NIP #21 Luglio 2014

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Periodico bimestrale, Registro Tribunale di Pisa n° 612/2012, 7/12 “Network in Progress” #21 Luglio/Agosto 2014


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Ludovica Marinaro_ ludovicamarinaro@nipmagazine.it Responsabile Atelier, tirocini

Claudia Mezzapesa_ claudiamezzapesa@nipmagazine.it Responsabile programmazione pubblicitaria e traduzioni Collaborano con NIP: Flavia Veronesi, Laura Malanchini, Nicoletta Cristiani, Claudia Magrì

Casa Editrice: ETS, P.za Carrara 16/19, Pisa Legale rappresentante Casa Editrice: Mirella Mannucci Borghini

Network in Progress Iscritta al Registro della stampa al Tribunale di Pisa n° 612/2012, periodico bimestrale, 7/12 “Network in Progress” ISSN 2281-1176

Copertina a cura di: Elisabeth Pérez Fernández Editing and graphics: Valerio Massaro Vanessa Lastrucci


Editoriale UN PAESAGGIO PER TE I

n quest’ultimo periodo, caratterizzato da una riconsiderazione dei nostri territori in chiave ecologica e dal rinnovamento disciplinare e professionale, appare sempre più importante, nella progettazione dei paesaggi contemporanei, il contributo dell’individuo alla genesi del paesaggio stesso e alla sua fruizione.

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ulla strada ormai segnata dalla Convenzione Europea del Paesaggio, che evidenzia la natura sociale di questo, e dalle proposte più avanguardiste che si aprono ai processi partecipativi, il paesaggismo più attuale si confronta con la progressiva preponderanza del ruolo sociale, tratto peculiare di un periodo di grande austerità culturale ed economica, e con la ricerca

dell’essenza, nelle architetture e negli spazi aperti. ’ultima Biennale ha evidenziato la necessità di comprendere i cambiamenti in atto, riconsiderando i modelli classici di progettazione.

ciale e mondiale di quel “Paesaggio per Te” di cui la Biennale stessa si fa portavoce, aprendosi quest’anno a tutto ciò che riguardi un interesse comune che ci permetta di ritrovare l’“essenza perduta” delle cose.

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tale scopo, in questa VIII Edizione della Biennale del Paesaggio di Barcellona, si è ricercata una dimensione di respiro mondiale, sia per quanto riguarda il Premio Rosa Barba, dedicato a progetti internazionali degli ultimi cinque anni, sia per il raggiungimento di nuovi obiettivi nel campo della ricerca e del dibattito contemporanei.

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a nuova Biennale vuol rappresentare una finestra sul mondo del paesaggio, su un senso so-

a Biennale Internazionale nasce dunque da un’idea interna comune di farsi portavoce di una rivoluzione sociale, dal carattere fortemente “personale”, che deve aprirsi a nuovi continenti e nuovi ambiti disciplinari: la dimensione civica del paesaggio deve essere una nuova guida per la progettazione e deve essere divulgata. n questo senso l’VIII edizione della Biennale rappresenta un elemento di crescita, sociale e pro-


fessionale, ed è per tutti noi un grande successo, sia per il gran numero di progetti che sono arrivati da tutte le parti del mondo, sia per la qualità di questi ultimi. Ciò ci rende più ottimisti verso un futuro di reale equilibrio tra i territori.

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arcellona ospiterà il mondo del paesaggio per tre giorni: dal 25 al 27 settembre si terranno lezioni, tavole rotonde, la presentazione dei finalisti e la proclamazione del vincitore del Premio del Paesaggio Rosa Barba e del concorso per Università di Architettura, e i due simposi internazionali “Un Paesaggio per Te” e “Qua, là e dappertutto”.

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relatori del Simposio “Un Paesaggio per Te”, che si svolgerà il 26 settembre,saranno: Martí Boada, geografo, naturalista e scienziato ambientale; Anna Lambertini, Studio limes architettura Paesaggio, autrice del libro Urban Beauty; Martin Rein Cano, fondatore del progetto Topotek1 e autore di Superkilen a Copenhagen; Kri-

stina Hill, docente presso la University of California di Berkeley; Saskia Sassen, sociologa ed economista, docente alla London School of Economics di Londra e presso la Chicago University; Chris Reed, direttore e fondatore di Stoss Landscape Urbanism a Boston; Claude Eveno, urbanista e docente all’École Nationale Supérieure de la Nature et du Paysage di Blois; Enric Granell, architetto e docente di Storia dell’Arte e dell’Architettura presso l’ETSAB (UPC); Yael Moria-Klein docente di paesaggio a la Technion – Israel Institute of Technology di Haifa; Francesc Muñoz, docente di Geografia Urbana presso l’Universidad Autónoma di Barcelona; Antonio Presti, artista, attivista sociale e pittore.

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a giornata conclusiva, “Qua, là e dappertutto”, andrà a beneficiare del grande lavoro svolto da alcune delle migliori riviste di paesaggio al mondo, promuovendo e diffondendo le nuove linee e tendenze editoriali attraverso la creazione di

un’appassionante rassegna virtuale, che rappresenterà un momento di incontro e di confronto tra le diverse voci che trattano tematiche legate al paesaggio.

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e nuove scommesse progettuali ed il progresso della ricerca, il dibattito disciplinare e le proposte per il futuro, saranno alcuni degli elementi che faranno aumentare il “fermento intellettuale”, all’interno di una sessione ricca di esclusive e recentissime informazioni nel settore paesaggistico.

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n ultimo sguardo, infine, all’Università. La prima Biennale del Paesaggio venne istituita nel 1999, in un momento di forte scambio e confronto tra il mondo professionale e quello universitario che vide la nascita, a Barcellona, del corso di Laurea Specialistica in Paesaggio.

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’idea di dedicare una Biennale al Paesaggio si è trasformata dalla scommessa di pochi ad un grande successo che


da ormai 14 anni ha continuato a crescere e migliorarsi, fino ad aprirsi completamente al mondo attraverso un simposio internazionale.

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necessario dunque sottolineare l’importanza da sempre rivestita da un mondo universitario fatto

di professori e di studenti, perché l’ambiente universitario rappresenta il terreno da cui tutto inizia, e finché gli studenti si interesseranno alla Biennale, la Biennale resterà viva e sarà una vetrina per tanti futuri progettisti, provenienti da banchi universitari di tutto il mondo.

Il Premio Internazionale Rosa Barba quest’anno è stato aperto a tutti i tipi di progetti di paesaggio e di pianificazione realizzati tra il 2009 e il 2014 in tutto il mondo. La giornata del 25 settembre celebrerà il vincitore tra gli undici progetti finalisti: • Ballast Point di Philip Coxall e Adrian McGregoor, McGregoor Coxall (Australia) • Arqueología de Paisaje Ruta de la Amistad di Pedro Camarena Berruecos, LAAP (Messico) • Qunli Stormwater Park di Kongjian Yu, Turenscape (Cina) • Parque de Aranzadi di Iñaki Sanz Alday e Margarita Jover Biboum, AldayJover Arquitecture y Paisatge (Spagna) • Folly Forest _ A Dance Floor for 100 Trees di Dietmar Straub e Anna Thurmayr, Fontaine Landscaping Inc. Cooperation (Canada) • Las Termas Geométricas di Germàn Del Sol Guzman, Germàn Del Sol Architects (Cile) • Queens Plaza di Margie Ruddick, Margie Ruddick Landscape (USA) • Making Space in Dalston di Johanna Gibbons, J & L Gibbons + muf architecture/art (Regno Unito) • Auckland Waterfront: North Wharf Pro-

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vunque paesaggi per voi!

A cura di Flavia Veronesi e Laura Malanchini da un’interrvista a Jordi Bellmunt

menade and Silo Park di Perry Lethlean, TCL+WA (Nuova Zelanda) • The High Line di James Corner, James Corner Field Operations (USA) • The Landscape Restoration of the Vall d’en joan Landfill Site di Enric Batlle, Joan Roig Duran Durany e Teresa Gali-Izard, Batlle I Roig (Spagna) Tutti i progetti, selezionati da una Giuria Internazionale, formata da Desiree Martínez ex presidentessa della Federazione Internazionale di Architettura del Paesaggio, Michael Van Gessel, Presidente della Giuria, paesaggista e attualmente docente presso Berkeley, Sue Anne Ware, docente di Architettura del paesaggio e Vicepreside della Ricerca presso la RMIT University di Melbourne, Martí Franch, vincitore della 7° Biennale Europea del Paesaggio, Piede Ricard, docente di pianificazione urbana e regionale presso la Scuola di Architettura del Vallès (UPC) e Manel Colomina, agronomo e professore di Architettura del Paesaggio presso il Master in DUOT (UPC), saranno pubblicati sul Catalogo dell’8° Biennale del Paesaggio ed esposti nella mostra del Premio Rosa Barba.



Contents

#21 RUBRICHE

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Architettura che ci piace p Arm, aber sexy! di Stella Verin

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Bcn RE.SET immagini di Itaca Freelance, testo di Laura Malanchini

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FOCUS ON

INJURED LANDCAPES: reuse & recycle di Rita Occhiuto INTERVISTA

BCN RE.SET. Un itinerario nei diversi

della trasformazione urbana 47 livelli Intervista a Benedetta Tagliabue

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a cura di Ludovica Marinaro

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IL PROGETTO

Aumentare gli alberi in città: ci pensa sTreet di sTreet CREATIVITÀ URBANA

ROMANO. Tra consumo di suolo e 69 L’AGRO perdita di carattere identitario

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di Nuria Chiara Palazzi

2016, idas e vindas 79 RIO di Giampaolo Granato

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foto di Aecom

LE RECENSIONI

_il libro_ LA CITTÀ E L’ALTRA CITTÀ. Racconti ed esperienze in- p disciplinate nella pianificazione anti-fragile di Paola Pavoni

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ELISABETH PÉREZ FERNÁNDEZ

Quando mi chiedono “tu cosa fai?” per me é sempre difficile spiegare tutte le cose in cui lavoro, ma adesso é molto piú facile: ho creato una piccola casa editrice. Prima di solito dicevo che io racconto storie, ma non sempre con parole, anche con i video, e le immagini che faccio. A casa mia si sono sempre raccontate tante storie. Il mio nonno, il mio babbo... non avevamo bisogno di leggere prima di dormire, sempre c’erano delle parole che volavano sul soffitto. Laureata in Belle Arti preso l’universitá dei Paesi Baschi, con indirizzo video e fotografia, ho giocato per anni con l’ animazione analogica ed il video. I primi lavori che ho avuto sono stati come professoressa di arte per bambini in una scuola, e per giovani nelle case di cultura. Intanto, ho sempre continuato a lavorare con il disegno e la scrittura. La relazione tra l’illustrazione, il disegno di spazi di carta con il mondo del teatro ed il cinema mi ha suscitato curiositá per la scenografia, quindi ho lavorato per diversi videoclip creando sfondi ed oggetti di carta e cartone.

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Giá durante il mio erasmus all’Accademia di Belle Arti di Firenze, ho studiato scenografia, e dopo qualche tempo ho approfondito questi studi con un master in arti e scienze dello spettacolo. In quel periodo già avevo fatto due piccoli libri scritti e quattro album scritti ed illustrati, e lavoravo ogni estate in una scuola d’illustrazione in Puglia facendo la traduttrice nei corsi di Gabriel Pacheco, Violeta Lopiz e Roger Olmos.


Ho anche lavorato presso il dipartimento di Educazione ed Azione Culturale del museo di arte contemporánea Artium di Vitoria, e questi ultimi due anni sono stata immersa in un progetto di ricerca artística per il Museo di Belle Arti di Bilbao, dove oltre a fare documentari in video sugli artisti che ho intervistato, ho collaborato e collaboro ancora con il suo dipartimento di educazione facendo workshops con bambini. In tutto questo tempo ho continuato a scrivere e disegnare, e conservavo sempre le mie storie dentro una vecchia valigia che a volte portavo fuori per farle leggere ai miei amici mentre prendevamo una tisana. Una di queste volte una donna che non conoscevo ha iniziato a piangere leggendo uno dei miei libri, ed é stato il fatto che mi ha fatto pensare che forse dovevo fare arrivare le mie storie ad altre persone. Piano piano, dopo aver fatto un corso di gestione di aziende e risparmiato abbastanza, sono riuscita ad aprire Bonito Editorial e a pubblicare i miei due primi libri. Adesso sono di nuovo a Firenze studiando grafica per l’editoria, grazie a una borsa di studio all’estero che mi hanno dato dopo aver fatto parte di un gruppo di studenti d’eccelenza chiamato Bizkaia-Talent. Adesso frequento questo corso allo IED, con l’idea di poter fare illustrazione, scrittura ed anche impaginazione dei libri prima di inviarli a stampa. Poichè torno spesso a Bilbao per lavorare nei progetti che mi chiedono, vivo tra queste due case, la mia piccola casa di San Niccoló, e quella ai paesi baschi dove ci sono la mia famiglia e gli amici di tutta la vita. Ho voluto con questo disegno inserire delle cose che mi mancano quando sono alla mia casa italiana: due vecchietti suonando la txalaparta, uno strumento antichissimo basco che fa il rumore del legno dei nostri alberi, il mare... ed i colori del bosco dipinto di Oma. I fiori secchi che ho disegnato li conservo al mio studio di Bilbao in una piccola scatola di vetro sulla scrivania. Ogni volta che viaggio porto a casa dei fiori secchi interessanti che trovo, questi sono del giardino del trullo della mia amica Francesca a Martina Franca, e li ho messi insieme alle cose basche, fiori italiani con rumore di legno basco, perche é cosí come mi trovo adesso, tra questi due mari e paesaggi della mia vita.

