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! O A I C LE A I C E P S O INSERT

A I R O T S A L L E B A R

prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 71 - n.12

LA NOST

ISSN 0029-0920

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TRASCORRIAMO IL 2017 INSIEME A DELFINA CON LE VIGNETTE DI CRISTINA GENTILE

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UN ADDIO

NON È Tiziana Bartolini*

Fermiamo le edizioni cartacee di NOIDONNE e consegniamo alla dimensione virtuale la possibilità di continuare un cammino iniziato oltre 72 anni fa. Non consideriamo questo un addio, quindi, ma un approdo che ci consente di esplorare nuovi territori contando sul sostegno delle lettrici fedeli e sulla possibilità di incontrarne di nuove.

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iamo convinte, infatti, che questo giornale abbia un futuro che va immaginato a partire dai traguardi raggiunti e che lo hanno inserito pienamente nel presente, accettando l’incalzare della tecnologia e la sfida dell’innovazione nei linguaggi e nei contenuti.

NOIDONNE è già pronto per costruire il suo domani, è disponibile ad accogliere le sollecitazioni e ad interpretare la complessità che ci riguarda come donne. Il settimanale on line NOIDONNE WEEK esce regolarmente da anni, siamo sui social e presto rinnoveremo il sito e avvieremo la digitalizzazione dell’archivio storico. Ci attende un lavoro impegnativo che richiede impe-

gno e risorse. Ti invitiamo quindi ad essere ancora con noi per condividere una bella storia scritta dalle donne. Pensiamo che sia significativo il fatto che ci troviamo a voltare pagina proprio mentre Hillary Clinton perde le elezioni. La sua sconfitta, che ci colpisce tutte profondamente, è di portata storica e va esaminata negli


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aspetti più oscuri e nelle sue molteplici sfaccettature anche come sconfitta di una interpretazione del femminile che non ha avuto successo. Eppure le donne devono essere parte attiva degli imponenti cambiamenti cui assistiamo visto che la posta in gioco è la costruzione di un nuovo ordine mondiale economico e civile. In questo contesto anche il sistema dell’informazione sta cambiando profondamente e il NOIDONNE che si è ricostruito un varco nel terzo millennio - riprendendo nel 2000 le pubblicazioni dopo ‘la grande scrisi’ degli anni ‘90 - termina le edizioni cartacee con la soddisfazione di aver aggiunto un pezzo consistente ad una lunga storia iniziata nel 1944. Non nascondiamo il dolore di una scelta pesante ma non più rinviabile e per congedarci ‘dalla carta’ con tutto l’orgoglio che merita il nostro giornale ripubblichiamo gli inserti usciti nei mesi del 2014 per i settanta anni del giornale: una cavalcata attraverso le straordinarie esperienze, le dure lotte e le indimenticabili protagoniste che hanno fatto la storia delle donne e della democrazia del nostro paese. In questo numero gli anni più recenti li raccontano Nadia Angelucci e Elena Ribet, socie della Cooperativa Libera Stampa, editrice di NOIDONNE. Un commiato lo firma, Giancarla Codrignani, socia che da anni scrive ed è autorevole punto di riferimento. Costanza Fanelli, attualmente presidente della cooperativa, e che a lungo ha ricoperto lo stesso ruolo in anni passati, scrive alcune riflessioni. Da noi tutte un ringraziamento va a Isa Ferraguti, presidente che l’ha preceduta in anni difficili. E la sottoscritta?.. Ho avuto l’onore di pilotare una piccola e fragile imbarcazione con un nobile passato e un presente incerto. L’ho fatto cercando di compensare con l’entusiasmo e la fantasia la perenne assenza di risorse economiche nell’intento di non disperdere una storia di donne meravigliosa ed unica. E l’ho fatto - in tutta onestà e libera da pregiudizi - con generosità e professionalità, con rigore e amore, accogliendo idee e persone. Uno stile che ha permesso al giornale di guardare oltre vecchi attriti, mai sopiti, che lo hanno attraversato in passato. Un approccio che ci permette di fermarci, adesso, senza debiti e - lo sottolineo con orgoglio - senza flessioni nelle vendite e negli abbonamenti.

Questo lungo tratto di strada, dal 2000 ad oggi, è stato possibile percorrerlo grazie a tante amiche fedeli e sincere che hanno contribuito in vario modo avendo in cambio “solo” la gioia di far viaggiare parole e pensieri di donna, di offrire spazi ad altri sguardi e notizie. Le ringrazio e le abbraccio calorosamente una ad una e mi spiace non poterle citare tutte. I loro nomi firmano, numero dopo numero, agli articoli che ci hanno regalato. Innumerevoli e preziosissimi, poi, i contributi che non sono rintracciabili nel giornale ma senza i quali tutto sarebbe stato più difficile se non impossibile. Prima di tutto le diffonditrici che non ci sono più e che ricordiamo con immenso affetto: Anna Lizzi Custodi e Anna Marciano. Ringraziamo Vanna Zanini e Maria Del Re, che vendono il giornale nei loro quartieri, e Grazia Giurato per una generosità spesso rinnovata. Ci sono poi tanti e tanti gruppi che hanno costantemente contribuito alla diffusione straordinaria dell’8 marzo, a partire da molte realtà dell’Udi per arrivare ai gruppi dello Spi, della Cgil, dell’Auser e di tante altre associazioni e gruppi di tutte le regioni. È doveroso in questa circostanza dare un riconoscimento all’apporto di due uomini senza i quali NOIDONNE non avrebbe avuto questi 16 anni di vita: Roberto Rossi, che ha stampato dal 2000 al 2005, e Rinaldo, che da oltre 12 anni gestisce da volontario e con certosina meticolosità le complesse incombenze amministrative, noiose ma indispensabili per il funzionamento di un’impresa. Ci aspetta un grande lavoro che non si profila meno difficile soprattutto per la sostenibilità economica. Ma è un lavoro che contiamo di fare insieme a te e con tante altre donne. Quelle da sempre affezionate a questo giornale e le tante - soprattutto giovani - che contiamo di avvicinare perché dalla nostra abbiamo un’arma formidabile: la consapevolezza di una comunanza di sentimenti che va coltivata. Il sito www.noidonne.org sarà il nostro luogo di incontro e di elaborazione. Ci troverai lì per condividere il piacere di un’informazione originale e all’insegna della ricerca.

*direttora NOIDONNE e dirigente Cooperativa Libera Stampa

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UN’IMPRESA

DI DONNE Costanza Fanelli*

Mi è difficile fare un editoriale in questo numero “speciale” di NOIDONNE senza mettere dentro a quello che scrivo molto di me stessa, non solo come attuale presidente della Cooperativa Libera Stampa impegnata intensamente in questa impresa straordinaria e difficile ma come donna che ha vissuto in diretta tanti passaggi importanti di questa testata.

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a libertà che caratterizza la storia di questo giornale mi consente tale privilegio. E allora lasciando a ricostruzioni dettagliate che si potrebbero e potranno fare sui tanti capitoli che hanno caratterizzato la vita di NOIDONNE come giornale e come impresa al femminile nella metà del secolo scorso, scelgo di concentrare l’attenzione di chi legge questo numero sul significato, il lavoro e i risultati del periodo che va dal 2000 ai giorni nostri. Il primo grande risultato è che si è assicurato alle donne e al mondo dell’informazione altri 16 anni di presenza giornalistica, culturale e politica in una fase di grandi cambiamenti generali e per le donne. E questo non è avvenuto per caso, né con facilità. Dopo la chiusura nel 1999 di Noi Donne a causa di una forte crisi di carattere finanziario della cooperativa e in presenza di una situazione debitoria molto grave sembrava ineluttabile

la definitiva chiusura della testata. Ma così non è stato. Grazie a uno scatto di vero coraggio di alcune, all’emergere di tante energie positive e generose, al ricorso di tanto lavoro volontario e al sostegno di tante amiche e lettrici, si sono riannodati lentamente i fili di una nuova o meglio rinnovata storia, quella del ventunesimo secolo. Si è ricominciato da fogli poveri, non cessando mai di essere un riferimento libero per le donne e, grazie a sacrifici personali, a tanta creatività e convinzione anche sul piano del reperimento di risorse, si è riusciti a poco poco non solo a ripianare i debiti pregressi ma a rimettere i bilanci a posto e quindi, sempre con grande prudenza di gestione, a ricreare le condizioni per fare uscire nuovamente un mensile a colori, ricco di articoli, rubriche, apporti giornalistici e culturali. La carrellata delle copertine di questi anni parla da sola e scandisce la capacità di stare comunque, anche con risorse scarse, nelle cose e nella società. In linea con i tempi NOIDONNE è divenuto anche on line, con un sito attivissimo e una presenza in crescita sui canali social. Ma su questo incredibile lavoro, che ha trovato un riscontro vero nella tenuta e nello sviluppo degli abbonamenti, si è inserita negli ultimi cinque anni quella che è oggi una delle principali cause - ma non l’unica - della nuova situazione di criticità dell’impresa: il taglio continuo e progressivo dei contributi pubblici all’editoria, che ha eroso via via anche ogni margine di risparmio prodotto in questi anni, in un bilancio peraltro già ridotto alle sole spese incomprimibili. Malgrado questo si è resistito ancora, ricorrendo anche alla cassa integrazione e sperando in una inversione di tendenza che purtroppo non è avvenuta. Anche l’importante riforma dell’editoria approvata di recente dal Parlamento - dopo un’azione forte di pressione cui abbiamo attivamente contribuito - con la creazione di un fondo specifico per il pluralismo dell’informazione arriva quando i tempi sono scaduti per molte testate piccole e medie come la nostra. 4 prosegue a pag. 6


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SAREMO SEMPRE

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“noi donne”! Giancarla Codrignani*

Vediamo che effetto produrrà dire che NOIDONNE chiude per aprire. Perché si tratta di riflettere sul mondo che cambia. Le giovani non riescono a riviverlo come era 72 anni fa: le loro mamme non erano ancora nate e la distanza fra tre se non quattro generazioni non recupererà mai il vissuto degli altri.

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a anche le vecchie partigiane del ‘44 che ancora ci seguono anagraficamente sono bisnonne, però, pur continuando ad accusare i governi e le artrosi, si sono adattate all’epoca delle merci, colgono i benefici della chirurgia tecnologica e dei cellulari. Se potessimo far incontrare le ragazze con le avventure della resistenza capirebbero e condividerebbero i rischi di pedalare in montagna con un mitra nascosto nella sporta delle verdure, ma non ce le farebbero a superare lo sgomento di trovarsi in una Rimini del 1945, devastata da quasi 400 bombardamenti, in mezzo a precarietà e obbligo di faticare, in mezzo alle contadine di Romagna vestite di lunghe gonne nere con il foulard sul capo: un villaggio marocchino tenuto in piedi da donne che avevano combattuto contro l’occupazione. Per questo noi del giornale non abbiamo mai smesso di parlarne, di fare memoria, non per esaltare lo sforzo

eroico di tutto quello che è stato fatto per uscire dalla miseria materiale e morale sperimentata durante il fascismo, ma per fare di quel valore la piattaforma di lancio verso il futuro. Proprio perché donne - in particolare perché “Noi Donne” - registriamo qualche amarezza perché proprio i sacrifici e il lavoro assiduo dedicato a tutte le pratiche, a tutte le cure materiali, intellettuali e politiche che le donne hanno dedicato alla società in tutti i tempi e le crisi della storia non hanno impresso l’immagine femminile ai poteri e a cambiarne le gerarchie. Trump è una metafora: Trump, l’esecrabile che potrebbe aver usato strumentalmente il linguaggio volgare del peggior populismo per vincere, è il potente al quale nessuna di noi perdonerà il disprezzo di cui ci ha investite. Ma sappiamo anche che, se avesse vinto Clinton, gli Usa non avrebbero finalmente avuto “una” Presidente perché, pur donna da noi auspicata, ha sempre fatto parte di quelle donne che vogliono essere “come un uomo”. Una situazione che in settant’anni abbiamo visto spesso ripetersi nelle cariche che ormai occupiamo, senza poterne condizionare le regole ed eliminare i pregiudizi. Come giornale non abbiamo mai alimentato illusioni e certo oggi le crisi economiche e culturali che ci invadono non facilitano le speranze. Ma proprio per questo dobbiamo volere che la “piattaforma verso il futuro” funzioni davvero. Le nuove tecnologie non sono più bambine; anzi, anche se non siamo particolarmente abili, incominciamo a intravedere, oltre i limiti delle “fogne” di social calunniosi e violenti e del “comunicare senza relazione” tra esseri umani, orizzonti di nuova e possibile cultura globalizzata dietro un mondo che non può produrre solo merci e denaro virtuale: mentre i bisogni umani crescono e le persone hanno bisogno di tutto, deve venire un futuro non egoistico 4 prosegue a pag. 6


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La decisione di sospendere l’edizione cartacea di NOIDONNE è figlia dello stesso senso di responsabilità, che ha spinto 16 anni fà a tentare in tutti i modi una strada per riprendere un cammino, per garantire comunque la continuità di una storia importante, ma con una attenzione particolarmente vigile alle sostenibilità economiche. Anche perché stiamo parlando di una cooperativa composta liberamente da donne che apportano lavoro, volontariato, passione ma non hanno capitali. La Cooperativa Libera Stampa, ha una storia lunga che andrebbe raccontata di più nel mondo imprenditoriale, con i suoi meriti ma anche suoi errori o limiti, come altre imprese del resto. Va ricordato che è stata la prima libera cooperativa nel mondo dell’informazione, una scelta lungimirante fatta da tante donne, in primo luogo dell’Udi, che alla fine degli anni ‘60 hanno pensato ad un modo autonomo e innovatore di fare informazione. Tra le protagoniste di questa sfida anche manageriale non si può non citare Marisa Ombra. La Cooperativa Libera Stampa ha partecipato poi con convinzione a tutte le battaglie nel nostro paese per una libera informazione, concorrendo ad affermare il principio della necessità di un sostegno pubblico alle testate autogestite, parlando non solo come operatrici e professioniste dell’informazione ma anche a nome di tante lettrici a cui NOIDONNE ha sempre guardato come parte della propria impresa. Noi Donne ha certamente vissuto negli anni ‘80-‘90 una fase che oggi possiamo leggere come “privilegiata” per le condizioni politiche e di mercato rispetto alle quali - e io lo posso dire in libertà avendola vissuta - non sempre ha colto al momento giusto il senso dei cambiamenti e dei nuovi limiti economici e politici. Da anni il mondo dell’informazione sta attraversando profondi cambiamenti, in peggio e in meglio. E NOIDONNE ha deciso di prenderne atto, con senso di realtà e di verità, senza vittimismi, continuando a contare su chi ha creduto nel ruolo speciale di questa testata. Ma anche con la curiosità del nuovo da affrontare. Il nuovo è soprattutto la dimensione multimediale, è la rapidità dei movimenti di informazione, è la difficoltà a riconoscere i confini tra dimensione nazionale e internazionale. Ma per noi anche l’urgenza e la testardaggine di collocare in questo quadro sempre e comunque l’occhio e la testa delle donne come soggetti liberi. L’invito a tutte le nostre lettrici e amiche è di aprire un confronto su tutto questo, di seguirci nelle nuove imprese, di sostenerci con quello che ciascuna può, come abbiamo fatto in questi anni.

e non di guerre, in cui il benessere umano sia la finalità di ogni politica. NOIDONNE ha seminato tutte le sementi possibili tratte dal granaio del femminismo e la carta è stata un gran bel veicolo: anche se piaceva a tutti, la manutenzione dell’impresa costa e, soprattutto in questo periodo, bisogna far quadrare i conti. I boss che detengono le borse ti regalano complimenti, ma non intendono farsi carico di un interesse sociale che ingenuamente reputiamo democratico e comune alla società tutta intera. Dunque lasciamo la carta: è bella ma non ce la possiamo più permettere. Le amiche che non si sono mai arrese al pc, ascoltato il nostro richiamo al futuro, vorremmo che imparassero che per trovare Noi Donne sul web non sono necessarie capacità superiori: buttatevi, l’occasione vale la pena. Quindi anch’io ringrazio chi ha diretto, amministrato e lavorato in totale dedizione e generosità, ma non mi preoccupo, perché nessuna di noi pensiona idee ed energie: cambia solo il mezzo. Oggi molto dell’informazione corre su rete e il virtuale consente di evidenziare e conservare gli articoli di maggior interesse, di interagire con altre lettrici e di collaborare con la redazione. Il rischio è di naufragare nella folla dei periodici in rete che si incrociano navigando; ma anche le edicole sono piene di testate e di richiami. Se saremo brave - e se le nostre grandissime amiche che hanno sempre tenuto Noi Donne sulle loro braccia manterranno la generosità - cambierà poco: l’occhio che si abituerà a leggere sul desk, i ditini che faranno scorrere le parole, la memoria che deve diventare curiosa. Quello che conta è che resti immutata l’amicizia tra “noi donne”, insieme con la “cura” di noi stesse. Quello che accade nel mondo può essere indirizzato al bene o al suo contrario, ma per noi donne è sicuro che, se non saremo ben attrezzate di idee e di grinta per difenderle, la già manifesta manovra di passare sopra i nostri corpo e i nostri diritti può in breve riportarci alla domesticità funzionale a conservare un sistema in crisi. Come direbbe Delfina della nostra bellissima agenda “i nostri ideali e i nostri sogni mica finiscono in spam”...

* Presidente della Cooperativa Libera Stampa

*socia e dirigente della Cooperativa Libera Stampa

RIPUBBLICHIAMO TUTTI GLI INSERTI CHE SONO STATI REALIZZATI NEL CORSO DEL 2014 IN OCCASIONE DEI 70 ANNI DI NOIDONNE


UNA RIVISTA NATA SOTTO LE BOMBE, FIGLIA DEL CORAGGIO DELLE DONNE DELLA RESISTENZA. UNA STORIA CHE CONTINUA ANCORA OGGI

1944 1950 primo inserto

Testi e ricerca iconografica a cura di Silvia Vaccaro

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oi Donne è un giornale singolare che avrà la ventura di nascere e rinascere parecchie volte: a Parigi come espressione del movimento femminile antifascista, nell’Italia occupata dai tedeschi come organo dei Gruppi di Difesa della Donna, nell’Italia liberata come espressione del movimento che darà vita all’UDI”. Così scrive Nadia Spano di questa preziosa rivista che tanta storia ha già alle sue spalle. È il 1937. Tante italiane hanno lasciato il paese ma continuano a fare politica e a lottare contro il fascismo mantenendo una fitta corrispondenza con le compagne e le amiche rimaste in Italia. Sono queste donne che a Parigi, sotto la direzione di Marina Sereni, daranno alle stampe i primi Noi Donne, ricchi di informazioni pratiche sulle attività delle varie sezioni e dei comitati del movimento antifascista dentro e fuori i confini nazionali. Passano pochi anni e la guerra esplode in tutta la sua ferocia. Siamo nel 1944 e Noi Donne ricompare, questa volta per volontà delle donne che appartengono ai Gruppi di Difesa della Donna (GDD) e che ogni giorno forniscono ai partigiani aiuti alimentari, coperte e nascondigli rischiando in prima persona la pelle. In quel

momento è un foglio clandestino ciclostilato, con informazioni sui fronti di guerra e sulle necessità dei partigiani, diffuso soprattutto nelle zone ancora sotto occupazione tedesca. Le donne dimostrano una grande voglia di partecipare, di esserci. “Restate, se vi trovano, moriremo tutti insieme” dicono ai partigiani che ospitano nelle loro case. Tanti sono gli episodi raccontati che, se riletti, emozionano e danno la misura dell’impegno e del coraggio delle donne durante la Resistenza, fatti che a lungo sono stati esclusi dalla memoria collettiva né adeguatamente valorizzati nei libri di storia. “Prendete me, io posso odiarvi molto più di lei” dice la sorella di un partigiano ai nazisti che vogliono portarsi via la madre anziana. “Odio” insieme ad “ardore” e “coraggio” sono i termini che ricorrono in quei numeri e impressi su una carta sottile, quasi trasparente. Le donne odiano il fascismo tanto quanto gli uomini continua >

da 70 anni NOIDONNE guarda al futuro


e lo combattono a viso aperto allo stesso modo. La guerra continua ma Noi Donne resiste e nel luglio del 1944 a Napoli, dietro l’impulso di Nadia Spano e sotto la direzione di Vittoria Giunti, esce il primo numero ufficiale che costa 4 lire e che viene stampato in 18mila copie. Di lì a qualche mese il giornale si sposterà a Roma, dove rimarrà per i successivi settanta anni.

