Lavoratori Stranieri e Sicurezza

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QUADERNi DELLA SiCUREZZA AiFOS Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro

AiFOS è un’associazione senza scopo di lucro costituita da formatori, docenti, professionisti, consulenti ed aziende che operano nel campo della sicurezza sul lavoro. La formazione è strumento di prevenzione per la salute e la sicurezza nei luoghi di vita e di lavoro. La rivista scientifica trimestrale “Quaderni della Sicurezza AiFOS” presenta studi, ricerche, analisi e commenti di carattere monografico.

AiFOS - Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro c/o CSMT Università degli Studi di Brescia via Branze, 45 - 25123 Brescia tel. 030.6595031 fax 030.6595040 www.aifos.it info@aifos.it

QUADERNi DELLA SiCUREZZA AiFOS - Lavoratori Stranieri e Sicurezza

Rivista scientifica trimestrale - Salute e Sicurezza nei Luoghi di Vita e di Lavoro

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Lavoratori Stranieri e Sicurezza Esperienze di formazione e inclusione sociale A cura e con un intervento di: Maria Frassine Interventi di: Villiam Alberghini Fabrizia Archetti e Danilo Ruberto Fabrizio De Pasquale Adele De Prisco Chiara Delfini Antonio Ghibellini e Cecilia Alessandrini Federica Masci, Chiara Somaruga e Claudio Colosio Stefano Porru e Cecilia Arici Andrea Serpelloni e Manuela Peruzzi Eva Stofler Vito Volpe e Maurizio Belloni Federica Zanetti

n. 3 - Anno III Trimestrale Luglio - Settembre 2012

AiFOS Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro c/o CSMT Università degli Studi di Brescia via Branze, 45 - 25123 Brescia tel. 030.6595031 fax 030.6595040 www.aifos.it info@aifos.it


QUADERNI DELLA SICUREZZA AiFOS PROSSIMA USCITA QUADERNI DELLA SICUREZZA AIFOS Rivista Scientifica Trimestrale n. 4 ottobre-dicembre 2012

Rapporto AiFOS 2012 Il Medico Competente n. 1 - 2010

n. 2 - 2010

n. 3 - 2010

n. 4 - 2010

T.U. n. 81/2008

Valutare i rischi

Gestione aziendale

Formatore alla Sicurezza Rapporto AiFOS 2010

n. 1 - 2011

n. 2 - 2011

n. 3 - 2011

n. 4 - 2011

Sistemi di Gestione tra Certificazione e Asseverazione

Stress lavorocorrelato

Lavori e Sicurezza sul Lavoro

Datore di Lavoro Rapporto AiFOS 2011

Presentazione “Rapporto AiFOS 2012” 5 dicembre 2012 - Roma CNEL - Sala della Biblioteca Viale Davide Lubin n. 2 - 00196 Roma

n. 1 - 2012

n. 2 - 2012

Formazione dei Formatori alla Sicurezza

La gestione delle Emergenze


Q3, 2012 AiFOS – Lavoratori stranieri e sicurezza

Sommario Maria Frassine

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Stranieri al lavoro: analisi di dati, norme e infortuni

Villiam Alberghini

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Salute e sicurezza sul lavoro dei lavoratori immigrati: alcune riflessioni sul tema

Adele De Prisco

24

Stefano Porru e Cecilia Arici

33

La valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza con riferimento alla provenienza dei lavoratori da altri Paesi

Il Medico del Lavoro/Competente e la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori immigrati: focus sulla sorveglianza sanitaria

Fabrizio De Pasquale

46

La percezione e rappresentazione del rischio: studio ed analisi di gruppi di lavoratori di diverse nazionalità e culture occupati in edilizia

Federica Zanetti

66

Formazione alla sicurezza sul lavoro e lavoratori immigrati: sfide didattiche e diritti di cittadinanza

Chiara Delfini

72

Alfabetizzazione dei lavoratori stranieri per l’inclusione sociale nell’occupazione

Eva Stofler

85

Antonio Ghibellini e Cecilia Alessandrini

95

Federica Masci, Chiara Somaruga e Claudio Colosio

102

Creazione di un modello formativo sulla sicurezza per lavoratori stranieri Stranieri e infortuni: in/formazione. L’esperienza nel settore edile

I lavoratori stranieri nel comparto agricoltura in Italia

Andrea Serpelloni e Manuela Peruzzi

108

Salute e sicurezza negli ambienti di lavoro e lavoratori stranieri: l’esperienza degli Spisal della Provincia di Verona (Ulss 20, 22)

Vito Volpe e Maurizio Belloni

115

Fabrizia Archetti e Danilo Ruberto

123

Stranieri per apprendere

Strumenti di lavoro per il formatore alla sicurezza: la proposta del gruppo di lavoro AiFOS


Quaderni della Sicurezza AiFOS n. 3, 2012


Maria Frassine

Stranieri al lavoro: analisi di dati, norme e infortuni di Maria Frassine 1

Premessa L’estate di quest’anno è stata caratterizzata, nella sua prima parte, dagli Europei di calcio, dove la nostra nazionale è stata trascinata in finale dal bomber Mario Balotelli. L’orgoglio calcistico che ci caratterizza, tuttavia, non è servito a superare i pregiudizi ed i discorsi relativi alla questione “stranieri in Italia”. Molte sono state, infatti, le discussioni in merito alla situazione degli immigrati nel nostro Paese. Lo stesso Balotelli – che a dir la verità straniero non è, avendo acquisito la cittadinanza italiana il giorno del suo diciottesimo compleanno – dichiarava proprio il giorno in cui è diventato cittadino italiano a tutti gli effetti che “da stranieri in Italia la vita è molto più difficile che per un italiano” 2. In effetti la condizione dello straniero in Italia viene da sempre associata a disagio culturale ed è caratterizzata da numerose difficoltà burocratiche e di inclusione sociale. Ciò che con questo contributo si intende indagare è il fenomeno migratorio in ingresso nel nostro Paese, con particolare attenzione alla condizione dei lavoratori stranieri in Italia e al fenomeno infortunistico che spesso e volentieri colpisce proprio i lavoratori immigrati, attraverso cenni alla normativa nazionale ed europea di riferimento.

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Giurista. Ufficio Studi e legislativo Direzione Nazionale AiFOS. La dichiarazione rilasciata da Mario Balotelli il 13 agosto 2008 presso il Municipio di Concesio (BS), suo paese di residenza, il giorno in cui gli è stata rilasciata la carta di identità a seguito dell’acquisizione della cittadinanza italiana è stata riportata da Gad Lerner nel suo articolo “Il figlio straniero” apparso su “La Repubblica” il 30 giugno 2012, p. 1-27 sez. Prima pagina.

2

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Q3, 2012 AiFOS – Stranieri al lavoro: dati, norme, infortuni

Il fenomeno migratorio in Italia Le migrazioni sono un fenomeno da sempre esistente. Nel 2010 circa il 3% della popolazione globale del mondo ha emigrato dai propri paesi d’origine. La destinazione principale verso cui si orienta circa un terzo del totale flusso migratorio mondiale è l’Europa. Nel 2011 l’Italia è stata la destinazione di circa il 7,5% del totale flusso migratorio diretto in Europa, collocandosi al 4° posto tra i Paesi europei che accolgono immigrati 3. Il nostro viene definito paese di nuova migrazione. Nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, gli stranieri ammontavano a quota 88.639, con un’incidenza dello 0,4% sulla popolazione residente 4. Solo a partire dal 1991 si è arrivati ad avere l’incidenza dell’1% di stranieri sul totale della popolazione e nei seguenti 20 anni si è assistito ad un massiccio fenomeno migratorio: all’inizio del 2011 i cittadini stranieri in Italia ammontavano a più di 4 milioni e mezzo (4.570.317), ovvero il 7,5% della popolazione totale in Italia 5. Considerando anche la presenza dell’immigrazione irregolare, si può stimare che circa l’8% della popolazione presente in Italia sia composta da stranieri. Figura 1. Andamento storico della % di stranieri in Italia sul totale della popolazione

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Dati Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, “Secondo Rapporto annuale sul mercato del lavoro degli immigrati”, presentato a Roma lo scorso 10 luglio. La popolazione straniera presente in uropa al 1° gennaio 2011 ammontava a quasi 40 milioni (8% della popolazione globale). I Paesi maggiormente interessati dal fenomeno sono Spagna (15,2 %), Germania (11,3%), Gran Bretagna (9,7%), Italia (7,5%) e Francia (6,9%). 4 Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes 2011, 21° Rapporto Migrazioni “Oltre la crisi, insieme”. Sintesi reperibile al seguente link: http://www.caritasitaliana.it/home_page/pubblicazioni/00002486_Dossier_Statistico_Immigrazione_Ca ritas_Migrantes_2011.html. 5 Demo Istat, “La popolazione straniera residente in Italia”, comunicato del 22 settembre 2011. La crescita della presenza di stranieri in Italia dal 2002 al 2011 di ha visto un incremento del 353%.

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Maria Frassine

I dati della presenza di stranieri in Italia, tuttavia, vanno letti alla luce di una variabile che spesso viene trascurata. Si parla generalmente di “stranieri”, per indicare sia coloro che provengono da Paesi aderenti all’Unione Europea, sia coloro il cui Paese d’origine è extraeuropeo. Tale distinzione è fondamentale, soprattutto perché la normativa di riferimento per i due gruppi di cittadini – comunitari e non – è totalmente differente, in modo particolare con riferimento alla disciplina di accesso al mercato del lavoro 6. Il grafico – elaborato sui dati del Ministero del Lavoro e diffusi nel Secondo Rapporto annuale sul mercato del lavoro degli immigrati – raffigura le comunità continentali straniere presenti nel nostro Paese. Figura 2. Provenienza continenti. Dati ISTAT elaborati da Staff SSRMdL

Netta è la provenienza europea (53,4%), distinta in presenza di stranieri provenienti da Paesi UE di nuova adesione (26%) e extra-UE (23,9%), mentre lo 0,3% proviene da altri paesi europei. Solo il 3,7% proviene dai Paesi zona Euro. Il 21,6%, invece, proviene dall’Africa, dall’Asia arriva il 16,8% e dall’America il restante 8,1%, (quasi totalmente da America centrale e meridionale). La composizione delle comunità straniere è variegata, ma alcune comunità sono maggiormente rappresentate. Nello specifico, la comunità Rumena 7, quella Albanese 8 e quella Marocchina spiccano sul totale dei presenti. 6

L’argomento verrà sviluppato nel successivo paragrafo di questo contributo. Il caso della comunità rumena, ricorda il Ministero del Lavoro nel “Secondo Rapporto annuale sul mercato del lavoro degli immigrati” (p. 20-21), è emblematico. Nel 2011 rappresentava il 5,6% della

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(segue)

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Q3, 2012 AiFOS – Stranieri al lavoro: dati, norme, infortuni

Paese di provenienza

n. presenze in Italia

Romania

968.576

Albania

965.846

Marocco

954.034

Cina

484.351

Ucraina

418.829

Moldova

273.531

Filippine

270.751

Figura 3. Dati Istat elaborati da Staff SSRMdL. La tabella somma le presenze dei cittadini stranieri residenti in Italia con i dati dei regolarmente soggiornanti di lungo periodo.

La distribuzione territoriale degli stranieri nel nostro Paese è certamente influenzata dalle caratteristiche dell’economia. La maggior parte degli stranieri, infatti, si colloca nel Nord Italia (2 milioni e 798 mila), seguito dal Centro (1 milione e 153 mila) e dal Sud 9. Nello specifico, le Regioni che ospitano più cittadini stranieri extracomunitari sono la Lombardia (26,7%), l’Emilia Romagna (12,5% e il Veneto (11,7%). La presenza di immigrati si concentra, soprattutto nelle province di Milano, Roma, Brescia, Torino, Bergamo e Firenze 10. Per dare un’idea del fenomeno, l’ISTAT ricorda come nella provincia di Bergamo ci siano più cittadini extracomunitari che in tutta la Liguria, così come nella provincia di Brescia più che in tutta la regione Campania. popolazione straniera residente, nel 2004 il 10%, arrivando nel 2011 a raggiungere il 21% di tutti gli stranieri residenti in Italia. 8 Anche per quanto riguarda la comunità albanese si segnala una particolarità. Secondo i dati ONU riportati nel Diciassettesimo Rapporto sulle Migrazioni 2011 della Fondazione ISMU (ed. Franco Angeli), gli albanesi residenti in Italia sono 483 mila a fronte di 3,2 milioni di residenti in Albania. Ciò vuol dire che 1 su 6/7 cittadini albanesi si trova in Italia. Se si somma al numero di residenti in Italia coloro che sono regolarmente soggiornanti le proporzioni di questo dato aumentano enormemente. 9 Demo Istat, “La popolazione straniera residente in Italia”, comunicato del 22 settembre 2011. 10 Demo Istat, “Cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti”, comunicato del 25 luglio 2012.

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Maria Frassine

La normativa di riferimento per cittadini comunitari e stranieri (cenni) Prima di procedere con l’analisi del tema lavoratori stranieri presenti in Italia, è necessario offrire una panoramica generale in merito alla diversa normativa di riferimento per l’accesso nel nostro Paese di cittadini comunitari ed extracomunitari. Questa sede, tuttavia, non è adatta per un’esposizione esaustiva dell’argomento, che verrà trattato solo per cenni; pertanto, per chi volesse approfondire la tematica, si rinvia alla consultazione di pubblicazioni specifiche 11. Cittadini stranieri Per lungo tempo la normativa in merito all’ingresso dei cittadini stranieri nel nostro Paese è stata disciplinata dal T.U.L.P.S. (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza), approvato con Regio Decreto n. 773 nel 1931. Affinché lo straniero fosse ammesso nel territorio italiano era necessario il rilascio di un “visto” da parte delle Autorità Italiane competenti. Con l’inizio delle grandi immigrazioni, tuttavia, si è reso necessario approfondire ed aggiornare la norma, per far fronte all’aumento del fenomeno da regolamentare. Nel 1986 viene emanata la Legge n. 943 del 30 dicembre, con cui viene data una prima disciplina agli ingressi per assunzione alle attività lavorative dei lavoratori stranieri. Successivamente, viene emanata la legge 28 febbraio 1990, n. 39 che ha introdotto una significativa regolamentazione del fenomeno immigratorio, disciplinando la programmazione di flussi in ingresso. Al fine di organizzare la materia in un unico testo normativo di riferimento, in attuazione della legge delega n. 40/1998 (c. d. legge Turco-Napolitano), è stato emanato il D. Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”. La progressione normativa, tuttavia, non si è arrestata: il successivo governo, infatti, ha emanato una serie di provvedimenti a modifica ed in aggiunta al Testo Unico: - L. 30 luglio 2002 n. 189 (c.d. Legge Bossi-Fini); - L. 24 luglio 2008 n. 125 su espulsioni e respingimenti; 11

Una fra tutte, il volume G.M. Bella, G. Bella, Paolo Greco (2012), “La condizione dello straniero e del cittadino comunitario nella legislazione e nella prassi amministrativa”, Ed. Laurus Robuffo.

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Q3, 2012 AiFOS – Stranieri al lavoro: dati, norme, infortuni

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L. 15 luglio 2009 n. 94; L. 3 agosto 2009 n. 102; L. 2 agosto 2011 n. 129 specificamente orientate a rafforzare la sicurezza dei cittadini. Emerge dunque in modo chiaro quello che da più parti viene lamentato al nostro Paese, ovvero l’aver tratteggiato tramite la norma “scenari che propongono l’immigrazione principalmente come problema di ordine pubblico più che come rilevante fenomeno di cambiamento sociale” 12. Naturalmente, i diritti fondamentali della persona umana previsti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali, nonché dalla normativa europea sono garantiti allo straniero anche se irregolare (art. 2, comma 1, T.U. n. 286/98). In particolare, allo straniero regolarmente soggiornate è garantita in Italia la parità di trattamento in molti aspetti, tra cui il lavoro. Se ciò è pacifico sulla carta, tuttavia, ciò a cui bisognerebbe tendere è l’integrazione sociale, che il legislatore italiano ha identificato come “processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società”. Come strumento per raggiungere tale integrazione è stato scelto il c.d. ‹‹accordo di integrazione›› introdotto dalla L. n. 94/2009. L’accordo di integrazione è stato disciplinato da un successivo decreto 13, e non è altro che un vero e proprio accordo che viene sottoscritto tra lo Stato e lo straniero, in cui lo Stato si impegna a sostenere il processo di integrazione dello straniero attraverso l’assunzione di ogni iniziativa idonea, assicurando allo straniero la partecipazione gratuita ad una sessione di formazione civica e di informazione sulla vita civile in Italia a cura dello Sportello Unico Immigrazione di durata non inferiore a 5 ore e non superiore a 10 ore 14. Con tale riforma, l’ottenimento del permesso di soggiorno è subordinato al raggiungimento dello straniero di un determinato numero 12

G. M. Bella (2012),. “La condizione dello straniero e del cittadino comunitario nella legislazione e nella prassi amministrativa”, Ed. Laurus Robuffo, p. 18. 13 Decreto Presidente della Repubblica n. 179/2011, di attuazione all’art. 4-bis del T.U.. 14 Art. 2, comma 6, D.P.R. 179/2011, entrato in vigore recentemente, il 10 marzo 2012.

