l'ignoranza è associata con l'oscurità, così come altre condizioni precludono la vista. Infatti, stabilita la connessione tra percezione visiva con l'attività intellettuale, quasi ogni concetto relativo ad una visione dell'esperienza viene associato ad un interlocutore con delle idee chiare su un determinato argomento.

In questo contesto, la BT si comporta diversamente in quanto l'unità di base dell'organizzazione cognitiva non è il dominio concettuale, ma lo spazio mentale, una struttura di rappresentazione parziale e temporanea che i parlanti creano quando parlano di situazioni presenti, passate e future oppure pensano a determinate immagini. Gli spazi mentali non sono equivalenti ai domini, ma dipendono comunque da essi, infatti rappresentano particolari scenari che sono costruiti da domini specifici.

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Mentre nella CMT la mappatura delle relazioni avviene tra due strutture concettuali, la BT fa prettamente uso di ben quattro modelli spaziali. Questi sono composti da due spazi di ingresso (che in genere erano associati ai domini di partenza e di arrivo), piÚ uno spazio generico, che comprende una struttura concettuale condivisa dai primi due, ed infine lo spazio "misto" dove gli elementi dei due spazi di ingresso si combinano e interagiscono tra loro. Va sottolineata, però, una delle caratteristiche principali di questa organizzazione: il materiale viene proiettato dai domini di partenza e di arrivo direttamente nello spazio "misto" e questo va in contrasto col modello della CMT la cui mappatura era unidirezionale in quanto era proiettata dal dominio di partenza verso quello di arrivo.

1.9 I limiti della metafora concettuale La BT ha il vantaggio di poter spiegare fenomeni che la CMT con i suoi soli due domini non è in grado di fare. Osserviamo l'esempio seguente: This surgeon is a butcher.

L'espressione fa riferimento ad una sorta di incompetenza del chirurgo e per farlo cerca di utilizzare elementi provenienti dal dominio della macelleria per arrivare al dominio d'arrivo della chirurgia attraverso una serie di relazioni tra le due parti:

Macellaio

<==> Chirurgo

Animali

<==> Esseri umani

Merce

<==> Paziente

Mannaia

<==> Bisturi

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Il macellaio, senza nulla togliere al prestigio del chirurgo, è comunque competente nel suo lavoro e deve essere pertanto rispettato. In questo caso quindi, il concetto di incompetenza non viene trasferito dal dominio di partenza a quello di arrivo. In che modo, allora, scegliamo la figura del macellaio come un'appropriata immagine per un chirurgo? E come fanno questi elementi selezionati a comunicare la nozione di incompetenza? La risposta potrebbe essere spiegata dal fatto che la selezione dell'immagine di partenza e l'interpretazione della frase dipendono parzialmente dal contrasto tra chirurghi e macellai. Questo fattore è un meccanismo che la CMT non è in grado di spiegare. La BT invece, grazie al suo modello dei quattro spazi, è in grado di motivare il concetto di incompetenza.

In primo luogo, il blending ottiene alcune strutture da ogni spazio di ingresso. Dallo spazio input d'arrivo, realizzato dal dominio della chirurgia, eredita alcuni elementi come l'identità di una particolare persona che deve essere operata, per esempio colui che parla, l'identità di un altro individuo che deve effettuare l'operazione e quindi il luogo in cui avverrà l'operazione stessa. Dallo spazio input di partenza, invece, che è guidato dal dominio della macelleria, ricava il ruolo del macellaio e le attività inerenti al suo lavoro. Nello spazio generico, vengono condivise alcune proprietà come il fatto che entrambe le figure lavorative utilizzano strumenti affilati e taglienti per operare su altri esseri.

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Osservando attentamente lo schema si nota che l'incongruenza del risultato perseguito dal macellaio con quello del chirurgo porta alla conclusione finale che il chirurgo è un incompetente. Questa proprietà che deriva dal blending non può essere ricavata dall'analisi della CMT sulle corrispondenze del dominio di partenza a quello di arrivo.

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1.10 Come lavora la blending theory Le analisi su una metafora concettuale da parte della BT sono basate su tre processi: composizione, completamento ed elaborazione.

La fase della composizione si riferisce alla proiezione del contenuto di ogni singola entrata nello spazio misto. A volte questo processo include la "fusione" degli elementi dei vari input, come nel caso del chirurgo che acquisisce delle caratteristiche del macellaio. La rappresentazione derivante dalla composizione potrebbe non essere del tutto realistica, infatti non è ammissibile che un macellaio possa operare su paziente in una sala operatoria, ma possiamo comunque manipolare e costruire un'immagine mista affinché la mente crei uno scenario attendibile.

La seconda fase, cioè del completamento, è quella in cui si compila un modello all'interno dello spazio misto che verrà poi evocato quando la struttura proiettata dagli spazi d'ingresso coincide con le informazioni presenti nella nostra memoria a lungo termine. Per esempio, quando proiettiamo mentalmente un macellaio in una sala operatoria, introduciamo la nozione di incompetenza per dare un senso alla scena immaginata: l'idea di un movimento inappropriato e maldestro richiama alla nostra mente la figura di una persona incompetente. Per questo motivo, spesso il processo di completamento è fonte di nuovi contenuti deducibili, appunto, all'interno dello spazio misto.

L'elaborazione, infine, è la prestazione simulata dell'evento a livello mentale. In questa fase potremmo immaginare la figura del macellaio in una sala operatoria che opera sul corpo di un paziente, fino ad arrivare ad una scena più violenta in cui il macellaio fa a brandelli un corpo come se fosse carne di origine animale. Una volta stabilite tutte le connessioni della nostra conoscenza riguardo alle operazioni chirurgiche e alla macelleria, siamo in grado di immaginare scenari che si dilungano verso innumerevoli prospettive.

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All'interno di ognuna di queste fasi c'è un potenziale contenuto che non può essere ricavato semplicemente attraverso gli spazi d'ingresso. Nuovi frame e caratteristiche nascono tutti quando si combinano elementi provenienti da spazi mentali distinti.

1.11 Tipologie di collegamento tra gli spazi d'ingresso Osservando con attenzione le modalità di analisi della BT si può notare l'importanza delle connessioni tra i due spazi d'ingresso, in quanto è questa rete di relazioni che permette di costruire il blending finale. E' per questo motivo che è necessario approfondire le tipologie dei collegamenti tra le controparti.

La prima forma di collegamento, come nel caso di un individuo "kept in the dark by the committee", la relazione è tra due identità: la prima si riferisce al soggetto "tenuto nell'oscurità" presente nel primo input e la seconda a quello che "non è informato sui fatti". In questo caso, lo stesso soggetto è rappresentato in entrambi gli spazi d'ingresso e sono collegati tra loro in modo tale che possano aiutarci a capire e interpretare il risultato finale del blending.

Un altro tipo di connessione tra spazi mentali diversi è quella che si riferisce al ruolo e al valore delle controparti. Ricordiamo l'esempio del chirurgo e del macellaio che vengono accostati per via di alcuni elementi in comune. In questo contesto, è fondamentale l'uso di strumenti come la somiglianza e l'analogia che giocano un ruolo importantissimo nell'integrazione concettuale, pertanto il chirurgo e il macellaio condividono la struttura generica di un individuo che utilizza un attrezzo affilato per svolgere il proprio lavoro.

Esiste un terzo tipo di connessione e si riferisce a tutte quelle metafore che non sono basate né su somiglianza né su analogia, ma sono fondate su relazioni d'esperienza. Proprio per questo motivo vengono definite metafore primarie.

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Un esempio potrebbe essere HAPPINESS IS BRIGHTNESS, in cui la felicità è associata al calore e all'aumento della visibilità, entrambi aspetti di una particolare dimensione di esperienza.

Un ultimo tipo di collegamento tra gli spazi mentali è quello dell'associazione metonimica. Per esempio, quando pensiamo alla morte come uno scheletro con una falce utilizziamo un'elaborata immagine metaforica che si ricava dall'aggiunta di dettagli derivati da una mappatura anch'essa metaforica: gli scheletri appaiono in scenari in cui la morte è il concetto di fondo e grazie al principio di relazione metonimica, lo scheletro diventa inevitabilmente il soggetto più vicino all'immagine della morte.

1.12 Cosa rende metaforico un blending Finora è stato spiegato come la BT opera sulle espressioni metaforiche, ma non è stato riferito in che modo una proprietà del blending rende metaforica un'espressione linguistica. Alcune volte il risultato finale dipende dalla relazione tra le controparti dettate da associazioni metaforiche convenzionali, ma ci sono aspetti della loro struttura, del loro contenuto e della loro impostazione linguistica, che le rendono metaforiche ai nostri occhi.

Gli spazi d'ingresso proiettano nel blending gli elementi più importanti che verranno poi fusi in un'unica entità. Quindi un singolo elemento corrisponde ad un altro in ognuno degli spazi d'ingresso.

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Molto importante è la questione legata alla fusione nel "framing", che è una variante del processo di integrazione concettuale. In questa circostanza si identifica una particolare entità in una struttura concettuale più ampia. Per esempio, la frase "Carl is a bachelor" è il risultato di un processo concettuale che prevede un uomo di nome Carl associato al nostro modello culturale di una persona celibe, che a sua volta deve fare riferimento ad un nostro modello di matrimonio. Il risultato finale di tale operazione è che il soggetto della frase, Carl, viene fuso con la struttura del ruolo di essere celibe. Questo esempio, così come i frame in generale, non viene percepito in senso metaforico in quanto è solo una semplice variante della fusione, infatti alcuni elementi delle relazioni tra gli spazi mentali vengono combinati attraverso il processo di composizione all'interno dello spazio misto. I blending metaforici invece coinvolgono differenti tipi di fusione e talvolta alcuni aspetti importanti provenienti dalla struttura di un dominio d'ingresso non vengono inseriti all'interno del blending e quindi ignorati. Questo è necessario perché nella maggior parte delle espressioni metaforiche l'elemento incompatibile tra il dominio di partenza e quello di arrivo è ciò di cui abbiamo bisogno per dare alla frase un valore metaforico.

1.13 Teorie differenti ma complementari Dopo aver illustrato il metodo di lavoro di entrambe le teorie, qualcuno potrebbe decidere di seguirne solo una in quanto queste hanno una differente visione della metafora. Del resto, abbiamo potuto constatare che la CMT si concentra su strutture di modelli ricorrenti del linguaggio figurativo, mentre la BT focalizza la sua attenzione su casi particolari individuali. Inoltre, la CMT spiega in che modo operano le strutture di conoscenza rappresentate nella memoria a lungo termine, a differenza della BT che analizza l'evoluzione diretta delle rappresentazioni mentali del parlante.

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Se si riuscisse a trovare dei collegamenti che rendano la CMT e la BT più vicine, il risultato finale dell'analisi di una metafora sarebbe stupefacente. Infatti, con gli strumenti della blending theory, quali il legame tra le identità, la relazione per somiglianza e analogia, è possibile spiegare in dettaglio concetti mentali che la CMT analizza nelle sue forme più ristrette del dominio fonte e quello di arrivo. Inoltre la CMT ha sottolineato l'importanza delle metafore per quanto riguarda la struttura dei concetti astratti con dei modelli cognitivi che derivano da un dominio di partenza più concreto. In questo senso la BT ha sviluppato un'abilità nello spiegare gli stessi concetti astratti con un altro strumento che è, appunto, lo spazio misto dove conferiscono le caratteristiche più importanti utili alla comprensione dell'espressione metaforica. Le due teorie continuano ed essere diverse, ma parallele, in quanto hanno in comune l'obiettivo di spiegare gli stessi concetti: i sostenitori della CMT tentano di ottenere delle generalizzazioni attraverso una grande varietà di espressioni metaforiche, mentre i sostenitori della BT si concentrano su esempi individuali particolari. La base del problema sta nel fatto che la CMT è utile all'impostazione iniziale della struttura dei due domini, quindi continuerà a porsi domande come quali concetti sono convenzionalmente legati ad altri, come e perché questi legami nascono e, infine, in che modo la mappatura delle relazioni deve essere costruita. Dall'altro lato, invece, la BT mostra tutta la sua forza nel dimostrare in che modo si crea un blending metaforico, cioè attraverso uno schema basato su quattro spazi dai quali vengono selezionati gli elementi più importanti che daranno origine all'espressione metaforica. L'obiettivo del confronto tra le due teorie era quello di dimostrare che per comprendere a pieno titolo una metafora necessitiamo di una completa conoscenza sia del modello della metafora concettuale che del modello specifico del blending concettuale. Questo perché, dal mio punto di vista, entrambi i modelli si completano a vicenda: il primo fornisce una struttura generale che servirà al secondo per analizzare più a fondo una determinata espressione linguistica metaforica utilizzando tecniche più specifiche.

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CAPITOLO II. La metafora nelle argomentazioni politiche 2.1 La persuasione e la retorica dei politici In questo capitolo si mostrerà il modo in cui i politici usano la metafora come uno strumento utile a trasferire il loro modo di pensare affinché questo possa essere condiviso dalla maggior parte delle persone confermando, quindi, la loro leadership. Ma in cosa consiste questa superiorità di alcuni politici su altri? Burns lo spiega dicendo: “Leadership over human beings is exercised when persons with certain motives and purpose mobilize, in competition or conflict with others, institutional, political, psychological, and other resources so as to arouse, engage, and satisfy the motives of followers.” (1978: 18)

Si può dedurre, quindi, che nei più solidi stati democratici il linguaggio è lo strumento che viene utilizzato per mobilitare una massa di persone quanto più ampia possibile ed è proprio grazie alla loro capacità linguistica che i leader hanno la possibilità di legittimare la loro superiorità.

Il pubblico, però, non sempre è così facile da conquistare. Quasi sempre si ha la tendenza a giudicare i propri rappresentanti politici dalla loro “estetica”, cioè dai loro atteggiamenti, dalla loro gestualità, dal loro modo di vestire ma soprattutto da impressioni complessive che coinvolgono la moralità del politico in questione, come per esempio l’onestà e l’affidabilità. In questo contesto la scelta comportamentale da parte dei politici cambia anche a seconda del mezzo di comunicazione utilizzato per esporre le proprie idee e i propri valori. Basti pensare al fatto che un intervento in televisione è ben diverso da uno fatto in radio, in quanto la gestualità in quest’ultimo non è visibile e, pertanto, non giudicabile. Ciò che conta in questo caso è la capacità persuasiva del loro discorso ed è proprio qui che entra in gioco il linguaggio metaforico e con esso la retorica.

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Non si confonda, però, quest’ultima con la capacità di persuasione. Anche se minima, la differenza è fondamentale: la retorica si riferisce all’atto di comunicazione solamente dal punto di vista di chi ascolta, mentre la persuasione si riferisce sia alle intenzioni di chi parla sia ai risultati positivi che da essa derivano1. E’ ovvio, quindi, che il pubblico è persuaso solamente nel caso in cui la retorica del parlante ha avuto successo.

Nei discorsi politici, ogni evento comunicativo ha come scopo quello di persuadere la maggior parte delle persone che ascoltano per conquistare la loro fiducia e di conseguenza il loro appoggio per eventuali manovre di governo o semplici elezioni. A titolo di esempio, le campagne elettorali nelle grandi piazze di città e paesi non sono altro che eventi comunicativi organizzati con lo scopo di ottenere, e quindi persuadere, il giudizio positivo del pubblico.