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A SERVIZIO DELL’INFANZIA Una bellissima storia di solidarietà avviene nell’Italia dell’immediato dopo guerra e Noi Donne la racconta sin dai primi numeri. Migliaia di bambini del Sud Italia, orfani di caduti in guerra, figli di reduci e di famiglie poverissime che non possono mantenerli, vengono affidati temporaneamente a famiglie del Centro-Nord. Le donne dell’UDI erano in testa alla macchina organizzativa che coordinava i movimenti dei piccoli, accompagnandoli ai treni in partenza, andando ad accoglierli e tenendo i contatti tra le famiglie. Una gigantesca operazione di solidarietà che ha destato l’interesse del regista Alessandro Piva, che ha raccontato questa storia nel documentario “Pasta Nera”, in cui compare anche Miriam Mafai, per anni dirigente del Partito Comunista, nonché indimenticabile giornalista e Direttora di Noi Donne dal 1964 al 1969.

a situazione politica dell’Italia è in perenne movimento e così anche il giornale: cambiano la carta, il colore, i caratteri, il formato, la periodicità. Tanta è la voglia di stampare che lo si fa di notte quando arriva la corrente elettrica, occupandosi di tutto, dall’impaginazione agli articoli. Non sono giornaliste le prime firme di Noi donne, ma pur ignorando cosa sia un menabò e dovendo superare enormi difficoltà economiche, sono sempre pronte a raggranellare il minimo necessario per riuscire a stampare e diffondere più copie possibile affinché tutte le donne si sentano ugualmente protagoniste in quei giorni cruciali. L’editoriale dell’epoca, intitolato “Il nostro compito”, richiama le donne ad agire e a farsi carico dei problemi dell’Italia. “È proprio perché il popolo italiano, e le donne in particolare, non si sono interessate sufficientemente di politica che il governo dell’Italia è caduto nelle mani di una banda di avventurieri e di profittatori con Mussolini alla testa”, si legge sul giornale. Le donne sono decise a prendere parola e di lì a poco le militanti dei GDD danno vita all’UDI, l’Unione Donne Italiane, a cui il giornale resterà fortemente legato per molti anni. I circoli UDI, nati su tutto il territorio nazionale, si riuniscono per la prima volta a Roma per il 1° Consiglio Nazionale il 13-14 gennaio del 1946. Guardano dentro i loro animi e ai loro desideri, ma i loro interessi corrono anche oltre i confini nazionali. Fin dai primi numeri le donne degli altri paesi vengono raccontate con estrema attenzione, a partire da quelle sovietiche per arrivare ai paesi del “Sud del mondo”. Le donne italiane chiedono a gran voce la pace (minacciata dal Patto Atlantico), la lotta all’analfabetismo femminile, l’organizzazione sindacale per ottenere migliori condizioni di lavoro nelle fabbriche e nei campi, la tutela della maternità delle lavoratrici. Una prima grande vittoria sono le undici donne dell’UDI elette nella Costituente: Adele Bei, Lina Merlin, Rita Montagnana, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Olga Monsai, Teresa Noce, Nilde Iotti, Nadia Spano, Angiola Minella, Teresa Mattei (venticinquenne, la più giovane “deputatessa” italiana). A loro è affidata la battaglia per l’approvazione di una Costituzione che affermi la parità giuridica in ogni campo e il diritto al lavoro e all’accesso a tutte le professioni e le carriere.


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niziano ad apparire sulla rivista le prime rubriche fisse come “15 giorni in Italia e nel mondo” che proponeva un riassunto delle notizie più calde, “Mia moglie” con le confessioni di un marito sul menage familiare, “Torino Trapani/Trapani Torino” con le segnalazioni che venivano da Nord a Sud dai vari circoli UDI. Poi le pagine dedicate alla moda, alle ricette e al cinema con la rubrica “Colpi di obiettivo”. Il tema chiave era il lavoro e le lotte affinché tutte avessero diritto a un impiego pagato equamente e che desse loro soddisfazione. È grande la felicità per una prima importante conquista: la “deputatessa” Teresa Noce da dirigente sindacale della Federazione Italiana degli operai tessili era riuscita a far ottenere alla categoria il primo contratto nazionale in cui diminuiva il differenziale salariale tra operai uomini (100mila circa) e le donne (oltre 400mila) e l’indennità per la maternità, stabilita in 3 mesi prima del parto e 6 settimane dopo il parto, passava dal 66 al 75% della retribuzione. Ma molte sono le denunce, pubblicate in quegli anni su Noi Donne, delle condizioni di lavoro massacranti delle domestiche (spesso suicide), delle mondine, delle gelsominaie, delle contadine e delle operaie.

UNA CURIOSITÀ: LA TIPOGRAFIA

Le redattrici di Noi Donne, quasi sempre impegnate in prima persona nella battaglia politica, entrano nelle fabbriche e ne raccontano le pessime condizioni igieniche nonché i cattivi rapporti con i datori di lavoro pronti a licenziare chi tra le operaie alzava la testa chiedendo maggiore dignità. È il 1948 e le donne del Fronte Democratico Popolare entrano in Senato (saranno 4 mentre la Democrazia Cristiana non eleggerà nessuna senatrice) e alla Camera (ventuno le elette contro le quattordici della DC). Le donne della sinistra sono forti e si sentono maggiormente rappresentate in Parlamento. Noi Donne non manca di dare loro sostengo e voce e attraverso duri attacchi al Governo De Gasperi, accusato di non riuscire ad aiutare le famiglie, gli anziani e i disoccupati. “La miseria è un fatto di cronaca? Si chiedono commentando i suicidi e i gesti disperati compiuti da cittadini senza lavoro: “I giornali ‘indipendenti’ si limitano a considerare questi tragici episodi come dei semplici e insignificanti fatti di cronaca quotidiana”. La critica è pungente e mai velata e gli obiettivi sono il Governo, le deputate democristiane “ben vestite ma impreparate” e la Polizia, accusata di utilizzare metodi repressivi e squadristi per reprimere le giuste lotte per la tutela del lavoro e le riforme. Il 1950 si chiude dunque con un po’ di amarezza per quello che in Italia era stato salutato come il ‘governo della ricostruzione’. Le donne però hanno ormai preso la parola e possiedono uno strumento diffuso su tutto il territorio nazionale, che dialoga con loro per sostenerne la partecipazione politica e la tutela dei diritti.

Quando nel 1944 la redazione di Noi Donne si spostò da Napoli a Roma bisognava trovare uno stampatore. Nessuna delle redattrici dell’epoca se ne intendeva essendo tutte attiviste politiche. Il tipografo che ebbe la ventura di incontrare questo gruppo di giovani combattenti improvvisate alla guida di un giornale fu Alcide Mengarelli, che aveva la sua bottega in uno scantinato nel quartiere Prati. Si racconta che spesso si arrabbiasse con le donne che non capivano proprio nulla di come andasse utilizzato il piombo e scrivevano titoli e pezzi lunghissimi che lui, uomo di mestiere, cercava di riportare a giusta misura per poter impaginare la rivista. Entrambi hanno avuto un lungo futuro: a distanza di settanta anni, anche la tipografia Mengarelli esiste ancora e nello stesso quartiere della Capitale!

da 70 anni NOIDONNE guarda al futuro


Memorie di una che c’era un incontro con

Marisa Rodano

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rrestata nel maggio 1943 per attività contro il fascismo e detenuta nel carcere delle Mantellate, partigiana durante la guerra, Marisa Rodano fa parte di quel primo nucleo fondativo, che darà vita e diffusione a Noi Donne e che farà dell’UDI una grande realtà di partecipazione femminile nella storia del paese. All’indomani della pace, nel 1946, condurrà una grande battaglia dalle pagine del giornale, invitando le donne a votaree a lottare unite per la democrazia. Eletta consigliere comunale di Roma dal 1946 al 1956, deputata dal 1948 al 1968, senatrice fino al 1972, consigliere provinciale di Roma dal 1972 al 1979. È stata la prima donna nella storia italiana a venir eletta alla carica di vice presidente della Camera dei deputati, carica che ha ricoperto dal 1963 al 1968. Ricorda insieme a noi la storia di quegli anni. “Contemporaneamente all’edizione legale, ogni gruppo clandestino, nelle zone ancora occupate dai nazisti, usciva con il suo giornale, sotto l’impulso delle militanti dei GDD, i «Gruppi di Difesa della donna» e per l’assistenza ai Combattenti per la libertà», che svolsero un’attività molteplice e preziosa per la lotta di Liberazione: da seppellire i morti a organizzare i collegamenti tra le formazioni partigiane, dalle manifestazionidi massa per il pane e contro il carovita, alle lotte nelle fabbriche per il salario, a quelle contro i tedeschi occupanti, contro gli arresti e le deportazioni, all’aiuto alle famiglie delle vittime, degli arrestati e dei deportati. I primi gruppi erano sorti nel novembre del 1943 in Piemonte e in Lombardia. Il gruppo centrale dei GDD, che comprendeva donne di tutti i partiti del Comitato di Liberazione nazionale e donne senza partito, con sede a Milano e che venne riconosciuto dal CLN Alta Italia (CLNAI) nel 1944 come organizzazione femminile aderente al CLN. comunicava e dirigeva i gruppi provinciali e locali, che sapevano cosa andava fatto sul territorio. Al termine della lotta di liberazione si calcola che ci fossero più di 40.000 donne attive nei GDD. Bisognava sostenere la resistenza e rendere difficile la vita ai

da 70 anni NOIDONNE guarda al futuro

tedeschi e per farlo occorrevano strumenti di comunicazione, volantini, ma anche il giornale, Noi Donne, che faceva da megafono a tutte le manifestazioni, alle lotte, e agli appelli. Fino all’aprile del 1945, metà dell’Italia era occupata: c’è il Noi Donne legale fondato a Napoli da Nadia (Spano, ndr), e i vari Noi Donne clandestini, stampati alla macchia dai GDD nell’Italia del Nord. Dopo la liberazione, durante il congresso di Firenze nel 1945, avviene la fusione tra i GDD e i comitati di iniziativa dell’UDI sorti nell’Italia liberata: nasce l’UDI come associazione nazionale e un unico giornale. Era un momento molto particolare: dopo anni in cui c’era stata la censura, il controllo sulla corrispondenza, il divieto di fare comizi, andava costruita la democrazia, abituando la gente a riunirsi, a parlare, a scrivere. E in questo contesto, la battaglia che credevamo più importante, era quella per il voto alle donne; mentre liberali e democratici del Lavoro volevano rimandare la decisione alla Costituente, il nostro obiettivo di emancipazione femminile è chiaro sin dall’inizio: ottenere la parità dei diritti a partire da quello di voto. L’UDI cercava di dialogare con tutte le donne partendo dai problemi più concreti, come l’aumento dei prezzi. Ad esempio ricordo che a Roma partecipai a riunioni col Prefetto e coi rappresentanti delle categorie commerciali: le donne si accalcavano nelle vie attorno, e quando io comunicavo loro i prezzi gridavano dalla strada che erano troppo cari. Ero portavoce delle loro istanze e questo mi dava la forza di poter contrattare con le autorità per cercare di ridurli. Ma il tema più acuto era il lavoro perché dopo la guerra molte donne vennero licenziate per dare impiego ai reduci, e tante venivano sfruttate e sottopagate, e non esisteva ancora nessuna tutela per le lavoratrici madri. Noi Donne in ogni numero cercava di ribadire la centralità del lavoro nella vita delle donne e la necessità di un salario uguale a quello dell’uomo. Battaglie del 1945 per le quali ancora è necessario combattere.


L’ITALIA SI STA RIALZANDO DOPO LA GUERRA. NOI DONNE RACCONTA E ANTICIPA I GRANDI CAMBIAMENTI CHE SONO NELL’ARIA

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secondo inserto

Testi e ricerca iconografica a cura di Silvia Vaccaro

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a guerra è finita e le donne hanno conquistato il diritto al voto, nonostante la rappresentanza in Parlamento ancora si attesti su numeri molto esigui e le donne del Fronte Democratico si trovino all’opposizione del governo della Democrazia Cristiana. Questo non impedisce loro di continuare a lottare per le battaglie che in quegli anni erano sentite come cruciali: la parità salariale tra uomini e donne, la maternità consapevole, la dignità dell’infanzia. E Noi Donne è un giornale che ogni giorno diventa più robusto anche grazie alla capacità di documentare e diffondere le voci di queste donne sempre in prima linea. La periodicità con cui esce è settimanale e a partire dal settembre del 1952 il colore apparirà finalmente sulle copertine e all’interno. Oltre alla direttora Maria Antonietta Macciocchi, sono Giuliana Dal Pozzo, Milla Pastorino e Fausta Cialente le firme delle inchieste sui temi più disparati: le case e gli sfratti, le condizioni lavorative, i consumi culturali delle donne, e anche il tema molto sentito del diritto ad una maternità consapevole. Colpisce anche l’attenzione per le giovani, a cui si chiede di parlare d’amore, di lavoro, di quanto si sentano vicine alle loro madri. Perduto il grigiore e la gravità di certi articoli degli anni precedenti, le giornaliste e i giornalisti si dilettano persino in domande irriverenti come quelle poste alle sedicenni dell’epoca, che presentavano problemi simili alle venticinquenni di oggi: cercano lavoro ma non lo trovano, sono innamorate ma fanno i conti con i soldi prima di mettere su famiglia, e a volte, come è normale che sia, non sanno ancora bene cosa vogliono dalla vita. Ci

Circo, nr 4, gennaio 1954 Cosa leggono le donne, nr 25, giugno 1952 Ragazze, nr 28, luglio 1952 Benvenute in redazione, nr 9, febbraio 1954

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PRIMO CONGRESSO DELLA STAMPA FEMMINILE È il 25 ottobre del 1952 e la redazione di Noi Donne si fa promotrice di un’iniziativa volta a coinvolgere editori, giornalisti, lettori e intellettuali. L’obiettivo è dare nuovo slancio ai temi dell’emancipazione femminile e sottolineare anche la necessità che la stampa si impegni a sostenere questa causa così vitale per le donne e per l’intera società. Sarà il primo incontro tra coloro che scrivono e coloro che leggono: lo scrittore di fronte all’operaia, il giornalista a confronto con la casalinga e così via. Tra le adesioni autorevoli personaggi dell’epoca come Zavattini, Pratolini e Fiore e i giornalisti Anna Garofalo e Carlo Scarfoglio. L’analfabetismo, la difesa della cultura, la difesa della libertà di stampa, sono considerati problemi di “primissimo” ordine e Noi Donne si fa carico di avviare la discussione, con l’orgoglio di sentire stringere attorno a questi temi un interesse così vasto. In quell’occasione verrà lanciato il premio letterario intitolato al giornale, che avrebbe premiato con un milione di lire il miglior romanzo o saggio inedito che avesse come protagonista una bella figura di donna. Il premio andrà a Silvia Maggi Bonfanti con il romanzo “Speranza”.

sono però delle gran belle differenze a cominciare dal fatto che quelle che sono giovani o adolescenti negli anni ’50, sono nate prima della guerra e l’hanno vissuta da bambine, subendo perdite all’interno del nucleo familiare o comunque ritrovandosi spesso in situazioni di miseria. Poche studiano, la maggioranza lavora o ci prova, e questo, già lo dicevano gli psichiatri dell’epoca, le mette in una condizione di grande sofferenza, essendo passate repentinamente dall’infanzia alla vita adulta piena di responsabilità e doveri. Obblighi incombenti che allontanano le donne, giovani e non, dalle possibilità di svago, come la lettura. È di Milla Pastorino una bella inchiesta da cui viene fuori che le donne leggono poco e male e perlopiù fumetti e fotoromanzi a causa della mancanza di biblioteche, di sale lettura nelle fabbriche.u


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i pari passo con le uscite del giornale continuano i congressi dell’UDI. Nel 1953 la Presidente, Maria Maddalena Rossi scriveva su Noi Donne: “La funzione essenziale del Congresso sarà quella di favorire una larga unione di tutte le donne in un clima di collaborazione. Con l’apporto di tante forze nuove, vive, sensibili Noi donne raggiungerà un obiettivo di 300.000 copie”. Sempre di più Noi Donne ribadisce la sua natura di giornale di lotta e di rottura polemica con la stampa femminile corrente. Il giornale guarda al futuro, anche se è proprio nel 1953 che si celebrano i 10 anni dalla Resistenza “quella lotta di un’avanguardia di donne coraggiose, di ogni ceto sociale, unite nei gruppi di difesa della donna”, a cui Noi Donne non cessò mai di dare supporto e appoggio incondizionato, ricordando a distanza di dieci anni le 35.000 combattenti, le quasi 5.000 arrestate, torturate e condannate, le 3.000 deportate. Ma negli anni ‘50 cosa vogliono le donne? La parola d’ordine è lavoro: nove su dieci preferiscono alle attività tra le pareti domestiche quelle svolte fuori per se stesse e per la società, ed è di grande interesse vedere come il giornale dedichi una pagina al mese alle nuove professioni: la fotoreporter, la hostess, l’assistente di produzione. Non solo rose e fiori come è noto poiché la vita delle lavoratrici italiane risente di un continuo conflitto tra le esigenze della famiglia e le necessità del lavoro fuori casa. “Ancora troppe donne pagano con continua >

Franca Valeri, nr 2, gennaio 1952 Anna Magnani e Walter Chiari, nr 3, gennaio 1952 Mina, nr 4, gennaio 1960 Cesare Zavattini, nr 21, maggio 1954

UN OCCHIO ALL’ARTE IN TUTTE LE SUE FORME Le notizie di costume e culturali assumono un’importanza enorme in questi anni. È il cinema l’elemento con cui si dialoga maggiormente con interviste a personaggi di rilievo e alcune pagine dedicate ai fotoromanzi con le scene ricavate direttamente dai film. Anna Magnani e Walter Chiari sono i personaggi più amati e raccontati. Ma come sempre Noi Donne stupisce chi si lascia riportare in un’epoca passata sfogliando le sue pagine delicate: si incontrano personaggi del calibro di Pablo Picasso, Cesare Zavattini, uomini di enorme fama e talento che concedono interviste e si raccontano. Passa l’idea che anche la massaia o la contadina del profondo sud Italia, poco istruita e retribuita, possa, grazie alla rivista, avvicinarsi ad un mondo glamour, sicuramente elitario e di grande spessore. Zavattini lancia un concorso: dalla storia di una lettrice scriverà una sceneggiatura! Franca Valeri invece si confida tra un atto e l’altro del suo spettacolo al Teatro dei Gobbi di Roma: “adoro i personaggi femminili che interpreto, come la sartina, l’impiegata, che sono buffi a causa la loro stessa ingenuità.” E poi intere pagine dedicate ai quadri e alle rappresentazioni del corpo femminile e al canto con i protagonisti del Festival di Sanremo. Nel 1960 a debuttare sarà una certa Mina, allora diciannovenne, che si preannuncia già da allora, diventerà una grande star.