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di punti, la cui eventuale perdita integrale determina la revoca del permesso e l’espulsione dal territorio italiano. Da notare a livello normativo è, inoltre, la questione relativa alla disciplina del lavoro degli immigrati. La norma, infatti, si riduce a disciplinare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, trascurando totalmente le questioni relative alla permanenza in Italia del lavoratore e alla sua tutela sociale. Ciò a fatto sì che la questione lavoratori stranieri in Italia sia “un tema di pertinenza dell’autorità di Polizia e, quindi, selettivamente di ordine pubblico” 15. Questo non fa che acuire le già grandi difficoltà che i lavoratori stranieri incontrano arrivando nel nostro Paese, trovandosi in una situazione di particolare debolezza rispetto agli italiani. Il difficile raccordo tra realtà e modello legislativo è esemplificato dal fatto che la normativa parte dall’assunto che l’ingresso nel nostro Paese da parte di immigrati avvenga solo a seguito di un particolare procedimento determinato e controllato dalle autorità italiane 16, attraverso la regolazione dei flussi d’ingresso con cui vengono stabilite le quote di ingresso degli stranieri cui è consentita l’entrata nel territorio italiano 17. Da sottolineare è, inoltre, come la perdita del posto di lavoro per licenziamento collettivo od individuale, anche per dimissioni, non costituisce motivo per privare il lavoratore ed i suoi famigliari del permesso di soggiorno. Egli mantiene il diritto a permanere ulteriormente sul territorio italiano al fine di ricercare una nuova occupazione, iscrivendosi alle liste di collocamento per il residuo tempo di validità del permesso e comunque per un periodo non inferiore a sei mesi 18.

15

P. Greco (2012), “La condizione dello straniero e del cittadino comunitario nella legislazione e nella prassi amministrativa”, Ed. Laurus Robuffo, p. 247. 16 P. Greco (2012), “La condizione dello straniero e del cittadino comunitario nella legislazione e nella prassi amministrativa”, Ed. Laurus Robuffo, p. 248. 17 I flussi d’ingresso vengono definiti ogni anno per decreto nella forma di D.P.R. ogni 3 anni e annualmente sottoforma di Decreto del Presidente del Consiglio, sentito il Comitato per il coordinamento e il monitoraggio del T.U. Immigrazione. Vanno emessi entro il 30 novembre dell’anno precedente, tenendo conto dell’effettiva richiesta di lavoro. 18 Art. 22, comma 11. T.U. Immigrazione. Si tratta dell’attuazione dell’art. 8 della Convenzione ILO n. 143, ratificata in Italia con legge 10 aprile 1981, n. 158.

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Q3, 2012 AiFOS – Stranieri al lavoro: dati, norme, infortuni

Cittadini comunitari I cittadini degli Stati appartenenti all’Unione Europea godono certamente di una condizione migliore. Se per quanto riguarda i cittadini stranieri si parla di ‹‹permesso di soggiorno››, per i cittadini comunitari si parla di ‹‹diritto di soggiorno››. Nello spazio comunitario, infatti, vige il principio di libera circolazione delle merci e delle persone, stabilito all’interno dell’Accordo di Schengen, sottoscritto tra Francia, Germania e Benelux il 14 giugno 1985, cui hanno successivamente aderito l’Italia ed altri Stati. Oggi la convenzione è stata inglobata nell’Accordo di Amsterdam del 1° maggio 1999. Dello spazio U.E. aderiscono a Schengen: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia, Malta, Slovenia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Lituania, Estonia, Lettonia. Vi aderiscono solo per alcuni aspetti: Danimarca, Islanda, Liectenstein, Norvegia e Svizzera. Cipro, Bulgaria e Romania non sono ancora membri a pieno titolo dello spazio Schengen; lo diventeranno solo dopo una decisione ufficiale del Consiglio Europeo in caso di rispetto delle prescrizioni fatte agli Stati 19. La disciplina normativa pei i cittadini comunitari in Italia è il D. Lgs. 6 febbraio 2007 n. 30 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentazioni in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell’U.E.) 20. L’art. 45 del Trattato sul funzionamento dell’UE 21 assicura la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione e l’abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla provenienza nazionale tra i lavoratori degli Stati membri per quanto riguarda importanti tematiche, come impiego, retribuzione, condizioni di lavoro, diritto di spostarsi per motivi di lavoro all’interno degli Stati membri ecc.

19

Approfondimenti ulteriori per Romania e Bulgaria si ritrovano nel proseguo del paragrafo. Ha recepito in Italia la Direttiva 2004/38/CE. 21 Ex art. 39 del TCE. 20

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Maria Frassine

Se importantissimo è il trattato di Schengen in relazione al concetto di libera circolazione, “il cammino per l’esercizio di questo importante diritto non può dirsi concluso, perché restano da liberalizzare le questioni relative al soggiorno” 22. Il D. Lgs. n. 30/2007 ha previsto tre diverse tipologie di soggiorno in Italia per i cittadini comunitari: 1. Soggiorno non superiore a 3 mesi In questo caso i cittadini dell’Unione Europea possono soggiornare in altro Stato membro senza alcuna condizione o formalità, salvo l’essere in possesso di un documento d’identità valido per l’espatrio. 2. Soggiorno superiore a 3 mesi In questo caso sussistono vincoli più restrittivi. Ha diritto di soggiornare in un altro Stato membro chi si trova in una delle seguenti situazioni: a. svolge attività di lavoro subordinato o autonomo nello Stato; b. dispone per se stesso e per i propri famigliari di risorse economiche sufficienti e di una assicurazione sanitaria; c. è iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi come attività principale un corso di studi o di formazione professionale e dispone per sé e per i propri famigliari di risorse economiche sufficienti e di una assicurazione sanitaria; d. è famigliare che accompagna o raggiunge un cittadino dell’UE che ha diritto di soggiornare 23. Inoltre, è previsto l’adempimento di un’altra formalità, ovvero l’iscrizione all’anagrafe del comune di residenza, con accertamento della dimora abituale e della verifica della sussistenza del requisito. 3. Soggiorno permanente Per acquisire il diritto di soggiorno permanente, è necessario aver soggiornato per 5 anni, legalmente e in via continuativa, nel territorio nazionale. Chi ottiene il diritto di soggiorno permanente

22

P. Greco (2012), “La condizione dello straniero e del cittadino comunitario nella legislazione e nella prassi amministrativa”, Ed. Laurus Robuffo, p. 347. 23 Art. 9, comma 3, D. Lgs. n. 30/2007.

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Q3, 2012 AiFOS – Stranieri al lavoro: dati, norme, infortuni

è svincolato dai requisiti che si devono avere per il soggiorno superiore ai 3 mesi. Un’ultima menzione importante merita la normativa vigente per i cittadini europei della Bulgaria e della Romania, soprattutto considerando che la comunità rumena è la comunità straniera più presente in Italia. Dal 1° gennaio 2007 Romania e Bulgaria sono entrate a far parte dell’Unione. I cittadini di questi Stati, dunque, ai sensi dei Trattati istitutivi dell’Unione, godono del principio di libera circolazione e di libero soggiorno. Sono dunque autorizzati a superare la frontiera con il semplice documento di identità, ma i controlli saranno aboliti solo a seguito di una decisione apposita del Consiglio Europeo. Anche per quanto riguarda l’accesso al lavoro, se non risulta limitato il lavoro autonomo, prima di liberalizzare l’accesso al lavoro subordinato che non sia di specifici settori, è stata prevista una fase transitoria. Per l’accesso al lavoro di cittadini bulgari o rumeni è prevista una procedura semplificata, mediante spedizione postale da parte del datore di lavoro allo Sportello Unico Immigrazione competente di una richiesta di nullaosta che autorizzi il lavoratore rumeno o bulgaro. Stranieri al lavoro La condizione occupazionale degli stranieri oggi presenti in Italia risente necessariamente della crisi economica che ha investito il nostro Paese e l’intera Europa. Dai dati diffusi dal Ministero del Lavoro nell’arco del 2011 gli occupati stranieri sono, tuttavia, cresciuti in termini assoluti, ma il tasso di occupazione ne è diminuito. Il Ministero ha spiegato che la mancanza di sincronia tra i due dati è imputabile al fatto che nel caso degli stranieri la popolazione è cresciuta ben più del numero di lavoratori e ciò ha dato luogo ad una diminuzione del tasso di occupazione 24. Lavoro dipendente I lavoratori dipendenti stranieri in Italia sono 655.000 di nazionalità comunitaria e 1,3 milioni circa di extracomunitari: in percentuale i soli 24

Dati Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, “Secondo Rapporto annuale sul mercato del lavoro degli immigrati - Sintesi”, p. 4.

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Maria Frassine

lavoratori extracomunitari rappresentano il 7,5% dei totale degli occupati in Italia. La percentuale di lavoratori stranieri (sia comunitari che extracomunitari) assunti con contratto a tempo indeterminato è circa del 73%. La seguente tabella rappresenta le percentuali di inquadramento professionale di lavoratori comunitari ed extracomunitari. Operai

%

Comunitari

83%

Extracomunitari

90%

Impiegati

%

Comunitari

13,4%

Extracomunitari

8,5%

Figura 4. % di inquadramento professionale stranieri. Dati ISTAT

Come per la presenza dei cittadini stranieri, anche la maggiore presenza di lavoratori stranieri si ritrova nelle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. Queste tre regioni ospitano il 56,7% di lavoratori stranieri; circa il 30% nella sola Lombardia 25. Nello specifico, i lavoratori stranieri sono maggiormente occupati nei seguenti settori 26: - servizi sociali e alla persona: 24,7%; - manifattura: 19,4% - costruzioni: 16,7%

25

Come da indicazione del Ministero del Lavoro, i dati statistici derivano dall’elaborazione delle informazioni contenute negli archivi delle denunce retributive che i datori di lavoro con i lavoratori dipendenti sono tenuti a presentare mensilmente (dichiarazioni EMens). 26 I dati ISTAT sono stati elaborati dalla Fondazione Leone Moressa per uno studio commissionato da Il Sole 24 ore “L’occupazione straniera: esiste un effetto sostituzione? La presenza straniera nei settori di attività e nelle professioni”, Gennaio 2012. Si veda a proposito anche l’articolo di Francesca Barbieri e Francesca Padula apparso sul quotidiano citato in data 6 febbraio 2012, pagina 21 “Camerieri, saldatori e cuochi: gli stranieri conquistano posti”.

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Q3, 2012 AiFOS – Stranieri al lavoro: dati, norme, infortuni

Anche per quanto riguarda il settore alberghiero la presenza degli stranieri è importante, raggiungendo la percentuale di 15,8 sul totale dei lavoratori occupati nel settore. La presenza femminile straniera nel mercato del lavoro non è per nulla marginale: le donne straniere occupate rappresentano il 41,8% dei lavoratori immigrati, ma il numero cambia in base al settore di attività di riferimento. Nei servizi alla persona la componente femminile è prevalente con oltre l’80% degli occupati stranieri, sebbene anche nel comparto degli alberghi e ristoranti e nei servizi alle imprese le donne immigrate si equivalgano in numerosità agli uomini stranieri. Gli stranieri sono impiegati maggiormente in lavori di bassa e media qualifica; oltre un terzo, infatti, si colloca in posizione non qualificata. Lavoro autonomo: lo straniero in proprio Da qualche anno, quando si tratta la tematica degli stranieri al lavoro, ciò non può esimere dall’analizzare la nuova frontiera del lavoratore straniero autonomo e dell’imprenditore immigrato. Il dinamismo imprenditoriale degli immigrati in Italia va in controtendenza rispetto alla crisi 27.Numerosi, infatti, sono sia gli artigiani (è straniero il 5,9% degli artigiani presenti in Italia), sia i commercianti (6,3%). I settori dove sono più presenti gli imprenditori stranieri sono il commercio (29,6%) e le costruzioni (22,2%) 28.

27

P. Simonetti, “Boom di imprenditori stranieri”, articolo apparso su Avvenire, il 14 dicembre 2011, p. 24. La giornalista ricorda come a sostegno dell’imprenditoria immigrata Unioncamere ed il Ministero del Lavoro abbiano lanciato il progetto “Star t up”, un programma sperimentale di accompagnamento e formazione nell’avvio dell’impresa per 400 extracomuntari. 28 Dati elaborati dalla Fondazione Leone Moressa nello studio “Gli stranieri un valore economico per la società. Dati e considerazioni su una realtà in continua evoluzione – Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione 2011”, Ed. Il Mulino.

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Maria Frassine

Figura 5. Settori imprenditoria e lavoro autonomo degli immigrati

Stranieri ed infortuni Tanti, dunque, sono gli stranieri al lavoro e tanti sono gli infortuni che li riguardano. L’INAIL ha recentemente diffuso i dati relativi agli infortuni e alle malattie professionali nel suo Rapporto annuale, dedicando una sezione particolare al fenomeno in relazione iai lavoratori stranieri 29. Nel 2011 i lavoratori stranieri assicurati all’INAIL sono stati circa 3 milioni, con un importante aumento del numero di assicurati; variazione dovuta soprattutto all’emersione del lavoro irregolare, in particolare del settore di servizi alla persona che impiega personale femminile, come colf e badanti. Il 2011 è stato caratterizzato da una diminuzione del numero degli infortuni a livello generale e questo dato è confermato anche dai numeri relativi agli straneri: il 15,9% degli infortuni denunciati interessano lavoratori stranieri (115.661 rispetto ai 119.396 del 2010).

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Rapporto annuale INAIL 2011, Parte IV/Statistiche. Infortuni e malattie professionali, presentato a Roma presso la camera dei Deputati il 10 luglio scorso, lo stesso giorno in cui è stato presentato anche il Secondo Rapporto annuale del Ministero del lavoro sull’occupazione degli immigrati.

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Q3, 2012 AiFOS – Stranieri al lavoro: dati, norme, infortuni

Gli infortuni mortali denunciati sono stati nel 2011 30 138 rispetto a 141 dell’anno precedente. La Tavola n. 20 del Rapporto INAIL 2011elenca nel dettaglio il numero e le percentuali di infortuni occorsi per Paese di provenienza.

Figura 6. Fonte INAIL. Tavole del Rapporto INAIL 2011 sono disponibili sul canale Sala Stampa del sito www.inail.it

In generale risulta che il 94,3% degli infortuni degli stranieri si verifica nella macroarea Industria e servizi, seguita dal settore Agricoltura in cui si colloca il 5% degli eventi infortunistici 31. Il settore più colpito in assoluto è quello delle costruzioni, che da solo copre l’11,5% del complesso delle denunce (in numero ben 13.200 infortuni e 28 decessi), come emerge dalla Tavola 18 del rapporto INAIL 2011. 30

Il dato in questione diffuso da INAIL è stimato. Il Ministero del Lavoro, commentando i dati INAIL sottolinea come l’agricoltura si configuri come un comparto a rischio crescente con un incremento dei casi del 3,1% tra il 2009 e il 2010.

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Maria Frassine

Figura 7. Fonte INAIL. Tavole del Rapporto INAIL 2011 sono disponibili sul canale Sala Stampa del sito www.inail.it

Il fenomeno infortunistico colpisce soprattutto i giovani immigrati: per il 42% circa dei casi a riportare l’infortunio sono coloro che hanno meno di 35 anni e in generale per l’88% dei casi lo straniero vittima ha meno di 50 anni. Per le donne, invece, l’età infortunistica si alza (soprattutto hanno età compresa tra i 50 e i 64 anni), ciò in relazione al fatto che le donne straniere impiegate nel nostro paese hanno generalmente un’età più elevata dei loro connazionali uomini. Sulla scia della maggiore presenza in Italia, le comunità rumena, marocchina ed albanese spiccano anche per il triste primato infortunistico, totalizzando oltre il 40% degli infortuni. La Romania rimane al vertice sia per quanto riguarda il numero di denunce (oltre 19.000) che per i decessi (28). Le cause principali degli infortuni individuate dal Ministero del Lavoro sono la perdita di controllo di macchinari ed attrezzature, le cadute (soprattutto dall’alto di impalcature e ponteggi), movimenti del corpo con o senza sforzo fisico. Le pericolosità delle attività svolte, la scarsa esperienza e l’inadeguata informazione/formazione/preparazione 15


Q3, 2012 AiFOS – Stranieri al lavoro: dati, norme, infortuni

professionale rappresentano ancora oggi i tratti caratteristici del lavoro immigrato in Italia 32. Così come certamente incidono la maggiore presenza in settori più sensibili, in occupazioni meno specializzate dove il turnover della forza lavoro risulta più semplice. Inoltre, “precarietà abitativa 33, stili di vita poco idonei e mancanza di protezione da parte del nucleo famigliare lontano, contribuiscono a ridurre il benessere psicofisico dei lavoratori immigrati” 34. Una menzione particolare, inoltre, è necessaria per il fenomeno delle malattie professionali, generalmente sottostimate per il comparto dei lavoratori stranieri. Il manifestarsi delle malattie professionali, infatti, non è immediato e spesso si scontra con la realtà del migrante, con i continui spostamenti e perché generalmente il lavoratore straniero che si ammala torna nel paese d’origine. Nonostante ciò si è avuto un aumento dei casi di denuncia di malattie professionali, soprattutto nel settore agricolo (93,1% di incremento), dei trasposti (22%), delle costruzioni (12,5%) 35. Conclusioni Nonostante questa panoramica desolante in merito all’incidenza del fenomeno infortunistico sui lavoratori immigrati, la normativa sul tema è chiara e dagli intenti molto alti. La Convenzione internazionale ONU sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie del 1990 36, prevede che “i lavoratori migranti devono beneficiare di un trattamento non meno 32

Ministero del Lavoro, “Secondo Rapporto annuale sul mercato del lavoro degli immigrati”, 2012, p. 119. 33 In merito alla precarietà abitativa, da notare è come nel Diciassettesimo rapporto sulle migrazioni 2011 della Fondazione ISMU venga ricordato come tra gli immigrati siano vivaci gli spostamenti degli immigrati entro i confini italiani; la comunità rumena anche in questo caso è la più rappresentata. 34 AA.VV. (2011), “La gestione dei lavoratori stranieri in Italia”, in Giornale Italiano Medicina del Lavoro Ergonomia; 33:3, p. 359, in http://gimle.fs.it. 35 Ministero del Lavoro, “Secondo Rapporto annuale sul mercato del lavoro degli immigrati”, 2012, p. 122. Per ulteriori riferimenti si rinvia al contributo di Stefano Porru e Cecilia Arici di questo Quaderno. 36 Adottata dall’Assemblea Generale ONU nella sua risoluzione 45/158 del 18 dicembre 1990.

