NIP #12

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Periodico bimestrale, Registro Tribunale di Pisa n° 612/2012, 7/12 “Network in Progress” #12 Gennaio/Febbraio 2013


www.nipmagazine.it redazione@nipmagazine.it

Alessandra Borghini_alessandraborghini@nipmagazine.it Direttore Responsabile

Enrico Falqui_ enricofalqui@nipmagazine.it Presidente

Stella Verin_stellaverin@nipmagazine.it Direttore Editoriale

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Francesca Calamita_ francescacalamita@nipmagazine.it Responsabile eventi, attività culturali e tirocini

Silvia Ruzziconi_ silviaruzziconi@nipmagazine.it Responsabile marketing e pubblicità

Paola Pavoni_ paolapavoni@nipmagazine.it Responsabile network culturale

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Casa Editrice: ETS, P.za Carrara 16/19, Pisa Legale rappresentante Casa Editrice: Mirella Mannucci Borghini

Network in Progress Iscritta al Registro della stampa al Tribunale di Pisa n° 612/2012, periodico bimestrale, 7/12 “Network in Progress” ISSN 2281-1176

Editing and graphics: Valerio Massaro Vanessa Lastrucci Stella Verin


Editoriale

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i siamo, è arrivato per noi il momento tanto atteso. Il nuovo sito, la nuova rivista, il blog, la nostra sfida… Nel progetto Network In Progress noi della redazione crediamo davvero, ci abbiamo messo e ci mettiamo tutta la nostra energia. Siamo un gruppo formato da giovani professionisti, ricercatori e studenti che hanno imparato a conoscersi tra le mura dell’Università. etwork In Progress è un magazine on line bimestrale, free press, che si occupa di paesaggio, architettura, rigene-

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razione urbana e cultura contemporanea, ma per noi non è solo questo… è anche un veicolo, un modo per dirci che in questa Italia che va sempre più alla deriva, le persone con idee e volontà possono riuscire, che esistono realtà, progetti e persone che vanno nella giusta direzione. Ecco quindi il nostro obiettivo primario: lavorare costantemente per conoscere, comprendere, ideare, elaborare e divulgare attività in grado di ampliare la rete creativa delle proposte per il territorio, la rete culturale dei soggetti promotori ed

operativi, la rete sociale della partecipazione e la rete virtuale della comunicazione.

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n lavoro continuo, Work in progress, per far crescere la rete, Network In Progress!

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er fare realmente “rete”, però, è necessario il contributo di ciascuno, dei nostri lettori e di tutti coloro che avranno voglia di scrivere sul blog o sul magazine, proponendo articoli e approfondimenti o segnalando iniziative, attività ed eventi da condividere. Per integrare, approfon-


dire e aggiornare costantemente le informazioni della rivista, abbiamo ideato e creato, grazie al prezioso supporto tecnico di YoungTeamDesign, un ricco blog, un istant magazine, dove potrete trovare un ampio panorama di notizie suddivise per temi e modalità di comunicazione, che racconteranno curiosità e notizie dal mondo attraverso racconti, immagini, interviste e recensioni. Sarà presente anche una sezione “tesi verso il futuro” in cui saranno raccontate le migliori tesi di laurea e specializzazione capaci di offrire un’idea,

una proposta o una speranza per progredire verso una sempre maggiore sostenibilità dello sviluppo. a vi invitiamo a curiosare anche nelle altre pagine del nostro blog, per conoscerci meglio, comprendere la nostra filosofia di lavoro, la mission che ci siamo prefissi e la rete che vorremmo creare e nella quale vi invitiamo ad entrare collaborando con noi secondo la modalità che preferite. E se questo nostro progetto vi piace e condividete con noi interessi e passioni, vi consigliamo

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anche di sfogliare i numeri passati di NIP nella sezione Magazine, dalla quale potrete anche scaricare la versione pdf da leggere sul vostro computer o da stampare e conservare! l nuovo numero ed il nuovo sito sono, quindi, per tutti, un trampolino, una pista di lancio che ci catapulta direttamente nel mondo, in una serie diversa e variopinta di approcci ai temi che ci stanno a cuore… dunque non ci resta che darvi il benvenuto ed augurarvi una buona lettura!

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Contents

#12 RUBRICHE

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La Défense Viaggio fotografico tra i grattacieli parigini di Ciro Cortellessa

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Architettura che ci piace p Point of View

di Vanessa Lastrucci

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FOCUS ON

Il riscatto nelle strade

paesaggio pubblico-ecologico a Roma di Caterina Padoa Schioppa INTERVISTA

labirinto di possibilità 21 Un come la creatività può riconnettere un frammento di città

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Intervista a Paolo Billi, di Stella Verin IL PROGETTO

oasi verde in una città in 31 Un trasformazione

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di Jordi Bellmunt Chiva CREATIVITÀ URBANA

39 Energiadi: Corrente alternativa per una nuova presa di coscienza

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di Germano Gemini LE RECENSIONI

_la mostra_ L’Architettura del mondo. Infrastrutture, mobilità, nuovi paesaggi. (Triennale di Milano)

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di Francesca Calamita

_il libro_ La città fuori dalla città di Enrico Falqui

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new NIP website by:

http://www.youngteamdesign.info

supporta

acquistando questo spazio pubblicitario! per info: redazione@nipmagazine.it 6


Architettura che ci piace/ non ci piace

Point of view

di Vanessa Lastrucci

foto di OSA http://www.osa-online.net/ http://www.blueprintmagazine.co.uk/

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he cosa succede nel Parco Olimpico di Londra? È questo che si sono chiesti i membri di OSA (Office for Subversive Architecture) nel Giugno 2008, quando i Giochi Olimpici erano ancora molto lontani dai pensieri di noi spettatori. Non erano però altrettanto lontani dalla quotidianità degli abitanti di East London, dove la costruzione del parco olimpico, già iniziata, aveva nascosto (e reso inaccessibile) un pezzo di città dietro una staccionata blu di 17 km alta più o meno 3 metri. È così che una mattina OSA, in collaborazione con BluePrint magazine, ha preso l'iniziativa di costruire una struttura di 6 gradini appoggiata alla recinzione, sulla quale salire per affacciarsi dall'altra parte, verso

i lavori di costruzione del parco. La prima piattaforma per la visione dei Giochi Olimpici 2012, come è stata da loro definita, è stata posizionata senza nessun tipo di permesso non come una provocazione, ma come un atto di apertura e curiosità, un atto di opposizione alla difficoltà di ottenere informazioni sul programma di sviluppo dell'area ed al taglio di fondi per il centro visitatori. La vista del sito, fino ad allora negata, è stata possibile ai curiosi di passaggio per due giorni e mezzo, prima che l'istallazione fosse rimossa dall'Olympic Delivery Authority.