La persuasione, però, è un processo comunicativo interattivo nel quale colui che invia il messaggio punta a influenzare le credenze, attitudini e i comportamenti di chi ascolta. E’ importante distinguere in maniera chiara i diversi ruoli che intervengono nel processo comunicativo. Il primo è attivo ed è quello interpretato da colui che invia il messaggio il quale è caratterizzato da una proprietà persuasiva, che non è il risultato di un fenomeno casuale, ma scaturisce dalle intenzioni del parlante. Lo stesso Jamieson afferma: “Intention is a kind of focussing device in the imaginative consciousness; it concentrates and thus it excludes; it is a selective device, selecting an image to be raised into consciousness from a range of alternatives. Without intention, nothing has prominence, therefore one has to intend when one imagines.” (1985: 49)

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A tal proposito si distinguano l’atto illocutorio inteso come l’azione che viene effettivamente compiuta proferendo l’enunciato (affermazione, promessa, ordine, avvertimento, ecc.) e l’atto perlucutorio corrispondente all’obiettivo intrinseco ottenuto con l’atto illocutorio.

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Il secondo ruolo è quello passivo di colui che ascolta e, se la persuasione ha successo, il messaggio deve coincidere con le sue volontà e le sue necessità. Affinché il messaggio persuasivo abbia successo, il parlante ha a disposizione due diverse strategie che influenzano il giudizio del pubblico, cioè quelle di confermare o mettere in discussione le credenze, attitudini o comportamenti di coloro che ascoltano. Un buon “persuasore”, per definirsi tale, deve essere in grado di comprendere a pieno le necessità del suo pubblico e capire i valori che lo mobilitano, per poi aggiungerne di nuovi e fare in modo, poi, che questi vengano accettati. Questo processo, però, non è facile da attuare come si può immaginare: le persone, infatti, tendono a rigettare i cambiamenti perché comportano ulteriori rischi che possono potenzialmente compromettere un eventuale equilibrio socio-economico già precario. Jowett e O’Donnell lo spiegano in questo modo: “People are reluctant to change; thus, in order to convince them to do so, the persuader has to relate change to something in which the persuadee already believes.” (1992: 22-3)

A seguito di uno studio linguistico sui discorsi politici, si evince che uno degli strumenti più utilizzati per persuadere gli ascoltatori sia la metafora, considerata dagli stessi Jowett e O’Donnell una vera e propria “àncora”, un punto di partenza per un cambiamento che rappresenta qualcosa che è già largamente accettato da un’intera comunità.

La metafora, nei discorsi politici, è fondamentale perché permette ad un potenziale leader di comunicare attraverso quella che viene definita da Jowett e O’Donnell “the voice within”, una voce interna che crea rappresentazioni evocative negli ascoltatori suscitando delle emozioni che li porteranno ad avere un feeling con colui che parla, ammesso che la persuasione abbia successo. Nel paragrafo successivo capiremo meglio come prende forma questo processo e

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perché è così importante la metafora come mezzo di comunicazione in ambito politico.

2.2 La metafora e i discorsi politici Capita quotidianamente di ascoltare in tv o in radio degli interventi da parte di alcuni politici che usano espressioni puramente metaforiche, ma difficilmente ci si chiede per quale motivo siano così diffuse e soprattutto in che modo vengano selezionate alcune metafore piuttosto che altre. Innanzi tutto va precisato che la metafora è strettamente legata all’ideologia e al mito. Jonathan Charteris-Black, infatti, ci propone degli elementi comuni come, per esempio, quello della funzione di persuasione del discorso o delle potenzialità espressive che coinvolgono chi ascolta sia a livello emotivo che a quello cognitivo. Egli, inoltre, afferma: “They differ in the extent to which appeals is made to conscious cognition or to unconscious association. As with reasoned argument, ideology appeals through consciously formed set of beliefs, attitudes and values while myth appeals to our emotion through unconsciously formed sets of beliefs, attitudes and values.” Da questa affermazione, si può capire l’importanza della metafora che, in questo contesto, risulta essere lo strumento di mediazione tra cognizione ed emozione, col fine di creare una prospettiva morale sulla vita. In altre parole, la metafora utilizza un certo tipo di linguaggio per suscitare delle emozioni inconsce che influiranno sui valori che diamo alle nostre idee per reputarle, infine, giuste o sbagliate. Tutto questo avviene grazie a delle associazioni, negative o positive, che vengono trasferite dalle parole utilizzate alla metafora finale. Una volta chiarito questo, il motivo per cui viene utilizzata la metafora come strumento cardine per influenzare il giudizio del pubblico diventa ovvio:

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legittimare le manovre di governo facendo leva su un sistema di valori morali, sociali e culturali preesistenti nella mente umana.

2.2.1 La metafora e i suoi “alleati” I politici molto spesso, oltre alla metafora, si avvalgono anche di altri strumenti linguistici per essere sempre più persuasivi e riscuotere maggiore successo col fine di legittimare le proprie idee. I potenziali leader, infatti, hanno la tendenza ad usare la metafora per dare un valore positivo al loro modo di fare politica e di conseguenza cercano di screditare quello di eventuali concorrenti e oppositori. Lo stesso Chilton spiega quanto segue: “Political discourse involves, among other things, the promotion of representation, and a pervasive feature of representation is the evident need for political speakers to imbue their utterances with evidence, authority and truth, a process that we shall refer to in broad terms, in the context of political discourse, as legitimisation”. (2004: 23) Rendere legittime le proprie idee non è l’unica strategia attuata dai politici, infatti nella maggior parte dei casi troviamo anche espressioni di delegittimazione, cioè frasi che intendono mettere in cattiva luce le idee e le opinioni degli altri. Questo può avvenire attraverso una presentazione negativa delle politiche degli oppositori, attaccando la loro razionalità e il loro buon senso.

Fare politica, linguisticamente parlando, significa suscitare delle emozioni particolari nella coscienza di chi ascolta attraverso atti di comunicazione, cercare di inserire nella mente del popolo una visione del mondo che il popolo stesso non è abituato a vedere e apportare nuovi valori e credi socio-culturali affinché questi vengano accettati dalla comunità. In tutto questo la metafora, grazie alle proprietà della “voice within”, sembra essere l’unico strumento in grado di influenzare il

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giudizio del pubblico suscitando nuove emozioni e portando al successo le intenzioni persuasive del parlante. Un’ulteriore strategia usata dai politici per conquistare un pubblico più ampio è quello che riguarda la relazione del contrasto semantico. Associando le metafore ad espressioni che danno un valore positivo o negativo ad eventuali manovre politiche si mettono in evidenza sia le cose giuste che quelle sbagliate. Questo contrasto tra bene e male guida chi ascolta verso l’accettazione delle idee che il parlante cerca di trasmettere fino ad esserne completamente persuasi. Questa strategia fu di vitale importanza per molti importanti uomini politici del calibro di Winston Churchill che approfondiremo nei prossimi paragrafi.

Le tipologie di metafore più gettonate nei discorsi politici sono essenzialmente due, cioè quelle che definiamo “metafore del viaggio” utilizzate, ad esempio, nel primo capitolo riguardo alla metafora concettuale LOVE IS A JOURNEY, e le personificazioni.

Le prime sono molto utilizzate perché evocano un concetto relativo ad un tragitto da compiere la cui meta è stabilita dagli obiettivi che il politico in questione intende raggiungere. Inoltre, il viaggio ha uno scopo ben preciso: dare la certezza agli ascoltatori che si ha un programma di marcia pianificato al minimo dettaglio, il che trasmette anche una sensazione di maggiore sicurezza ed un minor rischio. Il fine ultimo di questo tipo di metafora è, prima, quello di dare un valore positivo alle politiche proposte dal potenziale leader e, dopo, far giudicare negativamente dal pubblico la possibilità di non essere rappresentati da egli stesso. Le personificazioni sono anch’esse molto frequenti nei discorsi politici perché permettono di attribuire sentimenti ed attitudini umane ad entità politiche astratte come gruppi sociali specifici o ad uno Stato. Non è un caso se nella totalità delle metafore utilizzate da Churchill il 39% delle occorrenze è occupato dalle personificazioni che vede la Germania come il nemico nazista e la Britannia come l’eroe che lotta contro il male.

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2.3 La personificazione di una nazione A volte succede che i leader di diversi partiti politici tendono a parlare delle proprie idee facendo riferimento allo Stato in cui operano come se fosse un’entità umana in carne ed ossa. Uno dei più grandi esponenti della personificazione in contesto politico è Winston Churchill, il quale aveva l’obiettivo di creare il mito dell’eroe rappresentato dalla Gran Bretagna e dai suoi alleati, contrapposto a quello della Germania nazista di Hitler che rappresentava il male da sconfiggere. Questo è possibile verificarlo analizzando, per esempio, uno dei suoi discorsi da Primo Ministro: “Side by side, unaided except by their kith and kin in the great Dominions and by the wide empires which rest beneath their shield – side by side, the British and French people have advanced to resque not only Europe but mankind from the foulest and most soul-destroying tyranny which has ever darkened and stained the pages of history. Behind them – behind us – behind the Armies and Fleets of Britain and France – gather a group of shattered States and bludgeoned races: the Czechs, the Poles, the Norwegians, the Danes, the Dutch, the Belgians – upon all of whom the long night of barbarism will descend, unbroken even by a star of hope, unless we conquer, as conquer we must; as conquer we shall.” (19 maggio 1940)

Come possiamo vedere, nella retorica di Churchill le varie nazioni sono concettualizzate come esseri umani che partecipano alla guerra con vesti diverse a seconda del contesto sociale in cui si trovano e quindi vengono classificate come eroi, vittime e malfattori. Ma quali sono i motivi che spingono Churchill ad usare quelle espressioni? Perché usa in maniera così frequente la metafora NAZIONE/STATO E’ PERSONA? A cosa punta quando, nel suo discorso, chiama in causa anche le altre nazioni europee? Le risposte, in fondo, non sono così difficili da trovare considerando il momento storico in cui tali parole sono state pronunciate. 31


Partiamo dall’inizio: Churchill aveva bisogno che il suo pubblico rafforzasse il senso di patriottismo e che sviluppasse un forte senso del dovere nei confronti della propria nazione. Per questo motivo ha richiamato il concetto di un eroe che combatte il male. L’eroe in qualsiasi favola combatte il malfattore non per ottenerne un beneficio, ma per sottolineare i buoni intenti delle sue azioni. La motivazione che spinge invece a descrivere così dettagliatamente tutte le nazioni coinvolte nella guerra è che bisognava creare una maggiore solidità e coesione sociale facendo leva sull’empatia, un sentimento che permette ad un individuo di comprendere le emozioni altrui.

Precedentemente è stato spiegato il motivo che porta un politico a fare un confronto tra bene e male, cioè quello di persuadere il pubblico affinché accetti le sue idee dando loro un valore positivo e, quindi, discriminando le altre. Churchill fa ampio uso di questa tecnica, infatti passa da personificazioni di entità astratte che hanno una valutazione negativa e che sono legati a soggetti anch’essi giudicati negativamente, a personificazioni che al contrario sono valutate positivamente, come la libertà, e che sono collegate a soggetti giudicati in maniera positiva, come appunto la Gran Bretagna e i suoi alleati. Lo schema seguente è il risultato di un’analisi di Charteris-Black su una serie di discorsi fatti da Churchill durante i conflitti militari:

Nazione/Gruppo politico

Concetti astratti

Gruppi sociali

Gruppi militari

Ideologia Altro Totale

Valutazione positiva France (9) nations (5) countries (4) British nation (4) destiny (4) freedom (4) justice (2) progress (2) history (2) we/us (11) mankind (4) motherland (2) British army French army Navy western democracies

Totale

Valutazione negativa

Totale

41

Japan Germany

3

21

Death (4) war (3) disaster (2) woe (2)

17

22

foe (3) enemy evil doers

5

9

Gestapo German Aircraft

2

1

Nazi regime Communism Tyranny (5)

8

11 105

4 39

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Come possiamo notare, Churchill tende a sottolineare molto di più gli elementi considerati positivi, in particolar modo coinvolge il popolo utilizzando parole come we o us col fine appunto di rendere partecipe al conflitto anche chi non è in prima linea, rafforzando così l’unità nazionale e risollevando il morale per chi, invece, si trova sul campo di battaglia.

Anche se in numero di occorrenze decisamente superiore, la semplice personificazione di una nazione non è l’unica strategia di Churchill. Egli, infatti, la abbina alle journey metaphors, cioè utilizza anche forme linguistiche come road, path, journey, toiling up a hill, forward e march. Si osservi un estratto del discorso “The Price of Greatness is Responsability”: “We may be quite sure that this process will be intensified with every forward step the United States make in wealth and power. Not only do we march and strive shoulder to shoulder at this moment under the fire of the enemy on the fields of war or in the air, but also in those realms of thought which are consecrated to the rights and the dignity of man. I like to think of British and Americans moving about freely over each other’s wide estates with hardly a sense of being foreigners to one another.” (3 settembre 1943)

Da queste parole si può ricavare la metafora concettuale a cui Churchill faceva riferimento: BRITAIN AND USA ARE TRAVELLING COMPANIONS. Chiarito questo concetto lo scopo di Churchill appare più chiaro, cioè far scendere in campo gli Stati Uniti d’America per combattere insieme il male, rappresentato dalla tirannia nazista di Hitler. E’ importante capire, però, le funzioni che hanno queste espressioni dal punto di vista linguistico-cognitivo: la prima è quella di rendere chiaro il concetto che c’è una meta da raggiungere che è, appunto, la vittoria della guerra e la sconfitta della Germania; la seconda è quella di fornire l’idea di un viaggio da dover percorrere con qualcun altro che, nel caso specifico, quel “compagno” è rappresentato dagli Stati Uniti d’America; l’ultima funzione è

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quella di autorizzare tutti i potenziali alleati ad entrare nel suo territorio. Queste tre funzioni risaltano quelle che sono le vere intenzioni di Churchill: chiedere aiuto a chiunque possa dare il minimo supporto.

A seguito di quanto detto finora, dovrebbe essere chiaro che la retorica di Churchill è prettamente persuasiva, ricca di concetti e intenzioni ben definite che implicano una reazione emotiva e comportamentale in chiunque lo ascolti. Non è un caso, infatti, che gli Stati Uniti abbiano deciso di entrare in guerra in soccorso degli Stati europei e lottare contro la Germania di Hitler. A tale proposito non si intende affermare che solo grazie ai discorsi di Churchill gli americani hanno deciso di partecipare al conflitto ma, ragionando esclusivamente a livello linguistico-cognitivo, si potrebbe dire che tali parole avrebbero persuaso chiunque.

2.4 Gli stati “amici” e “nemici” Continuando a ragionare sulla metafora concettuale che vede gli stati come persone, questi possono essere classificati anche in base alla natura della relazione che lega gli uni agli altri pertanto possono definirsi “stati amici” e “stati nemici”.

Nel paragrafo precedente è stato illustrato il metodo di comunicazione di Churchill: egli rappresentava la Gran Bretagna e i Paesi alleati come se fossero persone legate tra loro da vincoli di fratellanza e amicizia oltre che da un obiettivo comune, mentre considerava la Germania, l’Italia e il Giappone degli stati “nemici”. Si osservi la frase seguente: “The road to victory may not be so long as we expect. But we have no right to count upon this. Be it long or short, rough or smooth, we mean to reach our journey’s end.” (10 agosto 1940)

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Dopo aver analizzato la retorica di Churchill, in questa frase si potrebbe interpretare la parola we come un modo per appellarsi non solo alle persone che appartengono al suo Paese, ma anche a quelle degli stati “amici”, cioè a tutti i suoi alleati. La motivazione che spinge Churchill a tale scelta linguistica è proprio quella di scatenare una reazione interna che permettesse, a chi ascolta, di considerare i soldati alleati non come dei forestieri venuti da chissà dove per un motivo sconosciuto, ma come dei veri e propri amici, se non addirittura parenti, giunti da lontano per sostenerci.