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Maria Frassine

favorevole di quello di cui beneficiano i nazionali dello Stato di impiego in materia di … altre condizioni di lavoro, ovvero sicurezza e salute” (art. 25) e nello specifico “gli Stati aderenti alla convenzione devono prendere misure non meno favorevoli di quelle che si applicano ai loro cittadini per far sì che le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori migranti e dei membri della loro famiglia in situazione regolare siano conformi alle norme di salute, di sicurezza e di igiene e ai principi inerenti la dignità umana” (art. 70). Al fine di garantire quanto previsto dalle norme internazionali, il nostro legislatore ha ben recepito sulla carta la necessità di far sì che i lavoratori provenienti da altri Paesi siano oggetto di attenzioni specifiche da parte del datore di lavoro, il quale dovrà prevedere particolari misure a livello i valutazione di rischi (art. 28 D. Lgs. n. 81/08) e soprattutto – come ribadito anche dai recenti Accordi Stato-Regioni sulla formazione – dovrà garantire una formazione alla sicurezza sul lavoro adeguata e comprensibile ai lavoratori stranieri (art. 37, D. Lgs. n. 81/08). Ciò a fine di rendere sempre più coerente la pratica con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della nostra Costituzione. Il melting pot che caratterizza il mercato del lavoro italiano sarà sempre in crescita. Starà dunque ai formatori alla sicurezza, quali componenti della società cui viene affidato il compito di formare i lavoratori, trovare nuove strade e nuove tecniche formative che siano coerenti con il “segno dei tempi” 37. Questo Quaderno vuole essere un contributo alla ricerca sul tema, attraverso l’analisi e la presentazione di esperienze formative realizzate e riflessioni significative su come favorire l’inclusione non solo lavorativa, ma anche sociale, dei lavoratori/cittadini stranieri.

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Così vengono definite le migrazioni dal Dossier Caritas/Migrantes 2011, p. 2.

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Q3, 2012 AiFOS – Sicurezza sul lavoro degli immigrati: riflessioni

Salute e sicurezza sul lavoro dei lavoratori immigrati: alcune riflessioni sul tema di Villiam Alberghini 1

Chi si occupa di prevenzione nei luoghi di lavoro con funzioni di vigilanza è un osservatore diretto delle problematiche di salute e sicurezza dei lavoratori immigrati, perché accede quotidianamente alle più diverse attività produttive e di servizio ed ha il compito di verificare l’applicazione della specifica normativa del nostro Paese in materia di rischi lavorativi. Questa normativa, oltre a non fare distinzioni di tutela tra i lavoratori immigrati e quelli italiani, richiama esplicitamente all’obbligo del datore di lavoro di tener conto, nella valutazione dei rischi e nella informazione e formazione, della provenienza dei lavoratori da altri paesi (D. Lgs. 81/08 , artt. 28, 36 e 37). Evidentemente anche il Legislatore ha ritenuto che la condizione di lavoratore immigrato contenesse in quanto tale degli elementi di maggior fragilità riguardo i fattori di rischio presenti nel luogo di lavoro e con queste specificità normative ha voluto equilibrare i livelli di tutela. Sarebbe quindi legittimo pensare che tra lavoratori italiani e stranieri le condizioni siano uguali e che sia sufficiente per garantirle una corretta applicazione delle norme citate. In realtà, l’osservazione quotidiana delle condizioni di lavoro ed i flussi informativi sull’andamento infortunistico fanno sorgere interrogativi sull’adeguatezza delle azioni per la salute e la sicurezza dei lavoratori immigrati limitate all’applicazione delle tutele di legge, perché alla fine il risultato per lavoratori italiani e lavoratori stranieri non è lo stesso. 1

Medico del lavoro, Direttore dell’Unita Operativa Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro dell’Ausl di Bologna.

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Villiam Alberghini

Le ragioni della differenza sostanziale sono diverse ed in buona parte intrinseche al modello dominante di gestione dei cicli produttivi, il cui cardine è la frammentazione attraverso una molteplicità di forme di rapporti contrattuali. Da osservatori sul campo vediamo che questo è un modello organizzativo che limita in modo sensibile l’efficacia delle azioni preventive, quantunque la normativa le tratti e definisca in modo chiaro (art. 26 e titolo IV del D. Lgs. n. 81/08). La frammentazione ha l’obiettivo principale, se non unico, della riduzione del costo del lavoro, il cui raggiungimento spesso condiziona in modo sensibile i sistemi di gestione della prevenzione, perché ne rende molto complicata la ricomposizione e soprattutto comprime le risorse a questa destinabili, in contrasto con la normativa citata. Sono limiti che incidono negativamente sui livelli di tutela di tutti i lavoratori, ma in modo più marcato di quella dei lavoratori immigrati. Per comprendere il motivo della maggior fragilità dei lavoratori immigrati bisogna partire da più lontano, dalla loro collocazione lavorativa nel nostro Paese, cioè dalle loro vicende di emigrazione dai loro Paesi, che sono sempre state diverse a seconda dei periodi storici e dei contesti geografici e sociali, ma al contempo sono state legate da fili comuni, tra i quali la motivazione dell’emigrazione è certamente l’elemento portante, rimasto immutato nel tempo, con connotati noti ed oggettivi che non dobbiamo mai dimenticare: le risorse insufficienti, la fame o la guerra nei paesi di origine. Strettamente connessa alla motivazione c’è la modalità dell’immigrazione, in genere variabile dipendente dalle politiche messe in atto dai diversi Paesi di destinazione, che variano anche queste secondo i periodi e vanno dalla fissazione di quote di ingresso, all’allontanamento forzato, con varie sfumature intermedie, il cui effetto macroscopico è normalmente l’immigrazione clandestina. Con questa, gli immigrati trovano al primo accesso condizioni di vita e di lavoro ancor più difficili e precarie (anche se pare che i lavoratori clandestini trovino lavoro più facilmente degli altri), con alloggi estremamente carenti, isolamento affettivo e relazionale, considerando che anche con un accesso regolare la situazione iniziale di qualunque immigrato è tutt’altro che favorevole. 19


Q3, 2012 AiFOS – Sicurezza sul lavoro degli immigrati: riflessioni

Se la principale motivazione all’emigrazione è la ricerca del lavoro per sopravvivere, i lavoratori immigrati si ritrovano facilmente alla mercé, in quanto soggetti più deboli, del mercato del lavoro più selvaggio, disponibili ai lavori peggiori per insalubrità e pericolosità, alle condizioni contrattuali più sfavorevoli , con un percorso per l’emersione, se arrivano clandestini, pieno di ostacoli e ricatti. Alla motivazione ed alle modalità e prime condizioni dell’accesso, che possono essere definiti fattori peculiari e generali dell’immigrazione, se ne aggiungono altri, che sono l’espressione diretta delle aree geografiche di provenienza degli immigrati – i continenti, le nazioni ed, all’interno di queste, le regioni – fino ad arrivare alle storie individuali di ciascuno di essi. Parlare di provenienze significa infatti parlare di culture, in gran parte imperscrutabili per chi non vi appartiene, mentre le storie individuali per le loro infinite diversità non sono in alcun modo sommabili e commensurabili. L’interazione tra gli elementi motivazionali, il conseguente rapporto con il mercato del lavoro e le culture che i lavoratori si portano dietro dai loro paesi di origine sono fattori molto importanti nella definizione delle relazioni, delle percezioni e dei comportamenti sul luogo di lavoro, che a loro volta condizionano il risultato delle azioni preventive. In questo ambito l’applicazione della normativa, pur necessaria ed obbligatoria, non è condizione sufficiente per affrontare in modo efficace il tema della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori immigrati. In quanto soggetti deboli, i lavoratori immigrati mettono ancor più in evidenza le incongruenze del citato modello di gestione dei cicli produttivi, perché per loro le problematiche della tutela della salute e sicurezza sul lavoro si intrecciano con quelle peculiari dell’immigrazione. Affrontare questo nodo non è un’operazione semplice, considerando che nel nostro Paese non è da molto tempo che si parla di immigrati, rispetto altri paesi europei con una storia di immigrazioni meno recente (pensiamo all’immigrazione in Inghilterra ed Francia dalle ex-colonie). L’attenzione su di essi si pone infatti da quando la loro presenza ha cominciato ad essere significativamente visibile nella struttura demografica e nel mondo del lavoro, da quando interi comparti produttivi e di servizio si sono assestati su prevalenti, se non esclusive, presenze di 20


Villiam Alberghini

lavoratori immigrati di specifiche nazionalità (come ad esempio nell’edilizia, nelle pulizie, al facchinaggio, nell’assistenza). Non se ne parla da molto, ma il tempo è stato sufficiente per selezionare e restringere drasticamente i temi in discussione, polarizzando l’attenzione dell’opinione pubblica non sui temi dell’accoglienza e dell’inserimento o integrazione sociale, ma su quelli delle barriere all’immigrazione e della repressione e discriminazione di chi riesce ad arrivare. Si ha l’impressione che la percezione collettiva, presente anche nei luoghi di lavoro, faccia fatica a staccarsi da questi temi, anche se gli elementi oggettivi prima richiamati collocano i lavoratori immigrati in punti importanti nei sistemi produttivi di varie aree geografiche e sia fuori discussione la rilevanza del loro apporto alla nostra economica. Anzi bisogna dire che attualmente, con la grave crisi economica nella quale si dibatte gran parte dell’Europa , si stanno scatenando le guerre tra poveri ed i lavoratori immigrati sono i primi a soccombere, per cui non è certamente il momento migliore per affrontare le questioni di cui stiamo trattando. Ma se in generale le condizioni di lavoro non possono essere scisse dalle condizioni di vita, queste per i lavoratori immigrati assumono una rilevanza particolare, per cui trattare di accoglienza e di integrazione, che richiede anche il totale rispetto della cultura di provenienza, è la premessa indispensabile per poter affrontare efficacemente i problemi del lavoro. Nella nostra attività quotidiana vediamo però che diversi di questi ultimi sono così evidenti che la loro persistenza non ha alcuna motivazione plausibile e possono e devono essere rimossi, indipendentemente dalla soluzione di quelli connessi all’immigrazione . Non possono ad esempio essere invocati limiti linguistici e culturali, di fronte a comportamenti incongrui connessi con infortuni, quando la formazione è stata fatta con la semplice distribuzione di un opuscoletto banale, anche se nella migliore delle ipotesi è scritto in qualche altra lingua, oltre l’italiano. Per questo tipo di formazione, se così si può chiamare, il test di apprendimento in genere corrisponde alla firma su un modulo con la quale il lavoratore attesta di aver ricevuto l’opuscolo. Ancor peggio sono le frequenti discrepanze tra quanto contenuto in questi opuscoli, sempre che vengano letti, o altro materiale formativo di 21


Q3, 2012 AiFOS – Sicurezza sul lavoro degli immigrati: riflessioni

qualità migliore, ed i comportamenti sul luogo di lavoro di datori di lavoro, dirigenti e preposti, secondo i casi. Questi comportamenti hanno un’efficacia comunicativa assoluta, soprattutto verso chi, come il lavoratore immigrato, non ha o non può esprimere alcun senso critico per le ragioni prima trattate. I comportamenti di chi comanda svolgono anche la funzione di addestramento per l’esecuzione di molte operazioni, e normalmente, se sono sbagliati, inculcano modalità operative difficili da modificare. È ovvio che questo è un problema anche per i lavoratori italiani, perché l’applicazione degli art. 36 e 37 del D. Lgs. n. 81/08 quando va bene è più formale che sostanziale, ma per quelli immigrati gli effetti sono più evidenti. C’è poi tutta l’area dell’organizzazione del lavoro e dell’affidamento di mansioni e compiti: si rileva in generale che ai lavoratori immigrati vengono affidati quelli peggiori per livello di rischi per la salute e la sicurezza. Non è una giustificazione affermare che dei lavorati italiani per certi mestieri non se ne trovano più, perché in questi casi si esprime a pieno il circolo vizioso che si apre con la richiamata necessità dei lavoratori immigrati di lavorare a qualunque costo. Il cerchio si chiude con la persistenza di mestieri pessimi dal punto di vista tecnico-organizzativo, in relazione ovviamente alla presenza di rilevanti rischi, perché non c’è alcun interesse a modificarli, in quanto si trova sempre qualcuno disponibile a farli, costano meno e si riceve l’apprezzamento dei committenti. Questi sono problemi ancora molto diffusi, pensiamo ad esempio ai comparti del cosiddetto terziario arretrato, come le pulizie industriali, i lavori negli ambienti confinati, il facchinaggio, certe attività agricole, al punto che sono diventati oggetto di piani mirati degli organi di vigilanza, partendo da quanto detta l’art. 15 del D. Lgs. n. 81/08: “eliminazione dei rischi… in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico”. In conclusione il tema della salute e sicurezza dei lavoratori immigrati ha dei risvolti molto ampi e complessi, espressione delle politiche economiche mondiali, del mercato del lavoro globalizzato, delle politiche nazionali e territoriali, per arrivare alle gestioni della prevenzione nei singoli luoghi di lavoro. 22


Villiam Alberghini

Ăˆ illusorio pensare che si possa incidere, quanto meno in breve, sui grandi sistemi (la globalizzazione e la frantumazione dei sistemi produttivi, il mercato del lavoro internazionale, le politiche dell’immigrazione) è realistico ritenere che sia possibile avviare per la condizione dei lavoratori immigrati un processo di miglioramento (almeno sulle condizioni di vita e di lavoro), che alla fine non può che portare vantaggi anche a tutti gli altri lavoratori ed alle imprese.

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Q3, 2012 AiFOS – La valutazione del rischio “provenienza altri paesi”

La valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza con riferimento alla provenienza dei lavoratori da altri Paesi di Adele De Prisco 1

Introduzione Il contributo si propone di illustrare agli operatori della sicurezza il significato e gli obiettivi della valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute con riferimento alla provenienza da altri Paesi. Viene presentato, inoltre, il metodo di valutazione del rischio connesso alla provenienza da altri Paesi sperimentato a Brescia a seguito della sottoscrizione di un protocollo di intesa tra Asl di Brescia, Associazione Industriale Bresciana, CGIL, CISL e UIL. L’obbligo della valutazione dei rischi Prima misura generale di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro 2 nonché principale obbligo a carico del datore di lavoro, la valutazione dei rischi rappresenta il cardine dell’intero sistema di prevenzione aziendale disciplinato dal D. Lgs. 81/08 s.m. 3. La valutazione dei rischi deve essere intesa come una «valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la 1

Esperta in processi formativi. Docente in corsi di formazione su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Responsabile dello Sportello Sicurezza della Cisl di Brescia. 2 Cf. Art. 15, comma 1, lettera a) del D. Lgs. n. 81/08. 3 L’acronimo «s.m.» significa «successive modifiche». Tale dicitura viene utilizzata perché il testo originario del D. Lgs. n. 81/08 è stato integrato e modificato dal D. Lgs. n. 106, del 3 agosto 2009, recante «Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro», pubblicato in G.U. n. 180, del 5 agosto 2009, S.O. n.142/L.

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Adele De Prisco

propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza» 4. La valutazione deve, pertanto, riguardare «tutti» i rischi relativi alla salute e la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici, «ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004 e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro» 5. Si tratta, quindi, di una importante innovazione rispetto alle precedenti disposizioni normative (D. Lgs. 626/94) in tema di valutazione dei rischi. La valutazione dei rischi, infatti, non si configura più solo come un procedimento, circostanziato nel tempo e tecnicamente calcolato, di analisi delle (potenziali) fonti di rischio presenti nell’ambiente di lavoro, quali i “tradizionali” rischio da rumore, da movimentazione manuale dei carichi, da videoterminale, da vibrazioni, etc. Con il D. Lgs. n. 81/08 la valutazione dei rischi diventa, invece, un processo dinamico e continuo, che tiene conto delle relazioni che intercorrono tra i rischi connessi al tipo di lavoro svolto in un determinato contesto, delle caratteristiche tipiche dei lavoratori e delle lavoratrici esposti ai rischi e delle modalità organizzative adottate nel contesto lavorativo. Secondo un modello che è definito a «matrice» 6, il nuovo processo di analisi e valutazione dei rischi richiede, dunque, che l’analisi di ciascun fattore di rischio venga effettuata tenendo conto non solo dei risultati di analisi oggettive e strumentali, ma anche delle possibili conseguenze 4

Cf. Art. 2, c.1, lettera q) del D. Lgs. n. 81/08. Cf. Art. 28, c.1 del D. Lgs. n. 81/08. 6 Cf. C. Frascheri, Le Nuove disposizioni normative in tema di valutazione dei rischi, in Quaderni della Sicurezza Aifos, n. 2, 2010, pagg. 6-9. 5

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Q3, 2012 AiFOS – La valutazione del rischio “provenienza altri paesi”

determinate dall’influenza dei così detti fattori “trasversali” di rischio (quali l’età, il genere, la provenienza da altri Paesi, la tipologia contrattuale e lo stress lavoro-correlato). Il “nuovo” modello di valutazione valorizza, perciò, l’organizzazione del lavoro e pone la persona, con tutte le sue specificità, al centro del processo lavorativo. La valutazione dei rischi connessi alla provenienza da altri Paesi Gli infortuni che coinvolgono i lavoratori immigrati rappresentano una frazione considerevole (15,5%) degli infortuni complessivi in Italia. Lo confermano i dati nazionali diffusi dall’INAIL relativi all’anno 2010. Nello stesso anno l’INAIL ha anche registrato un incremento delle denunce di malattie professionali occorse a lavoratori stranieri. La maggiore “vulnerabilità” dei lavoratori immigrati è dovuta ad una serie di fattori, alcuni dei quali vengono di seguito illustrati. Gli studi disponibili indicano quale principale causa determinante il diverso andamento infortunistico tra autoctoni e migranti l’impiego di questi ultimi in settori a più elevata rischiosità, nei quali l’attività manuale è prevalente (edilizia, industria pesante, agricoltura). Il livello di conoscenza della lingua del Paese ospitante condiziona l’accesso al mercato del lavoro da parte dei lavoratori stranieri. La lingua, inoltre, può rappresentare un ostacolo alla comprensione dei messaggi relativi alla sicurezza veicolati nei luoghi di lavoro attraverso, ad esempio, la segnaletica di sicurezza, le procedure di lavoro e di emergenza, le attività di informazione, addestramento e formazione, etc.. Un ulteriore fattore aggravante è rappresentato dalla situazione di vita dei lavoratori stranieri, spesso più precaria e disagiata. Gli immigrati, infatti, quando arrivano in Italia sono prevalentemente in buona salute. Con il passare del tempo diventano, invece, più vulnerabili per il concentrarsi di numerosi fattori di rischio per la salute (alcuni dei quali già presenti, seppure in modo silente, nella fase precedente la migrazione, altri acquisiti e correlati alla migrazione stessa).