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Le braccianti, nr 28, luglio 1954 Braccia senza volto, nr 9, febbraio1960 L’uomo del secolo, nr 3, gennaio 1959 Le Mantellate, nr 9, marzo 1952 Hostess, nr 34, agosto 1954 Luoghi comuni, nr 12, marzo 1956


Copertina con Gina, n.10, marzo 1955 Copertina con Sophia, n. 3, gennaio 1959 Copertina con Audrey, n. 18, marzo1957

l’infelicità la loro emancipazione” e già allora erano presenti tanti temi che ancora oggi non trovano una soluzione. Noi Donne interpella le sue lettrici ogni settimana, chiedendo loro di inviare lettere e partecipare per raccontare la propria esperienza lavorativa e molte sono le donne che soffrono ad esempio la prigionia del lavoro a domicilio che isola le donne facendole sentire delle lavoratrici a metà nonostante tutte le incombenze. Senza dimenticare le lotte per la pensione alle casalinghe. “Anche in casa è entrata la rivoluzione!” si scrive sul giornale: tredici milioni di donne unite perché si discutesse in Parlamento una legge sull’indennità per la categoria. Si parla ancora di infanzia, ma i volti emaciati dei bambini dell’immediato dopoguerra cedono il passo ad inchieste sulla letteratura per ragazzi (a partire da quella americana giudicata troppo violenta) o sulle condizioni pessime di alcune scuole o sul diritto a non passare l’infanzia in carcere come nel caso dei figli delle Mantellate, carcere giudiziario femminile di Roma. Di maternità si parla moltissimo non solo perché la scienza va avanti e cominciano le prime operazioni fatte anche su bimbi piccolissimi, ma anche perché la libera scelta delle donne a concepire e portare avanti la gravidanza comincia ad essere un tema. Fece infatti scalpore il titolo dell’inchiesta di Giuliana dal Pozzo “Quando li vogliamo quanti ne vogliamo”, nel 1956, perché di fatto Noi Donne anticipa e si pone come interlocutore di rilievo in un dibattito che era appena incominciato sulla possibilità di pianificare le nascite e di parlare di diritto all’aborto. E di quegli anni sono anche le inchieste contro l’ONMI, Opera nazionale maternità e infanzia, ente assistenziale italiano fondato nel 1925 allo scopo di proteggere e tutelare madri e bambini in difficoltà, accusato di non essere un servizio all’altezza delle reali esigenze di donne e bambini, perché gestito male economicamente e secondo dettami profondamente sessisti e ancora di stampo fascista. Non mancano gli uomini, interpellati in vari articoli sulla condizione delle donne e sull’avanzamento dell’emancipazione femminile. È sempre di Giuliana Dal Pozzo la bellissima inchiesta del 1959 “L’uomo del secolo”, redatta con un occhio attento e straordinariamente moderno. “Sono due i modi con cui un giornale femminile guarda l’uomo: o come idolo o come nemico. Ci pare che tutti e due gli angoli visuali siano sbagliati, perché egli è un essere umano in una società ostile che oggi

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lo opprime così come opprime la donna. All’errore dell’uomo-idolo e dell’uomo-nemico vogliamo sostituire la certezza dell’uomo-alleato nella grande battaglia che oggi ci impegna: quella per l’emancipazione della donna.” u


I migliori anni Il racconto di Giulietta Ascoli

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o avuto la fortuna di vivere i migliori anni della professione di giornalista nella redazione di Noi Donne. Anni che hanno coinciso con un periodo - tra la fine del ‘50 e la metà del ‘70 - tra i più stimolanti e vincenti della vita del giornale e persino, posso azzardarlo, del nostro paese. Era un’ Italia ancora arretrata e bigotta, ma anche disponibile a cambiare. Ricordo con grande affetto Giuliana Dal Pozzo, la nostra direttrice, Luisa Melograni, Bruna Bellonzi, Maria Maffei, Giuliana Ferri, intransigente caporedattore che gettò il mio primo articolo nel cestino perché era “zeppo di opinioni e mancava di fatti”. Eravamo molto unite e mai carrieriste, semmai ambiziose di far bene il nostro mestiere. Quelli sono stati gli anni delle grandi inchieste di Noi Donne sulla condizione femminile nel lavoro, come cardine numero uno dell’emancipazione. Si scopriva ‘l’incredibile disparità dei salari fra uomini e donne nelle grandi fabbriche del nord, la fatica del lavoro a domicilio nelle Marche e in Emilia, lo sfruttamento di ragazze bambini e bambine nelle campagne del sud, la condizione subalterna e disprezzata delle casalinghe. Conservo gelosamente le foto e gli articoli che mi sono rimasti di tanti incontri, di tante interviste. Foto che mi ricordano le amiche di Ferrara, i loro racconti di mondine, quando nel periodo della raccolta del riso erano costrette a stare lontane da casa e dai figli piccoli. L’Italia in un certo senso progrediva, in quegli anni. Cominciava l’era del benessere. Ma noi scoprivamo sul piano del costume e dei rapporti fra uomo e donna fatti che, a dir poco, sconcertavano. Noi della redazione di Noi Donne in quegli anni eravamo un passo più avanti delle nostre istituzioni politiche, di riferimento, soprattutto in un campo delicatissimo come quello del matrimonio indissolubile e della maternità che secondo noi doveva essere libera e cosciente. Comunisti e socialisti - salvo poche eccezioni - tergiversavano in materia di divorzio per non creare difficoltà al colloquio in corso con la DC e il mondo cattolico e tacevano molto imbarazzati in quello ancor più delicato e complesso dell’interruzione di gravidanza. Ebbene, Noi Donne si distinse con coraggio e audacia dando il via a una grande campagna per il diritto alla contraccezione in un tempo in cui parlare di pillola o di rapporti protetti era un vero e proprio scandalo. Avevamo scelto argomenti tabù che, affrontati con franchezza

sia nella Posta di Giuliana Dal Pozzo sia nei nostri articoli provocarono molte critiche e inviti alla cautela anche da parte di alcune dirigenti dell’UDI. A quei tempi certe idee provocavano un gran mal di pancia, a dire poco. Eppure il nostro affezionato pubblico era d’accordo e non si stancava di confermarcelo in mille modi. Sono stati anni entusiasmanti a ricordarli adesso... Un paese per tanti versi ipocrita e conservatore veniva messo alla gogna da un settimanale femminile che denunciava lo scandalo del matrimonio riparatore e ancor più le assurde attenuanti accordate all’uomo che compiva un delitto d’onore. Bisognava conquistare nuove leggi per cambiare un diritto di famiglia quasi medioevale, che a metà del ‘70 sarebbe stato rinnovato, ma dopo anni di proteste e di lotta. Conciliare lavoro e famiglia è stato un altro tema delle battaglie del nostro giornale. Era un problema. Che fare? Bisognava dare l’avvio a una grande campagna per gli asili nido. E così fu. Ma a Noi Donne decidemmo di comune accordo con l’UDI e l’amministrazione del settimanale che potevamo cominciare un esperimento in redazione, visto che eravamo in tante mamme, oltre che giornaliste, E così abbiamo adottato l’orario unico, sia pure per un periodo di un anno, promettendo che avremmo dato al lavoro lo stesso entusiasmo e davvero impegnandoci a fondo nel conseguire i risultati promessi.

Quanti ne vogliamo, nr 29, luglio 1956 Lavorano per vivere ma come vivono, nr 1, gennaio 1958

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Una data per le donne di Patrizia Gabrielli

L’8

marzo del 1947 Nadia Gallico Spano interveniva all’Assemblea Costituente per illustrare il valore della Giornata internazionale delle donne, e dava accesso nelle austere aule di Montecitorio - segnate da una preponderante presenza maschile - ad una ricorrenza tutta femminile. È alle origini della Repubblica che questa data acquista forza evocativa e spessore politico, tanto da divenire un tassello significativo dell’identità dell’UDI e, più in generale, dell’area laica (il Cif opta per il 30 aprile, Santa Caterina, patrona dell’Associazione). Alle soglie del Novecento, femministe ed emancipazioniste vivono una stagione d’oro, ma non hanno una propria ricorrenza e il Woman’s Day - che le sorelle d’Oltreoceano, ogni 23 febbraio, festeggiano - non attira più di tanto la loro attenzione. L’8 marzo entra in scena a ridosso della rivoluzione sovietica e si richiama, dunque, ad una specifica tradizione politica, coltivata dalle donne dei partiti della sinistra che, negli anni del fascismo, sfoggiano camicie, abiti, fazzoletti rossi per manifestare la propria alterità al regime. La data si afferma, allora, quale un simbolo di emancipazione e di libertà cui ancorare un’ identità minacciata dalla repressione e dalla violenza. Risulta però davvero complesso districare in queste forme di partecipazione il filo dell’appartenenza di classe da quella di genere e, tenendo conto delle coordinate politiche di quegli anni, sembra decisamente la prima a dominare. Nel secondo dopoguerra, invece, si assiste ad un decisivo cambiamento che può essere letto sia in relazione con le nuove forme della politica di massa, alla ricerca di nuovi canali di circolazione del discorso politico, sia con la nuova consapevolezza espressa dall’associazionismo femminile, impegnato, tra l’altro, nella ricerca di linguaggi e di segni capaci di richiamare un universo di valori condivisi, di alimentare una comune appartenenza e legami di solidarietà femminile. L’8 marzo diviene la data capace di sintetizzare un progetto politico: l’emancipazione femminile. Presto si dota di un corredo di parole d’ordine e di una propria ritualità. Mi riferisco alla sua dimensione politica e

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1978 Una, nessuna, centomila. “In ciascuna di noi c’è una casalinga, perché in nessuna di noi, nella vita quotidiana come nei sentimenti e nell’immagine che abbiamo di noi stesse, la liberazione ha sconfitto la casalinghità: anche se ci sono 100 modi di viverla.”

1948 “Donne D’Italia, l’8 Marzo è la vostra festa! Sul passato oscuro, sul presente ancora incerto costruiamo un avvenire di pace e di gioia!”

ludica che trasforma sezioni e circoli dell’UDI in luoghi di riflessione e pratica politica e in sale da ballo, in spazi di ritrovo per generazioni diverse. La Giornata ha anche un proprio simbolo, la mimosa. Un fiore per marcare la ricorrenza, è parte di una consolidata tradizione, ed anche in questo caso come in altri è difficile attribuire la scelta. Nel volgere di un trentennio, la Giornata si afferma quale punto di riferimento per molte donne. Nel 1978 il Cif fa sua la ricorrenza. Sempre in quel decennio, i femminismi plasmano una nuova “estetica della politica” in grado di rappresentare altre istanze e modi di essere. Cortei coloratissimi, slogan ironici invadono piazze e strade, ma l’8marzo, parte non trascurabile della tanto discussa quanto rifiutata tradizione “emancipazionista”, resiste e il giallo entra nella tavolozza di cromie dei femminismi.


SPECIALE 8 MARZO UNA DATA CHE RESISTE DA DECENNI SIMBOLO DI LOTTA E DI EMANCIPAZIONE Noi Donne le ha sempre dedicato copertine speciali, tenendo viva l’attenzione sul suo significato più autentico. L’interrogativo però resta aperto: come scongiurare che la Giornata internazionale della donna non si trasformi in un simulacro vuoto? Testi e ricerca iconografica a cura di Silvia Vaccaro

“A

uguri alle lavoratrici, che abbiamo difeso e appoggiato in ogni loro richiesta, in ogni diritto; auguri alle casalinghe, per le quali chiediamo un riconoscimento; auguri alle lettrici che seguono la nostra fatica; auguri alle amiche che ci parlano con fiducia; auguri a tutte le donne che oggi vedono per la prima volta il nostro, il loro giornale.”

1961

1967 “Molti pregiudizi ostacolano il cammino della donna, nell’Italia del 1967; in parte per colpa delle donne stesse che mancano d’iniziativa e di coraggio e in parte perché viviamo in un Paese di pantaloni.”

1944 2014 terzo inserto

2008 “Tra i simboli, il più tenace, capace di resistere a decisivi cambiamenti e persino alle rotture, la mimosa, il fiore giallo, simbolo della primavera e, soprattutto facilmente reperibile, che sostituì il garofano rosso e il mughetto inscritti nella storia del movimento socialista. Il fiore giallo divenne l’incarnazione della festa e si costruirono gli alberi della mimosa su modello di quelli della libertà appartenenti ad altre famiglie politiche.”

1968 “L’italiana è cambiata. Basta guardarsi intorno per convincersene. Educata alla rassegnazione, allo spirito di sacrificio, alla pazienza, ha scoperto finalmente di avere dei diritti. Sa che questi diritti sono scritti anche nella Costituzione, che è la legge fondamentale dello Stato. Ma un diritto diventa reale quando passa dalla carta alla nostra coscienza, quando diventa materia di lotta, rivendicazione.”

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2006 Sessanta anni del voto alle donne “Sembrava scontato che, restaurato un regime democratico, le donne avrebbero avuto automaticamente diritto al voto. In realtà non era così. Infatti, a parte le dichiarazioni favorevoli di alcuni leader, era prevalente nel mondo politico il disinteresse. Fu necessaria una pressione e una petizione popolare. Il decreto del 1945 fu perciò un risultato importante.”

1994 “Si pensa sempre che questa scarsità di donne in politica sia causata dalla discriminazione nei loro confronti. Certo, c’è anche questo, ma la ragione principale è che una politica, nel senso della guerra, non ha mai veramente interessato le donne.”

1997 “Si riunisce nella Sala della regina la Commissione bicamerale che si appresta a riscrivere il titolo secondo della Costituzione. Forma dello Stato, governo, giustizia, sistema di garanzie. Sono questi i capitoli su cui lavorano i settanta membri della commissione, 64 uomini e 6 donne. Davvero pochine. Uno scandalo di immediata evidenza, per tutti e per tutte, e non si tratta di quote ma di un elementare senso di democrazia. Riscrivere la Carta significa definire la forma di uno stare insieme e sembra così che la messa a punto delle forme della convivenza è affidata a un esclusivo club maschile.”

1957 “Questo 8 marzo trova le donne italiane arricchite di un’altra vittoria: l’approvazione in Parlamento e la ratifica, fatta dal Presidente della Repubblica l’8 giugno 1956, della convenzione dell’Ufficio Internazionale del Lavoro. La storia del lavoro femminile in Italia però mostra che non c’è approvazione di Parlamento né ratifica di Presidente che valgano nella pratica ad affermare un principio di progresso, senza la vigile e ferma volontà delle donne di andare avanti e rendere le leggi una realtà.”


1982 Dall’editoriale della direttora: “Ma che cosa sarà questo 8 marzo? Siamo stanche di ottomarzare? Celebrare una data, in fondo, ha un senso quando affermarla è operare una trasgressione, prendersi uno spazio. Ci sono stati momenti in cui l’8 marzo diventava il punto più alto di un momento di lotta e di affermazione della soggettività delle donne: ma quest’anno?”

1956 “Le forze sociali e politiche che contrastano le riforme che porrebbero rimedio a tanti mali e darebbero lavoro a chi non ne ha, sono le stesse che negano alle donne il diritto al lavoro e alla cultura, la parità di retribuzione, l’accesso a tutte le carriere, il riconoscimento del valore sociale del lavoro casalingo e tutti gli altri diritti che le donne italiane vanno con sempre più forza rivendicando. Sono le forze sociali e politiche che ostacolano la distensione e la pace, che non vogliono sentir parlare di disarmo né di rinuncia all’impiego delle armi di sterminio.”

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1972 Bisogna ripensare la maternità: servono nidi e padri attenti e corresponsabili affinché le donne non si trovino costrette a scegliere tra lavoro e famiglia. “Alle ragazze in quanto femmine e portatrici di vita, la società assegna il ruolo di donne e di madri, il che significa cittadine di secondo grado. Ma sarà sempre così?”

2013 “È necessario mettere in campo azioni di supporto per lenire la differenza nei carichi di lavoro domestico e di cura tra i due sessi e, soprattutto, ridurre i fattori di disuguaglianza, di sopraffazione che si evidenziano dai dati agghiaccianti sulla violenza e sulla soppressione fisica delle donne. Valorizzare le donne non solo conviene dal punto di vista economico, ma l’affermazione del principio di uguaglianza è un fattore di coesione e innalzamento della qualità sociale al pari della questione giovanile, altro elemento cardine per una strategia votata alla ripresa.”


1995 “Lei sorride, ma ha la mimosa tra i denti. L’amore dopo il femminismo non è che un quadretto retrò, lui e lei avvinti per sempre nel sogno d’amore. Il principe azzurro non abita più qui. Relegato nelle favole e nelle telenovele, certo non va più in giro sul cavallo bianco. Senza romanticismi, si cerca un uomo pratico, concreto. E di risvegliare le belle addormentate non se ne parla proprio, son tutte ben sveglie, e con riflessi pronti.”

1988 “Chi l’ha detto che le donne non sanno fare satira? La redazione di Aspirina, la rivista femminista di satira edita dalla Libreria delle donne di Milano, prova a scherzare un po’ e ci propone un modo auto-ironico di guardare anche ai nostri miti, alle nostre battaglie, a noi stesse.”

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1974 “II no nella scheda contro l’abrogazione della legge Fortuna-Baslini che regola il divorzio deve essere dato con fermezza proprio in nome della famiglia. Una famiglia non indissolubile per costrizione, ma con tutte le condizioni per essere stabile. Il che è profondamente diverso, più impegnativo e più bello.”

1984 / 1953 Inchiesta sul figlio maschio: “Dove è finito il cocco di mamma? Che cosa è rimasto del mito del figlio maschio? Era un obbligo garantire l’erede di sesso maschile, poi è arrivata, con il femminismo, la gioia di avere una figlia tutta per sé, da crescere diversamente. E il figlio? La seduzione che esercita quel piccolo misterioso maschio, che dovrà diventare uomo.”


1961 1970

IL BOOM ECONOMICO, LA BEAT GENERATION E LE CONTESTAZIONI DEL ’68 IL PRIMO GRUPPO FEMMINISTA A MILANO quarto inserto E LA NOW NEGLI USA NASCE LA COOPERATIVA LIBERA STAMPA Testi e ricerca iconografica a cura di Silvia Vaccaro

I

l 1961 si apre con una grande inchiesta di Milla Pastorino sull’aborto: “Una giovane signora mi ha detto ‘non riuscirete mai a fare un’inchiesta su questo. Nessuno vi dirà mai niente. Io stessa non voglio dire niente’”. Difficile rompere il silenzio su questo tema su cui però la posizione del giornale è netta: occorre mettere fine all’ecatombe di ragazze decedute a seguito delle infezioni provocate dagli aborti clandestini. Il giornale denuncia con dovizia di particolari raccapriccianti le tante storie di giovani costrette a utilizzare inutili e dannosi rimedi casalinghi nella speranza di abortire. Pozioni a base di acqua e sapone, erbe ingerite, o peggio introdotte all’interno del corpo al fine di bloccare la gravidanza. Passeranno altri 17 anni per ottenere la preziosa legge 194, che ancora oggi, nel 2014, è resa spesso inapplicabile a causa della vastissima obiezione di coscienza. Il corpo delle donne è sempre al centro di battaglie ideologiche, negli anni ’60 e ancora adesso. Però le cose possono anche cambiare, e nei primi mesi del 1966 Franca Viola, diciassettenne siciliana, rifiuta il matrimonio riparatore con l’uomo che l’ha rapita e violentata. Un atto di ribellione rivoluzionario che ha una eco nazionale e che apre alla riflessione su quella che nel decennio successivo comincerà a chiamarsi autodeterminazione. Questo episodio stride fortemente con il codice penale arretrato di quegli anni. Ancora vige il delitto d’onore: la legge riconosce all’uomo la pos-

Manichini vivi Franca Viola, n.51, dicembre 1966 I Falsi pudori, n.11, marzo 1965 Pillola, n.7, febbraio 1966 Fabbrica, n.7, febbraio 1962

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L’EROE DELLE STELLE

Yuri Gagarin, n.17, aprile 1961 Martin Luther King, n.39, ottobre 1963 John Kennedy, n. 48, dicembre 1963 Marilyn Monroe, n.34, agosto 1962 Simone de Beauvoir, n.47, dicembre 1962

“Yuri Gagarin il 12 aprile 1961 vede la terra tra le stelle fuori dai confini umani. È diventato l’eroe del nostro tempo, l’eroe nuovo, l’eroe civile che apre la via degli spazi infiniti all’intelligenza e alla volontà, che impegna tutte le coscienze a una scelta tra passato e futuro e la cosa straordinaria è che Yuri è un uomo come gli altri la stirpe, la razza, la classe cui un uomo appartiene non gli assegnano il posto di dominatore o di sottoposto, ecco la verità: l’uomo si fa avanti soltanto grazie alle sue capacità, alla sua volontà e all’aiuto che gli viene dalla società che lo circonda”.

sibilità di vendicarsi dell’onore leso. La vita di una donna uccisa per mano del compagno vale solo pochi mesi di carcere e il giornale dedica ampie pagine alla questione. Così come le dedica al tema del divorzio. Scrive Giovanni Cesareo: “Quanti matrimoni durano soltanto a prezzo del totale annullamento di uno dei due coniugi? Quante unioni che dall’esterno, conservano l’apparenza di un legame sono in realtà motivo di divisione profonda tra due persone che si odiano? È questa la realtà che bisogna guardare in faccia quando si parla di legge sul matrimonio, di indissolubilità e di divorzio”. Ci si interroga sempre di più sull’importanza del ruolo dei padri nella vita e nell’educazione dei figli, ma ancora tanti uomini non riescono a cambiare atteggiamento. “Il padre un grande assente?” questo l’interrogativo da cui parte un’inchiesta sulle diverse figure paterne. Ci sono gli indifferenti, quelli troppo presi dal lavoro, ma anche coloro che intervengono poco e male, i cosiddetti padri dei momenti di crisi: non seguono quotidianamente i figli a scuola e intervengono solo quando c’è qualcosa di grosso in ballo come una bocciatura o un’espulsione. Ruoli ancora ben definitivi tra sfera pubblica e sfera privata e Noi Donne non perde occasione per invitare le donne a non essere sottomesse. “Sì, vogliamo suggerirvi un atto di insubordinazione: siate poco sottomesse. Ma a pensarci bene, le donne che leggono questo giornale già si sono tirate fuori, almeno in parte, dalla cuccia calda della sottomissione! La stessa battaglia per emanciparsi, è stata un’insurrezione femminile per la libertà”. u


IL SECONDO SESSO

Un decennio costellato da fatti memorabili e tragici. L’elezione di John Kennedy a Presidente degli Stati Uniti.