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Architettura che ci piace/ non ci piace

Arm, aber sexy!

Povera ma sexy! È sulla scia di questa definizione della città di Berlino che si è tenuto uno dei dibattiti più accesi degli ultimi anni nella città stessa. Questo breve aforisma sintetizza molto bene il contrasto che vive quotidianamente la città tedesca, che pur essendo la capitale dello stato europeo con il maggiore tasso di crescita economica, si trova a doversi scontrare quotidianamente con un debito pubblico cittadino molto elevato. È per ovviare a questo problema e alla crescente necessità di alloggi popolari che il governo cittadino aveva varato nel 2011 un progetto, curato dallo studio architettonico scozzese Gross Max per un ammontare di 60 milioni di euro, con il fine di ridisegnare uno degli spazi urbani verdi dismessi più grandi della città, il Tempelhofer Feld. Il progetto avrebbe previsto la costruzione di nuove zone residenziali per un ammontare di 5.000 nuovi

di Stella Verin, foto di Félix Sanz Palomino

appartamenti, principalmente posizionati in aree perimetrali del parco. Di questi appartamenti solo il 18% sarebbero stati destinati ad edilizia popolare, il resto sarebbe stato destinato alla costruzione di appartamenti di lusso. In aggiunta il progetto prevedeva una biblioteca di stato, piste ciclabili, unità commerciali, scuole e asili, insieme ad un bacino artificiale di circa quattro ettari, che sarebbe stato utilizzato anche per la gestione delle acque piovane. Le nuove costruzioni avrebbero dovuto occupare 110 ettari, preservando 230 degli attuali 340 ettari di spazio verde. L’aeroporto dismesso dal 2008 è ad oggi uno degli spazi verdi più significativi della città; i suoi enormi prati liberi fanno gola a molti investitori, che qui vorrebbero costruire. Il 25 Maggio passato in occasione delle elezioni europee a Berlino si è votato, attraverso un referendum popolare


Architettura che ci piace/ non ci piace

ottenuto grazie alla raccolta di 185 mila firme da parte di una associazione di cittadini nata spontaneamente. I cittadini hanno decretato in maniera unanime, e indiscriminatamente dal quartiere di residenza, che il parco dovrà rimanere quello che è: uno spazio verde intorno ad un luogo della memoria cittadina, ma soprattutto un luogo di svago e di decompressione all’interno di una città in continuo movimento. Sarà a causa della sua sconfinatezza che si ha la sensazione, una volta attraversati i suoi cancelli per entrarvi, che il tempo si fermi, e che ti inviti a rallentare. Al suo interno ci sono piste da jogging, uno skatepark,

aree dedicate a numerosi sport o per organizzare picnic e barbecue, orti urbani, campetti da basket e calcio, un’area riservata ai cani e, in determinati periodi dell’anno, aree riservate ad uccelli. Insomma, chi più ne ha più ne metta! I cittadini hanno deciso di non seguire le regole del mercato, ma seguire le regole della qualità della vita e degli spazi in cui viverla. Quello che ci deve far pensare in merito a questa faccenda è senza dubbio l’azione che i cittadini hanno messo in atto, l’affermazione del diritto di decidere… decidere anche che a volte l’architettura che vale la pena di realizzare è la non architettura!


Flavia Veronesi e Stefano Visconti Itacafreelance Itacafreelance nasce nel 2011 per raccontare attraverso il linguaggio fotografico, le relazioni che si istaurano tra le persone, il fascino di differenti luoghi, la bellezza e le contraddizioni intrinseche in ciascuna cultura. http://www.itacafreelance.it/

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BCN RE.SET A cura di ITACA FREELANCE (foto) e Laura Malanchini (testi)

Il progetto BCN RE.SET è un circuito urbano composto da sette “architetture effimere” che nasce come atto celebrativo del Tricentenario dell’Assedio di Barcellona. Quest’anno, infatti, la città commemora la resistenza del popolo catalano e la sua caduta in mani borboniche, l’11 settembre 1714. Il punto di inizio del circuito è un muro all’interno del Parco della Ciutadella, fortezza che aveva un significato polisemico di difesa della città sia dall’esterno che dall’interno, dai cittadini disobbedienti al potere borbonico. Un muro che simbolicamente vuole proteggere i sogni e la memoria di tutti e che allo stesso tempo diventa spazio di ribellione verso la società che lo ha creato. Qui il 10 giugno sono state inaugurate le altre sei installazioni, in un’azione partecipata di teatro-pittura che ha coinvolto gli studenti dell’Institut del Teatre e diversi artisti di murales emergenti. Il significato globale dell’opera propone una riflessione su valori come la Democrazia, la Libertà, la Memoria, l’Identità, la Diversità e l’Europa, attraverso una serie di strutture permeabili che creano momenti di condivisione e collettività a partire da azioni individuali. Il duplice obiettivo, educativo e di collaborazione, oltre che nel tipo di fruizione finale, viene perseguito anche nel processo di concezione e costruzione delle installazioni, realizzate da diverse firme internazionali insieme a varie scuole di architettura e collettivi di Barcellona. L’intero progetto, visitabile fino all’11 settembre, è stato organizzato dal Comune di Barcellona e dalla Fondazione Enric Miralles all’interno degli “Atti del Tricentenario” a cura di Toni Soler, e coordinato dall’architetto Benedetta Tagliabue e dal direttore di scena Àlex Ollé.

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IL MURO

Muri che sono storia di amori e disamori. Muri che quando la giustizia è insopportabile devono essere trasformati.


Parc de la Ciutadella Progettisti: Benedetta Tagliabue e Àlex OllÊ

Una storia raccontata con diversi linguaggi e materiali: i murales, a celebrazione della cultura catalana, sono incorniciati da un percorso di acciaio e legno che permette di ripassare la storia di Barcellona attraverso piccole azioni ludico-educative.


IDENTITÀ Dall’arco romano alla volta catalana

Il senso identitario nasce dall’unione dei singoli verso un obiettivo comune. Quello di Barcellona è simboleggiato da quattro volte catalane generate dalla forte coesione che si crea, come nei castelli umani, tra piccoli tasselli di bambù, in una struttura diafana che divide la piazza ricreandone le antiche dimensioni.


Plaรงa Nova Progettisti: URBANUS con la collaborazione della Escuela de Arquitectura La Salle


RITA OCCHIUTO, PhD Professor in Architecture and Landscape Design LabVTP Ville-Territoire-Paysage Faculté d’Architecture Université de Liège (ULG) r.occhiuto@ulg.ac.be She is actually Director of the Laboratory LabVTP“Ville-Territoire-Paysage”-at the Faculty of Architecture, University of Liège ( BE) also member of the Doctoral School in Art to build and town planning - Section Architecture - and President of the Architectural Research Department of the Faculty of Architecture – ULG - She is been an UNISCAPE Founder Member of European Network of Universities for the implementation of the European Landscape Convention and actually is involved as one of the most active members of UNISCAPE. Her major and remarkable research activity is concerned about Publica Spaces Design, Landscape and Urban Morphological Dialectiicts, Industrial and Rural Regneration, Innovation to ménage Landscape Urban Design.


INJURED LANDSCAPES: REUSE & RECYCLE di Rita Occhiuto

PAESAGGI INCISI: RIUSO & RICICLO di Rita Occhiuto


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The commitment requires that the landscape and the complexity of the issues that it brings up the body of the European Convention: a text whose thickness holds a multitude of possible readings that are too often simplified, deliberately circumvented or ignored. This commitment implies an involvement, which requires knowledge of places and conditions of the existing equilibrium, such as those of the Dweller attentive to the evolution of their environment. The same commitment is required at the designer who, according Corajoud, must remain the “guardian of the project,� to explicate the contents, making them understandable and appropriated, accompanying the process of transformation of space over time. This position differs profoundly from the practice of project that acts on points or areas, processing refunds of initial reduced to a unique representation for pictures at different scales and dissected, that little dialo-

gue. It inserts derived from the context of uneven development, unable to maintain or to weave new relationships between spaces and meanings. The implementation of the European Landscape Convention requires more interactive approaches that involve the knowledge factory, bring into play the University. The network UNISCAPEEUROPEAN NETWORK FOR THE IMPLEMENTATION OF THE EUROPEAN LANDSCAPE fully welcomes the call to action and aims to affirm the centrality of the landscape, to be treated as a critical issue for knowledge and development. This involves the translation from the classical notion of landscape as a result of additional components to the more contemporary, the landscape as a subject of continuous interactions, of which factors are inseparable and interdependent over time. The seminars are transformed into


Altoforno di Seraing sur Meuse, Belgio)

L’impegno che il Paesaggio richiede e la complessità degli aspetti che esso riunisce costituiscono il corpo della Convenzione Europea: un testo il cui spessore racchiude una molteplicità di letture possibili che troppo spesso vengono semplificate, eluse o volutamente ignorate. Tale impegno implica un coinvolgimento, che richiede conoscenza di luoghi e condizioni d’equilibrio dell’esistente, come quelle dell’abitante attento all’evolvere del proprio ambiente. Lo stesso impegno è richiesto al progettista che, secondo Corajoud, deve restare il “custode del progetto”, per esplicitarne i contenuti, renderli comprensibili ed appropriabili, accompagnando il processo di trasformazione dello spazio nel tempo. Questa postura differisce profondamente dalla pratica del progetto che agisce per punti o per zone, elaborando restituzioni di un unicum iniziale ridotto a una rappresentazione per quadri a scale diverse e dissecate, che poco dia-

logano tra loro. Ne derivano inserti di costruzioni sconnesse dal contesto, incapaci di mantenere o d’intessere nuove relazioni tra spazi e significati. L’attuazione della Convenzione Europea del Paesaggio richiede approcci più interattivi che, coinvolgendo le fabbriche del sapere, mettono in gioco le Università. La rete UNISCAPE-EUROPEAN NETWORK FOR THE IMPLEMENTATION OF THE EUROPEAN LANDSCAPE accoglie pienamente l’invito all’azione e ambisce ad affermare la centralità del paesaggio, da trattare come tema critico di conoscenza e di sviluppo. Ciò comporta la traslazione dalla nozione classica del paesaggio come risultante di componenti addizionali a quella, più contemporanea, del paesaggio come soggetto d’interazioni continue, i cui fattori sono inscindibili ed interdipendenti nel tempo. I seminari si trasformano così in meeting paesaggistici, volti ad articolare questioni locali, corrispondenti alle

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Altoforno di Seraing sur Meuse, Belgio

meetings landscaped aimed at articulating local issues, corresponding to the conditions of real landscapes in which different universities of the network are to act on a daily basis, with global issues, corresponding to the generality of problems instead of mutation, imbalance, degradation, isolation, fragmentation, and more. “UNISCAPE En-Route�, because of its itinerant character, will experience from time to time a local landscape, to perceive and understand in situ, from which the emergence of more general topics and shared. From this time travel and landscape could derive the structure of a first overview composed from the set of snippets of territoriality particular - those in places of belonging to the university network space-time assembly that precisely the unfolding of the cycle seminars, could lead to the definition of type-profiles of the European landscape. And although 24

divided, disjointed and dismembered in a variety of particles, will emerge stories, origins and symptoms useful to the identification of lines and methods of intervention worthy of the thickness of the Convention. In this way the differences and similarities could be considered as factors of new complementarity and cohesion to be placed in front instead of what today is gradually making research of European competitiveness a process of self-destruction. The fragmented landscape that sets us apart is the mirror of the existing tensions and dialectics to be considered at the same time as a poison antidote and processes in place, a poison produced by the forces opposed to the bitter end between natural and man-made, but at the same time an antidote, derived from the study depth of the degenerative process in progress.


condizioni di paesaggi reali nei quali le diverse università della rete si trovano ad agire quotidianamente, con questioni globali, corrispondenti invece alla genericità di problematiche di mutazione, squilibrio, degrado, isolamento, frammentazione ed altro. “UNISCAPE En-Route”, proprio per il suo carattere itinerante, intende sperimentare di volta in volta un paesaggio locale, da percepire e comprendere in situ, dal quale far emergere tematiche più generali e condivisibili. Da questo viaggio temporale e paesistico potrebbe derivare la struttura di un primo quadro sinottico composto dall’insieme di frammenti di territorialità particolari – quelle dei luoghi d’appartenenza delle università della rete -, che nell’assemblaggio spazio-temporale proprio allo svolgersi del ciclo di seminari, potrebbe condurre alla definizione di profilitipo del paesaggio europeo. E seppure divisi, sconnessi e smembrati in molteplici particelle, ne emergeranno storie,

origini e sintomi utili all’individuazione di linee e metodi d’intervento degni dello spessore della Convenzione. In tal modo differenze e similitudini potrebbero essere assunte come fattori di nuova complementarietà e coesione da porre a fronte di quanto invece oggi sta progressivamente facendo della ricerca di competitività europea un processo di auto-distruzione. Il paesaggio frammentario che ci contraddistingue è lo specchio di tensioni e dialettiche esistenti da considerare al tempo stesso come veleno ed antidoto dei processi in atto: un veleno prodotto dalla contrapposizione ad oltranza tra forze naturali ed antropiche, ma nel contempo un antidoto, derivante dallo studio approfondito del processo degenerativo in corso. In effetti, è in esso stesso che si trovano fasi ed elementi significativi da riutilizzare per ristabilire equilibrio e co-azione per influenzare, accompagnare e persino invertire le logiche di sviluppo.