Questo senso di attaccamento e fiducia reciproca permetteva a tutti di sentirsi più protetti, più forti. In quel momento storico, gli anni della Grande Guerra, in cui tutti erano costantemente in pericolo di vita, tali parole suonavano come una dolce melodia per diversi motivi: primo fra tutti, perché un incoraggiamento a non arrendersi mai trova sempre un riscontro positivo in chi lo riceve o quanto meno adempie alla sua funzione; il secondo motivo è quello che riguarda la reazione non solo morale delle persone che ascoltano, ma anche comportamentale. E’ un po’ come andare a correre in un parco senza avere la possibilità di ascoltare una buona musica. Si può correre lo stesso, ovvio, ma una canzone può dare il giusto ritmo, il giusto passo, migliorando così i nostri tempi e la nostra resistenza. Sembra chiaro che l’obiettivo di Churchill fosse proprio questo: incoraggiare i propri soldati e quelli degli stati “amici” a spingere sempre di più verso la fine del “viaggio” e quindi alla sconfitta della Germania e di tutti gli stati “nemici”. Anche l’espressione “we march and strive shoulder to shoulder” ha il suo valore in questo contesto. Con chi si marcia e ci si batte spalla a spalla? Perché vengono usate queste parole? Il verbo stesso, “battersi”, fa presupporre che ci sia un nemico, qualcuno o qualcosa che deve essere sconfitto indipendentemente dalla motivazione. E’ chiaro che nel contesto in cui tali parole furono pronunciate ci si riferiva ad Hitler e i suoi alleati, ma ciò che sorprende è il processo cognitivo che Churchill scatena nella mente della gente affinché tutti si sentano membri di un unico popolo, aumentando il senso di protezione e devozione nei confronti dei soldati alleati, un sentimento che si può avere solo nei confronti di un “amico”.

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2.5 Lakoff e il concetto di nazione-famiglia Negli ultimi anni il linguaggio politico è cambiato notevolmente, non si cerca più il consenso attraverso la semplice spiegazione dei programmi, ma si convince la gente ad accettare un determinato tipo di frame, che è un insieme di concetti associati ad altri nella mente dei parlanti che determinano il significato di ogni singola parola, facendo leva sui valori morali che coinvolge qualsiasi essere umano, come per esempio la famiglia. Non è un caso se lo stesso Lakoff ci fa notare come la gente comune vota più per affermare e difendere la propria identità piuttosto che per interesse personale.

Come già detto in precedenza, i politici odierni puntano a comunicare un determinato frame e cercano di renderlo condivisibile dalla maggioranza degli elettori. Una delle riflessioni proposte da Lakoff nasce da una dichiarazione di Bush il quale, durante uno dei suoi discorsi in pubblico, ha utilizzato un’espressione che faceva riferimento ad un ipotetico “permesso scritto” per poter difendere gli Stati Uniti d’America da eventuali attacchi terroristici. A questo punto la domanda sorge spontanea: perché Bush ha parlato di “permesso scritto”? A chi si chiede questo “permesso” e perché deve essere scritto? Lakoff suggerisce delle risposte dicendo che tali espressioni fanno riferimento ad uno studio molto accurato dei valori della famiglia. Infatti, si parte dal presupposto che tutti condividiamo la metafora concettuale della NAZIONE E’ FAMIGLIA e lo dimostrano espressioni metaforiche linguistiche come “padri fondatori” o “i nostri figli in guerra”. Questa metafora ci suona piuttosto naturale perché generalmente si pensa ai grandi gruppi sociali, come appunto le nazioni, in termini di famiglie o piccole comunità.

Spiegato il legame che esiste tra i concetti di NAZIONE e FAMIGLIA si può proseguire con la prossima analisi. Nelle più grandi comunità democratiche esistono diverse idee di nazione e questo porta inevitabilmente a seguire determinate mentalità, a preferire alcuni valori ed atteggiamenti non ammettendone altri. In effetti c’è un motivo se negli Stati Uniti, per esempio, ci sono due maggiori correnti di pensiero ossia quello conservatore e quello 36


progressista. Entrambi fanno riferimento a modelli di famiglia completamente differenti: quello conservatore è strutturato su una mentalità che vede un “padre severo” a capo della gerarchia familiare, mentre quello progressista si basa sulla figura del “genitore premuroso”.

I presupposti e gli obiettivi di entrambi i modelli sono del tutto validi ma è ovvio che il metodo educativo è molto differente. Il “padre severo”, infatti, è consapevole che il mondo è un posto pericoloso dove la vita non è sempre facile perché c’è sempre chi ti vuole far del male o che vuole avere sempre la meglio; per questo motivo c’è bisogno di un padre forte che sia in grado di proteggere la propria famiglia, sostenerla sempre e trasmettere ai propri figli il senso del dovere e la facoltà di saper scegliere cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ma qual è lo strumento che permette ad un “padre severo” di educare i propri figli? La risposta può sembrare naturale per chi è già genitore: la punizione. Punire i figli quando sbagliano significa fargli ricordare che se commettono un errore ci saranno delle conseguenze e anche gravi. Il tutto, quindi, è finalizzato a far accrescere in loro una sorta di moralità ed etica che li guiderà verso il successo e uno status di autosufficienza. Da questa analisi cognitiva del modello del “padre severo” capiamo quindi che l’etica è strettamente legata al concetto di prosperità che permette appunto la ricerca dell’interesse personale. Il modello del “genitore premuroso” parte da presupposti completamente differenti. Infatti, non si parla più di “padre” o “madre”; non si fa più distinzione tra i sessi perché entrambi hanno un ruolo importante nel nucleo familiare. Anche gli obiettivi educativi sono diversi, in quanto i figli devono diventare a loro volta persone premurose e rispettose verso gli altri. Gli strumenti educativi utilizzati da questo modello, affinché i più piccoli crescano secondo una certa disciplina, sono l’empatia, quindi l’identificarsi con gli stati d’animo di un’altra persona, e il senso di responsabilità. Perché chiamiamo questo modello “premuroso”? La risposta è semplice: a differenza del “padre severo”, la disciplina si insegna attraverso il dialogo piuttosto che con le punizioni, si proteggono i figli da qualsiasi attacco esterno e in qualsiasi altra circostanza anche se questo comporta una sorta di

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dipendenza da parte dei figli verso i genitori. Il tutto, però, è finalizzato al raggiungimento della loro felicità. E’ quindi una responsabilità morale. Ma non è l’unico valore che il modello del “genitore premuroso” offre. Come ho già detto, esiste anche quello della comunicazione, della sincerità reciproca e quello della libertà di realizzare una vita soddisfacente.

A questo punto ci potremmo chiedere come si fa a convincere la gente che un modello è quello giusto e l’altro è sbagliato. Uno dei motti dell’Illuminismo è che “la verità rende liberi e se si raccontano i fatti alla gente, poiché le persone sono fondamentalmente razionali, queste arriveranno alle conclusioni giuste”. Purtroppo, però, le scienze cognitive ci hanno dimostrato che la gente non ragiona così; le persone utilizzano i “frame”, cioè fanno riferimento ad una visione del mondo già presente nella loro mente in cui si identificano loro stesse, e quella per loro è l’unica verità ammissibile. Per essere accettata, quindi, la verità deve rientrare nei frame mentali di quelle persone perché altrimenti la persuasione non si concretizza e, come si dice in gergo popolare, “si parla al vento”. Spiegato questo, risulta ovvio che non possiamo cambiare idea su qualcosa solo perché ci viene detto che è giusto.

2.5 Le nazioni “adulte” e le nazioni “bambine” Si torni, ora, alla questione legata all’espressione metaforica utilizzata da Bush a proposito del “permesso scritto”. La sua strategia era quella di collegare più concetti metaforici per dare un ulteriore potere persuasivo all’espressione stessa. Infatti, Bush ha collegato la metafora LA NAZIONE E’ UNA PERSONA ad un’altra metafora che è quella degli STATI SONO ADULTI/BAMBINI.

Il permesso scritto in genere lo chiedono gli adolescenti per poter uscire da scuola o per fare un’attività specifica che richiede, appunto, un’autorizzazione da parte di un adulto. Bush continua il suo discorso affermando che gli Stati Uniti d’America non devono chiedere permessi speciali perché loro sono gli “adulti” e gli adulti

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sanno sempre cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ma perché ha voluto sottolineare con così tanta forza l’importanza del ruolo che il suo Paese gioca nella politica interna ed estera? Egli voleva comunicare che la sua visione del mondo e il modello a cui fa riferimento è proprio quello del “padre severo” e il suo obiettivo era quello di innescare un meccanismo che permettesse di vincere le elezioni. E’ stupefacente il processo cognitivo scatenato nella mente degli elettori che ha portato, poi, alla vittoria dell’amministrazione Bush. Il tragico evento dell’11 settembre è stato il pretesto che ha permesso di dichiarare guerra al terrorismo. Ma su quali valori o emozioni ha fatto leva Bush per ottenere il voto favorevole dei suoi elettori? Lakoff afferma che la paura influenza la mente umana spingendola ad adottare il modello del padre severo in modo tale da giustificare la punizione come strumento di educazione. Questo concetto è importante perché, per dichiarare guerra al terrorismo, si presuppone che la popolazione sia costantemente terrorizzata e sotto pressione, e più la gente ha paura, più tende ad attaccare. Per Bush, quindi, era fondamentale che i suoi elettori mantenessero sempre attivo il frame della guerra in quanto l’incertezza e la paura li avrebbero spinti a vedere la politica attraverso il modello del padre severo e, quindi, ad approvare le sue manovre di governo.

A questo punto, tenendo sempre presente il frame della famiglia, ci si potrebbe chiedere chi fossero in realtà i “figli”. In politica interna questi sono rappresentati da organizzazioni, gruppi sociali, imprese, comunità religiose ecc. che hanno bisogno di regole ben precise per operare perché altrimenti regnerebbe l’anarchia e sarebbe eticamente scorretto; ma in politica estera possono anche essere rappresentati dalle nazioni in via di sviluppo, che non hanno la solidità economica e militare delle grandi potenze come quella degli Stati Uniti e quindi sono considerate delle “bambine” che hanno bisogno di essere accudite ed educate. Anche in questo contesto l’affermazione di Bush riguardo al “permesso scritto” trova i suoi risvolti: l’America è un adulto e nessuno sa meglio di lei come bisogna operare in qualsiasi settore, mentre tutti gli altri Paesi sono dei bambini da

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educare, ai quali devono essere spiegate le buone maniere per farli crescere sani e forti, raggiungendo così il proprio interesse.

Le motivazioni che hanno spinto Bush a richiamare il frame del padre severo sono numerose, ma il concetto di fondo è sempre lo stesso: dimostrare di saper mantenere uno status di autorità morale in ogni settore. D’altronde, qualsiasi genitore ha il dovere di dire ai propri figli cosa è giusto e cosa è sbagliato e sarebbe del tutto illogico e immorale il contrario. I figli, quindi, devono obbedire senza discutere. La comunicazione è a senso unico. Se applichiamo questo concetto alla politica di Bush significa che gli Stati Uniti non possono, e non devono, rinunciare alla loro sovranità. Non possono rinunciare ad essere genitori, è contro le leggi della natura.

2.6 Giustificare una guerra e reputarla “giusta” Abbiamo visto come la metafora concettuale della NAZIONE E’ FAMIGLIA sia di vitale importanza nella politica estera, soprattutto in quella statunitense. Attraverso gli studi di Lakoff, è stato possibile analizzare con maggiore attenzione i discorsi dei politici americani riguardo a decisioni di importanza internazionale come quello della dichiarazione di guerra all’Iraq. Molti cittadini americani sono ancora convinti che dietro l’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre ci sia la mano di Saddam Hussein. Oggi, dopo le varie indagini delle autorità competenti, siamo in grado di affermare che il mandante di tale genocidio era il capo di al Qaeda Osama Bin Laden che con l’Iraq non aveva nulla a che vedere. Ma come mai, allora, la gente era così disinformata sui fatti? La spiegazione è piuttosto semplice se si analizza quelle che sono state le comunicazioni da parte dei media, dei giornali e soprattutto dell’amministrazione Bush. La strategia adottata, infatti, era proprio quello di diffondere la voce che esistesse un legame tra Bin Laden e Saddam Hussein, nonostante fosse risaputo che i due non fossero in buoni rapporti. Tale mossa centrò il bersaglio: il 40% della popolazione americana ha accettato questo fatto ritenendolo veritiero solo perché è stato comunicato ed

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esposto come tale. Ma quale è stata la strategia adottata da Bush dal punto di vista sia linguistico che cognitivo che ha permesso alla gente di credere che quella guerra sarebbe stata “giusta”? La risposta verte su un modello che, grazie alla metafora della NAZIONE E’ FAMIGLIA, si basa su due schemi narrativi tipici dei racconti di fiabe: l’autodifesa e il salvataggio. Ci sono delle figure che in entrambi i casi sono costanti: c’è un eroe, una vittima e un cattivo. Nello schema dell’autodifesa il ruolo dell’eroe e della vittima coincidono e in entrambi i modelli il cattivo è sempre irrazionale. L’obiettivo dell’eroe è quello di sconfiggerlo o ucciderlo. La storia inizia con un delitto da parte del cattivo e prosegue con le imprese dell’eroe per ristabilire la pace. In contesto politico, il paese-eroe reputerà “giusta” un’ipotetica guerra sia con lo schema dell’autodifesa che con quello del salvataggio. Riguardo alla dichiarazione di guerra di Bush all’Iraq, c’era la necessità di dimostrare che Saddam Hussein stesse tramando contro la sicurezza del popolo iracheno, in modo tale che gli Stati Uniti d’America potessero intervenire col ruolo dell’eroe innescando, quindi, il modello del salvataggio. Il risultato di tale processo psicologico è che la guerra contro l’Iraq, da molti giudicata irrazionale in quanto motivata solo da scopi di lucro per il controllo del petrolio e dell’economia mondiale, è stata giudicata “giusta”. Ovviamente la maggior parte del popolo americano conosceva bene i fatti, sapeva che non era il popolo iracheno che aveva bisogno dell’intervento degli Stati Uniti e soprattutto che non c’erano armi di distruzione di massa pronte per essere usate contro di loro, di conseguenza anche lo schema dell’autodifesa non sussisteva. Ma come mai allora la gente non ha fatto una scelta più razionale? Ancora una volta le scienze cognitive danno una chiara risposta: le persone ragionano per frame e per metafore attraverso alcuni modelli impressi nella sinapsi del nostro cervello presenti sotto forma di circuiti neuronali. Abbiamo già detto precedentemente che se un fatto, per quanto veritiero esso sia, non coincide con i frame presenti nella nostra mente esso viene rifiutato e quindi ignorato. Ogni paese-persona cerca di raggiungere i propri interessi e quando è necessario utilizza la forza militare per difenderli. E’

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sicuramente questa motivazione che ha spinto la maggioranza degli americani a reputare la guerra in Iraq “giusta”; era l’unico modo per continuare ad avere il controllo sui flussi di petrolio dal paese che, in numero di riserve, è secondo solo all’Arabia Saudita. Questo avrebbe garantito agli Stati Uniti una duratura egemonia mondiale sia politica che economica. I modelli dell’autodifesa e del salvataggio non sono indipendenti da quello che viene chiamato il modello dell’attore razionale secondo il quale ogni paesepersona agisce in maniera razionale per preservare i propri interessi. Fu proprio per questo motivo, per esempio, che al termine della guerra del Golfo sulle pagine del New York Times quel conflitto fu definito un “affare”. Di principio, tale affermazione può sembrare assurda e a dir poco immorale considerando il numero delle vittime innocenti rimaste coinvolte durante il conflitto; ma ha una sua spiegazione.