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Adele De Prisco

Altro aspetto da considerare è l’influenza della dimensione socioculturale sulla percezione del rischio lavorativo. Una condizione lavorativa ritenuta da un lavoratore italiano pericolosa o non lecita, può essere vissuta da un lavoratore straniero come regolare, giusta, quasi auspicabile ai fini della riuscita del proprio progetto migratorio. Il processo di valutazione dei rischi deve, pertanto, mettere in luce gli elementi di fragilità, propri della condizione di migrante, che potrebbero avere una ricaduta negativa sulle condizioni di salute dei lavoratori stranieri, con l’obiettivo di individuare efficaci misure di prevenzione e protezione atte a garantire uguali livelli di tutela fra stranieri e autoctoni. L’esperienza bresciana: il progetto “Valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute con riferimento alla provenienza da altri Paesi” Con l’intento di contribuire all’individuazione di strumenti che possano consentire di valutare i rischi connessi alla provenienza da altri Paesi e di pianificare gli interventi necessari a migliorare nel tempo i livelli di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, nel 2009 è stato costituito, presso l’ASL di Brescia, un gruppo multidisciplinare composto da medici del Servizio PSAL, medici esperti della salute dei migranti, esperti nell’area della promozione della salute e dell’area antropo-sociologica. A dicembre dello stesso anno è stato siglato un protocollo di intesa con le organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL e con l’Associazione Industriale Bresciana, i cui rappresentanti hanno integrato il gruppo di lavoro. È stato definito il progetto, denominato “Valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute con riferimento alla provenienza da altri Paesi” 7, predisposto il protocollo tecnico operativo, condivisa l’attuale versione dei questionari e programmata la prima sperimentazione del metodo in alcune aziende del territorio bresciano.

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Il progetto e le correlate appendici sono consultabili in Internet all’indirizzo http://www.cislbrescia.it/2011/11/29/un-progetto-sulla-sicurezza-pensato-per-i-lavoratori-immigrati/ (visitato il 23/07/2012).

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Q3, 2012 AiFOS – La valutazione del rischio “provenienza altri paesi”

Il gruppo di lavoro ha predisposto un modello pluridimensionale di valutazione mirato a individuare e, per quanto possibile, pesare le diverse fragilità caratteristiche della condizione di migrante, attraverso due strumenti: un test linguistico ed un questionario. Il test linguistico trae origine da altra esperienza 8, ma è stato semplificato rispetto all’originaria versione con la collaborazione di un docente esperto nell’insegnamento della lingua italiana ad adulti stranieri. Questo test ha la finalità di valutare le competenze linguistiche che possono avere influenza sulla comprensione della formazione e sulla possibilità di stabilire adeguate relazioni comunicative nel luogo di lavoro. Il questionario prende in considerazione fattori personali (quali tempo di permanenza in Italia, progetto migratorio, conoscenza dei servizi sociosanitari, condizioni abitative e fattori lavorativi (quali esperienza professionale, atteggiamento culturale nei confronti della sicurezza sul lavoro, conoscenza del sistema di tutela e dei diritti) che possono avere ricadute sulle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Per permettere alle aziende di identificare gli elementi di maggiore criticità attraverso la messa a confronto dei lavoratori immigrati rispetto a quelli italiani, è stata, quindi, predisposta una scheda di attribuzione dei punteggi suddivisa in 3 aree tematiche principali (variabili personali, conoscenza della lingua, variabili lavorative). Al crescere del punteggio di ognuna delle tre aree identificate corrisponde una maggiore vulnerabilità del gruppo di stranieri rispetto a quello degli italiani. I dati ottenuti con l’ausilio del test e del questionario devono essere integrati con altri elementi considerati nel processo di valutazione (l’andamento infortunistico, i risultati della sorveglianza sanitaria e la valutazione di tutti gli altri fattori di rischio, compreso lo stress lavorocorrelato), al fine di stabilire il programma delle azioni di miglioramento nel tempo. 8

E. Cipriani (Resp. progetto), Sottoprogetto Promossi in classe - Progetto Sicurezza e Integrazione sul lavoro degli immigrati, consultato in Internet all’indirizzo http://prevenzione.ulss20.verona.it, (visitato il 23/07/2012).

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Adele De Prisco

La ripetizione della valutazione, da effettuarsi previa consultazione e coinvolgimento attivo delle rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza, deve essere condotta per verificare l’efficacia delle azioni intraprese oppure a seguito di significativi cambiamenti della forza lavoro. La sperimentazione del metodo Nell’estate del 2010 è cominciata, nel territorio della ASL di Brescia, la prima sperimentazione del metodo in sette aziende, selezionate sulla base delle seguenti caratteristiche: appartenenza a settori produttivi con indice infortunistico significativo, presenza di almeno 50 dipendenti nei reparti produttivi e di almeno 20 lavoratori stranieri. Tutte le imprese interessate dalla sperimentazione hanno aderito volontariamente al progetto. Questi gli obiettivi della prima fase di sperimentazione: a) verificare la chiarezza nella formulazione delle domande e la coerenza delle stesse in relazione alla fragilità indagata; b) valutare l’adeguatezza del test linguistico e la praticabilità dello strumento in relazione ai tempi di compilazione; c) stabilire il gradimento del test e del questionario da parte del sistema di prevenzione e dell’intera comunità lavorativa aziendale. Le risposte fornite dai lavoratori sono state registrate con garanzia dell’anonimato. Sul questionario, infatti, non è stato riportato il nome del lavoratore, bensì un numero identificativo. La successiva elaborazione dei dati è stata effettuata dagli operatori dell’ASL, che hanno illustrato i risultati ottenuti alle singole aziende interessate in forma anonima e collettiva. Per spiegare le finalità del progetto e garantire omogeneità nelle modalità di somministrazione, sono stati organizzati incontri preliminari con i soggetti coinvolti nella somministrazione del test linguistico e del questionario (responsabili dei servizi di prevenzione e protezione e medici competenti). Sono state, inoltre, predisposte apposite guide all’utilizzo del questionario e del test linguistico.

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Q3, 2012 AiFOS – La valutazione del rischio “provenienza altri paesi”

Prima dell’avvio della sperimentazione, il progetto è stato presentato sia ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza delle aziende coinvolte, nel corso di un incontro appositamente organizzato, sia ai lavoratori, distribuendo loro una nota informativa predisposta dalla ASL. In ciascuna azienda sono stati coinvolti un gruppo di lavoratori immigrati ed un gruppo di lavoratori italiani, paragonabili, per quanto possibile, per genere, età e mansione svolta. Al gruppo di italiani è stata somministrata una versione opportunamente modificata del questionario Il test relativo alle competenze linguistiche è stato somministrato a cura del servizio di prevenzione e protezione aziendale oppure in modalità auto somministrata dai lavoratori stranieri, se in grado di farlo. A causa della presenza di informazioni personali, il questionario è stato somministrato (in forma di intervista semistrutturata) dal medico competente o da altro personale sanitario, che ne ha anche curato la conservazione con tutela della privacy. Sono stati raccolti ed elaborati 267 questionari provenienti dalle sette aziende di media e grande dimensione, appartenenti ai settori metallurgico, metalmeccanico e delle materie plastiche. In totale sono stati coinvolti 136 lavoratori stranieri e 131 italiani, tutti collocati nei reparti produttivi, di sesso maschile ed assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato. In generale, nel gruppo di lavoratori stranieri esaminati, tutti assunti a tempo indeterminato e caratterizzati da una elevata anzianità migratoria, non sono emerse consistenti differenze rispetto al gruppo di lavoratori italiani per quanto attiene alle condizioni di vita personali ed all’utilizzo dei servizi socio-sanitari. Le criticità emerse hanno riguardato, piuttosto, il grado di conoscenza del sistema di tutela nei luoghi di lavoro, il livello di comprensione della formazione ricevuta in materia di sicurezza e l’atteggiamento culturale nei confronti delle azioni da intraprendere per ridurre gli infortuni nei luoghi di lavoro. È opportuno evidenziare che i dati presentati non possono ritenersi aprioristicamente rappresentativi dell’intera popolazione di lavoratori immigrati sia per la maturata esperienza professionale del gruppo 30


Adele De Prisco

studiato sia per la tipologia di aziende interessate dall’indagine, caratterizzate da sistemi di prevenzione consolidati. L’esperienza condotta ha, quindi, rappresentato un primo approccio alla valutazione dei rischi connessi alla provenienza da altri Paesi, contribuendo ad avviare un percorso di sensibilizzazione e consapevolezza del rischio all’interno del sistema di prevenzione e protezione aziendale (Datore di Lavoro, RSPP, RLS, Medico Competente) delle realtà lavorative coinvolte nella fase di sperimentazione. Ai fini della buona riuscita del progetto, fondamentale è risultato il coinvolgimento attivo dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. L’iniziativa è stata, inoltre, apprezzata anche dagli stessi lavoratori immigrati, poiché si sono sentiti oggetto di attenzione. Considerazioni conclusive Come già evidenziato, il processo di valutazione dei rischi è finalizzato all’individuazione di adeguate ed efficaci misure di prevenzione e protezione. In riferimento al fattore di rischio provenienza da altri Paesi, il progetto illustrato suggerisce che le misure da attuare possano essere essenzialmente ricondotte alle seguenti tre aree di intervento: 1. Conoscenza della lingua italiana: il test linguistico permette di distribuire i lavoratori in tre livelli di comprensione della lingua italiana. Nel caso in cui risulti una comprensione insufficiente della lingua italiana, tale da non consentire una corretta comunicazione verbale sul luogo di lavoro, sarà necessario: prevedere e programmare la frequenza di corsi di lingua italiana da parte dei lavoratori stranieri; organizzare la formazione privilegiando metodi non verbali (guide illustrate, dimostrazioni pratiche); tradurre le procedure di lavoro e le informazioni riguardanti la sicurezza delle macchine nella lingua delle etnie presenti; prevedere il supporto, ove possibile, di trainer appartenenti alle etnie presenti, a loro volta formati sui contenuti trattati. 2. Discriminazione/integrazione/conoscenza dei diritti: qualora si evidenzino criticità in relazione ad integrazione e presenza di 31


Q3, 2012 AiFOS – La valutazione del rischio “provenienza altri paesi”

discriminazioni sul luogo di lavoro (spesso dovute alle differenze culturali e ad errori di comunicazione), è auspicabile che l’azienda preveda iniziative mirate, con il coinvolgimento, quando possibile, di mediatori culturali 9. Sarà, inoltre, opportuno adottare misure preventive verso comportamenti discriminatori (esplicita politica aziendale, formazione dirigenti e preposti, etc.). 3. Formazione, sicurezza percepita e atteggiamento culturale nei confronti della sicurezza: qualora emergano criticità relative a quest’area, l’azienda dovrà rivedere le proprie modalità di formazione e verificarne l’efficacia. Sarà necessario, inoltre, riformulare le procedure di segnalazione incidenti o fattori di rischio, così da assicurare che i lavoratori stranieri siano in grado di accedervi allo stesso modo degli autoctoni.

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A tale proposito si richiama, come esempio, l’esperienza condotta nel Progetto “Scambiamoci i panni” della Regione Veneto. E. Cipriani (Resp. progetto), Sottoprogetto Promossi in classe - Progetto Sicurezza e Integrazione sul lavoro degli immigrati, consultato in Internet all’indirizzo http://prevenzione.ulss20.verona.it, (visitato il 23/07/2012).

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Stefano Porru – Cecilia Arici

Il Medico del Lavoro/Competente e la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori immigrati: focus sulla sorveglianza sanitaria di Stefano Porru 1 e Cecilia Arici 2

Dimensione del fenomeno immigrazione e lavoro La migrazione è un fenomeno esistente da secoli, motivato e sostenuto da fattori politici, sociali, religiosi ma soprattutto economici, per la ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro, come anche rispecchiato dalla definizione di migrante fornita da vari enti e istituzioni internazionali e nazionali (United Nations Organization, International Organization for Migration, International Labour Organization, Caritas/Migrantes, ISTAT, INAIL), in cui la dimensione “lavoro” appare elemento fondamentale. Si stima che nel mondo siano presenti 214 milioni di migranti, pari al 3% della popolazione. In Europa, gli immigrati si attestano sui 27 milioni, la metà dei quali sono lavoratori che rappresentano fino al 6% della forza-lavoro globale. Per quanto riguarda l’Italia, mentre Caritas/Migrantes stima una presenza d’immigrati di quasi 5 milioni, d’altro canto 1

Medico Chirurgo, Specialista in Medicina del Lavoro, Professore Associato - Sezione di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale - Università degli Studi di Brescia; Dirigente Medico - U.O. Medicina del Lavoro, Igiene, Tossicologia e Prevenzione Occupazionale - Spedali Civili di Brescia. 2 Medico Chirurgo, Specialista in Medicina del Lavoro, Assegnista di Ricerca - Sezione di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale - Università degli Studi di Brescia.

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Q3, 2012 AiFOS – Sorveglianza sanitaria dei lavoratori stranieri

ISTAT fornisce stime più conservative che si attestano su poco più di 4,5 milioni. Nel complesso gli immigrati rappresentano il 7% circa della popolazione presente nel nostro Paese. In particolare, stando a quanto riportato dall’INAIL, i lavoratori immigrati assicurati presenti in Italia sono più 3 milioni, pari al 10% della forza-lavoro, prevalentemente provenienti da Romania, Albania e Marocco. La maggior parte di essi (64%) sono localizzati al Nord e risultano essere prevalentemente (85%) dipendenti ma anche (15%) lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, imprenditori edili), producendo circa l’11% del PIL con conseguente sostanziale contributo allo sviluppo economico del nostro Paese. È anche interessante rilevare come negli ultimi anni si sia venuta a configurare anche in Italia una sorta di geografia dei mestieri, tale per cui alcune etnie tendono a specializzarsi in specifiche occupazioni, anche in considerazione di reti etniche che svolgono un’interfaccia tra nuovi arrivati e mercato del lavoro. Immigrazione, salute e sicurezza È ben noto che la relazione tra immigrazione e lavoro è complessa. Infatti, i lavoratori immigrati tendono a ricoprire una posizione precaria nel mercato del lavoro, essendo prevalentemente impiegati nei cosiddetti lavori “3D” (dangerous, dirty and demanding/degrading), ovvero manuali, non qualificati, faticosi e pericolosi, comportanti orari di lavoro flessibili e ritmi di lavoro sostenuti, che gli autoctoni tendono a non svolgere. A ciò si aggiungono, inoltre, una carenza di formazione e difficoltà di accesso alle tutele sanitarie ed assicurative, a causa di varie barriere socio-economiche. Tali condizioni rappresentano potenziali determinanti di ineguaglianze di salute e sicurezza occupazionale. Da una revisione non sistematica della letteratura scientifica (PubMed) e grigia (Google) emerge, per quanto attiene agli infortuni sul lavoro, che nei lavoratori immigrati è stato evidenziato un rischio da 2 a 5 volte superiore rispetto agli autoctoni di incorrere in eventi mortali; d’altro canto, con riferimento agli infortuni non mortali, il dato sintetico emerso è che possiamo trovare un rischio significativamente maggiore o minore rispetto agli autoctoni, a seconda del settore e del lavoro svolto. La stratificazione per genere e altre variabili demografiche ha, nel complesso, evidenziato un rischio infortunistico significativamente maggiore nelle donne immigrate, in immigrati minorenni e di età 34