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Ciro Cortellessa, vive e lavora a La Spezia. Fotografo di reportage e documentarista, ha realizzato i suoi reportage in Bosnia, Turchia, Kurdistan Turco, India, confine Pakistano, Vietnam, Kazakistan, confine con la Cina , Kirghistan, Uzbekistan, ricevendo molti riconoscimenti nazionali ed internazionali. Ha collaborato con le riviste Tutto Turismo, Quark ed attualmente pubblica i suoi viaggi sulla rivista Viaggiando. Il suo ultimo lavoro fotografico “Le figlie sono come le madri, le donne lungo la via della setaâ€?, sarĂ oggetto nel 2013 di una mostra fotografica itinerante in Italia. Mail: timelux2@tin.it facebook: ciro.cortellessa http://timelux2.wix.com/cirocortellessa


La Défense

Viaggio fotografico tra i grattacieli parigini foto e testi di Ciro Cortellessa

Vedere Parigi è come viaggiare su una macchina del tempo. I grandi viali, i parchi, i ponti, le chiese, le opere d'arte, i mercatini, i musei, regalano un senso di eterno a chi é attento ad osservare i particolari di un’epoca che mai ha abbandonato l'anima vera dei parigini. Ma l’elegante romanticismo che pervade ogni angolo della città si affaccia anche alle innovazioni più moderne e ricercate. Un’altra epoca sembra fare da contrappunto musicale alle sue meraviglie romantiche. Come nella musica coesistono simultaneamente più linee melodiche, ciascuna con una propria autonomia, un proprio carattere e aventi tutte quante la stessa importanza, anche qui a La Défense di Parigi, il più grande centro direzionale di tutta Europa, sorgono quelle “linee melodiche” composte da ben tre generazioni di grattacieli costruiti negli anni in questa vastissima area. La maestosità di ogni singola costruzione, l’uso di architetture avveniristiche e vetrate a specchio che rendono impenetrabili alla vista gli interni, fanno da sfondo ad un microcosmo, fatto di persone assorte, o intente a svolgere gesti quotidiani, ma fuori dal tempo, un tempo indefinito che non è né passato, né presente, né futuro. Erranti tra l’immensità di spazi, resi quasi siderali dalla freddezza dei materiali usati per la costruzione dei grattacieli, ed improbabili alberi che sembrano affondare le loro radici negli stessi materiali che hanno permesso tutto ciò. Qui si riesce a percepire il silenzio, ci si può sentire piccoli ed immensi allo stesso tempo, osservatori ed osservati, lontani quasi anni luce da quella Parigi così diversa, forse più amata. 9


Caterina Padoa Schioppa è architetto con studio a Roma e Docente a contratto al Politecnico di Milano. Dopo aver studiato a Roma, lavorato a Parigi dal 2000 al 2002, nel 2002-2003 frequenta il Master in Landscape Urbanism all’Architectural Association di Londra. Nel 2005 si ristabilisce a Roma e nel 2009 consegue il Dottorato di Ricerca presso la Facoltà di Architettura di Roma Tre con una tesi oggi pubblicata con Aracne Editrice intitolata “Transcalarità e adattabilità nel Landscape Urbanism” Dipl.arch, MA Architectural Association, PhD Roma Tre padOAK studio address: vicolo Moroni 30-00153 Roma mobile: (+39) 3381369964 web: www.padoak.com


IL RISCATTO NELLE STRADE PAESAGGIO PUBBLICO-ECOLOGICO A ROMA di Caterina Padoa Schioppa

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La rigenerazione è la grande sfida urbana degli ultimi anni.

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a rigenerazione è la grande sfida urbana degli ultimi anni. È la risposta coerente ad una crisi mondiale che colpisce non solo le economie ma anche e soprattutto le ecologie planetarie. Roma, con il ritardo e con l’ambiguità che hanno caratterizzato i processi di pianificazione post-unitaria, solo ora comincia ad investire le risorse materiali, strumentali e culturali di cui dispone per favorire una politica di densificazione più che di espansione, di riutilizzo più che di nuova edificazione. Negli ultimi anni infatti, nonostante i segnali del disagio sistemico e locale, che suggeriva interventi di recupero e di trasformazione del patrimonio esistente, si è andata consolidando la cultura del nuovo. Per una sovrabbondanza normativa, oltre che per una scelta strategica anacronistica, la pianificazione più recente ha creduto nelle “Nuove Centralità Metropolitane” – definite “iniezioni di città nella non città” - come estremo tentativo di dare una struttura all’incoerente affastellamento urbano romano. Come tutte le operazioni ideologiche, governate da un’eccessiva fiducia nella propria razionalità e necessità,

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tale politica ha tuttavia palesato una fragilità prevedibile: nella discontinuità fisica, e perfino psicologica, di un modello urbano basato sulla segregazione forzata delle funzioni si sono generate realtà estranee all’organizzazione dei centri limitrofi e si è pertanto rinunciato alla valorizzazione dell’esistente. Più di ogni altra cosa, lo spazio pubblico e collettivo cittadino si è impoverito di contenuti materiali e ideali. Quella conformazione “a pelle di leopardo”, come l’ha definita Maurizio Marcelloni1, rappresenta un caso esemplare di ecosistema misto, dove città pianificata e città spontanea si snodano in un paesaggio costruito discontinuo, intersecato da grandi vuoti residuali, resti di un antico territorio agricolo che sorprendentemente costituisce più della metà del territorio comunale. Tale complessa morfologia contiene un’enorme potenzialità, che è stata in diversi modi intuita ma non sufficientemente indagata. Il progetto HiStreet2 nasce dall’idea che la qualità dello spazio pubblico-ecologico e del patrimonio solitamente considerato “ordinario” sia un’essenziale condizione per un reale riscatto sociale e culturale. Assecondando la natura po-


...politica di densificazione più che di espansione, di riutilizzo più che di nuova edificazione... licentrica ed evolutiva dell’ambiente ni e di feconda entropia. Sono divenute urbano è possibile coniugare esigenze spazio conteso, insicuro, espressione di infrastrutturali ed ambientali con la un potere invisibile, che bene descripredisposizione di una trama di corve Rosalind Williams4 quando parla di ridoi ecologici in un sistema intensa“corridoi del potere”, dandone un’inmente interconnesso. terpretazione politica e tecnologica. Roma come molte altre grandi città Linee di forza dominate da flussi rigie aree metropolitane può considerarsi damente monodimensionali e monoun’aggregazione di quartieri con forte funzionali che soddisfano il transito di identità locale. Ognuna di veicoli ma lasciano fuori ...dare una struttura queste entità riproduce al le persone. all’incoerente proprio interno una confiDavid Owen nel suo libro affastellamento gurazione simile a quella Green Metropolis5 ci illuurbano romano... stra come, per quanto padi una città: un centro dinamico costituito da una radossale possa sembrare, 3 strada - la “High Street” di quartiere sono proprio le città più congestionate dove si concentrano i principali servizi - le metropoli che nella nostra percepubblici, e i margini più o meno estesi, zione sono i luoghi più malsani, inquipiù o meno definiti, contigui ad altri nati ed inquinanti - le uniche in grado nuclei. La riflessione sulla strada come di promuovere con successo uno stile elemento generatore di città è antica. di vita che si affranca dal trasporto pri“Le strade sono il più autentico portavato e si affida al trasporto pubblico, o to della cultura urbana” recitano molti meglio ancora ai mezzi di circolazione teorici della città, da Georg Simmel a lenta. La “cultura della congestione” Richard Sennett. Ma come la maggior intesa come densità e sovrapposizione parte delle infrastrutture del territorio, di usi e di flussi – quella celebrata da anche le strade urbane hanno subito Rem Koolhaas nel suo primo testo di una metamorfosi profonda negli ultiarchitettura Delirius New York pubblimi decenni. Erano terzo spazio tra due cato nel 1978 – è dunque anche lo strufronti: luogo di contestazioni, di colomento più efficace per diffondere ed nizzazioni spontanee, di improvvisazioaffermare la strategia ecologica.

