Il lungo cammino della riforma

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L'associazione Nuovo Welfare si propone di studiare i nuovi bisogni determinati dalle trasformazioni economiche, politiche e sociali per fornire indagini, ricerche, monitoraggi dello stato applicativo delle leggi, approfondimenti oltre che promuovere e valorizzare proposte innovative di protezione sociale a partire dalle esperienze che vedono come protagonisti la cittadinanza attiva, il no profit e le Amministrazioni locali.

IL LUNGO C A M M I N O D E L L A R I F O R M A

Il mondo del lavoro, dell'assistenza, della sanità, quello della scuola e dell'università, i temi della salvaguardia dell'ambiente e della qualità della vita, l’analisi dei fenomeni migratori, sono le chiavi di interpretazione di una nuova domanda sociale.

Attraverso il contributo di ricercatori, esperti ed operatori, docenti, economisti, sociologi, parlamentari e amministratori pubblici, l'associazione vuole contribuire alla promozione di una cultura del sociale costruendo percorsi di studio e di formazione/informazione attivando le competenze diffuse sul territorio.

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Nuovo Welfare Associazione

IL LUNGO CAMMINO DELLA RIFORMA

Questa prima monografia della collana Social Monitor affronta il tema dello stato di applicazione regionale della legge 328/00 fornendo un monitoraggio completo della situazione.

Monitoraggio sull’applicazione della normativa sociale in Italia

Questa pubblicazione è realizzata con il contributo di:

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Nuovo Welfare Associazione

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IL LUNGO CAMMINO DELLA RIFORMA Monitoraggio sull’applicazione della normativa sociale in Italia

A cura di Daniela Bucci

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INDICE Prefazione 1. Introduzione

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Parte prima - La rivoluzione copernicana dei servizi sociali (D. Bucci, E. Mazzitelli) 2. Dalle politiche assistenzialistiche alle politiche sociali attive 2.1. Dalla Crispi... 2.2. La riforma dei servizi sociali 2.2.1. I soggetti della politica sociale 2.3. Gli atti applicativi 2.4. Un’eredità dimenticata?

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Parte seconda - La mappa dei servizi sociali (D. Bucci, V. Piersanti, S. Tricoli, E. Zollerano) 3. I welfare regionali 3.1. Premessa Abruzzo Basilicata Provincia autonoma di Bolzano Calabria Campania Emilia Romagna Friuli Venezia Giulia Lazio Liguria Lombardia Marche Molise Piemonte Puglia Sardegna Sicilia Toscana Provincia autonoma di Trento Umbria Valle D’Aosta Veneto

24 24 29 29 35 40 40 45 50 51 56 61 67 73 76 80 83 88 88 93 95 101 107

Parte terza - Il caso Marche (S. Tricoli) 4. Tessere la rete 4.1. Premessa 4.2. Una corsa ad ostacoli: il percorso di approvazione del Piano 4.3. Dall’applicazione del Piano alla sua attuazione: la nascita di una rete 4.4. La particolarità delle Marche 4.5. Conclusioni

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Parte quarta - Un quadro d’insieme (D. Bucci, V. Piersanti, S. Tricoli) 5. Il punto sullo stato di attuazione della legge quadro 5.1. Nessun promosso, molti rimandati 5.2. La fotografia di un’Italia a più marce 5.3. I Livelli essenziali di assistenza in ambito territoriale 5.4. I Titoli per l’acquisto dei servizi sociali 5.5. Una panoramica generale

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Parte quinta - Indagine Delphi (D. Bucci, A. Lizambri)

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6. Il futuro della legge 328/2000 tra vincoli ed opportunità 6.1. Introduzione

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7. Verso un nuovo modello di servizi sociali 7.1. Croci e delizie delle politiche sociali 7.1.1. Tra qualità e quantità 7.2. Sinergie pubblico – privato 7.2.1. La nascita di un mercato sociale concorrenziale

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8. Nuove opportunità per i cittadini 8.1. Politiche sociali a misura d’uomo 8.2. I nuovi servizi 8.3. Universalismo selettivo 8.3.1. I destinatari

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9. Valutare la qualità 9.1. Un obiettivo ancora lontano 9.2. Gli strumenti di valutazione

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10. L’informatizzazione dei servizi sociali 10.1. Resistere

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11. Un sistema territorialmente squilibrato 11.1. Il doppio passo italiano 11.1.1. Il peso della storia 11.2. La questione meridionale 11.3. La classifica regionale 11.4. Disomogeneità locali

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12. I poteri pubblici 12.1. Un cambio di direzione 12.2. La politica di mercato 12.3. Standard regionali 12.4. Neocentralismo regionale

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13. L’apporto dei soggetti non istituzionali 13.1. Il ruolo delle organizzazioni no profit, della cooperazione 13.2. Parola d’ordine: coprogettare 13.3. Binari di collaborazione 13.3.1. Attriti ed Accordi

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14. Ostacoli all’attuazione della legge

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15. L’impatto sul mercato del lavoro 15.1. Crescita quali-quantitativa del personale sociale 15.2. La specializzazione del lavoro sociale 15.3. Vecchie e nuove competenze

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16. I pro e i contro della legge tra il 2002 ed il 2005

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17. Future modifiche o integrazioni 17.1. Una riforma durevole

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18. Nota metodologica 18.1. Il metodo 18.2. Le dimensioni indagate

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19. Gli Esperti

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PREFAZIONE Questo libro è il primo di una collana di pubblicazioni promossa dall’Associazione Nuovo Welfare chiamata Social Monitor. La collana di pubblicazioni vuole essere uno degli strumenti che l’associazione si è data per realizzare l’obiettivo di fornire indagini e proposte, studi e occasioni di approfondimento con l’intenzione di ricercare, valorizzare e promuovere proposte innovative di protezione sociale. Il dibattito attorno alla riforma del welfare ed in particolare alla riforma del welfare locale, municipale o regionale, quando non viziato da obiettivi di ridimensionamento o di arretramento nei confronti di conquiste o di modelli precedenti, può essere uno straordinario strumento per proporre nuove chiavi di interpretazione di una domanda sociale che cambia, inevitabilmente, con il determinarsi di trasformazioni economiche politiche e sociali e con il generarsi di nuovi bisogni. La sfida, oggi, è quella di rilanciare le politiche di welfare tenendo conto di queste trasformazioni e valorizzando le opportunità offerte anche dalle politiche locali, dalle esperienze di coinvolgimento della cittadinanza attiva e del terzo settore volte ad allargare il campo delle protezioni e dei diritti. L’associazione Nuovo Welfare nasce per dare un piccolo contributo a questo dibattito coinvolgendo ricercatori, esperti ed operatori, docenti universitari, economisti, sociologi, parlamentari e amministratori pubblici e fornendo studi utili alla promozione di una cultura del sociale, alla valorizzazione e alla comprensione di esperienze che spesso rischiano di passare inosservate. L’associazione, insomma, grazie al contributo di tanti, vuole mettere a disposizione materiale e stimolare la curiosità, la voglia di ricerca attorno ad una delle più importanti conquiste del secolo che ci siamo lasciati alle spalle: il welfare. In questa prima pubblicazione viene affrontato un tema di grande importanza: la legge quadro di riforma dei servizi sociali. L’approvazione di questa legge nel 2000 è stata accolta come uno dei punti fondamentali nell’innovazione del welfare del nostro paese anche per il ruolo centrale previsto per le Regioni e gli Enti Locali. Si è voluto partire da questa considerazione per realizzare la ricerca, verificando “il cammino della riforma”, vedendo come uno strumento coraggioso di grande innovazione come la legge 328\00 fosse stato recepito e attuato a livello regionale. Per questo, dopo aver individuato quali fossero gli adempimenti previsti per le regioni dalla legge è iniziata la verifica dello “ stato dei lavori” sul territorio. Lo studio è stato complesso sia per i diversi approcci, anche organizzativi, messi in campo dalle regioni sia perché il tipo di monitoraggio che veniva fatto avveniva, o almeno così è sembrato, molto spesso per la prima volta a due anni dall’approvazione della legge. Il risultato di questo lungo lavoro realizzato da sei ricercatori è questa pubblicazione che può essere strumento utile per la riflessione e il confronto. Quello che è necessario sottolineare è che il ritardo di molte regioni rischia di non far decollare la riforma, mentre un debole coordinamento o addirittura un disinteresse del Governo rischierebbe di accentuare la disparità, che già sembra delinearsi, di prestazioni sul territorio, determinata da interpretazioni e priorità differenti. Si pensi ad esempio all’introduzione dei Titoli per l’acquisto dei servizi sociali e al diverso atteggiamento nutrito dalle regioni nei confronti del processo di esternalizzazione degli interventi assistenziali, che potrebbe essere accelerato dalla filosofia dei bonus spendibili presso qualsiasi ente convenzionato. Significativo in proposito è il caso della Lombardia, che non accompagna la disciplina dei bonus con la definizione dei livelli essenziali di assistenza, se si tiene conto che le indicazioni della legge prevedevano l’introduzione di questo strumento nell’ambito di un percorso assistenziale attivo, per l’integrazione o la reintegrazione sociale dei soggetti beneficiari. Questo esempio può servire a comprendere quanto il dibattito sull’applicazione della legge sia ancora aperto e quanto sia importante a nostro parere non stravolgerne la filosofia e la cultura che la caratterizzano. Emiliano Monteverde

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1. INTRODUZIONE

La “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” (legge n. 328/2000) rappresenta l’esito del prolungato ed intenso sforzo di riflessione, operato all’interno del nostro Paese, sulla riforma dell’assistenza sociale. I cambiamenti avvenuti nel sistema di produzione e l’emergere o il riemergere di alcuni grandi problemi sociali, nei Paesi europei, hanno posto la necessità di rivedere completamente il sistema di protezione sociale, così come organizzato dopo la seconda guerra mondiale. La povertà economica, il crollo occupazionale, l’invecchiamento della popolazione, l’immigrazione dai Paesi del terzo mondo e dall’Est europeo, la crisi della famiglia tradizionale sono problemi che hanno impattato con i modelli di welfare presenti in Europa, e in Italia in particolare, innescando un grosso dibattito sulla possibilità di rileggere le tradizionali forme di protezione sociale, caratterizzate da un welfare fortemente centralizzato e basato esclusivamente su forme monetarie di assistenza. La rifondazione del welfare state su basi “comunitarie” è l’ipotesi avanzata da una parte sempre più consistente di studiosi dell’economia e della società, nella convinzione che un vero ed efficace sistema di protezione sociale possa esistere solo attraverso la creazione di una rete di solidarietà tra cittadini singoli ed associati, all’interno dei vari luoghi in cui si svolge la vita quotidiana. Da più parti viene sottolineata la necessità di transitare da un modello di assistenza incentrato sull’asse individuo – domanda – emergenza, che storicamente è stato supportato sotto il profilo organizzativo da strutture centralizzate di erogazione su domanda, ad un modello promozionale che poggi sull’asse comunità – bisogni – sviluppo. In questo quadro, la legge di riforma dei servizi sociali costituisce uno dei tasselli fondamentali di innovazione del sistema italiano di welfare. Essa risponde all’obiettivo di generare un sistema integrato di interventi e servizi sociali, che favorisca una maggiore equità e sia in grado di garantire standard di prestazioni omogenee sull’intero territorio nazionale. L’intento di fondo del provvedimento è quello di realizzare il passaggio da un sistema di interventi “riparativi” ad un sistema di protezione sociale attiva, che privilegi le persone, e non le categorie, e che offra prestazioni flessibili e personalizzate. Il modello di welfare comunitario, disegnato dalla legge quadro, è caratterizzato da una forte opzione federalista. I Comuni rappresentano il motore operativo della macchina sociale, ma alle Regioni è riservata, in via praticamente esclusiva, la titolarità della funzione di programmazione. In passato, le Regioni non sono state occupate sul fronte della pianificazione sociale in modo così importate ed impegnativo come accade adesso, a causa, in parte, della convinzione che i servizi sociali riguardassero soltanto i bisogni di una minoranza di cittadini e che l’oggetto delle politiche sociali fosse l’assistenza agli esclusi. Solo negli ultimi anni, il quadro normativo di riferimento è venuto a cambiare. Con il D.lgs. n.1121 prima e con la legge 328/2000 dopo, i servizi sociali sono stati definiti come il complesso delle attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana può incontra nel corso della sua vita2. Ai servizi sociali è stata quindi affidata una diversa missione. Essi devono operare per rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà della persona umana in generale, e non solo le esigenze dei cittadini esclusi, al fine di offrire aiuto e sostegno ad una normalità che è diventata negli anni sempre più problematica e a rischio. Coerentemente con questo, si è chiesto alle politiche sociali di predisporre ed erogare servizi e prestazioni economiche attraverso progetti, iniziative ed interventi integrati, pensati e realizzati sulla base del principio democratico della partecipazione sociale. In questa direzione, l’obiettivo della ricerca presentata in questo rapporto è quello di monitorare il processo di applicazione della normativa nazionale a livello regionale e di verificare la presenza di un progetto condiviso di adesione ai principi della riforma assistenziale. Il lavoro è articolato in cinque parti. Nella prima parte viene affrontato il tema del cambiamento della cornice legislativa a livello nazionale e delle implicazioni che questo comporta. Nella seconda parte viene analizzata la situazione relativa ad ogni singola Regione, in funzione degli adempimenti previsti dalla legge di riforma e limitatamente alle sole competenze regionali. Nella terza parte viene illustrato in profondità un caso particolarmente significativo. Nella quarta parte viene fornito un quadro complessivo dello stato di applicazione della riforma assistenziale. Infine, nella quinta ed ultima parte vengono presentati i risultati dell’indagine previsionale “Il futuro della legge 328/2000 tra vincoli ed opportunità”.

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Parte prima

LA RIVOLUZIONE COPERNICANA DEI SERVIZI SOCIALI (Daniela Bucci, Ermanno Mazzitelli)


2. DALLE POLITICHE ASSISTENZIALISTICHE ALLE POLITICHE SOCIALI ATTIVE

2.1. Dalla Crispi…

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La struttura del sistema assistenziale italiano, nel corso degli anni, è stata fortemente condizionata dal contesto politico e culturale che ha operato per delinearla. Molte sono state le interpretazioni susseguitesi ed almeno altrettante appaiono le mediazioni tra le diverse anime intervenute, nei disegni di riforma, in oltre un secolo di storia. Volendo ripercorrere a grandi linee l’evoluzione della legislazione sociale, un primo punto fermo, da cui partire nella nostra ricostruzione, è rappresentato dalla legge n. 6972 del 17 Luglio 1890, meglio conosciuta come “Legge Crispi”. Questo provvedimento stravolse il concetto di assistenza applicato nell’Italia di fine Ottocento ed individuò un nuovo ruolo dello Stato nell’azione di risposta ai bisogni individuali e collettivi. Sino ad allora, il soggetto pubblico, fedele ai principi del liberalismo economico, concependo come unico ruolo nel settore assistenziale il mantenimento dell’ordine pubblico, aveva interamente delegato agli Enti ecclesiastici un’attività che, più che assistenziale, appare corretto definire di beneficenza. D’altra parte, lo sviluppo del movimento operaio e la voglia della classe borghese di ridimensionare il predominio e l’ingerenza della chiesa nel campo dell’assistenza sociosanitaria avevano di fatto creato le premesse affinché il monopolio ecclesiastico venisse ampiamente rivisto. Grazie alla Legge Crispi, venne attribuita personalità giuridica pubblica alle opere pie già presenti sul territorio, che da quel momento in poi assunsero la denominazione di Istituzioni Pubbliche di Beneficenza, e venne introdotto l’istituto del domicilio di soccorso, al fine di stabilire con certezza quale Ente fosse tenuto a fornire assistenza e come dovessero essere ripartite le relative spese. Tutto l’impianto fu strutturato in modo da creare, almeno sulla carta, un primo disegno di sistema coordinato tra Stato ed Enti territoriali, anche se, in pratica, l’assistenza pubblica rimase segregata in un ruolo marginale, rispetto a quella fornita dalle istituzioni private. Nonostante le notevoli carenze, ravvisate peraltro da considerevoli fasce dell’opinione pubblica, poco o nulla cambiò sino al periodo fascista3. La politica sociale del ventennio diede impulso allo sviluppo della legislazione assicurativa e previdenziale, ma contemporaneamente costituì un numero spropositato di Enti assistenziali (INPS, INAM, INAIL, OMNI, etc.), alcuni dei quali noti, sino a qualche anno addietro, alla maggioranza degli italiani. Così, mentre da un lato si determinò la proliferazione dell’assistenza specifica, dall’altro quella generica continuò ad evidenziare segni di cedimento in ogni sua parte, a causa di un sistema caratterizzato da verticismo, burocratizzazione e classificazione degli interventi, in funzione delle distinte categorie di bisogno. La nascita dello Stato Repubblicano portò scritta a chiare lettere la connotazione sociale della sua struttura sin dentro la Carta Costituzionale, affermando negli articoli 3, 31, 32, 34, e 38 i fondamenti sostanziali e di principio del welfare italiano. Nell’interpretazione costituzionale, diviene “…compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della personalità umana (…)” e l’effettivo esercizio della cittadinanza, garantendo “…a chiunque sia inabile al lavoro e privo di mezzi di sussistenza, necessari per vivere, un sostegno continuo e certo (…)”. L’innovazione introdotta dal legislatore appare quanto mai evidente se si considera come nel testo non si parli in termini di “assistenza alla malattia”, bensì di “tutela alla salute”: un carattere positivo della norma, con chiaro intento preventivo, volto a salvaguardare un bene non più classificato semplicemente “diritto fondamentale del singolo”, ma “interesse della collettività”4. L’intento è quello di attribuire allo Stato un ruolo di maggiore incisività nell’erogazione delle prestazioni sociali, cercando anche di controllare – grazie ai finanziamenti pubblici concessi al settore dell’assistenza – l’operato degli Enti a carattere privato e delle IPAB, che in quegli anni continuarono a rappresentare una delle strutture portanti del complesso sistema sociosanitario. La mancanza di una visione d’insieme, che unificasse le diverse esperienze e prospettive che convergevano all’interno dell’assistenza, generò numerosi squilibri nella ripartizione dei fondi, che vennero il più delle volte attribuiti non in funzione delle reali necessità di azione e programmazione, ma piuttosto sulla base delle capacità di contrattazione delle singole categorie. Il primo scossone, che contribuì a ravvivare il panorama dell’istituto assistenziale, venne dato, nel 1970, dall’istituzione delle Regioni a Statuto Ordinario, che crearono di fatto il primo tassello del futuro decentramento amministrativo. All’interno di questo scenario, maturò una profonda revisione delle istituzioni a carattere nazionale, mentre contemporaneamente gli Enti locali vennero dotati di una maggiore autonomia nell’erogazione delle prestazioni socio-assistenziali. La legge 833 del 1978, istituendo il Servizio Sanitario Nazionale, segnò la fine di un’organizzazione assistenziale differenziata in base alla categoria o mutua di appartenenza. La Creazione delle Unità Sanitarie Locali (Usl) derivò dall’esigenza di individuare, su base territoriale, i soggetti competenti a cui ricondurre sia l’assistenza sanitaria che quella di stampo prettamente sociale, sino ad allora esercitata dai singoli Comuni. Questa riforma, più volte rivista negli anni successivi, ebbe l’indubbio merito di produrre una prima rete, capillarmente diffusa sul territorio nazionale, capace di produrre al suo interno una programmazione che coordinasse interventi sanitari con altri di profilo socio-assistenziale. Tuttavia appare doveroso sottolineare come una reale e completa realizzazione


delle potenzialità delle Usl risentì, almeno in parte, della mancanza di una normativa per il riordino del settore sociale. Negli anni ’90, a seguito degli importanti interventi legislativi, in linea con la riforma delle autonomie locali, si è assistito alla progressiva trasformazione del Servizio Sanitario Nazionale, in un’ottica di maggiore territorializzazione ed autodeterminazione dei profili distintivi. Lungo questa direttrice sono state valorizzate le forme di partecipazione attiva delle realtà associative e del mondo del volontariato. Un passo fondamentale è rappresentato dalla Legge Bassanini (lex n. 59 del 1997), che ha applicato il principio di sussidiarietà tra gli Enti nazionali e quelli legati alle realtà locali, determinando un nuovo assetto con forte connotazione regionale, provinciale e municipale. All’interno di questo quadro di riferimento, il riassetto promosso dalla “Legge quadro per la realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali” rappresenta non un punto di arrivo, ma una comune base di partenza che, attraverso un’idea di organizzazione leggera, flessibile e non strettamente burocratizzata, mira da integrare funzionalmente tutti i soggetti che si trovano ad operare nel settore socio-sanitario, coordinando l’universalità delle prestazioni con la diversità dei bisogni e stabilendo sulla base di opportuni programmi, un nuovo concetto fondamentale: gli standard di qualità dei servizi erogati. 2.2. La riforma dei servizi sociali La “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, approvata l’8 Novembre del 2000, rappresenta uno dei tasselli fondamentali di innovazione del sistema italiano di welfare. Nota come “Legge Signorino-Turco” dal nome, rispettivamente, della relatrice del testo base di discussione alla camera, Elsa Signorino, e dell’allora Ministro degli Affari Sociali, Livia Turco, la legge 328/2000 è una legge cornice, che ridefinisce il profilo complessivo delle politiche sociali nel nostro Paese. Essa segna il passaggio da un sistema di interventi “riparativi” ad un sistema di protezione sociale attiva, che privilegi le persone, e non le categorie, e che offra prestazioni flessibili e personalizzate. L’intento di fondo del provvedimento è quello di realizzare il superamento dell’accezione tradizionale di “assistenza”, quale luogo di bisogni che possono essere discrezionalmente soddisfatti, in favore di una politica sociale attiva, finalizzata alla promozione del benessere delle persone e delle famiglie. Oggetto della riforma è la creazione di una rete integrata di interventi e servizi sociali, che favorisca una maggiore equità e sia in grado di garantire standard di prestazioni omogenee sull’intero territorio nazionale. L’obiettivo è di generare una nuova cultura ed una nuova pratica sociale, che siano capaci di mettere in campo più opportunità – sevizi, trasferimenti economici, buoni servizio – a sostegno delle persone e delle famiglie. Per garantire la realizzazione degli interventi e dei servizi sociali in forma unitaria ed integrata, la legge prevede il metodo della programmazione delle azioni e delle risorse, dell’operatività per progetti, della verifica sistematica dei risultati, in termini di qualità e di efficacia delle prestazioni, e della valutazione di impatto di genere. In particolare, per rispondere al bisogno di integrazione, la legge individua due principi fondamentali: a) il coordinamento e l’integrazione dei servizi sociali con gli interventi sanitari e dell’istruzione, con le politiche attive di formazione, di avviamento e di reinserimento al lavoro; b) la concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali e tra questi ed i soggetti operanti nel terzo settore, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale e le aziende sanitarie locali, per le prestazioni socio- sanitarie ad elevata integrazione sanitaria. Dati questi presupposti, il perseguimento delle finalità individuate dalla riforma avviene attraverso politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale, integrando servizi alla persona ed al nucleo famigliare con eventuali misure economiche, nonché attraverso la definizione di percorsi attivi volti ad ottimizzare l’efficacia delle risorse, impedire sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle risposte. Oltre a definire il percorso e gli strumenti per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, la legge stabilisce il livello essenziale delle prestazioni erogabili sottoforma di beni e servizi. Ciò avviene attraverso l’identificazione di una serie di misure sociali considerate imprescindibili, finalizzate al sostegno ed all’integrazione dei soggetti in condizione di disagio: a) misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito e servizi di accompagnamento, con particolare riferimento alle persone senza fissa dimora; b) misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio di persone totalmente dipendenti o incapaci di compiere gli atti propri della vita quotidiana; c) interventi di sostegno per i minori in situazioni di disagio, tramite il supporto al nucleo familiare di origine e l’inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, e per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza; d) misure per il sostegno delle responsabilità familiari, per favorire l’armonizzazione del tempo di lavoro e di cura familiare; e) misure di sostegno alle donne in difficoltà; f) interventi per la piena integrazione dei disabili; realizzazione di centri socio-riabilitativi e di comunità-alloggio, per

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le persone con handicap in situazione di gravità, e di servizi di comunità e di accoglienza, per quelle prive di sostegno familiare, nonché erogazione delle prestazioni di sostituzione temporanea delle famiglie; g) interventi per le persone anziane e disabili, per favorire la permanenza a domicilio, per l’inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, nonché per l’accoglienza e la socializzazione presso strutture residenziali e semiresidenziali per coloro che, in ragione della elevata fragilità personale o di limitazione dell’autonomia, non siano assistibili a domicilio; h) prestazioni integrate di tipo socio-educativo, per contrastare dipendenze da droghe, alcool e farmaci, favorendo interventi di natura preventiva, di recupero e reinserimento sociale; i) informazione e consulenza alle persone e alle famiglie, per favorire la fruizione dei servizi e per promuovere iniziative di auto-aiuto. Da sottolineare il ruolo di primo piano riconosciuto alla famiglia, che la legge si impegna a valorizzare, sostenere, responsabilizzare e coinvolgere nell’organizzazione dei servizi assistenziali. Sempre allo scopo di migliorare le modalità di intervento sull’utenza, il provvedimento disciplina la realizzazione di progetti particolari di integrazione e protezione sociale a favore delle persone disabili e degli anziani non autosufficienti. Tra i vari obiettivi della riforma c’è infatti l’impegno a favorire, nel campo dei servizi socio-assistenziali, interventi di tipo innovativo e sperimentale, attraverso la predisposizione di progetti individuali, capaci di coinvolgere l’interessato stesso nella stesura del proprio piano d’intervento. 2.2.1. I soggetti della politica sociale

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Il modello di welfare comunitario, delineato dalla riforma, è caratterizzato da una forte opzione federalista. Capovolgendo la sequenza tradizionale circa i livelli territoriali di competenza degli Enti pubblici, la legge indica dapprima il ruolo dei Comuni, quindi passa alle Province, poi alle Regioni ed infine allo Stato. I Comuni rappresentano il motore operativo della macchina sociale. Essi sono posti al centro della riforma, con un ruolo che possiamo definire di “registi dell’azione”. La legge attribuisce alla Municipalità la titolarità delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali a livello locale. Ad essa spettano la programmazione, la progettazione e la realizzazione del sistema locale degli interventi sociali a rete, nonché l’erogazione dei servizi e delle prestazioni economiche. Il ruolo comunale non si esaurisce tuttavia con l’attuazione dei progetti e delle iniziative sociali, ma prevede anche il difficile compito di vigilanza dell’azione amministrativa. I Comuni sono i primi soggetti responsabili del controllo delle prestazioni erogate. Ad essi compete il rilascio delle autorizzazione, l’accreditamento e la corretta vigilanza sui servizi sociali e sulle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica e del privato sociale. E sempre loro spetta l’adozione di strumenti per la semplificazione amministrativa ed il controllo di gestione atti a valutare l’efficacia e l’efficienza delle prestazioni. Ora, mentre le autorizzazioni sono figure giuridiche già operanti nel precedente sistema, l’accreditamento è un istituto giuridico del tutto nuovo in campo sociale. Con l’autorizzazione, il Comune si limita a riconoscere che un soggetto è idoneo ad erogare un certo servizio, possedendo i requisiti minimi fissati dalle leggi nazionali e regionali. Con l’accreditamento, la cosa è più complessa, poiché si tratta di individuare quei soggetti che, raggiungendo determinati standard qualitativi, vengono abilitati ad erogare servizi pagati direttamente o indirettamente dai Comuni. In questo modo, i cittadini non sono più obbligati a rivolgersi ai soli soggetti convenzionati, ma possono scegliere fra tutti quelli che hanno ottenuto l’accreditamento. Inoltre, mentre l’autorizzazione si riferisce normalmente al previo controllo di requisiti minimi formali, con l’accreditamento si scende a verificare, preventivamente ed in seguito con periodicità, il possesso di determinati livelli di qualità dei servizi, secondo standard generalmente indicati da regole di buone prassi fissate da organismi soprannazionali. La logica è quella di favorire la pluralità di offerta dei servizi, di garantire precisi standard qualitativi e di rispettare il diritto di scelta dei cittadini. Nella stessa direzione, si colloca l’introduzione dei “titoli per l’acquisto dei servizi sociali”. I Comuni possono diversificare gli interventi assicurati dal sistema integrato, prevedendo la concessione, su richiesta dell’interessato, di buoni validi per l’acquisto dei servizi sociali erogati dai soggetti accreditati, pubblici o privati, operanti sul territorio. Lo strumento principale che la legge mette a disposizione dei Comuni per l’attuazione delle funzioni loro demandate è il Piano di Zona. Esso ha lo scopo di favorire la formazione di sistemi locali di intervento, che siano fondati su prestazioni e servizi integrati finalizzati al miglioramento della qualità della vita. In particolare, i Piani di Zona devono prevedere: a) gli obiettivi strategici e le priorità di intervento; b) gli strumenti ed i mezzi per la realizzazione della rete locale dei servizi sociali; c) le modalità di collaborazione con gli altri soggetti istituzionali e con i soggetti operanti nell’ambito della solidarietà sociale a livello locale. Per garantire il benessere della persona e per prevenire e rimuovere le condizioni di disagio, ai Comuni spetta inoltre


il compito di promuovere le risorse presenti nelle collettività locali, tramite forme di reciprocità e di auto-aiuto, nonché quello di responsabilizzare i cittadini nella programmazione degli interventi e nella verifica dei risultati. Le Province, dal canto loro, perdono le tradizionali funzioni gestionali, ma concorrono alla programmazione regionale, raccolgono informazioni sui bisogni e le risorse a livello provinciale, offrono supporto e sostegno alla progettazione da parte dei Comuni e promuovono azioni di formazione per gli operatori sociali. Se i Comuni costituiscono il fulcro operativo della riforma impostata dalla legge, alle Regioni è riservata la titolarità della funzione di programmazione. I governi regionali sono chiamati a programmare, coordinare ed indirizzare gli interventi sociali, a verificarne l’attuazione a livello territoriale ed a disciplinarne l’integrazione, con particolare riferimento all’attività sanitaria e socio-sanitaria ad elevata integrazione sanitaria. Lo strumento prioritario che la legge assegna alle Regioni per l’assolvimento delle funzioni loro attribuite è il Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali. Esso ha lo scopo di favorire la definizione di politiche integrate, in materia di interventi sociali, sanitari, dell’istruzione, della formazione professionale e del lavoro, e di indicare modalità di collaborazione e coordinamento con gli Enti locali e con i soggetti operanti nel terzo settore. Il primo compito, in ordine cronologico, affidato alle Regioni è quello di determinare, tramite forme di concertazione con gli Enti locali interessati, gli ambiti territoriali per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete. La legge prevede incentivi a favore dell’esercizio associato delle funzioni sociali, prospettando la coincidenza degli ambiti territoriali con i distretti sanitari operanti già da tempo. L’ambito territoriale viene così a rappresentare la dimensione di riferimento delle politiche sociali ed il luogo rispetto al quale avviare la programmazione degli interventi e dei servizi locali. Alle Regioni spetta anche la definizione di una serie di criteri in base ai quali i Comuni, riuniti in ambiti, organizzano la propria attività. Criteri: a) per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi a gestione pubblica o dei soggetti del privato sociale; b) per la concessione da parte dei Comuni dei titoli per l’acquisto di servizi sociali; c) per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni; d) per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati. Per quanto concerne, in particolare, la qualità delle prestazioni fornite, la legge stabilisce che le Regioni provvedano a definire i requisiti per la gestione e per l’erogazione dei servizi sociali. Promuovano metodi e strumenti per il controllo di gestione atti a valutare l’efficacia e l’efficienza delle azioni previste. Istituiscano, sulla base di indicatori oggettivi di qualità, i registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività. Esercitino poteri sostitutivi nei confronti degli Enti locali inadempienti. Predispongano e finanzino piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali. Disciplinino le modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti e l’eventuale istituzione di uffici di tutela dei cittadini, che assicurino adeguate forme di indipendenza nei confronti degli Enti erogatori. Il decentramento impostato dalla riforma non deve far pensare ad una scomparsa delle competenze statali. Il livello locale delle politiche di welfare non presuppone una delega in bianco agli attori locali, né un disimpegno delle istituzioni nazionali. Al contrario, la legge assegna allo Stato l’esercizio delle funzioni di indirizzo, coordinamento e regolazione delle politiche sociali. In particolare, alla macchina statale spetta: a) la determinazione dei principi e degli obiettivi della politica sociale; b) l’individuazione di livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni; c) la fissazione dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale e per le comunità di tipo familiare; d) l’individuazione dei profili professionali degli operatori sociali e dei requisiti per accedere a tali professioni; e) la ripartizione delle risorse del Fondo Nazionale per le politiche sociali; f) l’esercizio dei poteri sostitutivi in caso di riscontrata inadempienza delle Regioni. L’atto fondamentale di programmazione in materia sociale, individuato dalla riforma, è il Piano Nazionale degli interventi e dei servizi sociali. Ogni tre anni il Governo, tenendo conto delle risorse finanziarie disponibili, predispone il Piano sociale, indicando i requisiti delle prestazioni, le priorità d’intervento, le modalità di attuazione, gli indirizzi di governo ed i finanziamenti. Il Piano triennale rappresenta una novità nel panorama italiano del welfare. Esso introduce nelle politiche sociali il metodo della programmazione. E ha l’obiettivo di conseguire condizioni di pari opportunità sull’intero territorio nazionale. La finalità strategica del Piano è quella di diffondere e radicare su tutto il territorio italiano la nuova cultura delle politiche sociali delineata dalla riforma, indicando quali debbano essere gli “standard essenziali”, ovvero i servizi che vanno obbligatoriamente garanti su tutto il territorio nazionale, al fine di rendere concreta l’affermazione dei diritti sociali. In dettaglio, il Piano Nazionale deve indicare: a) le caratteristiche ed i requisiti delle prestazioni, le priorità di intervento, i finanziamenti e le modalità di attuazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali; b) gli indirizzi per la diffusione delle informazione al cittadino e alle famiglie, per le sperimentazioni innovative, per le

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azioni di promozione della concertazione e per la formazione degli operatori del sociale; c) gli indicatori ed i parametri per la verifica dei risultati; d) i criteri generali per la disciplina del concorso al costo dei servizi sociali da parte degli utenti e gli indirizzi per la predisposizione di programmi integrati finalizzati a garantire: la tutela e la qualità della vita di minori, giovani ed anziani, il sostegno delle responsabilità familiari, l’inserimento sociale delle persone con disabilità e limitazione dell’autonomia fisica e psichica, l’integrazione degli immigrati, la prevenzione, il recupero ed il reinserimento dei tossicodipendenti e degli alcooldipendenti. A questo punto, appare chiara, l’impalcatura disegnata dalla legge: lo Stato individua i livelli essenziali delle prestazioni, mediante la redazione triennale di un Piano Nazionale degli interventi; le Regioni svolgono le funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività sociali e socio-sanitarie, attraverso la stesura di un Piano Regionale triennale; le Province concorrono alla programmazione degli interventi di integrazione sociale ed infine i Comuni definiscono il Piano di Zona, anch’esso triennale, per la costruzione di sistemi locali di intervento sociale a rete. Altrettanto chiara appare la necessità che gli Enti responsabili della programmazione si muovano su scala intersettoriale, agendo con una visione d’insieme dei problemi e con strategie unitarie per affrontarli, al fine di comporre le istanze proprie degli interventi sociali con quelli per la salute, l’istruzione ed il lavoro. Un ruolo di primo piano nella progettazione ed erogazione degli interventi e dei servizi sociali viene attribuito dalla legge al terzo settore, alle organizzazioni no profit ed al volontariato. Il provvedimento individua infatti nella concertazione e nella partnership le risorse fondamentali per la costruzione di un sistema attivo di protezione sociale. Un’attenzione particolare viene rivolta alle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza. Con l’obiettivo di rivitalizzare e ridare efficienza ed efficacia al patrimonio di risorse e professionalità rappresentato dalle IPAB, la legge dispone il loro inserimento nella programmazione regionale del sistema integrato di interventi e servizi sociali e la trasformazione della loro forma giuridica in soggetti di diritto pubblico o in soggetti di diritto privato. Per far conoscere ai cittadini i servizi presenti sul territorio e le modalità di accesso alle prestazioni, la riforma prevede l’adozione della Carta dei Servizi. Essa ha il compito di definire i criteri per l’accesso agli interventi, le modalità del loro funzionamento, le condizioni per facilitarne la valutazione e le procedure per assicurare la tutela degli utenti. Ogni Ente erogatore, sulla base dello schema di riferimento emanato dal Governo, deve munirsi di una propria Carta dei servizi e darne adeguata pubblicità ai destinatari. La finalità è quella di costituire un patto tra istituzioni, cittadini e privato sociale, per migliorare la qualità dei servizi alle persone. Da ultimo, è bene ricordare altri due importanti obiettivi prefissati dalla legge: la regolamentazione delle nuove professioni e l’istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali. Per quanto concerne, in particolare, quest’ultimo punto, la legge prevede che lo Stato, le Regioni e gli Enti locali concorrano all’istituzione del Siss, al fine di assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni dell’utenza e della rete dei servizi sociali, nonché per disporre tempestivamente di dati ed informazioni utili alla programmazione e valutazione degli interventi ed al loro coordinamento con le politiche sanitarie, formative e dell’occupazione. L’obiettivo prioritario è quello di sostenere il processo decisionale a tutti i livelli di governo, sulla base di una rigorosa analisi delle attività e dei risultati raggiunti rispetto agli effetti attesi ed alle esigenze della popolazione. A ciò naturalmente si deve aggiungere il lavoro della Commissione di indagine sull’esclusione sociale, che ha il compito di effettuare attività di ricerca sulla povertà e sull’emarginazione in Italia, di promuoverne la conoscenza, di formulare proposte e di operare valutazioni. In conclusione, possiamo ricordare quelle che sono le parole chiave della legge di riforma dell’assistenza, i principi che mirano a diffondere una nuova cultura ed una nuova pratica delle politiche sociali: programmazione, cooperazione, integrazione, sussidiarietà verticale (ovvero ripartizione e decentramento delle competenze tra i vari livelli amministrativi), sussidiarietà orizzontale (ovvero promozione e valorizzazione dell’associazionismo e del terzo settore), monitoraggio, valutazione. 2.3. Gli atti applicativi

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Se la legge quadro di riforma dell’assistenza disegna l’impalcatura di un nuovo sistema di interventi e servizi sociali, il varo dei provvedimenti attuativi fornisce alle Regioni ed agli Enti locali le indicazioni per la stesura dei Piani Regionali e dei Piani di Zona, che rappresentano gli strumenti fondamentali di programmazione dei servizi e degli interventi sul territorio. Il primo Piano Nazionale sociale, predisposto in tempi più ristretti rispetto a quelli previsti dalla legge 328/20005 (D.P.R. 3 maggio 2001), risponde all’esigenza di definire obiettivi strategici ed indirizzi generali, indispensabili affinché tutti i soggetti chiamati a concorrere alla programmazione ed alla realizzazione del nuovo sistema sociale a rete possano impegnarsi nell’attuazione delle legge quadro sull’assistenza. In particolare, partendo col ricordare gli assi portanti della nuova politica sociale (parte I), il Piano Nazionale 20012003 evidenzia gli obiettivi prioritari (parte II) e fornisce indicazioni per lo sviluppo del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali (parte III). In coerenza con la legge 328/2000, esso promuove lo sviluppo di un welfare delle respon-


sabilità, all’interno del quale la programmazione sociale viene intesa come “un processo a più attori”, collocati a diversi livelli, che apportano competenze, ideazioni e risorse. Il fine delle politiche sociali è la promozione del benessere della popolazione. Ed il sistema integrato di interventi e servizi sociali è lo strumento attraverso il quale perseguire gli obiettivi di priorità sociale: 1. valorizzare e sostenere le responsabilità familiari; 2. rafforzare i diritti dei minori; 3. potenziare gli interventi a contrasto della povertà; 4. sostenere con servizi domiciliari le persone non autosufficienti (in particolare le persone anziane e le disabilità gravi); 5. realizzare azioni particolari per l’inserimento degli immigrati, la prevenzione delle droghe, l’attenzione agli adolescenti. Per ciascun obiettivo prioritario, il Piano indica i servizi e le prestazioni essenziali per la sua realizzazione, suggerendo sia gli elementi di unificazione delle diverse esperienze regionali, sia gli spazi di una loro possibile articolazione, differenziazione e sperimentazione nelle modalità organizzative ed operative indicate dai rispettivi documenti di programmazione locale. Le indicazioni per la realizzazione della rete integrata dei servizi sociali trovano spazio nella terza parte del Piano, dove per prima cosa viene esplicitata la metodologia per costruire i livelli essenziali degli interventi sociali. In particolare, essi devono essere disegnati in funzione: - degli obiettivi di priorità sociale; - di una griglia articolata su tre dimensioni: 1. le aree di intervento; 2. le tipologie di servizi e prestazioni; 3. le direttrici per l’innovazione. Le aree di intervento sono delle macro categorie individuate in riferimento ai bisogni da soddisfare, tenuto conto sia delle indicazioni della legge quadro, che delle priorità fissate dal Piano Nazionale. Esse sono: 1. responsabilità familiari; 2. diritti dei minori; 3. persone anziane; 4. contrasto della povertà; 5. disabili (in particolare, disabili gravi); 6. droghe; 7. avvio della riforma. Da notare che l’area relativa all’inserimento degli immigrati non è individuata come area a sé, ma ricompresa trasversalmente nelle altre. Le tipologie di servizi e prestazioni costituiscono un’articolazione, per classi, degli interventi e delle prestazioni che possono essere programmate e realizzate per rispondere alle esigenze proprie delle aree di bisogno. Esse sono: 1. servizio sociale professionale e segretariato sociale per l’informazione e la consulenza al singolo e ai nuclei familiari; 2. servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari; 3. assistenza domiciliare; 4. strutture residenziali e semi-residenziali per soggetti con fragilità sociali; 5. centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario. Le direttrici per l’innovazione descrivono i criteri progettuali, di organizzazione e di funzionamento della rete, anche con l’obiettivo di consolidare e rafforzare le leggi innovative sulle politiche sociali. Esse intersecano in modo trasversale le aree di intervento e le tipologie di servizi e possono essere così definite: 1. partecipazione attiva delle persone nella definizione delle politiche che le riguardano; 2. integrazione degli interventi nell’insieme delle politiche sociali, mobilitando a tal fine tutti gli attori interessati e prevedendo una strategia unitaria per l’integrazione sociosanitaria; 3. promozione del dialogo sociale, della concertazione e della collaborazione tra tutti gli attori pubblici e privati, in particolare coinvolgendo i soggetti non lucrativi, le parti sociali e le organizzazioni dei servizi sociali, incoraggiando l’azione di tutti i cittadini e favorendo la responsabilità sociale delle imprese; 4. potenziamento delle azioni per l’informazione, l’accompagnamento, gli sportelli per la cittadinanza; 5. sviluppo degli interventi per la domiciliarità e la deistituzionalizzazione; 6. interventi per favorire l’integrazione sociale, sviluppo delle azioni e degli interventi per la diversificazione e la personalizzazione dei servizi e delle prestazioni sociali; 7. innovazione nei titoli per l’acquisto dei servizi. Sulla base di queste indicazioni, la programmazione locale deve contemplare, rispetto a ciascuna area di bisogno, varie tipologie di servizi e prestazioni, favorendo la sperimentazione di interventi innovativi. Seguendo infatti l’impostazione della legge, il Piano coinvolge direttamente il livello locale, promovendo una struttura a rete, fortemente decen-

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trata, che attraverso i Piani Regionali ed i Piani di Zona consenta al sistema di svilupparsi sul territorio. Per la realizzazione del primo Piano sociale Nazionale le risorse stanziate per il 2001 ammontano a circa 1,80 miliardi di euro (si prevedono di uguale importo per il 2002 e pari a circa 1,60 miliardi di euro per il 2003). Tale cifra si compone di stanziamenti volti a finanziare leggi che prevedono diritti soggettivi (assegni di maternità e congedi parentali) e risorse trasferite direttamente alle Regioni. In particolare, i fondi trasmessi alle Regioni si suddividono in due capitoli: a) le risorse collegate alle leggi di settore; b) le risorse trasferite in modo indistinto sulla base di alcuni parametri, che sono la composizione demografica, il tasso di disoccupazione, il livello del reddito. Per concludere, il Piano suggerisce le modalità e gli strumenti per il monitoraggio delle politiche sociali e per la verifica dei risultati progressivamente conseguiti, fornendo indicazioni di carattere generale sulla costruzione di un “sistema di qualità sociale”, sulla stesura della carta dei servizi sociali, sulla promozione dei rapporti tra Enti locali e terzo settore e sull’istituzione del sistema informativo dei servizi sociali. Tra gli altri atti applicativi, rivestono particolare importanza l’Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona (D.P.C.M. 30 marzo 2001) ed il regolamento recante Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale (D.M. 21 maggio 2001, n.308). Il primo provvedimento fornisce indirizzi per la regolazione dei rapporti tra i Comuni, singoli o associati, ed i soggetti del terzo settore, in materia di acquisto di servizi ed interventi predisposti dal privato sociale. Il secondo stabilisce i requisiti minimi per la concessione delle autorizzazioni all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale. In entrambi i casi, l’obiettivo è di garantire standard di qualità omogenei su tutto il territorio nazionale e di offrire ai cittadini interventi personalizzati ed efficaci, indipendentemente che siano gestiti dai soggetti pubblici o dalle organizzazioni del terzo settore. L’impostazione adottata permette anche di valorizzare le capacità progettuali del no profit, poiché il criterio fondamentale del convenzionamento diventa la qualità delle prestazioni offerte, che si viene a sostituire al metodo del massimo ribasso. Altrettanto importante è il Decreto legislativo (n. 207 del 4 Maggio 2001) che disciplina il Riordino delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, in funzione del loro inserimento nel sistema integrato di interventi e servizi sociali. Esso dispone, in particolare, i criteri per la trasformazione della forma giuridica delle IPAB, in aziende pubbliche di servizi alla persona o in persone giuridiche di diritto privato. Fondamentali per garantire la competenza degli operatori sono lo Schema di regolamento sul profilo professionale degli assistenti sociali e l’Accordo per l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’operatore socio-sanitario. Tali provvedimenti, pur non pretendendo di esaurire quanto previsto dall’art. 12 della legge, ne rappresentano un importante avvio e sottolineano la volontà di valorizzare le professionalità del sociale quale condizione per arricchire di contenuti e di relazioni i servizi sociali. Da segnalare l’Atto che disciplina i progetti rivolti alle persone che vivono in condizioni di povertà estrema o senza fissa dimora. È infatti proprio a sostegno di questo tipo di interventi che l’art. 28 della legge dispone, al comma 1, l’incremento del Fondo nazionale per le politiche sociali, di una somma pari a circa 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2001 e 2002. l’Atto di indirizzo e coordinamento sull’integrazione socio-sanitaria fornisce indicazioni sull’assistenza rivolta alle persone che presentano bisogni di salute, per i quali si richiedono, contemporaneamente, prestazioni sanitarie ed azioni di protezione sociale, sulla base di progetti personalizzati, redatti sulla scorta di valutazioni multidisciplinari. Esso sancisce: 1. la responsabilità dei costi delle prestazioni a carico del Sistema Sanitario Nazionale e dei Comuni; 2. l’intensità assistenziale degli interventi, sia sanitari che sociali, predisposti dai progetti personalizzati, dove è indicata la natura del bisogno e l’articolazione temporale dell’erogazione. Concludono il quadro, il Decreto di istituzione della Commissione tecnica per il sistema informativo dei servizi sociali e l’Atto costitutivo della Commissione di indagine sull’esclusione sociale. 2.4. Un’eredità dimenticata?6

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L’attuale Governo di centro-destra ha ereditato dalla precedente maggioranza, che ha licenziato la riforma nazionale dell’assistenza ed una parte dei suoi atti applicativi, il compito di completare il quadro normativo relativo all’attuazione della legge 328/2000. La realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali richiede infatti precisi adempimenti attuativi, da parte del Governo e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in particolare. Attualmente, a distanza di un anno e mezzo dall’approvazione della riforma ed a più di un anno dall’insediamento del nuovo Governo, molta strada deve ancora essere percorsa nel dare seguito ai provvedimento previsti dalla legge. Situazione che rischia di pesare sul pieno dispiegamento dei poteri assegnati alle Regioni ed agli Enti locali in tema di programma-


zione e realizzazione del sistema integrato, nonché sulla garanzia di standard di prestazioni omogenee sull’intero territorio nazionale. Di fondamentale importanza, per lo svolgimento della funzione centrale di indirizzo delle politiche sociali a livello locale, è l’emanazione di appositi provvedimenti che diano attuazione agli articoli: 12, sulle Figure professionali sociali, e 13, sulla Carta dei servizi sociali. Dalle cui indicazioni dovrebbero discendere specifici comportamenti da parte dei soggetti deputati alla definizione degli interventi sul territorio. In proposito, ma limitatamente al solo regolamento concernente i profili professionali, è stata istituita una Commissione, presieduta da un esperto esterno, in cui sono rappresentati i Ministeri competenti - il Ministero della Salute e quello dell’Istruzione, dell’Università e delle Ricerca - e due rappresentanti delle Regioni. Tale Commissione è attualmente al lavoro, con il compito di presentare al Governo una proposta di riordino del complesso delle professioni sociali. L’articolo 15 prevede che, annualmente, una quota del Fondo Nazionale per le politiche sociali venga riservare, in modo vincolante, ad investimenti e progetti integrati tra assistenza e sanità, volti a sostenere e favorire l’autonomia delle persone anziane non autosufficienti e la loro permanenza nell’ambiente familiare. Tale articolo assegna al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro della Sanità, i poteri di vigilanza sull’operato delle singole Regioni, prevedendo, in caso di gravi ritardi nell’utilizzazione delle risorse assegnate, il ricorso ai poteri sostitutivi. Al riguardo, il 22 Gennaio 2002 si è provveduto ad inviare una nota agli Assessorati delle politiche sociali delle Regioni e delle Province autonome per conoscere lo stato di attuazione dei Piani Regionali, con particolare riguardo agli interventi a favore delle persone anziane. L’articolo 23 stabilisce che il Governo riferisca al Parlamento sull’attuazione della sperimentazione del reddito minimo di inserimento e sui risultati conseguiti. Ad oggi, il Governo non ha provveduto in tal senso, sebbene l’attività di valutazione dell’efficacia della sperimentazione sia stata condotta dall’Istituto per la ricerca sociale. Disatteso è il Riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo (previsto dall’articolo 24), benché si sia provveduto al rinnovo della delega al Governo, con la legge n. 137 recante “Delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché degli Enti pubblici”, approvata il 6 luglio del 2002. In ordine all’attuazione dell’articolo 20, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (del 9 maggio 2002) il Decreto di riparto del Fondo Nazionale per le politiche sociali per l’anno 2002 (n. 115) fissato a circa 1,60 miliardi di euro. Si attende che il Governo affronti la definizione degli strumenti per garantire i Livelli esenziali delle prestazioni sociali, necessari per favorire risposte omogeneo su tutto il territorio nazionale. Non si conosce la data in cui il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali presenterà al Parlamento la Relazione annuale sui risultati conseguiti rispetto agli obiettivi fissati dal Piano nazionale, con particolare riferimento ai costi ed all’efficacia degli interventi, fornendo contestualmente le indicazioni per l’ulteriore programmazione. La relazione permetterebbe di conoscere i risultati conseguiti nelle Regioni in attuazione dei Piani sociali Regionali, nonché le eventuali inadempienze. Infine, in attuazione dell’articolo 21, sono in corso i lavori della Commissione tecnica per il sistema informativo dei servizi sociali, istituita nel mese di aprile del 2001. In proposito, si è deciso di commissionare uno studio di fattibilità, che individui: funzioni e procedure da autorizzare, tempi di realizzazione complessivi e delle singole fasi, impieghi delle risorse tecnologiche, specifiche tecniche e analisi del rapporto costi e benefici. Attualmente è in atto la procedura per l’individuazione della società incaricata di redigere lo studio. Verosimilmente saranno quindi attivate entro l’anno le procedure di predisposizione e di aggiudicazione del progetto esecutivo, la cui realizzazione potrà avere inizio nel prossimo mese di Gennaio.

Note

1 Del 31 Marzo 1998. 2 Sono

escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.