Stefano Porru – Cecilia Arici

avanzata (superiore a 55/64 anni), nonché per anzianità lavorativa specifica e di residenza inferiori a 3-5 anni. È stato, inoltre, documentato un rischio infortunistico significativamente elevato in immigrati occupati in alcuni specifici settori, quali ad esempio agricoltura, industria estrattiva, edilizia e settore manifatturiero, con particolare riferimento ad industria metallurgica e metalmeccanica, chimica e del legno. Dalle classiche analisi per modalità e agente materiale d’infortunio, natura e sede di lesione, di origine prevalentemente assicurativa, viene evidenziata, in sintesi, una prevalenza di infortuni di natura traumatica (distorsioni/lussazioni e fratture), a carico di arti e rachide, in lavoratori immigrati caduti oppure colpiti da macchinari/utensili. Per quanto attiene alle malattie lavoro-correlate in immigrati, la revisione ha consentito di reperire soltanto una ventina di studi, in genere focalizzati su specifici settori. Ad esempio, in lavoratori immigrati occupati in agricoltura e allevamento è emersa una rilevante prevalenza, complessivamente variabile dal 15 all’85%, di disturbi muscoloscheletrici, patologie cutanee, respiratorie e da calore, ipoacusie da rumore, infezioni ed intossicazioni da pesticidi, che risultano peraltro molto più frequenti nei lavoratori immigrati (85%) rispetto agli autoctoni (15%). Anche nel settore delle pulizie e nell’industria dell’abbigliamento sono stati riportati casi di patologie respiratorie (irritative e allergiche) e disturbi muscolo-scheletrici (a carico di rachide cervico-dorso-lombare ed arto superiore), tuttavia in assenza di dati di prevalenza. Pochi studi hanno, infine, valutato alcune specifiche patologie, evidenziando in lavoratori immigrati una peggior prognosi per lombalgia e una rilevante prevalenza di patologie psichiatriche in soggetti di genere maschile (25%), con riscontro di maggior rischio per addetti a lavoro manuale, non qualificato. Da elaborazioni statistiche su base INAIL risulta che in Italia, nel triennio 2009-2011, sono stati denunciati a carico di lavoratori immigrati circa 120.000 infortuni/anno (16% degli infortuni complessivi), di cui circa 140 mortali (15% del totale nazionale). È, inoltre, da rilevare una tendenza all’incremento negli ultimi 11 anni, opposta a quella registrata nei lavoratori italiani e nel complesso. Dai dati INAIL emerge anche una sorta di “identikit” del lavoratore immigrato infortunato, che è generalmente: di genere maschile; proveniente nell’ordine da Romania, Marocco o Albania; occupato in edilizia, industria dei metalli, alberghi e 35


Q3, 2012 AiFOS – Sorveglianza sanitaria dei lavoratori stranieri

ristoranti, trasporti e comunicazioni; residente in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto: la Lombardia, in particolare, si attesta al primo posto a livello nazionale, con quasi un quarto degli infortuni denunciati. Per quanto riguarda le malattie lavoro-correlate, nel triennio 20092011 sono stati denunciati all’INAIL più di 2.000 casi all’anno in lavoratori immigrati, pari al 6% circa del totale nazionale. È, inoltre, da rilevare un progressivo incremento di notifica negli ultimi 8 anni (+ 54% dal 2004 al 2011), superiore a quello (45%) registrato nel medesimo periodo per i lavoratori italiani. Emerge, infine, che le malattie professionali più frequentemente denunciate all’INAIL sono quelle per così dire “classiche”, ovvero ipoacusie da rumore e disturbi osteoarticolari, mentre risultano relativamente poco rappresentate tutte le altre patologie, ad esempio quelle cutanee, respiratorie e neoplastiche. Da questi dati emerge come per il Medico del Lavoro/Competente (MdL/C) sia doveroso e necessario intervenire concretamente per la prevenzione di infortuni sul lavoro e malattie lavoro-correlate. Aree di competenza Lavoro/Competente

e

d’intervento

per

il

Medico

del

Il MdL/C si trova, infatti, ad affrontare, oggi più che mai rispetto al passato anche recente, il tema della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori immigrati. L’inserimento nel sistema sanitario rappresenta uno degli elementi più importanti atti a favorire l’integrazione sociale di un immigrato. La figura 1 rappresenta schematicamente i collegamenti multipli tra la condizione di una persona immigrata - che in genere arriva con un patrimonio di salute integro (cosiddetto “effetto migrante sano”) l’azione di numerosi fattori sia lavorativi che extralavorativi, l’accesso ai servizi sanitari sia sociali che aziendali, gli esiti in termini sanitari che si traducono in presenza di condizioni di suscettibilità o ineguaglianze nei servizi sanitari disponibili e fruiti, in un verosimile circolo vizioso d’insieme che in effetti potrebbe condurre ad un peggioramento dello stato di salute e sicurezza dell’immigrato, in particolare nei luoghi di lavoro. Tuttavia, in tale articolata interconnessione, vi sono alcuni punti cardine, in cui il MdL/C può opportunamente esercitare il proprio intervento, basandosi sia sulle evidenze tecnico-scientifiche che sulla legislazione attuale. 36


Stefano Porru – Cecilia Arici

Figura 1. Complessa relazione etnia – immigrazione – salute

“EFFETTO MIGRANTE SANO”?

L’immigrato arriva con patrimonio di salute “integro” (giovani adulti, classi sociali meno svantaggiate), progressivamente dissipato per

FATTORI EXTRALAVORATIVI • clima, stili di vita, alimentazione diversi • degrado abitativo-familiare

CIRCOLO VIZIOSO

FATTORI LAVORATIVI • occupazioni “3D” • irregolari, precari, informali • fattori psicosociali

  condizioni socio-economiche  emarginazione, BARRIERE culturali, linguistiche, sociali  accesso inadeguato/difficile ai servizi diagnostici, terapeutici e di prevenzione, anche nei luoghi di lavoro INEGUAGLIANZE di SALUTE e sicurezza (OCCUPAZIONALE)

 SUSCETTIBILITA’

Infatti, la normativa attuale (D. Lgs. n. 81/2008 integrato e modificato dal D. Lgs. n. 106/2009), all’art. 25, prevede, tra gli obblighi del MdL/C, la collaborazione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione dell’attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, all’attività di formazione e informazione, alla promozione della salute, secondo i principi della responsabilità sociale; egli, inoltre, programma ed effettua la sorveglianza sanitaria in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati. Non si può a tale riguardo non riconoscere che tra le responsabilità sociali dell’impresa vi sia proprio quella di migliorare la salute dei propri lavoratori, particolarmente di quelli più svantaggiati e, per il MdL/C, il dovere di attenersi agli sviluppi scientifici, che chiaramente indicano l’immigrato come una persona con specifici bisogni di salute e sicurezza ancora da soddisfare e perseguire. A rafforzare tale necessità, vi è l’art. 28 dello 37


Q3, 2012 AiFOS – Sorveglianza sanitaria dei lavoratori stranieri

stesso Decreto - laddove esso specifica che oggetto della valutazione dei rischi sono tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui quelli connessi alla provenienza da altri Paesi - ma anche l’art. 39, laddove si richiama che lo svolgimento dell’attività di medico competente deve avvenire secondo i principi della medicina del lavoro e del codice etico ICOH (International Commission on Occupational Health), con particolare riguardo al principio di equità, che a noi pare esser molto adeguato in questo contesto. Per quanto attiene alla sorveglianza sanitaria, vi sono alcuni aspetti che meritano considerazioni preliminari da parte del MdL/C. Infatti, nell’approccio al lavoratore immigrato, meritano particolare attenzione l’approfondimento circa le differenze culturali, di lingua e religione, la differente alimentazione, gli stili di vita, la differente percezione del concetto di salute e malattia. Ad esempio: il digiuno durante il Ramadan può essere un fattore rilevante per il rischio infortunistico; l’uso di medicine non convenzionali tipico di alcune etnie può comportare importanti condizioni di suscettibilità acquisita e di patologie; la comprensione linguistica limitata può non consentire approfondimento in anamnesi lavorativa, fisiologica e patologica; il carattere più drammatizzante di alcune etnie (certi nordafricani) ovvero più paziente e con maggiore attitudine a stili di vita sani e sicuri (etiopi, ghanesi, etc.) può portare a diverse modalità di approccio del MdL/C; la conoscenza delle differenze di genere nelle diverse etnie può condurre analogamente ad un tipo di sorveglianza sanitaria più mirata; le abitudini di vita riguardo a fumo di tabacco e assunzione di alcolici sono tendenzialmente più salutari rispetto agli autoctoni, soprattutto per le etnie africane, e ciò può portare anche a benefici in termini di salute e sicurezza aziendale. Tutto ciò si traduce in una necessità di dedicare tempo al lavoratore immigrato, soprattutto nella visita preventiva, e nel dover cercare di stabilire un canale di comunicazione e di ottenere un consenso informato veramente, presupposti affinché il MdL/C possa effettivamente e concretamente esercitare il suo ruolo di counselling per tale popolazione potenzialmente più vulnerabile. Da un punto di vista più propriamente di clinica del lavoro, gli ambiti di competenza e d’intervento sono chiarissimi da tempo; tuttavia, a nostro parere, per gli immigrati è necessario approfondire qualche 38


Stefano Porru – Cecilia Arici

aspetto, poiché, come dimostrano i dati di letteratura e la pratica quotidiana, è oggi elevata la probabilità che ciascun MdL/C si possa trovare di fronte a specifiche situazioni che richiedano intervento mirato, così come appare ampio lo spazio per il ruolo e la professionalità del MdL/C. Se si parte dall’anamnesi lavorativa, non bisogna sottovalutare che la sua ricostruzione può presentare difficoltà, non solo per motivi linguistici, ma anche perché spesso l’immigrato ha svolto numerosi lavori, magari di breve durata, spesso gravosi, degradanti, difficili, con diversi rischi, in un contesto precario, irregolare e informale, in cui oltretutto gli aspetti psicosociali assumono rilievo. A tale proposito, tuttavia, dovrà soccorrere un buon Documento di Valutazione di Rischi, che includa attenzione alle procedure e alle modalità di lavoro del lavoratore immigrato, laddove ne occorra specificità rispetto all’autoctono. Nel concreto, per quanto attiene alla valutazione del rischio specifico per il lavoratore immigrato, a nostro parere essa deve comportare, con il contributo del MdL/C, i seguenti passi: ► caratterizzazione delle etnie, che comporta identificare bene la provenienza del singolo immigrato, la sua storia personale di immigrazione, in considerazione delle differenze culturali e sociali che ciascuno si porta appresso (ad esempio, i ghanesi sono molto differenti dagli rumeni o dai marocchini per attitudini, credenze, capacità di adattamento, stili di vita, etc.); ciò può far configurare un diverso approccio ai rischi lavorativi ed agli interventi di prevenzione sanitari e non sanitari; ► mettere in luce, nell’immigrato rispetto all’autoctono, eventuali differenze di indicatori correlati al rischio per salute e sicurezza, in particolare riguardo a o esposizione ai vari fattori di rischio identificati nel Documento di Valutazione dei Rischi; o organizzazione del lavoro (turni, pendolarismo, procedure, rapporto di lavoro); o informazione/formazione/addestramento (comprensione, efficacia); 39


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o infortuni, suscettibilità, malattie lavoro-correlate, eventi sentinella; o accesso al servizio sanitario aziendale; o assenteismo, turnover, problemi disciplinari e legali; ► valutazione letteratura tecnico-scientifica, che comporta essere attenti, soprattutto in questi ultimi 2 anni, a quanto viene pubblicato nella ricerca sul campo, anche in settori produttivi specifici, laddove vengono individuati i rischi specifici; ► stima del rischio, come usuale, basata sui criteri di cui ai 3 punti precedenti, che porta a qualificare e quantificare i rischi (ad esempio, rischio di cardiovasculopatie in africano esposto a vari fattori di rischio fisico e chimico e magari portatore di suscettibilità, oppure rischio di abnorme assorbimento di piombo in fonditori portatori di trait talassemico, o di rischio infortunistico in lavoratore turnista notturno, con addestramento non specifico e comprensione linguistica non adeguata, etc.), e, conseguentemente, ad indirizzare verso le priorità con relativi interventi preventivi. Per quanto attiene all’anamnesi patologica, essa deve essere mirata all’identificazione di eventuali condizioni di suscettibilità genetica e/o acquisita peculiari per i migranti e per le varie etnie, tenendo conto delle differenze di genere. Queste condizioni vanno attivamente ricercate, in quanto elementi indispensabili non solo per formulare diagnosi clinica ed eziologica, ma anche per impostare la sorveglianza sanitaria, la formulazione del giudizio di idoneità specifica, gli interventi di protezione e promozione della salute, con azioni che magari richiederanno attenzione sanitaria aggiuntiva rispetto agli autoctoni. Sarà, quindi, necessario acquisire la documentazione, in collaborazione con i medici curanti specialisti e di famiglia, oppure con gli ambulatori che ormai si vanno diffondendo specificatamente per gli stranieri temporaneamente presenti, oppure presso le ASL, le associazioni di volontariato, i patronati sindacali. A titolo di esempio, per l’area della suscettibilità genetica, è importante ricordare che: alcuni polimorfismi genetici (NAT2 “lento”, GSTM1 null), sono significativamente prevalenti in soggetti di etnia asiatica ed africana e possono determinare incremento di rischio di neoplasie vescicali e polmonari in esposti ad amine aromatiche ed IPA; le emoglobinopatie, in particolare S e le 40


Stefano Porru – Cecilia Arici

talassemie, hanno elevate prevalenze nelle etnie africane ed asiatiche e vanno tenute presenti in caso di esposizioni a tossici emolitici, o in condizioni lavorative che possono comportare rischio di disidratazione, esposizione a basse temperature, ipossia; alcune cardiopatie (ad es. cardiomiopatia dilatativa idiopatica, fibrosi endomiocardica, malformazioni coronarie, DIV) sono endemiche nell’Africa subsahariana. Per le suscettibilità acquisite: notevole rilievo pratico assume l’ipertensione arteriosa, assai prevalente negli africani sub-sahariani, con, in generale, insorgenza media precoce, maggiore aggressività, multifarmaco-resistenza e prognosi peggiore; le malattie infettive, le patologie psichiatriche, i disordini metabolici (diabete, obesità) assumono un certo significato, per la loro relativa prevalenza ed incidenza in molte etnie. Per quanto riguarda esame obiettivo, esami strumentali e/o di laboratorio, l’attenzione del MdL/C sarà diretta verso la ricerca delle condizioni di suscettibilità orientate dall’anamnesi e dalla documentazione acquisita. Per gli esami strumentali, si sottolinea la necessità di attenersi alle indicazioni tecnico-scientifiche in particolare per i valori di riferimento delle prove di funzionalità respiratoria, per le problematiche di differente sensibilità (con conseguenti falsi negativi, in particolare in caso di alterazioni precoci) e specificità (con conseguenti falsi positivi), in particolare in immigrati non europei (ad es. per i balcanici, adeguati i valori in uso per gli Italiani, che non sono adeguati invece per Africa, Asia, Est Europa). L’efficacia della sorveglianza sanitaria dipende anche da queste scelte. Per gli esami di laboratorio chimico-clinici, cautela va riposta per i valori di riferimento, in quanto se ottenuti da soggetti residenti nel territorio, è necessaria interpretazione per gli immigrati; ad esempio, la neutropenia, a volte molto marcata, spesso benigna, è frequente nelle popolazioni africane e ciò può essere di rilievo nel gestire alcune esposizioni lavorative ad emotossici o nel trattamento di condizioni intercorrenti; oppure, la microematuria negli africani, che può imporre ulteriori accertamenti sanitari, o ancora la necessità di richiedere l’elettroforesi dell’emoglobina, per effettuare lo screening delle emoglobinopatie. Per quanto attiene al giudizio di idoneità, una maggiore attenzione può essere richiesta nel valutare il re-inserimento al lavoro dell’immigrato con peculiari diagnosi cliniche/etiologiche. 41


Q3, 2012 AiFOS – Sorveglianza sanitaria dei lavoratori stranieri

Il MdL/C potrà poi inserire specifiche considerazioni nella relazione sanitaria annuale, delineando le eventuali differenze etniche in tema di descrizione dello stato di salute, prevalenze di patologie e suscettibilità, indicazioni per provvedimenti preventivi specifici per i migranti, di variabili nella formulazione del giudizio di idoneità. In precedenti contributi abbiamo avuto modo di riportare alcune esperienze specifiche nel settore delle fonderie. Qui, brevemente, vogliamo sintetizzare i dati che sono emersi dall’esame della casistica dell’U.O. Medicina del Lavoro degli Spedali Civili di Brescia. Dall’analisi descrittiva dei dati provenienti da più di 500 lavoratori sottoposti ad accertamenti negli ultimi anni, emergono: la multi-etnia; il fatto che gli immigrati prestino la loro opera in moltissimi settori produttivi ed attività economiche ATECO; che alcune etnie siano più presenti in specifici settori; che chi invia il lavoratore al secondo livello di accertamento medico specialistico è in larga e pari misura il medico competente ed il medico curante, molto più raramente l’ASL o l’INAIL; la maggioranza è lavoratore dipendente. Il quesito è in lieve maggioranza un problema circa l’idoneità alla mansione, seguito dalla richiesta di visita specialistica; in circa ¼ dei casi (più di 150) viene formulata una diagnosi di malattia lavoro-correlata, in maggior misura per patologie osteoarticolari a carico di rachide e arti superiori, seguite da malattie allergologiche, cominciando a comparire anche le neoplasie; tra le malattie non correlate al lavoro, pressoché tutti gli organi ed apparati sono stati interessati, con maggior frequenza relativa per le patologie osteoarticolari, allergiche, cardiovascolari e per varie alterazioni degli esami di laboratorio. Da tale quadro sinottico, emerge chiaramente quanto il MdL/C possa essere interessato sia per la diagnosi clinica ed eziologica, sia per il giudizio di idoneità, sia per la valutazione del rischio, nonché per la promozione della salute. In tale contesto, svolgono un ruolo importante anche l’informazione e la formazione. La normativa attuale prevede (artt. 36 e 37, D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i.), nello specifico della tematica, che il contenuto dell’informazione/formazione sia facilmente comprensibile per i lavoratori e, ove riguardi lavoratori immigrati, avvenga previa verifica della comprensione della lingua utilizzata. A questo proposito, il MdL/C potrà segnalare al datore di lavoro, dopo l’accertamento preventivo, 42