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nche dal punto di vista antroCiò in parte spiega la ragione per cui pologico, a fronte dell’enorme il paesaggio abbia progressivamente riduzione delle cosiddette “attiassunto un ruolo ordinatore in molvità necessarie” che caratterizzavano ti processi di trasformazione territolo spazio pubblico cittadino fino alla riale. La riconversione dei cosiddetti metà del secolo scorso, si pone oggi la “territori sospesi” – i vuoti urbani, gli 6 questione della sua nuova identità . Per edifici abbandonati, le infrastrutture essere attraente e “competitivo” esso dismesse, le aree contaminate - ha trodeve offrire valide “attivivato nell’apparato teorico e La “cultura della tà opzionali”, deve trasforstrumentale del paesaggio congestione” è dunque marsi in “parco” in senso la chiave per ricomporre anche lo strumento più figurato, coniugare istanze ecologie miste, rese possiconnettive con funzioni lu- efficace per diffondere bili dalla riscoperta di una ed affermare la diche, sociali e culturali. compatibilità e reciproca strategia ecologica. Tale ragionamento è ultecomplementarietà tra proriormente accreditato dalgrammi di recupero amla odierna consapevolezza che il ciclo bientale e attività propriamente urbadi vita delle infrastrutture è piuttosto ne. breve. Come argomenta il paesaggista “Considerare le questioni ambientaPierre Bélanger nello studio Redefili come elementi essenziali della vita ning Infrastructure in Ecological Inpubblica, anziché come vettori dell’ex7 frastructure le infrastrutture - dagli pertise tecnica” è il manifesto del proaeroporti alle stazioni idroelettriche, getto Multi-String di Manuel Gausa, dai ponti ai pannelli solari, dagli inceche propone per la rete viaria dell’Enneritori alle dighe – rimangono attive sanche progettato da Cerdà a Barcelgeneralmente solo qualche decennio. lona un sistema di viali-parchi lineari,

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a sinistra: lo spazio entropico della circolazione lenta (Piazza Venezia a Roma, anni ’20). a destra: la cultura della congestione come sovrapposizione di usi e di flussi (Graffito di Bansky)

che su scala territoriale costituiscano un Parco Centrale Multilineo virtuale. Nell’immaginario attuale si paragona spesso tale operazione di rinaturalizzazione o “ambientalizzazione8” del paesaggio pubblico cittadino ad un processo di invasione della natura, che con le sue capacità parassitarie, può inghiottire e metabolizzare le brutture irresponsabilmente prodotte. La strategia ecologica tuttavia non ha nulla di nostalgico e non è un’alternativa bucolica. È piuttosto un’occasione per addomesticare lo spazio pubblico, per ristabilire una relazione simbolica e rituale con il paesaggio. Rendere domestico un luogo significa prima di tutto associarlo all’idea di casa9. È così che fin dal Neolitico gli esseri umani hanno trasformato i luoghi per sottrarli alla natura selvaggia, incontinente e sconosciuta, marcando il territorio e tracciando confini. Con questi riti o riti analoghi tutte le civiltà hanno fondato lo spazio urbano prima di tutto come veicolo di diffusione di una cultura e di

un modo di vivere. “L’antico romano sapeva che il cardo lungo il quale camminava era parallelo all’asse intorno a cui rotava il sole, e sapeva di seguire il corso di questo allorché percorreva il decumanus: egli era in grado di decifrare, in base alle istituzioni civiche, il significato del cosmo e ciò lo faceva sentire intimamente inserito in esso10.” Così Joseph Rykwert descrive la relazione che nella civiltà romana si stabiliva con l’universo attraverso una struttura geometrica, topologica: un sistema di riferimento simbolico che faceva dipendere le questioni tecnologiche, trattate in modo elusivo, da quelle rituali, dettate con grande precisione. Oggi l’organizzazione dello spazio urbano ha rovesciato l’ordine dei valori. Sono molto più tenaci le valutazioni economiche, tecniche, igieniche ed è scomparso del tutto un modello concettuale che inneschi processi collettivi di appropriazione spaziale e culturale.

La strategia ecologica è un’occasione per addomesticare lo spazio pubblico, per ristabilire una relazione simbolica e rituale con il paesaggio... 15


di dipendenza dei grandi sistemi terriella realtà, addomesticare lo spatoriali, insieme con una “visione orizzio pubblico oggi significa ricerzontale” che permette di indagare le care nelle periferie, nei territori relazioni fisico-spaziali e le consuetumarginali ed esitanti quel materiale dini funzionali di ogni singola realtà, è emergente, quei meccanismi virtuosi, stato possibile costruire un patrimonio auto-sostenibili e proliferativi capadi conoscenze che, per eccesso e per ci meglio di altri di interpretare e di sovrapposizioni, si è progressivamente veicolare i cambiamenti della società. cristallizzato in un sistema di strategie Questo materiale a ben veprogrammatiche e di regodere suggerisce non solo ...ripristinare o le topologiche. Come rivela pratiche d’uso ma anche la struttura urbana cinqueattribuire una organizzazioni dello spazio. centesca di Sisto V, celeleggibilità al Dal punto di vista metodisegno urbano brare l’identità di un luogo dologico il progetto Hie rafforzare le comincia con lo svelare le Street ha perciò adottato il identità locali... logiche, spesso smarrite, principio dell’emergenza, di adattamento e di mudella generazione delle idee, dell’ogtuo scambio tra il sistema antropico e getto stesso della ricerca, come risultail sistema naturale, integrando sapiento di un approccio fenomenologico, ditemente l’apparato scenografico e le sinteressato, non guidato da ideologie necessità infrastrutturali. Adottando e nemmeno da anguste letture filologli strumenti del paesaggio – il model11 giche . Combinando la tradizionale vilo evolutivo che, facendo interagire più sione zenitale, dalla quale si deducono registri spazio-temporali, costruisce le relazioni di contiguità, di reciprocità, scenari di breve-medio-lungo periodo,

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in alto: a sinistra: La strada come spazio di colonizzazione, come prolungamento delle funzioni della casa. a destra: Addomesticare lo spazio pubblico passa attraverso azioni provocatorie (New York Times Square raduno di yoga, giugno 2012) di fianco: a sinistra: Leggibilità come integrazione di apparato scenografico legato alla natura del paesaggio (la Roma di Sisto V). a destra: La leggibilità del disegno urbano è legata alla geometria della visione, non all’omologazione del linguaggio (Via Don Bosco Roma, anni ’60) 16


adattabili ma non generici – HiStreet propone su scala territoriale un paesaggio pubblico-ecologico, non solo per “rimediare”, ma anche e soprattutto per ripristinare o attribuire una leggibilità al disegno urbano e rafforzare le identità locali. Contrariamente a quanto si pensa tale leggibilità non è affidata alla convergenza del linguaggio, ma alla geometria della visione che permette di ristabilire le relazioni tra lo spazio della strada e le sue architetture, ed in particolare quelle che svolgendo una funzione civile tracciano un mosaico composito di spazi intermedi, dai confini indistinti, come il Nolli ha spettacolarmente inciso nel 1748.

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e High Streets sono un pretesto per re-interpretare la spinta evolutiva attuale non come celebrazione di velocità che si accorciano e di tempo che si “guadagna”, ma come elogio dello spazio e delle sue geometrie complesse. Le percorrenze lente sono molto più che un dispositivo ecologico per riportare la congestione ad un fatto sociale e creativo. Possono essere intese come quello che Giorgio Agamben definirebbe un contro-apparato12 per trasformare gli spazi pubblici da prigioni dell’omologazione in sconfinati territori dell’alterità.