L’attore

razionale

cerca

di

raggiungere

i

suoi

obiettivi

massimizzando i profitti e minimizzando costi e perdite. I soldati sono parte integrante dei beni di un paese così come la strumentazione bellica e il denaro impiegato. Siccome in quella guerra gli Stati Uniti hanno subito poche perdite, il risultato, continuando ad usare termini tipici dell’economia, è stato un “investimento” e quindi un “affare”.

Da quanto si è detto fino ad ora, è stato possibile dimostrare come le persone ragionano seguendo i propri frame concettuali e quasi sempre, in argomentazioni politiche, sono del tutto inconsci. Non ci rendiamo conto che il nostro modo di pensare è puramente metaforico e il linguaggio dei politici è sempre il risultato di un lungo processo cognitivo strutturato su schemi precisi. L’obiettivo di tale trattazione è proprio quello di spiegare il funzionamento di questi processi cognitivi analizzando, in particolare, il frame della nazione-famiglia attraverso gli interventi dei presidenti americani da Reagan ad Obama. Ma per questo approfondimento si rimanda al capitolo successivo.

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CAPITOLO III. La ricerca e i risultati

3.1 Il metodo di ricerca e il corpus Nel capitolo precedente sono state esposte alcune delle strategie linguistiche adottate dai più importanti politici del mondo, come le personificazioni, la tecnica del confronto tra il bene e il male, la creazione dell’immagine dell’eroe e del cattivo, ed è stato mostrato come le metafore vengono integrate con esse. In particolare, si è parlato di Lakoff e dei suoi modelli concettuali che vedono una nazione intera in termini di piccole comunità, come le famiglie, con le figure del padre severo e del genitore premuroso. In questo capitolo, invece, verranno analizzati i discorsi inaugurali di inizio mandato degli ultimi presidenti americani a partire dal 1981 con Ronald Reagan fino al 2009 con Barak Obama con l’obiettivo di dimostrare che, effettivamente, il modello nazione-famiglia è molto delineato nella mente dei presidenti presi in esame. A tal proposito, non si ha la presunzione di mettere in discussione ciò che Lakoff ha esposto nel suo libro “Non pensare all’elefante!” riguardo al modo di concettualizzare la nazione come una famiglia, piuttosto si darà un’ulteriore conferma alle sue teorie attraverso un’analisi testuale effettuata su un corpus ottenuto grazie al sito internet http://www.presidency.ucsb.edu/index.php, che raccoglie, in un archivio online, tutti gli interventi pubblici fatti dai presidenti degli Stati Uniti d’America, da quelli in televisione a quelli radiofonici, dalle semplici interviste ai quotidiani comunicati stampa. Il sito internet sopra citato è fornito anche di un modulo di ricerca che permette di filtrare i documenti attraverso l’uso di parole chiave o tipologia di documento come ordini esecutivi, comunicati stampa, proclamazioni ecc. Tale modulo, però, ha dei limiti per i fini di tale trattazione in quanto non permette di fare ricerche dal punto di vista semantico e, quindi, si è scelto di analizzare solo i discorsi inaugurali in quanto, generalmente, questi permettono di capire meglio quello che è il modo di pensare e la personalità del presidente in esame, nonché il suo modo di concettualizzare la nazione come una famiglia. Si procederà, quindi, con l’analisi delle scelte adottate da ogni singolo presidente sia dal punto di vista

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linguistico che semantico e verrà spiegato come queste si integrano coi modelli del padre severo o genitore premuroso proposti da Lakoff.

3.2 La nazione è famiglia Prima di iniziare ad analizzare i discorsi presidenziali, è necessario spiegare la metafora concettuale che vede una nazione in termini di una famiglia. Di seguito, quindi, si riporteranno degli schemi così come è stato fatto nella prima parte di questa trattazione col fine di sottolineare gli elementi sui quali si basa la metafora NAZIONE E’ FAMIGLIA.

Nel primo capitolo si è parlato di come le teorie della metafora concettuale e quella del blending siano entrambe valide per poter comprendere in modo chiaro una specifica espressione metaforica. Attraverso la prima teoria, si è in grado di riconoscere sia il source domain che il target domain, che nel nostro caso corrispondono rispettivamente alla famiglia e alla nazione. La struttura mediante la quale la metafora concettuale si costruisce è quella che vede l’elemento A compreso attraverso l’elemento B. Quindi il risultato di tale processo sarebbe il seguente:

A

B

LA NAZIONE E’ UNA FAMIGLIA (target domain)

(source domain)

Come si può notare, il source domain è rappresentato dalla famiglia in quanto è l’elemento che permette di comprendere il concetto di nazione che è appunto il target domain. Questo avviene perché ci sono degli elementi che legano il concetto della nazione a quello della famiglia. Si osservi lo schema seguente:

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Source domain: FAMIGLIA Capofamiglia Membri del nucleo familiare Regole comportamentali Crescita e sviluppo dei figli

=> => => =>

Target domain: NAZIONE Presidente Cittadini Leggi/manovre di governo Prospettive di crescita in ogni settore

Così come è stato affermato nel I capitolo, però, la semplice schematizzazione di una metafora concettuale attraverso questo sistema risulta essere molto limitata in quanto non mette sempre in risalto gli elementi che costituiscono la metafora. Per questo motivo, è necessario approfondire tale struttura attraverso il modello adottato dalla blending theory. Si osservi lo schema seguente:

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Come si può notare, la struttura è decisamente diversa e molto più esplicativa. Attraverso questo modello, infatti, il source e il target domain si inseriscono all’interno degli spazi d’ingresso. Oltre ai soggetti coinvolti, è possibile elencare anche altri elementi che li caratterizzano come gli strumenti di controllo e il ruolo al vertice della gerarchia. A questo punto ci si potrebbe chiedere in che modo, allora, la nazione viene accostata alla famiglia. La risposta è dettata non solo dagli elementi in comune, ma anche dall’unico contrastante, ossia quello dell’area di influenza, che in un certo senso può risultare essere quello più importante in quanto permette di considerare, così come affermano le scienze cognitive, una nazione in termini di gruppi più piccoli come appunto la famiglia. Le corrispondenze tra i due spazi d’ingresso, quindi, risultano abbastanza chiare ma nonostante tutto si reputa necessario commentarle in quanto ci sono delle considerazioni importanti da fare. Per quanto la teoria della metafora concettuale e quella del blending provino a spiegare le metafore attraverso i modelli riportati in questa trattazione, queste risulteranno essere sempre incomplete o riduttive. Secondo la blending theory questa ipotesi nasce dal fatto che una metafora è il risultato di vari e a volte moltissimi frame collegati tra loro. Basti pensare alla definizione stessa di nazione: molti la definiscono come una comunità di individui che condividono alcune caratteristiche comuni quali la lingua, il luogo geografico, la storia ed un governo, ma non sarebbe scorretto pensare ad essa come una tribù o una confederazione di tribù che condivide lingua e area geografica, come può essere quella degli indiani nord-americani o, per finire, un semplice contratto sociale in cui vari popoli si riconoscono attraverso una costituzione comune. Dal concetto di nazione deriva anche quello di Stato, il quale garantisce attraverso un codice scritto, le leggi per esempio, un ordinamento giuridico e ne afferma la sovranità. Tale processo è applicabile anche al concetto di famiglia: il mondo occidentale è abituato a pensare ad essa come un gruppo di persone che condividono legami di sangue o legali, come il matrimonio o l’adozione, ma esistono anche altre definizioni di famiglia come può essere quella del contratto tra un uomo e una donna nel rispettarsi l’un l’altro col fine di salvaguardare l’unità familiare. Si

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potrebbe continuare a lungo nell’elencare tutte le definizioni possibili di famiglia, infatti ogni disciplina scientifica ne ha una versione propria e questo non fa altro che confermare la presenza di diversi frame concettuali legati da uno o più elementi comuni. Un altro fattore che unisce i concetti di nazione e famiglia è quello che, in entrambi, vengono stabiliti dei “mezzi amministrativi”, cioè esistono delle regole che tutti devono rispettare. Nel caso di una nazione gli strumenti di controllo sono rappresentati dalle leggi scritte approvate dagli organi di competenza e che permettono al Paese di raggiungere determinati risultati come l’incremento delle risorse finanziarie, il miglioramento della situazione economica, aumento della produttività delle industrie, ecc.. Nella famiglia, le leggi trovano una perfetta corrispondenza in quelle che sono le regole comportamentali che un adulto rivolge ai suoi figli. Infine, l’ultima corrispondenza tra nazione e famiglia riguarda il ruolo al vertice della gerarchia. Come mostrato in precedenza, si ha da un lato la figura di un presidente e dall’altra quella del capofamiglia che, secondo i modelli di Lakoff, possono fare riferimento al padre severo o al genitore premuroso. Ai fini di questa ricerca si è scelto di contestualizzare la metafora concettuale NAZIONE E’ FAMIGLIA limitandola esclusivamente ai discorsi inaugurali di inizio mandato degli ultimi presidenti degli Stati Uniti d’America. Per questo motivo, è importante mostrare in che modo la figura presidenziale può essere associata a quella di un capofamiglia o come la nazione stessa sia molto simile ad un “grande” nucleo familiare. Lo schema seguente permetterà di comprendere meglio quanto appena affermato:

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Come si può notare, il ruolo del presidente è egemone rispetto a quello dei cittadini così come lo è quello del capofamiglia nei confronti dei figli. Entrambi, quindi, hanno il compito di fare da “moderatore” per mantenere l’ordine e la disciplina all’interno della loro area di influenza. Lakoff, inoltre, sostiene che ad ogni tendenza politica corrisponde un modello genitoriale ben preciso. Negli Stati Uniti d’America il contesto politico è caratterizzato principalmente da due correnti di pensiero che vedono contrapposti gli ideali dei conservatori da quelli dei progressisti che secondo il linguista corrispondono rispettivamente ai modelli del padre severo e del genitore premuroso. Il riferimento ai due modelli da parte dei presidenti americani implicano delle scelte linguistiche ben precise, come per esempio quelle che riguardano i riferimenti alla nazione/famiglia attraverso parole come we, our e us in contrapposizione a quelle che vengono usate per parlare a nome del presidente/capofamiglia come I, my e me. A seguito dell’analisi effettuata sul corpus, infatti, si può affermare che la scelta di tali riferimenti è di fondamentale importanza per distinguere la figura del presidente, e quindi del capofamiglia, da quella dei cittadini che sono rappresentati come i figli. Sia ben chiaro, però, che non si intende dire che parole come we o I siano elementi metaforici, ma è ovvio che fanno riferimento a schemi precisi che, invece, ne mostrano tutte le caratteristiche. Lo schema seguente riassume quanto appena affermato:

Target domain: NAZIONE WE, our, us:

NAZIONE

<=>

YOU, your: I, my, me: THEY, their:

CITTADINI PRESIDENTE ALTRE NAZIONI

<=> <=> <=>

Source domain: FAMIGLIA TUTTI I MEMBRI DELLA FAMIGLIA FIGLI CAPOFAMIGLIA ALTRE FAMIGLIE

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Nei prossimi paragrafi si dimostrerà che il ruolo del presidente è ben distinto da quello dei cittadini e sarà una caratteristica comune di tutti i discorsi analizzati in questa trattazione.

3.3 Ronald Reagan (1981-1989) Ronald Reagan sale alla presidenza degli Stati Uniti d’America nel 1981 come rappresentante dei repubblicani conservatori. Così come tutti gli altri, anche lui sin dal principio del suo primo discorso inaugurale si preoccupa della situazione economica del Paese, quasi come un adulto di una famiglia che deve far fronte a seri problemi economici che impediscono la crescita e lo sviluppo del nucleo familiare stesso. Prova di quanto detto è la citazione seguente: “The business of our nation goes forward. These United States are confronted with an economic affliction of great proportions. We suffer from the longest and one of the worst sustained inflations in our national history. It distorts our economic decisions, penalizes thrift, and crushes the struggling young and the fixed-income elderly alike. It threatens to shatter the lives of millions of our people.”

Come si può notare dalle parole in grassetto, Reagan utilizza riferimenti in prima persona plurale per parlare della nazione, della sua situazione economica e dei problemi che la affliggono ma, come è stato affermato precedentemente, la nazione ha tutte le caratteristiche di una famiglia. Quindi da questo punto di vista, si può sottolineare il fatto che con we il presidente si rivolge al “grande” nucleo familiare di cui lui stesso fa parte. Questo, però, non è l’unico caso in cui viene fatto un riferimento alla nazione in termini di una famiglia, anzi si ripropone per tutto il suo discorso. Si osservi lo schema seguente:

(1)

“But great as our tax burden is, it has not kept pace with public spending. For decades we have piled deficit upon deficit, mortgaging our future and our children's future for the temporary convenience of the present.”

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(2)

“Why, then, should we think that collectively, as a nation, we're not bound by that same limitation? We must act today in order to preserve tomorrow. And let there be no misunderstanding: We are going to begin to act, beginning today.”

(3)

“The economic ills we suffer have come upon us over several decades. They will not go away in days, weeks, or months, but they will go away. They will go away because we as Americans have the capacity now, as we've had in the past, to do whatever needs to be done to preserve this last and greatest bastion of freedom.”

(4)

“In this present crisis, government is not the solution to our problem; government is the problem. From time to time we've been tempted to believe that society has become too complex to be managed by self-rule, that government by an elite group is superior to government for, by, and of the people. Well, if no one among us is capable of governing himself, then who among us has the capacity to govern someone else? All of us together, in and out of government, must bear the burden. The solutions we seek must be equitable, with no one group singled out to pay a higher price.”

(5)

“We hear much of special interest groups. Well, our concern must be for a special interest group that has been too long neglected. (…) It is made up of men and women who raise our food, patrol our streets, man our mines and factories, teach our children, keep our homes, and heal us when we're sick—professionals, industrialists, shopkeepers, clerks, cabbies, and truck drivers. They are, in short, "We the people," this breed called Americans”

(6)

“Well, this administration's objective will be a healthy, vigorous, growing economy that provides equal opportunities for all Americans, with no barriers born of bigotry or discrimination. Putting America back to work means putting all Americans back to work. Ending inflation means freeing all Americans from the terror of runaway living costs. All must share in the productive work of this "new beginning," and all must share in the bounty of a revived economy. With the idealism and fair play which are the core of our system and our strength, we can have a strong and prosperous America, at peace with itself and the world”

(7)

“So, as we begin, let us take inventory. We are a nation that has a government—not the other way around. And this makes us special among the nations of the Earth. Our government has no power except that granted it by the people.”

(8)

“It is rather to make it work--work with us, not over us; to stand by our side, not ride on our back.”

(9)

“If we look to the answer as to why for so many years we achieved so much, prospered as no other people on Earth, it was because here in this land we unleashed the energy and individual genius of man to a greater extent than has ever been done before. (…) The price for this freedom at times has been high, but we have never been unwilling to pay that price.”

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(10)

“Our forbearance should never be misunderstood. Our reluctance for conflict should not be misjudged as a failure of will. When action is required to preserve our national security, we will act. We will maintain sufficient strength to prevail if need be, knowing that if we do so we have the best chance of never having to use that strength.”

(11)

“The crisis we are facing today does not require of us the kind of sacrifice that Martin Treptow and so many thousands of others were called upon to make. It does require, however, our best effort and our willingness to believe in ourselves and to believe in our capacity to perform great deeds, to believe that together with God's help we can and will resolve the problems which now confront us.”