3 Un tentativo di riforma venne attuato con la legge n. 390 del 1904, “Legge Giolitti”, che attraverso la creazione del

“Consiglio Superiore dell’Assistenza e Beneficenza Pubblica” cercò di riordinare il “…disastrato coacervo dell’assistenza sul territorio nazionale…(ndr)”. Anche questa esperienza si rivelò ben presto priva di una reale capacità operativa e, per questo, abbandonata. 4 Tratto dall’art. 32 della Costituzione Italiana. 5 Art. 18, comma 4. 6 L’analisi è stata conclusa il 30/06/2002. Oltre tale data si è provveduto ad aggiornare le informazioni unicamente in

merito all’approvazione della legge n. 137, recante “Delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché degli Enti pubblici”, precedentemente citata come disegno di legge.

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Parte seconda

LA MAPPA DEI SERVIZI SOCIALI (Daniela Bucci, Valentina Piersanti, Salvatore Tricoli, Elvira Zollerano)


3. I WELFARE REGIONALI

3.1. Premessa Il modello di welfare comunitario, disegnato dalla legge quadro sui servizi sociali, è caratterizzato da una forte opzione federalista. I Comuni rappresentano il motore operativo della macchina sociale, mentre alle Regioni è riservata, in via praticamente esclusiva, la titolarità della funzione di programmazione. In particolare, i governi regionali sono chiamati a programmare, coordinare ed indirizzare gli interventi sociali, a verificarne l’attuazione a livello territoriale ed a disciplinarne l’integrazione, con particolare riferimento all’attività sanitaria e socio-sanitaria ad elevata integrazione sanitaria. In questa parte del rapporto, si intende illustrare lo stato di attuazione della normativa nazionale a livello regionale. L’attenzione è incentrata sui contenuti dei Piani sociali Regionali, laddove effettivamente emanati, e sugli adempimenti di competenza regionale previsti dalla legge di riforma assistenziale. Il lavoro è suddiviso in schede, riferite alle singole Regioni. E ciascuna scheda è accompagnata da una tabella riassuntiva, che esplicita, articolo per articolo, lo stato di applicazione regionale della legge ed i relativi riferimenti normativi. Per l’elaborazione delle schede ci si è avvalsi della documentazione pubblica. E si è provveduto ad interrogare ciascun Assessorato regionale alle politiche sociali, cui si è chiesto di precisare in modo dettagliato lo stato di avanzamento della propria Regione nel dare seguito alle disposizioni della legge nazionale. Le tabelle riportate sono state debitamente compilate dai funzionari incaricati. Le informazione ricevute sono state opportunamente verificate. Ci scusiamo fin d’ora per eventuali errori od omissioni. La maggiore criticità riscontrata nel reperimento dei dati riguarda la difficoltà di comunicazione con l’Ente Regione. In alcuni casi, abbiamo rilevato l’assenza di un referente certo sull’attuazione della legge quadro, competente a rispondere in modo esaustivo sul complesso degli adempimenti previsti. In altri, abbiamo dovuto far fronte ai ritardi ed ai lunghi tempi di attesa. La fase di rilevazione è terminata il 3 Luglio del 2002.

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Abruzzo In attesa dell’approvazione del nuovo Piano sociale 2002-20041, la Regione Abruzzo governa il sociale con la legge regionale n. 222, “Norme per la programmazione e l’organizzazione dei servizi di assistenza sociale - Piano sociale regionale 1998/2000”, che regolamenta la programmazione, l’organizzazione e la gestione dei servizi e degli interventi di assistenza sociale, nonché la loro integrazione con il comparto dei servizi sanitari. Il percorso verso la creazione di un nuovo sistema di interventi alla persona è stato avviato, in Abruzzo, con l’emanazione di questo primo Piano Regionale, che ha anticipato la riforma nazionale dell’assistenza, allo scopo di fornire risposte efficaci ai bisogni fondamentali delle persone e delle famiglie, a partire dal livello locale. La proposta del nuovo Piano sociale consolida e sviluppa il sistema di welfare regionale già introdotto con il Piano 1998-2000. Le scelte operate tengono conto dei traguardi indicati dalla programmazione nazionale, nella consapevolezza che alcune disposizioni contenute nella legge 328/00 e nel Piano Nazionale 2001-2003 erano già state anticipate dalla L.R. 22/98 e dal primo Piano sociale. Esse sono in particolare: - la zonizzazione per la gestione unitaria dei servizi sociali, con la promozione di forme di cooperazione tra i Comuni interessati; - la volontà di operare per livelli essenziali di assistenza (il Piano 1998-2000 delinea già soluzioni quali il segretariato sociale e l’assistenza domiciliare in ogni ambito sociale), da garantire in ognuno dei 35 ambiti territoriali individuati; - l’introduzione dei Piani di Zona dei servizi alle persone, come strumento unitario di programmazione e di governo locale del rapporto tra bisogni e risposte. Le idee guida che ispirano la costruzione del primo Piano sociale sono: la valorizzazione di tutte le risorse presenti nelle comunità locali, la sussidiarietà, la semplificazione dei percorsi di accesso ai servizi, la rete di risposte nel territorio, i livelli essenziali di assistenza, la formazione a sostegno dei progetti di sviluppo dei servizi, la nuova politica della spesa. Gli obiettivi sono definiti e attuati a due livelli: - quello delle responsabilità e delle collaborazioni (istituzionali e sociali) necessarie per rendere operanti i servizi alle persone; - quello dei bisogni e dei diritti fondamentali a cui dare risposte, sulla base delle risorse disponibili e delle priorità individuate in funzione di una attenta analisi delle esigenze del territorio. L’impalcatura costruita nel triennio passato ha contribuito a rimuovere molti ostacoli che impedivano l’accesso ai servizi in condizioni di equità e ha creato situazioni di maggiore tutela dei diritti delle persone più deboli, in particolare nelle aree svantaggiate e caratterizzate da un più rapido invecchiamento della popolazione. Il nuovo Piano Regionale affonda le proprie radici nella valutazione dei risultati raggiunti nel triennio precedente, per impostare la futura programmazione regionale. I risultati della verifica sono infatti utilizzati nelle tre sezioni del documento proposto per contestualizzare le scelte operate e per definire le risposte attese. La capacità di verificare i traguardi conseguiti testimonia come il Sistema informativo locale e regionale, delineato dalla precedente amministrazione, abbia acquisito, in tre anni, un’autonoma capacità di documentazione di ciò che accade nell’universo dei servizi sociali. Tale Sistema di valutazione, in parte sperimentato, viene ulteriormente organizzato per il prossimo triennio, al fine di ottenere un monitoraggio più sistematico dei risultati raggiunti ed una comparazione tra misure di efficienza e di efficacia conseguite dai diversi ambiti territoriali. La convinzione di fondo è che solo un’attenta conoscenza dei bisogni e dei traguardi ottenuti permetta di giungere alla definizione di nuovi obiettivi. Le linee ispiratrici del nuovo Piano sociale sono: le risposte universalistiche ai bisogni, la tutela dei soggetti deboli, la solidarietà, la priorità alle persone e alle famiglie che vivono in condizioni di esclusione e di emarginazione sociale, l’attenzione alle domande delle comunità locali. La promozione di un incontro positivo tra diritti e doveri è la strategia che orienta le diverse modalità di azione delle politiche sociali. Le tre sezioni in cui si articola il Piano Regionale 2002-2004 sono: 1. gli obiettivi di salute; 2. gli obiettivi di sistema; 3. le strategie per conseguire i risultati attesi ai diversi livelli. Nella sezione dedicata agli obiettivi di salute vengono messe a confronto le misure di bisogno attuali con i risultati attesi nel triennio, evidenziando il modo in cui raggiungere tali risultati (con azioni e strategie), le condizioni per documentarli ed i bisogni cui dare risposte prioritarie. Per ciascuna area di intervento (famiglia; infanzia, adolescenza e giovani; disabilità; anziani), viene fornito un quadro di riferimento che caratterizza i vari ambiti territoriali, vengono sottolineate le carenze riscontrabili nel sistema dei servizi sociali, pur nel riconoscimento dei traguardi già conseguiti, e vengono indicate specifiche finalità. Nella sezione dedicata agli obiettivi di sistema vengono definiti i caratteri fondamentali della rete dei servizi sociali, grazie al confronto tra le misure adottate e quelle attese. Per le varie aree di intervento, vengono analizzati gli obiettivi conseguiti dalla precedente programmazione regionale, attraverso un attento monitoraggio dei vari servizi intro-

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dotti nei 35 ambiti territoriali. Anche in questo caso vengono indicati obiettivi, azioni e strategie, per garantire, in ogni ambito sociale, i livelli essenziali di assistenza previsti dalla legge quadro e dal Piano Nazionale. In particolare, vengono considerati requisiti essenziali per un’efficace realizzazione del sistema locale dei servizi alla persona: il segretariato sociale, l’accesso unitario, la valutazione professionale e multidimesionale del bisogno, la priorità ai soggetti deboli, il lavoro sociale per progetti personalizzati, le carte per la cittadinanza sociale, il pronto intervento sociale. La sezione sulle strategie indica i percorsi prioritari da seguire per il conseguimento dei risultati attesi. Essa è dedicata alla definizione dei livelli essenziali di assistenza, alle condizioni per la gestione unitaria dei servizi, agli ambiti sociali, alla politica della spesa, all’integrazione socio-sanitaria, alle modalità di collaborazione tra soggetti pubblici e soggetti sociali, al rapporto tra sistema informativo e valutazione dei risultati, alle politiche formative per la qualificazione delle risorse umane. Dall’esame condotto, appare evidente che il nuovo Piano sociale si innesta nel solco tracciato dalla precedente amministrazione. Il documento, approvato dalla Giunta ed attualmente all’esame del Consiglio Regionale, analizza i risultati conseguiti dalla programmazione sociale impostata dal primo Piano Regionale e si propone, riconoscendo i traguardi raggiunti, di colmarne le inefficienze, in funzione di un’analisi dei cambiamenti sociali avvenuti nel territorio. Il Piano proposto non si occupa della costruzione del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali, già introdotto nello scorso triennio, ma intende perfezionarlo e rafforzarlo, proponendosi di portare a compimento gli obiettivi mancati. Facendo una valutazione più complessiva dello stato di attuazione della legge 328/00 nella Regione Abruzzo, occorre tuttavia constatare l’assenza di alcuni importanti provvedimenti. E registrare, in alcuni casi, l’avvio di un percorso di studio e predisposizione degli atti previsti dalla normativa nazionale. Questo vale soprattutto in merito ai provvedimenti concernenti i rapporti con il terzo settore e le IPAB, nonché i criteri per l’autorizzazione, la vigilanza e l’accreditamento dei servizi e delle strutture: temi rispetto ai quali si intende procedere attraverso lo strumento del disegno di legge regionale e si fa ricorso, per alcuni aspetti, a precedenti direttive provvisorie. Al contrario, del tutto evase, al momento, altre funzioni di competenza regionale, quali, ad esempio, la definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali, per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni, per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati, o ancora la disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali.

Stato di attuazione della legge 328/2000 nella Regione Abruzzo

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

Ripartizione dei fondi 2001 già effettuata. “Risorse indistinte” erogate ai Comuni. Piano sociale Regionale 1998-2001 e D.G.R. n. 815 del 19 Settembre 2001.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

In fase di studio e predisposizione. Disegno di legge regionale.

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

In fase di studio e predisposizione. Disegno di legge regionale.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Ambiti territoriali già determinati con il Piano sociale 1998-2001. Rideterminazione dal 2002 degli ambiti territoriali con D.C.R. n. 59/5 del 19 Marzo 2002.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

In fase di predisposizione (disegno di legge regionale). D.G.R. 1230 del 12 dicembre 2001. Direttive provvisorie.

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

In fase di predisposizione (disegno di legge regionale). D.G.R. 1230 del 12 dicembre 2001.

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

In fase di predisposizione (disegno di legge regionale). D.G.R. 1230 del 12 dicembre 2001.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

8, comma 3 lett. m)

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

Le funzioni di cui all’art. 5 L. 67/93, per interventi a favore di ciechi e sordomuti, sono confermate alle Province ai sensi delle LL.RR. 32/97, 11/99 art. 77, 64/01. Attualmente non vengono utilizzate somme derivanti dal Fondo sociale Nazionale.

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

In fase di studio e predisposizione. Disegno di legge regionale.

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

Direttive provvisorie. D.G.R. n. 1230 del 12 Dicembre 2001.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

La proposta di Piano sociale Regionale 2002-2004, adottato con D.G.R. 1347 del 31 Dicembre 2001, è all’esame del Consiglio Regionale.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

Risorse non del tutto impegnate e liquidate.

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

È in corso di approvazione il Piano Regionale Famiglia 2002, dove sono state inserite le somme (che verranno impegnate entro il corrente esercizio finanziario) derivanti dalla ripartizione del FSN 2001 per lo specifico intervento in favore di famiglie con anziani non autosufficienti. Complessivamente il Piano Famiglia 2002 prevede fondi regionali di 500.000,00 euro.

Per la disciplina delle modalità di erogazione la proposta di Piano sociale Regionale 2002-2004, all’esame del Consiglio Regionale.


Basilicata La Regione Basilicata ha concretamente avviato la riforma dei servizi sociali con l’approvazione della legge di “Riordino del sistema socio-assistenziale3”, che ha anticipato la normativa nazionale del 2000, delineando un modello organico di programmazione sul territorio. A fronte di una sostanziale carenza di servizi socio-assistenziali, il provvedimento ha gettato i presupposti per una organizzazione sistemica dei servizi locali, che realizzi forme integrate di intervento, finalizzate ad offrire risposte globali, e non parcellizzate, ed a garantire standard di prestazioni omogenee su tutto il territorio regionale. L’obiettivo della legge è la tutela del diritto di cittadinanza sociale delle persone e delle famiglia, da perseguire attraverso interventi mirati a prevenire ed a rimuovere le situazioni di bisogno, di rischio e di emarginazione. Ai Comuni, in forma associata, è attribuito un ruolo centrale nello sviluppo delle politiche sociali. Essi adempiono alla funzione di programmazione e di gestione diretta e/o indiretta dei servizi socio-assistenziali, nel rispetto dell’integrazione con tutti gli altri servizi territoriali. Concorrono alla programmazione ed alla gestione indiretta degli interventi i soggetti del privato sociale, di cui la legge riconosce l’apporto originale ed autonomo per la promozione umana, l’integrazione delle persone ed il sostegno delle famiglie. Le Cooperative Sociali vengono identificate come soggetti privilegiati, che per le specifiche finalità si caratterizzano a gestire i servizi socio-sanitari ed educativi. Le Associazioni di Volontariato sono riconosciute come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo sociale; esse possono stipulare apposite convenzioni con gli Enti locali, per lo svolgimento di attività integrative o di supporto ai servizi pubblici, innovative o sperimentali. In conformità con quanto successivamente decretato a livello nazionale, la legge individua nel Piano Regionale socio-assistenziale lo strumento per la regolazione dei servizi alla persona. E rinvia ad esso per la definizione dei criteri di programmazione degli interventi e dei servizi sociali, degli standard strutturali, gestionali e funzionali delle strutture di accoglienza e dei livelli uniformi di assistenza, al fine di garantire ai cittadini uguali opportunità di accesso al welfare locale e di assicurare il soddisfacimento di una soglia minima di domanda sociale. Il Piano socio-assistenziale 2000-20024 della Regione Basilicata si qualifica come un Piano per le politiche sociali attive. Esso si presenta come lo strumento utile a sviluppare ed innovare il sistema socio-assistenziale regionale: il tramite per lanciare azioni nuove, partecipate, socialmente condivise, che siano capaci di emancipare un sistema per certi versi senza storia, strutturalmente debole e fondato su risorse eccessivamente scarse. Con questo provvedimento, la Pubblica Amministrazione si impegna, più che a risolvere i problemi, ad aiutare a risolverli, secondo una logica che privilegia il sostegno all’azione dei cittadini (costituiti in Associazioni, Cooperative Sociali, Organizzazioni di Volontariato), piuttosto che l’intervento diretto. L’obiettivo è la realizzazione di un nuovo sistema integrato di interventi e servizi che primariamente valorizzi, oltre alle collaborazioni inter-istituzionali, quelle con (e fra) i soggetti sociali. Il Comune è il livello pubblico al quale è attribuita la responsabilità di rilevare ed interpretare i bisogni della comunità locale e di garantirne la piena soddisfazione. Poiché la Basilicata è costituita da un gran numero di Comuni con una popolazione inferiore ai 5000 abitanti, il Piano definisce 15 ambiti territoriali: 13 aree comprensoriali e 2 corrispondenti alle città capoluogo di provincia. La configurazione delle “zone” scaturisce dall’esigenza di promuovere la collaborazione tra le diverse istituzioni coinvolte ed interessate al sistema dei servizi alla persona. Per questo motivo, la zonizzazione è realizzata a livello territoriale ed è attribuita assoluta priorità alla coincidenza degli ambiti ottimali con le rispettive Aziende Sanitarie di appartenenza. Le aree intercomunali rappresentano il luogo unitario della programmazione locale. Ed il Piano di Zona lo strumento operativo per l’esercizio concreto delle funzioni socio-assistenziali loro demandate. Esso contestualizza le finalità e gli obiettivi definiti nel Piano Regionale, con riferimento alle esigenze ed ai bisogni locali. La Regione fornisce ai Comuni indicazioni per la stesura dei Piani di Zona, individuando la procedura metodologica per la loro predisposizione: 1. definire gli strumenti di rilevazione dei soggetti presenti sul territorio e dei dati relativi ai bisogni, alle risorse, ai servizi; 2. analizzare i dati, individuando gli obiettivi e le priorità, con diretto coinvolgimento del Sindaco o della Conferenza dei Sindaci e degli altri soggetti istituzionali e sociali; 3. approntare il Piano di Zona, indicando obiettivi, sotto-obiettivi, risultati attesi, indicatori, azioni da compiere, interventi e servizi da garantire, soggetti responsabili, oneri necessari, tempi di realizzazione, momenti di verifica e valutazione; 4. individuare le modalità gestionali per garantire approcci integrati con il distretto sanitario. Predisporre, per i servizi ad elevata integrazione socio-sanitaria, l’adozione di progetti-obiettivo interistituzionali, quantomeno con riferimento ai problemi degli anziani non autosufficienti, dei minori, dei disabili e della salute mentale. Nella progettazione del Piano zonale, la Regione raccomanda che il Sindaco o la Conferenza dei Sindaci costituiscano un gruppo di piano, formato da politici, tecnici e rappresentanti dei soggetti istituzionali e della solidarietà sociale, che funzioni da cabina di regia e rappresenti lo strumento operativo del programmatore locale. Nel corso del triennio, i Comuni, singoli ed associati, possono inoltre avvalersi della consulenza tecnica dello staff di Piano,

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insediato presso il Dipartimento Sicurezza Sociale della Regione. Composto da esperti e consulenti, esso è in grado di fornire assistenza e supporto tecnico, per l’implementazione delle nuove procedure e per l’elaborazione dei Piani locali. L’accordo di programma è lo strumento attuativo del Piano di Zona, per dar corpo all’azione coordinata ed integrata dei soggetti pubblici e dei soggetti sociali. Al suo interno, sono specificati, oltre agli obiettivi da raggiungere nelle singole aree di intervento, le competenze di ogni soggetto istituzionale, le risorse messe a disposizione, le modalità per la gestione integrata, gli strumenti di monitoraggio, verifica e valutazione partecipata. Le Province, dal canto loro, concorrono alla programmazione regionale, provvedono alla specificazione ed attuazione degli obiettivi del Piano sociale nell’ambito del proprio territorio, partecipano alla realizzazione del Sistema informativo sui servizi sociali e prendono parte, per quanto di propria competenza, alla definizione e realizzazione dei Piani di Zona, anche attraverso la sottoscrizione degli accordi di programma stipulati per la loro attuazione. Partendo dall’individuazione delle variabili-cornice che caratterizzano e modellano il sistema lucano di erogazione dei servizi sociali, la Regione riconosce nella residualità delle prestazioni socio-assistenziali il fattore strutturale che ha condannato le politiche sociali alla dispersione in micro-interventi episodici e riparatori. Solo attraverso il superamento di questa residualità si ravvisa quindi la possibilità di favorire il passaggio da un sistema sociale di tipo assistenzialistico ad una reale politica di promozione e sicurezza sociale, che faccia proprio il metodo della prevenzione, come approccio generale ai problemi, ed individui nella deistituzionalizzazione la condizione per la creazione di reali alternative sul territorio. L’analisi del sistema di offerta conduce alla formulazione di due percorsi strategici. Il primo consiste nel potenziare le risposte nei singoli ambiti territoriali: riportare nelle comunità locali le persone ricoverate in strutture situate fuori dalla zona di provenienza ed attivare contestualmente forme di progettazione individuale per superare la logica del lavoro per prestazioni. Il secondo consiste nel realizzare una dotazione minima di servizi per ogni ambito zonale, volta a ridurre gli squilibri territoriali nell’erogazione degli interventi sociali. In proposito, il Piano definisce i presidi socio-assistenziali di base, che devono essere garantiti in ogni ambito ottimale: - il servizio sociale comunale; - i centri diurni e socio-educativi; - il Centro di aggregazione giovanile; - la ludoteca o punto ludico aperto; - il nido; - il servizio di assistenza domiciliare e di aiuto personale; - assistenza economica; - pronto intervento assistenziale; - interventi per l’inserimento lavorativo; - assistenza domiciliare integrata; - servizi residenziali e di comunità; - servizi per l’affido familiare. Per ciascuna di queste tipologie di intervento, il Piano individua obiettivi specifici e standard gestionali, indicando contenuti, destinatari, modalità organizzative e dotazioni professionali. I fruitori dei servizi socio-assistenziali sono tutti i cittadini residente e/o temporaneamente presente in Basilicata. In particolare, il Piano pone al centro delle azioni e delle politiche sociali la famiglia, riconoscendole il ruolo di soggetto attivo nella promozione del benessere personale, ed individua le aree prioritarie di intervento: anziani; tossicodipendenti; handicap; ex detenuti; immigrati, extracomunitari e nomadi; donne; giovani. Per ciascuna delle aree indicate, il Piano prevede che i Comuni, singoli o associati, e le Aziende Sanitarie Locali costituiscano delle Unità Operative di Zona, al fine di valorizzazione le risorse, progettuali ed operative, presenti sul territorio e sviluppare la comunicazione ed il coordinamento fra i diversi attori locali. Le U.O.Z sono gruppi di lavoro multidisciplinari, che valutano e progettano gli interventi e seguono e coordinano, in termini operativi, le attività previste negli accordi di programma, relativamente alle aree di pertinenza. Esse non costituiscono un nuovo servizio sociale, ma rappresentano un modo innovativo di lavorare. Nelle U.O.Z. gli operatori (dei servizi sociali comunali, del privato sociale, del distretto sanitario, del consultorio familiare, della scuola…) integrano le loro competenze, al fine di capire meglio le situazioni delle persone e di condividere la responsabilità degli interventi. In particolare, il Piano definisce obbligatorie le Unità Operative di Zona operanti in alcune aree specifiche di intervento, quali anziani, handicap, minori, tossicodipendenti e salute mentale. Accanto alla prescrizione di una dotazione minima di servizi sociali per ambito territoriale, il Piano fissa gli indirizzi operativi per l’incentivazione delle iniziative di scambio e di reciprocità tra cittadini singoli e/o associati. La Regione promuove infatti l’attivazione di forme di sostegno per la costituzione di “banche del tempo solidale”; per la partecipazione attiva dei genitori nelle attività delle ludoteche e dei centri ludici; per l’incentivazione dell’associazionismo genitoriale; per l’organizzazione da parte delle scuole di percorsi extradidattici di educazione alla cooperazione sociale ed al volontariato; per l’incentivazione dell’assistenza da parte delle famiglie ai congiunti non autosufficienti o in situazioni di grave difficoltà.


In questa stessa ottica, si colloca l’istituzione, in via sperimentale, del credito solidale, che rappresenta una forma di partecipazione al costo delle prestazioni da parte degli utenti integrativa a quella economica. Il credito solidale è una forma di contribuzione diretta alla fornitura di servizi, finalizzata a promuovere atteggiamenti e comportamenti di cittadinanza attiva e solidale. I fruitori delle prestazioni, che versano in una situazione economica particolarmente difficile, (od anche i familiari ed i volontari sostenitori) possono depositare, presso il credito solidale, ore di tempo dedicate, a titolo non oneroso, ad attività e servizi socio-assistenziali, socio-educativi e socio-culturali di interesse generale svolti nell’ambito comunale, ottenendo in questo modo una riduzione del costo di contribuzione economica. L’istituzione del credito solidale è facoltativa, tuttavia la Regione stimola la sua introduzione, riconoscendo una quota in denaro ai Comuni che lo attivano. Nella generalità dei casi, gli utenti concorrono alla copertura del costo dei servizi in ragione della loro situazione economica. Gli Enti gestori hanno comunque la facoltà di intervenire senza oneri a carico dei cittadini in presenza di specifici progetti, considerati strategici, sperimentali od innovativi per la tutela e la promozione di particolari individui esposti a rischio di emarginazione. Nell’ottica di valorizzare il ruolo di soggetti “nuovi” nell’ambito dell’erogazione dei servizi sociali, la Regione, con la legge 25/97 e con la successiva approvazione del Piano socio-assistenziale, ha operato come volano per la sperimentazione di nuove forme di collaborazione. Essa ha infatti segnalato ai Comuni l’opportunità di instaurare modalità inedite di interazione con i soggetti del terzo settore, al fine di migliorare la qualità dei servizi erogati agli utenti. In particolare, ferma restando la facoltà di gestione diretta da parte degli Enti locali, il Piano dispone che i Comuni possano esternalizzare alle Cooperative Sociali la gestione dei servizi socio-assistenziali, socio-educativi e socio-sanitari ad integrazione socio-assistenziale, nonché stipulare con le Associazioni di Volontariato, iscritte al registro regionale, convenzioni per servizi ed attività complementari ed integrative a quelle gestite dalle Cooperative. In aggiunta, occorre ricordare la legge regionale n.1 del 12 Gennaio 2000, che, recando “Nuove norme per la promozione del volontariato”, disciplina le modalità per la valorizzazione del suo apporto nell’erogazione dei servizi sociali. Per l’inserimento nella rete del welfare locale, i soggetti del terzo settore devono ottenere l’autorizzazione al funzionamento e l’idoneità al convenzionamento. In proposito, il Piano Regionale definisce i criteri per il riconoscimento di tale idoneità, subordinando quest’ultima all’accertamento di alcuni requisiti: - assenza di fini di lucro; - adeguati livelli di prestazione, di qualificazione del personale e di funzionalità organizzativa ed operativa, in conformità alle indicazioni del Piano socio-assistenziale; - rispetto, per i dipendenti, delle norme contrattuali, ad eccezione delle prestazioni svolte da volontari ed obiettori o rese in forza di convenzioni con ordini religiosi. Per quanto concerne, in particolare, gli standard di funzionamento, la Regione allega al Piano una normativa tecnica, che fornisce indicazioni in merito ai requisiti strutturali e gestionali che le costruzioni pubbliche e private sono tenute a possedere. Rientrano negli standard strutturali i caratteri relativi a: la localizzazione, l’accessibilità, gli impianti, gli arredi, le attrezzature esterne, la sicurezza e la costruzione di spazi comuni, privati e di collegamento. Rientrano negli standard gestionali le competenze degli operatori del sociale. In proposito, il Piano fornisce gli indirizzi per la formazione, l’aggiornamento e la riqualificazione delle figure socio-assistenziali, al fine di innovare un sistema delle professioni sociali confuso, frammentato ed a tratti invecchiato. Sul piano più strettamente operativo, è in programma l’avvio di percorsi di aggiornamento professionale, specificatamente indirizzati agli operatori dei Comuni. In attesa che le strutture si adeguino alle prescrizioni dello standard programmatorio, la Regione definisce i requisiti minimali che ciascuna unità di offerta deve possedere nell’immediato, indicando altresì i tempi e le modalità di adeguamento. Attualmente, ferme restando le indicazioni contenute nella legge regionale 25/97 e nel Piano socio-assistenziale, la Regione si appresta a predisporre un nuovo regolamento per la definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi. Una parte della disciplina relativa all’affidamento dei servizi alla persona è dedicata alle Cooperative Sociali. In essa, la Regione individua il percorso per condurre tale soggetto sociale ad essere garante della qualità degli interventi e della certezza dei risultati, sia verso i cittadini che nei confronti della Pubblica Amministrazione. A tal fine, il Piano prevede un adeguamento delle modalità di iscrizione all’Albo regionale e degli strumenti di controllo, introducendo, oltre al criterio dell’autorizzazione al funzionamento, i principi della certificazione e, in via sperimentale, dell’accreditamento. In particolare, gli Enti pubblici, nell’espletamento delle procedure di gara per l’affidamento dei servizi sociali, possono chiedere ai contraenti la certificazione di qualità. In questo caso, le Cooperative Sociali, qualora idonee, vengono iscritte all’Albo regionale con l’annotazione di “Cooperativa certificata” in uno specifico ambito di intervento e l’Albo si viene a configurare come lo strumento di attestazione del livello di qualità e di professionalità degli iscritti. L’obiettivo finale è di superare il problema della genericità, per cui la sola iscrizione all’Albo consenta a chiunque di accedere alla rete locale dei servizi sociali. A questo punto, sulla base di quanto finora evidenziato è possibile tracciare un bilancio dello stato di attuazione della legge 328/2000 relativamente alla Regione Basilicata. In proposito, occorre riconoscere che la produzione normativa regionale in campo socio-assistenziale ha tenuto il passo con la produzione normativa nazionale. A fronte di una sostanziale carenza di servizi socio-assistenziali, con l’emanazione della legge 25/97 e con l’elaborazione di un Piano

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sociale ben articolato, la Regione ha recuperato, almeno sul versante legislativo, il ritardo accumulato nei confronti del resto del Paese. Tuttavia, al livello operativo, altrettanto bisogna ancora fare. Il Piano, predisposto in una fase in fieri della produzione normativa nazionale, ha un carattere processuale aperto, da cui dipende la scelta di determinare, per alcune aree di contenuti, soltanto gli indirizzi e gli orientamenti di fondo e non la definizione puntuale di tutti gli aspetti organizzativi, gestionali e strutturali. La Regione ha la responsabilità di dover compiere ancora molti passi: la determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati; l’esercizio dei poteri sostitutivi; la disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti; l’istituzione (eventuale) di uffici di tutela dei cittadini; l’adeguamento della disciplina regionale ai principi del decreto legislativo di riordino delle IPAB; il regolamento dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per l’acquisto dei servizi sociali; la disciplina delle modalità per il rilascio delle autorizzazioni all’erogazione di servizi sperimentali ed innovativi. È da attuare l’istituzione dei registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali. È in via di definizione la disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione ai servizi e alle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale. Ed è in corso di progettazione l’istituzione del Sistema informativo dei servizi sociali. Ma soprattutto il problema che la Regione si trova ad affrontare è quello relativo all’impatto reale che la produzione normativa può esercitare sul territorio e sulle amministrazioni locali. Un impatto che finora si è dimostrato debole a causa del gap esistente tra tentativo di innovazione e capacità di ricezione innovativa da parte delle amministrazioni periferiche, in una condizione di insufficienza sia sul piano strutturale e organizzativo, che sul piano della cultura e della prassi delle politiche sociali.

Stato di attuazione della legge 328/2000 nella Regione Basilicata

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

Effettuata con D.G.R. 2726 del 21 Dicembre 2001.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

Inserito nel Piano Socio Assistenziale Regionale 2000/2002 e regolamentato dalla L.R. 25/97 e L.R. 39/93.

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

L.R. 1/2000 “Nuove norme per la promozione del volontariato”.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

L.R. 25/97 e Piano socio-assistenziale 2000/02.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Le consultazioni sono state effettuate durante la fase di predisposizione del P.S.A. e dei Piani sociali di Zona.

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Effettuata nell’ambito del Piano socioassistenziale 2000/02.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

Precedenti disposizioni nella L.R. 25/97 e nel P.S.A. In fase di definizione il nuovo regolamento.


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

Da attuare.

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

Contenuti nel P.S.A.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

Non è avviata alcuna discussione.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

Stabiliti nei P.S.A. e nei Piani di Zona.

8, comma 3 lett. m)

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

In avvio percorsi di aggiornamento professionale per operatori sociali dei Comuni.

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

Da definire.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

Da definire.

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

Da definire.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

Contributo regionale a copertura del 50% del costo degli uffici di servizio sociale.

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

Da definire.

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

In via di definizione.

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

Da definire.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

In programma.

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

In corso.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

Da definire.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

Piano Socio Assistenziale Regionale 2000/2002.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

Legge finanziaria regionale.

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

In corso di progettazione.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

Già definiti.


Provincia autonoma di Bolzano La stesura del Piano sociale 2000-20025 della Provincia autonoma di Bolzano ha coinciso con una fase complessa di trasformazione. Il riordino dei servizi sociali dell’Alto Adige, avviato nel 1991, ha provocato forti cambiamenti nella struttura degli Enti gestori dei servizi sociali pubblici. La creazione di una vasta rete decentrata e territorialmente estesa per la copertura delle principali necessità a carattere sociale, tramite la fondazione dei distretti socio-sanitari, ha reso necessario lo sviluppo di nuove forme di organizzazione per il sociale. Si è quindi assistito ad una serie di cambiamenti di vasta portata, che hanno coinvolto tutti gli operatori del settore, sia professionisti che volontari, e si è avvertito il bisogno di una riorganizzazione della cooperazione tra i vari livelli del sociale ed i diversi Enti locali. Prima di entrare nel vivo della trattazione del Piano sociale, è importante ribadire la peculiarità della storia della Provincia autonoma di Bolzano rispetto alla situazione vigente nelle altre Regioni italiane. Con l’entrata in vigore dello Statuto di Autonomia6, la Provincia altoatesina ha acquistato ampi poteri legislativi in materia di assistenza e beneficenza pubblica. Diversamente da quanto avvenuto nelle altre Regioni italiane, in cui i poteri amministrativi relativi all’assistenza e beneficenza rientrano nella competenza propria dei Comuni, in Alto Adige tali poteri sono stati assegnati, fin dal 1977, alla Provincia7. L’ampia competenza in materia di gestione dei servizi sociali a livello territoriale ha trovato una piena formalizzazione nel 1991, con la legge provinciale per il riordino dei servizi sociali8. Con tale provvedimento, la Provincia ha operato per delegare ai Comuni i poteri amministrativi in questo settore. Pertanto, sebbene essa sia tuttora competente in materia di servizi sociali, i poteri amministrativi sono stati di fatto trasferiti ai Comuni. Stando al disposto della legge9, alla Provincia spetta la pianificazione, l’orientamento, il coordinamento ed il controllo dei servizi sociali, la formazione, l’aggiornamento professionale e la riqualificazione del personale, nonché il finanziamento dei compiti delegati ai Comuni e alle comunità comprensoriali. Inoltre, la Provincia è competente in fatto di costruzione, ampliamento e ristrutturazione dei beni immobili. E, tra i suoi compiti, rientra anche la gestione e lo sviluppo del Sistema informativo provinciale per l’assistenza sociale (SIPSA). Il Piano sociale Provinciale rappresenta il principale strumento di pianificazione dei servizi sociali in Alto Adige. Esso riguarda il settore dell’assistenza e della beneficenza, sia pubbliche che private (previdenza, assistenza sociale, servizi sociali). Tale provvedimento permette di collocare i servizi sociali nell’ambito delle misure e delle responsabilità dello Stato, nei settori dell’assistenza sociale, dell’assicurazione sociale, del settore sanitario e fiscale, nonché nell’ambito delle misure e delle responsabilità della Regione, nel settore della previdenza sociale integrativa. Quest’ultima rappresenta una tra le principali competenze della Regione, che esplica il proprio potere legislativo nell’integrazione delle misure previdenziali dello Stato nel campo della maternità, della disoccupazione, dell’invalidità e della vecchiaia. Ora, sebbene l’amministrazione delle misure relative alla previdenza sociale integrativa sia stata trasferita alle Province autonome, la competenza regionale in materia legislativa e finanziaria comporta che le misure previdenziali integrative non rientrino nel livello decisionale del Piano sociale Provinciale, pur rappresentandone un orizzonte importante. La subordinazione dell’assistenza sociale (della Provincia) alla previdenza integrativa (della Regione) determina infatti la necessità di una buona armonizzazione delle misure previdenziali con le misure assistenziali, considerando anche che i gestori dell’assistenza (Provincia, Comuni e comunità comprensoriali) sono di fatto costretti a vincolare le prestazioni sociali alle decisioni previdenziali della Regione. Il Piano sociale Provinciale si propone i seguenti compiti: - stabilire le linee guida generali e gli obiettivi; - fungere da modello per l’assistenza sociale in Alto Adige; - fornire gli orientamenti per un’organizzazione efficiente dei servizi; - coordinare i programmi e le misure dei servizi sociali e di quelli sanitari; - stabilire il fabbisogno di personale; - definire le linee guida per la formazione e l’aggiornamento del personale, nonché per la sua riqualificazione professionale; - definire le priorità contenutistiche in fatto di utilizzo dei mezzi finanziari disponibili. Dopo aver definito le linee guida per l’assistenza sociale e gli obiettivi per il triennio 2000-2002, il Piano propone le misure concrete da adottare nel periodo considerato. Gli obiettivi e gli interventi possono essere suddivisi in 3 gruppi principali. Primo gruppo: misure e raccomandazioni per lo sviluppo organizzativo e la formazione del personale, per la cooperazione con il settore sanitario, gli enti gestori indipendenti ed altre istituzioni sociali. Queste misure rivestono un’importanza fondamentale anche per gli altri settori. Le finalità operative e le misure relative alla realizzazione dello sviluppo organizzativo concernono la creazione di nuove condizioni di riferimento, di natura appunto organizzativa, per la gestione dei servizi sociali da parte degli Enti decentrati (Comuni, comunità comprensoriali ed aziende per i servizi sociali) e a livello distrettuale. In questa parte, vengono descritte le misure riguardanti la Ripartizione provinciale del Servizio sociale e degli organi e strumenti ad essa subordinati (Sistema informativo provinciale e Consulta provinciale). Per quanto riguarda lo sviluppo sistematico del personale, esso viene considerato a tutti i livelli uno strumento stra-

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tegico centrale per il raggiungimento delle finalità formulate nel Piano sociale Provinciale. Un personale ben qualificato e motivato costituisce infatti la risorsa più importante per il conseguimento degli scopi prefissati. Le misure trattate in quest’ambito includono da un lato la formazione e l’aggiornamento professionale e dall’altro le azioni per il reperimento del personale. Secondo gruppo: le misure trasversali ai diversi gruppi. Questa categoria comprende tutte quelle misure e quegli obiettivi che interessano la totalità dell’assistenza sociale (qualità, prevenzione, partecipazione dei cittadini, gestione privata, volontariato, “auto-aiuto”, integrazione socio-sanitaria, ecc.), o più gruppi sociali contemporaneamente. L’introduzione di questa categoria nel Piano sociale persegue l’obiettivo di promuovere un approccio teorico ed operativo al lavoro sociale che vada al di là dei singoli gruppi di riferimento e che incentivi l’interdisciplinarietà delle iniziative. Terzo gruppo: misure specifiche per gruppi di riferimento. Le azioni relative a quest’ultima categoria sono dirette ad undici diversi gruppi di riferimento, formati secondo criteri prammatici: anziani; persone in situazione di handicap; bambini e giovani; famiglie; malati psichici; delinquenti adulti; drogati e tossicodipendenti; extracomunitari; profughi; Sinti e Rom; senzatetto. Tali gruppi rappresentano, sotto il profilo quantitativo o qualitativo, importanti settori d’intervento, cui si è ispirata la ripartizione delle competenze nell’amministrazione sociale. Per la definizione delle singole misure si è proceduto nel seguente modo: - riformulazione dei principi generali e delle linee guida per l’assistenza sociale, in rapporto ai singoli gruppi ed in funzione di specifici obiettivi operativi; - descrizione dei gruppi di riferimento; - definizione delle singole misure in funzione della priorità, della situazione di partenza, delle risorse necessarie, dei tempi e delle competenze. In futuro, viene auspicato il superamento di quest’approccio per gruppi, in favore dell’individuazione di similitudini e punti di contatto tra le problematiche di diverse categorie di persone, che permettano lo sviluppo di strategie trasversali. Ciò consentirebbe di migliorare la consapevolezza dell’insorgere dei problemi sociali in un’ottica unitaria ed orientata all’ambiente, nonché di sfruttare gli effetti sinergici legati allo sviluppo di strategie di intervento ed alla strutturazione dell’offerta. Nella pratica, si riscontra un cumulo di diversi problemi nella medesima persona (i senzatetto spesso presentano anche problematiche di tossicodipendenza o patologie psichiche) o emergono disagi (come la richiesta di un posto di lavoro o di un alloggio dignitoso) che si presentano negli stessi termini per diversi gruppi di persone e che possono essere affrontati con strategie simili. Un approccio trasversale potrebbe quindi portare, a lungo termine, ad una semplificazione e ad una maggiore integrazione delle leggi sociali settoriali. Analizzando complessivamente il lavoro svolto dalla Provincia autonoma di Bolzano, possiamo affermare, in conclusione, che il processo di attuazione della legge 328/00 deve ancora essere completato. Alcuni provvedimenti sono in corso di elaborazione: - c’è un progetto per fissare i criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi; - sono state definite solo in parte le norme ed i parametri di riferimento per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni; - risultano incomplete: la definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali, la disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale ed i livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali. Altri provvedimenti sono, invece, ancora del tutto assenti: l’emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona; l’istituzione di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali; la determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati; la trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi; la disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

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Stato di attuazione della legge 328/2000 nella Provincia autonoma di Bolzano ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

Si è provveduto. Disposizioni statutarie sull’autonomia finanziaria della Provincia autonoma di Bolzano.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

Non si è provveduto.

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

Si è provveduto. Legge provinciale 13/1991 “Riordino dei servizi sociali in Provincia di Bolzano”.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

Si è provveduto. Nel caso di Bolzano e Trento riferimento diretto alle Province.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Si è provveduto. L.P. 13/91.

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Si è provveduto. L.P. 13/91.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

È in corso un progetto per fissare tali criteri.

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

Non si è provveduto.

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

Definiti solo in parte norme e parametri di riferimento per i diversi servizi.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

Definiti in parte.

37


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

Si è provveduto. Decreto del Presidente della Giunta Provinciale n. 30 del 2000 e successive modifiche.

8, comma 3 lett. m)

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

Si è provveduto. L.P. 13/91. Programma annuale deliberato dalla Giunta Provinciale.

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

Non si è provveduto.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

Si è provveduto alla disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. L.P. 13/91. Istituzione Sezioni Ricorsi della Consulta provinciale per l’assistenza sociale. Non si è provveduto all’istituzione degli uffici di tutela degli utenti.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

Si è provveduto. L.P. 13/91.

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

Definita in parte.

10, comma 3

38

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

Si è provveduto.


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

Non si è provveduto.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

Non si è provveduto.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

Piano Sociale Provinciale 2000-2002, approvato il 13 dicembre 1999.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

Si è provveduto.

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

Si è provveduto. L.P. 13/91.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

Definiti in parte.

39


Calabria 10 La Regione Calabria ha deliberato il recepimento della legge quadro 328/2000 con il D.G.R. n. 212 del 19 Marzo 2002, “Realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali nella Regione Calabria”. Nelle parole del Presidente della Giunta Regionale, la Calabria si propone di ricalcare unica nel Meridione la strada già intrapresa dall’Emilia Romagna di adozione del dettato nazionale attraverso un disegno di legge regionale. Ciò naturalmente non può che costituire un passo avanti, seppur tardivo, nella storia sociale di questa Regione, fino ad oggi annoverata tra quelle più indietro nel comparto dei servizi sociali. In questa sede non si è tuttavia potuto procedere all’analisi di tale provvedimento, poiché, al momento, non ci è stato possibile reperire (pur avendone fatta richiesta) il documento attuativo del sistema integrato, approvato dalla Giunta e trasmesso al Consiglio Regionale secondo quanto riferito dal Dipartimento per i servizi sociali. Attualmente, tale Dipartimento si trova in una fase di transizione, in attesa della definitiva applicazione delle legge regionale di recepimento della normativa nazionale. In questa fase, è stato avviato un tavolo di concertazione regionale, che coinvolge varie tipologie di soggetti e ha l’obiettivo di definire alcuni aspetti inerenti l’attuazione della legge quadro sul territorio regionale.

Campania

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La Campania è stata la prima Regione ad aver emanato, dopo l’approvazione della legge nazionale di riforma dell’assistenza, le Linee programmatiche per la costruzione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali11. In attesa della completa stesura del Piano Regionale, le linee di indirizzo rappresentano lo strumento per avviare riflessioni ed azioni, capaci di innovare e, al contempo, di valorizzare le buone prassi consolidate nella tradizione regionale. Esse forniscono indicazioni per la realizzazione di interventi partecipati, socialmente condivisi, verificabili, qualitativamente significativi ed efficaci. L’intento primario delle linee guida è di offrire un indirizzo per la stesura dei Piani di Zona, allo scopo di favorire l’attuazione di un sistema omogeneo di interventi e servizi sociali, capace di garantire livelli essenziali di assistenza e di favorire la sperimentazione, la comparazione e la valutazione, nel riconoscimento dell’autonomia e della capacità progettuale delle comunità locali. Nel provvedimento, vengono definiti come obiettivi regionali: - la costruzione di un sistema territoriale, articolato per ambiti, che realizzi un’organizzazione di servizi ed interventi interdisciplinare ed intersettoriale, capace di utilizzare una modalità progettuale nelle diverse fasi del lavoro sociale; - la riduzione degli squilibri nell’offerta sociale regionale, attraverso la realizzazione, in ciascun ambito territoriale, di una rete di servizi essenziali. In attuazione a quanto previsto dalla legge 328/2000, la Regione, sulla base della concertazione avvenuta tra gli Enti istituzionali ed i soggetti del privato sociale, individua 51 ambiti territoriali, determinati sul modello della distrettualizzazione sanitaria. La coincidenza delle aree zonali con i distretti sanitari non deve essere considerata come un automatico adeguamento alla normativa nazionale o come uno schema innovativo per trattare unitariamente le problematiche della salute e della protezione sociale. Al contrario, essa viene definita come un’esigenza imprescindibile del contesto locale, nel quale l’approccio multidisciplinare e l’azione integrata si rivelano una risorsa aggiuntiva cruciale. Ai Comuni, singoli o associati, è affidato il compito di definire il Piano di Zona (di norma adottato attraverso l’accordo di programma), d’intesa con le Asl e con il concorso della Provincia di riferimento, dei soggetti operanti nell’ambito della solidarietà sociale, delle organizzazioni sindacali e di tutela degli utenti, degli altri soggetti pubblici titolari di funzioni e competenze rilevanti in campo sociale. Per la stesura dei Piani territoriali, la Regione dispone l’attivazione di un Coordinamento istituzionale, composto dai Sindaci dei Comuni, dal Presidente della Provincia (e della Comunità Montana, ove esistente) e dal Direttore Generale della Asl di riferimento. Questo organo ha la possibilità di promuovere la costituzione di un gruppo di piano, quale strumento operativo della programmazione zonale, in grado di favorire modalità più snelle di analisi della realtà locale e di coinvolgimento della collettività nella programmazione degli interventi e dei servizi sociali. L’analisi dei problemi e dei bisogni del territorio rappresenta la fase propedeutica alla stesura dei Piani di Zona. Essa fornisce la base conoscitiva indispensabile alla programmazione locale. E deve essere condotta non solo attraverso gli strumenti classici della ricerca (statistiche, dati, questionari, relazioni periodiche di strutture ed enti), ma anche attraverso il ricorso ad una lettura “diretta” del territorio, che preveda il coinvolgimento degli attori e dei destinatari degli interventi (ricerca azione, interviste di gruppo, attività di animazione territoriale, focus-group, forum pubblici…). Anche alle Province è riconosciuto un ruolo importante nella comprensione della realtà locale e nella rilevazione sociale. Ad esse è affidato il compito di condurre analisi quantitative e qualitative su scala provinciale, di realizzare ricerche ed analisi incen-


trate su particolari categorie di bisogni o problemi e di favorire occasioni formative fra gli ambiti del proprio territorio. In riferimento alle aree d’intervento previste dalla legge 328/00 (responsabilità famigliari; diritti dei minori; persone anziane; contrasto della povertà; disabili; droghe; immigrati) ed alle caratteristiche del territorio, la Regione individua una serie di servizi ed interventi a cui i Piani di Zona devono riferirsi, pur nel rispetto della specificità di problematiche, bisogni e risorse locali. Naturalmente, gli interventi indicati possono essere integrati e modificati, in funzione dei risultati dell’analisi del fabbisogno sociale e dello stato dei servizi. Tra le varie tipologie di intervento, la Regione si propone di sostenere gli ambiti territoriali nella programmazione e valutazione del segretariato sociale: un servizio, previsto dal Piano Nazionale, ritenuto cruciale e fortemente sperimentale. Esso costituisce una “porta unitaria di accesso” al welfare locale, indispensabile affinché le persone non esauriscano le proprie energie nella ricerca di adeguate risposte ai propri bisogni. Poiché l’efficacia di questa funzione viene a dipendere dal coinvolgimento di tutti gli attori della rete sociale, la Regione suggerisce di progettare ed attuare questo servizio in modo collaborativo con le Asl e con le organizzazioni solidali presenti a livello locale. Negli ambiti zonali caratterizzati da un’ampia superficie e/o dall’assenza di servizi sociali di base, per garantire e potenziare le funzioni di accoglienza alla cittadinanza, possono essere attivate sedi decentrate dello sportello sociale, definite antenne, con compiti di orientamento ed ascolto sul territorio. Un punto cardine delle linee guida regionali riguarda la valutazione della qualità dei servizi da erogare: aspetto funzionale alla realizzazione di un sistema efficiente ed efficace, in grado di rispondere, nel modo migliore, ai bisogni ed alle esigenze del cittadino. In proposito, la Regione assume l’impegno programmatico di individuare standard e criteri di qualità (per i servizi, le figure professionali, gli interventi, le strutture), che costituiscano punti di riferimento unitari per la programmazione locale. In attesa della messa a punto di un sistema regionale di monitoraggio e verifica qualitativa dei servizi e degli interventi, i Piani di Zona devono prevedere tempi, modalità e criteri di valutazione. Condizione questa essenziale per il controllo dei risultati conseguiti e per la successiva riprogrammazione. Come più volte finora emerso, le linee guida disegnano un percorso che si propone, tra i suoi obiettivi primari, di favorire l’integrazione tra il comparto sociale e quello sanitario, attraverso una strategia articolata su tre livelli: istituzionale, gestionale e professionale. A livello istituzionale, l’integrazione socio-sanitaria viene perseguita attraverso intese (accordi di programma) finalizzate ad effettuare interventi coordinati nell’erogazioni dei servizi. A livello gestionale, il coordinamento ha luogo con l’individuazione del distretto, quale ambito unitario per la gestione delle attività sociali a rilevanza sanitaria e delle attività socio-assistenziali. A livello professionale, l’integrazione si realizza attraverso la costituzione di équipe di territorio, che promuovano il coinvolgimento di professionalità ed operatori appartenenti ad Enti diversi nella progettazione di percorsi assistenziali e nella costituzione di unità valutative integrate, favorendo un approccio ai problemi di tipo multidisciplinare. Ovviamente, l’elaborazione delle linee di programmazione sociale non esaurisce la funzione di indirizzo degli interventi locali assegnata alle Regioni dalla legge 328/2000. In proposito, per assicurare ai Comuni gli strumenti ed il supporto necessario per l’esercizio delle funzioni loro demandate e per favorire il coordinamento fra i diversi soggetti del sistema integrato di interventi e servizi sociali, la Regione individua le fasi successive del proprio lavoro. Essa si impegna, avvalendosi anche della Commissione regionale per l’applicazione della legge 328/200012, a: - definire i requisiti minimi dei servizi; - predisporre gli strumenti per la valutazione della qualità, attraverso la definizione di un sistema di indicatori; - attivare, con la collaborazione delle Province e degli Enti locali, gruppi misti (istituzionali e del terzo settore) di lavoro su qualità, valutazione ed accreditamento nei servizi sociali; - promuovere e coordinare le azioni di assistenza tecnica per la costituzione e la gestione degli interventi sociali da parte degli Enti locali; - elaborare modelli di intervento per supportare, negli ambiti territoriali, la progettazione e gestione di servizi innovativi; - promuovere e sostenere il terzo settore; - definire il rapporto tra Enti locali e terzo settore, fornendo gli indirizzi per regolare i sistemi di affidamento dei servizi alla persona; - istituire albi regionali di soggetti autorizzati all’esercizio dei servizi socio-assistenziali; definire, sulla base dei requisiti minimi previsti dallo Stato, criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi; - promuovere, d’intesa con l’Assessorato alla Sanità, la costituzione della commissione sull’integrazione socio-sanitaria; - sistematizzare i flussi informativi provenienti sul territorio, attraverso la costituzione di un Osservatorio delle politiche sociali regionale. Le linee di programmazione regionale rappresentano quindi solo un aspetto, un primo passo del più complesso lavoro di riorganizzazione dei servizi sociali avviato nella Regione Campania. In particolare, dall’emanazione di questo atto di indirizzo ad oggi, essa ha provveduto, oltre a quanto stabilito dal provvedimento regionale preso in esame: alla ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato ed all’impegno contabile delle quote e risorse ricevute; all’emanazione degli “Indirizzi ai Comuni per la selezione di soggetti del terzo settore ai fini della gestione della rete integrata di interventi e servizi sociali ai sensi della legge 328/2000”13; all’istituzione della Consulta dei Sindaci dei Comuni capofila14; alla stipula di una convenzione con il Formez per i piani di formazione.