NOTE 1 – in Maurizio Marcelloni (2003) Pensare la città contemporanea. Il nuovo piano regolatore di Roma. RomaBari, Editori Laterza 2 - All’inizio dell’estate del 2011 un piccolo gruppo di architetti comincia a riunirsi in una sede messa a disposizione dalla Provincia di Roma. L’idea era di avviare un esperimento di riflessione e di costruzione di un patrimonio di idee condiviso sulla città di Roma, motivati dalla passione professionale e civile di contribuire allo sviluppo di una cultura che, senza mistificare l’architettura, riportasse in una posizione nodale la questione della rigenerazione dello spazio pubblico nell’agenda urbanistica. 3 - Nella molteplicità delle linee programmatiche proposte nel nuovo PRG esisteva un’indicazione per quei centri minori, che con diversa vocazione costituiscono l’ossatura della città contemporanea. Sono le cosiddette “Centralità Locali”. Si tratta nella maggior parte dei casi di strade con funzione di centralità di quartiere. Il progetto HiStreet ha studiato 8 Centralità Locali (delle 62 totali) distribuite nei Municipi più popolosi e periferici della città (Conca d’Oro, San Basilio, Torre Angela, Cinecittà, Laurentina, Corviale, Primavalle, Labaro). 4 – Si veda Rosalind Williams, Keynote Lecture “Landscape Infrastructure. Systems & Strategies for Contemporary Urbanization” - Symposium “Landscape Infrastructures”, 23 marzo 2012, Graduate School of Design, Harvard University (http://www.youtube.com/ watch?v=MfjkQjwoVHs) 5 - David Owen (2010) Green Metropolis. Milano, Egea Edizioni 6 – Si veda l’analisi di Jan Gehl sullo spazio pubblico in in Jan Gehl (2010) Cities for People. Washington, Island Press 7 – Si veda Pierre Bélanger “Redefining Infrastructure” Symposium “Landscape Infrastructures”, 23 marzo 2012, Graduate School of Design, Harvard University (http:// www.youtube.com/watch?v=BLQkslziVEY) 8 – Così viene definito il processo di trasformazione dello spazio pubblico di Barcellona da Francesc Munoz nel suo articolo “Dopo il modello Barcellona: sfide per lo spazio pubblico nel XXI secolo” in Pippo Ciorra & Sara Marini (a cura di) (2011) Recycle. Milano, Electa 9 – Domus è la radice del termine domestico 10 – in Joseph Rykwert (2002) L’idea di città. Milano, Adelphi Edizioni 11 – Sul tema dell’emergenza come strumento cognitivo e generativo nel processo creativo si veda Caterina Padoa Schioppa (2010) Transcalarità e adattabilità nel Landscape Urbanism. Roma, Aracne Editrice 12 – in Giorgio Agamben (2006) Che cos’è un dispositivo. Roma, Nottet

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Ciro Cortellessa Š



Il Teatro del Pratello coop. sociale opera soprattutto con progetti teatrali rivolti all’adolescenza, in particolare con minori detenuti presso l'IPM di Bologna o seguiti dai servizi della giustizia minorile, con studenti di scuole superiori e di centri della formazione professionale. Le attività della cooperativa sono riconosciute da una Convenzione in essere tra Centro Giustizia Minorile di Bologna, Comune di Bologna e Provincia di Bologna. La cooperativa ha curato inoltre dal 2008 progetti teatrali rivolti a detenuti della Casa Circondariale di Bologna. Per questa attività è tra i soci fondatori dell’Associazione di Promozione Sociale Coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna, che riunisce insieme le realtà che operano con progetti di teatro nelle carceri della regione. www.teatrodelpratello.it Facebook: Teatro del Pratello

Stella Verin Architetto e Paesaggista, direttore editoriale di NIP. È cultrice della materia presso l’Università di Architettura di Firenze nell’ambito della Progettazione Urbanistica. stellaverin@nipmagazine.it


'INTERVISTA UN LABIRINTO DI POSSIBILITÀ: COME LA CREATIVITÀ PUÒ RICONNETTERE UN FRAMMENTO DI CITTÀ di Stella Verin fotografie di Marco Caselli Nirmal Intervista al regista teatrale Paolo Billi, che da anni opera nella cooperativa sociale Il Teatro del Pratello, nata nel dicembre 2007, prende il suo nome dalla via del Pratello, storica strada bolognese che da sempre ospita l’Istituto Penale Minorile (IPM) della città. La cooperativa realizza progetti rivolti all’adolescenza, in particolare con minori detenuti o seguiti dai servizi della giustizia minorile, con studenti di scuole superiori e di centri della formazione professionale. Quest’anno lo spettacolo presentato dalla compagnia si intitola “Danzando Zarathustra”, riadattamento del celebre libro di Nietzsche interpretato a passi di danza dai ragazzi del carcere minorile di Bologna.

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_Ci parli di lei e della sua attività sperimentale nel teatro. Brevemente, una delle mie attività teatrali che si sono succedute negli anni è stata quella di operare in un Istituto Penale Minorile, fino a 14 anni fa, fino a quando mi è stato proposto questo progetto, non avevo mai lavorato né con adolescenti né in istituzioni chiuse come un carcere, un manicomio o un ospedale. La mia formazione, il mio periodo lavorativo precedente veniva dalla sperimentezione, dalla ricerca, tra l’altro in Toscana a Pontedera e presso il Teatro di Buti. Chiaramente l’istituzione carcere ti fa entrare all’interno di realtà in cui la componente educativa è imprescindibile, ma quello che affermo e faccio è che il mio fare ha chiaramente un precipitato pedagogico che però deve essere portato avanti dalle figure educative che operano in questo ruolo. Questo è importante perché il lavoro che faccio in questo contesto, non ha nulla del corso di teatro o della attività ludico ricreativa, ma si configura come un progetto articolato lungo 3 mesi e mezzo che impegna i ragazzi tutti i giorni dalle 3 alle 6 ore quotidiane che li occupa in attività manuali, il laboratorio di scenotecnica, il laboratorio di attrezzeria, negli anni passati il laboratorio di sartoria, e li impegna pure nei laboratori di tipo espressivo, di scrittura creativa, di movimento. Tutte queste attività vanno a confluire nel lavoro teatrale che va poi a realizzare uno spettacolo. Questa è probabilmente la caratteristica unica di questo spettacolo in Italia, non viene messo in scena una o due volte come saggio finale ma viene replicato

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per 2 settimane, per 14 volte almeno, perché il momento dello spettacolo è fondamentale nel lavoro che vado a fare, in quanto se è un laboratorio teatrale produco uno spettacolo teatrale, e lo spettacolo ha bisogno di spettatori. Fare teatro in un carcere significa fare entrare gli spettatori dentro ad un carcere. _Lei ha definito il fatto di aprire per la prima volta agli spettatori l’ingresso principale del carcere un fatto simbolico importante, perché? Varcano quella soglia all’incirca ogni anno 1400 persone, lo spettacolo che viene fatto per motivi di sicurezza non puo contenere più di 100 persone, le repliche sono sempre piene, ormai è inserito nel calendario annuale nella vita culturale della città che tra Novembre e Dicembre venga messo in scena questo spettacolo a Bologna. Allora la città entra dentro il carcere. Il fatto che nel cuore della città continui ad esistere un carcere è importante in quanto prima di tutto non lo si va a nascondere in una periferia o in mezzo alle campagne, operazione che negli ultimi anni in Italia è stata realizzata in altre città per il fastidio che provoca sapere che lì dentro ci sia un luogo di reclusione, meglio rimuovere. Quindi il fatto che attraverso il teatro questo luogo può essere addirittura aperto e che si varchi quella soglia, è una azione forte di affermazione. Quest’anno, anche dopo ai fatti che hanno investito l’IPM, che è stato travolto da una serie di polemiche riguardo alla gestione ed al

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trattamento che era stato inferto su alcuni ragazzi, il fatto di far entrare il pubblico dalla porta principale, il fatto di farlo passare per il cortile e per una porzione di corridoio che fa parte del chiostro del ‘300 e farlo arrivare fino alla chiesa che ospita ormai da 10 anni le attività teatrali, permetteva allo spettatore di entrare dentro ad un mondo che non era mai stato mostrato, significa dare alla città una parte fino ad ora tenuta in disparte. _Da cosa nasce l’idea di inserire all’interno del racconto la storia dell’edificio carcerario, cioè di inserire all’interno della trama teatrale due storie che si sviluppano parallele, quella tratta dal libro “Così parlò Zaratustra” e la storia dell’edificio carcerario a partire dal 1350 fino ai giorni nostri?