Come si può notare, in tutte queste citazioni si distingue chiaramente una delle identità dei soggetti coinvolti nella metafora concettuale presa in esame in questa trattazione e cioè quella del popolo americano che in senso metaforico corrisponde alla totalità dei membri di un’unica grande famiglia. Già nella prima citazione, infatti, si può vedere come la parola our sia accostata a children, figli per l’appunto. E’ chiaro a questo punto che il presidente si rivolge alla sua nazione come se tutti facessero parte del suo stesso gruppo familiare, altrimenti non avrebbe senso considerare “propri figli” persone che paradossalmente nemmeno si conoscono. Nelle citazioni (4) e (6) si può notare anche come il presidente cerca di esporre le proprie idee su come poter affrontare i problemi che gli Stati Uniti sono costretti a fronteggiare, proprio come fa un adulto all’interno di una famiglia. Infatti, in (4) Reagan afferma che tutti devono impegnarsi affinché la nazione, e quindi la famiglia, possa tornare a crescere e progredire. In (6), invece, con “this administration's objective” è come se si ponesse a capo dell’intero nucleo familiare, presentandosi quindi come una vera e propria guida spirituale. E’ molto importante, però, che si coinvolga tutti ad agire affinché la rinascita della nazione sia possibile e proprio per questo Reagan in (11) cerca di rafforzare il senso di unità tra i cittadini, proprio come fa un genitore verso i suoi figli. Bisogna dire, però, che ci sono occasioni dove la figura del presidente è separata da quella dei cittadini, proprio a sottolineare la differenza dei ruoli che distinguono i “grandi” dai “piccoli”. Si osservino le seguenti citazioni:

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(12) “You and I, as individuals, can, by borrowing, live beyond our means, but for only a limited period of time.”

(13) “It is my intention to curb the size and influence of the Federal establishment and to demand recognition of the distinction between the powers granted to the Federal Government and those reserved to the States or to the people.”

(14) “Now, so there will be no misunderstanding, it's not my intention to do away with government.”

(15) “I do not believe in a fate that will fall on us no matter what we do. I do believe in a fate that will fall on us if we do nothing.”

(16) “To paraphrase Winston Churchill, I did not take the oath I've just taken with the intention of presiding over the dissolution of the world's strongest economy. In the days ahead I will propose removing the roadblocks that have slowed our economy and reduced productivity.”

(17) “I'm told that tens of thousands of prayer meetings are being held on this day, and for that I'm deeply grateful. We are a nation under God, and I believe God intended for us to be free. It would be fitting and good, I think, if on each Inaugural Day in future years it should be declared a day of prayer.”

Come si può notare, la posizione del presidente è ben diversa da quella dei cittadini. Reagan in questo senso rappresenta il capofamiglia, l’adulto che sa cosa è giusto fare e cosa no. Questo lo capiamo già dalle citazioni (12), (13) e (14) dove il presidente si rivolge prima ai cittadini/figli utilizzando you e successivamente spiega come andrà ad “educare” i suoi figli dicendo “It’s my intention” invece, per esempio, di “It’s our intention”. Nella citazione (16), inoltre, si può notare come la posizione del capofamiglia sia nettamente superiore a quella degli altri in quanto vengono usati riferimenti in prima persona singolare per esporre le intenzioni del presidente, come nel caso di “I will propose”, mentre si utilizzano quelli in prima persona plurale come “our economy” per riferirsi a ciò che è comune a tutti. Tutto questo sembra quasi rispecchiare una situazione in cui un genitore si rivolge ai suoi figli dicendo “decido io per il bene di tutti”. Così come è stato affermato nel secondo capitolo di questa trattazione, le nazioni possono essere considerate “amiche” o “nemiche” a seconda del tipo di relazione

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che intercorre tra loro. Questo è visibile anche attraverso i discorsi presidenziali presi in esame per tale ricerca. Si osservino le citazioni seguenti:

(18)

“To those neighbors and allies who share our freedom, we will strengthen our historic ties and assure them of our support and firm commitment. We will match loyalty with loyalty. We will strive for mutually beneficial relations. We will not use our friendship to impose on their sovereignty, for our own sovereignty is not for sale.”

(19)

“As for the enemies of freedom, those who are potential adversaries, they will be reminded that peace is the highest aspiration of the American people. We will negotiate for it, sacrifice for it; we will not surrender for it, now or ever.”

Sembra chiaro che è necessario assumere un certo comportamento anche con chi non è considerato parte integrante della famiglia, come per esempio dei vicini o degli amici. In queste due citazioni è interessante notare le identità dei soggetti coinvolti: si utilizza we per indicare la “famiglia americana”, mentre usa they, their e them per indicare le “famiglie amiche/nemiche”.

Nel suo secondo discorso inaugurale Reagan continua a distinguere il suo ruolo di capofamiglia da quello degli altri e lo fa sin dalle prime battute quando afferma quanto segue: “There are no words adequate to express my thanks for the great honor that you've bestowed on me. I'll do my utmost to be deserving of your trust.”

E’ evidente quindi la differenza tra le identità dei soggetti che intervengono nei suoi discorsi che sono appunto quelle del presidente/capofamiglia e dei cittadini/membri del nucleo familiare. Tale distinzione diventa ancora più netta quando Reagan dice:

(20)

“When I took this oath 4 years ago, I did so in a time of economic stress. Voices were raised saying that we had to look to our past for the greatness

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and glory. But we, the present-day Americans, are not given to looking backward. (…) Four years ago, I spoke to you of a New Beginning, and we have accomplished that. But in another sense, our New Beginning is a continuation of that beginning created two centuries ago when, for the first time in history, government, the people said, was not our master, it is our servant; its only power that which we the people allow it to have.”

(21)

“Well, with heart and hand let us stand as one today—one people under God, determined that our future shall be worthy of our past. As we do, we must not repeat the well-intentioned errors of our past. We must never again abuse the trust of working men and women by sending their earnings on a futile chase after the spiraling demands of a bloated Federal Establishment. You elected us in 1980 to end this prescription for disaster, and I don't believe you reelected us in 1984 to reverse course.”

(22)

“We've come to a turning point, a moment for hard decisions. I have asked the Cabinet and my staff a question and now I put the same question to all of you. If not us, who? And if not now, when? It must be done by all of us going forward with a program aimed at reaching a balanced budget. We can then begin reducing the national debt.”

Come si può notare in queste citazioni, vengono distinte ben tre identità che corrispondono esattamente ai ruoli dei componenti di una famiglia. Lo schema seguente ne riassume le caratteristiche:

I We, our You

=> => =>

Target domain Presidente Nazione Cittadini

<=> <=> <=>

Source domain Capofamiglia Intero nucleo familiare Figli

Una cosa molto importante da dire è che ci sono casi in cui Reagan, mentre parla di quelle che sono le prerogative della politica estera, non utilizza più we per riferirsi alla sua nazione, e quindi alla “famiglia americana”, ma agli adulti di tutte

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le altre famiglie del mondo. Con le seguenti citazioni sarà più semplice comprendere quanto appena affermato:

(23)

“There is only one way safely and legitimately to reduce the cost of national security, and that is to reduce the need for it. And this we're trying to do in negotiations with the Soviet Union. We're not just discussing limits on a further increase of nuclear weapons; we seek, instead, to reduce their number. We seek the total elimination one day of nuclear weapons from the face of the Earth.”

(24)

“Now, for decades, we and the Soviets have lived under the threat of mutual assured destruction—if either resorted to the use of nuclear weapons, the other could retaliate and destroy the one who had started it. Is there either logic or morality in believing that if one side threatens to kill tens of millions of our people our only recourse is to threaten killing tens of millions of theirs?”

(25)

“I have approved a research program to find, if we can, a security shield that will destroy nuclear missiles before they reach their target. (…) We will meet with the Soviets, hoping that we can agree on a way to rid the world of the threat of nuclear destruction.”

Come si può notare in (23) e (24) la funzione di we cambia completamente. Infatti, non vengono più presi in considerazione i cittadini americani, ma si fa riferimento ai “grandi”, agli adulti, e in politica estera di certo i semplici cittadini non possono definirsi tali. Piuttosto, l’obiettivo era quello di fare riferimento ai grandi capi di stato e, nel caso specifico, si puntava all’Unione Sovietica. La citazione (25) è un po’ una conferma di quanto appena detto. Reagan ritorna a parlare in prima persona singolare quando si parla di prevenzione da attacchi nucleari, come a sottolineare che certe decisioni spettano unicamente a lui in veste di presidente e quindi di capofamiglia. Subito dopo, invece usa we per comunicare ai figli che i “grandi” stanno cercando un accordo coi vicini per una pacifica convivenza.

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Finora sono state analizzate soltanto le identità dei soggetti coinvolti nella metafora NAZIONE E’ FAMIGLIA all’interno dei discorsi inaugurali di Reagan, ma queste non rappresentano gli unici elementi che accomunano i due domini. E’ stato detto che anche gli strumenti di controllo fanno parte dello spazio misto della blending theory, i quali sono rappresentati da un lato dalle leggi, o nel nostro caso dall’esposizione dei programmi di governo, e dall’altro dalle regole che un genitore rivolge ai suoi figli. Per giudicare in che modo i presidenti impongono la propria autorità si è scelto di analizzare le forme verbali utilizzate nei momenti in cui vengono esposte le manovre di governo da attuare.

In questo contesto si può dire che Reagan fa scelte ben precise. A seguito di un’analisi approfondita sul corpus, infatti, risulta che il numero di occorrenze dei verbi modali must e will utilizzati con funzione deontica, quindi con valore d’obbligo, è nettamente superiore a quello dei verbi “esortativi” che prevedono il costrutto let us seguito dalla forma base del verbo. Si osservi lo schema seguente che riassume il numero delle occorrenze dei modi verbali maggiormente utilizzati:

1° discorso inaugurale 20 15 10 5 0 MUST + VERBO

WILL + VERBO

LET US +VERBO

Quella di Reagan è una posizione di comando rispetto a quella dei cittadini e per tale ragione i verbi con will vanno interpretati come fossero degli obblighi. Questo dato permette di sottolineare il fatto che il presidente, almeno nel suo primo

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discorso, tende ad imporre le sue regole attraverso un tono più pacato, utilizzando will invece di must, facendo recepire queste più come un insegnamento che come regola vera e propria. Nel secondo discorso, invece, Reagan assume un atteggiamento più rigido e severo. Infatti, il numero delle occorrenze delle forme verbali si inverte:

2° discorso inaugurale 15 10 5 0 MUST + VERBO

WILL + VERBO

LET US +VERBO

Come si può notare dallo schema, l’atteggiamento di Reagan diventa decisamente più rigoroso preferendo l’uso di must invece di will. Questa scelta evidentemente è dettata dal fatto che, come padre severo, Reagan doveva insegnare ai suoi figli la disciplina e l’importanza del comportarsi in maniera etica. Pertanto, la scelta di must + verbo in funzione deontica era fondamentale.

La questione legata ai verbi non sono gli unici indici che permettono di classificare Reagan come padre severo. Infatti, fa spesso riferimento a valori e ideali tipici di questo modello, come quello della libertà sia personale che collettiva, quello del coraggio di mettersi sempre in competizione e l’uso della forza in caso di necessità che corrisponde, in un contesto familiare, alla punizione di un padre verso i suoi figli.

3.4 George Bush (1989-1993) Per quanto riguarda George Bush si può dire che il modello della famiglia si applica in maniera simile a quello di Reagan. I riferimenti alle identità dei soggetti 57


rimangono invariati ma, a differenza del suo predecessore, Bush molto spesso parla ai giovanissimi, richiama il ricordo degli antenati e soprattutto si riferisce alla situazione economica degli Stati Uniti d’America come se fosse una sorta eredità. Osserviamo le citazioni seguenti:

(1)

“There is a man here who has earned a lasting place in our hearts and in our history. President Reagan, on behalf of our nation, I thank you for the wonderful things that you have done for America.”

(2)

“I've just repeated word for word the oath taken by George Washington 200 years ago, and the Bible on which I placed my hand is the Bible on which he placed his. It is right that the memory of Washington be with us today not only because this is our bicentennial inauguration but because Washington remains the Father of our Country. And he would, I think, be gladdened by this day; for today is the concrete expression of a stunning fact: our continuity, these 200 years, since our government began.”

(3)

“My friends, we are not the sum of our possessions. They are not the measure of our lives. In our hearts we know what matters. We cannot hope only to leave our children a bigger car, a bigger bank account. We must hope to give them a sense of what it means to be a loyal friend; a loving parent; (…). And what do we want the men and women who work with us to say when we're no longer there? That we were more driven to succeed than anyone around us? Or that we stopped to ask if a sick child had gotten better and stayed a moment there to trade a word of friendship?”

(4)

“I have spoken of a Thousand Points of Light, of all the community organizations that are spread like stars throughout the Nation, doing good. We will work hand in hand, encouraging, sometimes leading, sometimes being led, rewarding. We will work on this in the White House, in the Cabinet agencies. I will go to the people and the programs that are the brighter points of light, and I'll ask every member of my government to become involved.”

(5)

“Our children are watching in schools throughout our great land. And to them I say, Thank you for watching democracy's big day. For democracy belongs to us all, and freedom is like a beautiful kite that can go higher and higher with the breeze. And to all I say, No matter what your circumstances or where you are, you are part of this day, you are part of the life of our great nation.”

Ciò che si vuole mettere in risalto, oltre ai vari riferimenti alla nazione in termini di una famiglia, è che Bush in (1), per esempio, si rivolge al suo predecessore Reagan come per sottolineare il cambio generazionale che stava avvenendo. Infatti sembra quasi che il “vecchio capo” lascia il posto a quelli che un tempo

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erano i giovani da accudire e che ora hanno raggiunto la piena maturità. Così come evolve una famiglia, anche una nazione prosegue il suo percorso di maturazione attraverso il cambio del suo massimo rappresentante, il presidente appunto. Non è un caso, infatti, se Bush in (2) parla di una continuità di governo che risale a ben due secoli prima. Una parte molto interessante del suo discorso inaugurale è quella in cui parla della situazione economica del Paese. Come si può vedere dalla citazione (3) Bush sembra quasi preoccuparsi del futuro dei giovani come se tutto dipendesse dalle sue azioni. Da questo punto di vista, si potrebbe avvicinare il concetto di situazione economica a quello che potrebbe rappresentare una sorta di eredità che un genitore lascia ai suoi figli. Tale ragionamento permetterebbe di giustificare espressioni come “We cannot hope only to leave our children a bigger car, a bigger bank account”. Come è stato detto precedentemente, Bush da buon capofamiglia si rivolge anche ai giovanissimi della “grande famiglia americana” e lo fa attraverso espressioni come “our children”. Anche lui quindi, così come faceva Reagan, considera i suoi cittadini come se fossero parte integrante del suo nucleo familiare. In (5) questa caratteristica è ben visibile, soprattutto quando si riferisce al suo Paese utilizzando espressioni come “our great nation” che in senso metaforico può essere inteso come “our great family”. Proseguendo con l’analisi del discorso inaugurale di Bush è possibile notare alcuni casi in cui il ruolo del presidente/capofamiglia viene separata da quello dei cittadini/membri del nucleo familiare. Ciò è dimostrabile attraverso queste citazioni:

(6)

“I come before you and assume the Presidency at a moment rich with promise. We live in a peaceful, prosperous time, but we can make it better.”

(7)

“We don't have to talk late into the night about which form of government is better. We don't have to wrest justice from the kings. We only have to summon it from within ourselves. We must act on what we know. I take as my guide the hope of a saint: In crucial things, unity; in important things, diversity; in all things, generosity.”

(8)

“No President, no government can teach us to remember what is best in what we are. But if the man you have chosen to lead this government can

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help make a difference; if he can celebrate the quieter, deeper successes that are made not of gold and silk but of better hearts and finer souls; if he can do these things, then he must.”

(9)

“I have spoken of a Thousand Points of Light, of all the community organizations that are spread like stars throughout the Nation, doing good. We will work hand in hand, encouraging, sometimes leading, sometimes being led, rewarding. We will work on this in the White House, in the Cabinet agencies. I will go to the people and the programs that are the brighter points of light, and I'll ask every member of my government to become involved.”