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eventuali problemi di comunicazione con l’immigrato, cui si dovrà porre rimedio. Il contributo specifico del MdL/C si eserciterà dunque non solo nella collaborazione all’organizzazione e gestione di corsi e iniziative in lingua italiana, ma anche attraverso counselling su rischi specifici, su specifici accertamenti sanitari e su promozione della salute, necessari per l’effettiva integrazione sanitaria del lavoratore migrante. Infine, un punto di estremo rilievo, che emerge sia dall’analisi della letteratura che dalla nostra casistica clinica, è la necessità di un legame più stretto e di una maggiore collaborazione tra Medico di Medicina Generale, Medici Specialisti e MdL/C. Infatti, emerge come in generale significativa sia la prevalenza di patologie sia lavoro correlate che anche non lavoro-correlate, e come esse per la prima volta possano essere evidenziate in corso di accertamenti specialistici di Medicina del Lavoro. A seguito di tale attività diagnostica, il MdL/C si deve impegnare a promuovere la comunicazione biunivoca con Medico di Medicina Generale o altri specialisti (ad es. pneumologo, infettivologo, cardiologo, dermatologo, ortopedico), al fine di meglio approfondire gli aspetti sia terapeutici, sia riabilitativi e attivarsi affinché il follow-up del paziente/lavoratore sia appropriato e collaborativo. Tale processo d’interazione può comportare rilevanti benefici non solo per il paziente/lavoratore, ma anche per Medico Curante - che può in tal modo addivenire ad una più approfondita conoscenza del suo assistito e migliorare l’appropriatezza del suo trattamento - e MdL/C - che può in tal modo acquisire informazioni utili per il reinserimento lavorativo, la gestione ed il follow-up in ambito lavorativo. Ulteriori benefici attesi, per paziente/lavoratore, Medico di Medicina Generale e specialista, nonché MdL/C, possono a nostro avviso essere rappresentati da: ► migliore caratterizzazione del rischio e della salute individuale, risultato della complessa interazione tra fattori di rischio lavorativi ed extralavorativi (come precedentemente illustrato in figura 1); ► migliori diagnosi epidemiologiche;

clinico-etiologiche

e

migliori

stime

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Q3, 2012 AiFOS – Sorveglianza sanitaria dei lavoratori stranieri

► opportunità di vera promozione della salute, con particolare riferimento alla modifica di stili di vita non orientati alla salute e sicurezza; ► maggiore attenzione all’individuo oggi più debole/vulnerabile/ suscettibile, che soffre; ► opportunità di migliore tutela sociale e di stimolo agli interventi preventivi nei luoghi di lavoro; ► vero approccio medico multidisciplinare alla gestione del paziente/lavoratore immigrato, necessario per affrontare le complesse problematiche connesse alla articolata relazione tra immigrazione, salute e lavoro. Conclusioni e prospettive Le informazioni ad oggi disponibili sul tema salute/sicurezza sul lavoro e immigrati sono insufficienti, sia sul fronte dell’elaborazione scientifica ed epidemiologica, sia sul fronte della ricerca applicata sul campo, sia sul fronte delle buone prassi per il MdL/C. In tal senso, la più recente letteratura e la nostra esperienza specifica sul campo testimoniano l’assoluta necessità di ricerca scientifica applicata in vari settori. A tale proposito, fra le priorità, si possono qui suggerire i temi del fattore umano negli infortuni, dell’ineguaglianza di salute occupazionale, delle buone prassi e del miglioramento della qualità nell’assistenza sanitaria e dei servizi di medicina del lavoro aziendale, delle correlazioni rischio lavorativo/suscettibilità/effetti sulla salute. Il MdL/C, consapevole come il tema della salute e sicurezza del lavoratore migrante sia ormai una priorità quotidiana nei luoghi di lavoro, deve essere pronto per gestire al meglio la problematica, avendo come scopo fondamentale quello di dare risposte concrete ai bisogni di salute del lavoratore migrante e garantirgli adeguato accesso al servizio sanitario aziendale. L’approccio aperto e multidisciplinare, basato sull’evidenza tecnico-scientifica e sulla proattività nello svolgimento delle attività proprie della clinica del lavoro, è condizione essenziale per conseguire il miglioramento della salute e della sicurezza lavorativa e sociale, a beneficio di lavoratori, impresa e società.

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Stefano Porru – Cecilia Arici

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11. ISTAT – Istituto Nazionale di Statistica. La popolazione straniera residente in Italia al 1° gennaio 2011. Roma, 22 settembre 2011. http://www.istat.it.

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La percezione e rappresentazione del rischio: studio ed analisi di gruppi di lavoratori di diverse nazionalità e culture occupati in edilizia di Fabrizio De Pasquale 1

Introduzione La percezione del rischio occupazionale da parte dei lavoratori è un aspetto di rilievo nell’ambito della Medicina del Lavoro. Si ritiene infatti che una corretta percezione possa influenzare l’assunzione di comportamenti corretti e autoprotettivi da parte dei lavoratori. Un fattore nuovo in questo ambito viene dalla sempre più rilevante presenza di lavoratori appartenenti a gruppi etnici differenti, specie in alcuni comparti quale l’edilizia. Su queste basi si è deciso di effettuare uno studio su lavoratori edili appartenenti ad etnie differenti. L’interesse di questo studio parte dall’analisi del fenomeno degli infortuni sul lavoro, in particolare dei lavoratori stranieri occupati in edilizia. Infatti la maggiore incidenza infortunistica che caratterizza i lavoratori di altre nazionalità, presenti nel comparto delle costruzioni, rispetto agli operai di nazionalità italiana, apre un problema legato ad accertare se la transculturalità si pone come una variabile che incide sull’accadimento dell’infortunio. Il fatto di non considerare i fattori “uomo e cultura” nel processo di valutazione dei rischi aziendali, non mettendoli in relazione tra loro, come invece prevede la normativa di riferimento (art. 28 del D. Lgs. n. 81/08 e succ. mod.), può portare a sviluppare atteggiamenti e comportamenti che possono mettere a repentaglio la propria salute e quella degli altri lavoratori? 1

Laureato magistrale in Scienze della Prevenzione, occupato in qualità di Tecnico della Prevenzione presso l’Azienda USL di Modena, Dip. di Sanità Pubblica, Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro.

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Fabrizio De Pasquale

Le differenti percezioni che gli individui hanno del rischio, influenzano il modo in cui questi entrano in contatto con persone, cose ed eventi. Le rappresentazioni mentali che si possiedono del concetto di rischio, infatti, plasmano atteggiamenti e comportamenti, discriminando, ad esempio, le circostanze che si possono considerare associate ad un rischio accettabile da quelle che non lo sono, rendendo necessaria un’attuazione conseguente di norme e procedure di sicurezza. Una corretta percezione dei rischi, sia in termini qualitativi che quantitativi, si può dunque considerare un prerequisito affinché le persone mettano in atto comportamenti di prevenzione e gestione tali da garantire loro di operare con un livello di sicurezza adeguato. L’ipotesi iniziale è stata quindi quella di verificare se esiste una correlazione tra l’appartenenza ad un gruppo etnico e la percezione/rappresentazione dei rischi in edilizia. Inoltre si è voluto indagare come il processo di formazione/informazione ai lavoratori fosse percepito dagli stessi e quindi individuare quale sia il sistema più efficace e più apprezzato dagli operai stranieri per effettuare il necessario processo di addestramento e di formazione. Premessa Nel settore edile le malattie professionali e gli infortuni sul lavoro rimangono un numero considerevole (n. 874.940 infortuni nel 2008 di cui 1.120 mortali); le cause sono molteplici e particolarmente difficili da prevenire e da rimuovere. Le difficoltà potrebbero ricercarsi nelle caratteristiche stesse di questo settore. L’ambiente lavorativo in edilizia è infatti spesso non “standardizzabile” e le situazioni che si possono presentare sono quindi varie e difficilmente prevenibili: si pensi per esempio al fatto che i cantieri edili sono tutti diversi tra loro e in questi vi lavorano contemporaneamente più imprese le cui squadre di operai possono trovarsi a lavorare senza conoscersi tra loro. Inoltre: 1. La temperatura degli ambienti è difficilmente controllabile (es. lavorazione all’aperto); 2. Vi è la concreta possibilità di esposizione a fattori di rischio fisico e chimico (molto variabili); 47


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3. Spesso vi è la presenza di operai, definibili “jolly” o lavoratori con diverse competenze ; 4. Provvisorietà logistica (lavoratori in nero, lavori in subappalto); 5. Estrema diversificazione dei lavori finiti. Tutte le considerazioni elencate contribuiscono a spiegare l’alto numero di incidenti in ambiente edile. Ma a queste considerazioni va aggiunta un’altra variabile: in edilizia è particolarmente elevato l’impiego di lavoratori stranieri con lingue e culture diverse. Dai dati precedentemente presentati emerge che nonostante gli infortuni sul lavoro siano in diminuzione nella popolazione generale, così non è se si considerano solamente i lavoratori stranieri. Per questi, infatti, la percentuale degli infortuni tende ad aumentare rispetto agli italiani, per i quali invece tende a diminuire. Sarebbe superficiale spiegare questa differenza dicendo che i lavoratori stranieri si prestano a fare lavori più pericolosi rispetto ai lavoratori italiani, infatti in tal caso, a rigor di logica, si dovrebbe mantenere una differenza costante tra gli infortuni occorsi agli italiani e quelli occorsi agli stranieri. Evidentemente negli italiani le misure di prevenzione stanno funzionando. Così non è invece per gli stranieri. In base al D. Lgs. n. 81 del 9/4/2008 e D. Lgs. n 106/2009 (T.U. sulla sicurezza sul lavoro) “il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza …”. (art. 37) quindi dobbiamo presupporre che tutti i lavoratori ricevono la stessa formazione in materia di salute e sicurezza. A parità di formazione, abbiamo un aumento dell’incidenza di infortuni sul lavoro per gli stranieri. È quindi possibile ipotizzare che esista un fattore capace in qualche modo di influire su questo dato. Molti autori hanno infatti ipotizzato che un fattore in grado di influenzare il rischio di infortuni e/o malattie professionali sia la percezione, da parte dei lavoratori, di ciò che in ambito lavorativo possa risultare pericoloso (Arbuthnot, 1977; Laurence, 1974; Preston, 1983, Rundmo, 1992; Stewart-Taylor and Cherries, 1998). A tale proposito, nell’analisi degli incidenti, il fattore umano è stato da taluni considerato una componente importante dell’evento verificatosi oppure, addirittura, la causa di un incidente è stata attribuita alla persona che lo aveva subito. Questa concezione, più diffusa negli anni ‘70, è stata messa in discussione da vari Autori, ed attualmente è considerata superata. 48


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Tuttavia, i fattori in grado di influenzare il rischio di infortuni restano noti solo in parte. Per questo motivo secondo Dekker, risulta di particolare interesse indagarli, e studiare anche i fattori che tendono ad impedire la messa in atto di comportamenti lavorativi volti a garantire il rispetto delle norme di sicurezza. In questo ambito un ruolo molto importante sembrerebbe essere giocato da una “corretta” percezione del rischio occupazionale, considerata presupposto essenziale per l’assunzione da parte dei lavoratori di adeguati comportamenti di autotutela, intesi come funzione dell’anticipazione di conseguenze negative derivanti dall’esposizione ad un determinato fattore di rischio e del desiderio di minimizzare tale outcome. Un simile presupposto risulterebbe molto rilevante al fine di implementare attività di prevenzione volte al controllo dei possibili rischi caratterizzanti i differenti settori aziendali. Ad oggi, tuttavia, si ritiene siano stati condotti ben pochi studi scientifici incentrati sull’analisi della relazione tra la percezione del rischio in ambito occupazionale e l’incidenza di infortuni e/o malattie professionali. Tra i lavori interessanti condotti che hanno contribuito all’analisi sopradetta troviamo: - “A qualitative investigation of Hispanic construction worker perspectives on factors impacting worksite safety and risk” – Cora Roelofs, Linda Sprague-Martinez, Maria Brunette, Lenore Azaroff, 2011. L’indagine qualitativa condotta sui lavoratori edili spagnoli indaga sui fattori che influiscono sulla sicurezza nei cantieri ed il rischio associato. Lo studio nasce partendo dal dato che la percentuale di infortuni e morti sul lavoro nella popolazione dei lavoratori edili spagnoli è più alto che in altre etnie. È stato ipotizzato che le barriere linguistiche e le differenze culturali siano alla base del dato. - “Knowledge’s assessment of safe behaviour among building workers” - D. Cattani, M. Avosani, D. Camerino “, 2008. Lo studio parte dalla considerazione che i fattori psicosociali vengono spesso sottovalutati e non considerati nonostante l’ergonomia e le leggi vigenti ne confermino l’importanza per la gestione della sicurezza sui posti di lavoro. Scopo di questo studio è stato la creazione di un formulario utile ai Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione per indagare i 49


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fattori psicosociali all’interno dei gruppi di lavoro presenti nei cantieri edili. L’analisi dei risultati ottenuti dallo studio ha portato alla formulazione di proposte di miglioramento della sicurezza nei cantieri visitati quali ad esempio migliorare la formazione e la comunicazione all’interno dei gruppi di lavoro. Il fine di questo studio è anche quello di costituire un nuovo punto di partenza per lo sviluppo di contenuti e strategie innovative atte a promuovere una educazione e formazione consapevoli del lavoratore, perché acquisisca una piena coscienza del rischio e capacità di gestione consapevole dello stesso. È infatti la formazione del lavoratore ad avere un ruolo centrale nella prevenzione del rischio: per quanto la normativa italiana sia tra le più avanzate in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, e per quanto sulla base di essa possa un luogo di lavoro considerarsi sicuro, è la capacità di adottare comportamenti preventivi e di leggere correttamente le situazioni di rischio, nel momento in cui esse si presentano, a fornire il miglior strumento di tutela al lavoratore. Non basta infatti perseguire la sicurezza tecnologica, e sarebbe fuorviante pensare di agire sulla sicurezza comportamentale mediante divieti, procedure formali o attraverso una formazione standardizzata non calata nel reale contesto lavorativo e spersonalizzata rispetto agli operatori. Il rischio e la sua percezione Molti autori hanno ipotizzato che la percezione del rischio da parte dei lavoratori possa influenzare il rischio di infortuni o di malattie professionali. L’adozione di comportamenti di sicurezza dipende da come i rischi sono percepiti e da quanto i lavoratori sono disposti ad accettarli. Solo conoscendo gli atteggiamenti e le opinioni degli interlocutori possono essere meglio individuate le tematiche da proporre dal punto di vista informativo, oltre alle metodologie più adeguate per favorire la presa di coscienza del problema. Risulta, pertanto, necessario muoversi nella direzione di approntare modelli di informazione, formazione e addestramento che consentano di superare le difficoltà linguistiche e culturali (già diverse sono le iniziative avviate in tal senso). 50


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A tale proposito, è appena il caso di sottolineare che l’acquisizione di comportamenti sicuri passa per la modifica di atteggiamenti, che sono determinati da scale di valori sulle quali è necessario intervenire mediante strumenti che travalicano di gran lunga il semplice aspetto conoscitivo. In tale logica è irrinunciabile la messa a punto di strumenti comunicativi sufficientemente raffinati e specifici. È probabile, pertanto, che vada concertato uno sforzo consistente: trovare risorse per favorire una crescita, in particolare nei lavoratori stranieri, della consapevolezza del rischio e della cultura della sicurezza. Nel linguaggio comune le parole rischio e pericolo si intendono sinonimi: “Come circostanze, situazioni o complesso di circostanze che possono provocare un grave danno” (dizionario Zanichelli). Secondo la definizione data dall’Oms nel 2003, dove per “rischio” s’intende, di norma, “il prodotto dell’entità di un pericolo e la probabilità che l’evento pericoloso si verifichi”, il concetto di rischio è quindi strettamente collegato a quello di pericolo. La parola pericolo, infatti, indica un oggetto o un insieme di circostanze potenzialmente in grado di produrre un danno, ad esempio alla salute di una persona. Un rischio, invece, rappresenta la probabilità di subire un danno da un particolare pericolo. Dato il legame con l’idea di “probabilità”, sono stati compiuti svariati tentativi di formalizzare la definizione di rischio in termini quantitativi e univoci. Comunemente, si accetta la formula secondo cui: R=D x P dove: a. R rappresenta il rischio, b. D il danno (o gravità) dell’evento a cui il rischio è associato e c. P la probabilità che ha quest’ultimo di manifestarsi. Quindi il rischio è definito come il prodotto tra la probabilità che accada uno specifico avvenimento e la gravità delle sue possibili conseguenze, la correlazione tra frequenza e magnitudo (vedi figura 1). Accanto a questa visione, sostanzialmente tecnico-probabilistica, si affaccia anche l’importanza della valutazione soggettiva del rischio, cioè 51


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della percezione che la persona o il suo gruppo sociale di riferimento ha di un determinato pericolo.