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È nato come gioco nella scrittura del testo, si sono andati a creare due livelli differenti nella storia, il primo era quello della reinterpretazione delle pagine di Nietzsche, dallo Zarathustra, il secondo livello era giocato sulla storia di quel luogo, immaginando che lo spettacolo nascesse sulle rovine di fondamenta a forma di labirinto, e che queste fondamenta erano state nel passato fondamenta di edifici diversi costruiti e distrutti nel tempo più volte fino all’ultima distruzione. Questa è metafora di quello che storicamente è accaduto all’edificio che oggi ospita l’IPM, prima convento di clausura, bruciato e distrutto due volte, che dopo la soppressione dei conventi da parte di Napoleone è divenuto alloggiamento truppe e poi è divenuto ospedale di raccolta


di mendicanti, poi casa di correzione paterna, poi riformatorio e fino a divenire istituto penale. _Da cosa nasce l’idea spaziale di una scenografia così forte? Perché avete voluto dare questo accento così significativo a questo elemento, che è parte integrante dello spettacolo? Il labirinto, che poi è diventato anche oggetto del laboratorio di scrittura da parte dei ragazzi, è un luogo simbolico, che ha un potenziale estremamente alto per essere trasformato in un luogo di azione teatrale. Il problema era di realizzarlo concretamente, perché lo spazio teatrale era di 7 metri di larghezza per 16 metri di profondità, tutto costruito in legno con una pendenza per permettere una visione adeguata che va dal frontale alto 1,20 metri, fino al fondo scena, al quindicesimo metro di profondità, con una altezza di 2,40 metri. Lo spazio fisico del labirinto si poteva giocare come rete di cunicoli tutti agibili all’interno, ma anche come cornice su cui camminare che era la parte superiore del labirinto. Quindi esisteva un labirinto di superficie, i muri, ed un labirinto di profondità, i cunicoli. Tra questi due spazi vivevano le due figure dei guardiani e dalle profondità del labirinto sorgevano quelli che erano stati gli abitanti in passato, oppure gli abitanti attuali che erano null’altro che gli insetti. La scena era unica e continua, questo spazio fisico concreto, non era illusorio ma reale, proprio per questo forniva la base perfetta per farlo divenire altro.

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_Quindi, possiamo dire che, attraverso questo meccanismo di presa di coscienza dello spazio fisico sia della scena sia del luogo, lei ha voluto creare una riconnessione tra città ed Istituto Penale. Quanto di questo costituisce una sua reale intenzione e quanto invece è venuto fuori attraverso il lavoro con i ragazzi detenuti? Era pienamente voluto e pianamente consapevole. Poi il fatto di averlo velato all’interno dello spattacolo, di non averlo dichiarato, questa è stata un’altra scelta. Non mi interessava che fosse uno spettacolo sulla storia del luogo e su quello che era successo in quel luogo, ma mi interessava che tutto questo fosse il continuum di fondo che sosteneva altri accadimenti, un’altra storia. Danzando Zarathustra ha una sua linea drammaturgica evidente che poggia su un’altra linea drammaturgica che è la storia di quel luogo e di come quel luogo nella città sia sempre stato vissuto, il Pratello a Bologna è sempre stato considerato luogo buio. Questo è un altro aspetto che merita di essere analizzato e che sviluppa altri discorsi cui avevo accennato sull’importanza di mantenere il carcere minorile all’interno del cuore della città. _Quindi possiamo dire che questo lavoro all’interno del carcere e questi 14 giorni di spettacolo in cui il carcere viene aperto alla città, costituiscono l’unico momento di denuncia dell’esistenza di questo luogo, oppure esso è costantemente percepito dagli abitanti della comunità? Durante l’anno faccio altre attività in cui non faccio entrare dentro ma faccio uscire fuori, seguo altri progetti in cui sempre attraverso il teatro cerco di intessere ponti tra il dentro ed il fuori. È chiaro che le 14 repilche dello spettacolo a Dicembre sono un momento molto concreto e divengono l’appuntamento principale nel corso dell’anno, nel resto dell’anno le attività che faccio non hanno lo stesso impatto comunicativo, ma esistono lo stesso. D’estate, per l’estate bolognese organizzo una rassegna di teatro e musica in cui i ragazzi reclusi ed altri ragazzi che hanno altre misure giudiziarie, gestiscono il cortile dove si fanno gli spettacoli, non quindi costruendo uno spettacolo, ma gestendo due settimane di rassegna in cui fanno il personale di sala, gli aiuti tecnici, è un altro modo per far incontrare la città, per invitare la città a farsi carico di una parte della sua comunità molto spesso dimenticata.

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Ciro Cortellessa Š


Ciro Cortellessa Š



Jordi Bellmunt Chiva Architetto e paesaggista, é Professore del Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione Territoriale dell’Universitá Politècnica della Catalogna e Direttore del Master di Architettura del Paesaggio (UPC). Vicedirettore della “Escola Tècnica Superior d’Arquitectura de Barcelona” (1997-2006). Premio Torsanlorenzo 2006, Premio Ippolito Pizzetti 2008 e 2009. Prix Méditerranéen du Paysage 2007. http://www.jordibellmunt.com


UN’OASI

VERDE IN UNA

CITTÀ IN TRASFORMAZIONE di Jordi Bellmunt

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a cittá di Salou nella Costa Daurada catalana, nucleo di piú di 26.000 abitanti fondato dai greci della regione di Focida nel secolo VI a.C., si é convertita a partire dagli anni ‘60 in una capitale turistica del mediterraneo, con un’affluenza di piú di 200.000 persone durante i mesi estivi. L’abituale frequentazione della cittá da un tipo di turismo denominato SSS (Sabbia Sole e Sesso), impose all’amministrazione la necessitá di incrementare la qualitá dell’offerta di svago senza relegare quindi l’unica speranza di progresso turistico al buon clima, alla capacitá delle propie spiagge di sabbia o all’offerta di svago notturno. Un primo passo in questo senso avvenne con l’ubicazione del parco turistico di Port Aventura di respiro internazionale, legato ad una offerta turistica specifica, propia del resort, dotato di alberghi, zone residenziali, servizi ed attivitá di svago, attrazioni ludiche, campi da golf, paesaggi, etc. Nel contesto di un’espansione urbana importante, a partire dalla necessitá di offrire alternative culturali e di uso pubblico, il Comune di Salou propose in un punto strategico situato alle porte della cittá, l’impianto di una nuova area verde che fosse allo stesso tempo un parco urbano ed un giardino botanico. In un terreno triangolare di piú di 2,5 ettari, topograficamente depresso, obiettivo del progetto é stato quindi

in alto: Ambito del Parco Botanico di Salou e area di espansione urbana in basso: Vista aerea del Parco all’ingresso principale della cittá nella pagina successiva: in alto: Schema delle terrazze/Schema della vegetazione Vista d’insieme del parco ed in primo piano padiglione d’ingresso e scarpata vegetata in basso: Vista di uno dei canali d’acqua


quello di recuperare e migliorare l’immagine del luogo, simbolica porta urbana, consolidando un sistema di spazi di qualitá lungo il principale asse urbano di accesso alla cittá che si snoda fino alla spiaggia ed al mare.