La sua faccia, il suo sorriso e il carisma che emana, raccolgono consensi ovunque nel mondo. Si affaccia la possibilità della risoluzione del conflitto in Vietnam e del riconoscimento della parità tra bianchi e neri. Sono gli anni dei due maggiori leader del movimento afro-americano: Malcom X e Marthin Luther King, assassinati il primo nel 1965 e il secondo nel 1968. Celeberrimo il discorso di King “I have a dream” e la sua linea non violenta. È lui che tenta un dialogo col neo-eletto Presidente Kennedy, chiedendogli di impegnarsi apertamente per la causa del popolo nero. Il fermento di quegli anni investe soprattutto le nuove generazioni in ogni parte del pianeta. Nel 1962 Noidonne ospita nella sua redazione alcuni giovani: un africano, un vietnamita, due brasiliani, una francese, una inglese e quattro italiani. Le giornaliste li invitano a discutere dei fatti avvenuti nell’anno precedente e a ragionare insieme sulle loro speranze per il futuro. Cosa li ha colpiti di più? Il viaggio nello spazio di Gagarin e il progresso tecnologico. Le speranze che coltivano riguardano la pace, la giustizia sociale, il disarmo e la concreta possibilità che scompaia l’analfabetismo. L’anno dopo Noi Donne intervista nuovamente i ragazzi, in questo caso italiani, e scopre cosa li affligge e cosa vorrebbero cambiare nella società. Le risposte sono quanto mai attuali. Si lamentano del “ruba-ruba” dello Stato, della troppa burocrazia, della “corruzione nell’amministrazione statale, della “mancanza di onestà nelle alte sfere”, e del “far dipendere l’interesse della collettività dall’interesse di pochi”. La voglia di rivoluzione sta montando.

La splendida Simone de Beauvoir, con il suo viso austero e l’immancabile fascia sui capelli, intervistata da Noi Donne nel 1962, poneva le basi per lo sviluppo di un pensiero vivo ancora adesso. “La donna deve avere coscienza del suo posto nel mondo, coscienza delle proprie idee: una linea di vita che poggia su ben altri valori che non la sessualità e l’amore stesso. Si chiamano questi valori coscienza intellettuale, cultura, ambizione”.

Intanto molte ragazze lavorano nelle fabbriche paragonate a fortezze nelle belle inchieste di Giuliana Dal Pozzo di quegli anni. In barba ai contratti collettivi, alle regole e alle leggi, molti imprenditori obbligano le lavoratrici a turni massacranti per stipendi da fame. Ma i ricatti si spingono oltre: battute, allusioni, inviti dopo il lavoro, quelle che oggi chiameremmo molestie.

Aumenta il lavoro e crescono gli impegni. Nel servizio “Ore che uccidono”, si evidenzia come il tempo delle donne sia scandito da continui impegni fuori e dentro casa. Milioni di donne che lavorano, con orari e ritmi infernali che provocano grande dispendio di energie e l’angoscia di non riuscire a fare tutto. Tante, soprattutto al sud, sono diventate anche capofamiglia a causa dell’emigrazione e si trovano ad affrontare da sole la vita la vita dura dei campi, ad assumere nuove responsabilità, ad allevare i figli facendo loro da madre e da padre. Dall’altra parte dell’oceano, dove molti italiani sono emigrati, le donne sono più emancipate. Milla Pastorino durante il suo reportage a New York incontra tante ragazze e ci restituisce una traccia delle loro vite. Hanno più elettrodomestici, sono delle career girls, sembrano più emancipate, però? Come se tutto quello che hanno effettivamente non bastasse. “Se sono felice? My godness, che domanda… Davvero, non saprei cosa risponderle, darling. Che cosa intende lei, per “felicità”? Giovinezza? Bellezza? Denaro? Beh, io ho tutto questo. Dunque sono felice”. L’America, continente dorato, patria di quella Norma Jean, alias Marilyn Monroe, il cui suicidio colpisce l’opinione pubblica e rimane un mistero ancora oggi.

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Protagoniste indiscusse in redazione sono la direttora Miriam Mafai

Gli anni ’60 sono indiscutibilmente il decennio dei giovani. Il fenomeno beat, la nascita della musica rock, e la rivoluzione. Il 1968, l’anno cruciale.

Beatles, n.15, aprile 1964 Joan Baez, n.1, gennaio 1968 Ragazza vietcong, n.10, marzo 1968 Volti, n. 16, aprile 1968

Le manifestazioni iniziano ovunque. I ragazzi si riuniscono, fanno assemblee, sono forti e consapevoli di poter rivoluzionare l’Università e contaminare la società con la loro voglia di cambiamento. Dalla Spagna al Giappone gli studenti scendono in strada per manifestare contro le basi militari e ovunque avvengono scontri tra manifestanti e polizia. Il maggio francese vede scioperi in tutto il paese e l’occupazione delle fabbriche della Renault. Ovunque c’è fermento e alcuni gruppi di studentesse cominciano a riunirsi in modo separato. Il 1969 è l’anno del primo uomo sulla luna, del concerto di Woodstock, della morte di Pinelli e della strage di Piazza Fontana e Noi Donne, in questo anno così denso di eventi, si trasforma in cooperativa, come racconta nelle prossime pagine Marisa Ombra.

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(dal 1965 al 1970 alla guida del giornale) che della sua esperienza in Noi Donne, alcuni decenni dopo, scrive “Il ricordo migliore è quello della possibilità che il giornale mi ha dato di entrare in contatto col mondo delle donne. Un mondo che ignoravo o sottovalutavo”. E poi ancora la grande Giuliana Dal Pozzo che nel 1969 fa crollare un enorme tabù: criticare gli uomini di sinistra con la sua splendida ironia. “Il marito di sinistra ha una moglie sbagliata. Senza farebbe la vita dei guerriglieri in Bolivia, in Venezuela…dietro le spalle dei fieri sindacalisti emiliani che la domenica mattina parlano alle folle di riscatto degli oppressi, ci sono schiere di madri al lavoro per preparare le tagliatelle fatte in casa”. Il decennio si conclude con la nascita, nel 1970, dei collettivi femministi a Milano, Padova, Roma, Trento e la nascita del Movimento di liberazione della donna affiliato al Partito Radicale. Benvenuto femminismo!


Il giornale che si fece impresa di Marisa Ombra

N

on sono sicurissima circa le date, ma le circostanze, le decisioni, i tempi e i fatti, li ricordo benissimo, come fosse ieri. Noi Donne affrontava una crisi gravissima, e non era la prima volta. Fino alla metà degli anni ’50 era stato un ricco settimanale grazie alle molte lettrici e grazie soprattutto a una forma di distribuzione molto speciale, una straordinaria rete di diffonditrici che ritiravano il giornale nelle sedi dell’Udi, lo portavano di casa in casa al proprio gruppo di fedeli lettrici e lo pagavano puntualmente all’amministrazione centrale. Era, come si diceva allora, un giornale militante, che diffondeva idee e perciò cercava le proprie lettrici attraverso il contatto e il ragionamento. Impensabile, in quegli anni, che spontaneamente venisse cercato nelle edicole di un paese ancora troppo arretrato. Gli anni ’60 però cambiarono profondamente la società. Cambiarono le donne e con loro i settimanali “femminili”, che si ammodernarono, pur restando lontani dalle peculiarità di Noi Donne. Le diffonditrici diminuirono, e nonostante la distribuzione fosse sempre gratuita, le spese di carta e stampa pesavano troppo. Gli anni ’60 dunque segnavano una gravissima crisi della stampa e specialmente di quella politica. Nacque, in difesa di questa, un movimento di giornalisti fra il ’69 e il ’70. C’era già stato il movimento studentesco e il movimento operaio stava aprendo vertenze importanti, contagiando di sé molta parte della cultura. Noi donne, questa volta, dovette prendere decisioni drastiche, e quella che prese lo fu davvero, una vera scelta politica. Avvenne infatti che il Pci, che a sua volta si trovava in difficoltà con un suo giornale, Vie Nuove, propose all’Udi di unire le due testate, immaginando che la somma dei due giornali e del loro pubblico, avrebbe potuto risolvere la situazione economica. Il Pci già da anni puntava su Noi Donne come canale attraverso il quale attrarre alla politica le donne. Cinghia di trasmissione, venivano chiamati questi giornali e queste organizzazioni. In realtà però Noi Donne,

pur collocandosi come altre testate e come la stessa Udi, nell’area di sinistra, almeno a partire dai primi anni ’50, forte di una redazione intelligente e curiosa delle idee nuove che cominciavano a circolare nel mondo delle donne, sosteneva una sua linea molto autonoma, molto moderna, anticipava temi e campagne dei quali si sarebbe parlato molti anni dopo. Dunque, l’Udi e la redazione di Noi Donne rifiutarono, rinunciando al modesto contributo che da qualche anno ricevevano dal partito, e decisero di fondare una cooperativa. Un’impresa speciale, non di soli giornalisti, ma “di chi scriveva, chi distribuiva, chi leggeva il giornale”. Una sorta di movimento che si stringeva intorno al “suo” giornale. L’idea funzionò. La Cooperativa si chiamò Libera Stampa e raccolse in pochi mesi oltre ventimila socie e soci. Probabilmente molti considerarono l’iscrizione qualcosa come una sottoscrizione. In realtà l’intenzione era di costruire un’impresa cooperativa vera e propria, con le sue sezioni soci, l’assemblea annuale che discuteva il bilancio e nominava un Consiglio di Amministrazione. Una scelta ambiziosa e lungimirante che ha consentito alla rivista di continuare la sua strada originale, confrontandosi con problemi e opportunità del mercato e con i cambiamenti sociali e culturali dagli anni ’70 ad oggi.

Monica Vitti, copertina, n. 36, settembre 1962 Cooperativa, n.18, maggio 1969

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Noi Donne e il femminismo di Maria Rosa Cutrufelli

N

el mio ricordo, gli anni Settanta sono segnati dal ‘grande disgelo’ fra UDI e movimento femminista. I rapporti, all’inizio, erano tutt’altro che buoni: noi giovani femministe guardavamo con sospetto quelle ‘madri’ emancipate che volevano tenerci a freno (così ci sembrava). Fu ‘Noi Donne’ a gettare un ponte fra le due anime del movimento. Il giornale, in quegli anni, era un settimanale che ospitava firme importanti e faceva grandi tirature: seicentomila, settecentomila copie... Numeri che oggi sembrano leggenda. Insomma, era molto diffuso, veniva letto (e distribuito) al nord come al sud e per le donne era un canale d’informazione (e di battaglia) fondamentale. Nei gruppi femministi, si diceva che fosse più ‘avanzato’ dell’UDI, cioè più disposto a ‘osare’ e a infrangere certi vecchi tabù della sinistra. E infatti si schierò senza tentennamenti, quando arrivò il momento delle battaglie per il divorzio e per l’aborto, senza lasciarsi condizionare dai mal di pancia di molti uomini (e di alcune donne, va detto) del partito comunista. Questo, almeno, è quanto io ricordo. A quel tempo, abitavo in Sicilia. Avevo lasciato Bologna, la mia città di adozione, ed ero tornata nella mia terra d’origine per una precisa scelta politica (allora, si facevano cose come queste). Insieme ad altre giovani e giovanissime, detti vita al ‘collettiva femminista’ di Gela, il primo in Sicilia. Il primo e l’unico, in quel momento. Così, forse anche per spezzare il nostro isolamento, ci avvicinammo a ‘Noi Donne’ e io cominciai a scrivere per il giornale. Devo molto a ‘Noi Donne’ e alle sue meravigliose giornaliste, in particolare alla capo-redattrice di allora, Gabriella Lapasini, che ha allevato con generosità una giovane generazione di ‘professioniste della penna’. E a Giuliana Dal Pozzo, naturalmente. Ma anche a tutte le altre amiche (e compagne di difficili battaglie) che non ho mai perso, in tutti questi lunghi anni. Devo a ‘Noi Donne’, fra le altre cose, un senso alto della scrittura, non importa se giornalistica o di altro genere: la sciatteria non era ammessa,

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in quel giornale. Il motto era: “siamo donne, ma non siamo delle dilettanti” (così aveva scritto Olympe de Gouges, qualche secolo prima). Oggi la violenza contro le donne (che arriva fino al ‘femminicidio’) è terreno di lotta politica in tutto il mondo. E allora voglio ricordare che la prima inchiesta (la prima in assoluto, credo) su questo argomento scottante fu condotta proprio da ‘Noi Donne’. La feci in Sicilia, per l’appunto, assieme a Bruna Bellonzi che scese appositamente da Roma (e ancora grazie, cara Bruna). Il titolo dell’inchiesta è ‘Pane e botte’ e uscì sul numero del 28 ottobre 1973. Nell’introduzione c’è scritto: “Per quest’inchiesta sulla violenza - quella più brutale e diretta - contro la donna, non abbiamo scelto la Sicilia per un’idea preconcetta, ma per via della lettera di una lettrice che ci segnalava un caso... Sappiamo benissimo che questo rapporto del maschio con la donna-oggetto - e di conseguenza sua proprietà assoluta, della quale, in un modo o in un altro, può fare ciò che gli pare - è un fenomeno molto esteso, che supera qualsiasi confine regionale.”

Pane e botte, n.42, ottobre 1973 Una casa per le donne, n. 42, ottobre 1977


ANNI DI PIOMBO E DI MOLTI CAMBIAMENTI: LO STATO DI FAMIGLIA, I CONSULTORI, LA LEGGE 194, IL FEMMINISMO.

1971 1980 quinto inserto

UN MONDO IN FERMENTO IN CUI LE DONNE SONO PROTAGONISTE, A PARTIRE DA SÉ. Testi e ricerca iconografica a cura di Silvia Vaccaro

“Ti ringrazio perché questa sera per la prima volta mi sono sentito un intellettuale anche io, perché ho capito che ho una cultura dietro di me che tu m’hai fatto ritrovare e vedere, e ho capito che certi modi di dire, certe cose che io credevo banali sono invece la nostra vera cultura che i padroni ci hanno fregato.” Così commentano i lavoratori che assistono agli spettacoli di Dario Fo che, con l’Associazione Nuova Scena, fa teatro civile nelle case del popolo, nei circoli ARCI, sulle aie di campagna. I suoi testi affondano le radici nella realtà quotidiana di migliaia di uomini e donne d’Italia (e del mondo), e si alimentano del dialogo tra artisti e il pubblico, quasi interamente composto da braccianti, operai, lavoratori. In fabbrica, i movimenti dei corpi vengono scomposti e parcellizzati, e ad ogni parte viene affidato un compito preciso e un tempo di esecuzione: è il Method Time Measurement, sistema di controllo del lavoro che riduce gli operai a micro-pezzetti insignificanti nella grande macchina del profitto. Contro lo sfruttamento disumanizzante, Dario Fo chiede loro di stare nella scena, di mettersi di traverso alla grande macchina che li divora, usando le armi della cultura e della consapevolezza, in grado di restituire loro la dimensione

Io sono mia Dario Fo, n.3, gennaio 1971 Ventenni, n. 9, febbraio 1972

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umana, necessaria per stringersi attorno ai molti altri costretti, in ogni parte del pianeta, a sottostare a quelle stesse condizioni di vita e di lavoro. “Cultura non significa soltanto avere un linguaggio per poter parlare delle proprie lotte, vuol dire avere coscienza della propria origine ma non soltanto tua, ma anche di quella di un altro uomo. Occorre conoscere la storia dell’uomo, perché senza coscienza di quello che si era, non si può mai arrivare a sapere quello che si vuol diventare.”

Cultura, politica, lavoro. Sfogliando le pagine emergono analogie tra ieri e oggi: “È necessario aprire una vertenza collettiva, per rivendicare un diritto fondamentale negato, un diritto senza il cui riconoscimento reale diventa difficile parlare di autonomia della donna, di emancipazione, di liberazione.”

Consultori, n.51, dicembre 1978 Corteo contro la disoccupazione femminile, n.18, maggio 1976 Cooperativa La Lumiera, n.23, giugno 1971 Strage di Bologna, n.35, settembre 1980 Pasolini, n. 45, novembre 1975

Così si scrive su Noidonne che vuole mettere al centro del discorso le tante, troppe donne che negli anni ’70 non lavorano. Con altrettanta forza, il giornale racconta le esperienze felici: donne che insieme formano cooperative di lavoro per non dover sottostare al padrone e poter essere autonome rispetto ai genitori e al compagno. Accade in quegli anni nella Tuscia dove un gruppo di sarte fonda la cooperativa “La Lumiera” nel 1971. Rispondendo alle domande della giornalista, spiegano così la loro scelta di vita e di lavoro autonomo: “Il fascismo è frutto del capitalismo più avanzato o di un capitalismo messo alle strette dalla presa di coscienza della classe operaia. Fascismo vuol dire padrone, piccolo o grande che sia.” Mai come in quegli anni la parola fascismo tornerà nella cronaca italiana. Numerosi gli episodi raccontati da Noidonne di ragazzi aggrediti in varie città italiane da gruppi di estrema destra. Gli anni di piombo iniziano con la strage di Piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969, che provoca sedici morti e ottantotto feriti. Seguono una serie di stragi, come quella di Brescia nel 1974: Pier Paolo Pasolini, straordinario intellettuale, ucciso nel 1975, aveva dichiarato di conoscere i nomi degli stragisti. È il


1977, l’anno cruciale, quello della morte di Giorgiana Masi, uccisa da un proiettile vagante durante un corteo nel maggio di quell’anno a Roma e diventata simbolo di lotta per moltissime donne di ieri e di oggi. A seguire il sequestro Moro del 1978 e il culmine con la strage di Bologna del 1980. Tanti episodi e numerose vittime in un breve lasso di tempo, ancora adesso fili scoperti di una storia colma di domande senza risposte certe.

Proprio gli anni ’70, pur in un clima politico difficilissimo, si compiono passi epocali per la vita delle donne che da tempo li attendono.