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In fact, it is in the same phases and elements that are significant for reuse in order to restore balance and co-action to influence, accompany and even reverse the logic of development. “In October, the Faculté d’Architecture de l’Université de Liège (Ulg - Belgium) organizes a seminar cycle UNISCAPE En-Route to give voice and visibility to the new landscape on which the University interacts on a daily basis through research, training and continuous monitoring of the phenomena of transformation that inhabit and characterize it. The interest brought to the places dell’interagire daily, allows you to answer one of the more complex missions established by the European Landscape Convention: engage and take responsibility for the processes of learning, study, and dissemination project that technical, scientific experimentation and thought socio-cultural expert, produced by universities should be able to support in order to fuel comparisons with the knowledge and management of a local nature. Starting from

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the implicit knowledge (G. De Matteis) contexts that still hold signs and narratives that have been dormant lost readability, the seminar is offered as a “laboratory” in which the local and the global interact, the material and the ‘immaterial, formal and informal, as well as anything factor that allows to make visible and perceivable what’ is no longer. Topic CON-TEXT “Engraved Landscapes: Reuse and Recycling” - “Injured Landscapes: Reuse and Recycle” Through a dialogue open system, the theme invites us to rediscover the landscape text and / or context already written, to know how to read and rewrite again, cyclically, continuously and even almost involuntarily. The urge to go back to reading the scriptures places refers to the request for design of equal thickness and complexity of the existing. Writing leaving traces, leads us to re-


In ottobre, la Faculté d’Architecture de l’Université de Liège (Ulg - Belgio), organizza un seminario del ciclo UNISCAPE En-Route per dar voce e nuova visibilità al paesaggio con il quale l’università interagisce quotidianamente attraverso ricerca,formazione ed osservazione continua dei fenomeni di trasformazione che lo abitano e lo caratterizzano. L’interesse portato ai luoghi dell’interagire quotidiano, permette di rispondere ad una delle missioni più complesse stabilite dalla Convenzione Europea del Paesaggio: impegnarsi e farsi carico dei processi di conoscenza, studio, progetto e diffusione che tecnicità, sperimentazione scientifica e pensiero socio-culturale esperto, prodotti dalle università, devono riuscire a supportare allo scopo di alimentare confronti con saperi e gestione a carattere locale. Partendo dal sapere implicito (G. De Matteis) di contesti che detengono ancora segni e narrazioni sopite di cui si è persa la leggibilità, il seminario si offre come un “laboratorio” al cui interno interagiscono il locale ed il glo-

bale, il materiale e l’immateriale, il formale e l’informale, così come tutt’altro fattore che permetta di rendere visibile e percepibile ciò che non lo è più. TEMA CON-TESTO Paesaggi Incisi: Riuso e Riciclaggio Injured Landscapes: Reuse and Recycle Attraverso un dialogo a sistema aperto, il tema invita a riscoprire nel paesaggio un testo e/o un contesto già scritto, da saper leggere e riscrivere di nuovo, ciclicamente, ininterrottamente e persino quasi involontariamente. L’urgenza di tornare a leggere i luoghi rinvia alla richiesta di scritture progettuali di eguale spessore e complessità dell’esistente. La scrittura lasciando traccia, porta a riflettere sul senso dell’incisione, che come nella metafora del palinsesto (A. Corboz) - un supporto inciso a più riprese, in cui il susseguirsi di scritture e cancellazioni non riesce mai ad eliminare completamente i segni pre-

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Segni ValleMeuse UniveristĂ di Liegi R. Occhiuto

Planimetria generale dell’area degli altiforni a Seraing, Belgio. HF6_ElisaBaldin_ClaudiaPorzionato_ IUAV&Fac. Architettura ULG Relatori R. Bocchi, R. Occhiuto

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Carta Van der MALEN 1850 Chaudfontaine

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flect on the meaning of the incision, which, as in the metaphor of the palimpsest (A. Corboz) - support engraved on several occasions, in which the succession of writings and cancellations can never completely eliminate the signs of pre-existing - pushes you to reconsider the continuing actions that affect and modify the materials of the landscape. J. Derrida, referring to the writing evokes the responsibility inherent in deciding to support a plow, cutting it. A groove is the result of decision and desire to write and modify the surface of the soil, leaving the track. So if you write it means changing the state of the soil, even engrave projects, build and divert existing lines already drawn by the interactions of natural and artificial phenomena, corresponds to permanently transform the existing one. These scriptures or construction of natural / artificial correspond to alterations, as bearers of intentions that are followed over time and often overlap in the show familiar forms of reuse of previous signs and materials, thus giving rise to 30

the writings of recovery and prolongation existing in time. The incision is an action that changes in depth, but it is also a concept that refers to the thickness of the material “shake”. If build is meant to go beyond the simple to organize, distribute, link, or shape, for the purpose of integrating the consciousness to alter, affect and reconfigure layers and balances between the materials of the landscape, every human action can acquire meanings deep that refer to the willingness and ability to decide and act. The actions and the planning that goes with it, depending on the attitude to make choices based on systems capable of adapting to the changing nature of the interrelations that govern the balance between natural and human forces. Based on these theoretical assumptions, the theme of the seminar - declined along the axes of the “memory”, “layering and schedule”, “interaction between man and nature” and “design attitude or prospecting”- inspired by the observation of the succes-


esistenti – spinge a riconsiderare il persistere di azioni che toccano e modificano i materiali del paesaggio. J. Derrida, facendo riferimento alla scrittura, evoca la responsabilità insita nel decidere di solcare un supporto, incidendolo. Un solco è frutto di decisione e volontà di scrivere e modificare la superficie del suolo, lasciandovi la traccia. Quindi, se scrivere significa modificare lo stato del suolo, anche incidervi progetti, costruirvi e deviare le linee preesistenti, già tracciate dalle interazioni di fenomeni naturali e artificiali, corrisponde a trasformare in modo permanente l’esistente. Tali scritture o costruzioni con materiali naturali/artificiali, corrispondono ad alterazioni, portatrici di intenzioni che si susseguono nel tempo e spesso nel sovrapporsi, mostrano forme esperte di riuso di segni e materiali precedenti, dando luogo così a scritture di recupero e di prolungamento dell’esistente nel tempo. L’incisione è un’azione che modifica in profondità, ma è anche un concetto che rinvia alla densità del composto di materiali. Se per costruire s’inten-

de andare oltre il semplice organizzare, distribuire, collegare o dare forma, allo scopo d’integrare la coscienza di alterare, incidere e riconfigurare strati ed equilibri esistenti tra i materiali del paesaggio, ogni azione antropica può acquisire significati più profondi che fanno riferimento alla volontà e alla capacità di decidere e di operare. Le azioni e la progettualità che ne consegue, dipendono dall’attitudine ad operare delle scelte fondate su sistemi capaci di adattarsi alla mutevolezza delle interrelazioni che regolano gli equilibri tra forze naturali ed umane. Partendo da questi presupposti teorici, il tema del seminario - declinato secondo gli assi della “memoria”, “stratificazione e palinsesto”, “interazione tra uomo e natura” e “attitudine progettuale o di prospezione” – prende spunto dall’osservazione del succedersi delle azioni che hanno lasciato e lasciano ancora segni nel paesaggio di ancoraggio dell’università di Liegi: la valle della Mosa, un insieme composito di artefatti naturali e umani, assunto

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Schemi delle linee delle “Iles Vallée”, R. Occhiuto, Università di Liegi

sion of actions that have left and still leave signs in the landscape anchor of the University of Liege the Meuse valley with a combination of natural and human artifacts, taken as a basic text for studies, reflections, projects, actions and dynamic times to the future. Entertained by close dialogue between the city and the river, closely linked to the concepts of fluctuation, instability and cyclical shows the centrality of a complex geomorphology of the island, which became the subject site and the alternation of phases with a strong natural stages overthrow of the total number of states of equilibrium achieved, due to the increasing dominance of man on the environment.

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From a landscape of island origin, consisting of a network of lands and waters oblong unstable vagrant (ground zero), precisely where most tumultuous rivers reached the Meuse, a space is progressively fortified citadel which

looked like a Venetian lady belt from the river. The expansion gives way to a double movement of change. The existing rural landscape is attached on the surface, the sprawling property of roadways, railways and waterways increasingly cutters and is in the basement, crawl from the depths of industrial workings from the bowels of the earth, moves like a rhizome and creates corresponding resurgence in new industrial centers. The bucolic character of a rural life more and more vanishing, gradually gives way to a polycentric agglomeration that, relentlessly, day and night, digging, burning, builds up and sheds, gradually covering the old layer of new signs of rural society emerging industry. Fields and villages suffer the interconnection of artefacts such as machines and chimneys, with the mountains of slag calls terril, transform the bucolic landscape in an accumulation of mate-


come testo di base per studi, riflessioni, progetti, azioni e dinamiche volte verso il futuro. Dal dialogo serrato intrattenuto tra città e fiume, intimamente legato ai concetti di fluttuazione, instabilità e ciclicità si evince la centralità di una geomorfologia insulare complessa, divenuta luogo e materia dell’alternarsi di fasi a forte valenza naturale a fasi di sovvertimento totale degli stati d’equilibrio raggiunti, dovute al crescente dominio dell’uomo sull’ambiente. Da un paesaggio d’origine insulare, costituito da un intreccio di terre oblunghe instabili ed acque vagabonde (ground zero), proprio là dove più corsi d’acqua raggiungevano tumultuosamente la Mosa, trova progressivamente spazio una cittadella fortificata dalle sembianze di una dama veneziana cinta dal fiume. L’espansione dà il via ad un duplice movimento di mutamento. Il paesaggio rurale esistente è attaccato sia in superficie, dalla struttura tentacolare di infrastrutture viarie, ferro-

viarie e fluviali sempre più trancianti e sia nel sottosuolo, dallo strisciare profondo del lavorio industriale che dalle viscere della terra, avanza come un rizoma e crea risorgenze corrispondenti a nuovi nuclei industriali. Il carattere bucolico di una ruralità sempre più evanescente, cede progressivamente il passo ad un’agglomerazione policentrica che, senza tregua, di giorno come di notte, scava, brucia, accumula e getta, ricoprendo gradualmente l’antico strato rurale di nuovi segni della società industriale emergente. Campi e villaggi subiscono l’interconnessione di artefatti come macchine e ciminiere che, con le montagne di scorie chiamate terril, trasformano il paesaggio bucolico in un accumulo di materiali che sputano fumo, fuoco e fiamme. Questo processo precoce di sovrapposizione di un sistema sull’altro è l’inizio di uno sviluppo della città e del suo intorno che procede voracemente ed ininterrottamente fino alla

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Canal Albert, Chertal, Belgio

rials that spew smoke, fire and flames. This early process of superimposition of a system on the other is the beginning of a development of the city and its surroundings and voraciously that proceeds without interruption until the mid-twentieth century, passing through a glorious phase in the nineteenth century in which man and nature, collaborating, reconfigure the layout river Meuse, reclaimed the unhealthy districts of the old city center, creating new functional areas in which new types of buildings flanked boulevards, gardens, squares, tree-lined walks and riverside, enhancing the scenic quality of the balance between river site and architecture. THE RIVER MOSA, INFRASTRUCTURE AS A LANDSCAPE At this stage of reconciliation between human actions and natural, it replaces another that pushes the most of man’s dominion over nature: the Meuse becomes an infrastructure of inland wa34

terways, serves industries, losing all previous interactions urban and landscape. The end of the twentieth century marks the end of that domain and energy crises and industrial stop gradually, until finally put to rest, the restlessness of an era that had no awareness of the limits of those same natural systems with which it had previously had the opportunity to collaborate. Today the text of the Meuse valley shows signs of deconstruction. The profound change in the course touches the structures of a syntax that ruled a landscape and communities whose cultures were closely linked to the nature of the substrate mining. When the balance of the underground system fails, the surface landscape takes the form of abandonment. The resurgent industrial, shutting down, they release large portions of the territory, creating a number of “enclaves� that alter the continuity of the landscape. While the territory apparently shuts


metà del XX secolo, passando attraverso una fase gloriosa nel XIX secolo in cui uomo e natura, collaborando, riconfigurano il tracciato fluviale, della Mosa, bonificano i quartieri insalubri del vecchio centro, creano nuovi quartieri funzionali in cui nuove tipologie edilizie affiancano boulevard, giardini, piazze, passeggiate alberate e lungofiume, esaltando le qualità scenografiche del rapporto equilibrato tra fiume, sito ed architettura. IL FIUME MOSA, COME INFRASTRUTTURA PAESAGGISTICA A questa fase di conciliazione tra azioni umane e naturali, ne subentra un’altra che spinge al massimo il dominio dell’uomo sulla natura: la Mosa diviene una infrastruttura di trasporto fluviale, serve le industrie, perdendo tutte le interazioni urbane e paesistiche precedenti. La fine del XX secolo segna la fine di tale dominio e le crisi energetiche ed industriali arrestano progressivamente, fino a mettere a tacere definitivamente, la febbrilità di un’epoca che non aveva coscienza dei limiti di quegli stessi sistemi naturali con i quali precedentemente aveva avuto l’opportunità di collaborare.