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Stato di attuazione della legge 328/2000 in Campania

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

Effettuata con D.G.R. n. 7224/01 (impegno) e D.G.R. n. 1874/02 (approvazione Piani di Zona).

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

Effettuata con D.G.R. n. 1079 del 15 Marzo 2002 “Indirizzi ai Comuni per la selezione di soggetti del terzo settore ai fini della gestione della rete integrata di interventi e servizi sociali ai sensi della legge 328/2000”.

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

Effettuata con D.G.R. n. 1079 del 15 Marzo 2002.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

Effettuata con D.G.R. n. 1826/01 “Linee programmatiche per la costruzione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali”.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Effettuata. Istituzione della Consulta dei Sindaci dei Comuni capofila con D.G.R. n. 1081/02.

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Effettuata con D.G.R. n. 1824/01.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

In itinere.

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

In itinere.

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. m)

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

Convenzione Formez/Regione.

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

“Linee programmatiche per la costruzione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali”, adottate con D.G.R. n. 1826/01.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

Effettuato con D.G.R. n. 7224/01.

In itinere.

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44

ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

Effettuata con D.G.R. n. 7289/01.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

In itinere.


Emilia Romagna La Regione Emilia Romagna si propone di dare attuazione alle norme volte alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali mediante una legge regionale di riforma organica delle politiche sociali. Il progetto di legge, dal titolo “Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, è stato approvato dalla Giunta Regionale il 26 Novembre del 2001 ed è attualmente all’esame della competente Commissione Consiliare. Il provvedimento mira ad adeguare la disciplina regionale alle nuove e complesse esigenze della società emiliano-romagnola, in materia di politiche sociali, e si inserisce nel quadro istituzionale aperto dalla recente riforma del Titolo V della Costituzione. La promozione della cittadinanza sociale, la solidarietà, la valorizzazione delle iniziative e delle scelte dei cittadini, la sussidiarietà rappresentano i tratti distintivi della riforma regionale. L’individuazione di nuovi bisogni e la predisposizione di strumenti di risposta innovativi, assieme alla costruzione di un sistema che si fonda su diritti di accesso universalistici e su livelli essenziali di assistenza concordati e definiti, ne rappresentano il “corpo”. Il testo del progetto di legge delinea con precisione il ruolo dei diversi soggetti coinvolti: - i Comuni, il fulcro del nuovo sistema, con il compito di progettare e realizzare il sistema locale dei servizi sociali a rete; - le Province, cui è affidato un ruolo di coordinamento e supporto tecnico per la definizione dei Piani di Zona; - la Regione, che ha l’obiettivo di programmare, coordinare ed indirizzare le politiche sociali, favorendone l’integrazione con tutti i settori che incidono sulla qualità della vita delle persone; - le Aziende sanitarie e le costituende Aziende pubbliche di servizi alla persona (che nasceranno a seguito del processo di trasformazione e riordino delle attuali IPAB), necessarie per attuare efficaci politiche di integrazione socio-sanitaria, da un lato, e costituire qualificati gestori di servizi e prestazioni dall’altro; - il terzo settore, come espressione della capacità di auto-organizzazione della società civile, le organizzazioni di rappresentanza sociale e di tutela degli utenti. L’intento del provvedimento è la creazione di una rete integrata di interventi e servizi sociali, da realizzarsi attraverso la costruzione di un nuovo sistema di regole, che, nel quadro di rapporti nuovi tra pubblico e privato, permetta di raggiungere un obiettivo di coesione sociale e di sostegno per chi è rimasto indietro. Il sistema locale si compone infatti di un insieme di servizi ed interventi progettati e realizzati in maniera integrata e coordinata, nei diversi settori che riguardano la vita sociale, dai soggetti pubblici e privati che operano sul territorio. Centrale, in questa direzione, è la scelta dei Piani di Zona, come mezzo di programmazione a livello distrettuale. I Piani zonali rappresentano uno strumento nuovo, che ha il compito, anche simbolico, di produrre qualche sana e benefica rottura, rispetto a prassi e modalità consolidate del governo delle politiche sociali a livello territoriale. Si tratta di veri e propri accordi di programma, coordinati dalle Province, attraverso i quali i Comuni, con il concorso di tutti i soggetti attivi nella progettazione, si propongo di disegnare il sistema integrato di interventi e servizi sociali. I vantaggi della scelta operata sono evidenti: - organizzare in modo più efficace le risorse esistenti sul territorio; - evitare sovrapposizioni; - realizzare proficue sinergie. In questo quadro, il ruolo che il progetto di legge assegna all’Ente Regione non è quello di fornire direttamente i servizi ai cittadini, ma di regolare l’azione degli altri soggetti che agiscono a livello locale. Tale regolazione si configura come un insieme di interventi volti ad assicurare: - la programmazione di medio-lungo periodo e gli indirizzi all’azione degli attori coinvolti, per ciò che riguarda la struttura dei servizi; - a facilitazione dell’azione dei soggetti sociali, tramite la creazione ed il mantenimento di condizioni attraverso cui Enti locali ed organizzazioni private possono più efficacemente far fronte alla domanda assistenziale; - il controllo e la supervisione del loro operato. Complessivamente, alla Regione e gli Enti locali è assegnato il compito di garantire la realizzazione del sistema integrato dei servizi sociali, finalizzato a promuovere e realizzare un insieme di diritti, garanzie ed opportunità, volte allo sviluppo e al benessere dei singoli e delle comunità, al sostegno dei progetti di vita delle persone e delle famiglie. Tale obiettivo deve essere perseguito nell’osservanza delle seguenti finalità e principi: - rispetto della dignità della persona, con particolare riferimento all’infanzia, all’adolescenza, ai soggetti a rischio o in condizione di esclusione sociale; - riconoscimento della centralità delle comunità locali, intese come sistema di relazioni tra le istituzioni, le persone, le famiglie, le organizzazioni sociali, ognuno per le proprie competenze e responsabilità, per promuovere il miglioramento della qualità della vita e delle relazioni tra le persone; - promozione della partecipazione attiva dei cittadini, delle organizzazioni di rappresentanza sociale, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti, assumendo il confronto e la concertazione come metodo di relazione con le organizzazioni sindacali; - valorizzazione e sostegno di chi assume compiti di cura e delle famiglie, quali ambiti primari di vita e di sviluppo

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della persona, perseguendo la condivisione delle responsabilità tra donne e uomini; - promozione dell’autonomia e della vita indipendente, con particolare riferimento al sostegno delle scelte di permanenza al proprio domicilio delle persone in condizione di non autosufficienza o con limitata autonomia; - sviluppo e qualificazione dei servizi sociali, anche attraverso la valorizzazione delle professioni sociali; - concertazione e cooperazione tra i diversi soggetti istituzionali; - integrazione delle politiche sociali con le altre politiche, in particolare con quelle sanitarie, educative, formative, del lavoro, culturali, urbanistiche ed abitative. Tra i soggetti privati che concorrono alla realizzazione del sistema integrato, una particolare attenzione è dedicata al terzo settore, al quale viene riconosciuto un ruolo specifico nella progettazione, realizzazione ed erogazione degli interventi a livello locale. In osservanza al dettato della legge 328/2000, il progetto di legge affida alla Regione il compito di approvare, sulla base del Piano sociale Nazionale, il Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali, integrato con il Piano sanitario regionale ed in raccordo con gli atti di programmazione in materia educativa e formativa, del lavoro, culturale ed abitativa. Tra gli obiettivi del Piano sociale, vi è la definizione, sulla scorta dei livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni individuati dallo Stato, delle caratteristiche e del fabbisogno da garantire dei servizi e degli interventi che costituiscono i livelli essenziali delle prestazioni sociali, nel rispetto degli equilibri di bilancio, tenuto conto delle risorse destinate al finanziamento del sistema integrato e della compartecipazione degli utenti al costo delle prestazioni. Per la definizione di tali livelli, il progetto di legge dispone, in considerazione della centralità attribuita al livello locale, che venga sancita un’apposita intesa triennale in sede di Conferenza Regione-Autonomie Locali. Particolare attenzione viene rivolta al tema dell’accesso al sistema dei servizi sociali a rete. Il provvedimento individua nello Sportello unico la porta di ingresso al sistema locale dei servizi socio-assistenziali, socio-educativi e socio-sanitari, assegnandogli una funzione di orientamento del cittadino, ed attribuisce alla Giunta Regionale il compito di definire gli indirizzi per l’attivazione degli sportelli unici, per la definizione degli strumenti tecnici di valutazione e controllo dei programmi assistenziali e delle modalità di individuazione del responsabile del caso. Tra le disposizioni per la realizzazione di particolari interventi, il disegno di legge disciplina l’erogazione degli Assegni di cura, finalizzati al sostegno dell’accoglienza e del lavoro di cura nei confronti di anziani, disabili, altre persone in condizione di non autosufficienza e minori in affidamento familiare. Il provvedimento, con l’obiettivo di promuovere la solidarietà sociale e la mutualità, estende la platea dei possibili destinatari, includendo tra i beneficiari non solo le famiglie conviventi, ma anche i congiunti non conviventi od altre persone non legate da vincoli di parentela, purché in presenza di relazioni significative con l’assistito ed in condizioni di garantire un effettivo ed adeguato aiuto. Un’ulteriore novità, in materia, riguarda l’Assegno di cura maggiorato, volto a sostenere i lavoratori dipendenti che richiedono congedi per gravi e documentati motivi familiari. Accanto alla predisposizione dei Piani sociali, Regionale e di Zona, il provvedimento individua ulteriore strumenti per la programmazione concertata degli interventi, quali, in particolare, il Sistema informativo dei servizi sociali e la Carta dei servizi sociali. Il Titolo V del progetto di legge affronta il tema degli strumenti per la regolazione e la qualità del sistema integrato degli interventi a rete. Il primo aspetto trattato è quello della formazione degli operatori sociali, considerata il presupposto necessario di un qualsiasi sistema volto a garantire l’efficacia delle prestazioni. A cui fa seguito la disciplina per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza dei servizi e delle strutture. L’introduzione del sistema di accreditamento contempla la possibilità che gli Enti locali decidano di garantire le prestazioni ed i servizi sociali, compresi nei livelli essenziali, mediante la concessione di titoli per l’acquisto degli interventi. Il titolo è lo strumento che permette al cittadino di scegliere, tra quelli accreditati, il fornitore a cui rivolgersi per ottenere le prestazioni ed i servizi. Nell’ambito dei sistemi di acquisto da parte degli Enti locali, il provvedimento privilegia, per la scelta del fornitore, le procedure di affidamento ristrette e negoziate, nella convinzione che esse permettano di valorizzare l’apporto dei soggetti del terzo settore e la loro capacità progettuale. Nella stesse direzione si muove lo strumento delle istruttorie pubbliche per la progettazione comune degli interventi, che raccolgono le osservazioni e le proposte dei soggetti partecipanti e si concludono con l’individuazione di progetti innovativi e sperimentali. L’apporto del volontariato viene distinto, all’interno del provvedimento, da quello degli altri soggetti del terzo settore caratterizzati come impresa sociale e si realizza mediante la stipula di convenzioni, anche di carattere promozionale, compatibili con la natura e le finalità del volontariato stesso. L’ultima parte del progetto di legge è dedicata al sistema di finanziamento. E prevede l’istituzione del Fondo Regionale per le politiche sociali. In questa sezione, particolarmente rilevante è la previsione del riparto delle risorse tra i Comuni, singoli e associati, quale concorso regionale all’attuazione dei Piani di Zona, con un contributo maggiorato a favore delle forme associative. Ciò consente di superare l’impostazione vigente, che prevede il trasferimento delle risorse come concorso alle spese di mantenimento dei servizi, a favore dell’erogazione di finanziamenti per sostenere la realizzazione degli obiettivi dei Piani di Zona, adottati in coerenza con le indicazioni della pianificazione nazionale e regionale.


La discussione sull’applicazione della legge 328/00, in Emilia Romagna, ha visto l’Amministrazione regionale impegnata in una lunga fase di confronto con le Amministrazioni locali e le parti sociali interessate, che ha portato all’elaborazione del progetto di legge regionale finora trattato. Senza attendere la conclusione dell’iter legislativo, la Regione ha comunque approvato, la scorsa estate, il “Programma degli interventi ed individuazione dei criteri di ripartizione del Fondo Regionale socio-assistenziale e del Fondo Nazionale per le politiche sociali per l’anno 2001”15, che rappresenta un deciso passo in avanti, per via amministrativa, nella direzione dell’applicazione dei principi e dei metodi previsti nella legge 328. Le principali innovazioni contenute nel programma sono: - la crescita delle risorse ordinarie a disposizione dei Comuni, passate da 16 a 52 miliardi di lire; - la nascita dei Piani di Zona, che rappresentano la novità più significativa. Essi costituiscono una via nuova e sperimentale per dar vita ad una programmazione negoziata sul territorio, dalla quale ci si attende, soprattutto, la messa in rete delle competenze del pubblico, ma anche del volontariato e dell’associazionismo, che sempre più rappresentano gli interlocutori imprescindibili per costruire l’innovazione sociale. La progettualità sociale indica la capacità di una comunità di dar vita a processi di trasformazione e cambiamento, a partire dalla risposta ai bisogni emergenti presenti sul proprio territorio. Risposta ai bisogni, processi di trasformazione e cambiamento trovano fermento generativo nella capacità di mobilitare energie, competenze e professionalità della Regione, delle organizzazioni di volontariato e degli Enti locali, in un processo che consenta, di volta in volta, di valutare ed attivare le forme più opportune di integrazione e sinergia con gli altri soggetti del territorio, siano questi ultimi rappresentati da altri gruppi e associazioni di volontariato, dalla cooperazione sociale, dall’associazionismo, dalle varie articolazioni degli Enti locali o da altri attori presenti sul territorio. Tale definizione della progettualità sociale definisce già di per sé la prospettiva nella quale si muove la concertazione. Essa è rappresentata dai processi, relativi alla riformulazione dello Stato sociale, che richiedono alla Regione, al volontariato e agli Enti locali la capacità di attivare ed alimentare nuove e qualificate relazioni con tutti i soggetti che si muovono nell’ambito sociale. In questo quadro, possiamo concludere che la Regione Emilia Romagna ha dimostrato un elevato grado di progettualità sociale ed una grande prontezza nel sapersi adeguare alle nuove esigenze normative di integrazione socio-sanitaria, seppur con relativi ritardi rispetto alla definizione del Piano sociale Regionale, richiesto dalle direttive di standard nazionali. Il progetto di legge, attualmente all’esame della competente Commissione Consiliare, risponde in tutte le sue parti al dettato della legge 328/00, rappresentando lo strumento di totale attuazione della riforma nazionale sul territorio regionale.

Stato di attuazione della legge 328/2000 in Emilia Romagna 16 ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

Effettuata con delibera del Consiglio Regionale n. 246 del 25 Settembre 2001, che ha previsto la predisposizione dei primi Piani di zona sperimentali.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

Progetto di legge regionale “Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, artt. 39 e 41.

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

Art. 42 del citato progetto di legge regionale.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

Art. 21 del citato progetto di legge regionale.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Art. 26, comma 6, del citato progetto di legge regionale.

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Art. 19 del citato progetto di legge regionale.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

Artt. 34 e 37 del citato progetto di legge regionale.

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

Art. 34 del citato progetto di legge regionale.

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

Art. 37 del citato progetto di legge regionale.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

Art. 38, comma 3, del citato progetto di legge regionale.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

Art. 43 del citato progetto di legge regionale.

8, comma 3 lett. m)

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

Art. 33 del citato progetto di legge regionale.

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

Art. 37 del citato progetto di legge regionale.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

Art. 22, comma 4, del citato progetto di legge regionale.

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

Art. 32, comma 3, del citato progetto di legge regionale.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

Artt. 18, comma 4, lett. b), e 57, commi 5, 6, 7, 8, del citato progetto di legge regionale.


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

Art. 25 del citato progetto di legge regionale.

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

Art. 34 del citato progetto di legge regionale.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

Art. 34, comma 2, del citato progetto di legge regionale.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

Legge regionale n. 19 del 24 Luglio 1979. Legge regionale n. 3 del 1999. Artt. 205 e 33 del citato progetto di legge regionale.

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

Da fare.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

Art. 38 del citato progetto di legge regionale.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

Art. 26 del citato progetto di legge regionale.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

Immediatamente successivo agli accrediti ricevuti.

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

Già operante a livello regionale il Sistema informativo delle politiche sociali (SIPS). Art. 27 del citato progetto di legge regionale.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

Artt. 3, comma 2; 8; 12, comma 3; 15, comma 2, lettera a); 26, comma 2, lettera b); 28, comma 1, lettera a); 38, comma 1; 44, comma 2, del citato progetto di legge regionale.

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Friuli Venezia Giulia 17 La Regioni Friuli Venezia Giulia, allo stato attuale, non ha ancora emanato alcun provvedimento attuativo della legge quadro di riforma dei servizi sociali. Al momento, gli Amministratori locali sono impegnati nella predisposizione di un programma di lavoro per la riforma del welfare regionale. Ma, non essendo stato prodotto, ad oggi, alcun atto ufficiale, la Regione opera in base alla propria normativa pregressa. In attesa di un documento che armonizzi le politiche sociali regionali alla cornice nazionale di profonda trasformazione del settore socio-assistenziale, la legge 33/88, e le sue successive integrazioni e modifiche, rappresenta ancora il principale strumento normativo del sociale friulano. Sta di fatto che, attualmente, il Friuli Venezia Giulia si trova un passo indietro nel processo di attuazione della normativa nazionale, che riforma profondamente le politiche sociali. In un’interpellanza18, presentata alla Presidenza Regionale nel Novembre del 2001, alcuni Consiglieri sostengono che il ritardo nella applicazione della legge 328/2000, unito alla situazione difficile in cui versano gli uffici e le strutture della Amministrazione regionale che operano nel settore delle politiche sociali, stia provocando una penalizzazione degli Enti locali e del terzo settore. I sei firmatari dell’interpellanza ipotizzano che la mancata programmazione nel settore delle politiche sociali integrate potrebbe avere delle ripercussioni sulla corretta e puntuale erogazione dei servizi, ostacolando il necessario rinnovamento nella pianificazione e nella gestione degli interventi e dei servizi integrati presso gli Enti locali. Le cause della situazione regionale attuale vanno rintracciate, secondo gli autori del documento, nella mancata realizzazione della coerenza e organicità necessaria per una effettiva gestione integrata del comparto socio-sanitario regionale, nonché nel mancato coordinamento con gli altri settori, quali l’istruzione, la formazione ed il lavoro, che sono parimenti strategici per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. I ritardi e la pesante carenza di personale di cui soffrono gli uffici regionali competenti in materia rappresentano alcuni degli elementi di difficoltà nel recepimento della legge quadro, in questa come in altre Regioni. Una situazione analoga si delinea, cinque mesi dopo la prima interpellanza, nella ancor più dura interrogazione a risposta orale, presentata alla Presidenza Regionale l’11 aprile 2002: “la mancata applicazione, nel Friuli Venezia Giulia, della legge nazionale 328 del 2000....come hanno più volte evidenziato anche l’ANCI, i Sindacati e le Associazioni disabili, sta privando gli Enti locali di compiti e competenze specifiche di prioritario interesse per i cittadini. È una situazione molto grave destinata purtroppo a non risolversi a breve, secondo quanto abbiamo appreso nel corso dell’audizione, in 3a Commissione, del Direttore del Servizio per le attività socio-assistenziali e per quelle sociali ad alta integrazione sanitaria”.19 In questo documento viene affrontata la questione relativa ai fondi nazionali già trasferiti alla Regione, ai sensi della legge 328, una parte dei quali verrà utilizzata per completare il finanziamento dell’articolo 32 della legge 10 dell’anno 2000. “Il processo richiesto – ci è stato testualmente detto – si presenta complesso e non di immediata risoluzione e pertanto si ritiene di dar corso al riporto del Fondo statale previsto dalla legge 328, pur nella consapevolezza che l’utilizzo di tali fondi, riferiti all’anno 2001, potrà solo in parte rappresentare una spinta all’innovazione richiesta”. 20 Non conoscendo i tempi di attuazione della legge nazionale e gli step che la Regione intende superare, occorre ribadire il forte ritardo del Friuli Venezia Giulia nella predisposizione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.

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Lazio La Regione Lazio si trova attualmente, in materia di politiche sociali, in una situazione di transizione. Incalzata dal Piano Regionale21 1999-2001 ed in attesa della definitiva stesura del Piano socio-assistenziale per il triennio 2002-2004, la Regione ha emanato, seppur con un certo ritardo, le “Linee guida ai Comuni per l’utilizzo delle risorse provenienti dal Fondo nazionale per le politiche sociali – anno 2001”22. Con il primo Piano socio-assistenziale, la Regione si impegnava a promuovere una trasformazione delle forme di organizzazione del sistema dei servizi sociali, alla ricerca di assetti che garantissero una maggiore efficacia ed efficienza degli interventi sociali. Essa si proponeva, con la strumentazione a disposizione, di perseguire ed anticipare la riforma nazionale dell’assistenza, allora in discussione in Parlamento. Alla base del processo di riorganizzazione dei servizi sociali si poneva la scelta di procedere nella costruzione dei distretti delle politiche sociali. L’obiettivo era quello di superare un sistema decisionale prescrittivo “a cascata” (dal Centro alla Periferia), in favore di procedure democratiche di tipo circolare, che favorissero il coinvolgimento delle comunità locali nel processo politico-programmatorio. In funzione di una visione diversificata e paritaria dei poteri in materia sociale, il Piano riservava alla Regione una funzione di indirizzo ed orientamento degli Enti locali e dei soggetti privati, assegnando ai Comuni il ruolo inedito di attori di un processo di miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini delle loro comunità. L’idea forza di questo primo Piano socio-assistenziale stava nel considerare i primi tre anni di attuazione un periodo di transizione e di sperimentazione. Il fine che si intendeva perseguire era quello di superare la separazione tra “socio-assistenziale” e “sanitario”, per arrivare ad una ricomposizione delle due azioni in un unico intervento che fosse “socio-sanitario”. In attesa della legge nazionale di riordino dei sevizi sociali, la Regione si impegnava a lavorare per far crescere tra gli operatori e gli amministratori delle Asl e degli Enti locali la consapevolezza dell’importanza dell’integrazione funzionale ed operativa tra le prestazioni erogate direttamente dai Comuni e le prestazioni di pertinenza del servizio sanitario. A tale scopo, il Piano individuava nei distretti delle Asl la dimensione territoriale ottimale per la gestione degli interventi sociali e sanitari. Essa avrebbe consentito di sviluppare al massimo i sistemi innovativi ed alternativi al ricovero, di attivare processi comunicativi triangolari tra operatoti, amministratori e cittadini, di esercitare un controllo sociale diffuso e di garantire una sostanziale partecipazione della comunità locale nella decisione politico-amministrativa. Se, al termine della sperimentazione, l’organizzazione del distretto socio-assistenziale avesse prodotto risultati positivi, dimostrando la fattibilità dei diversi passaggi, il Piano auspicava, anche in previsione dell’evoluzione legislativa nazionale, eventuali modifiche normative, che permettessero di utilizzare tale modello integrato per gestire servizi socio-assistenziali, servizi socio-sanitari, progetti obiettivo ed azioni programmate. Per la gestione dei servizi e degli interventi all’interno dei bacini distrettuali, il Piano prevedeva che gli Enti locali adottassero progressivamente (a partire dalle aree scelte per la sperimentazione) il metodo della pianificazione di zona, favorendo il coinvolgimento degli altri Enti locali (Comunità montane, Province) delle diverse istanze del privato sociale (associazionismo, cooperazione sociale) e delle IPAB. Gli obiettivi della regolamentazione del sistema sociale erano individuati nel: - produrre una semplificazione del sistema dei servizi, attraverso la riduzione delle tipologie di intervento, da ricondursi a modelli caratterizzati secondo specificità funzionali essenziali, evitando sovrapposizioni all’interno dello stesso territorio; - consentire l’individuazione del servizio non per classe di appartenenza o categoria destinataria, ma attraverso la definizione di funzioni e prestazioni; - favorire servizi flessibili rispetto a quelli che tendono ad una eccessiva specializzazione. Intendendo per flessibilità: offerta di prestazioni differenziate; assunzione di gruppi di popolazione bersaglio, non limitati ad una categoria; capacità di integrazione con gli altri servizi dell’area o del bacino distrettuale. Per garantire livelli uniformi di prestazione su tutto il territorio regionale, il Piano si proponeva di assicurare, in ogni area distrettuale, l’organizzazione di strumenti di intervento tali da garantire livelli minimi di tutela sociale e di affiancamento della comunità locale, della famiglia, delle persone. Tali livelli erano individuati in: - Segretariato sociale, con funzioni di informazione, consulenza, mediazione sociale ed istituzionale; - Servizi di emergenza e pronto intervento assistenziale, con adeguate risorse sia economiche che di ospitalità temporanea; - Prestazioni domiciliari di servizio sociale. Le aree di intervento prioritarie erano indicate in: - anziani; - maternità, infanzia e minori; - handicap; - disagio psichico in età evolutiva; - immigrati.

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Costituivano infine strumenti di rafforzamento del sistema dei servizi sociali: l’avvio di azione formative e l’istituzione del Sistema informativo. Oggi, alla fine del triennio di sperimentazione, la Regione Lazio, in attesa di elaborare il nuovo Piano sociale, ha provveduto a determinazione i criteri e le modalità per la ripartizione delle risorse provenienti dal Fondo Nazionale, relative all’anno 2001, nonché a fornire indicazioni ai Comuni per la realizzazione degli interventi sociali a livello locale. Per sostenere ed incentivare il sistema dei servizi, la metodologia di riparto prevede che una quota delle risorse venga specificatamente destinata a: - favorire l’associazionismo degli Enti locali, per superare l’ostacolo della dimensione comunale inadeguata ad assicurare un’efficiente organizzazione dei servizi; - supportare l’integrazione tra programmi di intervento e tra Enti locali ed Asl, per garantire al sistema una reale struttura a rete. In proposito, il provvedimento ribadisce che obiettivo prioritario della programmazione regionale è l’integrazione socio-sanitaria, da realizzarsi attraverso l’attivazione, ai vari livelli istituzionali, di strategie, programmi e modelli organizzativi coerenti e funzionali. Le Linee guida individuano nel Piano di Zona lo strumento fondamentale di pianificazione del sistema integrato sul territorio e, riprendendo il dettato della legge 328/00, indirizzano l’attività dei Comuni del distretto in merito a obiettivi e contenuti. Dagli orientamenti della pianificazione locale ed in relazione agli obiettivi prioritari, discendono i singoli progetti operativi, considerati parte integrante dei Piani di Zona, in funzione dei quali vengono richiesti specifici finanziamenti regionali, nei limiti della quota assegnata al distretto ed in riferimento alle aree di intervento. Quest’ultime vengono individuate in: - responsabilità familiari; - diritti dei minori; - persone anziane; - contrasto della povertà; - disabili; - avvio della riforma. Una parte delle Linee guida è dedicata ai livelli essenziali delle prestazioni. In questa sezione vengono indicati i servizi, gli interventi e le prestazioni che devono comunque essere assicurati, ciascuno dei quali risulta corredato da un piccola spiegazione. Guardando complessivamente allo stato di attuazione dei provvedimenti previsti dalla riforma assistenziale, il percorso che la Regione si trova a dover affrontare appare ancora piuttosto lungo. Carente risulta la disciplina in materia di promozione del terzo settore ed esternalizzazione dei servizi sociali. È ancora in corso l’emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona. E sono allo studio le modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi sociali. È stato avviato l’iter legislativo relativo alla proposta di legge regionale: “Disciplina in materia di autorizzazione all’apertura e al funzionamento dei servizi alla persona e delle strutture socio-assistenziali a ciclo residenziale e semiresidenziale”. È stata approvata23 la proposta degli standard gestionali e strutturali, limitatamente ai gruppi appartamento ed alle case famiglia. Mentre è ancora assente la determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati. Sul versante della formazione degli operatori, è in corso la predisposizione ed il finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali, ma non si è ancora proceduto all’avvio dei corsi di formazione. In riferimento ai rapporti con l’utenza, non sono state disciplinate le procedure e le modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti dei servizi sociali; né sono stati istituiti gli uffici di tutela dei cittadini. Manca la definizione dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per l’acquisto dei servizi sociali ed è assente la disciplina per la determinazione del concorso degli utenti al costo delle prestazioni. Completa il quadro il mancato adeguamento della disciplina regionale ai principi del decreto legislativo di riordino delle IPAB. Mentre è in fase di definizione la banca dati del Dipartimento, auspicabile primo passo verso la creazione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

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Stato di attuazione della legge 328/2000 nella Regione Lazio 24 ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

Definiti con apposito atto i criteri di riparto, D.G.R. n. 471 del 19/04/02 “Determinazione dei criteri e delle modalità per la ripartizione delle risorse provenienti dal fondo nazionale per le politiche sociali. Anno 2001. Esercizio finanziario 2002”.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

In itinere.

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

Sono allo studio le modalità di valorizzazione.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

Legge regionale n. 38 del 9 Settembre 1996.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Accordi di programma su base provinciale ai sensi della legge 285/97.

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

D.G.R. n. 471 del 19/04/02 “Determinazione dei criteri e delle modalità per la ripartizione delle risorse provenienti dal fondo nazionale per le politiche sociali. Anno 2001. Esercizio finanziario 2002”. D.G.R. n. 860 del 28 Giugno 2001 “Determinazione dei criteri e delle modalità per la ripartizione del fondo per l’attuazione del Primo Piano socioassistenziale. Art. 10 L.R. 11/2001”.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

Avvio dell’iter legislativo relativo alla proposta di legge regionale “Disciplina in materia di autorizzazione all’apertura e al funzionamento dei servizi alla persona e delle strutture socio-assistenziali a ciclo residenziale e semiresidenziale”.

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

Registri istituiti.

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

Approvata, con delibera della Giunta Regionale n. 425 del 27 Marzo 2001, la proposta degli standard gestionali e strutturali di gruppi appartamento e case famiglia.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

8, comma 3 lett. m)

8, comma 3 lett. n)

8, comma 3 lett. o) 8, comma 4

54

In corso.

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali. Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati. Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98). Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

Avvio dell’iter legislativo relativo alla proposta di legge regionale: “Disciplina in materia di autorizzazione all’apertura e al funzionamento dei servizi alla persona e delle strutture socio-assistenziali a ciclo residenziale e semiresidenziale”.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

In itinere.

In itinere.


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della SolidarietĂ sociale e della SanitĂ sullo stato di attuazione degli interventi.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalitĂ per la concessione dei titoli per i servizi.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

Prima stesura del Piano socio-assistenziale per il triennio 2002-2004.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

In itinere.

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

In fase di definizione una banca dati del Dipartimento.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

In itinere.

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Liguria

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Rispetto all’attuazione della riforma, la Liguria si è trovata nell’invidiabile condizione di avere già da tempo avviato il lavoro di costruzione del Sistema Integrato. All’approvazione della legge 328/00, infatti, la Regione era già in possesso di un Piano dei Servizi Sociali 1999/2001, che aveva gettato le fondamenta della Rete ligure dei servizi sociali. La nuova Amministrazione regionale, subentrata nel 2000, ha emanato nel dicembre del 2001 il nuovo Piano triennale dei Servizi sociali 2002/200425. Funzione dichiarata del provvedimento: consolidare e perfezionare le scelte operate precedentemente. Appare importante sottolineare che il Piano ha la caratteristica di fornire al lettore un’ampia rassegna della normativa sociale, sia nazionale che regionale, cosa che si dimostra, senz’altro, un utile strumento di orientamento in un terreno profondamente cambiato rispetto al passato. Nella prima parte del documento, si trova la descrizione delle caratteristiche socio-demografiche della Regione, a cui si affianca un’esposizione dell’architettura del Sistema ligure. Il territorio si caratterizza per una distribuzione della popolazione asimmetrica, con una netta prevalenza di piccoli Comuni. Basti pensare che il 40% di essi è al di sotto dei 1000 abitanti, mentre solo lo 0,5% è tra i 50.000 e i 100.000 abitanti (con una grande area urbana di oltre 600.000). Al fine di assicurare anche alle comunità dei piccoli Comuni prestazioni sociali di qualità, con i provvedimenti legislativi precedenti all’attuale Piano26, sono stati già da tempo realizzati gli Ambiti Territoriali per la programmazione e gestione dei servizi sociali: le Zone sociali, che coincidono con i Distretti sanitari, suddivise al loro interno in Distretti sociali. Ogni Distretto sociale, con una popolazione di almeno 4000 abitanti, per garantire livelli essenziali di prestazioni deve assicurare i seguenti servizi di base, definiti per l’appunto distrettuali: - informazione e comunicazione ai cittadini, alle famiglie ed alle organizzazioni sociali; - consulenza sociale ed orientamento sui problemi; - promozione dell’assistenza domiciliare, in termini di aiuto domestico familiare per le fasce fragili (anziani, disabili, minori, etc), ed attivazione delle risorse sanitarie integrate, anche attraverso il rapporto con il medico di medicina generale ed il pediatra di libera scelta; - promozione degli interventi di affido e di sostegno familiare per i minori in difficoltà; - ricoveri in strutture diurne e residenziali per minori ed altri soggetti delle fasce fragili con problemi sociali che ne impediscono la permanenza a domicilio; - promozione della solidarietà locale attraverso “servizi di prossimità e reciprocità” tra persone e nuclei familiari, volontariato ed associazionismo, espresse con forme di auto-mutuo aiuto. Inoltre, ogni Distretto deve provvedere a costituire lo sportello di cittadinanza, con la funzione di offrire informazione/orientamento e consulenza, sia sociale che sanitaria, ai cittadini. I servizi di base sono accompagnati dai servizi sovra-distrettuali o complessi di zona. Si tratta di servizi complementari ai primi difficilmente attivabili a livello dei territori distrettuali. I servizi di zona intervengono in particolare sul piano delle funzioni integrate con la sanità, relativamente a: 1. responsabilità familiari e problemi minorili e adolescenziali; 2. disabilità grave e lungo-assistenza; 3. residenzialità socio-sanitaria diurna e a ciclo continuativo per anziani, disabili e minori con limitazione temporanea o permanente dell’autonomia; 4. emarginazioni e povertà estreme; 5. emergenze sociali. Le caratteristiche dei servizi di zona sono quelle di avere un’elevata complessità organizzativa e di richiedere consistenti investimenti economici. I servizi sovra-distrettuali sono individuati dal Piano di Zona, che ne definisce: la localizzazione, l’estensione territoriale (più distretti o zona), il Comune capofila, le modalità organizzative, di accesso e di finanziamento. Il distretto sociale indica il Comune capofila che ha il compito di gestire i servizi sovra-distrettuali, al quale vengono destinati i contributi regionali finalizzati alla realizzazione e gestione del servizio. Il Piano di Zona definisce, inoltre, le modalità per la partecipazione ai costi del servizio da parte di tutti i Comuni fruitori, in relazione alla grandezza del Comune ed alla quantità delle prestazioni erogate a favore degli utenti nello stesso residenti. I livelli essenziali di assistenza sono garantiti dagli operatori del servizio sociale professionale, che hanno il compito di osservare e gestire i fenomeni sociali, erogare prestazioni di informazione, consulenza, sostegno ed aiuto personale, coordinandosi, nei servizi integrati, con le discipline e le attività svolte da altri operatori professionali dell’équipe distrettuale ed all’interno delle unità di valutazione multidimensionali. Incrociando il ruolo di servizio sociale professionale con gli assetti organizzativi del Piano ligure, si possono distinguere, ai diversi livelli territoriali (Comuni, Distretti, Zone), tre tipi di performance rispetto alla tipologia degli interventi erogati dal servizio sociale: 1. segretariato sociale, con funzioni di informazione, sostegno psico-sociale, orientamento ed indirizzo per la progettazione, collaborazione, stimolo ed attivazione dei soggetti del terzo settore e della solidarietà sociale;


2. management sociale del “caso” (case manager), che si occupa della definizione dei problemi sociali degli utenti in base ad un’analisi del bisogno e formula proposte per la soluzione dello stesso; 3. osservazione, pianificazione, direzione e coordinamento delle politiche sociali con le aree integrate, ruolo affidato alle segreterie tecniche delle Conferenze di Zona e delle Conferenze dei Sindaci. Passando alla descrizione dell’architettura del Sistema ligure, non possiamo non accennare alle funzioni di pianificazione e programmazione. Tali funzioni sono svolte da organi di governo, articolati secondo la dimensione territoriale. In particolare, partendo dal livello regionale per arrivare a quello di zona sociale, troviamo: - la Conferenza Sociosanitaria Regionale (Composta da: Assessori regionali Sanità e Servizi alla persona, Presidenti Conferenze dei Sindaci, delle Province e Direttori Asl), che ha il compito di valutare ed esprimere parere sulla pianificazione sociale, sanitaria, socio-sanitaria e su particolari progetti integrati e criteri di ripartizione delle risorse finanziarie; - la Conferenza dei Sindaci (esprime un Comitato di rappresentanza composto dai Presidenti di Zona), che provvede alle macro linee del Piano sociale e al Piano di salute dell’Azienda Usl. Deve essere dotata di supporto tecnico, con Coordinatore amministrativo e due esperti: uno in materia sanitaria, uno in materia sociale; - la Conferenza di Zona (coincide con il Comitato dei Sindaci di Distretto Sanitario), che ha il compito di individuare i distretti sociali, formulare i Piani di Zona (PdZ), individuare l’allocazione dei servizi sociali “complessi” (sovradistrettuali e sovracomunali). Con il nuovo Piano Sanitario deve poter formulare anche i Piani socio-sanitari del distretto sanitario in accordo con le Aziende Usl; - l’Associazione Intercomunale di Distretto Sociale (per i piccoli Comuni può essere agita anche attraverso le Comunità Montane). I responsabili dei distretti sociali, attraverso la segreteria tecnica allargata partecipano alla programmazione sociale e sociosanitaria dei Piani di Zona e dei Programmi delle Attività Territoriali (PAT). La novità più interessante introdotta dal Piano 2002/2004 è la sperimentazione, per il biennio 2002/2003, dei titoli per l’acquisto dei servizi, attraverso il Progetto Assegno-Servizi. In particolare, la Regione si pone come obbiettivo quello di coniugare il potenziamento e l’articolazione dei servizi sociali con la promozione di nuova occupazione, soprattutto per la mano d’opera femminile. “ […] Lo scopo dell’assegno servizi è quello di sostenere le persone non autosufficienti, sia sotto il profilo sociale che sanitario, e le loro famiglie nell’attività complessiva di assistenza, offrendo una risposta unitaria e di qualità integrando i diversi interventi di carattere assistenziale, sociosanitario e sanitario, con l’obiettivo di evitare il ricovero rispondendo comunque a forme di assistenza continuativa. Il 5% della sperimentazione è riservato a minori con gravi e temporanee difficoltà di cura familiare.”27 L’assegno dei servizi è considerato una misura aggiuntiva, che verrà erogata a tutti i cittadini, e non solo a coloro che versano in stato di povertà. L’assegno avrà un valore compreso tra 1,5 e 10 milioni. In questa fase sperimentale, è previsto che l’assegno sia erogato a completo carico dei fondi regionali al 25% dei destinatari (cittadini sulla soglia di povertà relativa, con reddito inferiore ai 17 milioni), mentre al restante 75% si richiederà una compartecipazione al valore dell’assegno erogato, esclusivamente per la componente assistenziale (non per le azioni sanitarie). Le prestazioni che possono essere acquistate con l’assegno servizi da parte del cittadino sono: 1. aiuto domestico familiare, con operatore di riferimento l’assistente familiare; 2. assistenza tutelare per non autosufficiente, con operatore di riferimento figure con qualificazione professionale per l’assistenza socio-sanitaria alla persona; 3. assistenza educativa, con operatori di riferimento al governo della casa o di tutela educativo-assistenziale: assistente familiare o baby sitter o personale di sostegno all’azione educativa. Alla fine del documento vengono illustrati gli strumenti per migliorare il Sistema dei servizi sociali. Un Sistema che intende migliorarsi non può prescindere dal confrontarsi con il concetto di qualità. Non è a caso, quindi, che viene fornita una definizione di “sistema qualità” nel sociale. Per gli estensori del Piano il sistema qualità si ottiene mediante la “[…] raccolta sistematica di informazioni su uno o più servizi in merito a: attività e prestazioni fornite (output), risultati conseguiti (outcome), con modalità che permettono una valutazione esterna, quantificabile o quanto meno condivisibile da parte di soggetti diversi dagli erogatori del servizio stesso.”28 Utilizzando questa definizione si dovrà provvedere ad approntare i seguenti strumenti: La carta dei servizi sociali. Ogni responsabile dell’offerta dei servizi sociali (dal Comune alle Zone) deve adottare una propria “carta”, in cui emergano gli aspetti generali relativi ai percorsi assistenziali, la mappa degli interventi e le prestazioni essenziali. Il processo di costruzione delle carte, inoltre, è un’importante occasione per coinvolgere gli operatori dei servizi, della società civile nella scelta condivisa degli standard di qualità e degli strumenti in caso di mancato rispetto. Il Sistema informativo sociale. L’Osservatorio sociale regionale, previsto dall’articolo 7 della L.R. 30/1998 come strumento di analisi e di previsione dei fenomeni sociali, di diffusione delle conoscenze e delle elaborazioni in materia sociale, si avvarrà, quale strumento di supporto, del Sistema informativo sociale, già previsto nel Piano Triennale dei Servizi Sociali 1999/2001. Tale strumento informativo dovrà garantire la funzione di gestione, controllo e programmazione da parte dei diversi livelli istituzionali, al fine di conferire alla Regione un ruolo programmatorio con capacità di monitorare e valutare i servizi e le politiche sociali.

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Interventi formativi e formazione continua. Per il conseguimento degli obiettivi individuati nel Piano e per innovare il sistema dei servizi sociali, viene ribadita la necessità di poter disporre di un sistema di interventi formativi e informativi nei confronti di tutti gli interlocutori considerati nell’assetto organizzativo e politico. Alla fine di questa breve sintesi del Piano sociale ligure, possiamo tracciare un bilancio dello stato di attuazione della riforma socio – assistenziale. Se volessimo stilare un’ideale classifica delle Regioni italiane, allora certamente potremmo considerare la Liguria tra le prime. La Regione ha, infatti, definito i nodi centrali della propria rete. Sono già stati individuati gli Ambiti Territoriali, è stato messo a punto il Sistema informativo sociale, sono state date indicazioni circa i livelli essenziali d’assistenza. Inoltre la Liguria è una tra le poche ad avere avviato la sperimentazione dei titoli d’acquisto dei servizi. Tra i provvedimenti più importanti che ancora non hanno trovato seguito, ricordiamo gli atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e terzo settore, la definizione del ruolo delle Province ed il riordino delle IPAB. In conclusione è necessario sottolineare che il buon lavoro svolto, nel settore sociale, dalla Regione è frutto della continuità di impegno tra la vecchia Amministrazione di centrosinistra, che aveva gettato le basi del Sistema, e la nuova di centrodestra, che ne sta portando a compimento la costruzione.

Stato di attuazione della legge 328/2000 nella Regione Liguria 29 ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

D.C.R. 28/11 - 4/12/2001, n. 65 “Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004”.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

Non si è provveduto.

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

Non si è provveduto.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

Non si è provveduto.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

D.C.R. 28/11 - 4/12/2001, n. 65 “Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004”.

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

L.R. 30/1998, L.R. 25/2000.

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

Non si è provveduto.

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

Non si è provveduto.

8, comma 3 lett. a)

8, comma 3 lett. f)

8, comma 3 lett. g)

58


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

Definiti in parte con il D.C.R. 28/11 4/12/2001, n. 65 “Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004”.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

D.C.R. 28/11 - 4/12/2001, n. 65 “Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004”.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

Non si è provveduto.

8, comma 3 lett. m)

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

In D.C.R. 28/11 - 4/12/2001, n. 65 “Piano triennale dei Servizi Sociali 20022004”, limitatamente alla predisposizione dei piani per la formazione.

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

Non si è provveduto.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

Non si è provveduto.

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

Non si è provveduto.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

Non si è provveduto.

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

Non si è provveduto.

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

Non si è provveduto.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

Non si è provveduto.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

Non si è provveduto.

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

Non si è provveduto.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

D.C.R. 28/11 - 4/12/2001, n. 65 “Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004”.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

D.C.R. 28/11 - 4/12/2001, n. 65 “Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004 e indirizzi ai Comuni per la redazione dei Piani di zona. Modifiche ed integrazioni alla deliberazione del Consiglio Regionale 6 luglio 1999 n. 44 recante il Piano triennale dei servizi sociali 1999/2001”.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

Non si è provveduto.

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

L.R. 30/1998 e Piano triennale dei Servizi Sociali per gli anni 1999/2001, approvato con D.C.R. 44/1999.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

D.C.R. 28/11 - 4/12/2001, n. 65 “Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004”.


Lombardia La Lombardia ha intrapreso un percorso del tutto originale nel panorama italiano. Il fulcro attorno al quale ruotano le policy della Regione è una declinazione, a volte singolare, del concetto di devoluzione. Secondo l’accezione lombarda, con il termine devolution non si indica solamente il passaggio dei poteri dal centro verso la periferia (dallo Stato alle Regioni, e da queste ultime giù fino agli Enti locali), ma anche la progressiva esternalizzazione delle funzioni pubbliche a favore dei soggetti privati. In questa prospettiva, il principale compito che spetta al settore pubblico è quello di controllare il corretto funzionamento dei servizi, erogati dai soggetti privati. Ovviamente, tale modo di intendere il ruolo delle amministrazioni pubbliche è stato, con estrema coerenza, applicato nel settore dei servizi socio-sanitari, come è facile constatare leggendo il Piano Socio – Sanitario Regionale 2002/2004 sottotitolato, per l’appunto, “Libertà e innovazione al servizio della salute”30. All’interno del capitolo intitolato devoluzione, troviamo l’esatta definizione dell’applicazione di questo termine nel campo assistenziale: “[…] Il Piano Socio Sanitario Regionale si colloca in un contesto di graduale e reale federalismo improntato alla sussidiarietà orizzontale intesa come partecipazione estesa di altri soggetti nella gestione dei servizi e non solo come decentramento di poteri dal centro alla periferia.”31 Nelle pagine iniziali del documento, vengono illustrate ed argomentate le peculiarità del modello lombardo e le linee di sviluppo per il futuro. Secondo il governo regionale “[…] La “domanda di salute” che i cittadini oggi esprimono è sempre più orientata verso risposte e soluzioni connotate sia dall’impiego di metodiche ad alto contenuto tecnologico, sia da un elevato grado di personalizzazione. Ciò pone sempre più in evidenza la carenza delle risorse destinate al Servizio Sanitario Nazionale.”32 La prima risposta che la Regione ha fornito a questo nuovo tipo di domanda è stata la legge regionale 31/97. Con questa legge si è voluto “[…] sostenere la libera di scelta del cittadino, valorizzando le sue opzioni, attraverso la separazione fra i soggetti acquirenti ed erogatori di prestazioni, promovendo la parità di diritti e di doveri tra soggetti erogatori pubblici e privati, profit e no profit.”33 Il P.S.S.R., più che un documento di programmazione pubblico rivolto agli Enti locali, sembra una vera e propria ricerca di mercato, che ha lo scopo di attirare gli investimenti privati. Una buona parte del documento si concentra su un’analisi dettagliatissima della domanda e dell’offerta dei servizi socio-sanitari. E’ quindi abbastanza intuitivo capire che, trattandosi in pratica di una ricerca di mercato, il fuoco dell’attenzione sia rivolto, quasi esclusivamente, alla domanda e all’offerta di servizi sanitari. Il settore sociale viene lasciato in secondo piano. Attraverso le parole del Piano, è possibile cogliere la peculiarità del ruolo della Regione all’interno di un sistema pienamente devoluto. Secondo la Giunta Regionale “[…] risulta opportuno introdurre una chiara distinzione tra il ruolo della Regione come regolatore del sistema socio sanitario (ruolo di governo) e il ruolo della Regione come proprietaria della rete pubblica. Mentre il primo ruolo deve crescere per realizzare politiche socio sanitarie forti ed orientate al miglioramento complessivo del sistema, il secondo deve progressivamente ridursi. La Regione deve sviluppare il ruolo di regolatore e controllore “terzo”, imparziale del sistema, non svolgendo quindi attività e funzioni di gestione di servizi, che sono potenzialmente motivo di conflitto di interessi.”34 Il primo passo da compiere per ridurre il ruolo della Regione, quale proprietaria della rete pubblica, è quello di avviare il processo di trasformazione graduale delle Aziende Ospedaliere in soggetti di diritto privato, con la partecipazione di altri soggetti pubblici e privati. Allo stesso modo, per quanto riguarda le Aziende Sanitarie Locali occorre che esse assumano appieno il ruolo di soggetti pubblici di Programmazione Acquisto e Controllo (PAC), esternalizzando la gestione delle attività socio-sanitarie. Sul versante dell’offerta “privata” dei servizi, il Piano, registrando il dato che gli organismi no profit costituiscono la quota prevalente di gestori delle unità di offerta dell’attuale sistema socio-assistenziale e socio-sanitario, indica le priorità legislative regionali. In particolare, sottolinea che occorre avviare: - l’attività definitoria del profilo comune di organizzazione appartenente al terzo settore; - la disciplina omogenea e premiante per l’esercizio delle forme d’imprenditorialità; - la riconsiderazione dei meccanismi per l’affidamento in gestione dei servizi e per il loro acquisto da parte degli Enti locali presso gli organismi no profit, riconoscendo a questi ultimi il loro ruolo nell’ambito della programmazione regionale e locale. Diviene quindi basilare, per gli obiettivi della politica regionale, l’istituzione del Tavolo permanente del terzo settore: una sede all’interno della quale stabilire un costante raccordo tra la Regione e gli organismi rappresentativi del comparto in questione. Il tavolo ha il compito di occuparsi delle seguenti aree tematiche: - interventi legislativi organici nella materia; - attività di programmazione; - interventi finanziari a sostegno del no profit; - attività di formazione. Secondo l’opinione della Regione, già molto tempo prima dell’entrata in vigore della legge 328/2000, la Lombardia aveva programmato la realizzazione del proprio modello di welfare, che proprio nell’integrazione sistemica delle sue reti di unità di offerta socio-sanitaria e socio-assistenziale trovava, e trova, la sua principale “identità culturale”. Le reti

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che costituiscono il sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali della Regione, sono due: 1. la rete dei servizi ad elevata integrazione sociosanitaria di competenza delle Asl; 2. la rete dei servizi sociali di competenza dei Comuni. In proposito, la Regione è fermamente convinta che la distinzione funzionale in due reti non contraddica la sistematicità e l’integrazione del welfare, in quanto entrambe “[…] discendono e rispondono ad una comune esigenza che è quella di garantire ed esaltare le sinergie di funzionamento e, contemporaneamente, di evitare i rischi propri delle settorialità.”35 Per la rete delle unità di offerta ad elevata integrazione socio-sanitaria di competenza delle Asl, il PSSR indica le seguenti linee di indirizzo: - conclusione delle sperimentazioni condotte nelle Asl di Pavia, Lodi, Sondrio, Valcamonica e generalizzazione della distinzione tra acquirenti ed erogatori, con l’ulteriore incremento della funzione Asl di programmazione, acquisto, controllo (modello PAC); - graduale esternalizzazione di tutti i servizi che ancora rimangono a gestione diretta, permettendo alle aziende, nella loro articolazione distrettuale, di concentrarsi sul governo della domanda; - esigenza di dare adeguato contenuto ai contratti tra Asl e soggetti erogatori. Per quanto riguarda, invece, la rete dei servizi sociali di competenza dei Comuni, la Regione ribadisce che la funzione “progettuale e gestionale” è completamente ed esclusivamente a carico dei Comuni. La prima indicazione al riguardo è l’elencazione di una serie di standard gestionali e strutturali, che di seguito vengono riportati: Standard gestionali - non è prescritta la presenza di personale sanitario né laureato, né di supporto; - eventuali prestazioni sanitarie sono assimilabili alle forme di assistenza rese a domicilio; - per le residenze socio-assistenziali protette, l’assistenza sanitaria viene configurata come prestazioni medico-generiche infermieristiche, riabilitative e farmaceutiche così come disciplinato dalla Regione. Standard strutturali Le caratteristiche strutturali, organizzative e tecnologiche devono garantire l’erogabilità delle seguenti prestazioni: - somministrazione dei pasti, assistenza agli ospiti, attività aggregative e ricreativo-culturali; - requisiti strutturali ulteriori (capacità ricettiva, camere, servizi igienici ed altri servizi ), così come specificati nel DM “requisiti minimi” attuativo dell’art. 9 della legge 328/2000. La seconda indicazione è quella di ricondurre le attività comunali di programmazione e gestione della rete dei servizi sociali al Piano di Zona, definito come una delle principali e più positive innovazioni introdotte dalla legge 328/2000. Non sono tuttavia presenti nel P.S.S.R. indicazioni esaustive sulle modalità di formazione degli ambiti territoriali, né alcun cenno sulle funzioni che competono loro. Del resto la devoluzione implica anche la libertà di scelta. Si afferma solamente che “[…] il PdZ è l’espressione programmatoria – che deve vincolativamente assumere la forma giuridica dell’accordo di programma attraverso la quale si esprime un soggetto nuovo del welfare.”36 Si parla, inoltre, dell’ambito come di un soggetto più adeguato per la programmazione, lo sviluppo e la gestione dei servizi sociali; del soggetto che permetterà la costruzione del sistema integrato degli interventi e dei servizi assistenziali. In questo modo, si vuole creare la prima delle precondizioni all’integrazione tra reti comunali e reti regionali, in quanto “[…] viene superata innanzitutto la barriera dimensionale che fino ad oggi ha di fatto vanificato la reale integrazione tra competenze comunali e competenze ASL imponendo tre strade obbligate: la delega delle proprie funzioni da parte dei piccoli comuni alle ASL, la ricerca esasperata dell’autonomia da parte delle città, la conflittualità e la sovrapposizione delle funzioni esercitate da entrambi.”37 Un aspetto senza dubbio interessante è l’introduzione nella normativa lombarda dei buoni servizio per le famiglie già dal 1999, con l’obiettivo di favorire l’acquisizione diretta delle prestazioni erogate da Enti pubblici e privati accreditati o convenzionati. La Regione ha appena concluso la sperimentazione del buono socio-sanitario 2001, che ha coinvolto 7000 famiglie del territorio lombardo, e si presta a valutare i risultati ottenuti per la definizione dei futuri sviluppi operativi, che seguiranno le seguenti indicazioni: 1. BUONO: provvidenza economica a favore dell’utente nel caso in cui l’assistenza possa essere prestata da un care giver, sia esso familiare che appartenente alle reti di solidarietà (vicinato, associazioni). 2. VOUCHER: provvidenza economica a favore dell’utente, utilizzabile solo in caso di prestazioni erogate da care giver professionali. Lo spazio dedicato dal Piano Regione ai servizi sociali è complessivamente piuttosto esiguo. Anche per quanto riguarda l’attuazione della legge 328/2000 la Regione ha mantenuto la propria linea di originalità, esplicitando all’interno del P.S.S.R. cosa intende applicare delle direttive previste dalla riforma nazionale. Per maggiore chiarezza, riportiamo testualmente38: “[…] Il presente Piano Socio Sanitario Regionale conferma ed esalta ulteriormente l’organicità sistematica che da tempo identifica e rende originale il welfare della nostra regione.”39 Esso intende utilizzare “[…] opportunamente tutti i gradi di libertà messi a disposizione dalla vera novità del nuovo quadro di riferimento rappresentata dai profondi mutamenti intervenuti a livello istituzionale, sanitario e sociale:


la riforma istituzionale che rende possibile aumentare ulteriormente il tasso di federalismo del welfare lombardo collocandolo, dopo la modifica al titolo V della parte seconda della Costituzione e l’introduzione del federalismo fiscale operata con il Dlgs 156/2000, in una prospettiva di concreta devoluzione ; la riforma sociale recentemente promulgata che ha creato le precondizioni essenziali per la “ realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, non a caso titolo e finalità principale della Legge quadro; gli interventi di riforma della sanità.”40 Inoltre, qualora i gradi di libertà non dovessero bastare, “[…] il presente PSSR, al fine di tutelare il proprio assetto federale rispettoso della sua specificità, adotterà tutte le misure e le configurazioni che comporteranno scostamenti necessari e differenziazioni opportune dall’impianto nazionale definito nella scorsa legislatura.”41 Dopo aver chiarito il criterio utilizzato nella scelta degli adempimenti da adottare (coerenza con il welfare lombardo), gli estensori del Piano forniscono la lista degli adempimenti cui la Regione intende dare applicazione: Art. 4, c. 3 Riparto trasferimenti statali FNPS; Art. 8, c. 3, lett. a) Definizione ambiti territoriali; Art. 8, c. 3, lett. g) Registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività; Art. 8, c. 3, lett. n) Definizione requisiti di qualità per la gestione dei servizi; Art. 8, c. 3, lett. i) Criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali; Art. 8, c. 3, lett. e) Criteri per la determinazione del concorso degli utenti al costo delle prestazioni; Art. 8, c. 3, lett. u) Criteri per la determinazione delle tariffe che i Comuni erogano ai soggetti accreditati; Art. 8, c. 5 Trasferimento ai Comuni delle funzioni attribuite alle Province sui minori non riconosciuti; Art. 11, c. 1 Criteri e standard per l’esercizio degli istituti di validazione (comunicazione autorizzazione, accreditamento) e delle attività di vigilanza; Art. 22, c. 4 Livelli essenziali delle prestazioni per ambito territoriale. Se dovessimo utilizzare come criterio di valutazione dell’attuazione della riforma nazionale quanto dichiarato nel P.S.S.R. della Lombardia, allora dovremmo giudicare positivamente l’operato della Regione. Sono stati, infatti, attuati ben sette dei dieci adempimenti che erano indicati nel Piano socio-sanitario. Aspettano ancora compimento: l’istituzione dei registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali, la definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni per ambito territoriale. Tuttavia, dal punto di vista dei contenuti, l’impianto messo in campo dalla Lombardia si discosta, per molti aspetti, dalla filosofia del Sistema integrato di interventi e servizi sociali così come delineato dalla legge quadro di riforma nazionale, assumendo piuttosto la forma di un Sistema privato di servizi sanitari.