Il 1968 con la sua ondata rivoluzionaria ha strapazzato l’Italietta moralista e piccolo-borghese e l’ha trasformata in un paese più simile agli altri del continente. L’amore e il sesso sono centrali nelle pagine del giornale e l’idea romantica della coppia sta tramontando grazie anche alle riflessioni delle donne. I rapporti tra i due sessi si evolvono e l’ottenimento della legge sul divorzio (1 dicembre 1970) consente di liberarsi di quel “per-sempre” che sta stretto alle coppie che non stanno più bene. Diventano famosi, loro malgrado, i Benassi di Modena, prima coppia in Italia a dirsi addio. Nel 1975 arriva l’equiparazione giuridica dei coniugi e nel 1978 finalmente la legge 194 sull’interruzione di gravidanza: Noidonne la saluta come la meta agognata della lotta a cui da oltre vent’anni partecipa in prima linea. Queste conquiste di certo infatti non discendono dall’alto. Mai come in quel periodo le donne sono insieme e il femminismo rappresenta una luce calda in quegli anni grigio piombo. Le donne si riuniscono e scendono in piazza, unite in cortei, assemblee e collettivi per affermare la differenza delle donne e la loro straordinaria potenza di pensieri e pratiche di liberazione. “Il movimento delle donne ha cominciato a segnare di sé i processi culturali e sociali. La lotta contro la società maschilista è un attacco ad una concezione di una società che porta il segno dell’oppressione del sesso femminile, intrecciata ad altre forme di oppressione e di sfruttamento.” Donne che insieme ad altre donne prendono coscienza di se stesse, del loro corpo, della loro esistenza, comprendendo che i loro problemi, lungi dall’essere questioni individuali, potevano avere una rilevanza collettiva e quindi politica.

La consapevolezza delle donne cresce, ma non si placano gli episodi di violenza nei loro confronti. Ai numerosi casi di abusi all’interno delle famiglie, si aggiungono molti casi di stupro e violenza di gruppo.

Si ricorda ancora il massacro del Circeo del maggio 1975, passato alla storia per la sua efferatezza. Donatella Colasanti, sopravvissuta perché fintasi morta, racconterà, con parole che a rileggerle fanno venire i brividi, del totale disprezzo per la vita umana mostrato dai suoi aguzzini. Crimini figli della banalità del male, della società di consumi e dell’indifferenza dilagante, elementi che il visionario regista Stanley Kubrick porta al cinema nel film, presto cult, “Arancia Meccanica”. Il regista critica aspramente anche la violenza di Sato: istituzioni, chiesa, carcere operano violenza e repressione contro gli uomini. L’opinione della testata va in quella stessa direzione: “Le nostre carceri, degli edifici orrendi e inadeguati, ospitano più innocenti che colpevoli. Su di loro si attua una repressione disumana e violentissima, tale da indurre persino al suicidio.”

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Arancia Meccanica, n.39, ottobre 1972 Donatella Colasanti, n.42, ottobre 1975


un maggiore contributo delle donne nel rafforzamento della pace mondiale. Contemporaneamente quattromila delegate, nordamericane, europee e latinoamericane, prevalentemente appartenenti alle ONG, danno vita ad una conferenza parallela per ribadire i principi di uguaglianza fra i sessi e di parità sociale della donna che, nella tribuna ufficiale, non trovavano pieno riconoscimento a causa dell’atteggiamento prudente e politically correct dei governi e degli organismi internazionali. Le donne occidentali parlano di eguaglianza di diritti, quelle dei paesi del Sud di oppressione materiale. Questa grande mobilitazione, spinge i vertici internazionali a proclamare i successivi dieci anni come il “Decennio delle Nazioni Unite per le Donne” (1976-1985).

Gli equilibri geo-politici del mondo si cominciano a spostare dal bipolarismo dell’asse Russia-Stati Uniti (e dallo scenario vietnamita) e altre zone del mondo diventano importanti.

L’America Latina su tutte con il primo governo – democraticamente eletto – socialista del continente, quello di Salvador Allende. È lui l’uomo del cambiamento con gli interventi di nazionalizzazione delle miniere di rame e la riforma agraria. Il socialismo espresso dal leader non può sopravvivere perché si scontra con interessi molto più forti, come ad esempio quelli degli Stati Uniti. Allende viene brutalmente ucciso dopo appena due anni di governo. Noidonne, con un occhio sempre attento a quello che succede nel mondo, denuncia da subito le sparizioni, le torture e le abnormi violazioni di diritti umani che si perpetuano in Cile dal 1973 in poi ad opera del dittatore Pinochet, in carica fino al 1988. Sulla rivista non mancano articoli sulla condizione delle donne anche in altri paesi: si parla di Cuba, della Cina, di tanti paesi europei e si festeggia al fianco delle donne spagnole la morte di Franco nel 1975.

Ovunque le donne si mobilitano poiché ovunque ancora vengono discriminate. Le Nazioni Unite per la prima volta mettono al centro delle politiche mondiali le diseguaglianze di genere, proclamando il 1975 Anno Internazionale delle Donne. Cuba, n. 29, luglio 1973 Attiviste 1, n. 45, novembre 1975 Attiviste 2, n. 45, novembre 1975

A Città del Messico si svolge la prima Conferenza Mondiale sulle donne, un grande evento al quale partecipano in oltre seimila. L’Assemblea Generale dell’ONU identifica tre obiettivi chiave che diventeranno la base per il lavoro in difesa delle donne: la piena uguaglianza fra i sessi e l’eliminazione delle discriminazioni sessuali; l’integrazione e la piena partecipazione delle donne allo sviluppo;

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Nel 1979, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approva la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, conosciuta come CEDAW.

Il documento che stabilisce un programma di azione per porre fine alla discriminazione basata sul sesso: gli Stati che ratificano la Convenzione sono tenuti a sancire la parità di genere nella loro legislazione nazionale, ad abrogare tutte le clausole discriminatorie nelle loro leggi e ad emanare nuove disposizioni per una maggiore equità di genere. Devono inoltre istituire tribunali e Enti pubblici di controllo per garantire alle donne una protezione efficace contro tutte le forme di discriminazione. L’anno dopo a Copenhagen si tiene la seconda Conferenza mondiale e anche lì si riunisce il Forum parallelo con oltre ottomila donne, fra cui moltissime africane che, per la prima volta, introducono nella discussione il tema del confronto Nord-Sud, rifiutando apertamente il paternalismo delle femministe europee. Si crea una salda rete di scambi e di comunicazioni, nazionali e internazionali, fra tutte le organizzazioni di donne che stanno nascendo in ogni parte del pianeta.


1981 1990

LA SOCIETÀ ITALIANA È DAVVERO CAMBIATA DOPO IL ’68 E IL MOVIMENTO FEMMINISTA? QUESTO È L’INTERROGATIVO sesto inserto PIÙ FREQUENTE. INTANTO È ORMAI CHIARO CHE IL BENESSERE CONSOLIDATO DELL’OCCIDENTE PRESENTA LE PRIME CREPE EVIDENTI. E UN CONTO SALATO. Testi e ricerca iconografica a cura di Silvia Vaccaro

“La donna del 2000, si spera, è una donna che ha vinto le sue battaglie, una donna che non ha più bisogno di slogan. Una donna alla quale viene riconosciuto, senza più discriminazioni, il suo valore in quanto persona, nella società, nel lavoro, nei rapporti affettivi”. Sono gli anni ’80 e su Noi Donne si fantastica su cosa succederà allo scoccare del nuovo millennio. Una visione ottimistica del futuro che ancora non si è compiuto. Ma all’epoca la si credeva possibile perché il femminismo era passato come uno tsunami sulla società italiana, scompaginando in maniera netta la percezione che le donne avevano di se stesse. Un mondo nuovo era venuto alla luce, un ordine simbolico della realtà in cui si affermava che le donne erano portatrici di una differenza che scongiurava per sempre la loro assimilabilità agli uomini o l’esistenza di un soggetto ‘neutro’. Durante gli anni ’70 movimenti e pensatrici hanno prodotto riflessioni teoriche e pratiche femministe incandescenti, che negli anni ’80 si consolideranno come patrimonio di senso su cui costruire il futuro delle donne. Nel 1981 Noi Donne parla per la prima volta in modo esplicito dell’amore tra donne. Un argomento molto sentito dato che il movimento lesbico era parte importante e attiva del mondo femminista. Ma il pubblico della rivista non era abituato a questi temi

Valentina Donna del 2000, n. 3, marzo 1988 Lei ama lei, n. 7, luglio 1981

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e il sodalizio storico tra lettrici e abbonate e la redazione della rivista vacilla. Il femminismo produce frutti meravigliosi che si chiamano auto-coscienza, etica della differenza, sorellanza. Ma, in alcuni casi, le donne, proprio partendo da sé si dividono. Dopo il congresso del 1982 l’UDI si sgretola in tanti comitati territoriali. Noi Donne diventa un mensile e nel corso del decennio subirà tanti cambiamenti. Tutto, di fatto, è definitivamente mutato.

Il dialogo tra il femminismo e la politica non è semplice. Livia Turco prova a riportare nel PCI alcune definizioni proprie del linguaggio femminista quali: “rappresentanza sessuata”, “etica della differenza” e pur ammettendo “una qualche difficoltà di linguaggio” rivendica la complessità dell’apporto femminile all’interno del partito.

Margherita Hack, n. 9, settembre 1981 Copertina marzo 1990 Fellini, n.1, gennaio 1982 Migranti, n.1, gennaio 1984

“Non è affatto un vezzo ideologico, è che la politica del femminismo ha per oggetto una nuova materia, la scoperta e la costruzione dell’inedito. Rivendico però anche il ruolo dello sbalordimento: introdurre nel partito alcune parole forti del femminismo è stata un’operazione politica voluta e consapevole.” Intanto nelle Università fioriscono convegni e dibattiti sulle prospettive degli studi femministi in Italia, con un ritardo di oltre vent’anni sull’America dove già nel 1965 si era tenuto il primo corso sulle donne alla Free University di Seattle. Nel Belpaese l’elaborazione teorica e la ricerca, trainate dal femminismo, avevano trovato uno spazio ma solo fuori dalle Istituzioni accademiche. Un gruppo di docenti e teoriche timidamente comincia a immaginare uno sviluppo del sapere “delle donne-sulle donne” all’interno degli Atenei. In un incontro di varie studiose nella redazione di Noi Donne, nel 1987, Marina D’Amelia storica e redattrice della rivista ‘Memoria’ descrive così la possibilità di istituzionalizzare il sapere: “Credo che l’università possa mettere in moto potenzialità di collegamento e possa svolgere un ruolo specifico: quello del ‘custodire’ ciò che il


movimento ha fatto e quello che la conoscenza femminile ha finora prodotto. Custodire in due sensi: sia per darne sistematicità e continuità e sia, soprattutto, custodire per le generazioni successive”.

Cosa resterà dunque di questi anni ’80? Le pensatrici (e i pensatori) più illuminate cominciano a capire che la società è resistente al cambiamento che hanno portato le donne con le loro battaglie: da un lato il femminismo, incisivo e decisivo nel miglioramento della legislazione sull’aborto, l’istituzione dei consultori, il diritto di famiglia, il divorzio, dall’altro la cultura nazionale, prevalentemente cattolica e conservatrice.

È di Leila Di Paolo un’intervista apparsa su Noi Donne del giugno 1983 a Elena Gianini Belotti, autrice di numerosi volumi sull’educazione dei bambini, tra cui il celeberrimo “Dalla parte delle bambine” del 1973. Nel confronto con la giornalista, la scrittrice commentava così i traguardi del femminismo: “Alcune idee sono passate, per esempio abbiamo ottenuto delle leggi diverse. Ma nel quotidiano è cambiato molto poco”. Lei si occupava prevalentemente di maternità, smontando nei suoi libri i miti che ruotavano (e di fatto ruotano) attorno a questa esperienza di vita, duri a morire nonostante i movimenti politici delle donne: “dobbiamo lottare ancora molto: non per avere medici migliori ma per gestirci completamente la maternità e imporre le nostre condizioni. Deve essere la singola donna a esprimere i suoi bisogni”. Accusata di essere troppo critica e dura nei confronti della realtà, dichiarava di credere nell’utopia e di essere un’inguaribile ottimista. “Credo soprattutto nella forza delle donne, nelle nostre battaglie, e per questo sono disposta a spendere fino all’ultimo giorno della mia vita”.

Elena Gianini Belotti, n.6, giugno 1983 Benigni sostiene Noidonne, n. 2, febbraio 1984 Gianna Nannini, n.8, agosto 1985 Copertina, n.6, giugno 1986

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Già si aveva il sentore che il cambiamento non era stato profondo come si era pensato, e che, nonostante le donne avessero acquisito coscienza di sé come singole e come comunità, la politica e il potere restavano in mani maschili, pronte a “regalare” qualche briciola, ma non di più, e soprattutto, poco inclini a dare spazio e autonomia vera alle donne.

Rossana Rossanda, n.1, gennaio 1989 Partito femminista spagnolo, n.8, agosto 1983 Aerobica, n. 11, novembre 1983

Nel gennaio 1989, Rossana Rossanda parla di violenza sulle donne. Con la sua proverbiale lucidità e il suo approccio critico, Rossanda condanna l’approccio giustizialista e la logica dell’inasprimento delle pene. “Il carcere, non mi stancherò mai di dirlo, non solo non funziona come deterrente del delitto, ma, pur essendo nato come privazione della libertà di movimento degli individui fuori dalla legge, è privazione della libertà del corpo nel senso più esteso, è inumana privazione di affettività e sessualità”. Le donne non vanno protette, né tantomeno controllate, e il tema della violenza contro le donne non va affidato semplicemente a leggi e tribunali. “Noi donne ci dobbiamo guardare da un vero e proprio inganno: credere che il riconoscimento del nostro diritto avvenga solo quando ne viene sanzionata la sua violazione”. E più avanti: “Le donne sono ancora culturalmente un soggetto troppo debole. La grande forza del femminismo che ha restituito al sesso il valore di fatto umano complesso, da scoprire nella sua verità, non è diventata senso comune culturale. Il senso comune dice che il sesso è uno solo, ed è maschile, e che la vera donna è solo quella eterosessuale, e che la eterosessuale ‘normale’ è perfettamente e placidamente complementare al desiderio di lui”.

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Il disagio sociale cresce nell’Italia anni ’80. Il tema dell’Aids dilaga nella cronaca nazionale e nelle pagine di Noi Donne: tempi cupi dopo l’esplosione di vitalità e carica sessuale dei decenni precedenti. La droga, la violenza, il degrado urbano, l’inquinamento: il benessere e l’opulenza da una parte, e dall’altra la mancanza di consapevolezza dei cittadini e della classe politica che crea i disastri che in Italia ad oggi non sono ancora stati sanati.

Proprio in questo decennio, si comincia a parlare di migranti, del razzismo diffuso tra la gente che si accorge dell’”emergenza”, delle politiche insufficienti per creare le giuste condizioni per una convivenza tra italiani e stranieri. Laura Balbo, sociologa e deputata della Sinistra Indipendente nel 1989, scrive così “Il contesto politico italiano ha eliminato le politiche sociali. In modo riduttivo, si governa come se priorità fosse l’economia e la finanzia di Stato, i problemi sociali restano fuori dall’agenda di governo, sono annullati nella loro specifica rilevanza”. Il decennio si chiude con l’evento epico della caduta del muro di Berlino che avvicina finalmente i popoli dell’est ai paesi dell’Europa occidentale: sono gli albori del continente come è oggi. E l’Italia? Sulle pagine di Noi Donne si parla di imprese cooperative, di nuove professioni, in un progressivo distacco dai temi della rappresentanza politica nei governi e all’interno dei partiti, che, progressivamente diventeranno sempre meno importanti, a favore di lobby economiche e finanziarie trasversali. Nel 1981, viene fuori il potere della massoneria: il caso P2 inquieta la società, ancora ignara del periodo turbolento e di cambiamenti che si stanno preconfigurando. Chiara Valentini scrive nel 1990 a proposito del potere che il Cavalier Berlusconi, presente nella lista di Gelli, ha intenzione di esercitare sulla televisione pubblica e sulla stampa: “Ci si indigna perché si ha ben chiaro nella propria mente che ci sono cose giuste e ingiuste, non solo nuove o vecchie, come vuole una retorica che sta trovando spazio anche a sinistra. Che c’è una gerarchia di valori, un’etica appunto a cui una comunità civile non può non riferirsi, pena il suo imbarbarimento”. Nessuno si opporrà a questo progressivo decadimento di valori etici e di lì a pochi anni, il Cavaliere farà il suo ingresso in politica per rimanerci a lungo.


Una rete attorno a Noi Donne

È

una mattina di sole quando Anita Pasquali apre la sua casa nel cuore di Roma, nella stessa strada che ospitava la storica sede di Noi Donne. Quadri, foto, ricordi appesi alle pareti e sparpagliati in giro, una casa che contiene la memoria di una vita in politica. Anita, ex-dirigente del PCI, ha speso i suoi anni nel partito, e nell’UDI, quell’Unione delle Donne Italiane che, negli anni d’oro, è arrivata a contare oltre 200mila iscritte. Prima di trasferirsi a Roma Anita, nella sua Verona, è stata diffonditrice di Noi Donne. Lei come tante altre era uno di quei minuscoli fili che crearono attorno alla rivista una rete immensa capace di farla vivere nei suoi primi quarant’anni. Ad occuparsi di quel mondo, di quella organizzazione alternativa e complementare che erano le diffonditrici e le lettrici di Noi Donne, è stata un’altra splendida donna, di nome Renata Muliari, che le siede accanto in questo salotto antico e pieno di ricordi. È Renata che fino al 1982 cura le campagne abbonamenti della rivista. “Le collettrici erano in grado di trovare continuamente nuove abbonate. Erano oltre mille e trecento e lavoravano moltissimo durante le campagne abbonamenti a differenza delle diffonditrici che portavano Noi Donne in giro tutto l’anno. E per conoscere meglio le donne della rete, noi dell’ufficio abbonamenti preparammo e inviammo delle schede in cui chiedevamo età, professione e interessi delle lettrici, delle abbonate, delle collettrici. Questo ha permesso a tutti i settori di lavoro - abbonamenti, diffusione e redazione - di conoscere da vicino le abbonate e di capire quali temi raccontare e come farlo. Il rapporto con loro era uno scambio umano vivo e costruttivo, fatto di vera partecipazione alla costruzione dei contenuti della rivista. Ad

un certo punto, abbiamo anche pensato che bisognasse premiare le collettrici per riconoscere il lavoro straordinario che facevano sui territori. Organizzammo dei viaggi: il primo fu nel 1968 in Jugoslavia”. Anita ricorda bene quegli anni e il suo impegno con la rivista. “Io ero la responsabile femminile del PCI di Verona e avevo un grande registro con oltre mille nomi, quelle erano ‘le mie donne’. Le chiamavo per le fare le riunioni nelle case, ed essendo iscritta all’UDI, mi facevo dare un certo numero di giornali, poi prendevo le buste gialle per lettera, le aprivo, le arrotolavo intorno a Noi Donne e li portavo in giro. La nota dolente arrivava al momento del pagamento: era difficile riscuotere i soldi delle lettrici da consegnare all’UDI! Ma il giornale aveva davvero un ruolo importantissimo, rappresentando l’unico modo per far arrivare alle donne del PCI i temi dell’emancipazione femminile, raggiungendo anche posti isolati e lontanissimi e rompendo schemi e preconcetti della morale comune dell’epoca”. Le storie dell’UDI e di Noi Donne vanno avanti di pari passo, alimentandosi a vicenda, almeno fino agli anni settanta. Dopo la battaglia comune per la legge che riconosce lo stupro come un reato contro la persona e non contro la morale, durante la quale il femminismo romano e l’UDI lavorano intensamente insieme, le cose cambiano. Il femminismo porta degli scossoni all’interno questa macchina organizzativa così perfetta: sorgono nuovi centri di elaborazione del pensiero femminile e femminista e l’UDI dopo il congresso del 1982 cambia forma. Il rapporto con il movimento lesbico e femminista non è semplice, perché il pubblico di Noi Donne non è abituato a questi temi, ma a un racconto e a una visione più tradizionale della realtà. E invece il giornale decide di parlarne, seguendo l’evoluzione del pensiero e delle pratiche femministe. Tutte partono da sé, ed è così che l’UDI si rifonda a livello territoriale. A Roma nel 1984 nasce l’UDI romana La Goccia, di cui Renata e Anita - oggi due splendide ultraottantenni - fanno parte, felici di poter dare ancora il loro contributo alla causa femminile.