Oggi il testo della valle della Mosa mostra i segni della decostruzione. Il cambiamento profondo in corso tocca le strutture di una sintassi che ha governato un paesaggio e delle comunità le cui culture erano strettamente legate dalla natura del sostrato minerario. Quando l’equilibrio del sistema sotterraneo viene a mancare, in superficie il paesaggio prende le sembianze dell’abbandono. Le risorgenze industriali, in fase di spegnimento, liberano grandi porzioni di territorio, creando numerose “enclaves” che alterano la continuità del paesaggio. Mentre il territorio apparentemente si spegne e perde le attività, sostituite dall’oblio e dalla sospensione del tempo, altri fattori, meno visibili iniziano ad agire: il sistema dei vuoti e le dinamiche vegetali. Infatti, il moltiplicarsi dei tipi di luoghi già usati, alterati, deformati, incisi e persino feriti, conduce alla paradossale visibilità dell’assenza, provocata dal riassorbimento e sparizione delle precedenti emergenze. I luoghi s’offrono allora alla ricolonizzazione vegetale, trasformandosi in “friches”: luoghi di rinnovata dialettica naturale dal potenziale progettuale poco o per nulla relazionato ai proget-

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down and loses its activity, oblivion and replaced by the suspension of the time, other factors begin to act less visible: the system of voids and plant dynamics. In fact, the proliferation of types of places have already been used, altered, distorted, and even engraved wounded, leads to the paradoxical absence visibility, caused by the absorption and disappearance of previous emergencies. Points then offer themselves to the plant recolonization, becoming “waste lands” means places of renewed natural dialectic of the potential design for little or nothing related to the projects reuse. The spread in large-scale returns of the absence of visibility in places such as the potential new resource of sustainable development is still difficult to popular perception and adoption policy.

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These engraved landscapes, are the subject of dis-location, dis-junction and dissociation (B. Goetz). Suffer, in general, the loss of each type of relationship that allows the re-insertion into a system of elements perceptible. If you look at most, a new feature that allows the reuse of large areas and buildings decayed and considered mere surfaces and empty shells. But if it were possible to observe more closely the conditions and the characters, with their potential to reunite the context, new elements emerge, through the logic design, hypothesis may give rise to new urban landscapes and landscape structure. Reinserted into the structures of territorial systems still active they may embody “new chains of signifiers” (Umberto Eco). From the study of landscape of river Mosa, emerge considerations that will recognize other types of factors that generate projects to structure flexible, because designed to rebuild, revive and promote new systems of interrelationships. These factors are: - The dynamics in action, recorded in

situ (past, present, future) - History, to be taken as an agent, which is useful to the understanding and exploration - Cyclicality and iterativity time, to be adopted as a means of reflection design - The recognition and use of systems such as design instruments - As long as the adjustment factor and the accompanying design. The valley of the Meuse as it still offers an ideal test ground for understanding how the phenomena of employment and resorption are imbued from early signs of industrialization. Today, in its further change the landscape finds the writings of the rural fabric, to be reinterpreted and re-enter in the event of becoming more complex. The reappearance of the plot agrarian, must be able to interact with other elements of hybridization of the landscape, in order to overcome the state “dell’anthroposage”. This term designates Corboz man’s action on the ground, reduced to a single project or accumulation of overlapping sites of various materials intended only as storage media. Although today there is always more to these lands as places to recover, clean up and reclaim, the land resources are not released yet reinserted into the cycle of reconstruction of the new logic of land use, as if they were actually new resources for development. The “gap” or “difference” that separates us from that goal is not of a technical nature, but on the conceptual order. Missing In fact, the thought of “how to conceive and transform” the space used in the resource.

EUROPEAN CONVENTION LANDSCAPE DESIGN

The readings, repeated over time, not only reveal the descriptive character


ti di riuso. Il diffondersi a larga scala dell’assenza restituisce visibilità a dei luoghi dei quali il potenziale di nuova risorsa di sviluppo sostenibile è ancora di difficile percezione popolare e adozione politica. Tali paesaggi incisi, sono oggetto di dis-locazione, dis-giunzione e dissociazione (B. Goetz). Soffrono, in generale, della perdita di ogni tipo di relazione che ne permetta il reinserimento in un sistema di elementi percepibili. Se ne cerca perlopiù, una nuova funzione che permetta il riutilizzo di aree vaste ed edifici decaduti e considerati mere superfici ed involucri vuoti. Ma se si riuscisse ad osservarne più attentamente le condizioni ed i caratteri, con i loro potenziale di ricucitura del contesto, emergerebbero nuovi elementi che, attraverso le logiche progettuali, potrebbero dare origine ad ipotesi per strutturare nuovi scenari urbani e paesistici. Reinseriti nelle strutture dei sistemi territoriali ancora attivi essi potrebbero dar corpo a “nuove catene di significanti” (U. Eco). Dallo studio del paesaggio Mosano emergono considerazioni che permettono di riconoscere altre tipologie di fattori che generano progetti a struttura flessibile, perchè concepiti per ricostruire, promuovere e rilanciare nuovi sistemi d’interrelazioni. Tali fattori sono: - le dinamiche in azione, rilevate in situ (passate, presenti, future) - la storia, da adottare come un agente, utile alla comprensione e alla prospezione - la ciclicità e l’iteratività temporale, da adottare come strumenti di riflessione progettuale - il riconoscimento e l’uso di sistemi come strumenti progettuali - il tempo come fattore di regolazione e di accompagnamento progettuale. La valle della Mosa si offre tuttora come un terreno sperimentale ideale per comprendere quanto i fenomeni

d’occupazione e di riassorbimento si siano compenetrati già dai primi segni dell’industrializzazione. Oggi, nel suo ulteriore mutare, il paesaggio ritrova le scritture dei tessuti rurali, da reinterpretare e reinserire in ipotesi di divenire più complesse. Il riaffiorare della trama agraria, deve poter interagire con altri elementi di ibridazione del paesaggio, allo scopo di superare lo stato “dell’anthro-posage”. Con questo termine Corboz designa l’azione dell’uomo sul territorio, ridotta ad un progetto di solo accumulo o di sovrapposizione di materiali vari su luoghi intesi come soli supporti di stoccaggio. Anche se oggi si guarda sempre più a queste terre come a dei luoghi da recuperare, disinquinare e bonificare, le risorse territoriali liberate non sono ancora reinserite nel ciclo di ricostruzione di nuove logiche di uso del suolo, come se fossero realmente nuove risorse di sviluppo. Il “gap” o lo “scarto” che ci separa da tale obiettivo non è d’ordine tecnico, ma d’ordine concettuale. Manca infatti il pensiero del “come concepire e trasformare” lo spazio usato in risorsa. PROGETTO: CONVENZIONE EUROPEA DEL PAESAGGIO Le letture, reiterate nel tempo, non ci rivelano solo i caratteri descrittivi di un luogo. Consentendo di cogliere dei fattori che influenzano i processi, esse permettono di estrapolare le dinamiche e le ragioni che regolano le relazioni in corso. Anche se nella Convenzione non è fatta direttamente menzione al metodo progettuale, in più punti si sottolinea l’importanza dell’acquisizione di una percezione dinamica e di proiezione in avanti. Il passaggio dalla visione analitica alla processuale si riscontra “nell’aménagement”, caratterizzato da “azioni fortemente lungimiranti”, cioè “prospettive” o “volte verso il futuro”. Se a questo si aggiun-

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Cambiamenti della morfologia del paesaggio nel tempo- Arie De Fijter, dottorando per la "Guide d'Architecture Moderne Liège".

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of a place. Allowing you to grasp the factors that influence processes, they allow to extrapolate the dynamics and the reasons that govern the relationship going. Although the Convention does not directly mention is made to the design method, in several places emphasizes the importance of the acquisition of a dynamic perception and projection forward. The transition from the analytical view of the case is found “nell’aménagement” characterized by “strong forward-looking action,” that is, “outlook” or “times into the future.” If you add to this the objective of “enhancing, restoring and creating landscapes,” meaning to “create” the ability to reconstitute or regenerate all places “whose character depends on the action of natural and human factors in interrelation” you can not ignore the intention of exploring the text contains. Most of the European territories of discontinued operations require actions to the future, capable of launching a new cycle of life. Knowing how to detect existing forces in order to rework the becoming in various forms, corresponds to being able to make choices in design intent. This requires commitment and responsibility. The commitment is also mentioned for the training and awareness, to connect better to the practices of the project. The active role is also required inhabitant, through participation, not to make design choices, but to accompany him and take care of him through the experience. The Convention, as in the lyrics of “Engraved Landscapes”, terms and signs still offer the potential to explore new structures dependent on the logical interpretation that is able to generate. Synthesis, structure, flexibility and iteration give the project the role of a cognitive process, as evidenced by the practice landscape synthesized by A. 40

Foxley through the notions of “distance and engagement.” This double space-time dimension is invited to observe “inside” of the systems to be studied, both the “distance” critical imperative to seek new approaches for intervention. The project is understood as a process of knowledge, adopting this approach landscaped, open paths perceptive and thoughtful research, adaptable to each and every issue of intervention that affect our landscapes. The choice of types of marginal landscapes, recourse to the history of coactions between man and nature, together with the commitment to read the ground, listening to stories and needs of the inhabitants, while remaining guardians of the project over time, are the “income” that will be offered during the seminar for potential return and confidence in the project. This was adopted as a tool, and not as an end, it may be declined by following “mid-term perspectives of research,” which reveal the potential and adaptability for concerted actions, advocacy and accompaniment. Moreover, in the case of the urban landscape and he rediscovered the size of “process and approach.” Lending itself well to the game of participation, accompanied by the gradual refinement of ideas up to accommodate new needs and temporality increasingly rapid mutation. The result is a necessary paradigm shift thinking about the project as a structure in progress. The practice of reusing and territories are still used today among the most fertile interaction methodological issues. The responsibility and commitment in the exercise design are imposed to make the project a flexible and adaptable in thickness, times and cultures, which only in the diversity of dialectical built will find the energy, willpower and confidence to return to write.