(10)

“A President is neither prince nor pope, and I don't seek a window on men's souls. In fact, I yearn for a greater tolerance, and easygoingness about each other's attitudes and way of life.”

Come si può notare, la posizione del presidente è decisamente diversa da quella dei cittadini e in più occasioni i riferimenti alle identità dei soggetti sono ben marcati. Infatti in (6) e (7) troviamo I, riferito alla figura del presidente e quindi del capofamiglia, we che corrisponde all’intero nucleo familiare, ed infine you quando si rivolge esclusivamente ai cittadini, e cioè ai figli, quindi ad esclusione del presidente. Nonostante la distinzione dei ruoli sia piuttosto ovvia, va detto che Bush non si mostra così autoritario come può sembrare. Infatti in (8) e in (9) spiega chiaramente che non intende mantenere il suo ruolo egemone per imporre le proprie regole, ma cerca in ogni caso di dialogare con i suoi cittadini così come fa un padre con i suoi figli e con tutte le persone a lui vicine. La citazione (10) non è altro che una conferma di quanto appena affermato: non vuole affermare la sua superiorità ma pretende dai suoi figli che ci sia un maggiore rispetto l’uno nei confronti dell’altro. A proposito di tolleranza e atteggiamenti da assumere nei confronti del “vicinato”, Bush non perde occasione per comunicare ai giovani della “famiglia americana” come intende procedere riguardo alle questioni legate alla politica estera. Si osservino le seguenti citazioni:

(11)

“To the world, too, we offer new engagement and a renewed vow: We will stay strong to protect the peace. The offered hand is a reluctant fist; once made -- strong, and can be used with great effect. There are today Americans who are held against their will in foreign lands and Americans

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who are unaccounted for. Assistance can be shown here and will be long remembered. Good will begets good will. Good faith can be a spiral that endlessly moves on.”

(12)

“Great nations like great men must keep their word. When America says something, America means it, whether a treaty or an agreement or a vow made on marble steps. We will always try to speak clearly, for candor is a compliment; but subtlety, too, is good and has its place. While keeping our alliances and friendships around the world strong, ever strong, we will continue the new closeness with the Soviet Union, consistent both with our security and with progress. One might say that our new relationship in part reflects the triumph of hope and strength over experience. But hope is good, and so is strength and vigilance.”

Come è possibile notare, quando si parla di politica estera i cittadini, che in questa ricerca sono rappresentati come i giovani di una famiglia, vengono completamente esclusi. Infatti, come è stato per Reagan, in questi casi we non fa più riferimento all’intero nucleo familiare ma agli adulti, a coloro che hanno il potere decisionale, ai capofamiglia. D’altronde sono i genitori a dover insegnare ai figli come ci si comporta con i “vicini”.

A proposito di regole, per quanto riguarda le forme verbali più utilizzate quando si parla di manovre di governo da mettere in atto Bush mantiene la posizione del suo predecessore. Si osservi il grafico seguente:

1° discorso inaugurale 15 10 5 0 MUST + VERBO

WILL + VERBO

LET US +VERBO

Sembra evidente, quindi, che Bush comunica le sue regole utilizzando forme verbali con will piuttosto che con must ma, si ricordi, che entrambi hanno un valore d’obbligo. La differenza sta semplicemente nel fatto che will esprime un livello di severità minore rispetto a must, quindi è recepito non come

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un’imposizione ma come un consiglio che è giusto seguire. Come è stato dimostrato, infatti, Bush tende spesso a mostrarsi disponibile al dialogo sia con i giovani, riferendosi a loro in maniera piuttosto diretta, che con i “grandi” delle altre nazioni/famiglie. Ciò non esclude il fatto, però, che è disposto ad imporre la sua autorità a chi trasgredisce le regole o si comporta in maniera sbagliata, riflettendo così lo strumento educativo tipico del padre severo: la punizione.

3.5 William J. Clinton (1993-1997) Come è stato visto nel paragrafo precedente, quando viene eletto un nuovo presidente è come se avvenisse un cambio generazionale, cioè quelli che una volta erano i piccoli da accudire, ora sono diventati adulti. Anche con Clinton, quindi, è possibile notare questo aspetto:

(1)

“My fellow citizens, today we celebrate the mystery of American renewal. This ceremony is held in the depth of winter, but by the words we speak and the faces we show the world, we force the spring, a spring reborn in the world's oldest democracy that brings forth the vision and courage to reinvent America. When our Founders boldly declared America's independence to the world and our purposes to the Almighty, they knew that America, to endure, would have to change; not change for change's sake but change to preserve America's ideals: life, liberty, the pursuit of happiness. Though we marched to the music of our time, our mission is timeless. Each generation of Americans must define what it means to be an American.”

(2)

“On behalf of our Nation, I salute my predecessor, President Bush, for his half-century of service to America. And I thank the millions of men and women whose steadfastness and sacrifice triumphed over depression, fascism, and communism.”

(3)

“Today, a generation raised in the shadows of the cold war assumes new responsibilities in a world warmed by the sunshine of freedom but threatened still by ancient hatreds and new plagues. Raised in unrivaled prosperity, we inherit an economy that is still the world's strongest but is weakened by business failures, stagnant wages, increasing inequality, and deep divisions among our own people.”

Sembra chiaro che in (1), per esempio, Clinton voglia comunicare il fatto che è avvenuto un cambiamento, infatti, non è un caso se utilizza proprio l’espressione

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“each generation of Americans” e soprattutto è ovvio che egli si pone a capo di questa nuova generazione, essendo lui il nuovo presidente in carica. Infatti, nella citazione (2), così come ha fatto G. Bush, Clinton ringrazia il “vecchio capo” per il suo lavoro come se si rivolgesse ad un anziano non più in grado di poter gestire una grande famiglia. La conferma di quanto detto è la citazione (3) dove il presidente parla espressamente della maturazione raggiunta da questa nuova generazione. Proseguendo con l’analisi del corpus si può notare che Clinton, nel resto del suo discorso,

rinuncia

alla

chiara

distinzione

dei

ruoli

tra

quella

del

presidente/capofamiglia e cittadini/membri del nucleo familiare. Infatti, le uniche due occasioni in cui tale differenziazione è marcata sono le seguenti:

(4)

“The American people have summoned the change we celebrate today. You have raised your voices in an unmistakable chorus. You have cast your votes in historic numbers. And you have changed the face of Congress, the Presidency, and the political process itself. Yes, you, my fellow Americans, have forced the spring. Now we must do the work the season demands. To that work I now turn with all the authority of my office. I ask the Congress to join with me. But no President, no Congress, no Government can undertake this mission alone.”

(5)

“My fellow Americans, you, too, must play your part in our renewal. I challenge a new generation of young Americans to a season of service: to act on your idealism by helping troubled children, keeping company with those in need, reconnecting our torn communities. (…) In serving, we recognize a simple but powerful truth: We need each other, and we must care for one another.”

Come è possibile notare, in entrambe le citazioni vengono distinte tre identità diverse, ossia quella del presidente, quella dei cittadini e infine quella della nazione. Clinton usa riferimenti in prima persona singolare, quindi I e my per parlare di quelli che saranno i suoi compiti da presidente, mentre invoglia i cittadini a fare la loro parte utilizzando riferimenti in seconda persona plurale, cioè you e your. Infine, come è stato fatto finora, viene utilizzato we per riferirsi alla “grande famiglia americana”, cioè alla nazione. La mancanza della chiara distinzione tra i diversi ruoli delle identità coinvolte fa pensare a ciò che Lakoff affermava nel suo libro “Don’t think of an elephant!” e cioè che i rappresentanti dei conservatori assumono una posizione molto più 63


autoritaria rispetto a quella dei progressisti o dei liberali e proprio per questo Lakoff sostiene che i primi fanno riferimento al modello del padre severo mentre i secondi a quello del genitore premuroso. Il fatto stesso che Clinton non si mette mai al di sopra del popolo, esclusi i casi delle citazioni (4) e (5) che risultano essere dettati più dalle circostanze che dalla volontà di sottolineare la differente posizione dei ruoli, fa pensare che lui fa riferimento più al modello del genitore premuroso che a quello del padre severo. Infatti, tutti i membri della famiglia sono considerati di vitale importanza e l’autorità dei genitori lascia il posto al dialogo e all’aiuto reciproco. Di seguito le citazioni che dimostrano quanto appena affermato:

(6)

“We earn our livelihood in America today in peaceful competition with people all across the Earth. Profound and powerful forces are shaking and remaking our world. And the urgent question of our time is whether we can make change our friend and not our enemy. (…) when the cost of health care devastates families and threatens to bankrupt our enterprises, great and small; when the fear of crime robs law-abiding citizens of their freedom; and when millions of poor children cannot even imagine the lives we are calling them to lead, we have not made change our friend.”

(7)

“We know we have to face hard truths and take strong steps, but we have not done so; instead, we have drifted. And that drifting has eroded our resources, fractured our economy, and shaken our confidence. Though our challenges are fearsome, so are our strengths. Americans have ever been a restless, questing, hopeful people. And we must bring to our task today the vision and will of those who came before us. From our Revolution to the Civil War, to the Great Depression, to the civil rights movement, our people have always mustered the determination to construct from these crises the pillars of our history. Thomas Jefferson believed that to preserve the very foundations of our Nation, we would need dramatic change from time to time. Well, my fellow Americans, this is our time. Let us embrace it.”

(8)

“To renew America, we must be bold. We must do what no generation has had to do before. We must invest more in our own people, in their jobs, and in their future, and at the same time cut our massive debt. And we must do so in a world in which we must compete for every opportunity. It will not be easy. It will require sacrifice, but it can be done and done fairly, not choosing sacrifice for its own sake but for our own sake. We must provide for our Nation the way a family provides for its children.”

(9)

“We can do no less. Anyone who has ever watched a child's eyes wander into sleep knows what posterity is. Posterity is the world to come: the world for whom we hold our ideals, from whom we have borrowed our planet, and to whom we bear sacred responsibility. We must do what America does best: offer more opportunity to all and demand more 64


responsibility from all. It is time to break the bad habit of expecting something for nothing from our Government or from each other. Let us all take more responsibility not only for ourselves and our families but for our communities and our country.”

Come si può notare, Clinton parla spesso di ciò che andrebbe fatto per continuare a crescere in qualità di grande potenza mondiale, ma mai parla in prima persona singolare come per imporre le sue regole da presidente/capofamiglia piuttosto si pone allo stesso livello dei cittadini cancellando quindi ogni forma di gerarchia. La frase finale della citazione (8) è molto importante considerando la metafora concettuale che si sta analizzando in questa ricerca. Non può essere una coincidenza se si paragona la nazione ad una famiglia, soprattutto se si parla dei servizi che lo stato deve offrire ai suoi cittadini, i quali sono legati metaforicamente alla figura dei figli. E’ praticamente un richiamo alla premura e all’attenzione che un adulto rivolge ai più piccoli. Non possono mancare, infine, le indicazioni su come bisogna comportarsi al di fuori del nucleo familiare:

(10)

“There is no longer a clear division between what is foreign and what is domestic. The world economy, the world environment, the world AIDS crisis, the world arms race: they affect us all. Today, as an older order passes, the new world is more free but less stable. Communism's collapse has called forth old animosities and new dangers. Clearly, America must continue to lead the world we did so much to make.”

(11)

“While America rebuilds at home, we will not shrink from the challenges nor fail to seize the opportunities of this new world. Together with our friends and allies, we will work to shape change, lest it engulf us. When our vital interests are challenged or the will and conscience of the international community is defied, we will act, with peaceful diplomacy whenever possible, with force when necessary. The brave Americans serving our Nation today in the Persian Gulf, in Somalia, and wherever else they stand are testament to our resolve. But our greatest strength is the power of our ideas, which are still new in many lands. Across the world we see them embraced, and we rejoice. Our hopes, our hearts, our hands are with those on every continent who are building democracy and freedom. Their cause is America's cause.”

La parte iniziale della citazione (10) è praticamente l’espressione che forse rende più chiara l’idea di ciò che si è affermato finora e cioè che la nazione è intesa

65


metaforicamente come una famiglia. La parola “domestic” racchiude in sé tutti i concetti legati a quelli di un nucleo familiare: i suoi membri, una casa, un vicinato, ecc.; sono tutti elementi che si collegano perfettamente con i ruoli che coinvolgono una nazione.

Per quanto riguarda il secondo discorso inaugurale di Clinton, la tendenza di eliminare ogni forma gerarchica tra presidente e cittadini risulta essere ancora più accentuata. Infatti, c’è solo un caso in cui si distingue il ruolo del capofamiglia da quello dei figli ed è il seguente:

(12)

“To that effort I pledge all my strength and every power of my office. I ask the Members of Congress here to join in that pledge. The American people returned to office a President of one party and a Congress of another. Surely they did not do this to advance the politics of petty bickering and extreme partisanship they plainly deplore. No, they call on us instead to be repairers of the breach and to move on with America's mission. America demands and deserves big things from us, and nothing big ever came from being small.”

Anche in questa occasione sembra che tale differenza di posizione sia dettata più dalle circostanze che dalla propria volontà. Infatti, per tutto il resto del discorso egli si pone allo stesso livello dei cittadini mentre lascia agli organi istituzionali il compito che spetterebbe al capofamiglia. Si osservino le seguenti citazioni:

(13)

“As times change, so Government must change. We need a new Government for a new century, humble enough not to try to solve all our problems for us but strong enough to give us the tools to solve our problems for ourselves, a Government that is smaller, lives within its means, and does more with less. Yet where it can stand up for our values and interests around the world, and where it can give Americans the power to make a real difference in their everyday lives, Government should do more, not less. The preeminent mission of our new Government is to give all Americans an opportunity, not a guarantee but a real opportunity, to build better lives.”

(14)

“Our Founders taught us that the preservation of our liberty and our Union depends upon responsible citizenship. And we need a new sense of responsibility for a new century. There is work to do, work that Government alone cannot do: teaching children to read, hiring people off welfare rolls, coming out from behind locked doors and shuttered windows to help reclaim our streets from drugs and gangs and crime, taking time

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out of our own lives to serve others.”

Come si può notare, viene nominato il governo come se fosse l’unico ad occupare una posizione di rilievo rispetto a quella degli altri. In questo contesto, il presidente preferisce, ancora una volta, porsi allo stesso livello dei cittadini come per sottolineare che non c’è alcuna differenza di potere tra quello che dovrebbe rappresentare il capofamiglia e quello che invece spetta ai figli. Ulteriore conferma di quanto appena affermato sono le seguenti citazioni:

(15)

“When last we gathered, our march to this new future seemed less certain than it does today. We vowed then to set a clear course to renew our Nation. In these 4 years, we have been touched by tragedy, exhilarated by challenge, strengthened by achievement. America stands alone as the world's indispensable nation. Once again, our economy is the strongest on Earth. (…)Problems that once seemed destined to deepen, now bend to our efforts. Our streets are safer, and record numbers of our fellow citizens have moved from welfare to work. And once again, we have resolved for our time a great debate over the role of Government. Today we can declare: Government is not the problem, and Government is not the solution. We—the American people—we are the solution. Our Founders understood that well and gave us a democracy strong enough to endure for centuries, flexible enough to face our common challenges and advance our common dreams in each new day.”

(16)

“Each and every one of us, in our own way, must assume personal responsibility not only for ourselves and our families but for our neighbors and our Nation. Our greatest responsibility is to embrace a new spirit of community for a new century. For any one of us to succeed, we must succeed as one America. The challenge of our past remains the challenge of our future: Will we be one Nation, one people, with one common destiny, or not? Will we all come together, or come apart?”