Adattamento topografico

Il terreno si organizza cosí in un sistema di terrazze, sistema paesaggistico che si recupera e potenzia a partire dai tracciati preesistenti delle partizioni agricole di origine romana. Allo stesso modo, l’antica tradizione agricola del luogo si mantiene non solo nell’orografia, ma anche nella funzionalitá, nella selezione del materiale vegetale e nel rispetto per la natura che il parco contempla in tutte le fasi del progetto. La proposta, in questo luogo dimen-

ticato e pieno di rifiuti di cantiere ed industriali, si ispira alla maglia di organizzazine dei campi, in un aroma di isola verde urbana, oasi di Marrakech racchiusa da muri, recinti e percorsi labirintici. Le terrazze si definiscono mediante la disposizione di muri di pietra che contengono e delimitano le aree vegetali; i percorsi del giardino si adattano al dislivello del terreno mediante multiple direzioni, che offrono la possibilitá di scoprire ogni angolo di questo spazio con i suoi diversi e singolari ambienti botanici. Nella zona piú elevata, a modo di Giardino Mediterraneo, si disegna uno specchio d’acqua a partire dal quale si snodano piccoli canali che delimitando le terrazze si distribuiscono in tutto il parco fino la quota piú bassa, in cui si ubica il deposito di trattamento dell’ac-

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qua. Da quest’ultimo l’acqua si impulsa nuovamente ad ognuno dei canali, assicurando un circuito chiuso che garantisce da una parte il caudale necessario di ogni canale, dall’altra l’ottimizzazione della necessitá idrica del giardino. Il sistema d’irrigazione viene complementato da una rete intelligente di apportazione di acqua settorializzata per ognuna delle specie vegetali distribuite nel parco. Inoltre, la presenza dell’acqua e l’effetto sonoro che genera, riduce la sensazione di calore nelle afose giornate estive; l’acqua in movimento, accompagna il visitante nel suo viaggio tematico, apparendo e scomparendo parallelamente ai sentieri, segnalando diversi punti di speciale interesse.

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Giardino tematico e parco pubblico

Allontanandosi dal concetto tradizionale che abbiamo di un giardino botanico convenzionale, come recinto chiuso in cui si raccolgono e conservano collezioni scientificamente ordinate di piante originarie del clima mediterraneo, nel parco botanico di Salou, si pretendeva qualcosa diametralmente opposto, come riscoprire un punto di attrazione turistica che combinasse il rigore necessario per l’analisi scientifica con la sensibilizzazione per la natura, introducendo gli aspetti di svago e ozio piú propri di un parco pubblico. Gli esemplari che conformano il patrimonio botanico di questo giardino sono in maggior parte specie appartenenti alla flora mediterranea. Le palme costituiscono un sito in uno spazio in


Successione dei muri che conformano terrazze ed ambienti

Nella pagina precedente: in alto: Vista in dettaglio di una delle terrazze in basso: La vegetazione con il tempo prende protagonismo

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cui scarseggiano gli elementi costruiti. Pavimentazioni in cemento e legno, muri in pietra naturale, muri colorati che riprendono le tonalitá terrose, muri in acciaio corten e canali d’acqua, riescono a strutturare gli spazi in modo misurato e sobrio, confinando le aree e organizzando la circolazione, senza che ogni spazio perda il suo carattere e la sua autonomia. L’elenco botanico del giardino é formato da specie arbustive, arboree e diverse specie di palme, adattate al suolo e al clima di questo nuovo spazio singolare. Varietá di vegetazione autoctona convivono con altre provenienti da punti diversi del globo terrestre: palme come la “Trithrinax campestris” proveniente dall’Argentina; “Livistona Chinensis”, originaria del Giappone e Taiwan; “Yucca elephantipes” del centro america; la cilena “Jubaea chilensis” o la sudafricana “Erythrina Caffra”, denominata “albero del corallo”, configurano la base scientifico-didattica di questa concezione contemporanea del giardino botanico. Permeabile ed accessibile, senza porte o recinzioni che lo chiudano, il Parco Botanico di Salou, fu concepito come uno spazio moderno che si allontana

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dall’idea tradizionale di giardino botanico, cercando l’uso molteplice ed intenso dei suoi ambienti, didattici e pedagogici, che si articolano all’ombra degli alberi e delle palme. Seguendo questa teoria, si sviluppa un progetto innovatore che riesce a fondere la conoscenza, la divulgazione scientifica e popolare delle piante con le funzioni di diffusione, rilassamento, passeggio delle persone, cosí come l’interazione sociale che proporziona in modo aperto lo spazio verde urbano. in alto: I percorsi e le terrazze tra i muri in basso: Immagine notturna


Ciro Cortellessa Š


Le Energiadi sono un progetto ideato ed organizzato dall’Associazione Socialice, giovane realtà del territorio milanese impegnata nella diffusione della cultura della sostenibilità ambientale (efficienza, efficacia e rinnovabilità) e sociale (responsabilità individuale, valorizzazione della diversità, cooperazione), attraverso progetti creativi di sensibilizzazione. www.socialice.it www.energiadi.org


CORRENTE

ALTERNATIVA PER UNA NUOVA PRESA DI

COSCIENZA di Germano Gemini -Socialice-

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e Energiadi sono la prima gara al mondo che premia chi produce il maggior quantitativo di wattora attraverso fonti sostenibili. La competizione si svolge producendo corrente elettrica semplicemente pedalando con normali biciclette ed è aperta alla partecipazione di tutti: attraverso percorsi specifici può essere una sfida tra città, quartieri, sedi aziendali, scuole, associazioni. Le Energiadi sono energia sociale in movimento e, come dice il nostro slo-

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gan, sono un progetto che trasforma ognuno di noi in una centrale d'energia sociale per produrre corrente alternativa per una nuova presa di coscienza. Le Energiadi sono soprattutto un modo divertente per fare territorio, ricreare tessuto sociale attraverso un obiettivo comune: in palio non c'è solo il premio per chi vince ma il futuro della nostra società. Stimolare energia sociale per promuovere lo sviluppo sostenibile, questa è la vera mission delle Energiadi. La corrente elettrica non è tutta uguale, parliamone! La nostra società sta faticosamente promuovendo il concetto di sviluppo sostenibile, affrontando nella pratica importanti aspetti dell’attività antropica (ad esempio il ciclo dei rifiuti, la mobilità) cruciali per l’affermarsi di questo modello di sviluppo. Tra questi non può mancare il consumo di energia e in particolare di corrente elettrica. Le città vedono infatti un aumento costante dei consumi di elettricità. La domanda collettiva e individuale di benessere, direttamente proporzionale al grado di concentrazione urbana, è visibilmente in crescita, divenendo nel contempo più complessa e sofisticata ed elettricamente dipendente: nel periodo 2000-2010 i soli consumi domestici (quindi quelli maggiormente controllabili individualmente) sono aumentati di circa il 15% coprendo circa il 23% dei consumi totali di energia, valutabili in circa 70.000 gwh/anno (dati GSE gestore servizi energetici www.gse.it).


La corrente elettrica è ormai usata (meglio forse abusata) per svolgere ogni tipo di attività, grazie alla precisione delle macchine, alla riduzione dei tempi, delle distanze e della fatica, trasformando attività a basso consumo energetico in attività altamente energivore (basti pensare alla comunicazione o al gioco). Non solo aumentano le aree di dipendenza da corrente elettrica ma si assiste ad un trend inversamente proporzionale tra crescita delle efficienza tecnologica (passaggio a luci led, classe A, etc.) e riduzione dei consumi elettrici: se è vero che sceglieremmo un

comportamento sovradimensionato probabilmente anche a causa di una delle principali qualità della corrente elettrica stessa: non emette inquinanti durante l’utilizzo finale. È necessario compiere un’azione culturale simile a quanto è stato fatto e si sta ancora facendo per il riciclo o per l’adozione di una mobilità più sostenibile, un processo sociale che renda i cittadini più consapevoli circa il concetto stesso di energia, il suo impatto ambientale, e in particolare informi su come avviene la produzione di corrente elettrica oggi (introducendo la distinzione tra rinnovabile o non rinnovabile

frigorifero classe A nel caso fossimo intenzionati a cambiarlo, è altrettanto vero che probabilmente lo sceglieremmo più grande e multifunzionale per soddisfare quel bisogno di benessere che percepiamo, in modo che alla fine i consumi saranno destinati ad aumentare nonostante l’upgrade tecnologico in termini di efficienza. Infatti, se a livello di opinione pubblica si sta, faticosamente, affermando l’importanza di comportamenti individuali quali il riciclo e l’uso di una mobilità alternativa all’automobile a benzina, non è altrettanto chiaro, soprattutto tra i giovanissimi, quanto sia inquinante e ambientalmente sostenibile l’uso della corrente elettrica, favorendo un

in primis) e di quali sono le opzioni tecnologiche (maggiore efficienza) e comportamentali (gestione dei consumi) possibili per consentire uno sviluppo armonico e sostenibile. Perché se è vero che la corrente elettrica aumenta il benessere individuale e sociale è altrettanto vero che se proviene da centrali elettriche fortemente inquinanti e strutturate secondo una logica vecchia di secoli o se i nostri comportamenti sono eccessivamente energivori e orientati alla pigrizia mentale (le abitudini) e fisica renderemo statiche le future generazioni e povero l’ambiente, togliendo futuro al nostro mondo: il principale motore dello sviluppo sostenibile sono le nostre scelte