Viaggio con le collettrici in Jugoslavia, 1968

Anita Pasquali (a sinistra) e Renata Muliari durante l’intervista. Il tegame al centro è stato un premio per la diffusione di Noi Donne che ha vinto Pasquali

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I miei anni ‘90 in Noi Donne di Costanza Fanelli

Q

Costanza Fanelli Manifesto per i 51 anni di Noi Donne, 1995

uando nel 1992 ho accettato il ruolo di Presidente della Cooperativa Libera Stampa, avevo già alle mie spalle un lungo periodo di rapporti, esperienze e impegni nella impresa che gestiva e tuttora gestisce Noi Donne. La rivista aveva avviato un percorso di “autonomizzazione” dall’UDI che portò nei primi anni ‘90 alla cessione della testata alla Cooperativa Libera Stampa prima col 40 e poi, proprio sotto la mia presidenza, del rimanente 60%. Passaggi che restituivano alla redazione e a chi gestiva l’impresa un ruolo e una responsabilità maggiori che nel passato, perché con minori “reti storiche e politiche”, si poneva l’urgenza di cercare nuove lettrici e nuovi partner editoriali. In quegli anni si ipotizzò un accordo con Mondadori, società che stampava e distribuiva il giornale in edicola, per poterlo nel circuito delle pubblicità delle pubblicazioni del gruppo e, con questo intento, la nostra rivista promosse una vasta indagine realizzata da Demoskopea che tracciò il profilo delle sue lettrici: in prevalenza giovani, di media cultura e buone lettrici anche di libri, in gran parte impegnate in attività di lavoro, autonome per scelte e comportamenti, e soprattutto fedeli alla rivista. Il tentativo con la Mondadori però non andò in porto, lasciando il giornale con i problemi di una diffusione in edicola sempre più difficile e costosa e della riduzione del contributo economico proveniente della pubblicità, che era stato, negli anni ‘70 e ’80, molto rilevante. Si discuteva molto in quegli anni dell’identità e del ruolo del giornale, sia con quelle che appartenevano ai mondi di donne più legati alla storia di Noi Donne e che rispecchiavano istanze e punti di vista più femministi, e sia con le nuove generazioni attratte da schemi di libertà più individuali. Dopo un lungo periodo di preparazione nel 1992 viene lanciato comunque un progetto molto ambizioso di rinnovamento, a partire dal superamento della consueta divisione tra settori (società, politica, cultura). Ogni copertina doveva “provocare” e rompere con l’immaginario di un giornale che si rivolge solo ad alcuni tipi di donne. Il processo di cambiamento editoriale rilanciò effettivamente l’immagine del giornale nei mass media e nel mondo delle donne, allargò gli ambiti di interesse, spinse a inventare modi nuovi e diversi di promuoversi, ma provocò anche contestazioni, discussioni, abbandoni. Cambiò contestualmente il modo di produzione: dal vecchio giornale che richiedeva tanti passaggi passò a poco a poco ad un giornale che veniva interamente video-composto in reda-

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zione. Uno sforzo incredibile, che cominciava anche a dare risultati, che si infranse dopo appena pochi mesi su una ondata micidiale: una repentina interpretazione dei criteri di distribuzione dei contributi previsti dalla legge sull’editoria non riconobbe più a Noi Donne una parte enorme del contributo annuale previsto e su cui erano stati impostati ben due anni di bilancio certificato. Chi amministrava la Cooperativa diventava anche passibile di denuncia per “falso in bilancio”, e io ricordo quel periodo tra i più tremendi della mia vita ma anche quello in cui mi sono riscoperta più forte (o incosciente non so) di quello che pensavo di essere. Ricordo bene che il senso impellente di dovere difendere un patrimonio prezioso di tante donne mi dette coraggio. Ci fu un grande lavoro di mobilitazione condotto dal giornale, dalla cooperativa, da tante donne legate ad esso e un lungo lavoro di lobby politica alla ricerca dell’unica strada che poteva salvarci, quella Parlamentare. Grazie all’impegno di una parlamentare che ricorderò tutta la vita ma anche grazie all’allora Sottosegretario di Stato Antonio Maccanico dopo un certo periodo riuscimmo ad ottenere i contributi previsti. Il giornale riprese, attraversò ancora passaggi alterni tra tentativi di cambiamento e rilancio e processi di riorganizzazione ma questo non bastò per il problema di fondo di Noi Donne e che portò alla interruzione delle uscite alla vigilia degli anni 2000: il divario tra una impostazione redazionale e aziendale orientata su ambiziosi progetti di diffusione oltreché di qualità professionale e una riduzione significativa della diffusione e del valore commerciale della rivista. Ma l’importanza di Noi Donne in quegli anni non era di certo racchiudibile solo nella edizione del giornale: la Cooperativa Libera Stampa, volle anche misurarsi con altre attività editoriali, quali il rafforzamento della esperienza di “Legendaria”, come supplemento di lettura ma anche come sigla di iniziative culturali (vedi il grandissimo evento alla Fiera del Libro di Torino), la sperimentazione di una Rassegna Stampa quotidiana specializzata sulle donne che trovò una grande accoglienza nel mondo della comunicazione, la promozione di Viaggi per le lettrici del giornale, l’uscita di una collana editoriale. Tutte cose che mi videro molto direttamente impegnata. Ma forse tra le cose di cui rimango più orgogliosa fu il ruolo centrale che ebbe Noi Donne nella promozione della grande Giornata a Roma “La prima Parola e l’ultima”. Un ruolo decisivo nella tessitura della partecipazione di settori diversamente collocati nel mondo femminile e femminista ma anche nella concreta organizzazione di una giornata densa di eventi di grandissima importanza a Villa Borghese, mai più ripetuti per dimensione e partecipazione.


1991 2000

IL NUOVO MILLENNIO BUSSA ALLE PORTE. ECCOLO, CON IL SUO VIAVAI DI POPOLI E CIVILTÀ CHE ARRIVANO IN EUROPA E NEL NOSTRO settimo inserto PAESE PER COSTRUIRSI E COSTRUIRE IL DOMANI. UNA SOCIETÀ GLOBALE E MULTICULTURALE IN CUI LE ITALIANE COMINCIANO A CONFRONTARSI, DENTRO E FUORI I CONFINI NAZIONALI, CON LE ISTANZE DELLE DONNE DI TUTTO IL MONDO. Testi e ricerca iconografica a cura di Silvia Vaccaro

Il 1991 si apre con l’introduzione di una legge nuova, la 1818 meglio nota come “Azioni positive per la realizzazione della parità tra uomo e donna nel lavoro”. Sono proprio questi gli anni in cui si delinea una narrazione mainstream del femminismo che, all’interno delle Istituzioni, veste i panni delle “pari opportunità”. Sul tavolo 30 miliardi delle vecchie lire da spendere, in parte attraverso la Commissione per le Pari Opportunità (allora presieduta da Tina Anselmi) deputata a lavorare sugli aspetti culturali, e in parte attraverso la Consigliera di Parità nominata e legata al Ministero del Lavoro. Mirella Pini, già Consigliera nazionale di parità, lungi dall’accodarsi al corso di voci entusiaste, insinua dubbi e presenta una visione critica su quello che sta accadendo. La legge 1818 cambierà la vita delle donne? “Da adesso sarà il ministro del Lavoro con un suo decreto a nominare le Consigliere di parità a livello nazionale, regionale e provinciale, ma la rosa dei nomi dovrà essere fornita dalle Regioni con il consenso dei sindacati. Così saranno nominate, inevitabilmente, sindacaliste: il rischio sarà quello di creare inutili doppioni e confondere il ruolo istituzionale con quello sindacale. Inoltre, soprattutto le grandi aziende non perderanno l’occasione di ottenere un po’ di soldi e addirittura

Sex-appello, n.12, dicembre 1993 Patti Smith, n.6, giugno 1996

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di farsi un’immagine egualitarista. Per la parte che riguarda la difesa delle donne dalle discriminazioni vedo invece grande confusione…”. Passa qualche anno e le pari opportunità diventano materia di una vera e propria riforma. Noi Donne da conto della discussione, riportando le opinioni di politiche di vari schieramenti. Si discute accanitamente in tutte le sedi. La proposta della ministra Finocchiaro non fa altro che ‘mettere su carta’ un’esigenza comune a tutte. Ovviamente con toni, proposte, punti di vista anche molto diversi gli uni dagli altri. La cosa più importante, però, è quello che c’è dietro, ovvero la profonda necessità di ridefinizione e risignificazione di tutte le politiche delle donne e non soltanto delle Pari Opportunità. Francesca Izzo, all’epoca responsabile nazionale donne Pds, è convinta che “nonostante tutti gli strumenti di parità dovranno essere rivisti per adeguarli alle trasformazioni di questi anni, rimane un punto fermo: la presenza nell’esecutivo di un luogo che abbia come compito lo sviluppo delle politiche di Pari Opportunità”.

In contemporanea con le discussioni politiche e istituzionali sull’importanza di creare, all’interno delle Istituzioni, luoghi e figure deputati all’empowerment femminile, nel 1992 si apre un dibattito sul linguaggio,

Copertina, n.11, novembre 1995 Copertina, n.4, aprile 1992 Emma Bonino, n. 5, maggio 1997

a partire dal un articolo del giornalista Francesco Merlo sul Corriere della Sera. “Sta succedendo che, in un quotidiano di partito, l’Unità, delle giornaliste femministe stanno ‘purificando’ la lingua. Queste giornaliste scrivono avvocata, magistrata, ministra; si fanno chiamare inviata e rifiutano il maschile come neutro. Insomma, per declinare al femminile i nomi che indicano le professioni aborriscono il suffisso in –essa perché è un accrescitivo ed è stato introdotto solo per sbeffeggiare le prime donne approdate all’emancipazione. Rifiutano inoltre il termine maschile esteso alle professioniste perché vogliono ribadire che non sono uomini mascherati”. Tutto questo, secondo Merlo, non è che l’ennesimo esempio di revanchismo e totalitarismo femminile che ormai la fa da padrone nel mondo. In realtà, come vedremo, anche moltissime donne fanno resistenza alla femminilizzazione degli appellativi


professionali”. Lo facevano ieri, e lo fa oggi anche la Ministra Boschi che per sé chiede di essere appellata al maschile. Dunque lo sguardo di Noi Donne non sbaglia, mentre Merlo forse sopravvaluta questo potere linguistico femminile, dato che vent’anni dopo, sul punto della lingua non si sono fatti grandi progressi. “Le raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana” e “Il sessismo nella lingua italiana” di Alma Sabatini sono i due volumi che uscirono nel 1987 a cura della Commissione delle Pari Opportunità. Comprendevano una parte teorica, che spiegava le radici del sessismo linguistico, e una parte pratica di suggerimenti concreti. Alma Sabatini muore troppo presto, nel 1988, senza avere il tempo di vedere l’attuazione concreta delle sue proposte. E ancora adesso, molte delle sue intuizioni e dei suoi input non vengono tenuti nella giusta considerazione.

Nel 1994 non si può non ricordare la discesa in campo, e la successiva vittoria elettorale, di colui che ha dominato, incontrastato fino a pochi mesi fa, il panorama politico italiano. Nel primo governo Berlusconi una giovanissima Irene Pivetti viene nominata Presidente della Camera. Così commenta Bia Sarasini, all’epoca direttora: “La destra governa il paese. E già questo è duro da accettare. Più duro ancora vedere all’opera l’autorità simbolica di cui si mostra capace, esercitando una egemonia crescente e preoccupante. Soprattutto nell’interpretare secondo i propri schemi i mutamenti sociali, le elaborazioni innovative e le mutazioni antropologiche, in primo luogo quelle di origine femminista, che si sono prodotte in questi anni, rovesciandone il significato. Questo è il punto. Non sarebbe minaccioso infatti il protagonismo delle donne di destra, se non si accompagnasse alla pretesa di riscrivere la storia delle donne. Anzi, proprio del femminismo, mettendo in atto un tentativo di cancellazione simbolica della memoria con cui occorre fare i conti. Un problema politico, certamente”. Un punto di vista estremamente attuale rispetto alle ultime nomine del governo Renzi. In nome della donnità, dunque, si può accettare ogni candidatura rosa? Bia Sara-

sini sembra rispondere. “Almeno per qualche attimo è stato emozionante vedere Irene Pivetti salire sul banco della presidenza della Camera. Concreta figura femminile, così differente, nella sua giacca verde-acqua non proprio alla moda, dai molti uomini che la circondavano. A conferma che attraverso i corpi passa un linguaggio simbolico che non coincide con le ideologie. E a conferma che averla scelta perché “è giovane, è donna ed è cattolica”, è una bella carta da giocare, nella direzione “cogliere i segni del nuovo”. Non era facile prevedere che il primo gesto della destra vincente sarebbe stato di farsi rappresentare da una donna giovane e attraente. Emozionante e irritante, aggiungo subito. Perché questa giovane donna, dai cui gesti e parole traspare un non comune fuoco interiore, pone non pochi problemi. Per le sue idee politiche, certamente. Ma su questo terreno è facile per chi si colloca a sinistra riconoscere una vera avversaria: dall’aborto alla famiglia, dalla scuola alle riforme istituzionali, c’è solo da scegliere”.

Irene Pivetti, n.5, maggio 1994 Fecondazione assistita, n.12, dicembre 1997 Ragazze rom a Torrespaccata, n.4, aprile 1993 Ligabue, n.9, settembre 1998

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Dopo il decennio delle donne, dal 1975 al 1985, a Pechino si svolge la Quarta Conferenza Mondiale sulle tematiche femminili indetta dalle Nazioni Unite

Attiviste a Pechino 1-2, n.10, ottobre 1995

che costituirà un passaggio molto importante per via della Piattaforma d’Azione sottoscritta dai molti paesi a conclusione dell’evento. Attorno all’iniziativa istituzionale il consueto forum delle ONG. Quello di Pechino è stato il punto d’arrivo di un percorso cominciato vent’anni fa, con la prima conferenza sulle donne, e continuato con un intenso lavoro di ricerca, analisi, lavoro dentro e fuori le istituzioni nazionali e internazionali. In Cina ormai è chiaro inoltre che le donne non prendono la parola solo per parlare di se stesse, ma parlano come soggetto politico sui temi globali. E mentre le delegazioni ufficiali negoziavano sulla Piattaforma d’azione per l’empowerment delle

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donne, decine di rappresentanti di organizzazioni non governative facevano una discreta opera per sostenere le proprie priorità. La Dichiarazione di Pechino riconosce “i diritti fondamentali delle donne e delle bambine in quanto parte inalienabile, integrante e indivisibile dei diritti della persona umana.” Il secondo millennio per Noi Donne si chiude e si apre il terzo con un unico numero (dicembre 1999/ gennaio 2000) che ferma le pubblicazioni a causa di una pesantissima situazione debitoria. La crisi che vive il giornale è forte, così come racconta Costanza Fanelli nella sua preziosa testimonianza. L’editoria e l’informazione degli anni successivi saranno investiti da una crisi sistemica collegata alla globalizzazione e alle nuove tecnologie. Non a caso, nel numero di apertura del nuovo millennio, il giornale dedica numerose pagine all’immigrazione e ai flussi, inarrestabili, di persone che da tutto il mondo si spostano in Europa, che, tende a chiudersi sempre di più. Sappiamo cosa è successo negli ultimi anni nel Mar Mediterraneo, massa d’acqua salata chiamata a unire popoli e civiltà e destinata invece a dividere, come sancito dal Patto di Schengen. Scrive nel 2000 Saskia Sassen nel suo saggio “Migranti, coloni, rifugiati”, recensito su Noi Donne: “Stiamo entrando in una fase dove c’è una molteplicità di condizioni economiche, sociali, tecnologiche, ma le scelte a livello di politiche dell’immigrazione e di pratiche dei migranti non sono infinite. Sotto l’impatto della globalizzazione, sta emergendo il carattere di istituzione della frontiera. E per quanto riguarda l’Europa sta diventando insostenibile avere due regimi così diversi: uno per capitali e merci, l’altro per gli esseri umani.” Speriamo di non dover contare oltre quei quasi 20mila migranti già morti, dal 1988 ad oggi, solo per acchiappare una chance di felicità.


SOCIETÀ LIQUIDA, MONDO PLURALE. IL FEMMINISMO, FRAMMENTATO E INCANDESCENTE, TORNA A FAR PARLARE DI SÉ. LA SPERANZA DI UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA FEMMINILE E MASCHILE PLURALE, CHE VENGA DALL’INCONTRO TRA PUNTI DI VISTA DIFFERENTI E CHE INCLUDA LE COMUNITÀ MIGRANTI E LE DONNE DEL SUD DEL MONDO. I TANTI STEREOTIPI DA COMBATTERE.

2001 2014 ottavo inserto

Testi e ricerca iconografica a cura di Silvia Vaccaro

La tenuta della rivista, dopo la crisi del 1999, è a rischio. Eppure un gruppo di donne tenaci, con alla testa Tiziana Bartolini, attuale Direttora di Noidonne, riesce a non interrompere le pubblicazioni. Un’operazione di salvataggio miracolosa e per nulla semplice. Le lettrici, fino al 2006, dovranno accontentarsi di un foglio in bianco e nero, a volte scarno, a volte un po’ più corposo, che ricorda le prime uscite clandestine del ‘44. Poche notizie, impaginazione essenziale, assenza di colori, ma la stessa voglia bruciante di far vivere la voce delle donne all’alba di un millennio che, sin dalle sue prime battute, presenta nuove e grandi sfide per l’umanità. Dopo oltre mezzo secolo di pace, l’Occidente si sveglia di soprassalto l’11 settembre 2001. La fortezza del potere e della superiorità americana, incarnati nelle Twin Towers di New York, è stata abbattuta da un attacco terrorista islamico. “Sappiamo che il mondo non sarà più come prima, ma è inquietante constatare che non riusciamo ad immaginare come e cosa cambierà. [..] L’attacco alle torri è stato uno schiaffo alle nostre certezze, non è più tempo di vivere nel mondo come se i nostri punti di riferimento e i nostri parametri fossero gli unici possibili.” Un episodio talmente scioccante che richiederà tanto tempo prima di essere compreso nelle

Copertina, maggio 2011 Politiche scomode, n.2, febbraio 2008 Diana Spencer, n.9, settembre 2007

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sue varie sfumature. E come spesso accade, dopo un attacco violento la risposta che segue è altrettanto feroce. Bush, allora Presidente USA, con il consenso di gran parte della popolazione americana, dichiara guerra al fondamentalismo islamico. Presi di mira prima il regime talebano dell’Afghanistan - in cui le truppe americane arrivano all’indomani dell’attentato - e poi nel 2003 il regime di Saddam Hussein in Iraq. Caccia grossa al terrorismo, morte a Osama Bin Laden, presunto mandante dell’11 settembre. Dopo oltre dieci anni dall’inizio di quei conflitti il costo di vite umane è enorme. Ad oggi, nonostante il progressivo ritiro delle truppe americane da entrambi i paesi, l’instabilità nella zona compreso il vicino Pakistan è altissima e il bilancio di civili morti è impressionante: oltre 14mila in Afghanistan e oltre 130mila in Iraq.

Numerosi gli episodi tragici che hanno coinvolto volontari e giornalisti italiani ed europei. Per fortuna non tutti finiti nel sangue. Nel 2004 due ragazze italiane, volontarie dell’associazione ‘Un ponte per’, Simona Torretta e Simona Pari, vengono rapite a Bagdad e rilasciate dopo ventuno giorni.