Stato di attuazione della legge 328/2000 nella Regione Lombardia ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

Erogazione alle ASL per successivo accredito ai Comuni associati a seguito dei Piani di Zona. D.G.R. n. 7069/2001 “Ripartizione delle risorse indistinte del Fondo nazionale per le politiche sociali in applicazione della L. 328/2000 ed assegnazioni alle Asl e per la parte di competenza al Comune di Milano dei finanziamenti destinati agli ambiti distrettuali anno 2001”.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

D.G.R. n. 7918/2002 “Istituzione del Tavolo permanente del 3° Settore, criteri per il funzionamento e la composizione”. Le modalità di affidamento dei servizi alla persona sono in fase di istruttoria interna, quando definite saranno sottoposte alla validazione del Tavolo di confronto.

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

La normativa regionale è precedente alla 328/00 e disciplina, tra l’altro, l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi: L.R. 22/1993 “Legge regionale sul volontariato”. L.R. 28/1996 “Promozione, riconoscimento e sviluppo dell’associazionismo”. L.R. 23/1999 “Politiche regionali per la famiglia”.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

L.R. 1/2000 “Riordino del sistema delle autonomie in Lombardia. Attuazione del D.lgs. 112/1998”. Le indicazioni della L.R. devono ancora trovare una concreta applicazione.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Piano Socio Sanitario 2002-2004 (PSSR), approvato in Consiglio Regionale il 13 Marzo 2002, e normativa precedente.

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Il D.G.R. n. 7069/2001, già citato, definisce i distretti quali ambiti territoriali. Le Linee guida per la stesura dei Piani di Zona sono in fase di istruttoria interna.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

Per quanto riguarda autorizzazione e convenzionamento D.C.R. n. 279/1996 “Piano Socio Assistenziale 1988-1990”, oggetto di successive proroghe. Manca la normativa per l’accreditamento.

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

Gli unici registri esistenti ad oggi riguardano i soggetti del terzo settore, in base alle normative regionali vigenti.

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

Sulla base delle indicazioni del PSSR di recente adozione la materia dovrà essere sviluppata con provvedimenti successivi.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

L.R. 23/1999 “Politiche regionali per la famiglia”. D.G.R. n. 2857/2000 “Sperimentazione del buono socio sanitario a favore di anziani non autosufficienti assistiti in famiglia”. Le risorse sono state già attribuite alle ASL per la concessione dei buoni agli aventi diritto (anziani- disabili) sulla base di criteri e procedure definite.


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

Sulla base delle indicazioni del PSSR di recente adozione la materia dovrà essere sviluppata con provvedimenti successivi.

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

D.G.R. n. 48844/2000 “Determinazione delle assegnazioni provvisorie dei Piani provinciali di formazione per il biennio 2000/2001 del personale dei servizi socio sanitari”.

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

Sulla base delle indicazioni del PSSR di recente adozione la materia dovrà essere sviluppata con provvedimenti successivi.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

L’esercizio dei poteri sostitutivi, previsto nella legislazione nazionale e regionale, non risulta sinora applicato.

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

In fase istruttoria la Carta dei Servizi. Con L.R. 1/1986, “Riorganizzazione e Programmazione dei servizi socio assistenziali della regione Lombardia”, è stato istituito l’ufficio di Pubblica Tutela.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

Si è dato corso al trasferimento di personale e risorse con: L.R. 1/1986 “Riorganizzazione e Programmazione dei servizi socio assistenziali della regione Lombardia”e L.R. 1/2000 “Riordino del sistema delle autonomie in Lombardia. Attuazione del D.lgs. 112/1998”.

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

Progetto di legge regionale di riordino del sistema IPAB, è attualmente in fase istruttoria.

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

La materia deve essere approfondita ed istruita adeguatamente.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

La materia deve essere approfondita ed istruita adeguatamente.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

(v. nota art.8, comma 3, lett. .m)

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

8, comma 3 lett. m)

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

Nel PSSR sono presenti indicazioni generali sulla materia che vanno articolate in provvedimenti attuativi.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

Piano Socio Sanitario 2002-2004 (PSSR), approvato in Consiglio Regionale il 13 Marzo 2002.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

Decreto n. 29846, provvedimento di erogazione alle Asl delle quote del Fondo Sociale. La Asl di Milano non è compresa in questo decreto perché l’erogazione delle risorse in questo specifico caso segue le procedure previste nel protocollo di intesa tra ASL e Comune di Milano DGR n° 39652/1998 (attualmente non erogato).

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

La materia necessita di un provvedimento statale per la definizione dei principi fondamentali.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

Si tratta di materia di riserva statale alla cui definizione le Regioni stanno concorrendo con gruppi di lavoro presso la Conferenza Stato - Regioni


Marche La Regione Marche, negli ultimi anni, è stata certamente un laboratorio, all’interno del quale la sperimentazione di nuove pratiche nella politica sociale ha dato vita ad una serie di esperienze particolarmente significative. Le ragioni della costante attenzione rivolta al sociale sono da ricercarsi nel fertile confronto che si è instaurato tra gli esponenti del cosiddetto terzo settore (volontariato, associazionismo, cooperazione sociale, ecc.) ed i rappresentanti delle Istituzioni locali. Tale cammino comune può farsi risalire alla legge regionale n.43 del 5 Novembre 1988, “Norme per il riordino delle funzioni di assistenza sociale di competenza dei comuni, per l’organizzazione del servizio sociale e per la gestione dei relativi interventi nella regione”. Con questa legge vennero precisati il ruolo e la presenza del volontariato, determinando, in tal modo, i presupposti per uno suo sviluppo nella vita sociale e politica. Un altro provvedimento legislativo, di fondamentale importanza nella storia delle policy sociali della Regione, è la legge regionale n.18 del 4 Giugno 1996, “Promozione e coordinamento delle politiche di intervento in favore delle persone in situazione di handicap”42. Con questa legge si è avviata la prima esperienza di collaborazione tra diversi soggetti pubblici e non, dando vita ad una rete che è stata la base dei successivi interventi sociali. Da tempo si erano, quindi, avviate prassi che andavano nella direzione sia della collaborazione tra soggetti Istituzionali e non, quanto, nonostante le maggiori difficoltà, su quella dell’integrazione tra politiche sociali e sanitarie. Tali prassi attendevano solamente di essere rafforzate. Nella Regione, grazie alla positiva esperienza pregressa, i tempi per l’avvio della riforma dei servizi sociali erano dunque già maturi, tanto che l’approvazione del primo Piano Regionale sulle politiche sociali43 avviene qualche mese prima dell’approvazione della legge 328/200044. Il Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000/2002 parte da un’analisi dei bisogni dei cittadini e delle diverse realtà territoriali. Nelle pagine iniziali di questo documento viene tracciata, per un verso, una mappatura dettagliata delle caratteristiche sociali della popolazione marchigiana e per l’altro della diffusione dei servizi sociali e socio-sanitari presenti sul territorio regionale. Vengono descritti, tra l’altro, gli interventi riguardanti: anziani, infanzia ed età evolutiva, dipendenze, devianza, persone e gruppi emarginati, handicap, salute mentale. Più volte, nel Piano, è ribadito che il mezzo da adottare, sia nel processo di programmazione che di attuazione, è quello della concertazione, intesa come “[…] processo cardine del nuovo modello di sviluppo dei servizi, che consente da un lato di superare la rigidità degli assetti istituzionali e dall’altro di mobilitare tutte le risorse che possono concorrere proficuamente alla formazione di decisioni condivise per l’affermazione dei diritti sociali e per il benessere di ognuno”45. Il Piano Regionale è inoltre caratterizzato dalla scelta di allontanarsi dalle politiche di welfare di tipo assistenzialistico e residuale-minimalista, a favore di un approccio universalista. Gli assi portanti della programmazione regionale sono dunque da identificarsi nell’enfasi promozionale (più che riparativa), nella scelta della sussidiarietà verticale, nell’approccio universalista e nell’ottica del riequilibrio territoriale e dell’equità sociale. Nel rispetto delle indicazioni di massima riportate dal Piano sociale, la Regione ha provveduto alla definizione degli ambiti territoriali. Il Piano individua nel distretto sanitario la dimensione territoriale di riferimento, fissando il tetto di 100.000 abitanti quale limite per ogni A.T.. Attraverso le proposte pervenute dalle Conferenze dei Sindaci, si è giunti ad una prima definizione di 29 ambiti territoriali46, che sono stati in seguito ridotti a 2447, in modo da corrispondere ai nuovi distretti sanitari che verranno a definirsi dopo il riordino del settore. Il Piano Regionale affida agli ambiti territoriali obiettivi di carattere generale decisivi per la realizzazione di un sistema integrato di servizi, quali: - dotare tutti i territori di una rete di servizi essenziali alla quale sia garantita pari opportunità di accesso ai cittadini che vivono o lavorano nella Regione; - creare le condizioni per l’integrazione dei servizi, guardando non solo alla costruzione organica del rapporto tra sanitario e sociale, ma al più ampio sistema di welfare; - promuovere il quadro più congruo per la piena attuazione degli indirizzi della programmazione nazionale e regionale; - favorire l’esercizio associato delle funzioni sociali da parte dei Comuni ed una gestione unitaria della rete dei servizi. La Regione, inoltre, ha previsto di costituire un Fondo annuo incentivante, finalizzato a cofinanziare i progetti degli A.T. che riguardano i servizi innovativi. In ogni A.T. viene nominato un Coordinatore della rete dei servizi essenziali, scelto all’interno delle professionalità sociali. Il Coordinatore, affiancato da una struttura tecnica ed amministrativa snella, ha il compito di: - supportare i processi di gestione delle risorse; - curare la disponibilità di informazioni relative alle prestazioni ed ai servizi disponibili nell’A.T.; - facilitare i processi di integrazione; - facilitare il rapporto con le altre amministrazioni pubbliche per le attività che si rendessero necessarie;

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- collaborare alla stesura e alla realizzazione del Piano Territoriale triennale e dei piani annuali di attuazione. Ogni A.T. deve dotarsi di un Piano Territoriale. Quest’ultimo è lo strumento principale a disposizione dei Comuni per avviare nei diversi A.T. la progettazione e la realizzazione della rete dei servizi essenziali. Il P.T. ha lo scopo di illustrare la situazione della comunità, proporre gli obiettivi di promozione sociale, stabilire i modi ed i tempi della realizzazione della rete dei servizi essenziali, definire le forme di collaborazione con i soggetti privati operanti nel territorio e con gli altri soggetti istituzionali. Il Piano Territoriale è adottato mediante un accordo tra i Comuni presenti nell’ambito territoriale ed è trasmesso alla Giunta Regionale entro sei mesi dalla data di costituzione degli A.T. Il P.T. ha validità triennale e deve prevedere piani annuali di attuazione da presentare alla Regione entro il mese di febbraio di ogni anno. Gli ambiti territoriali dispongono, inoltre, del Bilancio sociale di area (B.S.A.): un altro strumento per dare sostanza alla realizzazione dei sistemi integrati di governo locale dei problemi sociali. Il B.S.A. ha lo scopo di: “[…] monitorare il comportamento dell’ambito territoriale in ordine agli obiettivi prefissati; informare sugli obiettivi sociali raggiunti; rendere comunicabili e confrontabili i risultati sociali dell’ambito territoriale; costruire una politica della qualità volta al costante miglioramento del sistema dei servizi ed interventi sociali.”48 Un altro pilastro del Piano Regionale è rappresentato dalle politiche per favorire l’integrazione socio-sanitaria. Le difficoltà di un tale processo sono bene evidenziate, ma vengono anche indicati i mezzi per farvi fronte. Gli estensori del Piano sottolineano, infatti, che “[…] l’integrazione non si realizza spontaneamente per decreto; anzi il processo comporta una perdita di gradi di libertà a carico dei soggetti e delle componenti che si devono integrare, (…), occorrono volontà, regimi e titolarità decisionali, che definiscono obiettivi e mobilitino su questo i settori dell’offerta, favorendone e imponendo loro traguardi progressivi di integrazione”49 In particolare, sono stati individuati tre campi principali nei quali attuare l’integrazione: 1. Interventi socio - assistenziali a basso impegno sanitario, finalizzati al raggiungimento di obiettivi di natura sociale, educativa, assistenziale, la cui competenza istituzionale e finanziaria è dei Comuni; 2. Interventi sanitari a basso impegno socio - assistenziale, finalizzati alla prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione individuate nei Piani Sanitari Nazionale e Regionale. La competenza istituzionale e finanziaria è del Fondo Sanitario Nazionale; 3. Interventi socio – sanitari ad elevata integrazione o ad alta integrazione socio - assistenziale, finalizzati al raggiungimento di obiettivi di natura sociale, educativa, assistenziale, atti a rimuovere o ridurre le condizioni di dipendenza derivate da stati patologici a rischio o da menomazione permanente sia fisica che psichica. La competenza gestionale spetta alle Aziende USL, mentre il finanziamento è a carico del Fondo Sanitario Nazionale, con la compartecipazione degli Enti locali. Un importante obiettivo che la Regione intende perseguire è quello di avviare la riorganizzazione della Rete dei servizi essenziali. La scelta di articolare il sistema dei servizi socio-assistenziali in forma reticolare ne determina anche l’alto grado di apertura verso l’esterno. Nel Piano, infatti, si fa esplicito riferimento alla necessita che la Rete si avvalga della collaborazione delle risorse informali della comunità, delle reti familiari e parentali, delle famiglie affidatarie, nonché ovviamente del terzo settore, senza scordare altri servizi pubblici (sanitari, scolastici, formativi), sino alle risorse di mercato. Le funzioni a cui la Rete deve assolvere sono: Funzioni di mediazione, ovvero risolvere i problemi di comunicazione/accesso tra l’individuo, il suo ambiente e le componenti istituzionali e di mercato; Funzioni di integrazione - supporto, ossia l’integrazione delle risorse autonome dell’individuo ove siano valutate insufficienti; Funzioni di abilitazione - riabilitazione, ovvero gli interventi volti a favorire un pieno e corretto utilizzo delle risorse dell’individuo. All’interno di ogni A.T., la Rete dei servizi essenziali deve strutturarsi nelle seguenti cinque aree organizzative delle prestazioni: - Ufficio di promozione sociale (per bacini di popolazione di 10.000-15.000 abitanti), che ha lo scopo di raccordare la popolazione locale con la Rete; - Servizi a domicilio, - Servizi semi-residenziali; - Servizi residenziali (residenze alberghiere, case famiglia, gruppi appartamento, residenze protette); - Interventi per l’emergenza. Al fine di costruire il sistema a rete, sono state fissate le scelte strategiche che, secondo le intenzioni della Regione, dovranno contribuire a ridurre gli elementi di discontinuità. Il primo nodo da sciogliere è quello di avviare un processo che permetta di ridisegnare il sistema formativo. Occorre, infatti, identificare e definire le figure professionali necessarie per condurre a regime la rete dei servizi. Tale operazione è possibile solo attraverso la sperimentazione e la reale co-progettazione degli interventi all’interno degli A.T.. La seconda scelta strategica riguarda la collaborazione tra soggetti pubblici e terzo settore. Il Piano riconosce la necessità di costruire delle regole che permettano la crescita di questa collaborazione, in modo da garantire un arric-


chimento dell’offerta, assicurando prestazioni di elevata qualità. L’ultima scelta strategica concerne la creazione di un sistema di qualità. Il settore pubblico resta, ovviamente, garante della qualità del sistema e dovrà farsi carico di assicurare: - la qualità del fornitore; - la qualità del servizio; - la qualità dell’intervento; - la qualità dei processi formativi. Nella valutazione della qualità, il Piano raccomanda di evitare ogni rischio di autoreferenzialità, privilegiando il punto di vista dei cittadini - utenti. Allo scopo di favorire la crescita e l’efficacia del sistema, la Regione intende fornire, attraverso il Piano, indicazioni per la sperimentazione dei progetti integrati. Una tale scelta è stata operata “[…] in quanto consente di porre a verifica i tempi di realizzazione, la correttezza e la praticabilità stessa degli obiettivi di piano, […] consentendo al tempo stesso l’elaborazione di strumenti e modelli in grado di fornire risposte ad alcuni problemi più urgenti nella situazione regionale.”50 Ancora una volta si ribadisce che la costruzione del sistema dei servizi e degli interventi sociali dipende in larga misura dalle risorse e dalle capacità progettuali locali. Saranno, infatti, le comunità locali le protagoniste della sperimentazione di soluzioni organizzative capaci di fornire risposte adeguate a determinati problemi sociali. Nella fase di avvio, la sperimentazione sarà effettuata solo in alcune aree di intervento, che necessitano delle risposte più urgenti: - Anziani: sostegno alle famiglie degli anziani con problemi di non autosufficienza; - Adolescenti (13-18): facilitare la socializzazione; - Handicap: facilitare l’inserimento lavorativo. L’architettura di gestione e programmazione dei servizi socio-assistenziali è, in tal modo, caratterizzata da una Regione che, una volta fissati i principali obiettivi da raggiungere, lascia il centro della la scena ai Comuni e attribuisce agli ambiti territoriali un ruolo di raccordo. I Comuni, infatti, sono responsabili della rete e della programmazione dal basso, tramite i P.T., e hanno il compito, partendo dall’analisi delle carenze del sistema dei servizi e dai bisogni sociali delle comunità locali, di individuare, insieme agli altri soggetti, pubblici e privati, dell’ambito territoriale, le priorità sulle quali intervenire ed intorno alle quali progettare interventi innovativi. Dopo questa breve rassegna dei contenuti del Piano sociale, è opportuno tracciare un primo bilancio dell’attuazione della 328/2000. Nonostante la Regione possa essere considerata all’avanguardia nell’adempimento della riforma, non è stata ancora in grado di completare l’intero percorso previsto dalla riforma. Del resto la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali comporta una serie di interventi normativi, da parte delle Regioni, che non si esauriscono con la sola emanazione del Piano sociale. Cominciamo col dire che la Regione ha finora posto la sua maggiore attenzione alla costruzione di quelli che ha considerato i pilastri del proprio sistema di welfare. Sono infatti già stati definiti gli ambiti territoriali51 e si è provveduto ad istituire il Comitato tecnico permanente per l’attuazione del Piano Regionale52. Sono, inoltre, già stati liquidati a tutti i Comuni i fondi, in modo da permettere loro di introitarli in sede di assestamento di bilancio53. Anche se non è stato adottato uno specifico atto di recepimento per regolamentare i rapporti tra Enti locali e terzo settore, è stata approvata una legge54 che regolamenta le convenzioni. Un altro importante strumento messo in campo è l’Osservatorio regionale per le politiche sociali55, che ha lo scopo di conoscere i bisogni del territorio così da disporre dei dati e delle informazioni necessari alla costruzione del sistema informativo dei servizi sociali. Attraverso le Linee Guida56 è stato disciplinato il ruolo delle Province che, nell’ambito dell’Osservatorio regionale per le politiche sociali, devono dotarsi di Osservatori provinciali per la rilevazione dei bisogni e dei servizi sulla base delle indicazioni regionali. Mantenendo fede all’impegno, espresso nel Piano, di considerare la formazione come una scelta strategica per la costruzione del sistema integrato, la Regione ha già avviato dei corsi di formazione57 per i Coordinatori di ambito. Esistono, inoltre, una serie di provvedimenti che sono ancora in fase di stesura. Quali, in particolare, il progetto di legge “Disciplina in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture sociali a ciclo residenziale e semiresidenziale”, la bozza di “Atto di indirizzo e coordinamento sulla rete dei servizi essenziali di assistenza sociale”, la bozza di “Atto di indirizzo e coordinamento sui criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni sociali” ed la stesura di “Linee Guida per la sperimentazione degli Uffici di promozione sociale” che assolveranno anche al ruolo di uffici di tutela degli utenti. Infine, è stato istituto un gruppo di lavoro che ha il compito di definire i requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni. Tra gli adempimenti cui ancora non si è provveduto si segnalano: la disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi, l’istituzione dei registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali, la definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni. In conclusione, possiamo affermare con certezza che la Regione Marche ha messo in campo un notevole impegno per costruire un sistema integrato dei servizi sociali. Certamente, i problemi che attendono ancora una soluzione non mancano, ma in termini di efficienza di processo e di coerenza con i principi ispiratori della riforma nazionale appare evidente che sia stato raggiunto un ottimo risultato. Solo quando questo processo innovatore sarà ben rodato apparirà chiaro se questa efficienza sarà anche efficace.

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Stato di attuazione della legge 328/2000 nella Regione Marche

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

D.G.R. n. 2491 del 23 Ottobre 2001 “Modalità e riparto dei fondi destinati al cofinanziamento delle spese relative alla pianificazione e gestione della rete degli interventi e servizi sociali dei Comuni associati in ambiti territoriali”. D.G.R. n. 2492 del 23 Ottobre 2001 “Criteri e modalità per il Piano di riparto e programma degli interventi e risorse finanziarie nazionali e regionali in campo socio-assistenziale anno 2001”.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

Non è stato adottato uno specifico atto di recepimento del D.P.C.M. del 30 Marzo 2001. È stata approvata la legge regionale n. 34 del 18 Dicembre 2001 “Promozione e sviluppo della cooperazione sociale” che regolamenta le convenzioni.

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

D.G.R. n. 1670 del 17 Luglio 2001: “Piano Regionale per un Sistema integrato di interventi e servizi sociali Approvazione linee guida”.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

D.G.R. n. 957 del 9 Maggio 2000 “Istituzione del Comitato tecnico permanente per l’attuazione del Piano Regionale per un Sistema integrato di interventi e servizi sociali”.

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

D.G.R. n. 337 del 13 Febbraio 2001 “Istituzione degli ambiti territoriali”. D.G.R. n. 592 del 19 Marzo 2002 “ Modifica alla DGR n. 337/2001 Istituzione degli ambiti territoriali”.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

Progetto di legge regionale “Disciplina in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture sociali a ciclo residenziale e semiresidenziale”, in discussione presso la Commissione competente. Il testo affronta solo la questione delle autorizzazioni; si sta lavorando sugli accreditamenti.


ARTICOLO

OGGETTO

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

8, comma 3 lett. m)

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

10, comma 3

11, comma 1

SITUAZIONE

Istituzione del gruppo di lavoro sulla qualità dei servizi per la definizione dei requisiti - produzione di un documento e discussione dello stesso con ricaduta su accreditamenti, professioni sociali e carte dei servizi

Stesura della bozza “Atto di indirizzo e coordinamento sui criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni sociali”, in corso di discussione.

Stesura delle linee guida per la sperimentazione degli Uffici di promozione sociale che assolveranno anche al ruolo di uffici di tutela.

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB). Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

71


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

P.d.L. regionale “Disciplina in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture sociali a ciclo residenziale e semiresidenziale”, in discussione presso la Commissione competenze.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

D.G.R. n. 2106 del 11 Settembre 2001 “Percorso formativo per i coordinatori di ambito territoriale previsti dal Piano Regionale per un Sistema integrato di interventi e servizi sociali” (percorso da avviare). D.G.R. n. 2225 del 24 Ottobre 2000: Conferimento incarico alla Coop. Sociale RES per la predisposizione e gestione di un programma di formazione territoriale per l’avvio dell’attuazione del Piano Regionale per un Sistema integrato di interventi e servizi sociali (programma concluso).

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

Deliberazione amministrativa n. 306 del 1 Marzo 2000 “Piano Regionale per un Sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000/2002”.

21, comma 1

22, comma 4

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Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

D.G.R. n. 1768 del 1 Agosto 2000 “Istituzione dell’Osservatorio regionale per le politiche sociali”. D.G.R. n. 1477 del 26 Giugno 2001: “Istituzione gruppo tecnico regionale per l’Osservatorio politiche sociali”. Decreto dirigenziale n. 58 del 28 Marzo 2001: “Affidamento della fornitura di un servizio di consulenza informatica e metodologica per la realizzazione di un progetto di ricognizione dell’offerta dei servizi sociali sul territorio regionale alla ditta Sinergia di Milano”.

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

Bozza di “Atto di indirizzo e coordinamento sulla rete dei servizi essenziali di assistenza sociale”, in corso di discussione e di confronto con il livello nazionale.


Molise Il Molise non ha ancora emanato il proprio Piano Regionale, attualmente in corso di elaborazione, e fa riferimento ad una legge di riordino delle attività socio-assistenziali58, legge regionale n. 1, che disciplina l’istituzione di un sistema organico di protezione sociale. Il provvedimento, in conformità con quanto previsto dall’allora progetto di legge nazionale, si propone di realizzare una rete integrata di interventi e servizi sociali che favorisca il benessere delle persone e delle famiglie. Facendo propri i principi di sussidiarietà verticale ed orizzontale, esso assegna agli Enti locali i compiti di erogazione, progettazione e realizzazione della rete dei servizi sociali e riconosce l’importanza dell’attività del volontariato, della cooperazione sociale e di tutti gli altri soggetti non lucrativi, nonché delle reti anche informali di auto aiuto, favorendone lo sviluppo attraverso l’agevolazione alla partecipazione ed al perseguimento delle finalità della legge. Secondo il provvedimento, le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza partecipano in via prioritaria, rispetto agli organismi di utilità sociale, alla realizzazione del sistema integrato e, purché autorizzati all’esercizio di specifiche attività socio-assistenziali, possono concorrere alla rete di protezione sociale anche i soggetti privati a scopo di lucro. La legge regionale definisce le varie tipologie di prestazione socio-assistenziale. E dispone che gli interventi vengano erogati in modo da: - favorire una distribuzione in rete, che integri i livelli di offerta delle istituzioni pubbliche e delle organizzazioni di utilità sociale; - garantire la predisposizione di progetti personalizzati, che facciano confluire servizi sociali e trasferimenti monetari in un programma unitario, volto al pieno inserimento del soggetto. Il provvedimento propone uno schema di attribuzione delle funzioni analogo a quello previsto dalla riforma assistenziale del 2000: le Regioni assolvono compiti di indirizzo e coordinamento, le Province concorrono alla programmazione degli interventi, ai Comuni, singoli o associati, spettano tutte le competenze di governo locale. Per la realizzazione dell’integrazione socio-sanitaria, la legge suggerisce l’adozione, in via preferenziale, di due forme di gestione, ritenute più funzionali e di garanzia per la salvaguardia del profilo delle attività sociali: - l’accordo di programma tra Comuni e Aziende Sanitarie, che stabilisce procedure operative e protocolli assistenziali integrati, in cui sono definite, per ciascun Ente, le prestazioni offerte, gli oneri a proprio carico, le modalità di erogazione della prestazione da parte delle diverse figure professionali e la verifica congiunta sulla qualità e sugli esiti. - la costituzione di istituzioni o di società miste di gestione tra Asl e Comuni. Il Piano triennale socio-assistenziale Regionale è lo strumento di programmazione e di governo del sistema dei servizi e della rete di protezione sociale indicato dalla legge. La Regione, tramite il Piano, provvede a definire gli indirizzi, gli obiettivi e le priorità sociali, nonché i criteri di attuazione degli interventi e le modalità di finanziamento. Attualmente, l’Assessorato alle Politiche Sociali è impegnato proprio nella predisposizione del Piano Regionale triennale, in conformità con le indicazioni della legge regionale ed in attuazione del Piano Nazionale e della Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Nelle parole di chi rappresenta il Settore Sociale della Regione: “all’interno di tale strumento di programmazione saranno ricondotte tutte le attività e le risorse, umane, organizzative, materiali, finalizzate alla promozione dei diritti sociali di cittadinanza e all’attivazione di misure mirate alla tutela delle fasce maggiormente esposte al rischio di esclusione”. Solo in questo quadro è previsto il recepimento formale delle previsioni normative contenute nella legge 328 e nei successivi provvedimenti attuativi. In riferimento allo stato di applicazione regionale della riforma assistenziale, dobbiamo quindi sottolineare come, fino ad oggi, la Regione Molise non abbia ancora provveduto a recepire le indicazioni contenute nella legge quadro e a dare concreta attuazione al sistema integrato di interventi e servizi sociali. Al momento, in attesa di portare la proposta di Piano all’attenzione delle forze sociali, per l’attivazione delle modalità di concertazione previste dalla legge 328, “la Regione sta realizzando gli interventi in materia di politiche sociali attraverso bandi annuali per l’assegnazione delle risorse”, attribuite in base a disposizioni nazionali (leggi 285/97, 104/92, 162/98, 309/90 etc.) o stanziate in conformità a norme regionali (anziani, promozione dei diritti di cittadinanza, interventi assistenziali).

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Stato di attuazione della legge 328/2000 nella Regione Molise

74

ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

Operativa. L.R. 1/2000.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

Operativa. L.R. 17/2000 (convenzioni tipo).

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

8, comma 3 lett. m)

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

No.

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

Verrà trasmessa entro i termini stabiliti.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

Elaborata una proposta di Piano sociale Regionale.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

Provveduto.

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

Inserita nella proposta di Piano sociale Regionale.

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Piemonte

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La Regione Piemonte ha avviato il proprio processo di adeguamento al dettato della legge quadro di riforma dell’assistenza sociale attraverso l’elaborazione del disegno di legge regionale n. 407, recante il “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali”59. Con tale provvedimento, la Regione si prefigge di individuare nuove modalità per la realizzazione del sistema integrato piemontese, già avviato, seppur parzialmente, grazie a precedenti leggi regionali. Dapprima il progetto di legge individua le funzioni dei soggetti istituzionali e degli altri soggetti, pubblici e privati, che concorrono alla costruzione della rete dei servizi sociali sul territorio: Regione, Province, Comuni, Asl, terzo settore ed altri soggetti privati. Poi passa ad indicare i metodi e gli strumenti della programmazione sociale. L’attività di pianificazione delle azioni viene concepita come fondata sull’analisi e sulla valutazione dei bisogni sociali delle comunità locali e sulla concertazione con tutti i soggetti presenti sul territorio. Gli strumenti della programmazione sono: - il Sistema informativo dei servizi sociali, con funzioni di conoscenza territoriale; - il Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali, finalizzato al perseguimento degli obiettivi della legge; - il Piano di Zona, lo strumento primario di attuazione della rete dei servizi sociali a livello locale. Obiettivo del sistema integrato è il perseguimento del benessere delle persone, da raggiungere attraverso l’integrazione degli interventi sociali con gli interventi sanitari e dell’istruzione, con le politiche attive della formazione, del lavoro, della casa, della sicurezza sociale e con tutte quelle politiche comunque rivolte alla prevenzione ed alla riduzione ed eliminazione delle condizioni di bisogno e di disagio. Al fine di garantire risposte omogenee su tutto il territorio regionale, il disegno di legge individua le prestazioni ed i servizi essenziali da assicurare in ogni ambito ottimale: 1. servizio sociale professionale e segretariato sociale; 2. servizio di assistenza domiciliare ed educativa territoriale e di inserimento sociale; 3. servizio di assistenza economica; 4. servizi residenziali e semiresidenziali; 5. servizi per l’affidamento e le adozioni; 6. pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari. Tali livelli essenziali devono essere recepiti dalla Giunta Regionale con apposito provvedimento, previa concertazione con i Comuni e con gli altri soggetti interessati. Gli ambiti territoriali dei distretti sanitari (o di multipli di essi) vengono identificati come gli ambiti ottimali per la realizzazione del sistema integrato. E la gestione associata dei Comuni come la forma più idonea a garantire l’efficacia e l’efficienza delle prestazioni. A tal fine, sono previste forme di incentivazione e disincentivazione finanziaria, da parte della Regione, per gli Enti che assicurino o meno la gestione associata e complessiva degli interventi. Per favorire la tutela degli utenti, il provvedimento individua i criteri per: - l’accesso al sistema integrato, realizzato attraverso una valutazione del bisogno che garantisca interventi e servizi appropriati e personalizzati; - l’adozione della Carta dei servizi sociali, strumento di salvaguardia dei diritti dell’utente e requisito necessario per l’accreditamento. Inoltre, allo scopo di qualificare il rapporto tra cittadino ed istituzioni, viene resa obbligatoria, quale parte integrante del Piano di Zona, la redazione di un piano di comunicazione sociale, che individui, oltre la Carta dei servizi, ulteriori strumenti comunicativi, per favorire la conoscenza delle attività, delle iniziative e dei servizi a disposizione dei cittadini. In questo quadro, costituisce uno strumento qualificante della comunicazione sociale, interna ed esterna, la redazione del bilancio sociale da parte degli Enti gestori istituzionali. In merito ai criteri per l’autorizzazione, la vigilanza e l’accreditamento dei servizi e delle strutture, nonché alle modalità di affidamento dei servizi alla persona, il disegno di legge fornisce criteri e principi generali, che devono trovare seguito in appositi provvedimenti della Giunta Regionale. In particolare, mentre sui criteri autorizzativi e di vigilanza la Regione può far riferimento alla normativa precedente, del tutto originale è l’introduzione del tema dell’accreditamento. Il Titolo VII del provvedimento è dedicato alle risorse umane: si sofferma sul personale dei servizi sociali e sulle attività di formazione. Dal punto di vista finanziario, la Regione istituisce il Fondo Regionale per la gestione del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali. Gli Enti gestori istituzionali, al fine di rilevare i dati relativi al rapporto tra risorse impiegate e prestazioni erogate, sono tenuti ad adottare idonei sistemi di controllo di gestione, che consentano analisi comparative di efficacia e di efficienza e costituiscano fonte informativa per la programmazione regionale. Nella parte dedicata alle politiche di promozione sociale, il provvedimento fornisce indicazione in merito ad obiettivi, finalità e servizi da garantire per ciascuna delle aree di intervento, individuate in:


- famiglie; - tutela materno-infantile; - persone disabili; - persone anziane; - altri soggetti deboli. Per rispondere alle esigenze maturate nel territorio di incoraggiamento alla partecipazione delle persone alla vita della comunità e delle organizzazioni di volontariato, il provvedimento introduce iniziative specifiche e mirate, che si configurano come previsioni di carattere innovativo e sperimentale, quali: - la promozione di attività di servizio civile volontario per i giovani e per le persone anziane; - la concessione di contributi ai Comuni e ad altri Enti pubblici perché ristrutturino propri immobili da affidare gratuitamente ad organizzazioni di volontariato per la propria sede; - l’erogazione di contributi diretti alle organizzazioni di volontariato per mutui da esse contratti per sostenere la propria attività; - la definizione di criteri per l’utilizzo da parte dei Centri di servizio dei propri fondi, secondo principi di progettualità integrata con la Regione, gli Enti locali e le realtà associative del territorio, prevedendo, in particolare, la possibilità di finanziamento diretto di progetti alle organizzazioni di volontariato e di interventi a favore delle sedi. Il disegno di legge della Regione Piemonte si configura come lo strumento di sviluppo a livello regionale della legge quadro di riforma dei servizi sociali. Nelle intenzioni dei proponenti, il provvedimento non introduce, se non in minima parte, la previsione di attività e di interventi che non siano già previsti dalla legislazione previgente, ma si pone l’obiettivo di ridisegnare le modalità per la programmazione, l’organizzazione e l’erogazione dei servizi già realizzati dagli enti locali con l’obiettivo di razionalizzare l’esistente e favorire una omogenea distribuzione dei servizi sul territorio, assicurando a tutti i cittadini livelli omogenei di prestazioni individuate come essenziali.60 Se facciamo riferimento allo stato di attuazione regionale della legge 328/00, possiamo quindi constatare che il provvedimento piemontese rappresenta il tramite per il recepimento complessivo del dettato nazionale. Il punto di riferimento obbligato per il pieno dispiegamento del sistema integrato di interventi e servizi sociali, così come disegnato dal livello centrale, sul territorio regionale. In attesa del completamento dell’iter di approvazione del disegno di legge, la Regione ha comunque operato la ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato e l’impegno contabile delle quote e risorse ricevute. Mentre è in fase di attuazione l’avvio dei corsi di formazione per il personale sociale. Disciplinati da una normativa precedente sono: i criteri per l’autorizzazione e la vigilanza (ma non per l’accreditamento) delle strutture e dei servizi ed i requisiti per il rilascio dell’autorizzazione ai servizi ed alle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale. Sono invece da attuare: la disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi e la normativa sui criteri e le modalità per la concessione dei titoli per i servizi. È già stato istituito il Sistema informativo dei servizi sociali. Sono in fase di studio i livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali. E sono in itinere la disciplina per il riordino delle IPAB e l’emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti locali e terzo settore.

Stato di attuazione della legge 328/2000 in Piemonte ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

Attuata tramite Delibera della Giunta Regionale.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

In itinere.

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

Prevista nella L.R. 38/94. Da attuare in relazione alla legge 328/00.

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78

ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

L.R. 5/2001. Disegno di legge regionale n. 407 “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali” (effettuata la consultazione dei soggetti interessati).

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Inseriti nel citato disegno di legge regionale.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

Attuato in precedenza per quanto attiene ai criteri autorizzativi e di vigilanza: D.G.R. 124-18354 del 14/4/97 e D.G.R. 83-25268. La parte rimanente è inserita nel citato disegno di legge regionale.

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

Inseriti nel citato disegno di legge regionale.

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

Inseriti nel citato disegno di legge regionale.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

Inseriti nel citato disegno di legge regionale.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

Inseriti nel citato disegno di legge regionale.

8, comma 3 lett. m)

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

L.R. 5/2001. Inseriti nel citato disegno di legge regionale.

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

Inseriti nel citato disegno di legge regionale.


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

Inseriti nel citato disegno di legge regionale.

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

Inseriti nel citato disegno di legge regionale.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

Inseriti nel citato disegno di legge regionale.

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

Bozza di disegno di legge regionale.

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

Attuata in precedenza: D.G.R. 124-18354 del 14 Aprile 1997 e D.G.R. 83-25268.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

Da attuare.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

In fase di attuazione: D.G.R. 46-5562 del 23 Marzo 2002 e D.G.R. 26-5882 del 22 Aprile del 2002.

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

Da attuare.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

Da attuare.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

Presentato il disegno di legge regionale.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

Effettuato.

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

Già avviato da tempo.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

In fase di studio.

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Puglia La Regione Puglia ha elaborato un disegno di legge regionale, “Individuazione degli ambiti territoriali e disciplina per la gestione associata dei servizi socio-assistenziali - Disciplina delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di servizi sociali da parte degli enti locali”61, che si propone di attivare la procedura necessaria per pervenire all’individuazione degli ambiti territoriali ed alla disciplina della gestione associata degli interventi socio-assistenziali. Dal 1999, lo Stato esercita, nei confronti della Regione, i poteri sostitutivi in materia di servizi sociali, a norma dell’art. 4, comma 5, della legge n. 59, approvata il 15 Maggio del 1997. Il mancato rispetto del termine fissato, dalla suddetta legge, per definire l’attribuzione agli Enti locali delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia sociale ha infatti indotto il Governo ad intervenire, emanando il decreto legislativo n. 96 del 30 Marzo 1999, con il quale sono state individuate le funzioni amministrative di competenza degli Enti locali e le funzioni riservate alla Regione. In particolare, il provvedimento Governativo ha attribuito le attività di programmazione, coordinamento e verifica alla Regione. Ha assegnato la generalità delle funzioni amministrative ai Comuni. E ha riservato alle Province l’attività relativa alla promozione ed al coordinamento operativo dei soggetti e delle strutture che agiscono nell’ambito dei servizi sociali, con particolare riguardo alla cooperazione sociale, alle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ed al volontariato. Le disposizioni del decreto legislativo hanno efficacia sino all’entrata in vigore della legge regionale, la cui approvazione si rende quindi necessaria, anche al fine di garantire l’attuazione della legge nazionale sull’assistenza. L’iniziativa legislativa regionale si articola in due Titoli. Il primo riguarda in modo specifico gli ambiti territoriali e la gestione associata dei servizi da parte dei Comuni. Il secondo tratta delle funzioni e dei compiti amministrativi, in materia di servizi sociali, di competenza degli Enti locali. Gli ambiti territoriali corrispondono alle singole circoscrizioni delle Province della Puglia. E la gestione associata dei servizi socio-assistenziali è esercitata dai Comuni appartenenti allo stesso distretto socio-sanitario di ciascun ambito territoriale. Alla Regione spetta, attraverso l’emanazione del Piano socio-assistenziale, la determinazione delle risorse aggiuntive da destinare ai Comuni che sono tenuti all’esercizio associato delle funzioni sociali a causa della minore dimensione demografica, nonché l’individuazione delle forme d’incentivazione alla gestione associata da parte degli altri Comuni. Il secondo Titolo disciplina le competenze degli Enti locali, in conformità con le disposizioni della legge 328/2000. Ed individua le funzioni amministrative che richiedono l’esercizio unitario a livello regionale. In materia di integrazione socio-sanitaria, possiamo far riferimento alle indicazioni contenute nel Piano sanitario regionale 2002-2004, pensate in armonia con quanto previsto dal Piano sociale Nazionale 2001-2003 e dalla legge quadro di riforma dell’assistenza 328/00. Poiché le caratteristiche demografico-epidemiologiche della comunità pugliese impongono di privilegiare forme di assistenza multidisciplinari, la Regione promuove, qualifica e sostiene l’integrazione socio-sanitaria, sul piano degli indirizzi, delle risorse, dell’organizzazione e della formazione, mediante l’elaborazione di uno specifico Programma regionale dei servizi ad alta integrazione socio-sanitaria. Tale strumento, che deve riconoscere ed agevolare il ruolo dei soggetti del terzo settore e delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, è il risultato degli accordi di programma tra le Asl ed i Comuni interessati, in materia di integrazione sociosanitaria. Appare chiaro, da quanto finora emerso, che la Regione Puglia è ben lontana dall’aver avviato un concreto processo di applicazione della legge 328/00. Il disegno di legge regionale, all’esame della competente Commissione Consiliare, rappresenta lo strumento obbligato per uscire dall’impasse determinata dall’adozione dei poteri sostitutivi e solo un timido passo verso l’avvio di un serio progetto di implementazione della riforma nazionale.

Stato di attuazione della legge 328/2000 nella Regione Puglia

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ARTICOLO

OGGETTO

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

SITUAZIONE


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Disegno di legge regionale “Individuazione degli ambiti territoriali e disciplina per la gestione associata dei servizi socio-assistenziali - Disciplina delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di servizi sociali da parte degli enti locali”, Atto n. 166/A all’esame della Commissione Consiliare competente.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

Disegno di legge regionale in via di perfezionamento.

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

Disegno di legge regionale in via di perfezionamento.