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Social networking@work

e la forza dell’opinione pubblica. Con queste idee nella testa e nel cuore nascono le Energiadi. Grazie alle Energiadi è possibile fare una riflessione sulla corrente elettrica, il suo utilizzo e la sua produzione: molti scoprono per la prima volta che è possibile produrre corrente elettrica almeno in 14 modi diversi, con gradi di impatto ambientale e sociale molto diversi. In particolare il progetto ha sviluppato un percorso didattico per coinvolgere il più possibile i ragazzi e il mondo scolastico, poichè in loro riponiamo da sempre le migliori speranze per il futuro: attraverso il laboratorio extradidattico oltre a pedalare per produrre wattora necessari a vincere la gara si affrontano i temi principali della produzione e del consumo di corrente elettrica. Ma le Energiadi non sono un laboratorio per le scuole ma un vero gioco di social networking, in modo da premiare la diffusione dei valori progettuali, poichè si ritiene che il miglior modo per radicare culturalmente alcune idee è rendere le persone protagoniste della loro diffusione (così come 42

avviene nei social network e in generale nei processi partecipativi). In questo senso per vincere le Energiadi è necessario coinvolgere persone che non sono direttamente parte della realtà iscritta alla gara: ad esempio, se la competizione è tra scuole, per vincere non sarà sufficiente motivare al massimo i ragazzi durante l’attività prevista nel laboratorio extradidattico, ma ogni insegnante, ogni lavoratore della scuola e soprattutto ogni studente dovrà invitare a pedalare i genitori, gli amici, i parenti, compagni di squadra, associazioni culturali, ricreative, musicali, in poche parole bisogna attivare e aumentare la propria rete di contatti. Ognuno porterà la propria energia per pedalare ma contestualmente si possono creare occasioni di incontro, dibattito, divertimento attorno al tema energia e corrente elettrica. È così che i protagonisti delle Energiadi trasformano normali luoghi della propria quotidianità (scuole, associazioni, palestre, sedi aziendali, etc.) in vere e proprie centrali d’energia sociale, in palio non c’è solo il premio ma il nostro futuro!


Social Networking@family

I Bike Energy Systems (BES)

Djset@Alcatraz

I BES sono un sistema che sfrutta un generatore di corrente collegato alla ruota posteriore della bicicletta. Abbiamo diverse tipologie di postazione che vengono usate a seconda degli obiettivi specifici di ogni percorso: singola da 250w, tandem da 250w o multi postazione da 500w (4 biciclette) fino a 10kw (60 biciclette). La corrente prodotta può essere accumulata in batterie, immessa in rete o usata direttamente (senza l'uso di batterie) attraverso un inverter che trasforma la corrente da continua ad alternata a 220v, l'ideale per tutti i nostri elettrodomestici. BES, bike energy system, è plug&play, non produce emissioni ed è adattabile a tutti i tipi di bicicletta. I nostri generatori BES hanno una po-

tenzialità ognuno di 250w con picchi di oltre 300w, ma raggiungere da soli queste potenze richiede allenamento e una bicicletta perfetta. L’attività è simile all’uso della bicicletta o di una cyclette, si può fare molta fatica o poca; un adulto mediamente è capace di sviluppare 50w senza particolare fatica, tenerli per un’ora (50wh) dipende dal grado di volontà e di allenamento. Uno sportivo può produrre anche oltre i 200wh. Tutta la corrente prodotta è conteggiata e l’equivalente sarà usato per animare un’iniziativa pubblica di comunicazione sociale: dall’installazione creativa alla video proiezione, dal concerto allo show cooking, mille modi creativi per consolidare il tessuto sociale attorno a temi di interesse collettivo.

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Ciro Cortellessa Š



la mostra

Francesca Calamita Architetto e paesaggista, responsabile della promozione eventi ed attività culturali di NIP, svolge la libera professione nell’ambito dell’Architettura del Paesaggio, disciplina per la quale è cultrice della materia presso l’Università degli Studi di Firenze. francescacalamita@nipmagazine.it facebook: francesca.calamita

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Le recensioni di L’Architettura del Mondo

Infrastrutture, mobilità, nuovi paesaggi @Milano, Triennale 9ottobre2012-10febbraio2013 di Francesca Calamita

la mostra

U

na raccolta maestosa, suggestiva ed appassionante quella presentata nella mostra L’Architettura del Mondo. Infrastrutture, mobilità, nuovi paesaggi, che narra il cambiamento epocale che le infrastrutture hanno operato nel corso dell’ultimo secolo. Presente alla Triennale di Milano fino al prossimo 10 febbraio, la mostra, curata da Alberto Ferlenga, docente di Composizione architettonica e urbana presso lo IUAV di Venezia, si articola in quattro sezioni successive che si differenziano non solo per la tematica trattata, ma anche per il linguaggio comunicativo, che si fa sempre più coinvolgente ed interattivo via via che si procede nella visita. Attraverso una suggestiva penombra la mostra si apre con l’esposizione inaspettata, quasi emozionante, dei disegni originali, in forma di schizzi ed eliocopie, di progetti che hanno fatto la storia dell’architettura, tra cui quelli di Le Corbusier per Algeri o Chandigarh, la stazione d'aeroplani e treni ferroviari di Sant'Elia e The Living City di Frank Lloyd Wright, mettendo in evidenza, come sottolinea lo stesso curatore, che “le infrastrutture diventano, sia come

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la mostra 48

riferimento che come diretto campo d’applicazione, il terreno di incontro tra architettura e modernità”. Ma la storia, come è giusto che sia, ci accompagna lungo tutto il percorso, introducendoci ogni volta in una nuova sezione della mostra: la prima grande sala è dedicata ai progetti realizzati al di fuori dell’Italia, che vengono illustrati attraverso quaderni fotografici disposti liberamente su grandi tavoli, che, suddivisi per temi, permettono un percorso di lettura personale ed approfondito. Si trovano qui importanti progetti degli ultimi decenni che riguardano strade, autostrade, ponti, stazioni e aeroporti, ma anche viabilità e infrastrutture per la mobilità dolce, mettendo a confronto tecnologie, paesaggi ed approcci differenti che spetta al visitatore osservare e comprendere. Un’affascinante sequenza di video suddivisi per fusi orari consente, infine, un viaggio attraverso numerose città del Mondo, alla scoperta di idee e soluzioni che accompagnano la crescita urbana in contesti fortemente diversi tra loro. Segue una vasta sezione dedicata a progetti realizzati o in corso d’opera nel nostro paese, che, per mezzo di disegni, fotografie, plastici e video, mettono in luce profonde differenze di approccio, talvolta con ritardi e contraddizioni, ma che vogliono dare conto anche di tutti quei tentativi di innovazione e sviluppo capaci di contribuire alla salvaguardia e al riuso del nostro patrimonio, poiché, come sottolinea Claudio De Albertis, Presidente della Triennale di Milano, nel catalogo ufficiale della mostra, “il problema è riprendere l’abitudine, un tempo tutta italiana, di coniugare infrastrutture e qualità estetica, interventi e paesaggio, di