(17)

“Our land of new promise will be a nation that meets its obligations, a nation that balances its budget but never loses the balance of its values, a nation where our grandparents have secure retirement and health care and their grandchildren know we have made the reforms necessary to sustain those benefits for their time, a nation that fortifies the world's most productive economy even as it protects the great natural bounty of our water, air, and majestic land. And in this land of new promise, we will have reformed our politics so that the voice of the people will always speak louder than the din of narrow interests, regaining the participation and deserving the trust of all Americans.”

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Come si può notare, la figura del presidente sembra scomparire del tutto fondendosi con quella dei cittadini. Clinton utilizza, infatti, solo riferimenti in prima persona plurale, quindi we, our e us per coinvolgere l’intera nazione nei progetti importanti, mentre nomina il governo come se fosse un’entità a parte quasi a voler prendere le distanze da tutto ciò che renda il suo ruolo più importante di quello dei cittadini.

Per quanto riguarda invece le regole comportamentali, che in questa trattazione vengono giudicate dal punto di vista verbale, si può affermare che Clinton, nel suo primo discorso inaugurale, usa prevalentemente il modale must e i verbi “esortativi” tramite il costrutto let us seguito dal verbo come dimostra il grafico seguente:

1° discorso inaugurale 15 10 5 0 MUST + VERBO

WILL + VERBO

LET US + VERBO

Va precisato, però, che must non ha più quel valore d’obbligo così forte come è stato per Reagan e G. Bush. Il fatto stesso che Clinton elimini la gerarchia che distingue un presidente dai cittadini, fa recepire le sue intenzioni più come dei suggerimenti che come delle imposizioni di un padre nei confronti dei figli. Inoltre è importante considerare anche il dato relativo ai costrutti verbali con let us seguito dal verbo. Grazie a questi, infatti, è come se il capofamiglia permettesse una comunicazione bilaterale tra genitore e figli. Questa sua peculiarità si riflette inevitabilmente anche nel discorso inaugurale del suo secondo mandato e il grafico seguente mostra i risultati dei dati raccolti:

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2° discorso inaugurale 30 20 10 0 MUST + VERBO

WILL + VERBO

LET US + VERBO

Come si può notare, le occorrenze dei verbi con must si riducono drasticamente, mentre aumentano quelli con will. Questo dato è importante perché, come mostrato con i primi due presidenti, i verbi al futuro hanno un valore d’obbligo molto meno evidente rispetto agli altri e considerando che questi vengono alternati ai verbi “esortativi”, seppur in numero molto ridotto, ogni regola esposta dal capofamiglia perde buona parte della sua forza impositiva.

3.5 George W. Bush (2001-2009) Attraverso l’analisi dei discorsi inaugurali dei presidenti presi in esame finora è stato possibile mettere in evidenza il fatto che il ramo conservatore della politica americana tende a distinguere in maniera piuttosto eloquente il ruolo che spetta al presidente, cioè al capofamiglia, da quello che invece spetta ai cittadini. Reagan e Bush, infatti, alternano riferimenti come I e my per sottolineare la posizione egemone del presidente su quella dei cittadini, mentre usano we e our per riferirsi all’intero nucleo familiare e cioè alla nazione americana. E’ evidente quindi che il potere decisionale delle due parti è diverso. In Clinton questa differenza viene abolita in quanto l’obiettivo non era quello di porsi al di sopra degli altri membri della “grande famiglia americana” per imporre la propria autorità, ma di mettersi esattamente al loro stesso livello, sconvolgendo ogni gerarchia. Nel 2001 con G.W. Bush si ritorna a fare di nuovo una netta distinzione tra la figura del presidente e quella del popolo. Si osservino le seguenti citazioni:

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(1)

“I am honored and humbled to stand here where so many of America's leaders have come before me, and so many will follow. We have a place, all of us, in a long story, a story we continue but whose end we will not see.”

(2)

“Our unity, our Union, is a serious work of leaders and citizens and every generation. And this is my solemn pledge: I will work to build a single nation of justice and opportunity. I know this is in our reach because we are guided by a power larger than ourselves, who creates us equal, in His image, and we are confident in principles that unite and lead us onward.”

(3)

“Many in our country do not know the pain of poverty. But we can listen to those who do. And I can pledge our Nation to a goal: When we see that wounded traveler on the road to Jericho, we will not pass to the other side.”

(4)

“I will live and lead by these principles: to advance my convictions with civility to serve the public interest with courage, to speak for greater justice and compassion, to call for responsibility and try to live it, as well. In all these ways, I will bring the values of our history to the care of our times.”

(5)

“What you do is as important as anything Government does. I ask you to seek a common good beyond your comfort, to defend needed reforms against easy attacks, to serve your Nation, beginning with your neighbor. I ask you to be citizens (…).”

Come si può notare, Bush tende a sottolineare più volte l’egemonia del suo ruolo rispetto a quello dei cittadini, proponendosi come una vera e propria guida spirituale. Infatti in queste citazioni si distinguono chiaramente tre identità diverse: quella del capofamiglia con i riferimenti I e my, quella dei figli con you e your, e infine quella dell’intero nucleo familiare con we e our Nation. Un’ulteriore considerazione che la metafora concettuale NAZIONE E’ FAMIGLIA propone è quella che riguarda l’esempio che gli adulti devono dare ai più giovani: attraverso il molteplice uso di riferimenti in prima persona singolare è come se Bush stesse insegnando ai suoi figli cosa è giusto fare e come è giusto comportarsi. Nonostante questo, non mancano le occasioni in cui Bush si pone allo stesso livello dei cittadini inglobando la sua funzione con i doveri del popolo:

(6)

“Americans are called to enact this promise in our lives and in our laws. And though our Nation has sometimes halted and sometimes delayed, we must follow no other course.”

(7)

“Our democratic faith is more than the creed of our country. It is the inborn hope of our humanity, an ideal we carry but do not own, a trust we bear and pass along. Even after nearly 225 years, we have a long way yet

70


to travel.”

(8)

“While many of our citizens prosper, others doubt the promise, even the justice of our own country. The ambitions of some Americans are limited by failing schools and hidden prejudice and the circumstances of their birth. And sometimes our differences run so deep, it seems we share a continent but not a country. We do not accept this, and we will not allow it.”

(9)

“Some seem to believe that our politics can afford to be petty because in a time of peace the stakes of our debates appear small. (…) If our country does not lead the cause of freedom, it will not be led. If we do not turn the hearts of children toward knowledge and character, we will lose their gifts and undermine their idealism. If we permit our economy to drift and decline, the vulnerable will suffer most.”

(10)

“Together we will reclaim America's schools before ignorance and apathy claim more young lives. We will reform Social Security and Medicare, sparing our children from struggles we have the power to prevent. And we will reduce taxes to recover the momentum of our economy and reward the effort and enterprise of working Americans.”

In questi casi la sola identità che si riesce a distinguere risulta essere quella della nazione, ossia della “famiglia americana”. Infatti gli unici riferimenti che si notano sono quelli in prima persona plurale e così facendo G.W. Bush riesce in qualche modo a coinvolgere il popolo nelle decisioni importanti e allo stesso tempo fa pesare meno l’autorità che il suo ruolo comporta. Anche per G.W. Bush non manca l’occasione per comunicare al “vicinato” la posizione egemone del suo Paese:

(11)

“We will build our defenses beyond challenge, lest weakness invite challenge. We will confront weapons of mass destruction, so that a new century is spared new horrors. The enemies of liberty and our country should make no mistake: America remains engaged in the world, by history and by choice, shaping a balance of power that favors freedom.”

(12)

“We will defend our allies and our interests. We will show purpose without arrogance. We will meet aggression and bad faith with resolve and strength. And to all nations, we will speak for the values that gave our Nation birth.”

Spesso in questa trattazione si è fatto riferimento a Lakoff e ai suoi modelli del genitore premuroso e del padre severo. Quest’ultimo è caratterizzato dalla figura

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predominante di un adulto che, in quanto tale, sa come bisogna comportarsi con gli altri, pertanto non deve chiedere nessun “permesso scritto” per agire nel proprio interesse. Queste citazioni ne sono la prova: G.W. Bush, in qualità di adulto, è disposto ad usare la forza contro quelle nazioni che non condividono i suoi stessi ideali e che considera quindi dei bambini da educare. A questo punto sembra ovvio che l’unico metodo utile allo scopo è la punizione, anche perché è lo strumento cardine del modello del padre severo, che in contesto politico non è altro che l’impiego della forza militare.

Per quanto riguarda il discorso inaugurale del suo secondo mandato G.W. Bush continua a distinguere i ruoli del presidente/capofamiglia da quello dei cittadini/figli. Le seguenti citazioni ne sono la prova:

(13)

“On this day, prescribed by law and marked by ceremony, we celebrate the durable wisdom of our Constitution and recall the deep commitments that unite our country. I am grateful for the honor of this hour, mindful of the consequential times in which we live, and determined to fulfill the oath that I have sworn and you have witnessed.”

(14)

“At this second gathering, our duties are defined not by the words I use but by the history we have seen together. For a half a century, America defended our own freedom by standing watch on distant borders.”

(15)

“My most solemn duty is to protect this Nation and its people from further attacks and emerging threats. Some have unwisely chosen to test America's resolve and have found it firm. We will persistently clarify the choice before every ruler and every nation, the moral choice between oppression, which is always wrong, and freedom, which is eternally right.”

(16)

“Today I also speak anew to my fellow citizens. From all of you I have asked patience in the hard task of securing America, which you have granted in good measure. Our country has accepted obligations that are difficult to fulfill and would be dishonorable to abandon. Yet because we have acted in the great liberating tradition of this Nation, tens of millions have achieved their freedom. (…) By our efforts, we have lit a fire as well, a fire in the minds of men. (…)And one day this untamed fire of freedom will reach the darkest corners of our world.”

(17)

“All Americans have witnessed this idealism and some for the first time. I ask our youngest citizens to believe the evidence of your eyes. You have seen duty and allegiance in the determined faces of our soldiers. You have seen that life is fragile and evil is real and courage triumphs. Make the choice to serve in a cause larger than your wants, larger than yourself, and in your days you will add not just to the wealth of our country but to

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its character.”

E’ evidente che le identità dei soggetti sono tre: la prima, ovviamente, è quella del presidente che tende sempre a mostrarsi come lo spirito guida attraverso i soliti riferimenti I e my; la seconda invece è quella dei cittadini rappresentati da you e your e infine quella che coinvolge tutta la nazione attraverso espressioni come all Americans, this Nation e riferimenti come we e our. Oltre alla semplice differenziazione dei ruoli, ciò che si vuole mettere in evidenza è il fatto che G.W. Bush, soprattutto in (17), si rivolge ai giovani della “famiglia americana” come se questi fossero tutti suoi figli. L’ultima citazione infatti sembra quasi rispecchiare una situazione in cui un padre si rivolge ai più piccoli per insegnare loro ad agire in maniera corretta. D’altronde gli adulti sanno sempre cosa è giusto e cosa non lo è. Da questo, quindi, si capisce che mantenere la gerarchia dei ruoli istituzionali, per G.W. Bush è di fondamentale importanza affinché venga riconosciuta la sua autorità in qualità sia di presidente che di capofamiglia. Come è stato detto in precedenza, l’uso massivo di riferimenti che tendono a stabilire una netta divisione tra gli organi istituzionali e il popolo fa sì che le regole del genitore vengano recepite come delle imposizioni e, in quanto tali, i figli non le accettano in piacevolmente. Pertanto era necessario unire la figura del presidente con quella dei cittadini per sembrare meno autoritario . Come si può notare dalle citazioni seguenti, ogni riferimento in prima persona singolare sparisce:

(18)

“We are led, by events and common sense, to one conclusion: The survival of liberty in our land increasingly depends on the success of liberty in other lands. The best hope for peace in our world is the expansion of freedom in all the world.”

(19)

“America's vital interests and our deepest beliefs are now one. From the day of our founding, we have proclaimed that every man and woman on this Earth has rights and dignity and matchless value, because they bear the image of the Maker of heaven and Earth. Across the generations, we have proclaimed the imperative of self-government, because no one is fit to be a master and no one deserves to be a slave. Advancing these ideals is the mission that created our Nation. It is the honorable achievement of our fathers. Now, it is the urgent requirement of our Nation's security and the calling of our time.”

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(20)

“America will not pretend that jailed dissidents prefer their chains or that women welcome humiliation and servitude or that any human being aspires to live at the mercy of bullies. We will encourage reform in other governments by making clear that success in our relations will require the decent treatment of their own people. America's belief in human dignity will guide our policies.”

(21)

“And now we will extend this vision by reforming great institutions to serve the needs of our time. To give every American a stake in the promise and future of our country, we will bring the highest standards to our schools and build an ownership society. We will widen the ownership of homes and businesses, retirement savings, and health insurance, preparing our people for the challenges of life in a free society. By making every citizen an agent of his or her own destiny, we will give our fellow Americans greater freedom from want and fear and make our society more prosperous and just and equal.”

In queste citazioni è evidente che G.W. Bush tende a sottolineare uno degli ideali che fanno parte del modello del padre severo, cioè quello di impartire ordine e disciplina per permettere ai figli di crescere in maniera sana e rincorrere i propri interessi che, in fin dei conti, sono gli stessi dell’intero nucleo familiare: raggiungere uno status socio-economico stabile e autosufficiente. Partendo da questi presupposti, la scelta di abolire ogni forma gerarchica e adottare riferimenti in prima persona plurale risulta piuttosto scontata e prevedibile, oltre che funzionale. Per quanto riguarda la questione legata al “vicinato” G.W. Bush, da buon padre severo, rinnova il suo impegno:

(22)

“Today, America speaks anew to the peoples of the world. All who live in tyranny and hopelessness can know: The United States will not ignore your oppression or excuse your oppressors. When you stand for your liberty, we will stand with you.”

(23)

“Democratic reformers facing repression, prison, or exile can know: America sees you for who you are, the future leaders of your free country. The rulers of outlaw regimes can know that we still believe as Abraham Lincoln did: "Those who deny freedom to others deserve it not for themselves and, under the rule of a just God, cannot long retain it."

(24)

“The leaders of governments with long habits of control need to know: to serve your people, you must learn to trust them. Start on this journey of progress and justice, and America will walk at your side.”

(25)

“And all the allies of the United States can know: We honor your

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friendship; we rely on your counsel; and we depend on your help. Division among free nations is a primary goal of freedom's enemies. The concerted effort of free nations to promote democracy is a prelude to our enemies' defeat.”

Da queste citazioni si può notare come vengono posti gli Stati Uniti d’America al vertice delle potenze mondiali. Infatti, soprattutto in (24), il presidente si rivolge alle “nazioni bambine” come se fosse un adulto che insegna ai più piccoli il modo giusto per agire e maturare in maniera etica. La stessa espressione “you must learn to trust them” è una prova evidente di quanto appena affermato. Chi, in genere, ha il dovere di imparare? E, soprattutto, chi può permettersi di rivolgere un’espressione simile a qualcun altro? Le risposte a queste domande, una volta compresa l’ideologia di G.W. Bush, risultano ovvie: i “piccoli” devono essere educati da adulti con esperienza, esattamente come lo sono gli Stati Uniti. Per quanto riguarda la comunicazione delle regole dal punto di vista della modalità verbale, si può affermare che G.W. Bush preferisce l’uso dei verbi al futuro tramite will piuttosto che il modale must in funzione deontica, cioè con valore d’obbligo. Inoltre, anche il numero di occorrenze di entrambi i costrutti rimane invariato nei suoi due discorsi inaugurali come mostra il seguente grafico:

20

15 1° discorso inaugurale

10 5

2° discorso inaugurale

0 MUST + VERBO WILL + VERBO

LET US + VERBO

E’ evidente che G.W. Bush, a differenza del suo predecessore, non utilizza verbi “esortativi” escludendo, quindi, ogni possibilità di una comunicazione tra padre e figli. Questo, va detto, è anche il risultato del continuo mantenimento di una struttura gerarchica ben definita che vede il presidente, e quindi il capofamiglia, in

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una posizione più autorevole rispetto a quella dei cittadini che sono considerati semplici membri del nucleo familiare.