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

Disegno di legge regionale in via di perfezionamento.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

Disegno di legge regionale in via di perfezionamento.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

8, comma 3 lett. m)

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

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ARTICOLO

OGGETTO

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

SITUAZIONE


Sardegna La Regione Sardegna ha promosso attraverso il “Piano Socio Assistenziale per il triennio 1998-2000”62 un sistema organico di servizi sociali volto a tutelare il benessere fisico, psichico e sociale della popolazione, superando gli squilibri nella distribuzione delle risorse e degli interventi, sostenendo e valorizzando le risposte di solidarietà sociale, creando condizioni che favoriscano la collaborazione tra operatori ed utenti, tra comunità ed Istituzioni. Alla data di approvazione della riforma nazionale la Sardegna aveva all’attivo ben due Piani socio-assistenziali. Il primo assumeva come obiettivo di carattere generale la costruzione di un sistema socio-assistenziale, che fosse attestato non solo sul versante operativo. Si trattava, in primo luogo, di introdurre, fra gli operatori e fra i cittadini, una cultura dei servizi sociali, una consapevolezza diffusa dei fattori economici, sociali e psicologici che ostacolano la partecipazione dell’individuo alla vita sociale e l’instaurarsi di relazioni soddisfacenti. Per poi costruire, su questa base culturale, delle modalità d’intervento più incisive. Il secondo si inserisce in un contesto molto differente: ha di fronte una realtà molto ampia di servizi e di interventi che necessitano di un coordinamento e di una finalizzazione, rispetto al complesso delle priorità assunte, e di risposte puntuali, rispetto agli emergenti problemi attuativi e gestionali. Esso si configura come un “piano-strumento”, proprio per la sua scelta di formulare risposte precise, modalità attuative sufficientemente definite, proposte concrete ed attuabili, fortemente aderenti alle problematiche da regolare. Il “Piano Sociale Nazionale per il triennio 2001-2003” contiene priorità e destinatari sovrapponibili a quelli individuati dai due Piani socio-assistenziali precedentemente approvati dalla Regione, ed in particolare dal 2°Piano (1998-2000), la cui validità è stata prorogata a tutto il 2002. Il Piano Regionale definisce, in primo luogo, gli obiettivi generali, che vengono individuati nella: valorizzazione della famiglia, in quanto soggetto che eroga autonomamente servizi di cura per i suoi componenti e come partner attivo del sistema degli interventi sociali; lotta alla povertà e all’esclusione sociale, attraverso azioni ed interventi volti a promuovere l’integrazione sociale, che favoriscano: l’accesso alle risorse, alle opportunità ed ai servizi pubblici, la piena partecipazione alla vita sociale, il superamento della disuguaglianza nel godimento dei diritti fondamentali; promozione di rapporti collaborativi fra le Istituzioni ed il terzo settore nel suo complesso e nella valorizzazione delle risorse di solidarietà e disponibilità presenti nella comunità in cui si opera; ricerca di sinergie fra i servizi e le istituzioni che concorrono al benessere collettivo, con particolare riferimento al coordinamento dei servizi socio-assistenziali con i servizi sanitari, scolastici ed educativi. Gli obiettivi generali orientano il complesso delle azioni e degli interventi, la formulazione e l’implementazione dei progetti-obiettivo e delle azioni programmatiche, rappresentando il quadro di riferimento complessivo, nell’ambito del quale si formulano e si perseguono gli obiettivi specifici. I due progetti-obiettivo, che il Piano individua, sono: “Adolescenti”, le cui dinamiche e i cui conflitti sono riportati sul piano della normalità e della crescita ed affrontati attraverso un impegno comune delle famiglie, dei servizi socio-assistenziali, delle istituzioni scolastiche e culturali. Nell’ambito della condizione giovanile, considerata nel suo insieme, il Piano individua l’adolescenza, come fascia d’età che assume valenza prioritaria nella formulazione ed attuazione dei progetti, mentre il complesso delle problematiche che riguardano i giovani viene affrontato nell’ambito della specifica azione programmatica. “La tutela e la promozione della qualità della vita degli anziani”, che promuove azioni preventive volte al mantenimento di adeguati livelli di autosufficienza ed interventi di recupero e di deistituzionalizzazione. Tale progetto rappresenta e sviluppa il versante sociale di un unico progetto di intervento formulato nell’ambito del Piano sanitario e del Piano socio-assistenziale. Le azioni programmatiche previste sono rivolte a: Infanzia. L’azione è volta a sostenere i genitori nell’assolvimento dei loro compiti di cura ed educativi, nonché a promuovere misure di supporto alle famiglie in difficoltà al fine di prevenire provvedimenti di allontanamento. Nell’ambito di tale azione vengono aggiornati anche gli standard per gli asili nido. Lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Vengono considerati in particolare, sotto quest’ultimo profilo, gli interventi volti a fronteggiare gli effetti sociali di una mancata fruizione della partecipazione alle attività lavorative, di condizioni abitative inadeguate, della insufficiente istruzione, di una insoddisfacente tutela del proprio stato di salute. Aree a più alto rischio di esclusione sociale. Tale azione programmatica si affianca alla precedente, identificando come obiettivo prioritario di intervento tre aree soggettive relative a: sofferenti mentali, tossicodipendenti e portatori di handicap, obiettivo per cui è indispensabile la promozione di uno stretto coordinamento con le attività sanitarie facenti capo alle Aziende USL ed ospedaliere. Protagonismo sociale dei giovani. Quest’ultima azione programmatica rappresenta il contesto più generale nel cui ambito si colloca e si sviluppa il progetto obiettivo “Adolescenti”. Il Piano socio-assistenziale promuove una complessa ed articolata strategia di mutamento secondo specifiche linee d’intervento, correlabili, nel loro complesso, agli obiettivi generali e ad essi comuni. Tali linee percorrono

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infatti trasversalmente ogni programma e ne orientano la formulazione, l’attuazione e la valutazione, costituendo il quadro generale di riferimento operativo e metodologico, nel cui ambito possano svilupparsi le azioni settoriali rivolte ad obiettivi specifici. Le risorse finanziarie che la Regione destina agli interventi sociali ed ai servizi socio-assistenziali hanno raggiunto, nell’anno 2001, la somma di 220 miliardi di lire. Laddove i finanziamenti statali derivanti dalle leggi nazionali di settore (risorse finalizzate) e dalla legge 328/2000 (risorse indistinte) sono risultati pari, per lo stesso anno, a 45 miliardi di lire. La composizione della futura spesa sociale sarà quindi data per l’83% da risorse proprie della Regione e per il 17% da risorse di provenienza statale. Per la ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato, in attesa dell’aggiornamento della legislazione regionale e del Piano socio-assistenziale rispetto ai criteri di riparto, La Regione intende adottare un atto d’indirizzo, che consenta comunque l’utilizzo e l’assegnazione delle risorse nazionali indistinte. Da quanto fin qui emerso, da questa breve disamina delle vicende regionali in materia assistenziale, possiamo certamente affermare che la strada intrapresa dalla Regione, già precedentemente all’approvazione della legge nazionale, si ispira ad alcuni principi poi sanciti dalla riforma assistenziale e colloca il comparto sociale in una posizione di non marginalità, come dimostra anche il dato relativo alla spesa sociale. Significativo in questa direzione è il fatto che, sebbene la Sardegna possa avvalersi della competenza esclusiva in materia sociale63, la Regione intende comunque aggiornare: - la propria legislazione, alla luce di alcune importanti indicazioni provenienti dalla legge 328 (quali ad esempio il Piano di Zona e l’accreditamento degli Enti e dei servizi); - il proprio Piano Regionale, per armonizzarlo al Piano Nazionale e per intensificare e migliorare gli interventi delle azioni programmatiche. In questa prospettiva, l’Assessorato ha dato incarico alla Consulta Regionale per i Servizi Socio Assistenziali64, di formulare un documento di indirizzo per l’adeguamento della legislazione regionale e del Piano socio-assistenziale, in funzione, appunto, delle innovazioni introdotte dalla normativa e dalla programmazione nazionale. Tale documento è tuttavia ancora in via di definizione, e da esso deriveranno i conseguenti adempimenti amministrativi, legislativi e programmatici. Premesso quanto sopra, possiamo analizzare più nel dettaglio lo stato di attuazione della legge quadro 328/00 nella Regione. Sebbene la Sardegna abbia all’attivo due Piani sociali, essa fa riferimento ad una normativa ormai datata (L.R. n. 4/1988), che presenta, per alcuni aspetti particolari, delle lacune significative, per le quali si necessita di un apposito aggiornamento. La Regione è peraltro consapevole di tale situazione e ha previsto le misure da impiegare per uniformarsi agli standard nazionali. In particolare, occorre: - adottare nuove indicazioni per regolamentare i rapporti tra Enti locali e terzo settore, tenendo conto dell’atto d’indirizzo e coordinamento del Governo; - completare la disciplina del ruolo delle Province, legiferando sulle funzioni relative alla raccolta dei dati sui servizi e sulle risorse ed alla promozione di iniziative di formazione. Le Province devono inoltre cedere ai Comuni le funzioni socio-assistenziali relative ai minori ex ONMI, agli illegittimi, agli audiolesi e non vedenti; - prevedere l’attivazione delle procedure di consultazione degli EE.LL. e delle Aziende USL per verificare se gli attuali ambiti territoriali distrettuali siano ancora ottimali o vadano rideterminati; - definire legislativamente le figure sulle quali ha competenza formativa la Regione; - prevedere l’introduzione nella legislazione regionale del sistema di accreditamento delle strutture e dei servizi; - introdurre una regolamentazione più soddisfacente dei requisiti di qualità dei servizi in vista del sistema di accreditamento; - aggiornare il limite di reddito che individua il minimo vitale ed il calcolo dei redditi da considerare per stabilire lo stato di bisogno (R.M.I.). Da introdurre e disciplinare completamente, nella legislazione regionale, risultano invece: - la definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali ; - la determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe da corrispondere ai soggetti accreditati; - la disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti, nonché l’eventuale istituzione di uffici di tutela dei cittadini; - l’esercizio dei poteri sostitutivi; - l’adeguamento ai principi del decreto legislativo di riordino delle IPAB; - la disciplina delle modalità per il rilascio delle autorizzazioni all’erogazione di servizi sperimentali e innovativi; - la definizione dei livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali. Da quanto emerso appare evidente che il sistema dei servizi introdotto nella Regione necessita di una profonda revisione e di un adeguamento urgente e significativo al dettato della legge 328/00. In attesa dell’aggiornamento della legislazione regionale e dell’emanazione del nuovo Piano socio-assistenziale non è certo possibile parlare di un fedele rispetto della programmazione nazionale.


Stato di attuazione della legge 328/2000 in Sardegna ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

La Regione ripartisce agli Enti destinatari le risorse finalizzate provenienti dalle leggi nazionali di settore. È nelle intenzioni dell’Assessorato l’adozione di un atto di indirizzo, con individuazione dei criteri di ripartizione, per l’attribuzione delle risorse indistinte dello Stato.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

Regolamentati dagli artt. 41 e 42 della L.R. 4/1988. Sono da adottare nuovi orientamenti, tenendo conto dell’Atto d’indirizzo e coordinamento del Governo.

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

L’apporto del volontariato è disciplinato dall’art. 44 della citata legge regionale.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

Prevista dall’art. 17 della citata legge regionale. Le Province concorrono alla definizione ed attuazione della programmazione regionale e gestiscono le funzioni socioassistenziali di cui alla legge n. 67/93. Sono da disciplinare, con legge regionale, le funzioni relative alla raccolta dei dati sui servizi e sulle risorse, nonché alla promozione di iniziative di formazione. Le Province devono cedere ai Comuni le funzioni socio-assistenziali relative ai minori ex ONMI, agli illegittimi, agli audiolesi e non vedenti.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Previsione legislativa già contenuta nella legge regionale 4/1988. In particolare la consultazione degli EE.LL. e dei soggetti del terzo settore è prevista per la predisposizione del Piano Regionale. È istituita la Conferenza Regione - EE.LL. e la Consulta Regionale sui Servizi socioassistenziali.

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Previsti dall’art.10 della citata legge regionale. Occorre prevedere l’attivazione delle procedure di consultazione degli EE.LL. e delle Aziende USL per verificare se gli attuali ambiti territoriali distrettuali siano ancora ottimali o vadano rideterminati.

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

La legislazione regionale vigente regolamenta l’autorizzazione al funzionamento delle strutture ed allo svolgimento delle attività socio-assistenziali da parte del privato sociale e del volontariato. Occorre prevedere l’introduzione del sistema di accreditamento delle strutture e dei servizi.

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

La legislazione regionale già disciplina l’istituzione ed il funzionamento del Registro del terzo settore e dell’Albo del volontariato.

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

La legge regionale vigente, con il suo regolamento di attuazione, disciplina le modalità di organizzazione e funzionamento dei servizi e delle prestazioni. Serve una regolamentazione più soddisfacente dei requisiti di qualità dei servizi in vista dell’introduzione del sistema di accreditamento dei servizi.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

Bisogna disciplinare l’introduzione di tali criteri nella legislazione regionale.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

La legge regionale vigente, con il suo regolamento di attuazione, disciplina il concorso degli utenti al costo delle prestazioni. Occorre aggiornare il limite di reddito che individua il minimo vitale ed il calcolo dei redditi da considerare per stabilire lo stato di bisogno (R.M.I.).

8, comma 3 lett. m)

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

Di competenza dell’Assessorato del Lavoro e della Formazione professionale

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

Bisogna disciplinare l’introduzione di tali criteri nella legislazione regionale.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

Da introdurre e disciplinare nella legislazione regionale.

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

Da introdurre e disciplinare nella legislazione regionale.


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

Gli EE.LL. già beneficiano delle risorse necessarie (umane, finanziarie, patrimoniali) per la gestione dei servizi socioassistenziali.

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

La Regione ha competenza esclusiva in materia sociale ai sensi della L.C. n.3/2001. Occorre tuttavia una nuova disciplina legislativa nella materia.

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

La competenza per il rilascio dell’autorizzazione è attualmente della Regione. Occorre valutare se la competenza debba essere esercitata dai Comuni o “più opportunamente” dalle Province.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

Da introdurre e disciplinare nella legislazione regionale.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

Disciplinati dal Piano regionale socioassistenziale. Occorre definire legislativamente le figure sulle quali ha competenza formativa la Regione.

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

Il sostegno domiciliare per le persone anziane non autosufficienti è svolto diffusamente dai Comuni. Manca la collaborazione e l’integrazione con i servizi sanitari per gli interventi di Assistenza Domiciliare Integrata.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

Da introdurre e disciplinare nella legislazione regionale.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

È tuttora vigente il 2° Piano regionale socio-assistenziale. Occorre prevedere il suo aggiornamento per armonizzarlo al Piano sociale nazionale (in particolare per la previsione del Piano di Zona).

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

Da effettuare per le risorse indistinte.

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

Già attivato a livello regionale, da attivare a livello zonale e provinciale. Da introdurre e disciplinare nella legislazione regionale.

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Sicilia 65 Allo stato attuale, la Sicilia ha appena avviato il dibattito sulla riforma regionale del welfare e non ha ancora adottato nessun provvedimento formale volto all’attuazione della legge 328/2000. In attesa che la Regione provveda all’applicazione della legge nazionale, soltanto alcuni adempimenti specifici risultano coperti dalla vigente normativa regionale, peraltro ultradecennale. Parliamo, in particolare, dell’istituzione di un Registro degli Enti autorizzati alla gestione delle attività sociali (art.8, comma 3, lett. g) della legge 328/00), previsto dalla legge regionale n.22 del 9 Maggio 1986 “Riordino dei servizi socio - assistenziali in Sicilia”, e dell’esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti degli Enti locali inadempienti (8 comma 3 lett. o)), avviato ancor prima del D.lgs. 112/1998 in virtù delle peculiarità statutarie regionali.

Toscana

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Nel 1997 la Regione Toscana vara una legge66 orientata a fissare nuovi principi, obiettivi e strumenti delle politiche sociali territoriali, introducendo innovazioni di tipo concettuale ed operativo nella progettazione sociale. L’obiettivo di questo provvedimento, attuativo dei decreti così detti “Bassanini”, era quello di rilanciare la dimensione zonale, riconoscendone l’importanza ed ampliandone ruoli e responsabilità: dall’analisi del contesto sociale alla realizzazione dei progetti. Al titolo II della legge regionale si delinea un quadro in cui il ruolo dei Comuni è centrale, sia nell’ orientamento, che nella realizzazione dell’integrazione socio-sanitaria, e si sottolinea l’importanza della collaborazione e della co-programmazione degli interventi ad opera di tutti i soggetti presenti nelle comunità locali. Già in questa legge il Governo regionale identifica gli strumenti cardine della programmazione e realizzazione delle politiche sociali nel Piano Integrato Sociale Regionale (PISR) e nel Piano zonale di assistenza sociale (Piano di Zona). Date queste premesse, è evidente che la normativa regionale è risultata in buona armonia con quanto successivamente decretato dalla legge di riforma nazionale, sia con riguardo all’integrazione delle politiche socio-assistenziale con quelle di ambito sanitario, sia rispetto alla costruzione di reti integrate in cui sia attribuito un ruolo attivo e propositivo alle aggregazioni primarie dei cittadini. L’applicazione della “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, in questa Regione, si è inserita in un percorso coerente con le importanti novità, concettuali ed operative, che negli ultimi anni hanno coinvolto il settore dei servizi sociali e le politiche di welfare. Attualmente, il Governo regionale sta lavorando ad una proposta di modifica della L.R. 72/97, con l’obiettivo di emanare, a breve, un riordino complessivo della legislazione in materia, attraverso l’approvazione di un Testo Unico per le politiche sociali, che, in parte, riconfermerà i principi ispiratori e l’impianto complessivo dell’attuale normativa regionale e, in parte, svilupperà i contenuti e le novità presenti nella legge quadro 328/2000. Il modello toscano di ridisegno del sistema regionale per le politiche sociali ha vissuto una prima tappa importante con l’approvazione del Piano Integrato Sociale Regionale 200167, avvenuta ad opera del Consiglio il 5 giugno 2001. L’intento di tale Piano era quello di coordinare e razionalizzare le politiche in materia di assistenza sociale, favorendone l’integrazione con gli interventi sanitari e con le politiche che incidono sulla qualità della vita dei cittadini (educative, dell’istruzione, della formazione professionale e del lavoro, abitative). La Regione Toscana ha, quindi, preceduto l’emanazione del primo Piano Nazionale, dotandosi di un Piano con validità annuale. Ed il motivo per cui si è proceduto ad uno slittamento, di un anno, nella definizione del Piano triennale è stato quello di consentire il riallineamento, a partire dal periodo 2002-2004, della programmazione sociale con il vecchio Piano Sanitario regionale, in vigore sino al 2001. Successivamente, con la delibera n. 60, il Consiglio Regionale, in data 9 aprile 2002, approva contemporaneamente il Piano Sanitario regionale 2002-2004 (PSR) e le Linee guida per la formazione del Piano Integrato Sociale 2002-2004: atto che intende dare risposta all’obiettivo di produrre un documento programmatorio capace realmente di generare integrazione. Con l’emanazione delle Linee guida, gli amministratori regionali impostano i pilastri fondamentali del nuovo sistema di welfare e gli orientamenti delle strategie sociali, individuando, inoltre, gli strumenti operativi che vanno approfonditi ed analizzati nel prossimo Piano Regionale. Il nuovo PISR avrà durata triennale (così come il Piano Sanitario) e sarà accompagnato dal lavoro di analisi e valutazione sull’attuazione del Piano transitorio per il 2001, sia relativamente al monitoraggio delle azioni, dei progetti e dei programmi operativi approvati con la programmazione locale dello scorso anno, sia relativamente allo studio dei contenuti, della coerenza e della qualità complessiva dei Piani di Zona approvati. Con il PISR la Toscana intende riaffermare un sistema “a rete” nel quale la protezione sociale sia garantita dalla partecipazione di tutti i soggetti pubblici e privati, dalle reti informali e familiari, dalle organizzazioni del terzo settore, secondo il principio di una welfare community, che ricostruisce e rafforza i meccanismi di solidarietà, relazionalità, socialità, in un progetto complessivo di azioni per i soggetti svantaggiati.68


Il modello toscano si caratterizza quindi per una natura “solidaristica e universalistica”, più volte ribadita negli ultimi provvedimenti adottati in ambito sanitario e socio-assistenziale. Questi principi si riflettono nel processo di partecipazione alla programmazione del PISR 2002-2004, che prevede forme di concertazione con i Comuni, gli altri Enti Locali e le parti sociali e riconosce ai soggetti del Terzo settore un ruolo sostanziale in ambito locale. Questi ultimi, infatti, attraverso specifiche forme di coprogettazione concorrono, anche con proprie risorse, alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, previsti nei Piani di Zona. Già la L.R. 72/97 aveva tratteggiato un complesso di indicazioni tese a valorizzare fortemente l’apporto e la funzione del terzo settore e del volontariato nella realizzazione di politiche e servizi in tale ambito. Il PISR 2001 si sposta su un versante più operativo. Nella premessa del Piano possiamo infatti leggere: “Si pone innanzi tutto il compito di ridisegnare il ruolo del no profit nei confronti delle politiche pubbliche; va quindi verificata e percorsa, in tutte le sue articolazioni, la strada del partenariato negli obiettivi fra istituzioni pubbliche e soggetti del terzo settore, recuperando quindi alle scelte di politica sociale la funzionalità di un mercato regolato nelle sue finalità di fondo alla qualificazione e selettività funzionale nei confronti di bisogni specifici.... Si tratta di favorire processi di responsabilizzazione nella definizione degli obiettivi e nella gestione delle politiche e di garantire, conseguentemente, modalità di partecipazione, che accrescano la possibilità di intervenire nelle scelte della vita sociale”. Nelle Linee guida le reti di solidarietà, costituite dal terzo settore, si collocano nello sviluppo di politiche integrate e si sottolinea l’importanza di estendere ed approfondire alcuni ambiti della relazione pubblico/no profit, per accrescere il livello qualitativo dei servizi in Toscana. Della rete integrata fanno parte anche le IPAB, il cui riordino è una operazione inserita nel contesto della riforma dei servizi sociali che trasforma gli Enti riordinati in soggetti attivi e responsabili delle politiche sociali. Essendo il Comune l’ente titolare degli interventi di assistenza sociale, spetta alla Conferenza dei Sindaci della zona coinvolgere tutti i soggetti interessati alla costruzione del Piano (Aziende Usl, altri Enti, IPAB, rappresentanti del volontariato e del terzo settore) in un organismo politico, al quale è auspicabile affiancare una Segreteria Tecnica, a supporto e conforto delle scelte e decisioni che si devono ratificare con la redazione del Piano di Zona. Il PISR transitorio per il 2001 aveva affidato alle Conferenze dei Sindaci il compito di creare le Segreterie Tecniche, individuando, inoltre, procedure di massima e imponendo una previsione di spesa. Nel sistema operativo e decisionale costituito dai Piani, il Comune è un soggetto decisivo, sia nella fase di elaborazione, che di applicazione delle politiche sociali. Ad esso competono le funzioni amministrative per la gestione del sistema di interventi e prestazioni socio-assistenziali, nonché il compito di indicare le priorità ed i settori di innovazione, di organizzare il sistema di erogazione dei servizi, di provvedere alle autorizzazioni ed alla vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, di definire i parametri di valutazione ai fini della determinazione dell’accesso prioritario alle prestazioni e ai servizi. Dal canto suo, la Regione ha la funzione di determinare, attraverso il nuovo PISR: i criteri per l’autorizzazione e la vigilanza delle strutture e dei servizi ed i requisiti di qualità per la gestione degli stessi; i criteri per la definizione delle tariffe da corrispondere ai soggetti gestori; i criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto dei servizi; i criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni. Al contrario, già con il D.C.R. 118/2001 e con la L.R. 72/97, la Regione si è espressa in merito al ruolo della Provincia ed alla determinazione degli ambiti territoriali (coincidenti con le zone sanitarie e, ai sensi del PSR 2002-2004, con i Distretti), prevedendo inoltre incentivi a favore dell’esercizio associato delle funzioni sociali. Le linee guida pianificano la realizzazione del nuovo sistema di interventi e servizi in funzione di obiettivi strategici articolati su due livelli: il primo riguarda l’efficacia degli interventi sui bisogni dei cittadini, il secondo attiene alla qualificazione del sistema di offerta. In particolare, vengono evidenziate le finalità cui dovrà tendere il sistema integrato: - valorizzazione delle responsabilità familiari; - riconoscimento della natalità e dei diritti dei minori; - interventi per le persone anziane; - azioni di contrasto della povertà; - interventi per favorire l’inclusione delle fasce più deboli; - interventi per l’handicap (con particolare attenzione per le forme gravi), per gli immigrati, per le dipendenze, per i soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria. In ciascun settore il PISR ha il compito di indicare obiettivi e risultati attesi, ruolo degli Enti locali e della comunità, rapporti con il volontariato, politiche fiscali e tariffarie. L’ottica dell’integrazione socio-sanitaria accompagna l’intera azione programmatoria sanitaria e sociale. Gli amministratori regionali si mostrano così consapevoli del fatto che essa è sempre più determinante per affrontare bisogni complessi che richiedono: unitarietà di intervento, progetti personalizzati, continuità assistenziale, valutazione multiprofessionale del bisogno, condivisione degli obiettivi, progettazione integrata delle risposte, valutazione partecipata degli esiti. L’obiettivo prioritario delle azioni finalizzate all’integrazione è quello di ridefinire l’assetto complessivo dei servizi ad alta integrazione, per promuovere una chiarezza di rapporti, sia in termini di responsabilità che di risorse, tra i soggetti istituzionali interessati.

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In particolare, nel nuovo PIRS, in connessione con le indicazioni per l’integrazione socio-sanitaria contenute nel PSR, devono essere definiti: il processo di concertazione tra i soggetti istituzionali coinvolti; i livelli di assistenza socio-sanitaria per le aree ad alta integrazione; i principi che orientano le modalità di erogazione dell’assistenza socio-sanitaria; gli indirizzi strategici per gli interventi socio-sanitari integrati. Proseguendo oltre nell’analisi delle linee guida, è possibile trovare ulteriori indirizzi che caratterizzano l’impostazione del ridisegno del sistema di welfare toscano: l’indicazione dei livelli essenziali di assistenza, la sperimentazione di mutualità integrativa nell’assistenza socio-sanitaria; un’attenzione particolare alla qualità dei servizi erogati; la scelta verso specifici strumenti di tutela e partecipazione dei cittadini (le «carte di cittadinanza»); l’importanza della comunicazione sociale; l’individuazione di nuovi profili professionali; la sinergia con il sistema delle università toscane. Nell’ultima parte delle linee guida viene affrontata la questione relativa all’Osservatorio sociale regionale. Esso è finalizzato all’analisi e previsione dei fenomeni sociali e rappresenta uno strumento fondamentale per la realizzazione di un sistema di programmazione e valutazione degli interventi nel settore. Le funzioni dell’Osservatorio si svolgono in stretto rapporto con tutti i soggetti del sistema, siano essi istituzionali (principalmente i Comuni), afferenti al processo di programmazione (le Conferenze zonali e le Segreterie tecniche incaricati delle attività di supporto alla programmazione zonale), appartenenti a tutti i livelli di organizzazione territoriale o relativi al terzo settore. La costruzione, prevista dall’art. 21 della L. 328/2000, del Sistema informativo dei Servizi sociali (SISS) trova nell’approccio conoscitivo processuale proprio degli osservatori il terreno ideale per il suo sviluppo, con la creazione di un network che colleghi tutti gli operatori coinvolti. Il Sistema Informativo Sociale Regionale, già precedentemente attivato in Toscana, sta vivendo un’ulteriore fase di implementazione, svolta in più momenti, al fine di ottemperare ad esigenze diverse e per conseguire obiettivi connessi sia all’attuazione del SISR, sia alla predisposizione degli strumenti necessari per governare lo stesso sistema: dalle azioni di promozione, allo sviluppo dei processi di programmazione, di verifica e controllo. “Con il PISR il Sistema Informativo Sociale Regionale si porrà come un insieme organizzato e coerente di tecniche e di procedure per conoscere, monitorare e governare il sistema dei servizi e delle opportunità per il benessere e l’inclusione sociale degli individui e delle famiglie, strutturando un processo di raccolta sistematica di informazioni, che aumenti le capacità decisionali dei diversi attori coinvolti nel processo di realizzazione dei servizi sociali e che promuova l’insieme delle attività valutative esistenti all’interno di ogni processo decisionale”69. Passando, in conclusione, ad una valutazione complessiva dell’operato regionale, possiamo affermare che la Toscana risulta indubbiamente una delle Regioni italiane ad aver meglio tradotto i principi della legge quadro sul proprio territorio. Essa si trova molto avanti, rispetto ad altre Regione, nell’attuazione della legge 328/00, avendo già realizzato la maggior parte delle azioni di sua competenza e soprattutto avendo già approntato l’operazione di riordino complessivo della legislazione regionale in materia di politiche sociali.

Stato di attuazione della legge 328/2000 nella Regione Toscana

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

Realizzato. D.C.R. 118/2001. In corso di realizzazione per il 2002.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

Realizzato. D.C.R. 199/2001.

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

Realizzato. D.C.R. n. 118 del 2001.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

Realizzato. L.R. 72/1997 e D.C.R. 118/2001.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Realizzato. D.C.R. 118/2001.


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Realizzato. D.C.R. 118/2001.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

In corso di realizzazione.

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

In corso di realizzazione.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

Avviata fase sperimentale.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

In corso di realizzazione.

8, comma 3 lett. m)

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

Realizzato. D.C.R. 118/2001. Ulteriori fasi in corso di realizzazione.

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

In corso di realizzazione.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

Attività prevista. L.R. 72/1997.

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

In corso di realizzazione.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

Accordo definito con soggetti istituzionali.

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

In corso di realizzazione.

In corso di realizzazione.

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

Realizzato. L.R. 72/1997.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

Realizzato.

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

In predisposizione.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

Sarà realizzato a conclusione della fase sperimentale.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

Realizzato.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

Realizzato al 100%.

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

Realizzato e in corso di ulteriore implementazione.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

Avviata fase sperimentale.

In corso di realizzazione.

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Provincia Autonoma di Trento 70 Nella Provincia Autonoma di Trento i servizi socio-assistenziali sono attualmente disciplinati dalla L.P. 12 luglio 1991, n.14. Legge che, oramai da 10 anni, si occupa di regolare il sociale di questa Provincia. Con i cambiamenti intervenuti nel panorama normativo nazionale dell’assistenza, in seguito all’emanazione della legge quadro ed all’approvazione del primo Piano Sociale Nazionale, la provincia di Trento si trova a doversi quanto meno confrontare con le nuove linee nazionali di politica sociale ed assistenziale. La legge 328/00, pur non trovando diretta applicazione nelle Regioni e nelle Province a statuto speciale, costituisce per esse una guida, tanto per la produzione normativa, quanto per la progettazione di azioni capaci di innovare il sistema complesso dei servizi sociali, sanitari ed assistenziali. In questo scenario, la Provincia di Trento sta elaborando uno schema di disegno di legge di riordino del sistema integrato dei servizi sociali, sul quale è stata avviata la consultazione con i diversi soggetti interessati e che a breve, scrive la Dirigente del Servizio Attività Socio-Assistenziali, verrà sottoposto alla Giunta Provinciale e poi al Consiglio per l’approvazione. Nell’attesa, è possibile ricavare alcuni importanti riferimenti, relativi agli interventi di riforma che la Provincia di Trento perseguirà nel prossimo futuro, dalla lettura del “Piano sociale e assistenziale per la provincia 2002-2003: linee guida e misure attuative”, D.G.P. n.581, approvato il 22 marzo 2002. La stesura di questo documento ha rappresentato per gli Amministratori provinciali un primo momento di condivisione e di sperimentazione di forme partecipative allargate, che, come si legge nell’introduzione dell’Assessore alle Politiche Sociali: “dovranno guidare in modo costante la programmazione sociale nella convinzione che solo attraverso il coinvolgimento delle risorse della comunità possono essere realizzate politiche sociali complessive e volte a prevenire le situazioni di bisogno ed attuare risposte efficaci ai fini dell’integrazione sociale della persona”. Sussidiarietà verticale, partecipazione, interazione e condivisione sono, dunque, i principi che, anche in Provincia di Trento, guideranno la realizzazione degli interventi e la programmazione sociale, conciliando il quadro legislativo provinciale con le linee di indirizzo nazionali, per rendere operativa anche in questi territori la legge 328/00. Il Piano condivide gli orientamenti contenuti nella “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, impostando, coerentemente con questa, le proprie linee direttrici e le metodologie che modificheranno, pur in continuità con le disposizioni previsti dalla legge provinciale 14/91, il modello di governo delle politiche sociali sul territorio. E’ in tale prospettiva che nel Piano vengono delineate una serie di azioni e interventi di riforma. Un primo gruppo di misure riguarda i rapporti tra centro e periferia. Il concetto che sottostà alle indicazioni contenute in questa parte del documento programmatico è quello della prossimità dei servizi ai cittadini, intesa non tanto in senso spaziale, quanto come capacità di analisi e risposta ai bisogni. La questione che si apre per la Provincia autonoma di Trento, similmente a quanto avviene in quella di Bolzano, è dunque quella della precisa delimitazione delle competenze dei diversi attori istituzionali coinvolti nella definizione, gestione e attuazione delle politiche sociali. Già nella L.P. 14/91 si era proceduto nei territori di Trento alla delega ai Comuni di gran parte delle funzioni socio-assistenziali. Questo percorso vive ora la necessità di una nuova fase di decentramento delle competenze verso i Comuni o gli aggregati di Comuni (attualmente i Comprensori), tale da non comportare una frammentazione delle responsabilità, ma da definire un modello gestionale in cui: “alla amministrazione provinciale spetterà la programmazione generale, l’attività di impulso e stimolo, l’attività di formazione e aggiornamento degli operatori, l’attività di verifica e valutazione delle politiche sociali, mentre la programmazione locale, la gestione e l’attivazione degli interventi sarà compito e responsabilità degli enti territoriali, in particolare dei Comuni”. Perché questa parte del documento programmatorio trovi rapida realizzazione, la Provincia pone tra le sue priorità la definizione degli ambiti territoriali, coincidenti per sanità e politiche sociali, e l’individuazione delle responsabilità e delle competenze dei Comuni. Nella prima parte del Piano sociale ed assistenziale l’accento è posto sulle attività di programmazione, queste non devono essere concepite come azioni normative imposte dall’alto, ma devono essere il risultato di un’azione integrata tra centro e periferia. In altre parole, la definizione precisa dei distinti livelli di responsabilità dei soggetti coinvolti nelle attività di pianificazione risulta indispensabile ai fini di una loro convergenza in un sistema in cui l’analisi dei bisogni (ad opera degli enti gestori) dovrà precedere in modo sistematico ed organico il processo di presa di decisioni relativo alla destinazione e all’allocazione delle risorse, valorizzando così, nella fase di costruzione dei documenti di Piano, la collaborazione e l’interscambio tra il centro e la periferia. Gli strumenti focali per la costruzione di politiche sociali che seguano il principio di sussidiarietà verticale ed orizzontale sono individuati, in linea con la normativa nazionale, nel Piano Provinciale e in quello territoriale (di Zona), legati da un rapporto di complementarità in cui il primo rappresenta lo scenario a cui i secondi si conformano, mentre solo attraverso la capacità dei secondi di interpretare il territorio è possibile modellare la politica provinciale in modo organico e dettagliato. Da qui l’importanza, a più riprese sottolineata nel Piano, del coinvolgimento nella progettazione e nella realizzazione dei programmi anche delle realtà associative e territoriali, nel rispetto delle responsabilità e delle competenze istituzionali. Emerge cioè, nelle prospettive tracciate dal Piano, un ruolo dell’Ente pubblico ridefinito ed un aggiornamento del sistema di relazioni tra questo e il privato sociale ridisegnato in base alle priorità e agli obiettivi del processo di riforma del welfare. La precisazione del rapporto pubblico-privato ha l’obiettivo di garantire un’obiettiva corrispondenza tra caratteristiche del contraente, qualità dei prodotti offerti, coerenza con gli obiettivi della programmazione sociale, trasparenza della contrattazione e valutazio-

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ne delle prestazioni contrattate. A fianco degli strumenti prettamente programmatici, nel Piano Provinciale ne sono previsti altri le cui funzioni sono mirate ad aumentare la qualità, l’efficacia, l’efficienza e l’aderenza ai bisogni reali delle politiche e dei servizi sociali provinciali. In quest’ottica, nel Piano sociale e assistenziale per il 2002-2003 sono fissate tra le priorità molte modifiche e migliorie dell’organizzazione e dell’architettura della rete integrata dei servizi. Primo fra tutti lo sviluppo del Sistema informativo provinciale, strumento centrale per le attività di programmazione, controllo, monitoraggio e gestione dei servizi erogati, ma anche fonte indispensabile per la conoscenza e l’analisi dei bisogni. Collegato al Sistema statistico-informativo, da un lato, e agli Enti gestori dall’altro, è, inoltre, previsto l’Osservatorio provinciale sulle politiche sociali, che verrà costituito a Trento entro il 2003. Un altro aspetto ritenuto fondamentale per qualificare le politiche sociali consiste nel crescente sostegno a forme di organizzazione capaci di rispondere ai processi di mutamento dei bisogni sociali, assistenziali e sanitari, che inevitabilmente si fanno più complessi, rendendo necessaria la messa a punto di nuove tecniche e modalità di gestione. Di riflesso a questa esigenza, gli Amministratori provinciali dedicano una buona parte del Piano alla descrizione di quelli che dovranno essere gli obiettivi e le modalità di lavoro ed organizzazione dei servizi da conseguire nel prossimo biennio, all’interno di un disegno di razionalizzazione delle risorse. Le misure di attuazione previste nel Piano trovano una radice comune nel riconoscimento della centralità della risorsa umana: “sono gli operatori dei servizi la risorsa principale su cui investire per lo sviluppo dei processi organizzativi”. Nella consapevolezza di ciò, la Provincia ha provveduto a modificare i criteri per la definizione delle piante organiche della struttura organizzativa per la gestione tecnico-amministrativa dei servizi a livello territoriale, modificando il numero e, in alcuni casi, le funzioni di alcune figure che compongono le équipe interprofessionali (educatore professionale, assistenti sociali, operatori sociali ed assistenziali, personale amministrativo con l’inserimento di figure di staff di supporto al responsabile di struttura). L’equipe interprofessionale è un elemento costitutivo dei servizi socio-assistenziali trentini già dal 1991 (L.P. 14/91), ma i cambiamenti intervenuti nella struttura dei bisogni ed anche nello scenario normativo nazionale impongono un completamento di queste strutture con l’attuazione di équipe multidisciplinari, che tengano cioè conto della necessità di erogare servizi integrati. Con questo Piano, la Provincia ribadisce come l’integrazione rappresenti un momento cruciale per riuscire a riportare il concetto di persona al centro delle politiche sociali. Principio base della legge quadro, l’integrazione, sia socio-sanitaria che territoriale, rappresenta la risposta al bisogno, la cui natura è complessa e intimamente e inderogabilmente personale. A partire da questa constatazione, la Provincia di Trento, dopo aver individuato le aree a elevata integrazione, prevede nel Piano una serie di misure attuative che tendono ad un integrazione distinta in quattro livelli (istituzionale, gestionale e professionale, ai quali affianca quello territoriale). Derivante dalla duplice necessità di sostenere il processo di riforma in atto nelle politiche di welfare provinciale e nazionale e di innalzare il livello dell’efficienza e dell’efficacia dei programmi di intervento, gli Amministratori provinciali prevedono di progettare le attività di formazione e aggiornamento su due livelli. Un primo in cui saranno collocati gli interventi a sostegno delle attività di gestione e quelle legate ai problemi di qualificazione del personale operante all’interno dei servizi socio assistenziali. Ed un secondo in cui saranno previsti una serie di interventi, rivolti ai soggetti coinvolti nel processo di riforma, che dovranno sostenere il processo di transizione. Per quanto riguarda infine la tutela e la promozione dei diritti dei cittadini, nel documento programmatico si fa riferimento ad una serie di strategie che dovranno “garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza”, ponendo il cittadino, con le proprie reti comunitarie e familiare, in una posizione attiva nel proprio processo di cura e di assistenza. Nell’ambito, dunque, delle politiche di tutela e partecipazione dei cittadini, la Provincia si propone di dar vita ad una serie di iniziative: riorganizzazione del segretariato sociale, adozione di un nuovo schema di Carta dei Servizi, verifica e promozione di questa ai cittadini, istituzione di punti reclami e proteste collegati al Sistema informativo provinciale. Alla parte del documento programmatico dedicata all’individuazione delle aree di bisogno (Famiglia, Minori, Adulti, Anziani, Handicap, Immigrazione) segue una ricognizione delle risorse strutturali e finanziarie attribuita a ciascuna di queste, corredata inoltre di una serie di indicazioni programmatiche in merito all’articolazione ed allo sviluppo delle diverse tipologie di servizio. Dall’analisi delle Linee guida che indirizzeranno le politiche sociali nel prossimo biennio è evidente che la Provincia di Trento si trova ad un buon punto nel cammino di adeguamento della propria normativa e di applicazione della 328/00. Oltre al lavoro che in questi territori si sta facendo per la messa a punto di una legge di riordino coerente con le specificità territoriali e con gli indirizzi della legge quadro nazionale, la Provincia ha infatti emanato alcune disposizioni per: - l’esercizio delle funzioni socio-assistenziali delegate ai comuni in forma associata (regolamento tipo struttura preposta alla gestione tecnico-amministrativa dei servizi socio-assistenziali; criteri per la definizione delle piante organiche; ambiti territoriali; èquipe interdisciplinari; determinazioni per l’erogazione dei servizi e delle prestazioni ed il concorso alla spesa per la relativa fruizione); - l’attuazione degli interventi attraverso convenzioni con soggetti pubblici e privati; - l’istituzione del registro dei soggetti privati idonei al convenzionamento; - l’effettuazione del confronto concorrenziale nei casi in cui sia necessario individuare tra più soggetti quello a cui affidare l’attuazione degli interventi; - le disposizioni per l’autorizzazione al funzionamento delle strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie a carattere semiresidenziale e residenziale; - la realizzazione di un Sistema informativo socio-assistenziale nell’ambito del Sistema informativo provinciale.


Umbria Il Piano sociale 2000-2002 della Regione Umbria, approvato il 20 Dicembre del 199971, ha anticipato, per alcuni aspetti fondamentali, la riforma nazionale dell’assistenza, allora in discussione in Parlamento. Frutto dell’iniziativa regionale, il Piano non propone una semplice riorganizzazione dell’esistente, ma reinterpreta le politiche sociali, in direzione di un potenziamento del welfare locale. La sfida che esso si pone è di recepire le trasformazioni della domanda sociale, traducendole in proposte di innovazione concrete e di medio periodo. Partendo dall’identificazione di alcune aree problematiche, il Piano triennale stabilisce gli assi portanti della programmazione regionale ed individua le azioni strategiche da attivare. La realizzazione di un nuovo sistema di interventi e servizi sociali viene pianificata in funzione di quattro principi fondamentali. 1. Promuovere un welfare della normalità. Rifiutando un’impostazione “minimalista” o “assistenzialista”, secondo la quale i servizi sociali vanno organizzati esclusivamente per dare risposta alle patologie più evidenti o alle situazioni di non autosufficienza, la Regione riconosce che, nella società attuale, la condizione del disagio si estende al di là delle aree tradizionali, fino ad investire potenzialmente ogni singolo cittadino. La sfida della “normalità” costringe quindi il sistema dei servizi ad andare oltre le consuete forme di intervento, pensate per affrontare le situazioni del disagio conclamato, e a ripensare la propria organizzazione, potenziando le funzioni di ascolto, consulenza, orientamento, accompagnamento, mediazione, supporto ed attivazione/promozione delle risorse comunitarie. 2. Garantire omogeneità di trattamento e pari opportunità, indipendentemente dal luogo di residenza e di lavoro. Il Piano si propone di annullare lo squilibrio territoriale nell’articolazione dei sistemi locali di welfare. L’intenzione è di creare una rete di servizi essenziali che assicuri, in ogni unità territorialmente significativa, un livello di intervento di pari efficacia e qualità. 3. Favorire la realizzazione di una comunità solidale. Tutte le azioni devono essere pensate per ridurre il disagio, senza attivare circuiti di dipendenza assistenzialistica. La Regione tende quindi a privilegiare i servizi, rispetto ai trasferimenti monetari, ed a inquadrare quest’ultimi, quando necessari, in un programma volto al pieno inserimento del soggetto. Lo scopo è di promuovere un’organizzazione sociale che si prenda cura dei suoi membri, attraverso uno scambio intenso e continuo tra reti informali e reti formali, tra le risorse famigliari-parentali, quelle della comunità e quelle dei soggetti pubblici. 4. Operare con una logica di innovazione. La Regione si impegna a realizzazione un alto livello di innovazione nella pratica e nella tradizione del sociale, da raggiungere attraverso il superamento della logica dello sportello o della logica riparatoria, attivata solo nel caso di disagio conclamato e manifesto. Il concreto perseguimento degli obiettivi prefissati comporta l’individuazione delle azioni strategiche da attuare. In questa direzione, il Piano indica due percorsi principali: la promozione ed il sostegno del terzo settore; la riforma dei profili professionali e dei percorsi formativi. In linea con quanto successivamente stabilito dalla legge 328/2000, il Piano definisce, in accordo con il Consiglio Regionale delle Autonomie, gli ambiti territoriali, favorendo la loro coincidenza con i distretti sanitari. La scelta di individuare 12 ambiti ottimali non si configura come una scelta di ingegneria istituzionale, ma rappresenta, al contrario, una precondizione per il raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio ed equità territoriale dell’offerta. La presenza in Umbria di molti Comuni di piccole e piccolissime dimensioni, pur consentendo di avvantaggiarsi di una rete di relazioni e legami comunitari, costituisce un ostacolo alla realizzazione di servizi ed interventi caratterizzati da una notevole complessità gestionale. L’ambito territoriale viene così a rappresentare la dimensione di riferimento delle politiche sociali ed il livello della programmazione, attuazione e valutazione del nuovo sistema di interventi e servizi a rete. Per incentivare l’esercizio associato delle funzioni sociali e promuovere forme di raccordo e di collaborazione fra i Comuni dello stesso ambito territoriale, il Piano individua lo strumento/risorsa del Promotore sociale. La Regione può mettere a disposizione di ogni ambito territoriale questa figura professionale, scelta ovviamente dai Comuni, assumendone parzialmente o totalmente i costi per il periodo di validità del Piano Regionale (tre anni). Sempre nel quadro di una incentivazione della collaborazione fra Enti locali, il Piano individua nelle Province il livello amministrativo in grado di fornire, ai Comuni che lo richiedano, i supporti necessari alla realizzazione di progetti sociali a scala sovracomunale. All’interno degli ambiti territoriali indicati, la Regione propone un welfare a cinque livelli, che permetta di affrontare l’intera complessità dei bisogni del territorio, fornendo risposte articolate a condizioni di disagio di diverso peso. Per ciascuno di questi livelli, il Piano individua delle specifiche tipologie di intervento, che costituiscono la dotazione dei servizi essenziali per area di welfare e per ambito territoriale. In particolare, da un lato definisce tipologie di servizio innovative, indicandone destinatari, contenuti, modalità organizzative e dotazioni professionali, dall’altro procede alla ricollocazione delle prestazioni già esistenti, selezionando i loro punti di criticità e suggerendo percorsi di adeguamento. 1. Welfare leggero. La prima categoria di interventi prende in considerazione il disagio della vita quotidiana. Essa è finalizzata a comprendere le ragioni del malessere sociale e a favorire azioni di ascolto ed orientamento delle persone e delle famiglie nel sistema del welfare. Come servizio innovativo, caratteristico di quest’area, viene individuato

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l’Ufficio della cittadinanza. Composto da un team di professionalità diverse ed integrabili, esso si pone a garanzia del diritto all’informazione ed all’autodeterminazione. E svolge una funzione di supporto alle persone ed alle famiglia, attraverso postazioni capillarmente diffuse, e all’occorrenza mobili, sul territorio. 2. Welfare domiciliare e di supporto familiare. La seconda tipologia di interventi, fornendo appoggio e soccorso al nucleo famigliare di appartenenza, mira a rafforzare, per tutti i cittadini, la possibilità di restare nel proprio spazio abitativo. Essa si propone di garantire un efficace funzionamento delle cosiddette “reti corte”, potenziando le competenze e le responsabilità del sistema famiglia. Nell’ottica di un adeguamento delle prestazioni già esistenti, il Piano individua nel prestito d’onore un’innovazione del tradizionale intervento di sostegno economico. Il fine è di mettere in campo nuove opportunità, che possano meglio corrispondere all’emergere di nuove esigenze. 3. Welfare comunitario. Il terzo gruppo di interventi ha come obiettivo l’attivazione di percorsi di socializzazione comunitaria del lavoro di cura e delle pratiche connesse con l’inserimento. Attraverso la creazione di luoghi ed opportunità di relazione, esso mira a favorire azioni sociali diffuse, volte a stimolare e rendere funzionanti forme più ampie di solidarietà. Rientrano in questa categoria vari tipi di assistenza, che vanno dall’attivazione di forme di reciprocità all’offerta di soluzione abitative. Ne sono un esempio le Banche del tempo, le case di quartiere, i servizi per l’cccupabilità delle fasce deboli, i gruppi appartamento. 4. Welfare residenziale e semiresidenziale. Appartengono alla quarta area di welfare le strutture di tipo residenziale e semiresidenziale destinate ad accogliere, in modo temporaneo o stabile, persone particolarmente deboli, le cui esigenze di vita non trovano adeguata risposta negli altri interventi previsti dalla rete dei servizi essenziali. In base alla ricognizione effettuata dall’Amministrazione regionale sull’offerta e sui bisogni di accoglienza della popolazione anziana, il Piano definisce i servizi residenziali esistenti: “incongrui”, perché uniformi rispetto alla differenziazione dei bisogni, ed “impropri”, perché praticati per situazioni che potrebbero trovare risposte alternative in presenza di interventi di supporto alle famiglie o di nuovi servizi comunitari. Per impegnare la programmazione locale nell’obiettivo di superare lo scarto esistente tra le caratteristiche dei bisogni e la qualità dell’offerta, il Piano dispone una serie di azione orientate ad una progressiva deistituzionalizzazione. In quest’ottica, sono considerati innovativi tutti i servizi a ciclo diurno a struttura comunitaria ed i servizi micro-residenziali a struttura familiare, organizzati secondo la specificità dei bisogni e destinati a minori, disabili, anziani ed adulti in difficoltà. Pensiamo ad esempio ai servizi di accompagnamento al lavoro, ai servizi per l’integrazione degli immigrati, ai servizi di accoglienza diurna per anziani e disabili adulti, ai centri per l’infanzia. 5. Welfare del sostegno all’emergenza. L’ultimo gruppo di interventi è finalizzato ad affrontare l’emergenza, che può assumere, di volta in volta, l’aspetto di un minore vittima di abusi, di una giovane costretta a prostituirsi, di una famiglia sfrattata, di immigrati clandestini o di persone senza fissa dimora. In questo caso, l’intervento consiste nell’offrire tempestivamente ai soggetti interessati accoglienza, cura e tutela, in spazi appositamente organizzati, nonché nel garantire il sostegno di professionalità specifiche e qualificate per l’individuazione di percorsi riorganizzativi della propria vita (servizi residenziali per l’emergenza assistenziale). Gli interventi socio-assistenziali, individuati nel Piano, sono rivolti a tutta la popolazione residente e/o temporaneamente presente in Umbria. E vengono erogati in modo da garantire la priorità di fruizione alle persone ed alle famiglie che vivono in condizione di bisogno. In proposito, la Regione definisce le regole per l’accesso ai servizi sociali, indicando le situazioni che determinano lo stato di necessità e gli strumenti per procedere al suo accertamento, e fissa i criteri per il concorso degli utenti al costo delle prestazioni, distinguendo, nell’ambito della rete dei servizi essenziali, gli interventi esclusi dalla partecipazione alla spesa (servizi universali gratuiti), da quelli che comportano il pagamento di una quota in denaro (servizi universali a compartecipazione). Definiti gli ambiti territoriali e l’impalcatura del sistema dei servizi essenziali, il Piano ribadisce il ruolo centrale dei Comuni nella programmazione, realizzazione e valutazione della rete locale dei servizi sociali. E fornisce indicazione per la stesura dei Piani di Zona. Questi ultimi, a partire da un’attenta lettura dei punti di forza e di debolezza del tessuto sociale dell’area interessata, hanno la funzione di precisare: gli obiettivi di promozione e protezione sociale che si vogliono raggiungere; i servizi afferenti a ciascuna area di welfare; le modalità di coordinamento e di collaborazione interistituzionali; le modalità di confronto e di collaborazione con i soggetti privati e del terzo settore; le risorse impegnate; i progetti di innovazione sociale. Al fine di assicurare ai Comuni gli strumenti per un reale esercizio del proprio ruolo, il Piano prevede l’istituzione della tecno-struttura regionale, costituita dai due servizi afferenti all’Assessorato alle Politiche Sociali, con funzione di assistenza tecnica agli Enti locali e di supporto metodologico al personale dei servizi sociali. La tecno-struttura deve essere composta principalmente da professionalità interne all’Amministrazione regionale o ad altre Pubbliche Amministrazioni (Asl, Università, Scuole, Enti locali. ecc.), ma può avvalersi anche di collaborazioni esterne in relazione a specifiche problematiche. Sempre nell’ottica di fornire ai Comuni i parametri per la progettazione del sistema locale di welfare, la Regione offre indicazioni sui criteri di selezione dei soggetti fornitori. Anche nella realtà umbra è evidente la tendenza, da parte dell’operatore pubblico, ad affidare ad organizzazioni private la gestione dei servizi sociali, sostituendo la pratica del produrre in proprio con quella dell’acquisto. L’esternalizzazione delle attività di produzione-erogazione delle prestazioni impone agli Enti locali di considerare con attenzione due aspetti fondamentali: la qualità dell’intervento acqui-


stato e la trasparenza delle procedure di selezione dei soggetti fornitori. Fra i sistemi di acquisto, la Regione individua nell’appalto concorso lo strumento che meglio può garantire l’obiettivo di una procedura di assegnazione trasparente, in grado di offrire le stesse opportunità a tutti i potenziali fornitori. Quanto al valore del bene acquistato, la difficoltà, per la Pubblica Amministrazione, di valutare, sulla base di criteri oggettivi, la qualità dei servizi offerti dal privato (a causa del contenuto prevalentemente relazionale delle politiche sociali e della separazione fra acquirente ed utente dell’intervento assistenziale) ha spinto la Regione ad individuare come fattore di garanzia la “forma giuridica” del soggetto fornitore, suggerendo di privilegiare il ricorso alle organizzazioni del terzo settore, che non hanno fine di lucro e che, per la flessibilità organizzativa ed il rapporto diretto che intrattengono con il corpo sociale, sono capaci di assolvere alla funzione di ascolto, decisiva nel mettere in collegamento domanda sociale ed offerta di servizi. Sulla stessa linea, si colloca l’attivazione di forme di coinvolgimento dei soggetti erogatori nella progettazione degli interventi, nella determinazione degli obiettivi e nella fase di valutazione dell’efficacia degli stessi, attraverso la comune elaborazione di appositi strumenti (manuali della qualità del servizio; protocolli della qualità). Il fine di queste indicazione è di abbandonare definitivamente la logica del massimo ribasso e di superare le attuali forme di acquisto, incentrate sulla contrattazione di prestazioni separate, a favore di contratti di servizio, in cui la verifica delle singole prestazioni lasci il posto alla valutazione di efficacia dell’intervento complessivo. In materia di integrazione socio-sanitaria, l’Umbria si è storicamente caratterizzata per una gestione dei servizi sociali fortemente integrata con quella dei servizi sanitari e per un’assunzione diretta di responsabilità da parte delle Asl in campo sociale. Ciò ha prodotto un sottodimensionamento del ruolo e delle attività dei Comuni ed un parziale schiacciamento degli interventi sociali sul comparto più squisitamente sanitario. Sul versante della programmazione regionale, lo strumento unico del Piano socio-sanitario risultava in qualche misura sbilanciato e poco incisivo, pur affermando importanti contenuti anche rispetto ai servizi sociali. La scelta operata con il Piano triennale del 1999, s’inserisce in un contesto in cui, sul piano istituzionale, del finanziamento e dei criteri di partecipazione alla spesa, esiste una netta separazione tra i comparti della sanità e dell’assistenza, tra il Comune e la Asl. L’individuazione di una diversa competenza istituzionale e finanziaria non comporta però necessariamente una separazione di tipo gestionale. In tutte quelle situazioni in cui la natura dei problemi richiede un’elevata integrazione socio-sanitaria, si può ricorrere alla gestione delegata72 e conseguire un coordinamento progettuale ed operativo degli interventi, stipulando accordi di programma con le Asl. Più in generale, la Regione riconosce nella costituzione di èquipe pluriprofessionali e nel lavoro sociale per progetti le modalità operative più efficaci per sviluppare strategie collaborative interistituzionali e conseguire l’integrazione fra il sociale e l’area della sanità, della scuola, della formazione e del lavoro. L’assenza di un’adeguata rete di informazioni, che assicuri la conoscenza puntuale dei bisogni sociali dei cittadini, dei servizi e delle prestazioni erogate, ha spinto la Regione Umbria a prevedere l’istituzione del Sistema informativo dei servizi sociali. Esso rispondere all’esigenze di possedere una dotazione conoscitiva di base per ambito territoriale, che consenta di valutare l’efficacia, la qualità e l’efficienza delle diverse politiche regionali, al fine di pianificare l’attività futura. In particolare, il Piano prevede una costruzione modulare del sistema informativo, in funzione delle priorità poste al livello locale e regionale. Nella stessa direzione, va anche l’intenzione di istituire l’Osservatorio sociale regionale, quale strumento di supporto all’attività di programmazione e verifica degli interventi di politica sociale. Dal punto di vista delle risorse economiche, interessante è l’indicazione degli strumenti per l’accesso ai fondi europei, generalmente poco utilizzati. Nel Piano, possiamo leggere, ad esempio, che la Regione nel 1999 ha sperimentato, prima in Italia, due misure di “Aiuti agli investimenti delle strutture dell’economia sociale” rivolti al volontariato, all’associazionismo sociale, alle cooperative sociali ed alle imprese profit operanti nel settore della sanità e dell’assistenza. In conclusione, possiamo affermare che il Piano sociale della Regione Umbria, definito e finanziato in assenza della legge quadro sull’assistenza, ha fatto propri i principi fondamentali dell’allora progetto di legge. Esso si fonda su una programmazione delle risorse e degli interventi che si propone di favorire l’integrazione fra le varie reti di servizi, di garantire standard di prestazioni omogenee sull’intero territorio regionale e di coinvolgere tutti gli attori chiave del mondo socio-assistenziale. Ciò tuttavia non significa che la Regione, pur essendo all’avanguardia nel settore dei servizi sociali, abbia completato il processo di attuazione della legge nazionale. Il Piano appare debole sulla definizione dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi a gestione pubblica o del privato sociale. Pur essendo operanti l’Albo regionale delle Associazioni di volontariato (LR 15/94) e l’Albo delle Cooperative sociali (LR 12/93), è ancora da istituire il registro dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali. Così come mancano l’emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona, e la disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi sociali. Una serie di provvedimenti devono ancora essere realizzati: la definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni; l’individuazione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali; la determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati; la disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti; l’istituzione (eventuale) di uffici di tutela dei cittadini, l’esercizio dei poteri sostitutivi; il trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasfe-

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rimento delle funzioni; l’adeguamento della propria disciplina ai principi del decreto legislativo di riordino delle IPAB, l’istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali. È in corso d’elaborazione una proposta di legge, relativa sia alla disciplina dei requisiti per la concessione delle autorizzazioni ai servizi ed alle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, che alla regolazione delle modalità per il rilascio delle autorizzazioni all’erogazione di servizi sperimentali ed innovativi. È stato adottato73 un documento per la sistematizzazione delle figure professionali del comparto socio-assistenziale, ma è da attuare la predisposizione ed il finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali, nonché il concreto avvio dei corsi di formazione.