Figura 1 - Rappresentazione grafica del rischio

Se da un lato gli esperti valutano il rischio su basi statistiche e probabilistiche, dall’ altro la gente comune lo valuta con l’esperienza e la cultura condivisa che ha una prerogativa: la difficoltà a tollerare l’incertezza sugli effetti di un determinato pericolo. Come risulta da quanto presentato, la percezione del rischio sembra essere un fenomeno complesso che varia molto da individuo a individuo ed in base al contesto, e che può essere influenzato da numerosi fattori noti in maniera solo incompleta. Dall’analisi effettuata emerge come i dati scientifici sulla percezione individuale del rischio occupazionale ed i suoi rapporti con il rischio di infortuni/malattie professionali siano largamente carenti. Al momento attuale pare non esista un accordo sulle procedure per lo studio della percezione del rischio occupazionale in gruppi di lavoratori. In conclusione, riteniamo che una indispensabile fase preliminare per un ampliamento della conoscenza in questo ambito sia la messa a punto e la condivisione di una metodologia adeguata, presupposto essenziale per la realizzazione di studi che possano essere confrontabili e di buona qualità, e soprattutto che indaghino l’effettiva relazione tra la percezione del 52


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rischio occupazionale e il rapporto (incidenza) con gli infortuni/malattie professionali. Occorre pertanto chiedersi: la percezione del rischio è un presupposto fondamentale per una prevenzione efficace? La percezione viene definita “come processo sensoriale che attiva un processo valutativo, a cui consegue un comportamento”. Negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, si è iniziato a compiere i primi studi sul tema del rischio, i risultati di tali analisi stabilirono che la valutazione dei rischi doveva essere di competenza dei tecnici, i quali si affidavano nei loro studi a stime probabilistiche. La popolazione interessata sarebbe dovuta solo essere informata nel modo più efficace possibile, in quanto se ne sottovalutavano le capacità valutative. A partire dagli anni Settanta, invece, gli studi sulla percezione del rischio si aprono all’apporto della psicologia, focalizzandosi sull’analisi delle strategie a cui gli individui ricorrono per interagire con un mondo dominato dall’incertezza. «I risultati più sicuri della ricerca sul rischio afferma l’antropologa Mary Douglas- dicono che gli individui hanno un forte ma ingiustificato senso della propria immunità soggettiva». Numerose ricerche hanno infatti rilevato che gli individui sembrano possedere una conoscenza limitata dei rischi che corrono e hanno la tendenza a sopravvalutare alcune categorie di rischi e a sottovalutarne altre. Lalonde ha evidenziato che le persone risultano generalmente ottimiste rispetto alle probabili conseguenze dei loro comportamenti; in particolare, queste sembrano propense a minimizzare le possibilità di esiti sfavorevoli, quando si tratta di svolgere attività molto familiari. Presumibilmente, la sensazione di conoscere e controllare una situazione determina la convinzione di poterla affrontare con successo e senza correre rischi. Per molte persone che si trovano ad operare quotidianamente in situazioni caratterizzate da un certo livello di rischio, la familiarità è all’origine di un senso di sicurezza (si veda, ad esempio, Guedeney and. Mendel). Se i pericoli più comuni e quotidiani vengono spesso ignorati, lo stesso si può affermare per gli eventi più rari, che si collocano all’estremo opposto su un’ipotetica scala delle probabilità. Dal punto di vista della sopravvivenza della specie, entrambe le tendenze descritte trovano una giustificazione. Da una parte, inibendo la 53


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percezione dei rischi altamente probabili legati a eventi quotidiani, e la sensazione di poter gestire una certa situazione, inoltre, permette di tenere sotto controllo lo stress, riducendone le conseguenze negative. Dall’altra parte, trascurare i pericoli meno frequenti permette di utilizzare in modo ragionevolmente adeguato le limitate risorse cognitive. Se si cercasse di tenere in considerazione allo stesso modo tutti i disastri poco probabili, l’attenzione risulterebbe troppo diffusa e determinerebbe una visione sfuocata e poco efficiente degli eventi. Secondo Douglas, inoltre, la tendenza a valutare in modo improprio la probabilità associata a diverse categorie di rischi dipende dalle caratteristiche stesse delle risorse cognitive e da una serie di fattori sociali. In particolare, Douglas nota che la capacità degli esseri umani di immagazzinare e recuperare dati (relativi ai rischi, ad esempio) dipende dall’attenzione e che quest’ultima seleziona i potenziali input sulla base della loro “rilevanza”. Segnali e pressioni sociali, tra cui l’attribuzione di valori e l’attenzione da parte dei media contribuiscono a determinare la “rilevanza” di un evento, inducendo una sopravvalutazione dei rischi che possiedono alcune caratteristiche di eccezionalità. Dalle considerazioni appena svolte conseguono posizioni diverse circa l’utilità di una specifica educazione per ridimensionare il gap tra rischi percepiti e reali. Gli studiosi che sottolineano le basi razionali, sociali e adattative di una percezione selettiva dei rischi sono inclini a dubitare che campagne di educazione, per quanto massicce, possano avere successo (Si veda ad esempio Slovic e altri). Al contrario, Green e Brown sostengono che gli individui sviluppano credenze sufficientemente accurate circa i rischi che corrono, laddove siano rese disponibili valutazioni obiettive, precise e attendibili. La fiducia nell’educazione come rimedio al gap percettivo implica che questo sia stato interpretato come risultato di una mancanza di competenze o del loro deterioramento. Gli studi sulla percezione del rischio hanno messo in luce che nella mente degli individui il concetto di rischio comprende diversi aspetti soggettivi che poco hanno a che fare con i calcoli degli esperti d’analisi decisionale. Alcune di queste regole di giudizio possono produrre distorsioni sistematiche nella valutazione del rischio. Quando le persone devono valutare i rischi, spesso non dispongono di informazioni complete su quelle fonti di rischio, non possono far ricorso a dati 54


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statistici né ad altre informazioni obiettive. Possono per lo più ricorrere a informazioni e conoscenze derivanti dalla loro esperienza talvolta da credenze. In paesi stranieri dove la cultura e la normativa della sicurezza sul lavoro sono poco sviluppate, il rischio acquisisce un significato che può essere definito come “esperienza vissuta”. Si può dire che la percezione del rischio dei profani è costruita come fatto sociale. Partendo da questo presupposto i significati assegnati al rischio non possono allora che mutare da luogo a luogo e dipendere dal contesto all’interno del quale si sono formati. Una volta percepito qualcosa il nostro cervello deve riconoscere, cioè categorizzare il percepito. Capita talvolta di vedere, capire o di non vedere. Bisogna poi decidere il da farsi, a volte anche rapidamente. Se si è ravvisato un pericolo, non sempre questo è immediato: c’è chi esita. Se si decide di intervenire, bisogna agire. E anche questa azione a volte richiede tempo.

Figura 2 - “Processo dinamico dalla percezione all’azione”

Le persone che dispongono di minori risorse materiali, ma ancor di più di quelle culturali, reagiscono all’incertezza del rischio riponendo la propria fiducia nelle opinioni di coloro che si conoscono e con i quali si condivide la cultura, dando quindi nuovamente importanza al confronto con il proprio contesto di riferimento. Le interpretazioni del rischio da parte delle persone socialmente meno forti sarebbero quindi contestualizzate, rappresentando una sorta di 55


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riflessività privata per la quale le fonti di conoscenza e i processi di valutazione personali, sarebbero quelli più importanti. La valutazione dei rischi in questi casi fa riferimento a ciò che essi ricordano di aver letto, sentito o visto su quelle fonti di rischio. Inoltre generalmente le persone giudicano un evento più probabile o più frequente quanto più facilmente immaginano o ricordano esempi di quell’evento: gli eventi più frequenti sono più facili da ricordare di quelli rari. Questo tipo di regola di giudizio che è rilevante nella percezione del rischio è detta “euristica di disponibilità”. I ricordi degli eventi possono essere influenzati da altri fattori che non sono collegati alla frequenza obiettiva degli eventi. Ad esempio un recente incidente che ha portato al cedimento di un ascensore può distorcere la percezione del rischio legato all’ utilizzo dell’ ascensore. Allo stesso modo un evento seppur frequente che non accade da molto tempo può indurre ad errori sistematici provocati dalla sottostima del fenomeno. Queste variabili possono indurre al fenomeno dell’overconfidence, cioè all’eccessiva fiducia nei propri giudizi. L’overconfidence è pericolosa in quanto essa indica che spesso non ci rendiamo conto di quanto poco conosciamo e di quanta informazione addizionale avremmo bisogno per prendere decisioni, quando esse si basano su valutazioni di fatti incerti o di rischi. L’atteggiamento nei confronti del rischio può essere influenzato anche da altri due aspetti: una tendenza naturale degli individui a ritenere di avere una qualche forma di controllo sugli esiti delle proprie scelte anche quando effettivamente non ne hanno alcuno; il modo con cui gli individui si rappresentano i problemi decisionali. Weinstein ha osservato che le persone in certe situazioni rischiose tendono a ritenere di essere relativamente vulnerabili e perciò relativamente protette dalle conseguenze di determinate condotte pericolose. Da quanto detto, la non corretta percezione del rischio (cioè l’insieme delle conoscenze, delle credenze, degli atteggiamenti) da parte dei lavoratori può indurre a decisioni errate in situazioni rischiose e può inoltre impedire che metodologie e strumenti che vengono proposti per la gestione dei rischi e degli incidenti possano essere attuate in modo efficace e sistematico all’interno delle organizzazioni lavorative. 56


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Come già esposto, il grado di percezione del rischio è una categoria di tipo prevalentemente soggettivo e per sua natura è difficilmente misurabile se considerata olisticamente nel suo insieme. Per renderla misurabile è necessario scomporla in alcune sue dimensioni di tipo oggettivo. Le conoscenze, l’esperienza acquisita, la competenza professionale, determinano il grado di percezione del rischio e la capacità di riconoscere ed affrontare in modo adeguato le situazioni rischiose. Numerosi studi sulla percezione del rischio hanno mostrato una netta differenza tra percezione soggettiva e stime di probabilità oggettiva. In particolare è stato dimostrato che c’è la tendenza da parte dei lavoratori a sottostimare il rischio di eventi con conseguenze di lieve o media gravità ma con alta probabilità di accadimento e, viceversa a sovrastimare il rischio di eventi con conseguenze molto gravi ma con bassa probabilità di accadimento. Lo scarto evidente tra stime soggettive e probabilità oggettiva di rischio è solo uno dei numerosi esempi che dimostrano come gli individui abbiano delle difficoltà a esprimere dei giudizi di rischiosità: l’uso di euristiche (scorciatoie di pensiero) e il “bias dell’ottimismo ingiustificato” (la credenza di essere meno a rischio e più immuni dai pericoli rispetto ad altre persone che si potrebbero trovare in una situazione identica), sono le maggiori cause di valutazione erronea del rischio associato a attività o situazioni particolarmente rischiose. Molti autori hanno ipotizzato che la percezione del rischio da parte dei lavoratori possa influenzare il rischio di infortuni o di malattie professionali. L’adozione di comportamenti di sicurezza dipende da come i rischi sono percepiti e da quanto i lavoratori sono disposti ad accettarli. Le tecniche di indagine utilizzate per la raccolta di informazioni per gli studi, sono state interviste individuali semistrutturate tramite questionario somministrato, questionari autosomministrati e focus group. Solo conoscendo gli atteggiamenti e le opinioni degli interlocutori possono essere meglio individuate le tematiche da proporre dal punto di vista informativo, oltre alle metodologie più adeguate per favorire la presa di coscienza del problema. Le principali variabili che sono state analizzate negli studi sulla percezione del rischio lavorativo sono state: variabili socio-demografiche (sesso, età, livello di istruzione, livello di reddito); variabili correlate al lavoro (fattori di rischio, mansione lavorativa, conoscenza del rischio, 57


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ripetitività della mansione, possibilità di controllo sul lavoro, dispositivi di protezione individuale, infortuni e malattie professionali); variabili individuali (competenza acquisita, soddisfazione al lavoro, gestibilità del rischio, accettazione del rischio, infortuni subiti, convinzioni individuali, stato di salute); variabili organizzative (cultura della sicurezza, coinvolgimento del management a vario livello, supporto da parte dei colleghi). I risultati di vari studi indicano che l’esistenza di una cultura aziendale della sicurezza è un importantissimo fattore sia per una corretta percezione del rischio occupazionale che per una migliore sicurezza effettiva del lavoro stesso. Di seguito riassumerò alcune delle conclusioni alle quali gli autori di studi sono giunti sulla percezione del rischio in base alle variabili analizzate:  Età (adolescenti 15-18 anni): tendono a sottostimare la gravità delle conseguenze dei comportamenti a rischio, a presentare una minore capacità ad evitare tali comportamenti e sono più propensi ad adottare comportamenti devianti quali l’uso di tabacco, l’assunzione di alcool e droga e le cattive abitudini alimentari oppure comportamenti estremi (guida pericolosa, forte velocità, non accettazione delle regole).  Sesso: variazione della percezione del rischio tra uomini e donne. Percezione femminile bassa.  Livello di istruzione: differente definizione di rischio sulla base del livello di educazione. Rischio considerato come probabilità di un evento (liv. intermedio di educazione), conseguenze di un evento (educazione maggiore e minore), combinazione di probabilità e conseguenze per alti livelli di educazione.  Stato di salute: cattive condizioni di salute determinano una bassa percezione dei rischi.  Conoscenza del rischio: relazione inversa tra conoscenza di un rischio lavorativo e il livello di rischio percepito, in particolare, ad es. ambito nucleare.  Possibilità di controllo del lavoro: relazione inversa tra possibilità di controllo del lavoro (tipo, modalità di esecuzione, pause, ritmo di lavoro) e percezione del rischio. 58


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 Esperienza/anzianità: una maggiore esperienza lavorativa comporta una maggiore conoscenza dei pericoli e quindi una maggiore sicurezza di fronte ai possibili rischi, con conseguente bassa percezione del rischio.  Atteggiamento: ipotesi associativa causale tra percezione del rischio e atteggiamento/comportamento in ambito lavorativo, con conseguente esposizione ai pericoli, sebbene non sia stata data nessuna dimostrazione della associazione diretta tra percezione del rischio ed esposizione.  Esperienze personali di infortuni: la percezione del rischio occupazionale risulta essere più bassa per coloro che hanno subito un infortunio.  Esposizione a fattori di rischi: si ritiene che i lavoratori esposti a molti rischi abbiano una percezione più elevata.  Reddito e Condizione di salute: correlazione positiva (Snyder K., 2004.).  Impegno della direzione aziendale nell’ambito della sicurezza aziendale: correlazione positiva (O’Toole M., 2002).  Mansioni diverse: (mansioni amministrative) percezione del rischio minore (Flin R. e al. 1996).  Consapevolezza del rischio: i lavoratori con più bassa percezione del rischio sembrano essere più propensi ad utilizzare strumenti di sicurezza per la rimozione dell’amianto.  Anzianità lavorativa: la percezione del rischio è direttamente influenzata dall’esperienza professionale maturata nella mansione specifica.  Formazione sulle procedure di sicurezza: aumenta la capacità di controllare i rischi e diminuzione percezione del rischio.  Lavoratori stranieri: le difficoltà linguistiche e la cultura di origine dei lavoratori stranieri incidono prevalentemente nella fase di inserimento lavorativo o nelle condizioni di precariato, poi si attenuano e prevale un bisogno di formazione continua (ricerca promossa dall’Ires (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali) e dall’INCA sulla “Percezione dei rischi e politiche di tutela nel lavoro post-fordista”).  Lavoratori interinali: tendono generalmente a sottostimare il rischio rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato. A preoccuparli maggiormente è il mantenimento del posto di lavoro. 59


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Una corretta percezione dei rischi, sia in termini qualitativi che quantitativi, si può dunque considerare un prerequisito affinché le persone mettano in atto comportamenti di prevenzione e gestione tali da garantire loro di operare con un livello di sicurezza adeguato. Lo studio e l’analisi avevano quindi lo scopo di verificare se esiste una correlazione tra l’appartenenza ad un gruppo etnico e la percezione/rappresentazione dei rischi in edilizia (ipotesi) e indagare su come il processo di formazione/formazione ai lavoratori sia percepito dagli stessi ed inoltre individuare quale sia il sistema più efficace e più apprezzato dai lavoratori stranieri per effettuare il necessario processo di formazione e di addestramento. Materiali e metodi Per valutare in maniera sistematica e rigorosa le ipotesi sopra esposte è stata condotta una ricerca di tipo “osservazionale” adottando due strumenti d’indagine:  uno specifico questionario somministrato sotto la guida di un tutor, appositamente studiato da un’equipe multiprofessionale, e  una sequenza di 30 fotografie proponenti casi reali di situazioni di cantiere, alle quali attribuire un punteggio quantitativo di rischio su una scala tipo Likert, e poi, sottoposte in un secondo momento, per ottenere un giudizio qualitativo dei rischi e dei danni riconosciuti. Le domande erano state formulate appositamente di tipo “chiuso” al fine di renderlo più omogeneo e di limitare le possibili casistiche da elaborare. Le variabili considerate erano di tipo socio-demografiche (età, scolarità, condizioni di vita…), altre inerenti l’atteggiamento del soggetto nei confronti del lavoro svolto (“hai avuto incidenti sul lavoro?”, “mentre fai un lavoro pericoloso, pensi che potresti farti male in modo grave?”, …) e altre inerenti al rischio lavorativo (“se si rispettano le regole, si possono evitare gli infortuni sul lavoro?”, “pensi che quando lavori in fretta, il rischio di farti male aumenti ?” …). I due strumenti d’indagine sono stati somministrati ai lavoratori coinvolti nello studio sotto la guida e la direzione di un tutor, presso due istituti di formazione edili. 60