3.6 Barak Obama (2009)

Così come è stato per Clinton, anche il democratico liberale Barak Obama nel suo discorso del 2009 ha abolito ogni forma gerarchica che separasse le identità del presidente da quella dei cittadini. Infatti le uniche occorrenze in cui vengono usati riferimenti in prima persona singolare si trovano nella parte iniziale dove Obama, come tutti i presidenti analizzati in questa trattazione, ringrazia il “vecchio” capofamiglia per il lavoro svolto e dà inizio all’ennesimo cambio di generazione:

(1)

“My fellow citizens, I stand here today humbled by the task before us, grateful for the trust you have bestowed, mindful of the sacrifices borne by our ancestors. I thank President Bush for his service to our Nation, as well as the generosity and cooperation he has shown throughout this transition.”

(2)

“Forty-four Americans have now taken the Presidential oath. The words have been spoken during rising tides of prosperity and the still waters of peace. Yet every so often, the oath is taken amidst gathering clouds and raging storms. At these moments, America has carried on not simply because of the skill or vision of those in high office, but because we the people have remained faithful to the ideals of our forebears and true to our founding documents.”

(3)

“So it has been; so it must be with this generation of Americans.”

Come si può notare, la differenza tra le identità coinvolte non è altro che il risultato di una formalità che prevede il passaggio di potere da un “anziano” ad un “nuovo adulto”. Al contrario di G.W. Bush, quindi, il neo presidente non intende affermare la sua autorità sui propri cittadini anzi, come si mostrerà in seguito, tende a coinvolgere il popolo quasi nella totalità del suo discorso utilizzando riferimenti in prima persona plurale eliminando, così, ogni struttura gerarchica che tenda a distanziare il capofamiglia dai suoi figli. Si osservino le seguenti citazioni:

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(4)

“We remain a young nation, but in the words of Scripture, the time has come to set aside childish things. The time has come to reaffirm our enduring spirit, to choose our better history, to carry forward that precious gift, that noble idea passed on from generation to generation: the God-given promise that all are equal, all are free, and all deserve a chance to pursue their full measure of happiness.”

(5)

“We remain the most prosperous, powerful nation on Earth. Our workers are no less productive than when this crisis began. Our minds are no less inventive. Our goods and services no less needed than they were last week or last month or last year. Our capacity remains undiminished. But our time of standing pat, of protecting narrow interests and putting off unpleasant decisions, that time has surely passed. Starting today, we must pick ourselves up, dust ourselves off, and begin again the work of remaking America.”

(6)

“The state of the economy calls for action, bold and swift, and we will act not only to create new jobs but to lay a new foundation for growth. We will build the roads and bridges, the electric grids and digital lines that feed our commerce and bind us together. We will restore science to its rightful place and wield technology's wonders to raise health care's quality and lower its cost. We will harness the sun and the winds and the soil to fuel our cars and run our factories. And we will transform our schools and colleges and universities to meet the demands of a new age. All this we can do. All this we will do.”

(7)

“As for our common defense, we reject as false the choice between our safety and our ideals. Our Founding Fathers, faced with perils that we can scarcely imagine, drafted a charter to assure the rule of law and the rights of man, a charter expanded by the blood of generations. Those ideals still light the world, and we will not give them up for expedience's sake.”

(8)

“For we know that our patchwork heritage is a strength, not a weakness. We are a nation of Christians and Muslims, Jews and Hindus and nonbelievers. We are shaped by every language and culture, drawn from every end of this Earth. And because we have tasted the bitter swill of civil war and segregation and emerged from that dark chapter stronger and more united, we cannot help but believe that the old hatreds shall someday pass, that the lines of tribe shall soon dissolve; that as the world grows smaller, our common humanity shall reveal itself, and that America must play its role in ushering in a new era of peace.”

(9)

America, in the face of our common dangers, in this winter of our hardship, let us remember these timeless words. With hope and virtue, let us brave once more the icy currents and endure what storms may come. Let it be said by our children's children that when we were tested, we refused to let this journey end; that we did not turn back, nor did we falter. And with eyes fixed on the horizon and God's grace upon us, we carried forth that great gift of freedom and delivered it safely to future generations.”

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E’ evidente che per Obama non è ammissibile una distinzione tra il suo ruolo e quello dei cittadini in quanto sono tutti membri della sua famiglia e, in veste di genitore premuroso, per lui tutti sono allo stesso livello e hanno la medesima importanza. Non è un caso infatti che, nonostante le grandi differenze culturali, sociali e credi religiosi che formano gli Stati Uniti d’America, per lui non esistono barriere che possano impedire a tutti i suoi figli di crescere e maturare. La premura e la dedizione di Obama si può notare anche dal modo in cui si preoccupa della situazione economica del Paese, cioè di quella che in senso metaforico può essere considerata l’eredità di un genitore per i suoi figli. La citazione (6) è la prova lampante di quanto appena affermato. C’è una caratteristica particolare di Obama che è possibile notare in alcuni momenti del suo discorso che è quella di elogiare le qualità del suo popolo attraverso riferimenti in terza persona, quasi come se si mettesse da parte per evidenziare le caratteristiche che fanno degli americani dei “figli modello”. Si osservino le seguenti citazioni:

(10)

“In reaffirming the greatness of our Nation, we understand that greatness is never a given. It must be earned. Our journey has never been one of shortcuts or settling for less. It has not been the path for the fainthearted, for those who prefer leisure over work or seek only the pleasures of riches and fame. Rather, it has been the risk-takers, the doers, the makers of things--some celebrated, but more often men and women obscure in their labor--who have carried us up the long, rugged path toward prosperity and freedom.”

(11)

“For as much as Government can do and must do, it is ultimately the faith and determination of the American people upon which this Nation relies. It is the kindness to take in a stranger when the levees break, the selflessness of workers who would rather cut their hours than see a friend lose their job, which sees us through our darkest hours. It is the firefighter's courage to storm a stairway filled with smoke, but also a parent's willingness to nurture a child, that finally decides our fate.”

Come si può notare in (10), l’identità del presidente si fonde con quella della nazione e lo dimostrano i riferimenti in prima persona plurale come “our Nation” e “our journey”. Va sottolineato anche il fatto che, a differenza di tutti i presidenti “severi” analizzati in questa trattazione, Obama a volte depersonalizza le espressioni utili a comunicare le sue regole. Un esempio di quanto detto è la frase

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“It must be earned”: contrariamente a quanto avrebbero fatto Reagan, G. Bush e G.W. Bush, l’attuale presidente non distingue il ruolo di capofamiglia da quello dei figli ed elimina il confronto I/you, utilizzando il verbo modale must in funzione deontica ma in forma impersonale. Questa scelta linguistica permetterebbe di mantenere la forza impositiva di quella che potremmo definire una regola comportamentale senza dover necessariamente rivolgersi ai figli con riferimenti diretti come you. Anche in (11) la tendenza di Obama non cambia. Infatti, indica ai suoi figli il modo giusto di comportarsi ricordando loro quelli che sono i valori su cui si fonda il modello del genitore premuroso di Lakoff, ossia la generosità verso il prossimo, la gentilezza e il coraggio di affrontare situazioni difficili. Quello che si vuole mettere in evidenza è che Obama non impone in nessun modo la sua autorità sui figli e quindi vengono sempre evitati riferimenti diretti. Tutt’altra faccenda, invece, è quella che riguarda i rapporti col resto del mondo. Si osservino le seguenti citazioni:

(12)

“(…)And so to all the other peoples and governments who are watching today, from the grandest capitals to the small village where my father was born, know that America is a friend of each nation and every man, woman, and child who seeks a future of peace and dignity, and we are ready to lead once more.”

(13)

“Guided by these principles once more, we can meet those new threats that demand even greater effort, even greater cooperation and understanding between nations. We will begin to responsibly leave Iraq to its people and forge a hard-earned peace in Afghanistan. With old friends and former foes, we will work tirelessly to lessen the nuclear threat and roll back the specter of a warming planet. We will not apologize for our way of life, nor will we waver in its defense. And for those who seek to advance their aims by inducing terror and slaughtering innocents, we say to you now that our spirit is stronger and cannot be broken. You cannot outlast us, and we will defeat you.”

(14)

“To the Muslim world, we seek a new way forward based on mutual interest and mutual respect. To those leaders around the globe who seek to sow conflict or blame their society's ills on the West, know that your people will judge you on what you can build, not what you destroy. To those who cling to power through corruption and deceit and the silencing of dissent, know that you are on the wrong side of history, but that we will extend a hand if you are willing to unclench your fist.”

(15)

“To the people of poor nations, we pledge to work alongside you to make

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your farms flourish and let clean waters flow, to nourish starved bodies and feed hungry minds. And to those nations like ours that enjoy relative plenty, we say we can no longer afford indifference to suffering outside our borders, nor can we consume the world's resources without regard to effect, for the world has changed, and we must change with it.”

Come si può notare l’atteggiamento di Obama è decisamente diverso quando si tratta di politica estera. Questo potrebbe essere giustificato dal fatto che un genitore premuroso è disposto a difendere i propri figli da qualsiasi minaccia esterna con tutte le sue forze. Infatti, specialmente in (13) e (14), le identità dei soggetti coinvolti sono essenzialmente due: quella della “famiglia americana” con we e our, e quella che comprende tutte le altre famiglie del “vicinato” con you e your. Sembra evidente che Obama cerca in tutti i modi di affermare la superiorità degli Stati Uniti nei confronti del resto del mondo. Non è un caso infatti che, nonostante la prima scelta sia quella del dialogo, il presidente è disposto ad usare la forza in caso di necessità ed espressioni come “we will defeat you” ne sono la prova. Oltre a mostrare il suo potere dal punto di vista bellico, Obama evidenzia la sua superiorità anche nei confronti di tutti i popoli in difficoltà socio-economiche, per esempio proponendosi come l’adulto in grado di insegnare loro come rendere le fattorie più efficienti o mantenere le acque più pulite. A questo punto risulta anche più chiara la considerazione di Obama per i suoi “vicini”: esistono, come per tutti i presidenti analizzati in questa ricerca, delle famiglie “amiche” e altre “nemiche”. E’ ovvio che la natura di tali relazioni dipenda esclusivamente dall’atteggiamento che queste hanno nei confronti della sua nazione, o meglio della “famiglia americana”. Dal punto di vista verbale Barak Obama sembra comunicare le sue regole adottando principalmente i verbi futuri con will e con il modale must in funzione deontica:

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1° discorso inaugurale 15 10 5 0 MUST + VERBO

WILL + VERBO

LET US + VERBO

Così come è stato per Clinton, va sottolineato che anche Obama ha cercato di eliminare ogni forma gerarchica che ponesse la sua figura più in alto rispetto a quella dei cittadini e, nonostante le forme verbali più utilizzate siano indice di severità, le regole che il capofamiglia rivolge ai suoi figli vengono recepite come dei consigli. Inoltre va ricordato che Obama a volte depersonalizza le sue indicazioni e questo gli consente di porsi più come un confidente che come un genitore, che per natura ha un ruolo egemone rispetto a quello dei più piccoli.

81


CONCLUSIONE

Più volte Lakoff ha affermato che una nazione viene intesa dalla mente umana in termini di gruppi più piccoli, come una famiglia. Da questi presupposti si è proceduto col mostrare gli elementi che permettono alla metafora NAZIONE E’ FAMIGLIA di concretizzarsi. Grazie ai risultati ottenuti da tale ricerca, infatti, è stato possibile provare che, in effetti, esistono diverse relazioni che legano i due domini concettuali: in entrambi troviamo una figura dominante, cioè quella del capofamiglia e quella del presidente; una figura subordinata, che fa riferimento da una parte a quella dei figli e dall’altra a quella dei cittadini; uno strumento di controllo che permette di associare le leggi di una nazione ad un regolamento comportamentale dettato da un genitore e, infine, un’area di influenza che lega i confini territoriali alle mura domestiche. Attraverso l’analisi dei discorsi inaugurali degli ultimi presidenti americani è stato possibile dimostrare che questi hanno un modo di intendere la politica come se questa fosse qualcosa di simile alla gestione di una comune famiglia. Lo scopo di tale trattazione, infatti, è quello di confermare ciò che Lakoff sostiene nel suo libro Don’t think of an elephant! riguardo ai modelli genitoriali che i presidenti americani adottano come riferimento: i rappresentanti del ramo conservatore assumono un atteggiamento da padre severo impartendo delle regole ben precise ai propri figli e, in caso di trasgressione, la punizione risulta essere lo strumento più efficace per infondere una certa disciplina; i rappresentanti dei liberali, invece, adottano il modello del genitore premuroso grazie al quale si tende sempre a cercare il dialogo coi figli permettendo così una comunicazione bilaterale. Per tale motivazione, quindi, si può affermare che Reagan, G. Bush e G.W. Bush sono padri severi in quanto nei loro discorsi prevale una netta separazione dei ruoli attraverso il confronto di riferimenti come I/you/we che, abbinato a costrutti verbali con valore d’obbligo, stabilisce la superiorità degli adulti sui più giovani; Clinton e Obama, invece, grazie alla fusione dei loro ruoli con quello dei cittadini, possono essere considerati dei genitori premurosi in quanto cercano di dare buoni

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consigli sia ai propri figli che alle persone in difficoltà , insegnando il giusto modo di comportarsi sia dentro che fuori dal contesto familiare. Un ulteriore obiettivo di tale ricerca è stato quello di dimostrare che il mondo politico moderno ragiona in termini puramente metaforici e, contrariamente a quanto si possa immaginare, i discorsi che ne derivano non sono altro che i risultati di una particolare metafora concettuale studiata a dovere, creata con la chiara intenzione di persuadere chi ascolta.

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Per l'archivio dei discorsi inaugurali http://www.presidency.ucsb.edu/index.php

dei

presidenti

americani:

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RINGRAZIAMENTI Desidero innanzitutto ringraziare la Prof.ssa Petroni per i suoi preziosi insegnamenti e per il tempo dedicato alla mia tesi. Inoltre, vorrei esprimere la mia sincera gratitudine ai miei compagni di corso, in particolare Rubina, da sempre mia alleata durante la preparazione degli esami e un’amica sincera fuori dal contesto universitario, e coloro che in tutti questi anni si sono dimostrati degli amici leali e che mi hanno sempre sostenuto nei momenti più difficili: Lele, Luca, Massimo, Roberta, Ilaria, Fabiana, Dalila e Lorena…grazie ragazzi! Per ultimi, ma non per questo meno importanti, ho desiderio di ringraziare con affetto mia sorella Marianna per essermi stata accanto in ogni momento durante il mio percorso di studi così come nella vita, e mio cognato Giammarco per aver condiviso con me numerosi momenti di gioia e per essere riuscito a strapparmi dei sorrisi anche in situazioni di maggiore stress. Infine vorrei ringraziare i miei genitori non solo per avermi dato la possibilità di frequentare l’università, ma anche per avermi preso per mano ed avermi accompagnato, giorno dopo giorno, nel mio cammino della vita, per i bellissimi ricordi che custodirò per sempre nel mio cuore, per avermi fatto credere e convincere, guardandovi ogni giorno, che l'amore vero esiste, e per avermi trasmesso il vero significato della parola "FAMIGLIA", che mi sarà utile quando un giorno dovrò crescere ed educare i miei figli. Per tutto questo e per mille altri motivi che ancora ci saranno, dal profondo del cuore… GRAZIE!

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