Hillary e Obama, n.4, aprile 2009 Se non ora quando, n.3, marzo 2011 Donne aquilane, n.5, maggio 2009 Noi Uomini, n.4, aprile 2011

Pur dichiarandosi grate a chi nel governo, presieduto da Silvio Berlusconi, che appoggiava totalmente la guerra di Bush ma aveva lavorato per la loro liberazione, le ‘due Simone’ non si sono mai mostrate diverse da prima del rapimento: pacifiste che considerano gli iracheni esseri umani come loro e non pazzi fondamentalisti. “Simona e Simona, probabilmente senza averne l’intenzione, hanno dato una lezione di vita a milioni di persone e con la loro spontaneità hanno contraddetto il copione e il protocollo.” Un altro caso importante e molto seguito dalla rivista è quello della giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, rapita il 4 febbraio del 2005 a Bagdad. Su Noidonne si legge “Perché Giuliana Sgrena fa paura. Il suo modello di donna rappresenta quanto di più temibile ci sia per i tagliatori di teste che conoscono solo le leggi della sopraffazione e del sangue per risolvere le controversie.” La giornalista viene rilasciata un mese dopo, in circostanze drammatiche che hanno portato al suo ferimento e all’uccisione di Nicola Calipari, dirigente dei servizi di sicurezza italiani (SISMI) che dopo lunga ed efficace trattativa la stava portando in salvo. Grande lo spazio riservato su Noidonne alle elaborazioni delle femministe di punta di questo secolo, provenienti da pa-

esi islamici. In alcuni casi si tratta di personalità laiche come la grande scrittrice Nawal Al Sadaawi, intervistata nel dicembre 2008; altre volte le riflessioni riportate sono quelle delle femministe islamiche, consapevoli del loro ruolo, quello di fare da ponte tra le donne occidentali e il mondo dell’Islam, ritenuto in molti ambienti dopo i fatti dell’11 settembre, una realtà ostile alle donne che desidera soltanto velarle e privarle della loro libertà di pensiero, parola, movimento. Grande attenzione anche alle tante donne delle “primavere arabe” scese in piazza contro dittature e oppressioni. La Redazione è vicina alle giovani dei paesi infiammati dalla guerra e nel 2008 realizza il progetto ‘Il sogno di Roya e Alka’, cineaste afghane che si sono poi affermate nel loro lavoro a livello internazionale.

Un decennio di donne leader in molti paesi del mondo: Hillary Clinton Segretario di Stato USA, Angela Merkel Cancelliera per il terzo mandato, Dilma Rousseff Presidente del Brasile dal 2011, Michelle Bachelet al suo secondo mandato alla Presidenza del Cile, Cristina Kirchner Presidente dell’Argentina dal 2007, Aminata Toure Primo Ministro del Senegal e tante altre.

E poi la liberazione della leader birmana Aung San Suu Kyi e Ingrid Betancourt, prigioniera delle FARC in Colombia. Il triste contraltare sono due donne straordinarie assassinate per il loro impegno: la giornalista russa Anna Politkovskaja (uccisa nel 2006 perché invisa al Presidente russo Putin) e la leader pakistana Benazir Butto (morta in un attentato nel 2007 forse su mandato dell’allora Presidente Musharraf ).

Nel marzo 2006 le pagine di Noidonne


tornano a colori e al formato di sempre: tanti articoli e interviste, nuova luce e speranza dopo anni di fatica. Lo ricordano nell’editoriale colmo d’amore per la rivista Tiziana Bartolini, Isa Ferraguti e Costanza Fanelli e l’intervista alla “donna del mese” di quel numero: Nadia Spano, madre fondatrice di Noidonne.

Un filo che si riannoda, perché la tessitura possa continuare. Battaglie diverse da quelle combattute dalle partigiane ma ugualmente dure ed importanti quelle di questo primo decennio del secolo XXI. Da ricordare la campagna referendaria contro la legge 40 sulla fecondazione assistita. Il referendum non raggiunge il quorum, ma la Corte Costituzionale nell’aprile 2014 boccia la legge. Come accade sempre più di frequente in questi anni, la magistratura, con le sue sentenze, cerca di riparare alla mancanza di buonsenso e all’inettitudine di esecutivi e parlamentari. Ancora oggi si attende una risposta della politica. Così come deve ancora arrivare una legge che regoli le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Il cammino rimane impervio, dopo le timide proposte dei brevi governi di centrosinistra, che parlavano ora di “pacs” ora di “dico”, e la totale chiusura sul tema degli esecutivi guidati da Berlusconi. Nel 2010 si rinnova la veste grafica e si avvia un ciclo di articoli sui Consultori: un tour che fotografa in tutte le regioni lo stato di un servizio terrritoriale socio-sanitario che ha rappresentato una tra le piú importanti conquiste delle donne italiane.

Su NOIDONNE si parla di precariato e di disoccupazione femminile ben prima che scoppi la crisi di questi ultimi anni che ha penalizzato moltissimo le donne. L’occupazione femminile, già molto più bassa della media UE soprattutto nelle regioni del mezzogiorno, si intreccia con il tema della conciliazione dei tempi di vita di cui si discute moltissimo con grandi esperte come Chiara Saraceno, evidenziando le buone pratiche di singoli comuni o regioni e sottolineando l’assenza di un

approccio di sistema. Crescente é però il ruolo delle imprenditrici. In un mondo del lavoro dipendente sempre più destrutturato e meno tutelato, le donne cercano percorsi di auto-impiego contando sulle idee e sui fondi

che in questi anni vengono stanziati. Dalla prima ricerca sull’imprenditoria femminile del 2006 sono tanti i passi avanti compiuti. Una menzione speciale per le donne de L’Aquila, colpita nell’aprile del 2009 dal terribile terremoto. “Le donne, i loro sguardi dolenti e fermi, mostrano il volto di un’altra Italia. Quella che avrà il coraggio di ricominciare e di pretendere giustizia”. Ad oggi il centro del capoluogo abruzzese è ancora distrutto ma alle donne che in questi anni hanno portato avanti percorsi di condivisione femministi è stata affidata una Casa dove riunirsi.

Lo scorso 1° di agosto è entrata in vigore la Convenzione di Istanbul approvata dal Parlamento italiano nel giugno 2013. Questo nuovo strumento globale richiama governi e istituzioni di tutto il mondo ad una presa di coscienza forte sul tema della violenza contro le donne sottolineando un elemento chiave:

violenze e femminicidi sono l’apice di un rapporto di potere ancora squilibrato tra uomini e donne e di una discriminazione di “genere” che deve essere prevenuta e contrastata su tutti i fronti. Gli Stati firmatari si impegnano, si legge all’articolo 6, a “promuovere ed attuare politiche efficaci volte a favorire la parità tra le donne e gli uomini e l’emancipazione e l’autodeterminazione delle donne”. Di tutto rilievo è il ruolo della comunicazione e della stampa incoraggiati, all’articolo 17, “a partecipare all’elaborazione e all’attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignità”. I media, che hanno un ruolo di peso nella formazione dell’opinione pubblica, hanno dunque il dovere di raccontare la vita delle donne a partire dal corretto uso di un linguaggio sessuato, auspicabile ormai da tempo e che su questa rivista è una prassi consolidata, fino alla scelta dei punti di vista da narrare, degli esperti e delle esperte da intervistare, delle narrazioni della vita delle donne nei vari aspetti, evitando di insistere sui particolari più morbosi. Ancora tanto lavoro da fare, iniziando proprio dalla narrazione di vicende di violenza o di casi gravi come i femminicidi. Troppo spesso su molte testate italiane si fa un uso scellerato di parole e aggettivi, rendendosi complici di una cultura violenta e maschilista. Come se nemmeno per le donne assassinate, che hanno pagato con la vita il prezzo di relazioni di potere tra generi completamente in disequilibrio, si possano trovare parole in grado di liberarle, anche se in grave ritardo, da stereotipi e contrappesi usati a difesa dell’uomo che le ha uccise. Un approccio continua >

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Giuliana Sgrena, n.4, aprile 2005 Copertina, n.10, ottobre 2006


sbagliato anche quello che ha prevalso nella legge n.93, approvata lo scorso giugno e impropriamente chiamata legge contro il femminicidio. Un approccio tendenzialmente securitario e che non valorizza i suggerimenti, le pratiche e le teorie elaborate dalle donne impegnate sul campo nei centri anti-violenza da anni che proprio prima dell’estate hanno fatto sentire la propria voce ribellandosi al finanziamento modestissimo che il Governo ha riservato loro. La nomina di otto ministre non basta a coprire le mancanze: l’assenza di un Ministero o di una delega alle pari opportunità in grado di coordinare e monitorare l’operato degli altri ministeri nel rispetto di una visione di genere non sta garantendo quell’approccio di sistema di cui avrebbero bisogno le donne italiane.

Il nostro sguardo non si esaurisce di certo sulle vicende della penisola. Sin dalle prime uscite Noidonne ha sempre dimostrato grande attenzione alle donne degli altri Paesi, vicini e distanti. Occhi aperti sul mondo dunque, a cominciare dal sostegno dovuto alle amiche spagnole che in questo anno stanno lottando duramente contro la legge Gallardòn in Spagna che rischia di farle tornare indietro di trent’anni impedendo l’aborto se non in casi estremi.

europee. L’Irlanda poco più di un mese fa è stata sanzionata per avere una legislazione troppo restrittiva in materia di interruzione della gravidanza, la nostra legge 194, figlia del femminismo, è sempre sotto l’attacco di obiettori e anti-abortisti. E sono ancora tanti, troppi, i paesi in cui l’aborto non è legale. Tante ancora le adolescenti (circa 60 milioni) che non hanno accesso nemmeno all’educazione primaria. Il caso del rapimento delle studentesse nigeriane lo scorso maggio da parte del gruppo estremista Boko Haram è l’esempio palese di quanto faccia ancora paura una donna istruita. Con la cultura si diventa libere e ci si può dunque ribellare a matrimoni precoci e/o combinati, a gravidanze indesiderate, a uomini violenti. Serve, insieme alla cultura, un reddito adeguato ad una vita dignitosa. Troppe ancora (in Italia una donna su tre tra quelle in età attiva) sono quelle che non lavorano, in parte per problemi dovuti alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. I rapporti con gli uomini sono ancora da rivedere, chiedendo maggiore accesso al lavoro, pari stipendio a parità di mansione, equa distribuzione dei carichi familiari. Un lavoro lungo e complesso che necessita in alcuni casi di leggi, sanzioni e fondi da parte dei governi e delle istituzioni internazionali, ma, forse ancora più importante, di percorsi orizzontali e spontanei di partecipazione, riflessione ed elaborazione nelle scuole, nelle università e nei territori urbani dove ci si incontra e si produce consapevolezza e cultura autogestite, autofinanziate e libere.

Un duro colpo non solo per loro, ma per tutte le donne

Copertina, n.10, ottobre 2010

Note a margine della curatrice Questo 2014 rappresenta il 70° anniversario della rivista. Da qui è nata l’occasione di realizzare ogni mese a partire da gennaio un inserto speciale sulla storia di una delle riviste “di donne sulle donne” più longeve al mondo. Curare questi inserti per me, che scrivo per NOIDONNE da poco più di tre anni, e che ne conoscevo la storia in maniera, adesso posso dirlo, del tutto approssimativa, ha rappresentato un onere e un onore senza precedenti nella mia vita professionale e personale. Compiendo quest’anno trent’anni, e non avendo dunque partecipato alle lotte femministe degli anni ’70 né a quelle precedenti, sfogliando questi settanta

da 70 anni NOIDONNE guarda al futuro

anni di articoli e racconti, mi sono resa pienamente conto di quanto le donne abbiano combattuto per ottenere diritti e consapevolezze che per me oggi sono pratica quotidiana e scontata. Questo viaggio a ritroso nel tempo ha confermato quello che già pensavo della grandezza di questo progetto editoriale, ma ha aggiunto nuovi elementi alle mie riflessioni. Mi preme dire due cose. La prima è che quante e quanti non riconoscono l’accesa vitalità e la conseguente necessità di NOIDONNE oggi, non capiscono l’importanza di tenere un filo ben annodato tra il passato e il presente, elemento imprescindibile per immaginare e creare il futuro che desideriamo, a partire dalle tante, enormi, sfide che ancora le donne, a varie latitudini di questo pianeta, sono chiamate ad affrontare per raggiungere

il pieno riconoscimento della loro dignità e contemporaneamente, della loro differenza. La seconda è che in un mondo in cui l’informazione è spezzettata in tante piccole tessere che compongono un puzzle troppo grande e che spesso non siamo in grado di decifrare, una voce autorevole e plurale come NOIDONNE, che da sempre crea attorno a sé una comunità di lettrici e amiche diverse tra loro e in grado di rappresentare più voci, è quanto mai necessaria per non ridurre la complessità dei temi a facili slogan, a posizioni urlate, a faide interne al “movimento femminista” o a trend passeggeri. È prezioso che NOIDONNE continui ad esistere e a portare avanti con orgoglio questa grande eredità lasciata dalle partigiane nel 1944. In bocca al lupo a NOIDONNE!


Noi Donne nel terzo millennio di Isa Ferraguti

I

Isa Ferraguti Il giorno in cui si è laureata nel marzo 2014

n questi lunghi settanta anni Noi Donne nasce e rinasce molte volte (ce ne viene dato atto persino da un articolo pubblicato su La Repubblica del 3 luglio scorso, pag 36) . Da quel primo numero del luglio del 1944 - e prima ancora a Parigi del 1937 con Marina Sereni e poi come organo dei gruppi di difesa della donna - la sua storia è molto articolata e complessa e molte crisi sono superate anche grazie alla creatività e alla capacità di reinventarsi. Per molti anni sarà uno dei settimanali più diffusi con autorevoli direttore, tra le quali ricordiamo Giuliana Dal Pozzo e Miriam Mafai. La crisi dell’editoria si fa sentire agli inizi degli anni ‘90 colpendo molte testate, tra queste anche Noi Donne che, non occupandosi di gossip, fatica a raccogliere pubblicità. La scelta di trasformare il settimanale in mensile non risolve il problema della sostenibilità dei costi di produzione, che rimangono elevati: per essere in edicola è necessario stampare almeno 50mila copie ma le vendite, tra abbonamenti e diffusione, a malapena arrivano 10mila. Alla fine degli anni ’90 il debito continua a crescere, superando ampiamente il miliardo di vecchie lire. La chiusura si profila come evento inevitabile. Anzi, se si fosse trattato di una qualunque azienda, a fronte di un debito così elevato l’iter logico sarebbe stato dichiarare fallimento. Ma si tratta di un giornale, molto particolare, voce delle donne che per decenni è stata legata all’UDI Il suo fallimento avrebbe avuto un impatto grave anche rispetto alla storia gloriosa di questa associazione. Tra il 1999 e il 2000 (chi scrive da poco era stata nominata Presidente della Cooperativa) inizia una fase delicatissima di gestione della pesante posizione debitoria che punta alla tutela della testata e del patrimonio storico, culturale e simbolico e, al tempo stesso, fronteggia la situazione finanziaria. La Cooperativa Libera Stampa, editrice e referente amministrativo, è costretta a sospendere le pubblicazioni e a chiudere la redazione avendo massima cura nella tutela di tutte le lavoratrici (ammortizzatori sociali ecc); lascia la sede storica e raccoglie tutti i materiali provvedendo ad immagazzinarli in un luogo sicuro e protetto. Si tratta di un autentico patrimonio (documenti, libri, pubblicazioni, raccolte, fotografie) che abbiamo conservato evitandone la dispersione e il deterioramento. L’altro problema - enorme - riguarda il mantenimento della viva voce di Noi Donne. A quel punto - primi mesi del 2000 - siamo senza soldi, senza giornaliste, senza sede. Siamo fermamente determinate a

non ‘svendere’ quello che consideravamo un patrimonio delle donne e della Storia del nostro Paese e della nostra Democrazia, ma senza strumenti per poterlo fare. È qui che avviene il miracolo! La dirigente dell’UDI romana La Goccia - Annita Pasquali - ci segnala Tiziana Bartolini, giornalista con esperienza nel Terzo Settore, che è disponibile a collaborare con il giornale e con la Cooperativa in modo ‘militante’. Decisiva, oltre alla sua professionalità, la sua rete di relazioni che mette al servizio di Noi Donne. Dal telefono al pc di altre redazioni presso cui lavora sino alla tipografia, che ci fa credito per tornare a stampare. La direttora Tiziana Bartolini si rivela donna preziosa non soltanto perché è riuscita a coinvolgere molti soggetti e strutture nella volontaria operazione di ‘salvataggio’ di una testata storica, ma anche per la professionalità e per la creatività che le ha consentito (e le consente da 15 anni) di ‘sfornare’ numeri sempre interessanti - spesso di notevole pregio - di un giornale che continua ad essere una presenza unica nel suo genere nel panorama editoriale italiano. Il mensile viene stampato su carta da quotidiano per alcuni anni e nel 2006 torna ad essere un magazine in quadricromia, poi si attiva il sito internet e poi, di recente, una webtv su piattaforma Streamago grazie ad un partenariato con il gruppo Tiscali. Oggi NOIDONNE è una testata multimediale e progetta il suo futuro guardando alle giovani generazioni e alle più moderne tecnologie. I tagli all’editoria, pesantissimi, degli ultimi anni ci hanno costretto a ricorre alla Cassa integrazione per le due collaboratrici. Ma la tenacia con cui la direttora Bartolini, e la Cooperativa Libera Stampa, continuano a credere in questo progetto editoriale e culturale fanno ben sperare sul futuro di un periodico che ha ancora molto da dire. Siamo corroborate, in questo, dai riscontri che continuamente arrivano dalle lettrici e dal loro apprezzamento per i contenuti e per lo stile del nostro giornale. La rete di volontariato continua ad essere linfa vitale e gli articoli che arrivano da amiche che risiedono nelle varie regioni della penisola ne sono eccellente testimonianza. Questa fase è, ancora una volta, un banco di prova per NOIDONNE (come, in verità, per tutta l’editoria mondiale). Il mercato è, e sarà sempre di più, giudice inflessibile. Ma noi abbiamo fiducia nelle donne e nella loro capacità di comprendere che, ora più che mai, occorre sostenere il NOSTRO GIORNALE. Farlo, in fondo, è semplice: basta abbonarsi!

da 70 anni NOIDONNE guarda al futuro


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FRA POSSIBILE E IMPOSSIBILE

biologico, accanimento terapeutico. Il contributo di NOIDONNE si è concretizzato nel progetto ‘Donna&Salute, un ponte tra buone pratiche’, sinergie e informazione sulla medicina di genere, partito con il Festival a San Giuliano Terme e proseguito per due anni con oltre 20 appuntamenti in tutta Italia e più di 50 soggetti e Istituzioni coinvolte.