Stato di attuazione della legge 328/2000 nella Regione Umbria

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

Definiti con apposito atto amministrativo i criteri di riparto dei fondi finalizzati. È in corso il trasferimento delle risorse del Fondo Nazionale agli ambiti territoriali (D.G.R. 142 del 10/2/2002).

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

Da fare.

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

Predisposto un disegno di legge regionale per l’associazionismo di promozione sociale (iter legislativo in corso).

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

Effettuata nell’ambito della legge regionale di riordino delle funzioni socio-assistenziali (LR. 3/97). Sono da disciplinare con L.R. le funzioni trasferite ex L. 67/93 ai sensi dell’art.8, comma 5, della L. 328/2000.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Disciplinate con la legge regionale n.34 del 4 Ottobre 1998.

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Definiti dal Piano sociale Regionale 2000-2002, adottato con deliberazione del Consiglio Regionale del 20 Dicembre 1999, n. 759.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

Proposta di legge regionale in corso d’opera.


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

Già operante un Albo regionale delle associazioni di volontariato (LR 15/94) ed un Albo delle cooperative sociali (LR 12/93). Da istituire il Registro ai sensi della L.328/00 nell’ambito della legge regionale di cui al punto precedente (accreditamento).

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

Da fare.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

Da fare.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

Definiti con il Piano sociale Regionale 2000-2002.

8, comma 3 lett. m)

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

Da fare.

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

Da fare.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

Da definire in sede di revisione della legge regionale di settore (L.R. 3/97).

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

Da fare.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

Da fare con legge regionale limitatamente al trasferimento ai Comuni delle funzioni di cui alla L. 67/93.

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

Da fare.

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

Proposta di legge regionale in corso d’opera.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

Inserito nell’atto di cui al punto precedente.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

Adottato con D.G.R. n. 1244 del 10 ottobre 2001 un documento per la sistematizzazione delle figure professionali del comparto socio-assistenziale.

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

Non effettuabile per l’anno in corso.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

Da fare.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

Piano sociale Regionale 2000-2002, adottato con deliberazione del Consiglio Regionale n.759 del 20 Dicembre 1999.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

In corso.

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

Da fare.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

Definiti dal Piano sociale Regionale 2000-2002.


Valle d’Aosta La Regione Autonoma della Valle d’Aosta ha approvato il proprio Piano socio-sanitario per il triennio 2002200474 il 4 Settembre 2001, rispettando i tempi di emanazione previsti dalla legge quadro di riforma dei servizi sociali. Gli elementi programmatici per il triennio vengono individuati attraverso l’analisi dello stato quali-quantitativo degli interventi sanitari e sociali, con particolare attenzione ai punti di criticità e alle aree di eccellenza. Partendo quindi dall’esame dell’esistente, la Regione si pone l’obiettivo di migliorare la qualità delle prestazioni dei diversi livelli di assistenza, individuando nel contempo indicatori utili al monitoraggio ed alla valutazione di questi ultimi. Nell’articolazione dello strumento di programmazione, oltre che dai riferimenti normativi nazionali e regionali, la Valle d’Aosta è guidata da alcuni principi ispiratori, che fanno da filo conduttore dell’intero Piano e sono ritenuti elementi imprescindibili per la corretta politica di progettazione socio-sanitaria: - garantire una distribuzione equilibrata dei servizi sul territorio per facilitare la massima accessibilità agli stessi e la più ampia libertà di scelta delle persone; - individuare la prevenzione come momento fondamentale di approccio ai problemi e come criterio di impostazione degli interventi; - sviluppare il sistema di conoscenza e di valutazione dello stato di salute e dei bisogni sanitari e sociali sul territorio regionale; - promuovere l’efficienza e la qualità degli interventi ed attuare una verifica di efficacia anche riguardo alla soddisfazione delle persone e all’attività di autovalutazione degli operatori; - valorizzare il coordinamento tra le istituzioni e tra gli operatori ai fini dell’integrazione degli interventi dedicati a persone, famiglie e gruppi sociali; - assicurare l’ulteriore crescita del servizio sanitario regionale anche attraverso il completamento ed il monitoraggio del processo di aziendalizzazione della Usl; - sviluppare la diffusione e la qualità dei servizi sociali, promovendo l’autonomia e la responsabilità di gestione degli Enti locali ed il ruolo di indirizzo e coordinamento della Regione; - riqualificare e razionalizzare lo stato sociale regionale, con particolare attenzione alla rete dei servizi socio-sanitari e dei servizi alla persona, nell’ottica di una tutela dei soggetti meno protetti, come previsto dal “Patto per lo sviluppo della Valle d’Aosta”. Nella Regione, un momento importante nel cammino verso la razionalizzazione e l’organizzazione del servizio socio-sanitario è rappresentato dalla legge regionale 5/2000. Questa legge, imponendo all’Asl una gestione manageriale e pertinente alle aspettative locali, apre una fase di transizione dai vecchi ruoli ai nuovi spazi decisionali. Ed è questo uno dei motivi per cui il Piano ha tra le sue finalità quella di favorire e sviluppare la progettualità dell’Azienda sanitaria. La L.R. 5/2000 segna il punto di inizio nella ridefinizione dei ruoli e delle modalità di negoziazione tra Regione, Asl e Comuni, introducendo procedure di responsabilizzazione dei singoli Enti. Nel tavolo di negoziazione per la salute ed i servizi sociali, la Regione, perdendo già con questa legge le antiche competenze gestionali, si profila come Ente di indirizzo e di controllo, ovvero come una sorta di “cliente” dell’Azienda Asl, che, a sua volta, contratta le risorse a disposizione a fronte dei livelli di assistenza richiesti. Il tutto in una logica di coinvolgimento delle autonomie locali nel processo di programmazione, secondo le modalità proprie dell’autonomia regionale. Nell’analisi del Piano socio-sanitario e degli adempimenti attuativi della legge 328/2000, è necessario tenere presente che la Valle d’Aosta provvede all’applicazione della “legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” secondo le proprie norme statutarie75 e che alle Regioni a statuto speciale non si applica il D.lgs. 112/98. Per quanto, dunque, questa Regione non abbia ancora provveduto ad alcuni dei punti previsti dalla riforma assistenziale, il Piano Regionale risulta coerente con la normativa nazionale, sia nei principi ispiratori che nelle finalità strategiche. La ricerca dell’integrazione tra assistenza sociale e sanitaria, oltre a rappresentare un elemento di continuità con il precedente PSSR, fa da cornice all’intero impianto programmatico ed è indicata dalla Regione come fattore cruciale per la realizzazione di risposte: equamente distribuite nella popolazione; efficaci perché sinergiche; complementari e quindi efficienti. L’integrazione, come si legge nel Piano, è condizione indispensabile per superare le vigenti prassi settoriali ed integrare competenze e servizi diversi grazie all’unitarietà ed alla globalità degli interventi, consentendo anche una maggiore attenzione ai soggetti deboli ed alla loro tutela. La situazione regionale si è infatti caratterizzata per un forte squilibrio organizzativo e culturale tra sociale e sanitario, che ha permesso a quest’ultimo di sviluppare una vera e propria egemonia rispetto al primo. Da qui la necessità di riequilibrare le responsabilità nelle politiche socio-sanitarie, attribuendo un nuovo ruolo agli Enti locali rispetto alle Asl. Ciò significa ri-orientare i flussi delle decisioni e mettere gli Enti locali nella condizione di essere parte attiva nelle scelte di attuazione e di valutazione degli interventi socio-assistenziali, dando vita ad un sistema i cui attori principali sono: la Regione, nella veste di Ente di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo delle attività socio-assistenziali e sanitarie; gli Enti locali e le Asl, in qualità di gesto-

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ri dei servizi. Le aree dell’integrazione socio-sanitaria sono individuate nelle attività afferenti: al settore materno-infantile, agli anziani, ai disabili, alla salute mentale, alla tossico ed alcool dipendenza, alle patologie che richiedono una assistenza prolungata e continuativa, con particolare riferimento a quelle oncologiche, alle infezioni da HIV ed ai trapiantati. Nel Piano, vengano differenziati tre livelli di attuazione dell’integrazione socio-sanitaria, per ciascuno dei quali sono indicati specifici strumenti. L’integrazione istituzionale nasce dall’esigenza di promuovere collaborazioni fra istituzioni diverse (Regione, Azienda sanitaria, Enti locali), al fine di conseguire comuni obiettivi di salute. Essa può avvalersi di strumenti giuridici, quali le convenzioni e gli accordi di programma. L’integrazione gestionale, sia a livello centrale che distrettuale, riguarda la struttura competente in materia di politiche sociali e gli uffici ad essa facenti capo, da un lato, e i servizi dell’Azienda USL dall’altro. Essa comporta l’individuazione di configurazioni organizzative e meccanismi di coordinamento atti a garantire l’efficace svolgimento delle attività, dei processi e delle prestazioni. Tale livello di integrazione può quindi essere garantito dalla costituzione, per ciascuna area di intervento, di un gruppo tecnico interistituzionale, composto in maniera equilibrata dai rappresentanti dell’Azienda USL, degli Enti locali e della struttura regionale competente in materia di politiche sociali. L’integrazione professionale avviene a livello di operatori sociali e sanitari. Presupposti necessarie alla sua realizzazione sono: la costituzione di unità valutative integrate, la gestione unitaria della documentazione, la valutazione dell’impatto economico delle decisioni, la definizione delle responsabilità nel lavoro integrato, la continuità assistenziale tra ospedale e territorio, la predisposizione di percorsi assistenziali appropriati per tipologie d’intervento, l’utilizzo di indici di complessità delle prestazioni integrate. La Regione, al fine di creare le condizioni istituzionali e gestionali per il coordinamento degli interventi dei diversi settori impegnati nella produzione di servizi, incentiva quindi la collaborazione tra le istituzioni e promuove altresì (con il sostegno del Centro di Servizio per il Volontariato della Valle d’Aosta) la partecipazione delle organizzazioni di volontariato alla predisposizione dei Piani di Zona, entro un ambito territoriale adeguato, che è individuato nell’area distrettuale. Il Piano di zona, inteso come strumento per ottimizzare le risorse e facilitare le responsabilizzazioni e le collaborazioni, ha le funzioni di: - favorire la formazione di sistemi locali di intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e flessibili, stimolando, in particolare, le risorse locali di solidarietà e di auto-aiuto e responsabilizzando cittadini nella programmazione e nella verifica dei servizi; - definire criteri di ripartizione della spesa a carico degli Enti locali, della Azienda Usl e, eventualmente, degli altri soggetti firmatari dell’accordo di programma, prevedendo anche risorse vincolate per il raggiungimento di particolari obiettivi; - proporre iniziative di formazione e di aggiornamento degli operatori, finalizzate a realizzare progetti di sviluppo dei servizi. Dal punto di vista strutturale, il nodo centrale nell’impalcatura dei servizi socio-sanitari valdostani è rappresentato dal distretto. È questa la struttura che deve esercitare, oltre alle funzioni attribuitegli dal D.lgs. 229/99 (erogazione dell’assistenza primaria, integrazione tra servizi e rete sociale di solidarietà formale ed informale), il ruolo di committenza, sviluppando modelli di integrazione orizzontale, che garantiscano l’appropriatezza, l’adeguatezza e la continuità degli interventi multiprofessionali. A tal fine, il Piano prevede la valorizzazione dell’autonomia del distretto ed il potenziamento delle funzioni di programmazione e controllo. Esso individua, inoltre, lo strumento più idoneo per il conseguimento degli obiettivi nella rete integrata dei servizi ed il metodo di lavoro ottimale in quello delle équipe multiprofessionali. Queste ultime hanno il compito di sviluppare programmi ed obiettivi orientati al cittadino ed all’applicazione di percorsi assistenziali all’interno di dipartimenti misti, ospedale - territorio, adottando soluzioni che rispondano a criteri di efficacia, economicità ed umanizzazione delle prestazioni. Da quanto appena detto deriva la necessità, evidenziata nel Piano, di aggregazione organizzativa e funzionale di ciò che è ora svolto frammentariamente nel distretto e nelle altre strutture tecniche dell’Azienda Usl, nonché di riordino delle attività del sistema informativo distrettuale. Il cambiamento dello scenario socio-sanitario porta infatti la Valle d’Aosta a ridefinire il ruolo ed i modelli organizzativi e gestionali anche della struttura ospedaliera, spostando i centri decisionali per la determinazione dell’offerta lì dove nasce e si rileva il bisogno (il distretto): impostazione questa ispirata dalla riforma nazionale, che vede il sistema sociale come rete di nodi, capace di aderire meglio al continuo mutare dei bisogni della popolazione. Tanto sul Piano sanitario ed assistenziale, quanto su quello delle politiche sociali, la situazione attuale della Valle d’Aosta è caratterizzata da complessi fenomeni di mutamento sociale, che inevitabilmente provocano ripercussioni sugli assetti regionali. La risposta all’esigenza di un diverso modello di welfare, che a livello nazionale è rappresentata dalla legge 328/00, si trova però a dover affrontare, a livello regionale, alcune difficoltà. Le maggiori criticità per l’integrazione tra le politiche sociali e le altre politiche territoriali derivano dalla complessità del percorso di armonizzazione del sistema dei servizi sociali con gli altri sistemi di promozione del benessere e dalla difficoltà di far con-


vergere verso i soggetti svantaggiati l’offerta integrata dei servizi disponibili. A livello locale gli ostacoli sono determinati dalla scarsa visibilità dei legami organici, che dovrebbero collegare i servizi sociali con gli altri servizi comunali, e dal ritardo nel coordinamento e nella razionalizzazione degli sportelli di accesso del cittadino ai servizi ed alle prestazioni di un sistema di offerta a rete che si vuole informatizzato. Il Piano Regionale affronta anche la questione della ridistribuzione di responsabilità e risorse tra istituzioni pubbliche e private, sostenendo l’idea secondo la quale solo in un sistema integrato di servizi sociali sono veramente valorizzati il ruolo dei soggetti pubblici e le forme di partecipazione dei soggetti privati. Il passaggio da una società nella quale i ruoli del pubblico e del privato sono nettamente distinti, ad una nella quale essi rappresentano elementi di un complesso sistema di responsabilità per la realizzazione di una società solidale, richiede l’individuazione di strumenti che superino l’individualismo e la frammentazione degli interventi. Per la realizzazione dei servizi e delle prestazioni sociali in forma unitaria e integrata, deve quindi essere adottato il metodo della programmazione degli interventi e delle risorse, dell’operatività dei progetti e della verifica e valutazione dei risultati. In questa direzione, la Regione Valle d’Aosta propone un ridisegno del sistema dei servizi sociali che favorisca il passaggio da un welfare state di tipo istituzionale, ad un welfare community, caratterizzato da una separazione tra le varie fasi di realizzazione delle politiche sociali. I momenti della definizione, della verifica e del controllo delle politiche sono riservati in prevalenza all’Ente pubblico, che risulta così ridimensionato nei compiti, ma rafforzato nella capacità di intervento. Il momento della gestione è invece affidato ad una pluralità di attori istituzionali e non, con o senza fini di lucro. In particolare, tra i soggetti non istituzionali, vengono privilegiate quelle organizzazioni del terzo settore che presentano carattere di imprenditorialità privata non finalizzata al profitto economico, poiché considerate capaci di ridurre i costi unitari del servizio. Per il finanziamento del sistema sociale, il Piano prevede una ridistribuzione delle responsabilità tra Enti pubblici (Regione ed Enti locali), forze economiche private, fondazioni e famiglie, che contribuiscono in modo differenziato alla copertura delle spese dei vari servizi. Il Piano opera inoltre una riformulazione complessiva delle forme e delle modalità di accesso e controllo dei cittadini, singoli od organizzati, alla definizione delle politiche di welfare. Le norme sul procedimento amministrativo, che prevedono anche modalità privilegiate di coinvolgimento dei soggetti associativi, riservano alle organizzazioni di volontariato ed alle cooperative sociali un ruolo preminente, quali partner nella definizione e nella determinazione delle linee guida e degli standard quanti-qualitativi dei servizi. Per questa via, si pone con forza una concezione attiva del ruolo dei destinatari, strettamente legata alla dimensione della responsabilità. Si riconosce che la comunità di appartenenza è il referente ed il luogo più qualificato per la risoluzione dei problemi della persona. Ed il territorio è visto non più unicamente come bacino di utenza, ma come rete di relazioni interdipendenti, come comunità che costituisce al contempo l’ambito in cui sorgono i bisogni e la fonte delle risorse per soddisfarli. In questo scenario, le associazioni di volontariato e le cooperative sociali rappresentano catalizzatori ed attivatori di risorse potenziali frammentate. Nella ridefinizione del welfare regionale verso il welfare community, esse sono considerate come partner degli Enti pubblici, le cui capacità decisionali vengono però rafforzate per garantire universalismo, equità e continuità degli interventi assistenziali. In sintesi, si può affermare che la funzione principale delle organizzazioni del terzo settore è quella di essere corpi intermedi tra la dimensione pubblica e privata della vita sociale, di essere indispensabili strumenti di mediazione tra i cittadini e le Istituzioni pubbliche. Infine, con l’obiettivo di favorire forme di confronto con tutti gli attori istituzionali e sociali e di stimolare una più convinta adesione e partecipazione ad ogni fase della progettazione per lo sviluppo sociale e sanitario, la Regione istituisce, con il presente Piano, la Conferenza socio sanitaria regionale. Essa è composta dai rappresentanti di: Asl, cittadini, organizzazioni di volontariato e del terzo settore, federazioni di categoria, ordini e collegi professionali, organizzazioni sindacali, Enti locali. Il suo compito è di esprimersi sulle principali problematiche di interesse per la programmazione socio-sanitaria. A questo punto, volendo tracciare un bilancio dello stato di attuazione regionale della legge 328/2000, possiamo affermare che, con l’approvazione del Piano Socio Sanitario Regionale 2002-2004, la Valle d’Aosta ha iniziato il proprio percorso di realizzazione degli adempimenti attuativi previsti, facendo propri i principi ispiratori e le finalità della legge nazionale. In particolare, per ciò che riguarda le funzioni regionali, si è finora provveduto all’attuazione dell’art 8 comma 276, attraverso l’istituzione della Conferenza socio-sanitaria regionale e l’approvazione della legge di adozione del PSSR, che prevede, tra le competenze della Regione, la promozione dell’istituzione di un organismo consultivo, nel settore delle politiche per anziani, con il coinvolgimento degli Enti locali, del terzo settore e delle parti sociali. Alla determinazione degli ambiti e degli strumenti di gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete si provvederà invece in sede di attuazione del PSSR, anche con lo strumento del Fondo Regionale per le politiche sociali territoriali. Nel complesso, il Piano valdostano risulta quindi debole in molte delle funzioni di competenza regionale. Oltre a quanto finora detto, la Regione si è occupata solo di alcuni adempimenti attuativi: con la legge di approvazione del Piano ha riaffermato i livelli di assistenza negli ambiti territoriali, già stabiliti con precedenti leggi di settore, e ha avviato il processo di definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle presta-

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zioni, stabilendo che la Giunta regionale determini le soglie d’accesso agevolate e fissi i criteri di partecipazione alle spese di finanziamento dei servizi sociali e socio-educativi da parte dei beneficiari e dei loro familiari. Infine, ha provveduto alla predisposizione dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali77. Concludendo, è necessario dunque sottolineare che sono ancora molti i provvedimenti che questa Regione deve realizzare per l’attuazione della legge 328/00, pur ricordando nuovamente la condizione particolare della Valle d’Aosta in qualità di Regioni a statuto speciale.

Stato di attuazione della legge 328/2000 nella Regione Valle d’Aosta

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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

Il D.lgs. 112/98 non si applica alla Valle d’Aosta.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

Non si è provveduto. Vi sono deliberazioni della Giunta Regionale che disciplinano i rapporti tra Enti pubblici e cooperative sociali.

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

Non si è provveduto.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

Non esistono le Province.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Il PSSR prevede l’istituzione della Conferenza socio-sanitaria regionale e la legge di approvazione del PSSR individua, tra le competenze della Regione, la promozione dell’istituzione di un organismo consultivo nel settore delle politiche per anziani con il coinvolgimento degli Enti locali, del terzo settore e delle parti sociali.

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Si provvederà in sede di attuazione del PSSR anche con lo strumento del Fondo regionale per le politiche sociali.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

Non si è provveduto.

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

Non si è provveduto.

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

Non si è provveduto.


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

Non si è provveduto.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

Si è provveduto, in passato, con specifiche deliberazioni della Giunta Regionale in materia di asili-nido e servizi per anziani. La legge di approvazione del PSSR prevede che la Giunta Regionale definisca le soglie d’accesso alle prestazioni sociali agevolate e determini i criteri di partecipazione alle spese di finanziamento dei servizi sociali e socio-educativi da parte dei beneficiari e dei loro familiari.

8, comma 3 lett. m)

Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

Si è provveduto con D.G.R. n. 2636 del 7 Agosto 2000.

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

Non si è provveduto.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

Il D.lgs. 112/98 non si applica alla Valle d’Aosta.

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

Non si è provveduto.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

Il D.lgs. 112/98 non si applica alla Valle d’Aosta.

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

Non si è provveduto.

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

Non si è provveduto.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

Non si è provveduto.

105


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ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

Non si è provveduto, mancando il regolamento ministeriale. La Regione sta programmando il primo corso OSS sulla base dello specifico accordo Stato Regioni.

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

Non si è provveduto.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

Non si è provveduto.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

Piano socio sanitario 2002-2004, adottato con L.R. n. 18 del 4 Settembre 2001.

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

Non si è provveduto.

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

Non si è provveduto.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

Definiti con precedenti leggi di settore e riaffermati con la legge regionale di approvazione del PSSR (L.R. 18/01).


Veneto La Regione Veneto ha elaborato, in armonia con le disposizioni della legge nazionale di riforma dell’assistenza, un disegno di legge regionale, recante il “Testo organico per le Politiche Sociali della Regione Veneto”78. L’attenzione verso l’evoluzione dei bisogni e delle esigenze di protezione sociale e verso la crescente domanda di nuove forme di partecipazione ha condotto alla stesura di un testo unico regionale, che disegna le strategie e regolamenta gli interventi in campo sociale. Si tratta di una novità, nel panorama normativo del settore. Il provvedimento, che propone l’abrogazione di 40 leggi e 3 regolamenti, è il frutto di un lavoro di confronto e di dialogo con le Ulss, le associazioni di categoria, i sindacati, il mondo del volontariato e del no profit. Esso costituisce, contemporaneamente, la meta e l’avvio di un percorso condiviso, alla cui base si colloca una nuova filosofia del sociale: il cittadino non più solo utente, ma anche protagonista dei servizi, la famiglia non più solo destinataria, ma anche erogatrice delle prestazioni. Ripercorrendo l’impostazione della legge nazionale 328/2000, il testo unico disegna il ruolo degli attori dell’intervento sociale, individuando le responsabilità dei soggetti istituzionali, delle Aziende pubbliche, dei soggetti privati e delle organizzazioni del terzo settore. In ossequio ai principi di sussidiarietà e solidarietà sociale, il provvedimento dispone che concorrano alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali la Regione, le Province, i Comuni, le famiglie e tutti i soggetti pubblici e privati presenti nella comunità locale. La Giunta Regionale ha il compito di istituire, con apposito provvedimento, il Tavolo di concertazione, per garantire, attraverso il dialogo ed il confronto, la pianificazione partecipata e la condivisione degli obiettivi. Strumenti fondamentali di programmazione sul territorio sono il Piano Regionale degli interventi e dei servizi alla persona ed i Piani Zona. Su questo punto, in particolare, è necessario aprire una piccola parentesi, che ci permetta di fotografare lo stato della programmazione regionale. Attualmente, il Veneto è impegnato nell’elaborazione del nuovo Piano sociale 2002-2004 da impostare secondo le indicazioni contenute nella legge quadro, ma la Regione ha già all’attivo un precedente Piano socio-sanitario per il triennio 1996-1998, approvato con la legge regionale n. 5, del 3 Febbraio 1996, che rappresenta il punto di riferimento del processo di programmazione socio-sanitaria. Con questa legge, il Piano di Zona diventa ufficialmente lo strumento programmatico privilegiato dei Comuni, per la realizzazione dell’integrazione istituzionale ed operativa tra il sociale ed il sanitario, tra il pubblico ed il privato sociale. Già dal 1996, la Regione, forte di una lunga esperienza di pianificazione sanitaria e sociale, si proponeva di concretizzare un modello globale di servizi alla persona, come sistema di soggetti istituzionali e professionali, in un quadro integrato di responsabilità e di risorse. Il rapporto collaborativo tra soggetti istituzionali e soggetti sociali, con il Piano socio-sanitario 1996-1998, diventa il metodo di azione privilegiato della Pubblica Amministrazione, che si impegna a consolidare modelli operativi facilitanti la programmazione partecipata, la responsabilizzazione nella gestione e la valutazione degli interventi, nel rispetto delle diversità e delle competenze. Tornando al progetto di legge regionale, l’accesso ai servizi sociali e sociosanitari è realizzato a partire da una valutazione del bisogno, che sia garante di interventi e servizi appropriati e personalizzati. Ed è organizzato in modo da offrire agli utenti pari opportunità di fruizione e diritto di scelta tra più soggetti gestori. Tra le maggiori novità, introdotte dal testo unico, figura quella del bonus per le persone e le famiglie, che offre la possibilità di scegliere liberamente la struttura cui affidarsi, nella rete dei servizi sociali. Si tratta di un titolo, disciplinato dalla legge nazionale, per l’acquisto di prestazioni dai diversi soggetti autorizzati o accreditati all’erogazione dei servizi assistenziali. Gli interventi sociali sono finalizzati alla promozione del benessere, alla valorizzazione della persona e della famiglia, alla formazione ed educazione alla socialità, alla prevenzione dei fattori di disagio, alla rimozione e riduzione delle condizioni che ostacolano la piena partecipazione alla vita sociale. Destinatari delle prestazioni sono tutti i cittadini residenti o temporaneamente presenti sul territorio veneto. Alla Regione spettano la definizione, in conformità con le indicazioni nazionali, dei livelli essenziali delle prestazioni, l’individuazione delle tipologie di servizio e la fissazione dei criteri per il concorso degli utenti al costo delle prestazioni. Tra gli obiettivi della legge, rientra il perseguimento di azioni orientate alla promozione sociale. Esse consistono nella sperimentazione di servizi e di programmi di intervento, finalizzati alla qualificazione di specifiche aree territoriali o alla soluzione di particolari problematiche sociali, e nella valorizzazione di comportamenti positivi, funzionali all’esaltazione delle risorse presenti nella collettività locale, tramite forme di reciprocità, solidarietà ed auto-organizzazione. Per la realizzazione del sistema integrato, il progetto di legge promuove l’istituzione di associazioni intercomunali, finalizzate alla gestione condivisa di funzioni e servizi sociali. Le associazioni non hanno personalità giuridica ed operano tramite convenzioni, che disciplinano i rapporti finanziari ed i reciproci obblighi. Accanto al metodo delle convezioni, il testo unico individua altri strumenti operativi funzionali alla costru-

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zione della rete integrata, la cui attivazione è, nella maggioranza dei casi, subordinata all’emanazione di appositi provvedimenti della Giunta Regionale: - la costituzione del Sistema informativo dei servizi sociali e degli Osservatori regionali sulle politiche assistenziali; - la definizione dei criteri per l’autorizzazione l’accreditamento e la vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale; - l’adozione di sistemi di verifica e valutazione dei risultati; - l’individuazione delle modalità di affidamento dei servizi alla persona; - la realizzazione di accordi con le Aziende pubbliche ed i soggetti sociali; - la costituzione di albi e registri delle organizzazioni del terzo settore. Al fine di favorire l’efficacia e la qualità dei servizi, la Regione promuove la formazione degli operatori sociali. Definisce, attraverso il monitoraggio dell’attuazione dei Piani di Zona, la domanda di professionalità ed il fabbisogno di nuove competenze. Ed annualmente, con atto della Giunta Regionale, approva il piano di formazione, aggiornamento e riqualificazione degli operatori del settore. Il Fondo Regionale per le politiche sociali è alimentato da: - trasferimenti dei fondi nazionali, assegnati per l’esercizio delle funzioni sociali; - risorse proprie della Regione; - risorse provenienti da altri soggetti pubblici e privati. Esso è articolato in Unità Previsionali di Base, riferite alle diverse aree di intervento nel campo dei servizi sociali. Annualmente, la Giunta Regionale individua le risorse in conto capitale da destinare al riequilibrio territoriale, all’adeguamento agli standard ed alla promozione di servizi innovativi. Al fine di contribuire allo sviluppo di un’economia solidale, la Regione, le Province ed i Comuni concorrono alla realizzazione di progetti promossi dalle organizzazioni no profit, purché conformi agli obiettivi di programmazione locale, mediante attività di raccolta fondi. La Giunta Regionale, con proprio provvedimento, promuove metodi e strumenti per il controllo di qualità e di gestione degli enti erogatori, finalizzati a valutare l’efficacia e l’efficienza dei servizi prestati ed i risultati delle azioni previste. Nella seconda parte del testo unico, troviamo indicati gli obiettivi e le azioni da perseguire per ogni ambito di intervento sociale: - la famiglia; - l’infanzia e l’adolescenza; - le politiche giovanili; - i disabili; - le persone adulte ed anziane; - i problemi da dipendenza. Ciò offre una guida per la futura programmazione regionale e contemporaneamente fornisce indicazioni per la stesura dei Piani di Zona. In relazione a due delle aree di intervento indicate (famiglia e politiche giovanili), il provvedimento dispone che la Giunta Regionale, con proprio atto, istituisca la Conferenza sulla famiglia, che ha la funzione di elaborare suggerimenti in considerazione delle trasformazioni intervenute e delle problematiche emergenti nei contesti famigliari, ed il Consiglio dei Giovani, che ha il compito di favorire la partecipazione giovanile, di formulare proposte e di promuovere indagini. Ampio spazio è dedicato dal progetto di legge ai soggetti operanti nel campo della solidarietà sociale. In attuazione del principio di sussidiarietà, il provvedimento istituisce la Conferenza regionale del Terzo Settore, quale organismo consultivo per la realizzazione concertata degli interventi in campo sociale. Compito della Regione è di facilitare l’accesso agevolato al credito ed ai finanziamenti europei e di promuovere iniziative di formazione ed aggiornamento professionale del personale dipendente e volontario. I Capi II, III e IV del Titolo XIV del testo unico sono rivolti, rispettivamente, alle Organizzazioni di Volontariato, alle Associazioni di Promozione Sociale ed alle Cooperative Sociali. Essi rappresentano un punto di riferimento importante per i soggetti locali che operano nel campo della solidarietà. Il provvedimento, prevedendo l’emanazione di appositi atti della Giunta Regionale, disciplina infatti l’attività dei suddetti soggetti e favorisce l’introduzione di strumenti idonei alla loro promozione. Un’intera parte del progetto di legge si rivolge alle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza. Entro diciotto mesi dall’eventuale entrata in vigore della legge, le IPAB devono provvedere alla loro trasformazione in: - aziende di servizi alla persona; - persone giuridiche di diritto privato. Compito della Giunta Regionale è l’emanazione di un regolamento, che disciplini le procedure di trasformazione, fusione, realizzazione di consorzi ed estinzione.


Dall’esame condotto sul progetto di legge, possiamo affermare, in conclusione, che il provvedimento considerato si propone di offrire un quadro di riferimento regionale per le politiche sociali. E di tratteggiare una guida funzionale per i soggetti locali che concorrono alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Esso rappresenta un punto di partenza fondamentale nel processo di implementazione della riforma assistenziale, avviata con la legge nazionale 328/2000, e sottolinea l’elevato grado di progettualità sociale della Regione Veneto. Essenziale, tuttavia, nella strada percorsa, è la realizzazione degli atti applicativi, che rendano operativo l’impianto impostato dal progetto di legge. Come più volte sottolineato, il testo unico prevede l’emanazione di una serie di provvedimenti della Giunta Regionale, dalla cui attuazione dipenderà la messa in operata del sistema complessivo. Altrettanto importante è l’emanazione del Piano sociale 2002-2004 che individui le aree e le azioni prioritarie d’intervento, i livelli essenziali delle prestazioni ed i criteri di verifica e valutazione, al fine di assicurare la qualità e la realizzabilità degli obiettivi definiti e la piena costituzione di una rete integrata di interventi e servizi sociali.

Stato di attuazione della legge 328/2000 in Veneto 79 ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

4, comma 3

Ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato.

Eseguito con deliberazione della Giunta Regionale n. 2248 del 7 Settembre 2001.

5, comma 3

Emanazione di atti di indirizzo per regolamentare i rapporti tra Enti Locali e Terzo Settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.

Progetto di legge regionale n. 241/2002 “Testo organico per le politiche sociali della Regione Veneto”, art. 27.

5, comma 4

Disciplina delle modalità per valorizzare l’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi.

Artt. 64 - 77 del citato progetto di legge regionale.

7, comma 1

Disciplina del ruolo delle Province.

Art. 5 del citato progetto di legge regionale.

8, comma 2

Programmazione degli interventi sociali con la promozione di modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti Locali - Consultazione dei soggetti di cui agli artt. 1 (comma 5 e 6) e 10.

Art. 11 del citato progetto di legge regionale (Tavolo di concertazione).

8, comma 3 lett. a)

Determinazione, tramite le forme di concertazione con gli Enti Locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Art. 22 del citato progetto di legge regionale.

8, comma 3 lett. f)

Definizione, sulla base dei requisiti fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e servizi.

Art. 25 del citato progetto di legge regionale.

109


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

8, comma 3 lett. g)

Istituzione, secondo le modalità definite con Legge Regionale, di registri dei soggetti autorizzati all’esercizio delle attività sociali.

Art. 29 del citato progetto di legge regionale. È in corso di elaborazione il Regolamento che disciplina i registri delle organizzazioni di volontariato, il registro regionale delle associazioni di promozione sociale, l’albo regionale delle cooperative sociali e dei loro consorzi, l’albo delle comunità terapeutiche per tossicodipendenti. Attualmente solo l’iscrizione al registro regionale delle organizzazioni di volontariato autorizza l’esercizio di attività sociali. L.R. 40/93 “Interventi regionali per il volontariato operante in settori di competenza regionale”

8, comma 3 lett. h)

Definizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni.

Art. 25, comma 7, del citato progetto di legge regionale.

8, comma 3 lett. i)

Definizione dei criteri per la concessione dei titoli per l’acquisto di servizi sociali da parte dei Comuni.

Art. 20 del citato progetto di legge regionale.

8, comma 3 lett. l)

Definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni.

Art. 21 del citato progetto di legge regionale.

8, comma 3 lett. m)

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Predisposizione e finanziamento dei piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto alle attività sociali.

Art. 33 del citato progetto di legge regionale.

8, comma 3 lett. n)

Determinazione dei criteri per la definizione delle tariffe che i Comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati.

Inserito in sede di discussione del citato progetto di legge.

8, comma 3 lett. o)

Esercizio dei poteri sostitutivi (art. 3 D.Lgs. n. 112/98).

Eseguito con L.R. n. 11 del 13 Aprile 2001 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle autonomie locali in attuazione del decreto legislativo n. 112/98”, art. 16.

8, comma 4

Disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali. Istituzione (eventuale) di uffici di tutela degli utenti.

Art. 17 del citato progetto di legge regionale. Non sono a tutt’oggi previsti uffici di tutela degli utenti.

8, comma 5

Trasferimento ai Comuni delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, per assicurare la copertura degli oneri derivanti dal trasferimento delle funzioni.

Non è previsto trasferimento di funzioni in materia sociale, in quanto nel Veneto la titolarità delle funzioni è già attribuita ai Comuni.


ARTICOLO

OGGETTO

SITUAZIONE

10, comma 3

Adeguamento della propria disciplina ai principi del Decreto Legislativo n. 207/2001 (Riordino delle IPAB).

Artt. 90-101del citato progetto di legge regionale.

11, comma 1

Disciplina dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione da parte dei Comuni ai servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale.

La materia è già regolata con: L.R. 55/1982 “Norme per l’esercizio delle funzioni in materia di assistenza sociale”, art.24; DGR n. 1663/1998; PDL regionale n. 155 del 2001, già licenziato dalla Commissione Consiliare competente, “Autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie, socio-sanitarie e sociali”. Più specificamente, per i servizi e le strutture socio-assistenziali e per gli indirizzi della legge 328, è in fase avanzata di predisposizione un regolamento attuativo.

11, comma 4

Disciplina delle modalità per il rilascio da parte dei Comuni delle autorizzazioni alla erogazione di servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni in deroga ai requisiti previsti.

Art. 6, comma 2, del citato progetto di legge regionale.

12, comma 2 lett. b)

Avvio di corsi di formazione.

Art. 33 del citato progetto di legge regionale.

15, comma 4

Trasmissione di una relazione ai Ministri della Solidarietà sociale e della Sanità sullo stato di attuazione degli interventi.

In corso di elaborazione.

17, comma 2

Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi.

Art. 20 del citato progetto di legge regionale.

18, comma 6

Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali.

In corso di elaborazione

20, comma 11

Impegno contabile delle quote e risorse ricevute.

Eseguito. Provvedimenti vari di impegno per l’esercizio 2001.

21, comma 1

Istituzione di un Sistema informativo dei servizi sociali.

Avviato. Il sistema informativo dei servizi sociali è in fase di elaborazione; al momento è stato predisposto un sito regionale per tutte le informazioni sui servizi sociali esistenti nel territorio regionale.

22, comma 4

Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali.

È in corso di elaborazione la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, assieme alle altre Regioni italiane.

111


Note:

112

1

D.G.R. 1347 del 31 Dicembre 2001.

2

Del 27 Marzo 1998.

3

Legge regionale n. 25, approvata il 19 Maggio del 1997.

4

Delibera n.1280 del 22 Dicembre 1999.

5

Approvato il 13 dicembre 1999.

6

D.P.R. n. 616/1977.

7

Art. 16 dello Statuto di Autonomia.

8

Legge provinciale n. 13 del 30 aprile 1991.

9

Art. 8 della legge provinciale n. 13 del 30 aprile 1991.

10

Per la Calabria non è stato possibile inserire la tabella relativa allo stato di attuazione della legge nazionale sul territorio regionale, poiché essa non è stata compilata dal Dipartimento dei Servizi Sociali, che ha tuttavia fornito delle utili informazione inerenti l’applicazione della legge quadro, da noi opportunamente riportate.

11

D.G.R. n. 1826/01.

12

Costituita il 30 Marzo del 2001, con delibera della Giunta Regionale.

13

D.G.R. n.1079 del 15 Marzo 2002.

14

D.G.R. n. 1081/02.

15

Delibera del Consiglio Regionale n. 246 del 25 settembre 2001.

16

La Regione Emilia Romagna ha previsto di dare attuazione alle norme volte alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali mediante una legge regionale di riforma organica delle politiche sociali. Nella colonna relativa allo stato di attuazione regionale della legge 328 sono stati, quindi, indicati i riferimenti al progetto di legge, approvato dalla Giunta Regionale il 26/11/01 ed attualmente all’esame della competente Commissione Consiliare.

17

Non essendoci stata fornita dal Servizio per le Attività Socio Assistenziali una risposta dettagliata sullo stato di attuazione della legge 328/00, relativamente ai singoli adempimenti di competenza regionale, riportiamo per intero la risposta inviataci: “in merito all’applicazione della legge 328/2000 la informiamo che è tuttora in fase di predisposizione il programma di lavoro per la riforma del welfare regionale e che pertanto ad oggi.non è stato emanato alcun atto ufficiale.In questa fase la Regione Friuli Venezia Giulia opera pertanto in base alla propria normativa pregressa”.

18

Interpellanza n. 741 “Sulla mancata applicazione della legge 328/2000 e sulla difficile situazione in cui versano gli uffici e le strutture della Amministrazione regionale che operano nel settore delle politiche sociali”, presentata alla Presidenza il 21/11/2001 dai Consiglieri Regionali: Zvech, Dolcher, Mattassi, Petris, Alzetta, Gherghetta.

19

Interrogazione a risposta orale n. 1045 “Mancata applicazione della legge nazionale n. 328 del 2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, presentata alla Presidenza il 11/04/2002 dai Consiglieri Regionali: Degano e Moretton.

20

Parole del Direttore del Servizio per le Attività Socio Assistenziali e per quelle Sociali ad Alta Integrazione Sanitaria citate nell’interrogazione n.1045.

21

Primo Piano socio-assistenziale Regionale 1999-2001, approvato con delibera del Consiglio Regionale n. 591 del 1 Dicembre 1999.

22

Contenute nel D.G.R. n.471 del 19 Aprile 2002.

23

Delibera della Giunta Regionale n.425 del 27 Marzo 2001.

24

La tabella che ci è stata fornita dalla Regione non conteneva l’indicazione del D.G.R. n. 471 del 19/04/02 “Determinazione dei criteri e delle modalità per la ripartizione delle risorse provenienti dal fondo nazionale per le politiche sociali. Anno 2001. Esercizio finanziario 2002”, da noi opportunamente inserito.


25

D.C.R. 28/11 -4/12/01, n. 65.

26

L.R. 30/1998, Piano dei Servizi Sociali 1999/2001, L.R. 25/2000.

27

Piano dei Servizi Sociali 2002/2004.

28

Ibidem.

29

La presente tabella è stata compilata dai ricercatori, in quanto il Settore Promozione Sociale ed Interventi per la Famiglia della Regione Liguria ha risposto alla richiesta di informazioni sullo stato di attuazione regionale della legge 328/00 ribadendo che le notizie sugli adempimenti attuativi sono contenute all’interno del Piano dei servizi sociali. Ci scusiamo, quindi, per eventuali errori od omissioni.

30

D.G.R. n. VII/6347 del 5 Ottobre 2001.

31

Ibidem.

32

Ibidem.

33

Ibidem.

34

Ibidem.

35

Ibidem.

36

Ibidem.

37

Ibidem.

38

Per non perdere nessuna sfumatura di significato nel citare gli estratti del Piano si è deciso di mantenere i grassetti della versione originale.

39

Ibidem.

40

Ibidem.

41

Ibidem.

42

Modificata con legge regionale n. 28 del 21 Novembre 2000.

43

Deliberazione amministrativa n. 306 del 1 Marzo 2000 “Piano Regionale per un Sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000/2002”.

44

Il primo Piano Regionale è stato costruito sulla falsariga delle varie proposte di legge che hanno preceduto la 328 e quindi risente sostanzialmente dell’impostazione.

45

Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000/2002.

46

D.G.R. n. 337 del 13 Febbraio 2001 “Istituzione degli ambiti territoriali”.

47

D.G.R. n. 592 del 19 Marzo 2002 “ Modifica alla DGR n. 337/2001 - Istituzione degli ambiti territoriali”.

48

D.G.R. n. 1670 del 17 Luglio 2001 “Deliberazione amministrativa n. 306/2000 “Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali - Approvazione linee guida”.

49

Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000/2002.

50

Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000/2002.

51

DGR n. 337 del 13 Febbraio 2001.

52

DGR n. 957 del 9 Maggio 2000.

53

DGR n. 2491 del 23 Ottobre 2001 e DGR n. 2492 del 23 Ottobre 2001.

54

L.R. n. 34 del 18 Dicembre 2001 “Promozione e sviluppo della cooperazione sociale”.

55

DGR n. 1768 del 1 Agosto 2000, “Istituzione dell’Osservatorio regionale per le politiche sociali”.

56

D.G.R. n. 1670 del 17 Luglio 2001.

57

DGR n. 2225 del 24 Ottobre 2000 e DGR n. 2106 del 11 Settembre 2001.

113


58

Approvata il 7 Gennaio del 2000.

59

Attualmente all’esame della competente Commissione Consiliare

60

Relazione al disegno di legge regionale n. 407.

61

Atto n. 166/A, all’esame della Commissione Consiliare competente.

62

Approvato dal Consiglio Regionale nella seduta del 29 Luglio 1998, ed attualmente in proroga in attesa del nuovo Piano sociale.

63

Sancita dalla legge costituzionale n. 3/2001.

64

Prevista dall’art. 24 della L.R. n. 4/1988.

65

Data la scarsità, o meglio l’assenza, di provvedimenti attuativi, si è ritenuto inopportuno mostrare anche per la Sicilia la tabella che riassume lo stato di attuazione della legge 328/00 nella Regione.

66

Legge regionale 72/1997.

67

Deliberazione Consiglio Regionale n 118 del 5 giugno 2001 “Piano Integrato Sociale Regionale per l’anno 2001”.

68 DCR n. 60, Allegato B “Linee guida per la formazione del piano integrato sociale regionale 2002-2004”, pag. 2.

114

69

D.C.R. n. 60, Allegato B “Linee guida per la formazione del piano integrato sociale regionale 2002-2004”, pag. 17.

70

Non essendo stata fornita dal Servizio Attività Socio-Assistenziali una risposta dettagliata sullo stato di attuazione relativamente ai singoli adempimenti attuativi di competenza delle Regioni, riportiamo per intero la risposta inviataci: “Con riguardo allo stato di attuazione della legge n. 328/2000, si fa presente che detta norma non trova diretta applicazione in provincia di Trento, in base alle competenze attribuite alla provincia autonoma di Trento dallo Statuto speciale. Ciò tuttavia, essa ha costituito un importante riferimento per l’elaborazione di un schema di disegno di legge di riordino del sistema integrato dei servizi sociali, sul quale è stata avvita la consultazione con i diversi soggetti interessati alla realizzazione del predetto sistema e che sarà prossimamente sottoposto alla Giunta provinciale e poi al Consiglio provinciale per la sua approvazione. Va peraltro considerato che in provincia di Trento i servizi socio-assistenziali sono disciplinati dalla legge provinciale 12 luglio 1991, n.14, che per molti aspetti ha anticipato quanto previsto dalla legge 328/2000. In base a tale norma sono state emanate disposizioni per: 1) l’esercizio delle funzioni socioassistenziali delegate ai comuni in forma associata (regolamento tipo struttura preposta alla gestione tecnico-amministrativa dei servizi socio-assistenziali; criteri per la definizione delle piante organiche; ambiti territoriali; èquipe interdisciplinari; determinazioni per l’erogazione dei servizi e delle prestazioni ed il concorso alla spesa per la relativa fruizione); 2) l’attuazione degli interventi attraverso convenzioni con soggetti pubblici e privati; 3) l’istituzione del registro dei soggetti privati idonei al convenzionamento; 4) l’effettuazione del confronto concorrenziale nei casi in cui sia necessario individuare tra più soggetti quello a cui affidare l’attuazione degli interventi; 5) le disposizioni per l’autorizzazione al funzionamento delle strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie a carattere semi-residenziale e residenziale; 6) la realizzazione di un sistema informativo socio-assistenziale nell’ambito del sistema informativo provinciale. Per quanto riguarda la prospettiva di sviluppo del sistema integrato dei servizi sociali....nel “Piano sociale e assistenziale per la provincia 2002-2003: linee guida e misure attuative sono trattati gli aspetti fondamentali per la costruzione del predetto sistema integrato”.

71

Delibera n. 759.

72

Adottata, al momento della stesura del Piano, in forma parziale o totale da 76 Comuni, sui 92 presenti nella Regione.

73

Con D.G.R. n. 1244 del 10 ottobre 2001.

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Legge regionale 4 Settembre 2001, n.18.

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Art. 1, comma 7, legge 328/00.

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Le Regioni programmano gli interventi sociali promovendo modalità di collaborazione e azioni coordinate con gli Enti locali e provvedono alla consultazione dei soggetti di cui agli articoli 1, commi 5 e 6, e 10 della legge in questione.


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DGR n. 2636 del 7 agosto 2000.

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Progetto di legge regionale n. 241/2002.

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La Regione Veneto ha previsto di dare attuazione alle norme volte alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali mediante un progetto di legge regionale recante “Testo organico per le politiche sociali della Regione Veneto�. Nella colonna relativa allo stato di attuazione regionale della legge 328 sono stati, quindi, indicati i riferimenti al progetto di legge regionale, attualmente all’esame del Consiglio Regionale.