la mostra

considerare, fin dalla fase di progettazione, funzioni che possono costituire un valore aggiunto a quello puramente d’uso di una infrastruttura”. Una vasta sala con una grande struttura di legno centrale dotata di numerosi cuscini, come un enorme divano, permette di osservare comodamente i numerosi filmati che, in altrettanti schermi allineati, descrivono i progetti che l’ultima sezione riserva ad opere colossali ed epocali che hanno cercato di risolvere problematiche a scala territoriale, quando non addirittura continentale, in bilico tra utopia e realtà, come i tentativi di arrestare l’avanzata del deserto in Africa o di creare barriere frangivento in America e in Russia. L’installazione luminosa che chiude la mostra riesce quindi a sottolineare l’importanza della “rete”, che andrebbe intesa però non solo come sistema di infrastrutture capaci di connettere fisicamente o virtualmente persone e informazioni, ma anche come possibilità di condividere idee e progetti, per consentire lo sviluppo di una cultura della sostenibilità capace, grazie anche all’innovazione tecnologica, di salvaguardare e valorizzare il paesaggio. L’esposizione di scatti di giovani fotografi che accompagna il visitatore uscente, propone, infine, uno sguardo singolare sui segni che caratterizzano il paesaggio contemporaneo e che potranno contraddistinguere quello futuro.

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Enrico Falqui Presidente di NIP e direttore del Laboratorio di ricerca in Architettura ed Ecologia del Paesaggio, DIDA, UniversitĂ diFirenze.

il libro

enricofalqui@nipmagazine.it

a cura di M.Morandi, M.Fantin, M.Piazzini, L.Ranzato INU ed., Roma, 2012

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Le recensioni di La città fuori dalla città

di Enrico Falqui

I

il libro

n questo bel libro curato da un gruppo di lavoro dell’INU, composto da quattro autorevoli urbanisti e progettisti italiani, compare (finalmente) un’interpretazione innovativa delle numerose cause che hanno generato “il declino” del modello di città contemporanea. Al centro di questo libro, vi è l’idea che “il mancato controllo dell’espansione urbana abbia, tra le sue cause non secondarie, la mancanza di una modalità definita di interazione positiva tra la città consolidata e la città fuori della città”. L’accurata analisi, svolta in alcuni saggi dagli Autori, dei fenomeni che hanno ispirato le contrapposte teorie sulla “città diffusa“ e sulla “città compatta”, mostra come l’urbanistica italiana, negli ultimi 30 anni, abbia trascurato la necessità di considerare le periferie urbane e gli spazi peri-urbani come una “potenzialità” per riconfigurare un disegno di città e una funzionalità d’uso sociale delle aree frammentate generate dall’espansione urbana. Ciò che è mancato in questi anni, non è tanto una capacità di analisi di tali fenomeni di dispersione e di frammentazione degli insediamenti e delle infrastrutture nello spazio rurale contiguo ai “confini” della città, quanto una capacità progettuale capace di ricreare un sistema di relazioni e di connessioni attraverso un paziente e complesso lavoro di ricucitura della morfologia urbana, del tessuto edilizio, degli spazi pubblici e degli spazi aperti, nel comune obiettivo di “fare città” senza espansione, di “fare sviluppo” senza dilatazione e concentrazione delle funzioni. Maurizio Morandi, in uno dei saggi più acuti e stimolanti del libro, manifesta la convinzione che “in molta urbanistica contemporanea continua a presentarsi una resistenza ad accettare le trasformazioni dei modi di vita e di abitare dei cittadini contemporanei”, non riconoscendo la cultura individuale che interviene nella fruizione e nella costruzione della città. “Non

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il libro 52

si tratta, quindi, di rifiutare l’insediamento diffuso”, afferma Morandi, “quanto piuttosto di lavorare per la sua organizzazione attraverso un preciso progetto urbano”. Si tratta di un’affermazione importante che, da un lato, serve all’Autore per riportare alla luce la vera interpretazione di “città diffusa”, descritta da Francesco Indovina negli anni ’80 ovvero che “diffusione non costituisce il rifiuto della città, ma piuttosto la ricerca di una diversa e migliore città”. Dall’altro lato, serve per esprimere una critica radicale al concetto di “città generica” di Koolhas, le cui idee non sembrano essere prodotte da una reale analisi di ciò che esiste nella periferia della città attuale, quanto piuttosto, come dichiara Franco Purini, (in un altro saggio contenuto nel libro) “da un confronto improponibile con la città storica, dalla quale si è separata attraverso un gigantesco processo di perdita di riconoscibilità e di qualità”. Gli Autori del libro dimostrano di non credere più nemmeno a una delle “terapie” più consolidate nella tradizione urbanistica italiana, ovvero la prassi della “densificazione” come rimedio taumaturgico ai processi di diffusione della città nello spazio rurale. Questa terapia urbanistica, in realtà, perpetua l’inveterata tendenza a privilegiare i pieni rispetto ai vuoti nella prassi progettuale, e così “non percepisce che nella nuova dimensione della città sono destinate a perdere senso ed efficacia molte contrapposizioni dialettiche”. Infatti, in un altro saggio di Nuno Portas e Alvaro Domingues, nel descrivere i fenomeni di trasformazione della città contemporanea, essi distinguono nettamente il termine di “diffusione” da quello di “dispersione”, in quanto questi termini connotano forme diverse dell’espansione urbana, di nuova urbanizzazione o di assimilazione di antichi insediamenti periurbani,rurali o rururbani. Così che, oggi, per dispersione si deve intendere il fenomeno della crescita spontanea per nuovi addensamenti urbani, mentre il termine diffusione viene attribuito allo sparpagliamento di costruzioni (case, industrie) basato sulla proprietà catastale e sulle infrastrutture rurali preesistenti o i nuovi nodi delle vie di rapido collegamento. Portas e Domingues concludono il loro saggio affermando che “dispersione”, ovvero nuova crescita, non coincide necessariamente con “diffusione” del sistema insediativo, fenomeno di origine più antica, legata ai percorsi esistenti, ad alcune pluriattività agricole o


il libro

a modelli catastali prevalenti come il mini-fondo, tipico della mezzadria. Tuttavia, entrambi i fenomeni (a lungo studiati dagli autori del saggio, in Portogallo), “combinano densità accentuate medio-basse, con variazioni brusche della densità liquida e variabilità degli spazi aperti”; il che fa presupporre la necessità di strategie progettuali differenziate, se si vuole mantenere un appropriato grado di permeabilità degli spazi, di sostenibilità ecologica dell’insediamento e di successiva implementazione della qualità urbana e del riconoscimento, da parte degli abitanti, delle nuove identità urbane. Gli Autori non tirano conclusioni affrettate, invitando alla sperimentazione e all’approfondimento delle ricerche in questo campo della progettazione urbana: tuttavia, a conclusione della lettura del libro, appare chiaro il richiamo a sviluppare una capacità di “costruire senza costruire”, sfruttando le occasioni di progetto per dare un significato agli spazi interstiziali della città e per riconnettere, anche funzionalmente, quello che è cresciuto separato. In questo modo, si rende più comprensibile (anche agli ambientalisti nostrani) che la sostenibilità dello sviluppo urbano non può limitarsi al soddisfacimento delle varie Agende 21 o al miglioramento dell’ecological footprint della città, bensì essa è prevalentemente il frutto di un ”sistema“ di azioni e processi progettuali che ricuciono, riconfigurano e ridisegnano lo spazio urbano in rapporto agli spazi aperti e ai loro tessuti connettivi.

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Ciro Cortellessa Š



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