ge l’obiettivo del “valorizzare, ricostituire e creare paesaggi”, intendendo per “creare” la capacità di ricostituire o di rigenerare tutti i luoghi “il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”, non si può ignorare l’intenzione di prospezione che il testo contiene. Gran parte dei territori europei in dismissione necessitano di azioni volte al futuro, capaci di rilanciare un nuovo ciclo di vita. Saper rilevare le forze esistenti allo scopo di rielaborarne il divenire sotto diverse forme, corrisponde al saper operare delle scelte a finalità progettuale. Ciò implica impegno e responsabilità. L’impegno è menzionato anche per la formazione e la sensibilizzazione, da connettere meglio alle pratiche del progetto. Il ruolo attivo è richiesto anche all’abitante, attraverso la partecipazione, non per operare scelte di progetto, ma per accompagnarlo ed accudirlo attraverso il vissuto. Nella Convenzione, come nei testi dei “Paesaggi Incisi”, termini e segni offrono ancora potenziali da esplorare, dipendenti dalle nuove strutture logico-interpretative che si riuscirà a generare. Sintesi, struttura, flessibilità e iterazione conferiscono al progetto il ruolo di un percorso conoscitivo, come testimoniato dalla pratica paesaggistica sintetizzata da A. Foxley attraverso le nozioni di “distance and engagement”. Questa doppia dimensione spaziotemporale invita sia all’osservazione “dall’interno” dei sistemi da studiare, sia alla “distanza” critica indispensabile per ricercare nuove ipotesi d’intervento. Il progetto inteso come processo di conoscenza, adottando questo approccio paesaggistico, apre percorsi percettivi e riflessivi di ricerca, adattabili a ciascuna delle problematiche d’intervento che investono i nostri paesaggi. La scelta di tipologie di paesaggi marginali, il ricorso alla storia delle co-azioni

tra uomo e natura, congiuntamente all’impegno nel leggere il suolo, dando ascolto a narrazioni e ai bisogni degli abitanti, sempre restando custodi del progetto nel tempo, sono le “entrate” che saranno offerte durante il seminario per restituire potenziale e fiducia al progetto. Questo, adottato come uno strumento, e non più come un fine, può essere declinato seguendo “prospettive intermedie di ricerca”, che ne rivelano il potenziale e l’adattabilità anche per azioni di concertazione, sensibilizzazione e accompagnamento. Inoltre, nel caso del progetto urbano e di paesaggio se ne riscoprono le dimensioni di “iter e orientamento”. Prestandosi anche al gioco della partecipazione, accompagna progressivamente l’affinarsi delle idee fino ad accogliere nuovi bisogni e temporalità sempre più rapide di mutazione. Ne deriva un necessario cambiamento di paradigma: pensare il progetto come una struttura in progress. Il riuso e la pratica di territori usati sono ancora oggi tra i temi più fertili d’interazione metodologica. La responsabilità e l’impegno nell’esercizio progettuale s’impongono per fare del progetto un sistema flessibile ed adattabile a spessori, tempi e culture, che solo nella diversità delle dialettiche costruite saprà ritrovare l’energia, la volontà e la fiducia del tornare a scrivere.

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LIBERTÀ La biblioteca dei libri perduti

I libri dimenticati su polverosi scaffali nell’era digitale, vengono riscattati e donati a nuova vita, per regalare ombra a chi vorrà, sotto di essi, leggere o scambiare conoscenza. Un luogo dove viene celebrato l’atto di resilienza della lettura, che continua a creare sapere e libertà.


Plaça Salvador Seguí Progettisti: Anupama Kundoo con la collaborazione dell’Institut d’Arquitectura Avançada de Catalunya (IAAC)


EUROPA La Xarranca

Il concetto di Europa si sviluppa in una struttura lineare di ferro, reti e muretti, costruita con materiali e manodopera locale, che si protende verso il mare, nesso di unione tra le culture. Lungo il disegno del gioco della Xarranca a terra e i vari elementi dell’installazione, si svolge una sequenza di movimenti individuali che riesce a creare un’esperienza collettiva. Un’idea di unione che si concretizza in tutte le fasi del processo.


Plaça del Mar Progettisti: ETH Rünch & Urban Think Thank con la collaborazione di ESARC (UIC)


Ludovica Marinaro Architetto, Responsabile Atelier e tirocini NIP.


BCN RE.SET Un itinerario nei diversi livelli della trasformazione urbana

Intervista a Benedetta Tagliabue EMBT-Fondazione Enric Miralles A cura di Ludovica Marinaro


#1 “Circuit d’architettura efìmera al carrer” Nel titolo c’è l’idea di relazione e di itinerario, c’è la qualità di opere temporanee che assurgono al ruolo di architetture, c’è il tempo, quello passato della memoria e quello presente dell’interazione e dello scambio, c’è l’identità vivida della Catalunya. Come è nata l’idea del progetto di un circuito attraverso questi luoghi e perchè proprio un circuito per celebrare il Tricentenario? Il Tricentenario è un evento molto importante per la città e per la Catalunya intera, perchè l’11 settembre 1714 ha rappresentato un momento di disfatta da cui però Barcellona è risorta a tal punto che già nell’epoca del modernismo era descritta attraverso la metafora dell’ave fenix che risorge dalla proprie ceneri. L’11 settembre fu per Barcellona proprio il momento delle ceneri che però alimentarono quella forza interna capace di corroborare caratteristiche civiche cui oggi tiene moltissimo. È una città molto aperta, liberale, democratica e che pur mantenendo con orgoglio una forte identità è sempre più proiettata verso l’Europa. Così quando Tony Soler, che è il vero ideatore di tutta la manifestazione del Tricentenario, mi ha chiesto un contributo visibile a tutti nella strada, io gli ho proposto un circuito di visite, attraverso opere immerse nella città ed ispirate proprio a queste caratteristiche identitarie, che permettessero alla gente di interagire ed interagendo di ricordare questo momento. A lui è piaciuta l’idea e così l’abbiamo realizzata. #2 Architettura come performance, “ciutat” come scenateatro. Quanto l’esperienza teatrale di un compagno di viaggio d’eccezione come Alex Ollè della Fura dels Baus come condirettore artistico ha influenzato la concezione dello spazio e il progetto di BCN re.set?

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Alex Ollè è una persona che ha questa capacità innata di saper immaginare le cose come spettacolo e quando costruisce qualcosa lo costruisce per colpire la gente, aspetto di cui avevo davvero bisogno per il circuit. Per esempio una delle prime cose fantastiche nata dal confronto con Alex è stata appunto la scelta dei luoghi. Io avevo più il desiderio di fare conoscere dei luoghi segreti di Barcellona, del suo cuore, come Sant Pere de las Puellas, dalla storia meno conosciuta, ed invece lui ha mirato subito ai luoghi più scenografici: l’Arco di Trionfo, Plaça Nova, tutti luoghi che hanno già un forte potere e soprattutto sono capaci di trasmettere emozione,


come Plaça del Mar a la Barceloneta, per garantire alle architetture il massimo effetto. Insieme a lui è stato bello curare anche tutto lo sviluppo dell’evento, proprio come se fosse l’organizzazione di uno spettacolo teatrale, con attenzione ad ogni singola tappa, ad ogni presentazione alla stampa. Sapeva perfettamente che cosa dovesse succedere durante questi mesi, come comunicarlo e come creare quel climax in attesa che le architetture effimere stabilissero il proprio dialogo con la gente. Con la medesima presenza Alex si è dedicato insieme a me anche al tema stesso dell’architettura quindi alla scelta delle installazioni senza escludere nessun aspetto da questo ricco e denso laboratorio creativo che è stato il circuit! 49


#3 La prima di queste opere è proprio quella firmata da lei ed Alex Ollè nel parco della Ciutadella, luogo che conserva la memoria dell’oppressione ed oggi simbolo di identità ed integrazione sociale. Quale valore ha la storia della costruzione e distruzione del “muro” per la trasformazione della città? Con Alex pensando ai luoghi della Ciutat Vella, la città che era stata assediata nel 1714, ci siamo detti che il luogo veramente importante che ancora esiste a Barcellona e ricorda il momento dell’assedio è la Ciutadella. Proprio qui si trovavano le antiche mura della città, abbattute nel 1714, qui subito dopo è stata costruita la “Ciutadella” offensiva, fortezza borbonica che ha dominato Barcellona per più di 150 anni e sempre qui nel 1888, una volta distrutta la roccaforte, è stato realizzato per l’esposizione universale il parco più bello della città.

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Attraverso l’installazione quindi abbiamo voluto celebrare questa idea di trasformazione della città, ed abbiamo creato un muro che dà inizio alla riflessione sui temi della democrazia, dell’Europa, della libertà, perchè costituisce un poco il senso di come la sua rottura possa portare ad altre cose, possa dare corpo ai desideri di una società che non abbia barriere. Il muro ha poi preso vita in seguito ad una vera performance degli alunni dell’istituto di Teatro di Barcellona coordinati da Marcè Saumell. È stato dipinto, scavalcato, scalfito, spogliato, completamente trasformato, come dimostrazione in forma di spettacolo di questa idea di trasformazione dello spazio. Da qui le altre installazioni si susseguono senza un ordine prestabilito di fruizione e mi piace molto l’idea che la gente quando passeggia le incontri come “sorprese” su un itinerario libero per la città. #4 Il circuito e le opere stesse prendono forma dal lavoro sinergico di “team inconsueti”, una attiva ed insolita collaborazione tra studenti e professionisti di fama internazionale. Crede che questa esperienza sia esportabile e possa essere applicata anche in altri contesti urbani? Mi piacerebbe tantissimo che fosse esportata! Io credo molto nel tema della collaborazione e il processo con cui il circuit ha preso vita, durato in tutto due anni, costituisce un esempio simbolico di come oggi sia proficuo e sempre più necessario stabilire questa sinergia tra professionisti e scuole. Quando sono arrivata negli anni novanta qui a Barcellona la professione era molto sana soprattutto per questo: non c’era bravo architetto che non insegnasse

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all’università e quasi non c’erano bravi studenti che non avessero il pomeriggio o la mattina dedicati a lavorare in uno studio. C’era sempre questo mescolarsi tra mondo professionale e mondo accademico mentre oggi vedo per esempio molte scuole e istituti prestigiosi che sono stupendi ma troppo lontani dal mondo professionale. Con BCN re.set abbiamo avviato dei veri laboratori di progettazione, inaugurati ognuno da una lectio magistralis dell’architetto cui è stata abbinata la scuola. Abbiamo creato una collaborazione nello specifico con architetti che non avevano mai avuto occasione di fare un’opera a Barcellona, personaggi del calibro di Peter Cook, Anupama Kundoo, Liu Xiaodu sicuramente difficili da raggiungere per gli studenti delle scuole della città. Questa occasione è stata speciale anche per questo, senza dimenticare che coinvolgendo i collettivi di architetti siamo riusciti a fare capire ai ragazzi come si può costruire un’opera in scala 1:1, dando loro la possibilità di sperimentare un progetto collettivo, che si spinge fino alla fase di realizzazione e costruzione. Ogni installazione infatti ha incluso un momento di autocostruzione cui gli studenti hanno direttamente preso parte. #5 A distanza di un mese dall’inaugurazione del circuito come ha reagito la città? Anche se ancora è troppo presto per valutarlo, la vita che si è generata intorno a queste architetture temporanee, ha rispecchiato le aspettative del progetto?

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Sì, le ha rispecchiate anzi, da piccoli episodi e dai commenti diretti delle persone posso dire che il progetto


Dal Marcato di Santa Caterina. I resti dell'antico convento e il cantiere. Foto inedite di Domi Mora

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sta avendo un buon successo e ne sono contenta, soprattutto per la varietà di usi e comportamenti che induce. Questo ha fatto sì che alcune opere siano state accolte talmente bene che la cittadinanza ha chiesto che rimangano fisse, come quella realizzata in Plaza Salvador Seguì nel Raval, dove all’ombra di questi “alberi di libri” la gente arriva per sedersi, leggere e avere un momento proprio di relax. Sono quindi dei progetti apparentemente leggeri, che semplicemente creano connessione, mantenendo una dimensione intima e quasi familiare. Quello che mi ha sorpreso del circuit è che in fondo ha goduto di una vita che esula i tre mesi di permanenza fisica e penso che possa continuare ad esistere nella trasformazione degli itinerari consueti dei cittadini, come il sapore di una esperienza nuova della città che può rimanere nelle abitudini della gente. Parlando con Raphael Moneo ultimamente si commentava di come oggi soprattutto i progetti piccoli possano avere dei grandi effetti, rispetto ad ambiziosi interventi di grande scala che spaventano un po’, per questo è importantissimo il processo con cui si interviene in un luogo. #6 Il tema della trasformazione della città si affronta quindi a scale sempre diverse. Proprio a due passi dalle architetture effimere, nel cuore della città storica di Barcellona vi è uno dei progetti più famosi e celebrati del vostro studio, il mercato di Santa Caterina, un esempio di trasformazione urbana che ha saputo innescare un dialogo con la città consolidata e che continua a farlo. Come è nato?