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Parte terza

IL CASO MARCHE (Salvatore Tricoli)


4. TESSERE LA RETE

4.1. Premessa Una sezione della ricerca è stata dedicata all’analisi della costruzione del sistema integrato di interventi e servizi sociali della Regione Marche. A tale scopo, è stata condotta un’analisi qualitativa che si è avvalsa dello strumento delle interviste in profondità, rivolte a 6 testimoni privilegiati. Si tratta in particolare di Giovanni Santarelli Dirigente presso l’Assessorato Servizi Sociali della Regione, Sabrina Banzato Presidente della Cooperativa SocialNet nonché consulente sociale presso la Provincia di Pesaro e Fabio Ragaini esponente dell’associazione di volontariato Gruppo Solidarietà e redattore della rivista “Appunti sulle Politiche Sociali”. Inoltre, sono stati intervistati tre esponenti del Comitato Tecnico Permanente per l’attuazione del Piano Sociale, ossia Paola Bartolucci rappresentante dell’A.N.C.I., Maurizio Tomassini delegato del Servizio Formazione e Lavoro della Regione e Matteo Biscarini (che in realtà è stato membro del Comitato solo sino ad alcuni mesi fa) quale rappresentante della Lega Coop marchigiana. La scelta di focalizzare l’attenzione su questa Regione è stata presa sulla scorta di tre principali considerazioni. Innanzi tutto, le Marche, allo stato attuale, sono una delle Regioni che si è maggiormente distinta per la mole di lavoro svolto nell’attuazione della legge 328/2000. In secondo luogo, i provvedimenti adottati rispecchiano fedelmente lo spirito e gli obiettivi della riforma nazionale. Infine, e soprattutto, è apparso interessante il percorso scelto per l’implementazione del nuovo modello assistenziale. La Regione Marche è, infatti, impegnata nella costruzione di un welfare partecipato. Le fondamenta del proprio sistema integrato poggiano sul metodo della concertazione e della condivisone, tra tutti i soggetti impegnati nel sociale, degli obiettivi e delle finalità da raggiungere. Una simile opzione è stata resa possibile grazie alla redazione di un Piano Sociale poco prescrittivo, che ha consentito la predisposizione dei successivi provvedimenti attuativi attraverso un confronto serrato tra la Regione ed il territorio (Enti locali, Asl, cooperazione sociale e volontariato, parti sociali). Tutto ciò ha favorito la produzione partecipata, dal basso, dei documenti legislativi, lasciando all’Ente Regione una funzione di coordinamento e di indirizzo. Lo studio del caso Marche ha evidenziato che la scelta di intraprendere un percorso di continua concertazione può rivelarsi rischiosa, poiché si potrebbe paralizzare l’intero processo di produzione normativa, ma a lungo termine premiante, per l’effettiva e larga condivisione del materiale prodotto. 4.2. Una corsa ad ostacoli: il percorso di approvazione del Piano

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Per comprendere la natura del welfare marchigiano è necessario far luce su un processo che ha una storia quasi decennale. La rapidità con cui la Regione ha approvato il proprio Piano sociale non è stata, in realtà, una velocità in senso assoluto, bensì relativa nel confronto con l’operato delle altre Amministrazioni regionali. Il dibattito avviato nelle Marche attorno al riordino dei servizi sociali ha, infatti, una storia piuttosto lunga. Senza entrare nel dettaglio di questo processo, possiamo fissare alcune coordinate temporali di riferimento, in modo da rendere chiare le tappe principali di un percorso tutt’altro che agevole. La prima tappa che prenderemo in considerazione è l’affidamento alla società Labos, avvenuto nel 1995, dell’incarico di redigere un Piano sociale. La società lavorò alla redazione del Piano sino al 1997, quando venne presentata una prima bozza del documento di programmazione sociale. Questi due anni, come è noto, coincisero con l’avvio di una vera e propria rivoluzione al livello normativo nazionale: la riforma delle autonomie locali, la legge 285, la normativa sul volontariato, quella sulla cooperazione sociale e, soprattutto, la discussione a livello parlamentare della legge Turco-Signorino. Il lavoro sin lì svolto dalla società si rivelò non in linea con l’assetto che tale rivoluzione andava prospettando. E fu così che si decise di ricominciare tutto da capo. La seconda fase comincia con l’affidamento di un nuovo incarico ad un’equipe guidata dal Professor Ugo Ascoli, che aveva l’obiettivo di costruire un Piano sociale Regionale in stretto collegamento con le discussioni che avvenivano allora all’interno della Commissione Parlamentare sulla legge di riforma dei servizi sociali. Il tempo trascorso non fu del tutto sprecato: l’esperienza della Labos fornì alcune interessanti indicazioni di cui venne fatto tesoro. Si comprese, infatti, che a livello locale erano emerse grosse difficoltà a far propria la bozza di Piano predisposto dalla società esterna. “[…] Io partecipai anche allora a questi piccoli percorsi, però, lì si capiva che era troppo strutturato dall’esterno, troppo improprio, […] perché il territorio non riuscì a condividerlo ci lesse delle cose che non capì perché non erano sue.” (Banzato). La terza fase è rappresentata dall’approvazione, il 1° marzo 2000, del Piano Regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000/2002. I cinque anni di lavoro hanno dato vita ad un “[…] Piano processo, un Piano che non definisce nei minimi particolari tutta l’organizzazione, ma avvia l’organizzazione.” (Santarelli).


Si è giunti così alla tappa ancora in corso, che è, senza dubbio, la più delicata: quella della costruzione concreta del sistema integrato dei servizi sociali. Solo al termine di tale fase operativa si potrà quindi verificare se la scelta marchigiana verrà premiata dai fatti. 4.3 Dall’approvazione del Piano alla sua attuazione: la nascita di una rete La nuova Amministrazione, insediatasi in seguito alle elezioni regionali del 2000, dimostra immediatamente di attribuire alla dimensione sociale una valenza politica strategica fortissima. Diversamente dagli anni precedenti, l’Assessore, l’On.le Secchiaroli, prende solamente la delega ai servizi sociali e non la delega alla sanità. Questa è un’innovazione fondamentale nell’assetto politico organizzativo, perché in precedenza gli Assessori, quando avevano entrambe le deleghe, di fatto seguivano unicamente la sanità. Il cambiamento organizzativo è stato solo il primo tassello delle policy sociali marchigiane. Ad esso, infatti, è seguito un intenso lavoro di consultazione/concertazione con le diverse realtà istituzionali e del privato sociale presenti sul territorio, al fine di definire gli aspetti “generici” del Piano sociale. Si tratta di una precisa scelta politica, “[…] perché non è soltanto un’attuazione di una legge, ma il desiderio di rendere vivo un territorio, rendendolo partecipe della creazione dei servizi e non soltanto utente di servizi creati dal centro.” (Santarelli). Attraverso le parole del Dirigente regionale dei Servizi Sociali è possibile comprendere come la Regione abbia gestito i tavoli di confronto con il territorio. “[…] Noi abitualmente non arriviamo con documenti […] arriviamo soltanto con una indicazione precisa di cosa vogliamo, in quanto tempo lo vogliamo, perché abbiamo chiamato queste persone e qual è il contesto all’interno del quale i vari gruppi che abbiamo istituito lavorano. Quindi gli obiettivi, i vincoli, la mission del gruppo e la tempistica.” (Santarelli). Per questa via, i gruppi di lavoro hanno avuto la possibilità di produrre i loro contributi, di fornire idee, che, provenendo da professionalità, da risorse, da realtà abbastanza diversificate, hanno richiesto una revisione da parte dell’Assessorato. Il materiale rielaborato è stato, in seguito, “[…] abitualmente ridiscusso all’interno di questi gruppi di lavoro, che hanno scritto e riscritto la documentazione per diverse volte.”1 (Santarelli). La concertazione comincia nel Luglio 2000 ed ha come oggetti principali di discussione la definizione degli ambiti territoriali, il ruolo del coordinatore di ambito, il bilancio sociale di area, il Piano di Zona, gli Uffici di promozione sociale e l’integrazione socio-sanitaria. Il lavoro risulta abbastanza lungo, tanto che il suo risultato, le Linee guida2, vengono emanate un anno dopo l’avvio della discussione. Il rallentamento prodotto non è però vissuto in maniera negativa dall’Amministrazione, in quanto “[…] il percorso di confronto con il territorio viene considerato parte integrante del processo”(Santarelli). Inoltre, si può avere la certezza che “[…] il materiale è già condiviso prima ancora di essere approvato dalla Giunta. […] In questo senso la partecipazione non è stata di fronte ad atti già prodotti, ma è stata costruzione di atti.” (Santarelli). I punti attorno ai quali si è acceso maggiormente il dibattito, e che hanno contribuito ad allungare i tempi, sono stati senza dubbio quelli relativi alle dimensioni degli ambiti e alla figura dei coordinatori. Al di là dei contenuti emersi dal dibattito3, appare opportuno evidenziare un altro importante prodotto che questa pratica ha generato: l’instaurarsi di relazioni. Il percorso consultivo, infatti, oltre a rappresentare il luogo di condivisione a livello dei contenuti, è stato a livello organizzativo un vero e proprio lavoro di tessitura della rete. Da quanto emerge dalle interviste risulta che i maggiori ostacoli incontrati durante il processo non siano dovuti tanto agli scontri sui contenuti, quanto alle normali difficoltà di attivare la cooperazione. Agire in una rete “[…] stravolge completamente il sistema. Non si lavora in maniera settoriale, si lavora in maniera trasversale.” (Banzato). La rete, per adesso, è ancora vissuta con disagio, perché formata da nodi che prima d’ora non erano mai stati così vicini. E ciò “[…] comporta comunque un ripensamento delle singole professionalità. Si è costretti a lavorare assieme e, siccome non si è mai fatto, questo comporta dei tempi, delle difficoltà.” (Santarelli). Il disagio nasce anche dal fatto che questi nodi, finora, hanno parlato linguaggi diversi: da una parte linguaggi che hanno un dizionario già definito, dall’altra linguaggi che non lo hanno. “[…] La difficoltà sostanziale è che in ambito sociale non c’è un linguaggio codificato, non è come la sanità. […] In ambito sociale non c’è questa codifica, per cui spesso si perde del tempo per decidere che lingua parliamo” (Banzato). I nodi, inoltre, sono organizzati secondo “filosofie” diametralmente opposte, basti pensare che la sanità “[…] ha un’organizzazione verticistica, con capi ben definiti, con interventi definiti” (Banzato), mentre questo non è assolutamente vero per il sociale. I risultati di questo percorso stabile di confronto con tutti i soggetti, istituzionali e non, possono essere quindi riassunti in due punti principali: 1. la costruzione di un welfare partecipato e quindi largamente condiviso; 2. la tessitura della rete, che costituirà la spina dorsale del sistema integrato marchigiano. La lentezza con cui questi risultati sono stati ottenuti non ne intacca comunque il valore. Ogni processo di Riforma incontra ostacoli, “[…] anche perché la riforma deve essere condivisa soprattutto da chi ci lavora, primo, ma poi

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condivisa da tutti coloro che in qualche modo hanno nel processo un ruolo differenziato, ma naturalmente strategico.” (Tomassini). La scelta di affrontare prima gli ostacoli può in qualche modo evitare che questi diventino in seguito insormontabili. Un’altra ragione per cui la lentezza sin qui mostrata può essere considerata soltanto “relativa” è che la rete marchigiana sta nascendo ancor prima che l’operatività degli ambiti territoriali lo renda necessario. Si tratta di una rete “[…] che probabilmente si deve sperimentare molto, però è una rete che già qualche percorso ce l’ha. E credo che chi non ce l’ha sicuramente lavorerà meno e avrà più difficoltà rispetto al nostro territorio.” (Banzato). 4.4. La particolarità delle Marche Tessere una rete, abbandonare il lavoro settoriale in favore di quello trasversale comporta generalmente dei problemi, che possono essere superati in maniera più agevole se i “famosi nodi” hanno già qualcosa che li lega, ossia un obiettivo comune largamente condiviso. Questo legame nel caso marchigiano è la condivisione dell’importanza attribuita ai servizi sociali. “[…] La particolarità delle Marche è che addirittura Confindustria, facendo una ricerca su come rendere produttivi i distretti industriali, è arrivata alla considerazione che per fare ciò bisogna fare investimenti in servizi sociali.” (Biscarini). Per chiarire meglio questa “particolarità” possiamo prendere a prestito il concetto di capitale sociale così come è stato utilizzato da Putnam4. Lo studioso americano ha introdotto il concetto come variabile indipendente per la spiegazione del diverso funzionamento degli organismi regionali italiani. Il capitale sociale è in questa accezione il fattore che facilita la cooperazione volontaria all’interno di una comunità, è una sorta di bene pubblico condiviso da un’intera collettività: un sinonimo della fiducia sociale. “[…] Caratteristica fondamentale del capitale sociale è quello di rendere possibile la cosiddetta reciprocità generalizzata, che si esplica nella disponibilità del cittadino a fare qualcosa per gli altri nella certezza che in un tempo non ben definito anch’egli potrà usufruire dello stesso comportamento altruistico. Ciò è reso possibile grazie ad un elevato livello di fiducia sociale che si autoalimenta attraverso l’esistenza e il funzionamento di circoli virtuosi.”5 Come ogni tipo di capitale anche quello sociale è produttivo, poiché consente di raggiungere risultati vantaggiosi impossibili da conseguire in sua assenza. Il capitale sociale costituisce, quindi, un requisito fondamentale affinché in una comunità siano presenti partecipazione e responsabilizzazione nei confronti dei beni di interesse collettivo. È evidente che, come lo stesso Putnam sosteneva, nella Regione Marche vi sia “accumulata” una buona dose di capitale sociale. Lo dimostra, da una parte, l’enorme espansione del Terzo settore “[…] c’è stata una esplosione della cooperazione sociale nelle Marche negli ultimi 8-10 anni, […] nel giro di 3-4 anni abbiamo moltiplicato per 3 o per 4 il numero degli addetti.” (Biscarini). Un altro indizio della diffusione di tale capitale è la presenza di realtà territoriali particolarmente all’avanguardia nel settore sociale. Le realtà all’avanguardia dimostrano anche che il capitale sociale non è uniformemente distribuito nella Regione, ma i testimoni intervistati concordano nell’attribuire loro la funzione di traino rispetto a realtà più indietro. Ricco di capitale sociale è in particolare il territorio di Pesaro, come stanno dimostrando sia la Provincia che il Comune. La prima, oltre ad aver reclamato un maggiore peso dell’Ente Provincia nell’assetto organizzativo del Sistema Integrato, ha anche con successo proposto la nascita dell’Osservatorio sulle politiche sociali. Il secondo si sta spingendo a sperimentare, con l’aiuto della Regione, un’integrazione globale, che coinvolge non soltanto sociale e sanitario, ma anche industriale, economico e commerciale. 4.5 Conclusioni

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Ripetiamo ancora una volta, a rischio di essere tediosi, che la consultazione sta permettendo ai diversi attori di entrare in contatto, di costruire insieme un lessico comune. Condizione questa necessaria per ottenere un reale sistema integrato. Tutti gli intervistati, nonostante alcune discordanze sugli esiti, riconoscono l’impegno della Regione in questo senso e concordano sul fatto che questa modalità di lavoro abbia una valenza estremamente positiva. Così si esprime l’esponente del Volontariato: “[…] Questo strumento può essere uno strumento importantissimo all’interno di una chiarezza dei ruoli di ogni soggetto.” (Ragaini) Tra i testimoni, c’è chi ritiene che la concertazione sarà il fattore di successo del welfare marchigiano, perché attraverso il dialogo “[…] gli Enti locali sono stati chiamati in prima linea e responsabilizzati a svolgere un ruolo chiave nel processo di riforma.” (Tomassini). O ancora, c’è chi enfatizza il valore del lavoro trasversale, perché “[…] c’è un rapporto continuo, c’è una ricerca, c’è la valorizzazione di tutti gli addetti del settore, c’è la definizione delle competenze, dei ruoli.” (Bartolucci). Altri non dimenticano di sottolineare le condizioni che sono necessarie affinché tale pratica garantisca risultati positivi. “ […] Secondo me (la concertazione) è un punto di forza, ma può trasformarsi in punto di debolezza, se le classi dirigenti locali sono inadeguate rispetto alle problematiche […] Questa è stata una scelta di democrazia


partecipativa, la democrazia è difficile, però è la strada che abbiamo scelto.” (Biscarini). Non mancano le critiche sulla gestione della consultazione. “[…] I tavoli sono e rischiano di essere sempre più i tavoli dei soggetti gestori.” (Ragaini). Una critica che, tuttavia, non rimane sterile, poiché è accompagnata dalla proposta di superare questo problema attraverso il coinvolgimento dei rappresentanti degli utenti. Un altro elemento di criticità, espresso dagli intervistati, riguarda l’incertezza rispetto alle intenzioni del Governo nazionale e cioè se questa legge avrà un seguito o verrà stravolta al punto tale da essere rivista completamente nei suoi presupposti. O ancora l’incertezza dovuta alle risorse economiche, “[…] direi che i conflitti non hanno paralizzato niente, sono più gli aspetti burocratici, istituzionali che danno lentezza, gli aspetti finanziari sicuramente, problemi di fondi, come tutte le regioni.” (Bartolucci). In conclusione, riteniamo che il metodo adottato nelle Marche, per quanto auspicabile, sia in realtà difficilmente applicabile in altri contesti. Non in tutte le Regioni si presentano le stesse condizioni favorevoli: elevato capitale sociale, un forte impegno della politica ed una tradizione di eccellenza nei servizi sociali, sia pubblici che afferenti al Terzo settore. D’altra parte, pur in presenza di condizioni favorevoli, occorre ricordare che questo percorso comporta inevitabilmente un allungamento dei tempi di attuazione della riforma, un rischio che le Regioni più indietro nel sociale non possono permettersi il lusso di correre, se vogliono almeno provare a ridurre il gap esistente.

Note: 1 Nel

caso delle Linee Guida il documento è stato modificato ben 24 volte.

2 D.G.R.

n. 1670 del 17 Luglio 2001, Deliberazione amministrativa n. 306/2000, “Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali - Approvazione linee guida”.

3 Per

chi volesse conoscere il contenuto delle Linee guida può consultare la Scheda relativa alla Regione Marche.

4 Putnam

R. D., “Making democracy work”, Princeton University Press, 1993 (trad. It. La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondatori, Milano, 1993).

5 Ricotta

G., “Capitale sociale e competenze: le basi per l’occupabilità”, in Rapporto D.I.eS. (Dipartimento Innovazione e Società), Facoltà di Sociologia, Università di Roma “La Sapienza”: “Prospettive dell’occupabilità: acquisizione delle competenze nei percorsi iniziali della vita lavorativa”.

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Parte quarta

UN QUADRO D’INSIEME (Daniela Bucci, Valentina Piersanti, Salvatore Tricoli)


5. IL PUNTO SULLO STATO DI ATTUAZIONE DELLA LEGGE QUADRO

5.1. Nessun promosso, molti rimandati Ad un anno e mezzo dall’approvazione della legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali ed a più di un anno dall’emanazione del primo Piano sociale Nazionale, il nuovo modello di welfare stenta a decollare. Dall’esame dello stato di attuazione della riforma assistenziale è possibile affermare che nessuna Regione ha ancora dato pienamente seguito alle disposizioni previste dalla normativa nazionale. La maggior parte dei governi regionali tarda ad approvare nuovi Piani sociali, con il rischio di vanificare l’obiettivo prioritario fissato dal legislatore: garantire standard di prestazioni omogenee sull’intero territorio nazionale. Il panorama regionale italiano appare piuttosto complesso. È possibile, infatti, individuare varie tipologie di condotta, in ordine sia alla priorità data ai singoli adempimenti attuativi, sia alle modalità ed ai contenuti adottati. Le disomogeneità possono essere, in parte, attribuite alla stessa natura della legge di riforma, che, in quanto legge quadro, fissa unicamente i principi ed i criteri per il riordino del sistema dei servizi sociali, la cui concreta realizzazione risponde alla volontà politica di altri soggetti istituzionali, che sono chiamati ad applicarla, in funzione delle responsabilità di loro competenza. Se è possibile ritrovare un sostanziale accordo tra le Regioni sui principi guida, risulta più difficile operare un paragone sulle scelte operative. In questo contesto, ricavare una misura univoca dello stato complessivo di attuazione della legge nazionale non permetterebbe di cogliere la complessità del fenomeno. Per evidenziare le diverse sfumature, si ritiene più utile operare un’analisi dei diversi orientamenti regionali rispetto ad alcuni adempimenti applicativi. 5.2. La fotografia di un’Italia a più marce Pilastro della programmazione regionale, il Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali è lo strumento fondamentale di costruzione del Sistema integrato. Attualmente 3 Regioni (Basilicata, Marche ed Umbria) hanno in vigore un Piano precedente all’approvazione della 328/00, che disciplina il comparto sociale sulla base degli orientamenti delineati dall’allora progetto di legge, a cui si deve aggiungere la Provincia autonoma di Bolzano. Soltanto 5 Regioni (Campania, Toscana, Valle D’Aosta, Liguria e Lombardia), unitamente alla Provincia autonoma di Trento, hanno provveduto ad emettere un nuovo Piano sociale successivo all’approvazione della legge di riforma nazionale. Di esse soltanto 4 (Campania, Toscana, Valle D’Aosta e Liguria) hanno rispettato i tempi di emanazione previsti dalla legge quadro: 120 giorni dall’adozione del Piano Nazionale, pubblicato sulla G.U. il 6/08/2001. 3 Regioni (Emilia Romagna, Piemonte e Veneto) hanno messo a punto un disegno di legge regionale di recepimento della normativa nazionale, attualmente all’esame delle competenti Commissioni Consiliari. 6 Regioni (Abruzzo, Calabria, Lazio, Molise, Puglia, Sardegna) hanno avviato un percorso che porterà, con tempi e modalità diverse, all’adeguamento della sussistente disciplina regionale. 2 Regioni (Friuli Venezia Giulia, Sicilia) si trovano ancora bloccate ai nastri di partenza. Se prendiamo in considerazione i tempi previsti per l’emanazione dei Piani sociali Regionali, soltanto 4 Regioni hanno rispettato la scadenza fissata.

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La Campania, emanando le Linee programmatiche per l’integrazione degli interventi e dei servizi sociali, ha scelto di porsi in una prospettiva di progettazione in progress, da completare e ridefinire nei mesi successivi in relazione ad un’attenta valutazione dei processi di cambiamento in atto. La Toscana ha optato per la soluzione del Piano transitorio annuale (per il 2001), al fine di riallineare, a partire dal triennio 2002-2004, la programmazione sociale con il vecchio Piano Sanitario regionale, in vigore fino al 2001. La Valle d’Aosta ha adottato un documento di programmazione socio-sanitaria che si propone, tra i suoi obiettivi, di colmare lo squilibrio organizzativo e culturale tra il settore sociale e sanitario, attribuendo un ruolo più incisivo agli Enti locali rispetto alle Aziende Usl. La Liguria ha


ribadito e perfezionato, con un nuovo Piano Regionale, il sistema integrato già introdotto dal precedente documento di programmazione sociale 1999/2001, fornendo una visione puntuale della riforma assistenziale. Tra le Regioni che hanno emanato un nuovo Piano sociale, pur non rispettando i tempi previsti, del tutto originale si dimostra il provvedimento della Lombardia, che dichiara la sua intenzione di adottare tutti gli scostamenti e le differenziazioni opportune dall’impianto nazionale, definito nella scorsa legislatura, al fine di tutelare la specificità del proprio assetto federale. Un gruppo di Regioni governa il sociale con un documento di programmazione emanato prima del Novembre 2000, data di approvazione della legge di riforma nazionale. Tali Regioni hanno seguito, nei loro provvedimenti legislativi, i contenuti dell’allora progetto di legge, al fine di dare immediato avvio alla costruzione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Tra quelle che storicamente si sono connotate per una forte attenzione al sociale, troviamo Umbria e Marche, che si contraddistinguono per l’aver adottato scelte diverse. La prima ha elaborato un welfare a cinque livelli, che fornisce risposte articolate a condizioni di disagio di diverso peso. La seconda ha optato per la predisposizione di un Piano processo che fornisce solo gli indirizzi per la successiva costruzione partecipata del sistema sociale marchigiano. In questo gruppo, rientra la Basilicata che, pur provenendo da una situazione di arretratezza del sistema dei servizi sociali, si è posta l’obiettivo di colmare il proprio gap normativo, realizzando, sulla scorta del progetto di legge nazionale, un Piano sociale ben strutturato. Le due Province autonome di Trento e Bolzano, accomunate da un percorso simile per ciò che riguarda, in particolare, l’attribuzione delle competenze in materia di gestione dei servizi sociali, si differenziano nelle scelte relative all’attuazione della legge 328/2000. Mentre Bolzano ha attualmente in vigore un Piano sociale Provinciale approvato nel ’99, Trento ha emanato le Linee guide per la pianificazione sociale solo da qualche mese, impegnandosi contemporaneamente nella stesura di un disegno di legge di riordino del sistema integrato dei servizi sociali. Se l’una ha quindi anticipato per alcuni aspetti la legge di riforma nazionale, l’altra ha dato il via ad un programmazione che mira ad adeguare la propria normativa alle indicazioni contenute in essa. Rispetto alle modalità di attuazione della riforma assistenziale, la scelta effettuata da Emilia Romagna, Piemonte e Veneto è di dare seguito alle norme relative alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali mediante un unico progetto di legge regionale (attualmente all’esame delle competenti Commissioni Consiliari), che si configura come lo strumento di applicazione della riforma nazionale (in tutti i suoi adempimenti) sul territorio regionale. In luogo di singoli provvedimenti attuativi, lo strumento del disegno di legge regionale consente di mettere mano, in modo organico, alla riorganizzazione del comparto sociale per l’applicazione del sistema integrato e si configura come un punto di riferimento unitario per ogni soggetto locale, pubblico o privato, che operi nei diversi ambiti di intervento assistenziale. Un percorso simile è stato avviato dalla Calabria, fino ad oggi annoverata tra le Regioni più indietro nel comparto sociale, che si propone, nelle parole del Presidente della Giunta Regionale, di ricalcare la strada emiliana. Al momento, non è stato tuttavia possibile reperire (pur avendone fatta richiesta) il progetto di legge attuativo del sistema integrato, approvato dalla Giunta e trasmesso al Consiglio Regionale secondo quanto riferito dal Dipartimento per i servizi sociali. La Puglia ha anch’essa elaborato un progetto di legge regionale, ma limitatamente alla sola definizione degli ambiti territoriali ed alla disciplina della gestione associata degli interventi socio-assistenziali, che è attualmente all’esame della competente Commissione Consiliare. Tra le Regioni in fase di aggiornamento del proprio documento di programmazione sociale, un passo avanti si trova l’Abruzzo, la cui proposta di Piano, che intende consolidare e sviluppare il sistema di welfare regionale, già introdotto nella precedente legislatura, a partire da un’attenta analisi dei cambiamenti intervenuti nel triennio precedente, è all’esame del Consiglio Regionale, a causa delle note vicende del governo abruzzese. Il Lazio, che si proponeva, con il primo Piano socio-assistenziale per il triennio 1999-2001, di perseguire ed anticipare la riforma nazionale dell’assistenza attraverso l’avvio di un percorso di sperimentazione, ad oggi ha emanato le Linee guida ai Comuni per l’utilizzo delle risorse provenienti dal Fondo Nazionale per le Politiche Sociali 2001, ma è solo ad una prima stesura del proprio Piano Regionale. La Sardegna, pur avendo in proroga un Piano che individua obiettivi e destinatari sovrapponibili a quelli del Piano Nazionale, si rifà ad una legge regionale del 1988 e deve adeguare la propria programmazione sociale riguardo importanti aspetti, quali la previsione dei Piani di Zona. Al contrario, il Molise, che ha emanato nel 2000 una legge di riordino delle attività socio-assistenziali, ha solo una proposta di Piano sociale per dare attuazione alla programmazione nazionale. Proposta che deve ancora essere portata all’attenzione delle forze sociali. Infine, non hanno emanato, finora, alcun provvedimento ufficiale la Sicilia ed il Friuli Venezia Giulia, che governano il sociale con una normativa ormai datata. Adozione del Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali. (L. 328/00, art. 18, comma 6) Campania “Linee programmatiche per la costruzione di un Sistema integrato di interventi e servizi sociali”, D.G.R. n. 1826/01. Toscana “Piano Integrato Sociale Regionale 2001”, approvato in Consiglio Regionale il 5/06/01.“Linee guida per la formazione del piano integrato sociale regionale 2002-2004” D.C.R. n. 60. Valle D’Aosta “Piano Socio Sanitario 2002-2004”, L.R. n. 18 del 4 Settembre 2001. Liguria “Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004”, D.C.R. n. 65 del 28/11 - 4/12/01.

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Lombardia Trento Bolzano Umbria Basilicata Marche

“Piano Socio Sanitario 2002-2004”, approvato in Consiglio Regionale il 13 Marzo 2002. “Piano Sociale Assistenziale per la Provincia di Trento 2002-2003. Linee guida e misure attuative”, DGP n. 581 del 22 Marzo 2002. “Piano Sociale Provinciale 2000-2002”, approvato il 13 dicembre 1999. “Piano Sociale Regionale 2000-2002”, D.C.R. n.759 del 20 Dicembre 1999. “Piano Socio Assistenziale Regionale 2000-2002”, delibera n.1280 del 22 Dicembre 1999. “Piano Regionale per un Sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000-2002”, deliberazione amministrativa n. 306 del 1 Marzo 2000.

Stato di avanzamento dei lavori nelle altre Regioni Abruzzo Proposta di Piano sociale Regionale 2002-2004, D.G.R. 1347 del 31 Dicembre 2001, attualmente all’esame del Consiglio Regionale. Calabria Progetto di legge regionale: “Realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali nella Regione Calabria (in attuazione della legge 328/2000)” - D.G.R. n. 212 del 19 Marzo 2002. Emilia Romagna Progetto di legge regionale: “Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, attualmente all’esame della competente Commissione Consiliare. Lazio Prima stesura del Piano socio-assistenziale per il triennio 2002-2004. Molise Elaborata una proposta di Piano sociale Regionale. Piemonte Disegno di legge regionale: “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali”, n. 407, attualmente all’esame della competente Commissione Consiliare. Puglia Disegno di legge regionale: “Individuazione degli ambiti territoriali e disciplina per la gestione associata dei servizi socio-assistenziali - Disciplina delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di servizi sociali da parte degli enti locali”, atto n. 166/A, attualmente all’esame della competente Commissione Consiliare. Sardegna Prorogato il “Piano Socio Assistenziale per il triennio 1998-2000”, approvato dal Consiglio Regionale il 29 Luglio 1998. Da aggiornare (in particolare per la previsione del Piano di Zona). Veneto Progetto di legge regionale n. 241/2002: “Testo organico per le Politiche Sociali della Regione Veneto”, attualmente all’esame della competente Commissione Consiliare. Piano sociale Regionale in corso di elaborazione. Friuli Venezia Giulia Nessun provvedimento formale. Sicilia Nessun provvedimento formale. 5.3. I Livelli essenziali di assistenza in ambito territoriale Per quanto riguarda la definizione, sulla scorta delle indicazione nazionali ed in funzione delle diverse esigenze locali, dei livelli essenziali di assistenza da garantire in ogni ambito territoriale, la situazione si presenta piuttosto critica. Se la volontà di assicurare prestazioni omogenee sull’intera Penisola italiana rappresenta, senza dubbio, un aspetto caratterizzante della legge quadro, solo 4 Regioni hanno già provveduto a delineare i livelli essenziali di assistenza in ambito zonale: Basilicata, Liguria, Umbria e Valle D’Aosta. La Toscana ha avviato una fase sperimentale, mentre la Provincia autonoma di Bolzano deve completare un percorso già avviato negli anni precedenti. Tra le Regioni che hanno dichiarato di aver intrapreso uno studio in questa direzione, un passo avanti si trova l’Abruzzo, nella cui proposta di Piano sociale (all’esame del Consiglio Regionale) la definizioni dei livelli essenziali, da garantire nel prossimo triennio, poggia sull’analisi dei risultati raggiunti dalla precedente programmazione sociale ed è realizzata in funzione delle carenze da colmare e dei bisogni sociali da soddisfare. Dall’esame comparato dei provvedimenti emanati, particolarmente interessante, seppur precedente alla definitiva approvazione della legge quadro, è risultato il lavoro di Umbria e Basilicata, che hanno assolto a questa competenza regionale attraverso una puntuale definizione non solo degli interventi da garantire e degli obiettivi da perseguire, ma anche dei contenuti del servizio. I loro documenti di programmazione sociale delineano obiettivi specifici e standard gestionali, indicando temi, destinatari, modalità organizzative e dotazioni professionali. Nel caso dell’Umbria, in particolare, l’individuazione di tipologie di servizio innovative viene ad accostarsi alla ricollocazione delle prestazioni già esistenti, attraverso la selezione dei loro punti di criticità ed il suggerimento di percorsi di adeguamento.

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Livelli essenziali per le prestazioni in ambiti territoriali. (L. 328/00, art. 22, comma 4) Basilicata Piano Socio Assistenziale Regionale 2000-2002. Bolzano Definiti in parte. Liguria Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004.


Toscana Umbria Valle D’Aosta

Avviata fase sperimentale. Piano sociale Regionale 2000-2002. Definiti con precedenti leggi di settore e riaffermati con la legge regionale di approvazione del PSSR (L.R. 18/01).

5.4. I Titoli per l’acquisto dei servizi sociali Una novità apportata dalla legge quadro è quella dei Titoli per l’acquisto dei servizi sociali, che introducono nel settore assistenziale il modello della libera scelta dell’utente. Il fine è di sviluppare una dinamica di mercato a vantaggio della qualità, laddove sia l’utente (e la sua famiglia) il principale giudice del servizio erogato. In un panorama di generale inadempienza sulla disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei Titoli, la Lombardia ha da poco concluso la sperimentazione del buono socio-sanitario per l’anno 2001, la Liguria ha avviato la sperimentazione per il biennio 2002-2003 e la Toscana ha elaborato un progetto di sperimentazione per il Comune di Firenze. La Lombardia ha introdotto i buoni servizio per le famiglie nella propria normativa già dal 1999, con l’obiettivo di favorire l’acquisizione diretta delle prestazioni erogate da Enti pubblici e privati accreditati o convenzionati. Attualmente, essa è l’unica Regione ad avere non solo favorito l’utilizzo di questo strumento, ma ad avere addirittura concluso la sperimentazione del buono socio-sanitario per l’anno 2001. Tale sperimentazione, da poco terminata, ha coinvolto 7000 famiglie del territorio lombardo e la Regione si presta adesso a valutarne i risultati per la definizione dei futuri sviluppi operativi. La Liguria ha avviato la sperimentazione dei “titoli servizio” per il biennio 2002-2003 con il nuovo Piano triennale. Rispetto al buono lombardo, indirizzato in via prioritaria alle famiglie in situazioni di bisogno, quello ligure si configura come una misura aggiuntiva rivolta a tutti i cittadini. Le due sperimentazioni differiscono infatti per i servizi cui sono destinati i titoli, mentre in Lombardia il buono si configura come uno strumento per valorizzare la cura dell’anziano a domicilio, in Liguria l’acquisto dei servizi spazia dall’aiuto domestico famigliare, al sostegno per non autosufficienti, fino ad arrivare all’assistenza educativa, attraverso assistenti famigliari o baby sitter. Disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli per i servizi. (L. 328/00, art. 17, comma 2) Liguria Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004. Lombardia L.R. 23/1999 “Politiche regionali per la famiglia”. D.G.R. n. 2857/2000 “Sperimentazione del buono socio sanitario a favore di anziani non autosufficienti assistiti in famiglia”. Toscana Avviata fase sperimentale. 5.5. Una panoramica generale Scorrendo il complesso degli adempimenti attuativi di competenza regionale possiamo constatare che la quasi totalità delle Regioni ha provveduto alla ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato (art. 4, comma 3) ed alla determinazione degli ambiti territoriali (art. 8, comma 3, lettera a)), che di norma vengono a coincidere con i distretti sanitari. Al contrario, completamente evaso, se si esclude la presenza di alcuni progetti o l’avvio di tavoli di discussione, risulta l’adeguamento della normativa regionale ai principi del decreto legislativo recante una nuova disciplina delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza (art. 10, comma 3). Tanto più se si considera che il riordino delle IPAB doveva essere effettuato entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto, pubblicato sulla G.U. il 1/06/2001. Stessa sorte per la determinazione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni (art.8, comma 3, lettera h)), con l’unica eccezione della Basilicata, che ha provveduto ad individuare i caratteri strutturali e gestionali nel proprio documento di programmazione sociale. Per la definizione dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi (art. 8 comma 3, lettera f)), mentre alcune Regioni dispongono di vecchie disposizioni sull’autorizzazione, nessuna ha ancora attuato provvedimenti sul delicato tema dell’accreditamento e della vigilanza. Meno della metà delle amministrazioni ha provveduto a disciplinare i rapporti tra Enti locali e terzo settore (art. 5, comma 3), nonostante sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona il precedente Governo abbia prodotto, in ossequio alle disposizioni normative, un atto di indirizzo e coordinamento che ha la funzione di guidare le scelte regionali. Guardando all’ancora incompleta attuazione della riforma assistenziale potrebbe essere legittimo parlare di ritardi fisiologici legati ai tempi tecnici di recepimento di una legge innovativa, che richiede il coinvolgimento di tutti gli attori, istituzionali e non, che operano sul territorio nazionale. In realtà patologica appare la situazione delle Regioni più indietro, per le quali non è possibile delineare neanche i tempi e le modalità di futura realizzazione del sistema integrato. Fattore questo che reitera l’assenza di un complesso di prestazioni omogenee sull’intero territorio nazionale.

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Parte quinta

INDAGINE DELPHI (Daniela Bucci, Antonella Lizambri)


6. IL FUTURO DELLA LEGGE 328/2000 TRA VINCOLI ED OPPORTUNITÀ

6.1. Introduzione L’indagine contenuta in questa parte del rapporto è stata realizzata con l’obiettivo di tracciare un’immagine plausibile del futuro dei servizi sociali in Italia dal 2002 al 2005, con particolare riferimento allo stato di recepimento ed attuazione della legge 328 del 2000. La credibilità del rapporto previsionale è direttamente legata alla rigorosità del metodo adottato per la sua realizzazione. Per questo progetto, la costruzione dello scenario futuro è avvenuta con l’ausilio di una variante del metodo Delphi, che implica l’individuazione di una molteplicità di item previsionali, discriminati secondo criteri di plausibilità e probabilità soggettiva. L’essenza del procedimento consiste nel dedurre, dalla consultazione di un gruppo di esperti, una “previsione comune” che sia degna di fiducia. Il futuro, di per sé multiplo ed incerto, viene a dipendere dal grado di conoscenza e capacità previsionale degli esperti e dalla sintesi delle loro esperienze, piuttosto che dai dati empirici. La doppia forma di consultazione (prima libera e riflessiva, poi analitica e basata sul meccanismo della scelta secca fra il sì e il no), l’anonimato reciproco degli esperti (che evita sia le contrapposizioni pregiudiziali, sia un assenso fondato più sul rispetto dell’autorevolezza che su una verifica puntuale), la selezione severa delle previsioni accettabili (che porta a scartare tutte le frasi in cui non si raggiunge il consenso di almeno due terzi degli esperti) costituiscono l’insieme degli accorgimenti metodologici utilizzati a garanzia dell’affidabilità del quadro risultante. La scelta di proporre in questa sede delle affermazione assertive, in luogo di formule ipotetiche, non deve tuttavia trarre in inganno: l’intento della ricerca non è quello di offrire certezze circa il verificarsi di accadimenti futuri. Si tratta piuttosto di una scelta stilistica, dettata dal desiderio di proporre degli utili spunti di riflessione sui possibili andamenti futuri, con l’obiettivo di aprire il dibattito politico e di fornire ulteriori strumenti al processo decisionale. Il senso della costruzione degli scenari previsionali, e quindi anche del progetto “Il futuro della legge 328/2000 tra vincoli ed opportunità”, sta principalmente in questo: nell’indurre, con la forza del metodo scientifico, i protagonisti della vita sociale, della cultura, dell’economia e i decisori della sfera pubblica ad affrontare la fatica ed il rischio dell’anticipazione, per progettare con maggiore consapevolezza le scelte del futuro.

7 . VERSO UN N UO VO M O D ELLO D I SERVIZI SO CIA LI

7.1. Croci e delizie delle politiche sociali

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Nel prossimo triennio, gli effetti della legge 328/2000 sull’erogazione dei servizi sociali saranno sicuramente positivi. Con l’attuazione del sistema integrato, i servizi assistenziali saranno più coordinati, grazie alla progressiva estensione dell’attività di programmazione, più rispondenti alla domanda sociale e più orientati ai bisogni della comunità. Il modello di politica sociale che si affermerà nel prossimo triennio vedrà le Istituzioni pubbliche impegnate nella programmazione sinergica degli interventi, nei diversi settori che incidono sulla qualità della vita delle comunità e dei singoli che le compongono. Da qui al 2005, si registrerà uno sviluppo della legislazione regionale e degli strumenti di programmazione regionale e locale che influirà sull’erogazione dei servizi sociali, in termini di integrazione e sinergia con i servizi di altri settori che concorrono al benessere e allo sviluppo dei singoli e delle comunità locali (sanità, scuola, formazione, politiche abitative, ecc.). Significativa, in questa direzione, sarà soprattutto la definizione degli ambiti di integrazione tra sociale e sanitario. Le differenti programmazioni territoriali, le diverse regolamentazioni, le iniziative che prenderanno il via, grazie alle entità economiche che si renderanno disponibili nel primo triennio, non incrementeranno i nuovi servizi in maniera caotica, ma offriranno sostegno a quelli vecchi. Si verificherà quindi il fenomeno per cui i servizi territoriali e promozionali non prenderanno il posto dei servizi segreganti, ma si affiancheranno ad essi. In alcune Regioni (quali, ad esempio, la Sicilia) l’attuazione della legge non eserciterà effetti particolari sulle modalità di erogazione degli interventi, almeno non in tempi così brevi. Piuttosto si ripiegherà sugli standard fissati dalle vigenti leggi regionali e si deciderà strategicamente di occuparsi, in questa prima fase, solo della convergenza fra le varie PP.AA. locali interessate alla programmazione. In questo modo, si punterà più ad innovare il processo, che


non il prodotto, ovvero i servizi sociali. Complessivamente, la legge 328/2000 porterà ad interventi nel loro insieme efficienti ed apporterà efficacia di soluzioni, laddove i cittadini sapranno chiedere ed esigere. Il maggior punto di forza della legge sarà infatti nella creazione di una cornice per lo sviluppo di politiche sociali fondate sulla programmazione coordinata, che sappiano incidere sulla qualità della vita delle persone e sul riconoscimento del diritto dei cittadini ad ottenere le prestazioni ed i servizi sociali, a fronte di un dovere dei soggetti pubblici di garantirli. 7.1.1. Tra qualità e quantità Il processo di attuazione della legge quadro determinerà il miglioramento della qualità delle prestazioni sociali e la promozione dell’assistenza mirata. Il potenziamento della qualità degli interventi avverrà molto gradualmente ed in maniera più accentuata laddove già esiste un sistema di servizi maturo. L’incremento della qualità delle prestazioni non si verificherà a fronte di una riduzione del numero dei beneficiari. Al contrario, si registrerà un aumento del numero delle famiglie che si affacceranno nel mercato sociale regolato dall’Ente pubblico. La crescita quantitativa dei servizi sociali avverrà solo se le risorse aggiuntive, che la legge renderà disponibili, verranno utilizzate per garantire i livelli essenziali delle prestazioni, previsti dalla normativa. Il rischio è che tali risorse vengano impiegate, in futuro, per riequilibrare la riduzione della spesa in campo sanitario. 7.2. Sinergie pubblico - privato L’attuazione della riforma assistenziale produrrà un salto di qualità nell’azione degli Enti pubblici. I Comuni diverranno, nei prossimi 5 anni, i protagonisti della riorganizzazione dei servizi e delle politiche sociali. E ciò permetterà di sviluppare logiche di riposta più vicine ai cittadini. Nel prossimo triennio, le principali ricadute della legge, nel campo dei servizi, riguarderanno il ruolo del privato sociale, che verrà coinvolto in misura maggiore e per un apporto più qualificato, sia nella fase di progettazione, che nella fase di definizione e gestione dei Piani territoriali. La realizzazione dei Piani di Zona, ancorché difforme sul territorio, determinerà una rivoluzione “copernicana” nel rapporto tra Amministrazioni e società civile, se non altro per il ruolo assegnato al dialogo tra i vari soggetti istituzionali e le espressioni del terzo settore, all’interno di un rapporto non semplicemente gerarchico. Ciò creerà i presupposti per la nascita di sinergie tra pubblico e privato, che vedranno il privato, ed in particolare i soggetti del terzo settore, come erogatori di servizi sociali e partner nella programmazione e realizzazione concertata degli interventi. Alla maggior parte delle Pubbliche Amministrazioni mancherà, tuttavia, un’adeguata capacità di progettazione. E ciò impedirà loro di individuare gli elementi migliori del terzo settore e di evitare ritardi o carenze nella programmazione. Nel breve termine, l’attuazione della legge non metterà in crisi l’organizzazione dei servizi sociali. I soggetti erogatori adotteranno modelli organizzativi e di gestione orientati ai risultati. Ed aumenterà la compartecipazione degli utenti al costo delle prestazioni. 7.2.1. La nascita di un mercato sociale concorrenziale Tra i diversi soggetti chiamati a concorrere al sistema integrato di interventi e servizi sociali si registrerà un’assenza di pari opportunità di partenza, che renderà difficile guidare lo sviluppo del mercato socio-assistenziale su parametri di qualità e di corretta valorizzazione degli aspetti imprenditoriali dell’area dei servizi socio-sanitari ed assistenziali. Nei prossimi tre anni, gli Enti locali non smantelleranno i propri servizi pubblici per affidarli alle organizzazioni del terzo settore. Ma si realizzerà un’apertura del mercato sociale. Le differenze territoriali saranno legate alle diverse visioni ed orientamenti politici che caratterizzano i Governi regionali. Alcune Regioni manifesteranno una più spiccata tendenza alla privatizzazione della gestione dei servizi sociali, con trasferimento di risorse ai soggetti privati, fondato sul riconoscimento del valore della libera iniziativa, del ruolo equilibratore del mercato e del potere che su questo hanno le scelte dei cittadini. L’attuazione della legge introdurrà quindi, in campo sociale, una certa forma di concorrenza. Anche se l’entità del fenomeno sarà modesta nei prossimi tre anni, a causa della ristrettezza dell’arco temporale considerato e della lentezza dei processi di sviluppo delle nuove idee e dei nuovi servizi. In questo contesto, da un lato, i soggetti più svantaggiati difficilmente sapranno scegliere il miglior fornitore, manifestando una scarsa capacità di orientamento nel mercato, dall’altro il terzo settore diventerà dipendente dal mercato dei servizi e non sarà propositivo di interventi innovativi e di politiche sociali eque.

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8. NUOVE OPPORTUNITÀ PER I CITTADINI

8.1. Politiche sociali a misura d’uomo Le nuove opportunità che scaturiranno dall’attuazione della legge 328/2000 saranno: - la legittimazione istituzionale dei bisogni sociali dei cittadini; - l’emergere di occasioni di confronto e di apertura alle problematiche degli altri, attraverso l’incontro tra categorie diverse di fasce deboli; - la ricerca dell’azione concordata e sinergica. Grazie al coinvolgimento dei soggetti operanti nel campo della solidarietà sociale, il sistema integrato di interventi e servizi sociali, in generale, ed i Piani di Zona, in particolare, diverranno “permeabili” alle effettive esigenze degli utenti. Si affermerà un welfare territoriale partecipato, che chiamerà i cittadini (singoli o associati) ad essere protagonisti nella definizione dei sistemi locali. E si attuerà una politica di promozione dei diritti di cittadinanza sociale, che favorirà il passaggio da politiche di assistenza a politiche di inclusione. Ciononostante, da qui al 2005, non si realizzerà l’effettivo superamento della visione dell’assistenza sociale come assistenza categoriale. La legge non aumenterà la capacità del sistema di offrire i servizi sociali anche ai cittadini non appartenenti alle fasce più deboli e svantaggiate. E non si affermerà una nuova concezione delle politiche sociali volta ad azzerare i “diritti” riconosciuti solo ed esclusivamente in funzione dell’appartenenza categoriale. Le famiglie non si trasformeranno da soggetti passivi a soggetti attivi, direttamente coinvolti nelle politiche sociali, ma l’attuazione delle legge offrirà alle diverse categorie di cittadini coinvolti l’opportunità, almeno in forma embrionale, di poter confrontare offerte differenti. 8.2. I nuovi servizi Dal punto di vista dei servizi offerti, svolgeranno un ruolo decisivo nel garantire la soddisfazione degli utenti: la Carta dei servizi ed il Segretariato sociale. La Carta dei servizi rappresenterà uno strumento utile per il cittadino in termini di conoscenza delle opportunità esistenti e di esigibilità dei servizi a livello locale. Il Segretariato sociale diventerà uno strumento cruciale per eliminare le disparità di accesso al sistema dei servizi sociali. Quanto all’introduzione dei titoli per l’acquisto dei servizi, bisogna sottolineare, in positivo, che i buoni verranno spesi esclusivamente per l’acquisto delle prestazioni sociali da parte delle persone alle quali saranno destinati, a differenza di quanto avviene oggi con le provvidenze economiche che spesso vengono designate a scopi diversi da quelli per i quali erano state concesse. Tuttavia, i buoni servizio verranno erogati al di fuori di reali procedure di controllo sulla qualità degli interventi erogati. E ciò determinerà uno snaturamento di questo strumento, che si ridurrà ad una mera erogazione di carattere monetario, non rispondente alle finalità per cui era stato introdotto. Emblematico sarà, in questo caso, l’esempio della Lombardia. 8.3. Universalismo selettivo Le risorse finanziarie realmente a disposizione per l’applicazione del sistema integrato risulteranno insufficienti a garantire un accesso alle prestazioni di tipo universalistico. Si realizzerà una selezione degli individui che potranno accedere ai servizi sociali (universalismo selettivo) e gli Enti locali saranno in condizione di erogare i servizi richiesti solo imponendo tassazioni aggiuntive ai cittadini. Il percorso indicato dalla legge porterà a risultati valutativi differenti, in particolar modo sul concetto di assistenza. Le Regioni dovranno rispondere all’interrogativo: far fronte ai bisogni dei più poveri o realizzare il diritto sociale dei cittadini? La modalità di risposta a questo interrogativo condurrà a sistemi sociali regionali differenziati. 8.3.1. I destinatari

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Nell’arco dei prossimi tre anni, trarranno i maggiori benefici dall’applicazione della legge le categorie di cittadini organizzate in associazioni e movimenti di tutela dei diritti fortemente rappresentate sui territori ed associate ad imprese sociali esercenti servizi e prestazioni da loro richieste ed indicate o addirittura di loro stessa


emanazione. Al contrario, trarranno i minori benefici le categorie meno rappresentate, i cittadini singoli isolati e le “minoranze”, che non saranno in condizioni di accedere neanche all’informazione relativa all’istituzione/erogazione degli interventi. Permarrà infatti il problema dell’accessibilità culturale e sociale ai servizi. In particolare, i maggiori beneficiari saranno: - gli anziani, più considerati in virtù della loro maggiore incidenza numerica; - i disabili, verso i quali verranno effettuati i maggiori sforzi; - le persone con problemi di non autosufficienza, anche se in quest’area persisterà un’enorme quantità di domanda di tutela non soddisfatta. Viceversa trarranno i minori benefici: - i tossicodipendenti; - gli alcoolisti; - gli immigrati; - i giovani a rischio; - le famiglie unifamiliari; - i carcerati. Ciò accadrà soprattutto perché la risposta ai bisogni di questi soggetti sarà lasciata più a valutazioni territoriali e di emergenza, che ad esigenze generali di lotta alla povertà e di attivazione di strategie condivise di inclusione sociale. In ogni caso, permarrà un gap tra l’entità dei bisogni sociali e le risorse disponibili.

9. VALUTARE LA QUALITÀ

9.1. Un obiettivo ancora lontano I vari livelli di governo non si doteranno di strumenti di verifica periodica dei bisogni della popolazione e dell’adeguatezza delle risposte date ai cittadini, nonostante le indicazioni fornite dalla legge. Tra il 2002 ed il 2005, verrà realizzato uno scarso lavoro di analisi dei bisogni sociali. Tra i soggetti istituzionali e le organizzazioni del terzo settore non si realizzerà identità ed omogeneità di vedute sul tema dell’analisi dei bisogni. Tuttavia, nel breve periodo, si rafforzerà, nel campo dei servizi sociali, l’assetto istituzionale (in termini di organi, funzioni e strumenti) degli Enti locali. Di particolare rilievo sarà la creazione di Osservatori, quali strumenti di supporto nelle attività di programmazione, decisione ed omologazione. Nel prossimo triennio, mancherà un forte sistema nazionale informativo e di monitoraggio dei processi messi in moto dalla legge. Al livello territoriale, non sarà istituito, all’interno delle varie Amministrazioni, un nuovo ufficio per la valutazione delle politiche sociali. Gli Enti locali continueranno ad essere molto in ritardo ed in difficoltà nell’individuare gli strumenti di misurazione della soddisfazione dei cittadini. Ed il tema della valutazione non verrà affrontato seriamente. Si avvertirà, in particolare, l’assenza di una forte cultura comune e di un sistema di monitoraggio dei risultati, alimentato da un processo permanente di scambio delle migliori pratiche. La lenta adozione di sistemi di qualità rispetto alle strutture esistenti controbilancerà, nel periodo considerato, le ricadute positive della legge in termini di efficienza ed efficacia dei servizi sociali. 9.2. Gli strumenti di valutazione Per la misurazione della soddisfazione dei cittadini saranno adottati strumenti semplici, come i questionari anonimi a domande chiuse, rivolti soltanto a chi è in grado di rispondere e/o alle famiglie di appartenenza. Nel complesso, sarà data poca attenzione, nei prossimi anni, alle tecniche di rilevamento della soddisfazione degli utenti e la Carta dei servizi non sarà considerata diffusamente come un elemento per avviare e sviluppare un sistema di valutazione della qualità, che veda coinvolti i cittadini e gli utenti. Le modalità di misurazione non saranno finalizzate a verificare prestazioni, soddisfazioni e fedeltà. E non si adotteranno strumenti valutativi dell’efficacia delle politiche sociali e della soddisfazione dei cittadini su specifici servizi (indagini, questionari o interviste mirate).