LA SOCIETÀ, L’ATTUALITÀ, LA CULTURA RACCONTATA SEMPRE DAL PUNTO DI VISTA DELLE DONNE di Elena Ribet*

P

er riassumere gli ultimi due anni di NOIDONNE, prendo a prestito il titolo dell’editoriale di Giancarla Codrignani di ottobre 2016: “I terremoti e i sistemi. La crisi del capitalismo, la dittatura della finanza e la globalizzazione irreversibile, un mondo nuovo che la sinistra non sa governare. E neppure i progressi delle donne”. Già a gennaio 2015 la stessa Codrignani si interrogava su come uscire dalla crisi e dai fallimenti in un sistema dominato dalla corruzione, anche se “nelle carte non sono comparsi nomi di donna. Non perché siamo migliori, ma perché non gestiamo alcun potere”. La prospettiva di genere e l’impatto delle donne in politica ci ha fatto interrogare sul vero potere delle parlamentari e sulla loro efficacia legislativa. L’altra faccia della medaglia (i conflitti, le guerre, le ingiustizie) è, come scrive Tiziana Bartolini, il “paradosso del 50 e 50”, riferito alle uccisioni di Valeria Solesin e Giulio Regeni, alla ricerca di “quel ‘noi universale’ che è stato smarrito”. Le negligenze e i crimini dei “poteri forti” e del patriarcato non sono riusciti a spegnere le nostre istanze per la parità e per i diritti. Gli “intrecci” hanno raccontato nuovi percorsi e nuove utopie, ma anche movimenti, modi di pensare e di agire che hanno fatto la storia (quella di ieri e quella di oggi), nonostante tutto. Ciò che esiste e resiste, anche oltre di noi, è un nuovo movimento delle alleanze, che vuole condividere le conoscenze nel presente, fra le generazioni e i diversi femminismi del passato. Una nuova resistenza dal basso che, in Italia, può e deve essere prima di tutto culturale. Una nuova resistenza che ha avuto spazio in questo giornale e che ci parla di pacifismo, laicità, libertà, tutela dell’infanzia, parità, legalità, cura e dono, diritti civili, toponomastica femminile e felicità possibili, alternative al mercato, alle guerre, al patriarcato, alla violenza, alla tratta, alla mafia e ai femminicidi. Corpi ed extracorpi. Una ricognizione su “corpi” ed “extracorpi”, intesi come elementi politici fuori e dentro di noi, ha portato sulle pagine di NOIDONNE riflessioni e testimonianze sul controllo biopolitico del corpo e su diversi temi: adolescenza, vecchiaia, paure e nichilismo, empowerment giovanile, libertà di scelta, salute riproduttiva, maternità, eutanasia, testamento

Le rubriche “Parliamo di Bioetica” (dal 2008 in collaborazione con l’Istituto Italiano di Bioetica) e “Salute bene comune” hanno affrontato rispettivamente i temi della salute, aspettativa di vita, rianimazione neonatale, diritti dei caregiver familiari, bellezza, identità, biobanche, reati ambientali, umanità in ambito medico-ospedaliero, animalismo, vegetarismo e, in riferimento ai percorsi nascita, hanno analizzato gli sprechi in ambito sanitario, la qualità e trasparenza dei servizi, il ruolo dei consultori, l’aborto, l’ostetricia, il parto, il puerperio, la maternità e l’allattamento. 8

Aprile-Maggio 2015

Luisella Battaglia Istituto Italiano di Bioetica www.istitutobioetica.org

APPROVAZIONE MOZIONE TARABELLA

L’EUROPA VERSO UNA CITTADINANZA DI GENERE informazione sui loro di-

DIRITTI SESSUALI

za, si interroga sul fatto se

tale concetto tenga oggi ritti e sui servizi dispoE RIPRODUTTIVI Lavoro. Come è concepito e descritto il lavoro da NOIDONNE? conto delle Pari Opnibili; l’attuazione di DELLE DONNE, LIBERTÀ DI ABORTO portunità di genere misure e di azioni E CONTRACCEZIONE: relativamente alla rivolte a sensibilizMoltissimi gli spunti, dal coaching alle proposte di analisi di APPROVAZIONE salute psico-fisica zare gli uomini sulle DELLA MOZIONE delle donne e ai loro loro responsabilità in TARABELLA DELL’EUROWell_B_Lab: “idee nuove esessuale politiche al femminile: un Nelusso?”. diritti riproduttivi. dimateria e riPARLAMENTO scendono talune (amare) produttiva - non si può riflessioni su quanto le idenon salutare una con favore Una domanda, una visione, speranza,ologie tree le elementi che credenze abbiano una normativa che sembra condizionato la costruzione delle legconfigurare finalmente una ‘cittadina data indubbiamente imporaprono atantemille prospettive con altrettante parole chiave: gi - si pensi, in particolare, alla legge nanza di genere’. quella delaltre 9 marzo - im40 e al pesante impianto dottrinario Guardando al dibattito sui diritti ripromediatamente successiva alla su cui è stata modellata - e quanto, - a partire dalla legge 194 del festa della donna - che ha visto l’Euconsumi, welfare, etica,duttivi innovazione, tradizione, futuro. invece, tale costruzione sia ispirata ai 1978 sull’interruzione volontaria della roparlamento chiamato a esprimersi concreti bisogni delle persone cui le gravidanza fino alla legge 40 del 2004 sulla mozione Tarabella, riguardante Una partnership sempresullapresente è quella Donne leggicon dovrebbero essere rivolte.in camprocreazione medicalmente asanche la libertà di contraccezione

U

sistita - emergono in effetti una serie e di aborto. A leggerne i punti prindi interrogativi sia sul potere delle cipali - il riconoscimento del pieno donne che sulla possibilità di una citcontrollo da parte delle donne dei tadinanza di genere. Un primo quesiloro diritti sessuali e riproduttivi, in to, relativo al potere, mette al centro particolare attraverso un accesso la possibilità da parte delle agevole alla contracceziodonne di decidere libene e all’aborto; il sosteLA COMPETENZA ramente in relazione ai gno delle misure e delle IN MATERIA propri progetti di vita azioni volte a miglioSANITARIA E DI DIRITTI

*Socia della Cooperativa Libera Stampa

A Strasburgo si è affermata la linea più laica e liberale: il Parlamento Europeo ha infatti approvato ad ampia maggioranza una risoluzione che invita l’Unione a migliorare le politiche per raggiungere un’effettiva parità di genere mettendo in evidenza le principali sfide per il futuro, a partire dalla lotta contro le violenze sulle


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IL MONDO. ANZI I MONDI SEMPRE ALTA L’ATTENZIONE SU QUANTO ACCADE NEL RESTO DEL PIANETA PERCHÉ LA SORELLANZA È UNIVERSALE

Collage di Loredana

po, associazione della Cia di imprenditrici agricole, insieme alle quali abbiamo percorso tanti “sentieri”: fra benessere e burocrazia, paesaggi, natura, cibo, sostenibilità, turismo rurale. Insomma, una vera e propria “condivisione dei saperi e dei sapori”. A mano libera, con le detenute di Rebibbia. Fra i progetti portati avanti da NOIDONNE, quello insieme alle detenute del carcere femminile romano, per costruire insieme un ponte di libertà, un canale di comunicazione fra il “dentro” e il “fuori”. Le un Inserto speCIale recluse rappresentano il 4% della popolazione carceraria, con specifiche esigenze, fra cui quelle del contenimento della sofferenza, della tutela dell’infanzia per quanto riguarda le detenute madri, della prevenzione dell’autolesionismo e del reinserimento nella società e nel lavoro. I racconti dal carcere raccolti durante i laboratori settimanali parlano di famiglie, di tempo, del carcere giorno per giorno, di quotidianità, di possibilità di “uscire fuori” e di sperimentare tante “liberazioni” attraverso le parole, la musica, i sogni, le memorie. Cultura, sostanza e costanza femminile. Sfogliando i numeri del 2015 e 2016 ci si perde e ci si ritrova nelle suggestioni, citazioni e recensioni che riguardano il cinema, la musica, l’arte, Scritto dalle detenute del carcere femminile di Rebibbia (Roma). È speciale perché con queste pagine si vuole aprire un canale di comunicazione tra il ‘dentro’ e il ‘fuori’ sui sentimenti, sul dolore, sui problemi quotidiani - grandi e piccoli - di chi vive la detenzione. È speciale perché vorremmo che le parole delle detenute possano giungere ad altre donne interessate ad avere con loro un dialogo. È un cammino che inizia e che speriamo possa continuare, prima di tutto per un interesse che deve manifestarsi reciprocamente - tra il ‘dentro’ e il ‘fuori’ - e di cui NOIDONNE si fa ‘ponte’ per dare gambe ai pensieri che nascono in un luogo chiuso e di sofferenza. Pensiamo che anche l’ascolto sia una forma di libertà. Scrivere a redazione@noidonne.org Questo inserto è reso possibile grazie al progetto ‘a mano libera’ dell’associazione l’isola di ula e opp finanziato dalla regione lazio (Assessorato Pari Opportunità e Sicurezza)

14/01/15 21.09

U

n’eroina dei fumetti che indossa l’hijab, le ucraine donne soldato armate di kalashnikov, i diritti civili in Slovenia, la vicenda di Clara Banya che in Malawi ha contratto l’HIV e si è salvata. Queste e moltissime altre sono le storie a cui NOIDONNE ha dato voce e corpo sulle pagine del giornale negli ultimi due anni. Un caleidoscopio di vite che si intrecciano con la Storia e affrontano con coraggio l’avventura della realtà. Donne che stanno in alto, come Hillary Clinton candidata alla presidenza degli Stati Uniti 26

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SORELLE MA IN GUERRA Donne presenti anche nelle unità D’assalto AidAr accusato Da amnesty international Di violazioni Dei Diritti umani e Dall’osce Di violenze contro la popolazione civile

UCRAINA

INSER_Rebibbia_21.28_5.indd 21

di Nadia Angelucci*

di Cristina Carpinelli

d’America Ucraina, giunta “all’appuntamento laavanti storia”, e che lafilorussi siacon stata portata da battaglioni come l’unità anche le donne sono state partecipi d’assalto Aidar, formata inizialmente da volontari, in sedella guerra. Tolti gli abiti civili, hanno imparato guito passata sotto il controllo del ministero Difesa, costruire barricate, lanciare bombe molotov, vorano dal amattoni basso, come Magda Adly, direttrice del della Centro El che ha recentemente deciso di scioglierla nel tentativo di e granate contro miliziani, poliziotti e riorganizzare le forze militari. “ribelli”. Alcune hanno combattuto per difendere l’Ucraina Nadeem che daaltreanni inseparatisti Egitto riabilitazione Molteoccupa reclute, che hannodella militato in questa unità d’assaldelle rivolte di Maidan, a fianco dei ucraini “si to, provengono da ambienti nazisti russofoni. Sarebbero diverse migliae dell’estrema destra. Accusato da quelle che hanno deciso di di com- chi subisce violenza”. fisica eiabattere. psicologica Donne sentinelle Amnesty International di violazioni Chi era al loro fianco è stato dei diritti umani e dall’OSCE di viotestimone del coraggio, resistenza e ambientali come accade in Mali, “attente lenze ai particolari le contro la popolazione sono civile, determinazione che hanno dimostraquesto battaglione para-militare ha to, superando in taluni casi gli uomini. tra i suoi volontarida diversesempre donne, alc’è anche chi si è distinta prime Tra a loro monitorare il territorio perché sono loro a cune impegnate come personale meper la ferocia con la quale ha pordico o di supporto, altre in ruoli attivi tato a compimento le azioni militari. cercare cibo e acqua per la famiglia” ed eroine come lagiovacurda di combattimento. Sono tutte È il caso, ad esempio, di Irma Krat, nissime e alla loro prima esperienza giovane reporter (29 anni), caporedi guerra, tranne Tanja, che per di Hidden Truth Tv, e leader Sakinedattrice Cansiz, fondatrice del Pkk, imprigionata e mama torturata ha già partecipato ad altri conflitti. di un’unità di “Autodifesa femminile”, È stata medico di guerra durante il rapita a Slavjansk, città della regione dieci anni e nella uccisa in un attentato. Ed ancora asiatiche conflitto deldonne Nagorno-Karabach (picdi Donetsk, russofona Ucraina colo fazzoletto di terra del Caucaso orientale, con l’accusa di aver tortunei primi annisessuale Novanta. e ucciso diversi oppositori alla i loro governi sullameridionale) che si rato confrontano con loro salute Fatta prigioniera e picchiata dalle migiunta golpista di Kiev. Non è un selizie cecene (le c.d. “unità della morche la lotta ai separatisti ucraini perchégreto“in paesi come la Thailandia, l’Indonesia, la Cambogia, dove i turisti vanno e trovano tutto e tutto a un prezzo risibile, il corpo delle donne diventa arma e campo di battaglia: il mercato del sesso è vasto e diverso, tutto si può provare e tutto si può avere, e spesso a pagarne le conseguenze sono

In

la danza, la fotografia, i libri, la poesia, la pittura, le fiabe, le riviste, gli archivi, i congressi e i concorsi come ad esempio il premio Immagini Amiche (UDI). Moltissime pagine e finestre si sono aperte sulla produzione artistica e letteraria delle donne, sempre più numerose sia come fruitrici sia come soggetti attivi di divulgazione, ideazione e creazione. ❂

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*Socia della Cooperativa Libera Stampa

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donne-ragazze-bambine che non hanno la consapevolezza e le risorse per proteggersi”. NOIDONNE nomina, descrive, racconta tutte queste storie, specchio di tante realtà differenti, e lo fa con l’approfondimento e la scelta di dare cittadinanza, di far esistere notizie altrimenti consumate nello spazio di un minuto, allungandogli la vita in un mensile. I venti di crisi e di guerra degli ultimi anni sono raccontati attraverso gli occhi di chi nei contesti più difficili vive e lavora; i reportage danno spazio alla quotidianità più che all’orrore, alla speranza più che alla sconfitta, alla profondità più che allo scoop. Medio oriente e Europa dell’Est soprattutto, i mondi a noi più vicini geograficamente, sono raccontati attraverso la lente dei diritti come fa Zenab Ataalla che denuncia la detenzione in Egitto, nell’ultimo anno, di centocinquanta persone accusate di omosessualità e riferisce il lavoro dell’associazione indi-

repubbliche del Donbass che sembrano ripiegarsi su un lontano passato patriarcale e confessionale all’eccellenza delle migrant women writers, scrittrici migranti dell’Europa CentroOrientale che pubblicano in lingua italiana. E poi il Mediterraneo, quel mare che unisce e divide, ancora protagonista della Storia presente: le primavere arabe tradite; le giovani donne che vorrebbero cambiare il proprio mondo; la Turchia di Erdogan, raccontata da Emanuela Irace, che sempre

più mette sotto pressione le donne e mostra la faccia oscura di un regime; il Maghreb dove le donne, dice la collaboratrice Ilaria Pierantoni, sono mediamente più colte degli uomini (il 60% dei laureati è donna) e più aperte. E ancora il nostro posto nel mondo: la carovana femminista, Gennaio 2015 nata in seno alla grande rete della Marcia Mondiale delle donne, network internazionale femminista che conta oltre 6.000 associazioni presenti in più di 150 paesi; la rappresentanza pendente che si occupa di diritti umani Egyptian Initiative for Personal Rights o come fa Cristina Carpinelli, storica collaboratrice del giornale, esperta di tutto quanto si muove in Est Europa. La sua lunga e importante collaborazione, fondata su una conoscenza forte e amorevole di quei paesi, lascia alle lettrici della rivista un affresco delle eccellenze e delle contraddizioni che si sono espresse in questi anni di post

QAHERA

SUPEREROINA COL VELO

Gennaio 2015

QAHERA

Un’eroina dei fUmetti indossa l’hiJab e lotta accanto alle donne del mondo arabo mUsUlmano per conQUistare diritti e rispetto

SUPEREROINA COL VELO di Zenab Ataalla

Si chiama Qahera Jalabeya, indossa l’hijab ed è l’eroina delle donne arabe e musulmane.

ciato in un Rapporto, sottolineando che il 91% delle donne non si sente sicura di camminare per strada. Il problema, afferma la Il fumetto nasce nel 2011, al tempo della rivoluzione che ha dato fumettista, deve essere “affrontato socialmente non solo qui in Un’eroina deimatita fUmetti indossa l’hiJab un nuovo corso all’Egitto, dall’efficace di Deena Mohamed, Egitto, ma in tutto il mondo”. e lotta accanto“Le alle donne del mondo diciannovenne ideatrice del personaggio. donne musulmane In uno deiarabo fumetti Leyla, una giovane senza velo che indossa una mUsUlmano per conQUistare diritti e rispetto sono spesso rappresentate come oppresse ed in cerca di qualcamicia ed un paio di jeans, dopo essere stata vittima di molestie cuno che corra in loro aiuto. Questo è uno dei motivi per cui ho per strada le denuncia alla polizia. L’ufficiale che la accoglie invedato vita a Qahera”. Il compito di combattere la società misogina ce di arrestare il colpevole se la prende con la giovane, imputandi Zenab Ataalla egiziana è affidato ad una donna che appartiene alla medesima dole la colpa di indossare abiti troppo occidentali e poco modesti.

Si chiama Qahera Jalabeya, indossa l’hijab ed è l’eroina delle donne arabe e musulmane.

muro; dalla Slovenia che conquista il matrimonio tra persone delle stesso sesso e l’adozione per le coppie omosessuali alla battaglia delle donne contro il governo e la Chiesa polacca che vorrebbe arrivare al divieto assoluto di aborto; dalle neo

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Il fumetto nasce nel 2011, al tempo della rivoluzione che ha dato un nuovo corso all’Egitto, dall’efficace matita di Deena Mohamed, diciannovenne ideatrice del personaggio. “Le donne musulmane sono spesso rappresentate come oppresse ed in cerca di qualcuno che corra in loro aiuto. Questo è uno dei motivi per cui ho dato vita a Qahera”. Il compito di combattere la società misogina cultura. deciso di realizzare supereroina per comegiziana“Ho è affi dato ad una donnauna che appartienevelata alla medesima battere l’islamofobia che le donne reali che indossano l’hijab sono costrette a fronteggiare ogni giorno. C’è così poca rappresentanza delle donne che lo indossano, come se fossero al di fuori del mondo e del tempo. Rappresentarle non è una cosa sbagliata ed è per questo che ho voluto contribuire anche io con il personaggio di Qahera”. Deena Mohamed ha iniziato quasi per gioco tra amici, poi ha colto le potenzialità del suo personaggio, che sdogana ruoli e azioni non ci si aspetta da una donna musulmana che indossa il velo. Attraverso sua supereroina Deena affronta velata ancheper un comaltro cultura. “Holadeciso di realizzare una supereroina problema, a volte trattato in maniera superfi ciale dall’opinione battere l’islamofobia che le donne reali che indossano l’hijab sono pubblica aegiziana, ma molto sentito C’è dalle associazioni femminili, costrette fronteggiare ogni giorno. così poca rappresentanquello delle molestie sessuali che se molte donne hanno za dellecioè donne che lo indossano, come fossero al di fuori sudel bito dopo la rivoluzione del 2011. Il non fenomeno ha avuto propormondo e del tempo. Rappresentarle è una cosa sbagliata ed zioni tali che persino le Nazioni Unite nel 2013 lo hanno denunè per questo che ho voluto contribuire anche io con il personaggio

ciato in un Rapporto, sottolineando che il 91% delle donne non si sente sicura di camminare per strada. Il problema, afferma la fumettista, deve essere “affrontato socialmente non solo qui in Egitto, ma in tutto il mondo”. In uno dei fumetti Leyla, una giovane senza velo che indossa una camicia ed un paio di jeans, dopo essere stata vittima di molestie per strada le denuncia alla polizia. L’ufficiale che la accoglie invece di arrestare il colpevole se la prende con la giovane, imputanSulla strada ritorno Leyla si imbatte in un gruppo di ragazzi che dole la colpadel di indossare abiti troppo occidentali e poco modesti. arrivano a minacciarla con i coltelli. Qahera irrompe nella scena armata di una mazza da baseball, mette a terra i ragazzi e promette alla giovane Layla “non preoccuparti, aspetterò con te per testimoniare contro questi uomini”. Il fumetto finisce con i molestatori appesi al muro con sotto la scritta “Questi uomini sono perversi”. Perché, spiega Deena, sia Qahera e Layla sono vittime di harassment. Non c’entra il loro modo di vestire indossando il velo o i jeans, la responsabilità di queste violenze è della cultura maschilista comune in tutto il mondo. Nelle più recenti vignette Qahera si domanda e siritorno risponde “se non protegge molestie, Sulla strada del Leyla si l’hijab imbatte in un gruppodalle di ragazzi che cosa puòaavere quell’effetto? le previene dare unicaarrivano minacciarla con i Quello coltelli. che Qahera irrompeè nella scena mente la ai molestatori, gli unici socialmente, armata dicolpa una mazza da baseball, metteaarispondere terra i ragazzi e prometmoralmente e legalmente delle azioni che hannocon commesso”. te alla giovane Layla “non preoccuparti, aspetterò te per testi-Il messaggio è chiaro anche condiviso, il successo che rimoniare contro questie uomini”. Il fumetto visto finisce con i molestatori scuote la sua pagina Facebook, che conta più di 14mila amici. b appesi al muro con sotto la scritta “Questi uomini sono perversi”.

di Qahera”. Deena Mohamed ha iniziato quasi per gioco tra amici, poi ha colto le potenzialità del suo personaggio, che sdogana ruoli e azioni non ci si aspetta da una donna musulmana che indossa il velo. Attraverso la sua supereroina Deena affronta anche un altro

Perché, spiega Deena, sia Qahera e Layla sono vittime di harassment. Non c’entra il loro modo di vestire indossando il velo o i jeans, la responsabilità di queste violenze è della cultura maschilista comune in tutto il mondo. Nelle più recenti vignette Qahera si domanda e si risponde “se l’hijab non protegge dalle molestie,

femminile nei parlamenti; lo squilibrio di genere della popolazione globale che esiste a causa delle discriminazioni nei confronti delle donne. Il presente è difficile, per le donne e per NOIDONNE. In questa tormentata congiuntura la rivista pensa al suo futuro e non rinuncia alla possibilità di poter ancora attraversare il mondo al fianco delle donne. ❂

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DICEMBRE 2016

! O A I C LE A I C E P S O INSERT

A I R O T S A L L E B A R

prezzo sostenitore 3,00 euro Anno 71 - n.12

LA NOST

ISSN 0029-0920

ND_CV_DICEMBRE_2016_OKK.indd 2-3

13/11/16 20.17


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