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Il progetto di Santa Caterina ci è stato affidato quasi come una sfida, negli anni in cui il famoso studio MBM Arquitectes di Oriol Bohigas, che già aveva curato i progetti per le Olimpiadi del 1992, si stava occupando della grande riforma della parte del Raval. Al principio dire che io e Miralles fossimo già convinti di quello che dovessimo fare non è per niente vero. Lo studio MBM Arquitects aveva una maniera di concepire il progetto urbano molto basata sull’esperienza della Barcellona degli anni Ottanta, secondo il criterio dell’Espongiament, che consisteva nell’agire sulla città consolidata con opere di “svuotamento”, noi invece abbiamo fatto un tipo di intervento diverso, un collage in cui la nuova architettura si integra perfettamente con l’architettura esistente. Avevamo iniziato a vivere nella città antica e avevamo capito tanto dalla nostra casa e da questo è emerso un progetto molto diverso da quelli che di solito


affrontavamo nello studio. Un progetto fatto a poco a poco, scoprendolo direttamente sul campo, in diretta relazione con la storia del luogo, una storia che era lì, viva e materica. Lo stesso Patrick Geddes quando ha redatto i piani per il rinnovo di Edimburgo lo ha fatto vivendo ad Edimburgo, perchè credeva che fosse l’unico modo di attuare la trasformazione: dall’interno, come un vicino. E così abbiamo fatto noi, abbiamo agito dall’interno, “da vicini”. #7 Ad aggiungere complessità al sito di intervento del masterplan di Santa Caterina, abbiamo il rapporto con l’archeologia, tema oggi molto caro alla città di Barcellona che ha instaurato un dialogo armonioso con il sottosuolo, come è evidente anche dal recente progetto di ristrutturazione del Mercato del Born, finalista all’ultimo Premio FAD per la sezione Architettura. Quale è stata la vostra esperienza e come siete arrivati a quella soluzione di perfetta integrazione tra la piazza retrostante il mercato e gli scavi del monastero medievale di Santa Caterina? Come dicevo, durante la ristrutturazione di casa nostra vicino al mercato ad un certo momento sono usciti fuori l’affresco di un angelo e degli archi gotici, ed io mi sono spaventata tantissimo, credendo di essere dentro quello che doveva essere l’antico monastero di Santa Caterina. Preoccupata per come avremmo potuto fare con la soprintendenza, andai subito in biblioteca a cercare i piani del monastero e l’unica cosa che trovai fu un libro ecclesiastico dove erano raccolti i pochi documenti

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Dal Marcato di Santa Caterina. I resti dell'antico convento e il cantiere. Foto inedite di Domi Mora

esistenti di tutti i monasteri che vennero distrutti durante il periodo della “desammortizzazione”, un’operazione per cui agli inizi dell’Ottocento lo stato poté espropriare alcuni beni ecclesiastici per ubicare al loro posto edifici di interesse pubblico. Questo era proprio il caso di Santa Caterina. Avendo così studiato i piani già tre o quattro anni prima, quando abbiamo ricevuto l’incarico eravamo pienamente coscienti di questo tema e con Enric prima di iniziare a pensare a qualsiasi progetto, abbiamo disegnato il sito del mercato nelle diverse epoche storiche per confrontarlo con piani recenti che ne volevano l’intera demolizione. Sopra questi palinsesti abbiamo realizzato il progetto. Quando poi sono emerse le archeologie non eravamo per niente sorpresi, anzi! Piano piano siamo arrivati ad una soluzione che evita di lasciare un campo archeologico aperto, che sarebbe stato un disastro per tutte le funzioni connesse al mercato e per l’uso dello spazio stesso. Abbiamo giocato con i livelli, dando alla piazza retrostante una curvatura morbida, un piano che leggermente si gonfia, come un ventre sotto il quale si possono ancora ammirare le absidi dell’antico monastero. C’era anche il progetto per poter rendere accessibile questo spazio, ma non è mai stato realizzato. #8 Da questo esempio, quali indicazioni si possono ricavare per intervenire nei nuclei storici con trasformazioni che non ne neghino l’identità? Santa Caterina è stato un esperimento totale che credo debba essere ancora spiegato, considerando che si è concluso da poco e questo è il primo momento in cui 56


si possa vedere veramente questo pezzo di città che funziona. Vorrei ora portare l’esperienza del masterplan di Santa Caterina alla Beijing Design Week, per fornire uno spunto di riflessione su come Pechino potrebbe affrontare il progetto di riqualificazione dell’antico quartiere di Dashilar. Non parliamo dunque di formule o modelli immutabili da importare in altri contesti, perchè ci vuole sempre qualcuno che sia capace di interpretarli, come chi in cucina è capace di mettere il sale nella maniera giusta. Questo significa avere quell’equilibrio che consente di usare gli esempi come spunti per ispirare altre città.

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DIVERSITĂ€ Tenda urbana danzante

La diversità si esprime in un luogo che è stato modificato nel tempo, da tessuto denso a spazio urbano, calpestato da molti piedi e attraversato da molte facce. Volti di persone del posto e di passaggio, che vengono ricordati su magliette nere, appese come il bucato o come le bandierine della fiesta nelle strade di Barcellona. Volti di persone che hanno fatto la storia della città .


Plaça dels Ă€ngels Progettisti: Estudio Odile Decq con la collaborazione di Recetas Colectivas


sTreet è uno studio di progettazione del verde e riqualificazione urbana. Ogni progetto del verde tiene conto del suo impatto ambientale, evitando consumo idrico e manutenzione eccessivi. Hanno inoltre sviluppato un software gratuito per la definizione di progetti di impianti arborei. Collabora con SIA (Società di Arboricoltura Italiana) e Aboutplants.eu del Gruppo Tesi. Partecipa al progetto ambientale Trees4children, un’associazione no profit che opera in un villaggio-orfanotrofio in Kenya. sTreet è anche un catalizzatore di informazioni legate al mondo della sostenibilità urbana e spesso si occupa di laboratori ambientali nelle scuole.


Aumentare gli alberi in città: ci pensa sTreet

di sTreet

Gli alberi in città sono come degli ombrelli che ci proteggono dagli agenti atmosferici, purificano l’aria e l’acqua e forniscono benessere. Gregory McPherson


li alberi urbani sono importanti per G moltissime ragioni. Non si limitano, infatti, a rendere più bella e accogliente una città, ma aiutano in modo concreto l’ambiente urbano.

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er esempio, non tutti sanno che attenuano l’effetto battente della pioggia - riducendo così i flussi d’acqua - che favoriscono, specie d’estate, l’abbassamento delle temperature grazie all’ombreggiamento che creano con le loro chiome. Oltre ai benefici ambientali ce ne sono molti a cui non sempre si pensa; consideriamo il valore degli alberi nel recuperare aree urbane degradate e all’importanza che avrà la nuova area per i cittadini. Il verde, non solo gli alberi, deve diventare un’opportunità di riqualificazione sostenibile e sociale per riscattare vuoti urbani abbandonati o mal progettati e invasi dal cemento. Ed è proprio sulla base della consapevolezza di questi concetti che abbiamo fondato, circa un anno e mezzo fa, uno studio di progettazione denominato “sTreet”, con lo scopo di diffondere la cultura del verde in ambiente urbano. In inglese la parola strada contiene il termine albero e noi crediamo che gli alberi siano l’unità fondamentale per il nostro pianeta per poterci dare una seconda possibilità di riscatto verso l’ambiente e le generazioni future. La nostra visione non rimane sulla carta - e sul web -, ma prende una forma concreta attraverso un nuovo progetto di forestazione urbana sponsorizzata in Italia. STreet promuove infatti l’impianto di nuovi alberi in città come strumento di riqualificazione ambientale e sociale. Sono molte le aziende che s’impegnano nella sfida ambientale di piantare un albero - o molti alberi - per dedicarli ai clienti o agli stessi dipendenti. Spesso però, per farlo, sono portate ad accettare compromessi come vederli piantati nei paesi in via di sviluppo, riducendo così drasticamente il coinvolgimento diretto dei clienti e dell’azienda stessa. Senza contare che così si investe su un territorio che non è quello in cui lavorano. L’impegno green di queste aziende è senz’altro lodevole ma noi di sTreet proponiamo di non allontanarci dall’Italia.

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ui gli alberi servono, eccome. Vogliamo dare la possibilità anche ai Comuni italiani – così privi di risorse - di ricevere alberi in regalo da aziende sensibili al tema ambientale; in questo modo anche i cittadini sono portati a rispettare il verde della propria città cogliendone il valore. Uno dei primi comuni che ha accettato la nostra proposta è stato Treviso. Lo scorso febbraio nel suo Parco Uccio San Martino ha infatti preso il via il progetto per un nuovo impianto arboreo promosso da un’azienda milanese, che ha regalato 30 nuovi alberi a Treviso, dedicandoli ai loro clienti. Il parco, di recente realizzazione, è ancora carente dal punto di vista arboreo. Il nuovo bosco aumenterà la biodiversità della zona, amplificando i benefici che gli alberi sono in grado di dare. Nel progetto si è trattato di inserire una quantità di alberi tale che ci ha consentito di seguire uno schema d’impianto irregolare. Si sono distribuiti gli alberi con casualità-controllata, rispettando le distanze dei sesti d’impianto e associando le specie in funzione alle caratteristiche pedologiche dell’area.

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’intero parco è stato progettato su una vecchia area acquitrinosa e la falda in alcuni punti è molto alta. Per questo motivo in queste aree abbiamo messo a dimora Farnie (Quercus robur L.) e Ontani (Alnus glutinosa L.). In associazione a questi: Acer campestre L., Fraxinus ornus L. e Prunus cerasifera ‘Pissardii’. Nel loro insieme questi alberi contribuiscono a creare un piccolo bosco con caratteristiche vegetazionali molte differenti. Una scelta fatta per aiutare i cittadini a percepire il cambiamento delle stagioni e per dare loro un modo di conoscere specie arboree adatte alla zona in cui vivono. Il giorno della messa a dimora abbiamo dato vita ad un piccolo laboratorio con i bambini: si sono elencati i motivi per cui gli alberi sono così importanti e distribuiti semi di alberi e cereali. I giovani studenti sono stati poi designati custodi del parco dal Vice Sindaco di Treviso e dall’Assessore al Verde Pubblico di Treviso. Come per i semi quindi, i bambini si prenderanno cura di questo nuovo prezioso regalo: un parco alberato in cui giocare, ritrovarsi e stare bene.

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Il nostro scopo, ambizioso, ma pensiamo necessario, è di riuscire a recuperare altre aree degradate distribuite sul territorio ricreando una rete verde permeabile che procuri benefici alla città e ai suoi abitanti. Riscoprire luoghi abbandonati, non pensati o scollegati tra loro restituirli con un volto e anima diversa alla città attraverso l’ausilio del verde. Quante aree urbane costruite e poi abbandonate vediamo tutti i giorni? Stiamo proponendo un “metodo” che coinvolga privati nell’aiuto del recupero di aree pubbliche da restituire ai cittadini e per questo lavorare trasversalmente con Pubbliche Amministrazioni e privati. È sicuramente una difficile operazione ma crediamo sia anche una delle poche vie per riuscire a migliorare le nostre città, per renderle più vivibili.

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DEMOCRAZIA Dame la mano. Celebrazione di diritti umani e matrimoni.

Su una piattaforma circondata da 12 colonne in fiore, all’ombra di una grossa mano celeste che richiama il nuovo logo dei diritti umani universali, durante tutta l’estate avrà teatro la libertà individuale di scelta in una società democratica, attraverso la celebrazione di matrimoni civili, senza barriere culturali, religiose o sessuali.


Plaça de la Mercè Progettisti: Peter Cook e Yael Reisner con la collaborazione di Straddle 3



L’agro romano: tra consumo di suolo e perdita di carattere identitario di Nuria Chiara Palazzi


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onostante il D.lgs. 42/2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio” definisca in modo dettagliato e chiaro il significato e la consistenza di interventi volti alla tutela e valorizzazione dei beni culturali del paesaggio (art. 3 e art. 6), appare altrettanto chiaro come la mancanza di conoscenze e le dinamiche economiche-politiche siano spesso tanto influenti e devastanti da reindirizzare e modificare irreversibilmente le azioni di trasformazione sul territorio.

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l Piano Territoriale Paesaggistico della Regione Lazio (1998) qualifica l’Agro Romano zona di “elevato valore paesaggistico”, indicando come unici possibili interventi quelli volti alla sua integrale tutela e alla sua valorizzazio-

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ne, vincolando interamente l’area. La condizione attuale di eterogeneo degrado in cui esso versa, dimostra il limite intrinseco al concetto di vincolo quale strumento necessario ma di per sé insufficiente se non supportato da una piena coscienza comune. La premessa fondamentale di un intervento di tutela e valorizzazione, come esplicitato nell’art. 3 D.Lgs 42/2004, è la piena conoscenza dell’ambito considerato.