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10. L’INFORMATIZZAZIONE DEI SERVIZI SOCIALI

10.1. Resistere Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nonostante tutte le loro potenzialità, non saranno poste alla base del sistema dei servizi sociali. Benché nel prossimo triennio si registrerà uno sviluppo ulteriore dell’utilizzo di tali tecnologie nel settore socio-sanitario ed assistenziale, molte Pubbliche Amministrazioni risulteranno sprovviste delle risorse e del know how necessari ad un loro pieno utilizzo nel comparto sociale. Ciò riguarderà soprattutto i piccoli Comuni, dove fondamentale si rivelerà il ruolo di supporto delle Regioni e delle Province. Peraltro, le Regioni continueranno ad essere in forte difficoltà, nel settore delle nuove tecnologie e del loro impiego sociale. Da qui al 2005, i Poteri Pubblici non realizzeranno una vera innovazione normativa relativa alla standardizzazione tecnologica ed alla riorganizzazione amministrativa e procedurale delle banche dati, delle fonti informative e delle modalità di raccolta delle informazioni. Tanto che, nell’insieme, le PP.AA. non applicheranno in misura rilevante gli strumenti informatici nel campo dei servizi sociali: gli URP, le sedi circoscrizionali e gli enti di patronato rappresenteranno i luoghi di facilitazione dell’accesso alle informazioni. La misura modesta con cui le nuove tecnologie verranno applicate nel comparto sociale dipenderà anche dalla ristrettezza dell’arco temporale considerato, che sarà insufficiente a creare una nuova cultura, indispensabile ad un uso disinvolto di tali tecnologie su argomenti che vengono ancora trattati con “pudore”. Lo sviluppo nell’applicazione degli strumenti informatici sarà inoltre frenato dall’esistenza di asimmetrie nel loro utilizzo, da parte di cittadini ed utenti. Nel complesso, l’impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione non sarà all’altezza di sostituirsi alla capacità di ascoltare e concertare. La programmazione ed il lavoro in rete tra i diversi soggetti presenti sul territorio si costruirà non a tavolino, ma stando in contatto con chi è sul campo, mettendo assieme chi rappresenta le Istituzioni, i servizi pubblici, la società civile ed i bisogni dei cittadini.

11. UN SISTEMA TERRITORIALMENTE SQUILIBRATO

11.1. Il doppio passo italiano

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Nel prossimo triennio, si realizzerà un’attuazione della riforma assistenziale a macchia di leopardo. In alcune Regioni si avrà una concretizzazione della legge coerente con gli obiettivi del Piano sociale Nazionale, in altre Regioni le risorse del Fondo Nazionale verranno utilizzate per finanziare il vecchio sistema o addirittura per risanare i deficit di bilancio. Le Regioni che hanno avviato, a partire dagli anni ’70, vari servizi sociali e sanitari e che hanno maturato esperienze qualificate nel settore si troveranno avvantaggiate, rispetto ad altre in cui l’impianto normativo vigente, seppur avanzato rispetto agli anni ’80, non ha trovato piena attuazione e richiede un adeguamento alla luce della legge 328. La spinta verso l’autonomia dei governi territoriali accentuerà gli squilibri regionali nell’erogazione dei servizi sociali. Fra il 2002 ed il 2005, si evidenzierà l’incapacità di superare la disomogeneità regionale e si registrerà la difficoltà, da parte delle Regioni in ritardo, di colmare i gravi svantaggi di partenza accumulati: - nelle istituzioni: assenza, carenza, precarietà e scarsità di risorse; - nelle relazioni tra svantaggiati: corporativismo, maggiore possibilità di imboccare percorsi di esclusione sociale, lotta tra poveri, tra disoccupati, tra emarginati; - negli effetti perversi del mercato del lavoro: ristrutturazioni, deindustrializzazione, delocalizzazione, ridimensionamento, forte presenza di settori marginali e “sommersi”. Nel nostro Paese, permarrà quindi una situazione caratterizzata da: - un’accentuata disparità dei sistemi locali nell’erogazione dei servizi sociali e nelle modalità di accesso alle prestazioni; - un marcato squilibrio, nel sistema degli interventi, tra trasferimenti economici e servizi sociali, questi ultimi pressoché inesistenti in intere aree della Penisola; - interventi non sempre e non ovunque capaci di misurarsi con aspettative e bisogni mutati.


11.1.1. Il peso della storia La legge 328/2000 avrà tempi di attuazione particolarmente lunghi soprattutto in quelle Regioni che tradizionalmente non brillano dal punto di vista dell’intervento sociale e dell’efficienza amministrativa nell’applicazione di questi servizi. Le ricadute della legge si cominceranno quindi a vedere, specialmente in queste Regioni, in un arco temporale particolarmente lungo, comunque non inferiore alla fine del triennio 2002-2005. In materia di spese per il sociale, persisterà l’enorme divario tra le Regioni a statuto ordinario e le Regioni a statuto speciale, come conseguenza di un sistema istituzionale che ha attribuito maggiori competenze e ha sommerso di trasferimenti finanziari le cinque Regioni “speciali”. Una significativa disparità regionale emergerà anche in merito all’elaborazione dei Piani di Zona. Poche Regioni sperimenteranno lo strumento dei Piani operativi, mentre la maggioranza sarà occupata a mettere mano alla ridefinizione amministrativa del proprio apparato. L’emergere di queste differenze territoriali, nell’attuazione della legge, dipenderà dalla storia pregressa di organizzazione, gestione e valutazione dei servizi sociali come sistema e come rete. Le principali differenze territoriali emergeranno infatti fra quelle Regioni in cui sono già consolidate le prassi della programmazione integrata d’area e della concertazione pubblico/privato e quelle in cui tali procedure devono ancora trovare una standardizzazione. Queste ultime sconteranno un ritardo, che non permetterà di avere effetti benefici sui servizi sociali per alcuni anni. Le Regioni che si segnaleranno per efficienza saranno dunque quelle che, in passato, hanno già introdotto, nelle loro legislazioni e nella loro attività amministrativa, elementi della riforma (quali la diffusione ed il consolidamento dei diritti di cittadinanza sociale, lo sviluppo della sussidiarietà verticale ed orizzontale, gli strumenti per garantire i principi di collaborazione ed integrazione dei livelli istituzionali). Al contrario, le Regioni che, negli anni passati, non hanno sperimentato nel sociale i modelli organizzativi e le forme di coordinamento auspicate dalla legge dovranno affrontare preventivamente tali questioni e subiranno inevitabili rallentamenti legati alla concertazione ed all’integrazione. Realizzeranno comunque significativi passi in avanti quelle Regioni che accenderanno un confronto reale con le rappresentanze sociali, ed in particolare con i sindacati, quanto meno sul terreno delle normative di attuazione della legge. 11.2. La questione meridionale Il nostro Paese, in materia di politiche sociali, continuerà a viaggiare a due velocità. Il rapporto tra Regioni del Centro-Nord e del Sud rimarrà caratterizzato da una significativa ineguaglianza. Le Regioni meridionali accumuleranno forti ritardi nella costruzione del sistema integrato di interventi e servizi sociali nel confronto con il resto del territorio, a causa soprattutto di un’eccessiva debolezza del terzo settore e dell’impresa sociale. Nella programmazione ed erogazione dei servizi persisterà la divaricazione Nord - Sud della Penisola rispetto alla quantità ed alla qualità delle prestazioni erogate. La specificità delle disuguaglianze territoriali, nel sistema dei servizi sociali, dipenderà dalla forte incidenza della matrice strutturale dei fenomeni di degrado socio-economico e di carenza dei servizi sociali, che continuerà a connotare molte Regioni meridionali, quali la Campania, la Sicilia e la Calabria. Tali disuguaglianze, che manifesteranno una tendenza all’aumento, saranno amplificate dal prevalere, nelle Regioni del Sud, di una situazione di instabilità occupazionale (quando non addirittura di forte disoccupazione ed espulsione dal mercato del lavoro), a fronte di contesti a forte stabilità socio-economica e di quasi pieno impiego propri delle Regioni del Nord, quali la Lombardia ed il Veneto. In questa direzione, le differenze territoriali, nel sistema dei servizi sociali, saranno difficilmente confrontabili laddove esisterà un’offerta di lavoro in grado di coprire la domanda, poiché un’occupazione adeguatamente remunerata sarà il primo fattore di contrasto della povertà. Le Regioni che si segnaleranno per efficienza saranno dunque certamente le Regioni centro-settentrionali, poiché faranno tesoro della loro storia più consolidata di programmazione sociale e potranno beneficiare di un contesto socio-economico di livello più avanzato rispetto a quello meridionale. Nonostante questo, le Regioni con impianti normativi e culturali già a sostegno dei soggetti deboli, anche del Sud, utilizzeranno le risorse economiche messe a disposizione dalla legge per allinearsi alle Regioni con esperienze più avanzate. Molte Istituzioni locali, anche del Mezzogiorno, compiranno sforzi significativi per avviare nuove politiche e nuovi servizi. Il sorgere di tali comportamenti e lo sviluppo ulteriore dei processi di autonomia, indotto dalla riforma costituzionale, porteranno all’emergere di differenti filosofie di welfare regionale. 11.3. La classifica regionale REGIONI IN: Emilia Romagna, Marche, Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto. Tali Regioni beneficeranno delle ricadute positive della legge già nel corso del prossimo triennio. REGIONI OUT: Abruzzo, Calabria, Molise, Puglia, Sicilia. Tra le Regioni meridionali, non rimarrà indietro la Campania.

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11.4. Disomogeneità locali Le differenze territoriali, che emergeranno nella programmazione ed erogazione dei servizi sociali, saranno di carattere non solo regionale, ma anche subregionale e comunale. I Comuni, principali erogatori di prestazioni e servizi assistenziali ed educativi, si troveranno a fronteggiare forti problematiche di equità, in rapporto alle differenze territoriali, sociali e demografiche. Il processo di definizione e costruzione dei Piani di Zona e dei provvedimenti collegati sconterà la diversità di politiche e comportamenti in materia socio-sanitaria prodottasi, in questi anni, all’interno di Regioni, Comuni e Province. Laddove è finora mancata una pianificazione degli interventi su scala sovracomunale o comunque con un’organizzazione complessa il sistema dei servizi partirà in modo non ottimale. Peraltro, la sola individuazione degli ambiti di zona normati sarà insufficiente a superare le difficoltà poste dalla struttura geomorfologica e demografica del nostro Paese (distanze, collegamenti, dimensioni locali, apparati tecnico-amministrativi minimali), caratterizzato da ampie zone di territorio disagiate. In particolare, si verificherà sugli Enti locali una concentrazione di responsabilità e funzioni sproporzionata alle loro risorse e capacità tecnico-professionali. Ciò richiederà un governo illuminato del processo generale di attuazione, che difficilmente potrà manifestarsi.

12. I POTERI PUBBLICI

12.1. Un cambio di direzione

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La concreta attuazione della legge di riforma dei servizi sociali non risulterà indipendente dal cambiamento della maggioranza politica avvenuto all’interno del nostro Paese. Il Governo di centro-destra manifesterà una totale discontinuità di indirizzi ed obiettivi rispetto a quanto fatto finora in materia di politiche sociali ed uno scarso interesse a continuare il percorso tracciato con la legge 328/2000. L’atteggiamento dell’attuale Governo sarà quello di confermare i principi generali della riforma, ma di non attivarsi nel concretizzare gli aspetti applicativi e di sviluppo della stessa. Il Ministro Maroni e la Sottosegretaria Sestini non favoriranno il processo di attuazione della legge quadro. E, nel prossimo triennio, proseguirà il ritardo del Governo nell’emanazione dei necessari provvedimenti attuativi (es. Carta dei servizi, normativa sul Sistema informativo dei servi sociali). L’inerzia del potere centrale, unita al ritardo della produzione legislativa e degli atti di indirizzo nella maggioranza delle Regioni, renderà l’applicazione delle nuove norme in materia di assistenza sociale particolarmente complessa e dilazionata nel tempo per grande parte del territorio nazionale. Ciò metterà in discussione la realizzazione di servizi fondamentali, atti a garantire il benessere delle famiglie, delle persone più svantaggiate e delle comunità locali. Peraltro, anche laddove il Governo interverrà, non terrà conto della coerenza con il quadro legislativo generale e della necessità di interlocuzione con le organizzazioni sindacali (ad esempio riguardo al Regolamento sulle nuove professionalità). I vantaggi derivanti dall’applicazione della riforma verranno quindi vanificati dai disegni di legge o leggi delega elaborati dal Governo, particolarmente punitivi rispetto ai bisogni ed ai diritti di particolari categorie (quali gli immigrati extracomunitari o i minori a rischio di devianza). I ritardi del Governo, che continuerà ad omettere i propri doveri di elaborazione ed azione previsti dalla riforma, determineranno il rischio di uno snaturamento della riforma, che sarà tanto più concreto quanto più il potere centrale mancherà di muoversi in modo consono ai dettami del legislatore. La carica innovativa della legge verrà, ad esempio, significativamente indebolita dal fatto che il Governo, analogamente a quanto avvenuto in altri settori, cambierà il termine concertazione in consultazione anche nella programmazione dei servizi sociali, riducendo il rapporto con il terzo settore ad un momento consultivo, con scarsa possibilità di incidere sugli orientamenti delle PP.AA.. Il progressivo indebolimento della spinta all’attuazione della legge da parte del potere centrale avrà come contrappeso il rafforzamento del processo di regionalizzazione del sistema delle politiche e dei servizi sociali e sanitari. Tale fenomeno, favorito anche dalle modifiche istituzionali apportate dalla legge sul Federalismo, determinerà un lungo periodo di incertezza rispetto ad alcuni aspetti regolativi generali che la legge 328 prevedeva (relativi, ad esempio, ad accreditamento, professioni sociali, definizione dei Livelli di Assistenza, Carta dei servizi) ed una spinta ulteriore delle Regioni e dei Comuni a definire in proprio caratteristiche e sviluppi dei welfare territoriali.


12.2. La politica di mercato Nel prossimo triennio, mancheranno, nel nostro Paese, forti movimenti programmatori e volontà politiche di sistematizzazione del comparto dei servizi sociali. Il Governo di centro-destra promuoverà una politica: - più vicina alla “sicurezza pubblica” che alla sicurezza sociale; - più di contenimento dei problemi sociali che di promozione dell’uguaglianza. L’Amministrazione Centrale favorirà l’affermarsi di una visione del ruolo dello Stato e dei soggetti pubblici “minimalista”, fondata sul mercato e sulle decisioni dei cittadini. La politica di sviluppo dei sistemi che favoriscono la libertà di scelta individuale andrà a discapito del rafforzamento di un sistema equo, solidale e responsabile, che si faccia carico di fornire risposte a tutti, e soprattutto a chi si trova in condizione di debolezza a causa di particolari situazioni personali od economiche. Vi sarà, da parte del Governo, una latente e graduale messa in discussione della visione solidaristica delle politiche sociali, con il riemergere di politiche familistiche di tipo settoriale ed assistenziale, che porteranno alla realizzazione di interventi deboli per i deboli. In particolare, la politica condotta dal Governo andrà in direzione di una: - enfatizzazione dell’individualismo, del localismo e del corporativismo; - accentuazione delle disuguaglianze e di aumento delle nuove povertà, a causa anche del deterioramento delle condizioni lavorative ed economiche generali; - contrazione degli istituti universalistici realmente implementati e generalizzati. Sul piano dei finanziamenti, il Governo non solo mancherà di prevedere, in prospettiva, un incremento delle risorse destinate al Fondo Nazionale per le politiche sociali, ma diminuirà gli stanziamenti riservati al comparto sociale. Ciò produrrà effetti negativi sull’erogazione dei servizi, nonostante le Regioni, anche quelle del colore politico del Governo, continueranno ad esigere il riparto dei finanziamenti per l’attuazione della legge 328. In questa direzione, l’attivazione concreta del sistema integrato dipenderà sostanzialmente dalla capacità di drenare risorse economiche diverse da quelle provenienti dal Fondo Nazionale per le politiche sociali. Se i capitale scarseggiano in Italia (specie nel Sud), abbondano in Europa e non vengono intercettati da molte realtà italiane a causa della scarsa competenza tecnica di impostazione dei progetti da parte delle Amministrazioni locali. In proposito, diventerà fondamentale il ruolo di consulenza delle Regioni, che, a tal fine, doteranno gli appositi uffici regionali di professionalità esperte e di un buon sistema informativo. Peraltro, la stessa messa in rete delle risorse, attraverso la concertazione e l’integrazione, favorirà una loro migliore finalizzazione ed una maggiore produttività. Nei prossimi tre anni, il Governo accetterà la sfida di trovare forme di gestione dei servizi sociali basate su criteri industriali: massimo risultato con il minor impegno finanziario. Gli atti legislativi prodotti favoriranno l’ingresso dell’interesse del capitale privato nel terzo settore. Ciò non né impedirà la crescita, ma ne snaturerà il ruolo e la funzione, favorendo l’emergere di rapporti di tipo clientelare. 12.3. Standard regionali Tra il 2002 ed i 2005, mancheranno provvedimenti atti a garantire standard di prestazioni omogenee sull’intero territorio nazionale. Le politiche adottate saranno confusionarie, gridate, evanescenti. E nasceranno conflitti con le organizzazioni ed i movimenti per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale. Lo strumento prioritario per garantire standard di prestazione omogenee sull’intera Penisola sarà quello della definizione dei livelli essenziali di assistenza. Il Governo interpreterà in modo estremamente restrittivo e marginalizzante tali livelli, determinando il prevalere di un orientamento basato più sulla definizione di standard minimi di base, che di veri e propri standard di riferimento. L’Amministrazione Centrale non eserciterà un ruolo di sollecitazione, di coordinamento e, in alcuni casi, di surroga rispetto alle inadempienze, per favorire un’applicazione uniforme della legge e standard di prestazioni omogenee. Sostanzialmente, il Governo abdicherà al ruolo di garante di un sistema sociale territorialmente omogeneo. Ed i livelli essenziali delle prestazioni verranno definiti dalle singole Regioni. Ciò contribuirà ad acuire le differenze territoriali nel sistema dei servizi sociali e favorirà l’emergere di una forte connotazione regionale delle diverse forme di intervento. La mancata volontà politica di applicare la riforma da parte del Governo centrale, ma anche da parte di molte Amministrazioni locali, determinerà il pericolo di uno svuotamento silenzioso della legge. In molte realtà regionali e territoriali, nonostante un omaggio formale alla 328, nei fatti rimarrà tutto com’era prima. 12.4. Neocentralismo regionale I prossimi anni saranno molto problematici dal punto di vista dell’integrazione delle politiche sociali tra i diversi livelli amministrativi.

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Il coordinamento tra il livello nazionale e regionale farà riferimento al già collaudato Coordinamento degli Assessori alle politiche sociali. I gruppi tecnici composti da funzionari referenti, costituiti nell’ambito di tale Coordinamento, rappresenteranno un valido strumento per il confronto periodico sulle esperienze e sui nodi critici, secondo un metodo che vedrà il realizzarsi di scambi incentrati sulle buone prassi: una sorta di solidarietà tra le Regioni. Il Governo non suggerirà metodi e regole uniformi di integrazione delle politiche sociali. E le Regioni non avvieranno, a livello di studio e di ricerca, delle sperimentazioni in questa direzione. Si registreranno quindi lentezze e difficoltà. All’interno di ciascuna Regione, il livello centrale e locale si confronteranno attraverso l’attivazione di tavoli regionali: “cabine di regia” del processo di avvio e consolidamento del sistema integrato a livello locale. Tuttavia, emergerà il pericolo di un neocentralismo regionale. La burocrazia regionale non si rifiuterà di spogliarsi delle proprie competenze, ma le coordinate delle politiche sociali si realizzeranno più a livello regionale, che nei territori. Le Regioni svolgeranno una funzione di gestione, anziché di programmazione, coordinamento e promozione degli interventi. E ciò determinerà una accentuazione delle disparità territoriali nell’erogazione dei servizi sociali. Nel complesso, le politiche dei diversi livelli amministrativi risulteranno scarsamente e male integrate. Ed il loro coordinamento verrà ulteriormente ostacolato da: - le rivendicazioni di autonomia gestionale da parte dei vari livelli amministrativi (EE.LL. in particolare); - le chiusure o pretese di leadership da parte delle ASL, con il predominio del modello sanitario; - l’inadeguatezza numerica e professionale delle amministrazioni pubbliche.

13. L’APPORTO DEI SOGGETTI NON ISTITUZIONALI

13.1. Il ruolo delle organizzazioni no profit, della cooperazione sociale e del volontariato

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L’attuazione della legge 328/2000 condurrà verso uno scenario caratterizzato dalla riorganizzazione migliorativa dei servizi sociali già esistenti sul territorio: si ristruttureranno gli uffici, si attueranno forme di concertazione con esponenti del terzo settore e si apriranno nuovi servizi. Questo scenario non porterà ad un volontariato tendenzialmente rivendicativo, ad un associazionismo asfittico e ad una cooperazione sociale quale semplice fornitrice di servizi, priva di qualsiasi capacità innovativa. Al contrario, la richiesta da parte dei soggetti del terzo settore sarà di una costante informazione e di un coinvolgimento delle rappresentanze nel dialogo sociale. Nel prossimo triennio, si assisterà ad un incremento quantitativo e qualitativo della presenza dei soggetti del no profit nella progettazione e nella definizione degli orientamenti di politica locale. Le indicazioni, contenute nella legge, sul ruolo del terzo settore, nel complesso sistema dei servizi, favoriranno il potenziamento dell’apporto del privato sociale ed una sua maggiore qualificazione. All’interno del mix pubblico/privato, si segnalerà una preponderante presenza delle organizzazioni del privato sociale, che riguarderà non solo l’attività di progettazione, ma anche quella di gestione dei servizi sociali. Il terzo settore assumerà un ruolo prevalente di conduzione e di iniziativa nella moltiplicazione dei servizi (nelle Regioni del Nord si registrerà un aumento della domanda di residenzialità che coinvolgerà prevalentemente il terzo settore). E la sua presenza sarà significativa soprattutto nella progettazione di servizi specifici e di interventi di nuova sperimentazione. L’esternalizzazione della gestione dei servizi al privato sociale non dissolverà la carica innovativa e di alternativa al mercato del terzo settore, riducendo quest’ultimo a semplice “imprenditoria sociale”, ossia ad un insieme di imprese che offrono servizi a basso costo a spese degli utenti e dei soci lavoratori. In questo modo, si sventerà il pericolo che la solidarietà sociale possa diventare un canale di finanziamento illecito dei partiti o un settore in cui i posti di lavoro vengono assegnati per “conoscenze”. La creazione del sistema integrato favorirà, piuttosto, lo sviluppo ed il potenziamento dell’attività dei soggetti privati operanti nel sistema. Il ruolo del terzo settore, delle organizzazioni no profit e del volontariato sarà certamente rilevante nel suo insieme. E, anche se mancherà la capacità di valorizzare le diverse specificità e di sviluppare nuove funzioni, crescerà lo spazio per forme di imprenditorialità sociale diverse da quelle conosciute fino ad oggi. Da qui al 2005, si registrerà un significativo sviluppo delle imprese sociali e della cooperazione nel settore no profit. Tanto che il terzo settore rappresenterà una fonte di occupazione qualificata, di produzione di reddito e di ricchezza per il Paese. L’applicazione virtuosa della legge dipenderà anche dalla capacità delle organizzazioni di volontariato di essere strumenti di coesione della società civile, di creare ed attivare reti nella realizzazione di strumenti e servizi volti a soddisfare i bisogni dei cittadini, in un’ottica di sussidiarietà con lo Stato. In particolare, il ruolo della “cittadinanza attiva” diverrà fondamentale soprattutto nella creazione di sportelli informativi e di meccanismi di controllo.


13.2. Parola d’ordine: coprogettare L’efficacia della politica sociale dipenderà dall’esistenza di un quadro stabile di concertazione e l’efficienza della Pubblica Amministrazione dalla capacità di far collaborare in rete le strutture pubbliche con quelle della società civile, garantendo un coordinamento efficace tra aspetti gerarchici, collaborativi e di progettazione. Nel prossimo triennio, inizierà un processo di accreditamento sostanziale dei soggetti non istituzionali. Ma la nascita di un sistema di programmazione concertata dei servizi sociali, che interessi anche quei territori dove tale prassi risulta quasi completamente assente, andrà pienamente a regime, nelle procedure e nei ruoli, solo dopo il 2005. Le difficoltà maggiori saranno nella mancanza di abitudine a lavorare in équipe e nell’assenza di una cultura ed un linguaggio comune della progettazione e gestione degli interventi. Emergeranno, in particolare, pericoli di confusione tra programmazione e concertazione, tra programmazione e coprogettazione. Per fronteggiare questo rischio, si lavorerà alle forme di incontro e di successivo coinvolgimento delle organizzazioni del terzo settore. Per queste ultime, la concertazione rappresenterà una reale opportunità per passare da interventi episodici e frammentari alla progettazione/programmazione dei servizi, con attenzione alla qualità delle prestazioni. In questa direzione, il terzo settore sarà spinto a dotarsi di rappresentanze fortemente e chiaramente legittimate. Ma continuerà lo stesso a presentarsi ai tavoli di progettazione in modo frammentato, senza capacità di coordinamento e di autorevole rappresentatività. L’insufficiente capacità di auto-rappresentanza, pienamente legittimata, del terzo settore dipenderà dall’assenza di un processo di consolidamento delle proprie rappresentanze condiviso da tutte le organizzazioni che operano al suo interno e dal fatto che non sempre ed in ugual misura esse vedranno riconosciuto il proprio peso politico da parte delle PP.AA.. Ciò costituirà un ostacolo alla concertazione tra il pubblico ed il privato sociale, tanto che il confronto propedeutico alla programmazione partecipata tra i soggetti del terzo settore e le Istituzioni avverrà proprio sul tema delle rappresentanze dei soggetti che prenderanno parte alla concertazione. 13.3. Binari di collaborazione Il modo in cui evolverà il rapporto fra Enti pubblici e soggetti non istituzionali dipenderà dalla volontà dei primi di “mettersi in gioco”, in una prospettiva di collaborazione ed integrazione con i soggetti non istituzionali, e dalla capacità dei secondi di tenere distinto il piano della concertazione e collaborazione sugli obiettivi, da quello dell’eventuale ruolo di erogatori dei servizi sociali per conto del sistema pubblico. La promozione di partnership tra il pubblico ed il privato sociale si scontrerà infatti con la persistente diffidenza da parte di molte Amministrazioni nei confronti di un terzo settore giudicato “interessato” più alla gestione che alla pianificazione degli interventi sociali. Nel complesso, il rapporto fra Enti pubblici e soggetti non istituzionali evolverà in modo collaborativo e non sarà di tipo clientelare. L’attuazione della riforma assistenziale determinerà un salto di qualità nella capacità dei sindacati e dei soggetti del terzo settore di confrontarsi con le Istituzioni. Tuttavia, permarrà la difficoltà degli Enti pubblici ad entrare in contatto con le organizzazioni di volontariato ed a lavorare con esse alla realizzazione di progetti di intervento sociale. Il dibattito tra soggetti pubblici e soggetti non istituzionali si incentrerà sulle forme di gestione. E riguarderà, in particolare: - il ruolo del terzo settore; - l’acquisto diretto delle prestazioni da parte dei cittadini; - l’esternalizzazione dei servizi, con finanziamento da parte dell’Ente pubblico. 13.3.1. Attriti ed Accordi Nel breve periodo, non mancheranno punti di attrito nella programmazione dei servizi sociali tra Enti pubblici e soggetti non istituzionali. In particolare, una forte identità ed omogeneità di vedute si realizzerà nelle visioni ideali, sul piano degli orientamenti progettuali, ma non nel concreto, al momento della realizzazione dei diversi tipi di intervento. Così, mentre si verificherà un accordo sostanziale sulle parole-chiave e sugli obiettivi generali, problemi emergeranno invece nella declinazione di questi obiettivi nelle diverse politiche e nell’individuazione degli strumenti e dei mezzi più idonei al loro raggiungimento. I punti di disaccordo fra Enti pubblici e soggetti non istituzionali interesseranno, nello specifico, le forme di aggiudicazione, i criteri di accreditamento dei soggetti gestori e le regole di affidamento dei servizi alla persona. Gli ambiti di conflittualità riguarderanno motivazioni, procedure, tempi ed itinerari metodologici, nonché la necessità di investimenti consistenti per la continuità e la stabilità dei servizi, da fornire con strutture ed attrezzature idonee e personale qualificato. Sul tema delle risorse umane, l’accordo tra Enti pubblici e soggetti del terzo settore si realizzerà sulla formazione del personale, ma non sulla gestione equa e qualitativa delle risorse. Motivo di divergenza sarà inoltre la resistenza delle PP.AA. al cambiamento e a condividere il ruolo di indirizzo e controllo del sistema integrato di interventi e servizi sociali.

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14. OSTACOLI ALL’ATTUAZIONE DELLA LEGGE

I principali ostacoli all’applicazione della legge saranno:

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Livello politico

La non completa adozione da parte dello Stato di alcuni provvedimenti legislativi. La mancanza di volontà politica da parte Governo centrale e di molte Amministrazioni locali. Le pressioni al mantenimento dello status quo, rassicurante per molti politici locali e per molti operatori sociali. La difficoltà, su scala nazionale, regionale e comunale, di programmare ed attuare l’integrazione socio-sanitaria (a livello istituzionale, gestionale e professionale). Le problematicità legate all’applicazione dei livelli essenziali di assistenza.

Livello organizzativo e culturale

La difficoltà ad assumere, nelle logiche oltre che negli strumenti, le radicali innovazioni introdotte dalla legge 328/2000 nel campo delle politiche territoriali. La debolezza organizzativa e culturale di molte Pubbliche Amministrazioni, ancora tarate sulle vecchie logiche assistenzialistiche. La scarsa capacità di creare nuove modalità e competenze, per consolidare un metodo di programmazione sociale basato sull’attenzione ai bisogni ed ai cambiamenti. L’assenza di figure professionali sociali adeguatamente formate e rispondenti alle esigenze di vecchi e nuovi servizi. La scarsa cultura della programmazione, dell’integrazione, dello stato sociale come propulsore dello sviluppo, su cui impegnare risorse ed energie. La difficoltà delle Regioni ad assumere rapidamente nuovi compiti e funzioni, a svolgere l’inedito ruolo di programmazione, coordinamento e guida delle trasformazioni del territorio e del sistema economico e sociale. L’impreparazione di molti tecnici nelle PP.AA. rispetto alle modalità di programmazione previste dalla legge. La difficoltà culturale ed operativa di dar vita ad un reale processo di integrazione tra politiche, competenze ed Istituzioni. La scarsa disponibilità e/o esperienza pregressa delle PP.AA. a lavorare tra di loro in modo integrato, orizzontalmente (per esempio fra settore sociale e sanitario) e verticalmente. L’assenza di un metodo di controllo dei risultati, basato su sistemi di monitoraggio costante e su obiettivi di miglioramento continuo.

Livello relazionale

Il difficile rapporto fra le rappresentanza politiche (il Coordinamento istituzionale, la scelta del Comune capofila, l’approvazione dei provvedimenti in Giunta ed in Consiglio), le burocrazie dei servizi ed il ruolo dei tecnici. La difficoltà degli addetti ai lavori di operare nel modo prefigurato dalla legge 328/2000. La scarsa attitudine alla partecipazione. La difficoltà nel coinvolgere adeguatamente il terzo settore nella programmazione e nella gestione dei servizi. La scarsa esperienza di concertazione pubblico/privato nella programmazione degli interventi.

Livello economico

La limitatezza delle risorse finanziarie. La scarsità delle risorse economiche (nazionali, regionali e comunali) e la necessità di un loro utilizzo più razionale, che imporrà concetti nuovi per il mondo dell’assistenza: razionalizzazione della spesa, livelli essenziali di assistenza, bilanci e programmazione economica, capacità di intercettare altre risorse (come ad esempio i fondi europei).


Livello locale

La difficoltà, da parte degli Enti locali, ad assumere il ruolo di soggetti principali nella programmazione, organizzazione, gestione e verifica degli interventi. La scarsa volontà politica di elaborare in modo coerente i Piani di Zona. La carente capacità degli Enti locali di programmare gli interventi sociali. La mancanza di abilità e di competenze di regia da parte dei Comuni piccoli e medio-piccoli, di fronte alla complessità dell’organizzazione del sistema integrato dei servizi. La programmazione locale poco condivisa dagli Enti coinvolti. La diffusa percezione di un Ente locale distante dai cittadini ed arroccato nelle pastoie burocratiche amministrative. Il configurarsi di un nuovo assetto giuridico-istituzionale nell’organizzazione territoriale delle politiche sociali (gli ambiti, la programmazione e la gestione associata), che risentirà della mancata riforma dei servizi pubblici locali e della necessità di sperimentare ed assumere nuove forme giuridiche (ad es. l’azienda consortile, l’azienda speciale, ecc.). La radicata cultura del campanilismo e dell’isolamento.

15. L’IMPATTO SUL MERCATO DEL LAVORO

15.1. Crescita quali-quantitativa del personale sociale L’impatto della legge 328/2000 sul mercato del lavoro sarà positivo, sia sul versante dell’espansione del mercato, che su quello della qualificazione professionale del personale sociale. Dal lato dello sviluppo del mercato, l’applicazione della riforma comporterà un incremento occupazionale, determinato da un aumento della domanda dei servizi e dalla diversificazione delle risposte. La creazione di posti di lavoro riguarderà il mercato dei servizi sociali in generale. Ma, in particolare, l’occupazione crescerà: • maggiormente nella regolamentazione dei servizi “leggeri”, quelli rivolti alle persone che li richiedono; • meno nei contesti dei servizi “pesanti”, quelli rivolti alle fasce del disagio e della devianza, che non esigono i servizi in prima persona. Dal lato della qualificazione delle professioni sociali, la creazione del sistema integrato favorirà lo sviluppo e la professionalizzazione del personale. In particolare, nei prossimi anni, si realizzerà la qualificazione e la puntuale definizione, sia dal punto di vista dei percorsi formativi che dei mansionari, delle figure professionali già consolidate, quali ad esempio gli addetti all’assistenza di base e gli educatori. Nel lungo periodo, l’attuazione della legge stabilizzerà e potenzierà il settore degli operatori sociali, attualmente spesso costretti al precariato, a causa dell’assenza di un quadro stabile di servizi sul territorio. Opererà in questa direzione l’aumento delle opportunità di impieghi a termine per le nuove professioni a valenza pedagogico-educativa e socio-assistenziale, quali in particolare gli educatori professionali, i mediatori, gli operatori per la cura della persona e della relazione d’aiuto. 15.2. La specializzazione del lavoro sociale L’applicazione della legge comporterà la definizione di nuovi profili professionali e l’istituzione dei relativi percorsi formativi. Le professionalità che emergeranno più delle altre, nei prossimi anni, saranno quelle dei manager sociali e dei progettisti locali dei servizi. In particolare, vi sarà un forte bisogno di figure: - dotate di alte capacità di programmazione ed interazione con le Istituzioni sul piano delle politiche sociali; - specifiche in materia di management sociale; - intermedie, ma qualificate, nell’area dell’assistenza socio-sanitaria; - di coordinamento della rete dei servizi, in una ottica di crescente sviluppo della presenza mista pubblico e privato. Nuovi profili professionali saranno richiesti in seguito all’attivazione di nuovi servizi e nuove modalità di risposta. E saranno legati a nuovi bisogni ed obiettivi, quali il sostegno al lavoro di cura e l’approccio integrato degli interventi alla persona. Serviranno operatori da destinare specificatamente all’assistenza socio-sanitaria, con particolare riferimento all’area della non autosufficienza, e figure da utilizzare per esigenze di mediazione mirate, anche con competenze educative (a sostegno della

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famiglia e della genitorialità, per l’integrazione culturale, per l’accompagnamento in percorsi di reinserimento sociale). In questo contesto, le professioni più richieste saranno quelle di assistente alla persona ed educatore. 15.3. Vecchie e nuove competenze Nel prossimo triennio, le competenze maggiormente richieste saranno quelle: - manageriali, in riferimento al lavoro sociale ed assistenziale; - di mediazione e relazione d’aiuto (di “protesi” al cittadino come “cliente”: aiuto, cura, accompagno); - relative all’integrazione socio-sanitaria e all’assistenza domiciliare. Occorrerà potenziare le competenze esistenti sul piano della programmazione e della progettazione integrata. In particolare, si richiederanno capacità di valutazione e di pianificazione degli interventi. L’ambito su cui si concentreranno i bisogni di formazione e, conseguentemente, la necessità di figure professionali qualificate sarà quello socio-sanitario. Nel settore pubblico, si renderanno necessari interventi riqualificativi e formativi rivolti prioritariamente al personale direttivo e dirigenziale, poiché sarà compito di queste categorie di funzionari guidare i processi di innovazione e riorganizzazione delle funzioni e dei servizi sociali. Tuttavia, non verranno realizzati significativi investimenti formativi nelle PP.AA.. Nei Comuni continuerà a prevalere una formazione del personale di tipo prevalentemente empirico: on the job, sul posto di lavoro.

16. I PRO E I CONTRO DELLA LEGGE TRA IL 2002 ED IL 2005

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PUNTI DI FORZA • La diffusione di parole e “pensieri organizzativi” nuovi: programmazione, valutazione, qualità degli interventi e servizi sociali, integrazione, inclusione, cittadinanza attiva. • La programmazione delle politiche sociali. • La definizione delle prestazioni essenziali. • L’integrazione dei diversi settori delle PP.AA.. • L’attivazione dei territori, nel rispetto delle risorse e specificità, in una prospettiva di decentramento e di rispetto delle autonomie locali. • Il ruolo da protagonisti dei Comuni. • L’obbligatorietà della definizione degli atti di programmazione (Piani sociali Regionali e di Zona), con il contestuale vincolo per l’utilizzo delle risorse del Fondo Nazionale ed i connessi meccanismi di controllo. • L’attivazione dei diversi soggetti istituzionali (Regioni, Province, Comuni), del terzo settore, delle rappresentanze sindacali e delle diverse categorie di utenti per la costruzione di un, seppur embrionale, sistema di welfare di responsabilità collettive e garanzie dei diritti. • La concertazione a livello regionale e locale. • Una maggiore attenzione alle politiche sociali. • Dare al sociale una dimensione di settore non marginale. • L’innalzamento rispetto al passato delle risorse disponibili. • L’impulso a nuove forme di imprenditorialità sociale ed alla sperimentazione. • La consapevolezza, sempre più diffusa, che la qualità debba essere garantita da un attento monitoraggio e valutazione del processo e degli interventi sociali. • La creatività che implicitamente si impone.

PUNTI DI DEBOLEZZA • La debolezza delle politiche formative. • La difficoltà di integrazione delle politiche sociali, sanitarie, formative e del lavoro. • La definizione dei livelli essenziali. • L’integrazione tra il settore sociale e quello sanitario. • La tensione irrisolta fra decentramento e centralismo politico, fra il particolarismo locale e l’universalità dei processi economici globali. • La programmazione a livello nazionale. • L’impianto fortemente federalista per cui il processo di attuazione della legge dipenderà dalla volontà politica di applicarla. • L’interazione tra i diversi attori coinvolti, sia tra quelli istituzionali che tra questi ed il terzo settore. • La scarsità dei finanziamenti. • Il difficile reperimento delle risorse.


17. FUTURE MODIFICHE O INTEGRAZIONI

17.1. Una riforma durevole Da qui al 2005, si renderanno necessarie ripetute spiegazioni della legge 328/2000, rivolte ai territori, alle Regioni ed alle Unioni di Comuni, che avranno il compito di applicarla. Nei suoi contenuti ideali la riforma “reggerà”, infatti, per i prossimi 20 anni, a patto però che venga capita per poter essere attuata. Le modifiche e/o integrazioni che si realizzeranno andranno nella direzione di: - aumentare la dotazione finanziaria; - individuare precisi standard qualitativi per i servizi; - implementare meccanismi obbligatori di verifica; - imporre l’analisi dei bisogni, da effettuare con metodologie standardizzate; - rendere obbligatoria l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni. Nel prossimo triennio, verranno affrontati alcuni aspetti “di sistema”, dai quali dipenderà l’effettiva attuazione della riforma e dei principi sui quali essa si fonda. Si procederà al riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo, nel rispetto del principio della separazione tra spesa assistenziale e spesa previdenziale, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. I fondi integrativi rappresenteranno uno strumento importante per affrontare il problema di una società che invecchia e vive più a lungo che in passato, a fronte di un sistema pubblico che non è in grande di coprire tutti i costi assistenziali che questo comporta. Tuttavia, non si realizzerà una effettiva estensione dell’istituto del reddito minimo di inserimento come misura generale di contrasto della povertà.

18. NOTA METODOLOGICA

18.1. Il metodo Lo scenario del progetto “Il futuro della legge 328/2000 tra vincoli ed opportunità” (nell’arco temporale 2002-2005) è stato costruito sulla base di una variante del metodo Delphi. Caratteristica peculiare del procedimento è la consultazione, in modo rigorosamente separato ed anonimo, di un gruppo di esperti, al fine di ricavare previsioni basate sulla convergenza delle opinioni circa il futuro dei problemi e dei fenomeni indagati. Per questo progetto, è stata adottata una procedura di consultazione in due stadi di un gruppo composito di undici esperti. 1. Nel primo stadio, ogni esperto ha avuto la possibilità di fornire, in modo libero e rigorosamente anonimo, alcune previsioni relative ai singoli ambiti di indagine sulla base delle proprie competenze scientifiche e professionali, a partire da un questionario articolato in domande aperte. 2. Nel secondo stadio, le previsioni iniziali, opportunamente elaborate e trasformate in item previsionali, sono state nuovamente sottoposte al giudizio degli esperti. Ognuno di loro ha avuto la possibilità di analizzare e valutare le opinioni degli altri ed eventualmente di riconsiderare e modificare le proprie posizioni iniziali. La fase finale dell’analisi si è concentrata sulle aree di maggiore convergenza: su quelle previsioni che hanno raccolto un alto grado di consenso (o dissenso) circa la probabilità di un loro accadimento futuro. Lo scenario presentato in questo rapporto è stato costruito sulla base delle ipotesi previsionali che hanno ottenuto il maggior accordo e rappresenta il frutto di un vero e proprio “confronto di gruppo”, arricchito dai diversi punti di vista e dalle diverse competenze degli esperti intervistati. L’indagine ha avuto inizio nel mese di Marzo e si è conclusa nel mese di Giugno del 2002. 18.2. Le dimensioni indagate L’indagine previsionale “Il futuro della legge 328/2000 tra vincoli ed opportunità” ha focalizzato l’attenzione sulle seguenti dimensioni: Il sistema dei servizi sociali: effetti sull’erogazione dei servizi; ricadute in termini di efficienza ed efficacia degli inter-

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venti; opportunità per i cittadini; strumenti di misurazione della soddisfazione degli utenti; informatizzazione della rete dei servizi. Le differenze territoriali: programmazione ed erogazione degli interventi; quantità e qualità delle prestazioni; politiche di riequilibrio territoriale; ostacoli all’attuazione della legge. Politica sociale e concertazione: integrazione istituzionale delle politiche sociali; ruolo del terzo settore, delle organizzazioni no profit e del volontariato; rapporto fra Enti pubblici e soggetti non istituzionali; scelte governative. Servizi sociali e mercato del lavoro: impatto sull’occupazione; nuove figure professionali; competenze richieste.

19. GLI ESPERTI

Renato Dapero Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Pavia. Attualmente è Direttore dell’Istituto Andreoli di Borgonovo Val Tidone, in Provincia di Piacenza. L’Istituto è una IPAB che gestisce una casa protetta di 150 posti, altri servizi residenziali per disabili e l’assistenza domiciliare per il Comune di Borgonovo. Ha avuto esperienze professionali in aziende private, in attività di formazione e consulenza, e come Dirigente di Enti pubblici. Socio fondatore dell’Associazione ANSDIPP nel 1994, ne è l’attuale Presidente. È collaboratore di diverse riviste e membro del comitato di direzione di “IPAB OGGI”. Volumi pubblicati: “La produttività nell’ente locale” (1987) e “Una SPA per l’IPAB. Storia della costituzione di una Spa mista per la realizzazione e gestione di servizi” (2000). Paolo Di Giacomo Nella Cgil, in cui milita fin da giovanissimo, ha assunto diversi incarichi, fra cui la Segreteria della Camera del Lavoro di Roma e quella della Federazione Nazionale dei Lavoratori dell’Edilizia ed Affini (Fillea). Attualmente, presso il Centro Confederale Nazionale, segue alcune tematiche inerenti le politiche sociali, fra cui i diritti dei minori (ha coordinato l’inchiesta Cgil sul Lavoro Minorile) e l’attuazione della legge 328/2000. Maria Grazia Falciatore Laureata in Sociologia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “Federico II” di Napoli. Attualmente è Dirigente del Settore Assistenza della Regione Campania. Ha condotto attività di docenza e progettazione formativa nel settore dei servizi sociali. Ha svolto consulenze organizzative in ambito pubblico e nel terzo settore, in materia di politiche sociali. È autrice di varie pubblicazioni. Costanza Fanelli Laureata in Lettere Moderne all’Università “La Sapienza di Roma”, con specializzazione in Sociologia. Ricopre dal 1995 l’incarico di Responsabile del Settore della Cooperazione Sociale aderente all’Associazione Nazionale Cooperative di Servizi e Turismo della Lega delle Cooperative. Dal 1981 al 1987, come responsabile del Settore Femminile della Lega delle Cooperative, ha promosso iniziative, ricerche e progetti per lo sviluppo professionale e della imprenditorialità delle donne attraverso la cooperazione. In quegli anni, ha scritto numerosi articoli sulle esperienze della cooperazione femminile e sulle possibilità di sviluppo delle cooperative nel campo della cura alle persone e dei servizi alla famiglia. Pubblicista e giornalista fin dagli anni 60, ha curato, insieme ad altri esperti della cooperazione, una “Guida alla Normativa per l’Impresa sociale”, nell’ambito di un progetto sostenuto dal Ministero del Lavoro. Francesco Fazio Laureato in Economia e Commercio all’Università di Palermo. Nel 1968 viene assunto, per pubblico concorso, dall’Amministrazione Regionale Sicilia - Assessorato Enti Locali ed assegnato alla Direzione Affari Sociali. All’inizio degli anni ’80 partecipa, in qualità di Responsabile dei servizi sociali, alla stesura della legislazione regionale di riordino dei servizi sociali e delle leggi di settore per particolari utenze, curandone negli anni a seguire la relativa attuazione. Dal 1992 al 1996 è assegnato al corpo ispettivo dell’Assessorato, con compiti di accertamento del corretto funzionamento di organi ed uffici della Amministrazioni comunali e provinciali e di sostituzione ove necessario di Consigli e Giunte locali. Analogo incarico, in oltre un ventennio, svolge presso IPAB dell’isola, in attesa della ricostituzione dei loro Consigli di Amministrazione. Attualmente è impegnato nell’adeguamento della legislazione regionale ai contenuti della legge 328/2000.

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Grazia Felicori Funzionario presso la Direzione Generale Sanità e Politiche Sociali della Regione Emilia Romagna, si occupa degli aspetti


legislativi e giuridici legati alle politiche sociali. Ha partecipato ai tavoli tecnici interregionali sulla riforma nazionale. Nel periodo dicembre 2000 - gennaio 2001, ha fatto parte del gruppo di esperti incaricato dal Ministro per la Solidarietà Sociale dell’elaborazione di proposte finalizzate all’adozione di strumenti attuativi, alla preparazione del Piano Nazionale ed all’esecuzione dei vari adempimenti normativi previsti dalla legge 328/2000. Ha lavorato alla stesura del progetto di legge quadro della Regione Emilia Romagna “Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. Alessandro Geria Dal 1987 è operatore politico della CISL nazionale, con l’incarico di Responsabile nazionale della Confederazione per le politiche socio-assistenziali e del terzo settore. Giornalista pubblicista dal 1995. Attualmente è membro dell’Osservatorio per l’infanzia e dell’Osservatorio nazionale per il volontariato del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ha pubblicato articoli e saggi sui temi delle politiche sociali. Guido Memo Tra i fondatori, ed attualmente Direttore, del Cesiav - Centro studi e iniziative per l’associazionismo e il volontariato, si è occupato con particolare attenzione della fase, ancora in corso, di avvio dei Centri di servizio per il volontariato. Studia da anni i problemi relativi alla formazione e alla partecipazione democratica tra le associazioni, sia di carattere politico e sindacale, sia di carattere sociale. A partire dalla seconda metà degli anni ottanta ha promosso a livello nazionale iniziative per lo sviluppo della formazione all’impegno sociale e politico, per la formazione alla cittadinanza attiva. Giacomo Panizza È Presidente della Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme, una aggregazione di Enti e gruppi di intervento e di promozione nei sistemi di servizi e di economia sociale, nata nel 1976. È Docente all’Università della Calabria, insegna “Introduzione al servizio sociale” al Corso di Laurea in Scienze del servizio sociale. Dal 1997, con la “Scuola del Sociale” di Lamezia Terme, accompagna la costruzione dal basso dei “Patti territoriali sociali” in Calabria. Ha all’attivo diverse pubblicazioni ed articoli in riviste specializzate nel settore delle politiche sociali. Ferdinando Siringo Laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Palermo. Dal dicembre 1994 collabora con la sede regionale dell’Ente Italiano di Servizio sociale - E.I.S.S. occupandosi di progettazione e gestione di interventi formativi e di consulenza agli Enti locali siciliani nell’ambito delle politiche sociali. Collabora con la Fondazione Italiana del Volontariato per attività di studio, ricerca e formazione nel settore del volontariato e delle politiche sociali. È fra i promotori del Mo.V.I. (Movimento di Volontariato Italiano) a Palermo ed è impegnato, come volontario, in attività socio-culturali a sostegno dello sviluppo del volontariato. Dal 1995 è Presidente regionale del Mo.V.I. Sicilia e dal 1999 è Vicepresidente a livello nazionale. Rappresenta il Forum regionale del Terzo Settore ai tavoli di consultazione riguardanti la programmazione degli interventi socio-assistenziali. È Presidente del Centro di Servizio per il Volontariato di Palermo. Angelo Vittorio Zambotto Assunto alle dipendenze dell’ex ENAOLI (Ente Nazionale Assistenza Orfani Lavoratori Italiani), ha svolto per circa 17 anni l’attività direttiva nelle strutture educative ed assistenziali dell’Ente. Dal 1979, transitato nei ruoli regionali della Regione Veneto, ha svolto attività di Dirigente del servizio programmazione della Direzione Regionale Servizi Sociali. Dal 1990 al 1993 ha ricoperto l’incarico di Capo di Gabinetto dell’Ufficio di Presidenza della Provincia di Padova. Rientrato in Regione, ha svolto la propria attività di Dirigente regionale responsabile del Dipartimento Servizi Formativi e ad interim del Dipartimento dei Servizi Sociali. Dal 1997 al 30 settembre 2000 ha ricoperto l’incarico di Direttore regionale della Direzione Servizi Sociali. Nell’anno 2001 ha svolto l’incarico di consulente della Giunta Regionale del Veneto nell’ambito delle politiche sociali, in particolare per l’attuazione della legge 328/00. Attualmente collabora con l’ULSS 16 di Padova nell’ambito di progetti regionali relativi all’attivazione di un centro di documentazione sulla famiglia.

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Finito di stampare: settembre 2002 Realizzazione grafica: Topsygraph, Roma Stampa: Multiprint, Roma


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