È

anzitutto doverosa una considerazione a priori che cerchi di superare la confusione terminologica, presente sin dall’antichità, tra suburbio, agro romano e campagna romana. Un’importante chiarificazione è rintracciabile negli studi approfonditi multidisciplinari di natura archeologica,


urbanistica e paesaggistica di G. Lugli, R. Lanciani e P. M. Lugli che insistono sulla doverosità di non utilizzare termini specifici qualificanti il paesaggio in maniera inconsapevolmente inappropriata. Il suburbio venne definito da Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, l’area edificata esterna alla città consolidata all’interno delle mura serviane. Sia l’agro romano che la campagna romana sono, invece, legate direttamente allo spazio che circonda la città ma rappresentano due ambiti territoriali distinti. L’agro romano era in origine il territorio agricolo esterno alla città delle quattro regioni, limitato all’area pianeggiante entro le pendici dei monti Sabatini, Collatini, Prenestini e dei Colli Albani. La campagna era un’area più vasta delimitata dai monti della Tolfa, Sabatini, Soratte, Sabini, Prenestini, Lepini e Ausoni e comprendente le valli del Tevere e dell’Aniene oltre all’agro Pontino (Carta dell’Agro Romano del 1913 di Pompeo Spinetti). Il limite del Pomerio Romano era costituito dai quinti migli, distanza di cinque miglia, delle strade che a raggiera si diramavano dal centro urbano verso le città latine e la pianura pontina attraverso l’agro romano. Le vie consolari ad ogni mille passi, un miglio, presentavano una colonna miliare (le colonne miliari vennero introdotte dal tribuono della plebe Caio Gracco con la lex viaria del 123 a.C.) indicante la distanza da Roma, mentre i quinti migli erano denunciati generalmente dalla presen-

za di importanti monumenti e l’agro romano circondava Roma per cinque miglia da ogni lato (Geographia di Stibone). Il miglio d’oro, colonna eretta da Augusto nel foro romano, rappresentava il punto di partenza ideale di ogni strada riportando le distanze delle principali città dell’impero dalla capitale.

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’agro romano oggi rappresenta, sempre più, una modificazione antropica di un’area naturale destinata nei secoli a funzioni diverse, specchio degli eventi storici che hanno investito direttamente questo territorio. È il risultato di una sommatoria di trasformazioni dell’ordinamento agricolo, dopo un lungo abbandono di quello antico, delle bonifiche del 1930 e del più incisivo sviluppo urbano attuale di cui appaiono evidenti gli effetti ogni giorno. Una caratteristica universalmente riconosciutagli risiede nella sua capacità di mutare, nel suo continuo divenire testimonianza, attraverso la stratificazione, di trasformazioni e cambiamenti che spesso hanno tragicamente plasmato l’attuale morfologia. L’individuazione delle tracce, permanenze e specificità del luogo, è indispensabile alla comprensione delle relazioni che intercorrono tra la stanza antropica e quella naturale. Il pomerio, luogo entro il quale si affermava l’omegenizzazione tra suburbio e agro romano, ha perso inesorabilmente l’equilibrio qualitativo di cui era garante nell’antico organismo sistemico.

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Il riconoscimento delle doti di resistenza di questi preziosi luoghi è un lavoro complesso che richiede occhio critico, competenza, studio e tempo ma sicuramente indispensabile per non perdere, per individuare, valorizzare e comprendere quali inframargini ed extramargini urbani, quali frammenti di pomerium ancora resistono nella città diffusa e frammentata, quale la città contemporanea. La capacità di questo organismo di ripristinare la propria omeostasi, può essere reale e non semplice utopia, solo qualora si individuino le resilienze di tutto il sistema, attraverso la messa in rete dei molteplici spazi vuoti suburbani e urbani. La ricchezza della nostra contemporaneità, a Roma come in molte realtà italiane,va ricercata nella concatenazione di “non luoghi” che messi in rete divengono garanzia

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di nuovi spazi pubblici. Implementare la diversità è l’unica risposta concreta al continuo divenire di questo patrimonio. Mentre al contrario sostenere passivamente, con indifferenza, l’attivazione di meccanismi di urbanizzazione innaturali, non determinati proporzionalemente dalla crescita demografica, causa l’inversione nei rapporti di necessità amplificando la perdita di equilibrio tra le relazioni fisiche della città. La volontà di salvaguardare e valorizzare i topoi del nostro patrimonio culturale è conseguenza logica di attività dirette a garantire la protezione e la conservazione per fini di pubblica utilità. Ciò nonostante si sta assistendo ad un ulteriore sviluppo a macchia d’olio di una città senza regole che si nega alla comunità che la vive e la nutre. Nel con-


tinuo conflitto tra massimizzazione del benessere individuale e massimizzazione dei profitti, Roma si contraddice negandosi alle stesse sue ragioni di esistenza. Ne risulta un continuum di sistemi volumici massicci, frutto di meri calcoli allocativi e aggregativi di insediamenti produttivi, che considerano il territorio come risorsa distorcendo, però, il significato più autentico di tale parola, confinandola in ambito strettamente economico senza confrontarsi con il sistema di connessioni con cui dovrebbe reciprocamente autodeterminarsi. Il rapporto di Roma con la sua

campagna è così mutato, esistono infatti molteplici realtà negative, seppur diverse: da ambiti territoriali che convivono indifferenti, a “campagne interstiziali, contenute nelle forme invasive ed irrisolte dell’urbanizzato”(A. Cazzola, I paesaggi nelle campagne di Roma, 2003). È possibile e necessario, quindi, considerare il territorio agricolo “paradigma” di riferimento grazie alla sua capacità di adeguarsi alla mutevolezza delle diverse situazioni territoriali che necessitano urgentemente di riqualificazione e rivitalizzazione dell’ambiente e del paesaggio.

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MEMORIA La casa della Memoria

Una memoria che parte dalla storia antica, ricalcando nella base della struttura l’orma di un fiume oggi interrato, e che si sviluppa e trasforma su tre pareti formate da tegole di argilla, create da studenti e raffiguranti la storia della città , e specchi in cui creare nuovi ricordi. La copertura sembra fluttuare sospesa: un tetto-matrice della memoria a maglia ortogonale, come le strade del Plan Cerdà , che si fa attraversare dalla luce generando riflessi ed ombre.


Arc de Triomf Progettisti: Grafton Architects con la collaborazione di ELISAVA (UPF)


Studio GGA/ Gianpaolo Granato Arquitetos Av. Paulista, 2073, Conjunto Nacional, Horsa 1, Sala 1217 CEP 01311-330, São Paulo, SP, Brasil www.studiogga.com.br


RIO 2016, IDAS E VINDAS

di Giampaolo Granato

RIO 2016, ANDIRIVIENI


Carte delle zone di “intervento” e nuova progettazione per i giochi. In alto: zona urbana ed nuovi collegamenti In basso: zona del porto e le trasformazioni in atto. credit Marcela Arone

Quando se fala de projetos urbanos para os jogos olímpicos na cidade do Rio de Janeiro deve-se resgatar a sua historia, contextualizar a cidade e suas transformações ao longo dos últimos quinhentos anos. As grandes avenidas conectadas através do fluxo continuo de automóveis voltam a dar espaço ao transporte de massas. Mas, nem tudo é perfeito. A especulação abre caminho com seus projetos, a valorização das terras em favelas com belas vistas para o mar geram o fenômeno da gentrificação levando seus moradores para bairros mais afastados. O Rio de Janeiro não nasceu de um

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projeto urbano. Foi ocupado a partir dos espaços possíveis em uma geografia acidentada entre morros proeminentes e áreas alagadiças. Com o tempo, a vila militar deu lugar a cidade colonial, que por sua vez foi substituída pela cidade de características clássicas. Conhecida como a Paris dos trópicos foi novamente substituída pela a cidade de fundamentos modernistas, que por sua vez foi deu lugar a cidade das praias hedonistas aos moldes de Miami, mais ao sul. As transformações vieram sempre através de gastos públicos consideráveis. No inicio do século XX, as ruas apertadas perderam lugar para as avenidas. Centenas de casarões coloniais


Masterplan del nuovo Parco olimpico a Barra de Tijuca (credit Studio Aecom)

Quando si parla di progetti urbani per i giochi olimpici nella città di Rio de Janeiro, non si può prescindere dal considerare la storia di una città che ha visto importanti trasformazioni nel corso degli ultimi 500 anni, come ad esempio i grandi viali di collegamento ad alta densità di traffico che sono stati dedicati ai trasporti pubblici… ma non tutto è perfetto. La speculazione edilizia legata alla valorizzazione dei terreni nelle baraccopoli con viste mozzafiato sul mare, ha generato il fenomeno della “gentrificazione”, costringendo gli abitanti di queste aree a spostarsi in quartieri periferici. La città di Rio de Janeiro non è nata da un progetto urbano vero e proprio ma è sorta dall’unione di tutti quegli spazi che permettevano l’edificazione all’interno di un territorio geograficamente accidentato e formato sostanzialmente da colline e paludi. Le trasformazioni avvenute nel corso degli anni hanno pertanto sempre comportato una notevole spesa pubblica; Rio, da villaggio militare, si è evoluta a grande città coloniale, fino a configurarsi come città dalle caratteristiche classiche. Conosciuta come la “Parigi dei tropici”, è divenuta nel tempo una città

modernista che ha visto nascere nella sua area orientale, estese spiagge sullo stile statunitense della città di Miami. All’inizio del XX secolo, le piccole vie hanno ceduto il posto a grandi viali di impostazione francese e sulle ceneri delle centinaia di palazzi coloniali demoliti è sorta la nuova Città. Le zone umide sono state bonificate, le foreste di mangrovie distrutte. Nel 1920 il movimento modernista comincia a prendere forza, lo stesso Le Corbusier farà alcuni viaggi in Brasile e realizzerà un progetto per Rio: un enorme viadotto abitato, concepito come una grande superstrada sopraelevata, da dove lo spettatore possa contemplare la città ed il paesaggio sottostante come in un film. Per Le Corbusier “la città che offre velocità offre successo” e questa idea di facilitare la libera circolazione delle auto sarà ampiamente adottata nelle città brasiliane dagli anni ’50, quando l’intero paese avvia gli incentivi per l’industria automobilistica, favorendo l’uso della macchina invece dei mezzi pubblici. Inutile dire che tali trasformazioni hanno portato all’abbandono del centro storico e al conseguente spostamento della classe abbiente verso sud. Entrando nel merito dei cambiamenti

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Masterplan del nuovo Parco olimpico a Barra de Tijuca (credit Studio Aecom)

eram demolidos de uma só vez e em seu lugar se consolidava uma nova cidade. Áreas alagadas foram aterradas, florestas de Mangue destruídas. Suas avenidas passavam a seguir o modelo de paisagismo Francês. Nos anos 1920, o movimento moderno começou a tomar força e se discute apaixonadamente as ideias modernistas. Le Corbusier faz algumas viagens ao Brasil e desenha um projeto para a cidade: "Em seu plano, faz um enorme viaduto-habitado. Ele o concebe como uma enorme via expressa aérea, onde o espectador contempla como num filme a cidade

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existente e a paisagem." Para ele, “a cidade que dispõe de velocidade dispõe de sucesso”. A ideia de facilitar a livre circulação de carros foi amplamente adotada nas cidades brasileiras nos anos 1950, quando o país deu início à política de incentivos à indústria automobilística, privilegiando o uso do carro em detrimento do transporte público. Com as novas transformações veio o abandono do centro histórico. Os mais ricos rumavam em direção ao sul. O conjunto de projetos para os jogos olímpicos de 2016 poderiam ser divididos em: Transporte,


Nuovi collegamenti nella zona del porto della città

legati ai Giochi Olimpici previsti per il 2016, è possibile fare una distinzione tra i progetti legati ai trasporti,allo sviluppo socio-economico, alla riqualificazione dell’area del porto e a quelli riguardanti le strutture olimpioniche. I maggiori interventi si trovano dislocati in quattro punti distinti della città ed in risposta a differenti classi sociali: i conservatori, che vogliono riqualificare il porto (Centro-Maracanã); il mercato immobiliare, che concentra le imprese nella zona sud (Barra da Tijuca); il settore alberghiero che si affaccia sulla spiaggia di Copacabana con un grande

afflusso di turisti, e infine l’opinione pubblica, concentrata nel quartiere di Deodoro, area suburbana altamente popolata, come monito ai cittadini che l’eredità olimpica non è solo per i ricchi. Per quanto riguarda i trasporti, la grande sfida è stata quella di connettere tutte queste aree urbane con gli aeroporti e con i porti; la morfologia così accidentata del luogo mal si prestava alla realizzazione di una sola tipologia di trasporto e proprio per questo motivo, sono state ipotizzate molteplici soluzioni: metro, BRT (Bus

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Demolizione del viadotto “perimetro” (credit Prefeitura do Rio de Janeiro)

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desenvolvimento sócio econômico, revitalização da área portuária e edifícios olímpicos. A escolha foi espalhar as intervenções por quatro pontos distantes na cidade atendendo a diferentes segmentos da sociedade: Os conservacionistas, que querem a revitalização do porto (centro-Maracanã), o mercado imobiliário, que quer avançar com empreendimentos pela zona sul (Barra da Tijuca), o setor hoteleiro que quer a praia de Copacabana repleta de turistas e por fim a opinião publica que quer ver o bairro de Deodoro, área suburbana e populosa, como um sinal de que o legado olímpico não é só para os mais ricos. No transporte, o grande desafio era conectar todas estas áreas assim como os aeroportos e portos. A cidade com sua geografia acidentada dificultava a implantação de um único modal. Por isso, diferentes tipos de transporte se complementam: Metro, BRT (Bus Rapid Transit), VLT e teleféricos. As ações sociais focaram as favelas. A maioria delas, no alto dos morros, bairros desatendidos pelo poder publico. A dificuldade de acesso dificultava o

processo de integração dessas zonas à cidade. Em 2008 iniciou-se a o chamado processo de pacificação. Consistia na ocupação definitiva das áreas pela policia seguida pela infraestrutura básica: coleta de lixo, melhora dos acessos e transporte publico, implantação de escolas e clinicas de saúde. Já são 40 as comunidades atendidas. Nos anos de 1970 foi construída uma grande via elevada na região portuária. Formou-se um grande bloqueio entre a região e o mar. Com ela veio o abandono da área e de seus edifícios históricos. A via se consolidou como importante eixo de ligação onde milhares de carros passavam todos os dias. A derrubada de boa parte deste viaduto (chamado de perimetral) representa o eixo principal do projeto. Em seu lugar, surgem avenidas para pedestres e ciclovias. O transporte nesta área será feito por VLT's. No seu entorno, prédios estão sendo restaurados, galpões industriais se tornam centros culturais e escolas. A arquiteta Elisabete França cita em um texto sobre a demolição: "A derrubada da perimetral, iniciada na manha de 24 de novembro de 2013, representa, para o Brasil, a morte do urbanismo


Rapid Transit), tranvia e teleferica. Particolare attenzione è stata dedicata alle “favelas”, la maggior parte delle quali sorgono in alto nelle colline e rappresentano per lo più, le voci inascoltate dalle autorità pubbliche, in quanto la stessa difficoltà di accesso a queste aree, ha reso negli anni difficile il processo di integrazione con il resto della città. Dal 2008 è in atto quello che è stato definito il “processo di pacificazione” e che consiste nell’occupazione di tali aree da parte della polizia, nella definizione degli impianti di base per la raccolta dei rifiuti, nel miglioramento degli accessi e dei trasporti pubblici e nell’implementazione di scuole e cliniche mediche. Ad oggi sono già quaranta le comunità che ne usufruiscono. Per comprendere le molteplici trasformazioni in atto dobbiamo tornare nuovamente indietro nel tempo, quando nel 1970 viene costruita una grande arteria stradale sopraelevata nella zona del porto e si viene così a generare, una netta separazione tra la città ed il mare, alla quale consegue un forte abbandono degli edifici storici

e del territorio ad essi limitrofo. La via si consolida nel tempo come un importante nodo di collegamento che vede ogni giorno il passaggio di migliaia di automobili: l’abbattimento di buona parte di questa infrastruttura, chiamata dagli abitanti “perimetro”, rappresenta il nodo principale dell’attuale progetto per il nuovo assetto urbano. Al posto del “perimetro” sorgeranno infatti viali ciclo-pedonali, gli edifici verranno ristrutturati, i capannoni industriali si trasformeranno in centri culturali e scuole e nascerà una linea tranviaria. A tale riguardo, l'architetto Elisabete França scrive in una pubblicazione: “l’abbattimento del viadotto, iniziato la mattina del 24 Novembre 2013, rappresenta per il Brasile un grosso cambiamento urbanistico non più basato sul trasporto via autobus. In appena cinque secondi, la caduta dei 31 pilastri demoliti dei primi 1050 metri della sopraelevata ha significato un cambiamento del paradigma urbano che privilegia il trasporto individuale e ad alta velocità”. Il progetto prevede, tra le varie, la riabilitazione di piazza Quinze, punto di riferimento della città, così come la riqualificazione degli edifici storici

Nuovi collegamenti verso la zona del porto (credit prefeitura do Rio de Janeiro)

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rodoviarista. A queda, em apenas cinco segundos, dos 31 pilares dos primeiros 1050 metros demolidos da via suspensa significa a mudança do paradigma urbano que privilegia o transporte individual de alta velocidade." O projeto prevê a reabilitação da praça Quinze, o marco inicial da fundação da cidade assim como a revalorização dos edifícios históricos ali localizados. Surge o MAR, museu de arte do Rio e o Museu do Amanha, de Santiago Calatrava. Incentivos a preservação e restauro de edifícios abandonados são dados aos interessados em abrir escritórios de arquitetura, design, fotografia ou publicidade. É precisamente na região do porto que surgiu a primeira favela do Brasil. Formada por soldados que retornavam da guerra contra o Paraguai em 1870. O morro da Providencia, até então, de difícil acesso passa a ser atendido por um teleférico. Paralelamente, as ruas e calçadas serão reformadas. Tudo, pago pela iniciativa privada com venda de potencial construtivo para o mercado imobiliário. Ainda na área do porto, o Sambódromo, passarela de milhares de foliões no

carnaval será adaptado para receber as maratonas e provas de tiro com arcos. As vilas e o parque olímpico serão na Barra da Tijuca, área pouco populosa na zona sul. O projeto é resultado de um concurso ganho pelo escritorio britânico AECON e deve sofrer alterações até o final das obras. No projeto vencedor, o parque se inspira nas heranças do modernismo que influenciou fortemente a arquitetura e paisagismo na cidade. A proposta prioriza a diminuição da área permeável do solo e uso de tecnologias sustentáveis como a geração de energia solar, uso racional da água e redução na geração de resíduos. Val ori z a os e spaços públ i co s conectando-os as instalações olímpicas. Com 1.2 milhão de metros quadrados o parque será o local de 10 esportes olímpicos, centro de imprensa para 20.000 jornalistas e capacidade para mais de 200.000 visitantes por dia. Depois dos jogos grande parte das áreas dará lugar a empreendimentos imobiliarios e parte dos edifícios formará o primeiro centro de treino para atletas olímpicos da America latina.


adiacenti. Sorgono il MAR (Museo d’Arte di Rio de Janeiro), ed il Museu do Amanha (Museo del Domani) dell’Architetto Santiago Calatrava. Viene avviata una politica di incentivi per la conservazione e il restauro degli edifici abbandonati, dedicata a tutti coloro che sono interessati ad aprire nuovi studi di architettura, design, fotografia e pubblicità. Nella zona del porto, che ha visto la nascita della prima favela brasiliana ed un tempo abitata dai soldati che ritornavano dalla guerra del 1870 con il Paraguay, la collina della Provvidenza finora inaccessibile, sarà servita da una teleferica. Sempre nell’area del porto, il famoso Sambódromo, la passerella dove migliaia di persone in festa si riversano durante i giorni del carnevale, accoglierà maratoneti e gare di tiro con l’arco durante i Giochi Olimpici. Il villaggio ed il parco olimpico, previsti in una località scarsamente popolata a sud della città definita “Barra de Tijuca”, si svilupperanno secondo un progetto a cura dello studio britannico AECOM, che sarà però suscettibile a variazioni,

fino al termine dei lavori. La proposta progettuale, vede il nuovo parco ispirarsi alle eredità del modernismo che hanno influenzato fortemente l’architettura ed il paesaggio della città di Rio de Janeiro e pone grande attenzione verso la riduzione della superficie di suolo permeabile,l’utilizzo di nuove tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili, la conservazione dell’acqua e la riduzione della produzione di rifiuti, oltre ad una politica di valorizzazione degli spazi pubblici che collegano gli impianti olimpici. Con i suoi 1.2 milioni di metri quadrati, il parco ospiterà le strutture per 10 sport olimpici, un centro stampa per 20.000 giornalisti e sarà pronto ad accogliere fino a 200.000 visitatori al giorno. Dopo i giochi olimpici, gran parte delle aree verranno dedicate a progetti immobiliari e parte degli edifici costruiti, costituiranno il primo centro di formazione per atleti olimpici dell’America Latina.

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il libro

Paola Pavoni Architetto, Responsabile del Network Culturale per NIPmagazine

La città e l’altra città

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“Racconti ed esperienze in-disciplinate nella pianificazione anti-fragile” Volume a cura di qart progetti - collettivo acces_SOS (International Urban Projects and Research) e LAMAV Dalla Collana “La città e l’altra città” diretta da Pasquale Persico e Maria Cristina Treu


Le recensioni di La città e l’altra città.

Racconti ed esperienze in-disciplinate nella pianificazione anti-fragile di Paola Pavoni

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art-progetti si occupa di ricerca sullo spazio pubblico e sul suo grado di accessibilità, e attraverso questa pubblicazione si pone l’obiettivo di diffondere un documento di ricognizione delle esperienze di ricerca, che riguardano quella città altra che sembra emergere sempre di più nel contesto di fragilità e omologazione della città contemporanea. Racconti ed esperienze in-disciplinate nella pianificazione anti-fragile si presenta non come mera raccolta di esperimenti, bensì come terreno di confronto tra iniziative di pianificazione o progettazione, di esperienze partecipate, di condivisione e impegno sociale, fondate sull’interdisciplinarità di un approccio sensibile e creativo alle criticità dello spazio urbano contemporaneo in tutte le sue sfaccettature, quella fisica, sociale, economica, in cui la città è intesa come “forma di espressione complessa dell’organizzazione umana”. Singolare e ricca di significato la presenza nella parte introduttiva del Ma-

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l testo che abbiamo scelto per voi in questo numero, Racconti ed esperienze in-disciplinate nella pianificazione anti-fragile a cura di Matteo Fioravanti e Margherita Bagiacchi di qart progetti - acces_SOS, è stato pubblicato come primo libro della nuova collana La città e l’altra città diretta da Pasquale Persico e Maria Cristina Treu. Il progetto editoriale sembra voler indagare la scoperta e rinascita di quelle nuove forme di urbanità di cui la città contemporanea è carente e che, per una sorta di giustapposizione, vanno a prendere forma ai margini della stessa, in territori frammetati, ricchi di contraddizioni e complessità. Come scrive lo stesso Persico “Riscrivere la storia della città e del territorio deve diventare narrazione nuova, nella quale la diversità delle storie delle “altre città” nella città diventa opportunità per valorizzare architetture e forme insediative”.

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nifesto, di M. Fioravanti, che con un gioco di parole e significati su Commonground, Background, Commonplace, Playground, Underground e Foreground descrive il modo in cui il tema dello spazio pubblico viene affrontato nel nostro paese: da un lato il luogo comune, Commonplace, per il quale esso si realizza attraverso la dotazione di standard e dall’altro come risultato di un fermento clandestino, Underground, che si muove dal basso e che cerca di reinterpretare il concetto di spazio pubblico attribuendolo di nuovi significati attraverso processi creativi.

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l testo pubblicato volutamente in Times New Roman corpo 12 e rigorosamente in bianco e nero, lasciando da parte ogni stilismo grafico che distoglierebbe dall’importanza dei contenuti, si compone di tre parti: Introduzione, Progetti, Lemmario. I progetti-processi raccolti nel testo, che vanno dalle attività associative a ricerche dei laboratori universitari, formano una specie di banca dati delle esperienze applicate, mappate in un quadro di unione nazionale quasi completo,a segnalare quanto questo motore a cavallo tra ricerca scientifica e rigenerazione spontanea di spazi condivisi si stia infiltrando nei meandri della città contemporanea scoprendo e risvegliando nuovi “mondi” e nuove identità. All’architetto si chiede di farsi “ombra” per mettere in luce le relazioni materiali e immateriali tra gli individui e la loro voglia di altra città, e di aiutarli nella conoscenza e interpretazione della storia dei luoghi per guidarne la metamorfosi. Nell’ultima sezione, il Lemmario, unica nel suo genere sul tema dello spazio urbano, sono raccolti tutti i lemmi associati ed estrapolati dai processi e dalle ricerche progettuali presenti nel testo. Come se dal “racconto indisciplinato” e spontaneo si volessero manomettere, dal lemma che apre il testo manomissione “lasciare andare dalla mano”, ossia “mettere in libertà”, un insieme di espressioni e termini fondamentali a cui poter fare riferimento sia nella ricerca che nelle applicazioni pratiche di progetti futuri.

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a redazione di un catalogo simbolico attraverso il quale creare “un lemmario che faccia emergere i temi della Città e quelli dell’Altra Città, fino a proporre dialettiche operative di ricongiungimento, d’inseguimento o di superamento della dualità con-


Le recensioni di cettuale”, tra città e campagna, tra centro e margine, tra dentro e fuori, per trovare un terreno di azione comune in cui ridefinire lo spazio che ci appartiene. Buona Lettura Link per il download gratuito della pubblicazione: http:// cargocollective.com/qartit/la-citta-e-l-altra-citta

il libro sopra: Mappa dei luoghi. estratto da La città e l’altra città. Racconti ed esperienze in-disciplinate nella pianificazione anti-fragile

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