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Si tratta di una ricerca che, nell’arco di oltre due anni, ha visto il coinvolgimento di circa 500 lavoratori edili (220 italiani e 270 stranieri), di 52 operatori esperti che effettuano attività di controllo e vigilanza sull’applicazione della normativa di riferimento (tecnici della prevenzione), quale gruppo di controllo, e la collaborazione di due scuole edili del nord Italia. I lavoratori stranieri maggiormente rappresentati appartenevano alle seguenti etnie: rumena, marocchina, tunisina, albanese e pakistana. L’elaborazione statistica dei dati raccolti ha poi consentito di far emergere le situazioni più significative sulle quali verificare le ipotesi circa la percezione e rappresentazione dei rischi delle diverse etnie controllate. Risultati Le risposte ottenute sono state in prima analisi suddivise per macrogruppo di appartenenza (Italiani, Stranieri e gruppo di controllo) ed i risultati dell’elaborazione sono stati confrontati tra loro. Si sono ricercate le differenze statisticamente significative (p< 0,05) e su queste sono state formulate le ipotesi oggetto della presente ricerca. In seconda battuta si è poi scorporato il macrogruppo degli stranieri per arrivare a individuare le differenze statisticamente significative (p<0,05) tra le cinque etnie considerate ed i gruppi italiano e di controllo. Dall’analisi statistica dei dati si è potuto verificare che la transculturalità costituisce effettivamente un aspetto significativo da considerare rispetto alla percezione e rappresentazione dei rischi. Infatti sia l’analisi per macrogruppo che per etnia ha fornito diverse situazioni, con differenti valutazioni dei pericoli e delle modalità di prevenzione e di protezione da adottare. La cultura di appartenenza può giocare un ruolo molto importante nel percepire il rischio e nell’adottare comportamenti cautelativi o imprudenti. Si evidenzia chiaramente il fatto che, rispetto al comportamento da adottare di fronte ad una situazione di rischio, non sono ritenuti corretti né comportamenti troppo prudenziali né eccessivamente incauti. Rimane però ancora da dimostrare che ad una corretta percezione dei rischi corrisponda una effettiva diminuzione dell’incidenza infortunistica. 61


Q3, 2012 AiFOS – La percezione del rischio in diverse nazionalità

Spesso comportamenti e atteggiamenti che possono mettere a repentaglio la propria salute e quella degli altri lavoratori sono strettamente connessi a dinamiche che hanno origine da variabili di natura personale, organizzativa, gruppale e culturale. In particolare dall’elaborazione statistica dei dati ottenuti si sono evidenziate differenze notevoli tra i lavoratori stranieri e quelli italiani in relazione a: a) Stima di pericolo del proprio lavoro; b) Comprensione dei rischi; c) Preferenza ad impiegare attrezzature sicure rispetto a DPI; d) Sottovalutazione dei rischi in particolare di tipo igienistico; e) Il fattore fretta come elemento di pericolo; f) La stanchezza come fattore di rischio; g) La paura di perdere il proprio lavoro; h) Le differenti modalità di formazione ritenute efficaci. Da questo studio si evincono inoltre possibili soluzioni formative da applicare alle diverse situazioni di rischio, da adottare in funzione delle peculiarità emerse dall’analisi dei vari gruppi etnici, al fine di migliorare la giusta percezione dei rischi (“realismo”), per arrivare ad una necessaria consapevolezza per la gestione corretta degli stessi. Infatti, caratteristica di tutti i gruppi stranieri indagati è quella di preferire un tipo di formazione erogata direttamente dal proprio caposquadra e/o capocantiere. Si è quindi pensato ad una “formazione per formatori”, elaborando un modulo formativo specifico per contenuti e modalità proprio per i capocantiere ed i caposquadra. Il workshop rappresenta la metodologia ideale per condurre un’esplorazione in profondità su un problema, grazie allo scambio di punti di vista, di interazioni e condivisione che si crea tra i partecipanti. Da questo lavoro scaturiscono le decisioni più adatte da adottare in cantiere e che proprio i capocantiere e i caposquadra debbono poi far ricadere sui lavoratori, direttamente sul campo. Tale formula non è alternativa alla formazione in aula, ma deve intendersi complementare alla stessa: si avrebbe così modo di effettuare una formazione di primo livello ed una di secondo livello.

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Fabrizio De Pasquale

Sintesi dei principali risultati ottenuti:

CAMPIONE ANALIZZATO Caratteristiche

Stranieri

ETA’ MEDIA

34,65 (19-61)

SCOLARITA’

43,9% primarie 50,4% superiori 5,7% università

ANNI DI ATTIVITA’ IN EDILIZIA

14,6% meno di 1 43,1% 1-5 anni 26,8% 6-10 anni 15,4% più di 10 anni

MANSIONE

30,6% manovale 33,9% muratore 4,0% carpentiere 31,5% altro

La categoria “altro” comprende: lattoniere, pontista, idraulico, piastrellista, ecc.)

INFORTUNI SUL LAVORO

Hai avuto infortuni sul lavoro?

50% 40% 30% 20%

29%

48%

10% 0% Italiani

Stranieri

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Q3, 2012 AiFOS – La percezione del rischio in diverse nazionalità

QUESTIONARIO differenze significative (p<0,05) tra italiani e stranieri si

no

ITALIANO

79%

21%

STRANIERO

63%

37%

Mentre fai un lavoro pericoloso, pensi che potresti farti male in modo grave?

si

no

ITALIANO

55%

42%

STRANIERO

39%

59%

Pensi che i lavoratori italiani stiano più attenti a non farsi male rispetto agli stranieri?

si

no

ITALIANO

83%

17%

STRANIERO

58%

42%

Pensi che il tuo lavoro sia pericoloso?

SCENARI LAVORATIVI E GIUDIZIO DI PERICOLOSITA’ PERICOLOSITA’

analisi … all’ANOVA è risultata una differenza significativa nel giudizio complessivo di rischio espresso dalle etnie considerate (p=0,049) rispetto ai controlli.

30 casi (su 133) di foto proposte ai vari gruppi etnici complessivamente sono stati valutati differentemente in maniera statisticamente significativa p<0,05

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Fabrizio De Pasquale

COMUNICAZIONE DEI RISCHI In che modo preferisci che ti dicano i rischi del tuo lavoro e come devi fare per evitarli

a voce dal capo

con testo scritto

lezione

ITALIANO

36%

8%

43%

STRANIERO

62%

9%

16%

In che modo preferisci che ti dicano i rischi del tuo lavoro e come devi fare per evitarli? 70% 60%

Non risponde

a voce dal capo

con un testo scritto

con una lezione

p<0,05 62%

50% 40%

43% 36%

30% 20% 10%

13%

8%

13%

16% 9%

0% Italiani

Stranieri

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Q3, 2012 AiFOS – Formazione, sfide didattiche e diritti di cittadinanza

Formazione alla sicurezza sul lavoro e lavoratori immigrati: sfide didattiche e diritti di cittadinanza di Federica Zanetti 1

I cambiamenti dell’economia e del mercato globale ripropongono, sempre più drammaticamente, il tema dei diritti individuali e collettivi dei lavoratori. A fronte di una crescente competizione e di un sistema che mostra sempre maggiori difficoltà nel mantenere e rispettare la loro dignità e la loro sicurezza, diventa quanto mai urgente promuovere processi di formazione e di ricerca finalizzati alla difesa dei diritti e alla consapevolezza dei rischi. In tale contesto economico e lavorativo il settore delle costruzioni si presenta come uno degli ambiti di maggiori proporzioni e caratterizzato da una frequenza infortunistica elevata. A livello mondiale, secondo l’OIL, Organizzazione Internazionale del Lavoro, ogni anno 250 milioni di persone sono vittime di infortuni sul lavoro 2; sempre secondo queste stime, sono almeno 60.000 gli infortuni mortali nel settore delle costruzioni. Ogni anno si verificano in Italia oltre 1.000.000 di incidenti sul lavoro con conseguenze che provocano quasi 25.000 invalidità permanenti e più di 1.200 morti. Nonostante i moltissimi sforzi fatti negli ultimi decenni da parte di organi di vigilanza, sindacati, imprese, tecnici per la riduzione degli infortuni e i significativi risultati ottenuti, il mondo dell’edilizia può essere considerato il campo d’azione con la quota più elevata di infortuni e gli addetti del settore, perciò, corrono quotidianamente maggiori rischi

1

Ricercatrice in Didattica e Pedagogia Speciale presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università di Bologna. Tra i principali filoni di ricerca: nuove tecnologie e ambienti educativi inclusivi, educazione alla cittadinanza (dall’approccio interculturale, al genere, fino alla cittadinanza digitale e attiva), linguaggi artistici e creativi per la prevenzione e l’innovazione sociale. 2 Si veda il portale del CPTO Comitato Paritetico Territoriale Operativo www.cpto.it.

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Federica Zanetti

rispetto ai lavoratori impiegati in altri ambiti 3. In generale, il settore delle costruzioni si distingue ulteriormente per la gravità degli incidenti che si verificano: i casi più gravi comportano conseguenze permanenti per la vittima, oppure il decesso della stessa 4. L’Inail, nel Rapporto Annuale del 2011, ha evidenziato un calo degli infortuni sul lavoro denunciati: 725mila, rispetto ai 776mila del 2010, il 15% sono stranieri. In queste cifre non rientrano però gli infortuni relativi ai quasi 3 milioni (secondo i dati Istat) di lavoratori in nero, tra i quali l’Istituto stima che nel 2010 (ultima proiezione disponibile) ne siano accaduti circa 164mila. Con riferimento a questi dati, la Cisl internazionale commenta: “Scarse condizioni di salute e sicurezza e condizioni insostenibili nel lavoro continuano ad uccidere anche nei tempi moderni. Allo stesso tempo i governi non solo stanno tornando indietro rispetto agli standard di sicurezza ma consentono anche che datori di lavoro senza scrupoli mettano in costante rischio le vite dei lavoratori” 5. La sicurezza dei lavoratori infatti diminuisce con la precarizzazione e le irregolarità del rapporto di lavoro, e dall’esigenza di ridurre i costi di produzione sempre più legati all’esasperazione della concorrenza del mercato. Questi aspetti diventano particolarmente incisivi se si considerano le percentuali dei lavoratori immigrati, prevalentemente occupati in settori particolarmente rischiosi (edilizia, industria pesante, agricoltura), caratterizzati da attività manuale, con lunghi turni di lavoro e tendenzialmente un’inadeguata formazione professionale: 120.135 sono gli infortuni occorsi a lavoratori stranieri, il 15,5% del totale, di cui il 94,4% nel settore dell’industria e dei servizi. Il settore più colpito, anche in questo caso, è quello delle Costruzioni, il 12,5% del complesso delle denunce; il settore, caratterizzato da un’elevata rischiosità, risulta primo anche per numero di decessi (32 casi).

3

Dai dati Inail aggiornati a luglio 2011, la distribuzione degli infortuni nel settore delle costruzioni è rappresentata da una percentuale particolarmente elevata per quanto riguarda l’edilizia 57,5% e installazione, manutenzione e rimozione impianti 26,9%. 4 Si veda il Rapporto Annuale 2011dell’Inail. 5 Tratto dal Dossier Infortuni sul lavoro, elaborato da Anim, Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi Civili, 13 luglio 2012 e consultabile sul portale dell’orientamento al lavoro Jobtel www.jobtel.it

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Q3, 2012 AiFOS – Formazione, sfide didattiche e diritti di cittadinanza

Romania, Marocco e Albania nell’ordine sono le comunità che ogni anno denunciano il maggior numero di infortuni sul lavoro, totalizzandone circa il 40% 6. Se da un lato si possono imputare, tra le cause principali del fenomeno, aspetti che riguardano il contesto lavorativo, dalle inadempienze da parte della aziende, alla disattenzione dei lavoratori, fino all’esclusione dei dispositivi di sicurezza allo scopo di aumentare i ritmi di lavoro e quindi la produttività, senza tralasciare tutte le problematiche inerenti il lavoro nero e gli appalti, vecchie forme di sfruttamento della manodopera che hanno tuttora una posizione centrale tra le cause all’origine degli infortuni e delle malattie professionali; dall’altro occorre considerare l’assenza o l’inadeguatezza della cultura della prevenzione dei rischi, considerati come inevitabili e connaturati all’attività lavorativa 7. È proprio la cultura della prevenzione che restituisce al lavoro il riconoscimento delle sue molteplici funzioni: esso è per ogni persona, allo stesso tempo, reddito, possibilità di partecipazione economica e sociale, di realizzazione personale e familiare, di indipendenza e investimento nel futuro. L’attività formativa per la sicurezza, secondo questo approccio, viene vista come uno strumento che non solo promuove e divulga la cultura della tutela delle norme e l’importanza della prevenzione, ma rappresenta anche un indispensabile momento di condivisione di saperi, di investimento in conoscenza e di innovazione. Le attività di vigilanza e le sanzioni, pur essendo necessarie, non sono sufficienti; vanno accompagnate, o meglio precedute, da un’intensa attività di sensibilizzazione e di informazione, di formazione e di scaffolding, con l’intento di promuovere una cultura della salute sul lavoro; di favorire un clima partecipativo in cui tutti, lavoratori e Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, si facciano carico della propria parte di responsabilità e collaborino al raggiungimento di un obiettivo comune. Nel caso della formazione degli adulti alla sicurezza, con una particolare attenzione ai lavoratori immigrati, è evidente la necessità di 6

Si veda il Rapporto Annuale 2011dell’Inail. Cfr. Dossier Infortuni sul lavoro, elaborato da Anim, Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi Civili, 13 luglio 2012 e consultabile sul portale dell’orientamento al lavoro Jobtel www.jobtel.it. 7

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Federica Zanetti

attivare dei processi formativi che prestino particolare attenzione ad una didattica per adulti, basata sul coinvolgimento dei soggetti e sul rispetto e riconoscimento delle diversità dei lavoratori, avvalendosi di metodologie attive e collaborative; a degli apprendimenti che passano attraverso una pluralità di linguaggi simbolici e multimediali, superando i limiti della semplice distribuzione ai lavoratori di manuali sul tema. I lavoratori immigrati, nello specifico, vivono percorsi di vita discontinui, legati a cambiamenti molto forti determinati dallo sradicamento dal paese d’origine e dal tentativo di trovare una nuova cittadinanza all’interno di nuovi contesti sociali; quindi si parla di una didattica che si rivolge innanzi tutto a degli adulti, ma anche giovani, che presta attenzione al riconoscimento delle diversità dei lavoratori, delle loro esperienze, del background di appartenenza. In questi percorsi le scelte didattiche, perché siano efficaci, dovrebbero optare per mediatori e metodologie in grado di: - riprodurre, simulare, a diversi livelli, con un elevato livello di immersività, l’esperienza di lavoro e le situazioni di pericolo, concentrandosi sulla percezione del rischio; - favorire un utilizzo immediato, semplice del materiale didattico da parte del discente, e flessibile, adattabile a tutte le tematiche della sicurezza, all’evolversi delle stesse nel tempo; - garantire percorsi innovativi e con un livello di attrattività, con utilizzo di diversi mezzi di comunicazione, diversi linguaggi simbolici e multimediali che si possano avvicinare all’esperienza e al contesto culturale dei discenti, spesso con una scarsa conoscenza della lingua italiana. La progettazione di questi percorsi formativi, oltre a rispondere alle esigenze urgenti nell’ambito della prevenzione, diventa una possibilità di cambiamento sia nei comportamenti sia nella cultura del lavoro, in modo particolare su tre livelli: - conoscenza degli argomenti, delle nozioni, delle regole e della loro applicazione relativi alla sicurezza. Tali conoscenze incidono sulla probabilità che questi soggetti vengano coinvolti in casi di infortunio, poiché gli operai che provengono da realtà e culture lavorative diverse e che non conoscono perfettamente la mansione assegnata, ignorano molte pratiche per la sicurezza che vengono riconosciute valide nel Paese dove 69


Q3, 2012 AiFOS – Formazione, sfide didattiche e diritti di cittadinanza

si realizza l’inserimento lavorativo o che, nel Paese di provenienza, vengono applicate in modo diverso; - riflessività sui propri comportamenti, sia sulla propria esperienza e le proprie reazioni, sia sull’osservazione di quelle altrui. Questo consente di superare il mero assolvimento, a livello burocratico, dell’obbligo formativo previsto dalla legge, attribuendo significati ad un’esperienza d’apprendimento che diventa possibilità di cambiamento per il lavoratore, che si può realizzare durante tutta la vita e in una pluralità di situazioni; - possibilità di sperimentare nuove pratiche, simulando situazioni in grado di mantenere alto il livello di attenzione e di curiosità dei soggetti, superando le resistenze o le difficoltà nella fruizione di contenuti che possono apparire, spesso, troppo generici o lontani dall’interesse dei lavoratori. Si fa riferimento, ad esempio, ai programmi televisivi sulla sicurezza come “Edilizia Sicura”, realizzato dal CPTO di Bologna 8, oppure filmati educativi dove vengono utilizzate immagini e scene doppiate in più lingue, per poter essere comprese da tutti i lavoratori compresi quelli provenienti da altri paesi. Sono strumenti, quelli descritti, in grado di trasmettere le pratiche da seguire per lavorare in sicurezza attraverso un registro narrativo diverso. In questo modo, la formazione diventa un mezzo capace di diffondere e incentivare, in tutta la collettività, la convinzione che lavorare in sicurezza non sia soltanto una questione di adempimento di norme e un diritto di cui esigere il dovuto rispetto in ogni ambiente di lavoro, ma è un dovere che ciascuno di noi ha nei confronti di se stesso e della comunità in cui vive. In questo terzo aspetto, legato alle pratiche, si cerca di fare emergere anche il tipo di immaginario culturale condiviso, spesso influenzato da modelli comportamentali sbagliati trasmessi dalla cultura d’appartenenza (talvolta riconducibili anche ad atteggiamenti “macisti”) che inducono alcuni lavoratori a considerare le buone pratiche per lavorare in sicurezza come azioni che sviliscono l’individuo. Ritornando al rapporto tra formazione alla sicurezza e immigrati, partendo dai numerosi casi di infortuni occorsi a questa categoria di lavoratori, si evidenzia la necessità di un approccio al tema che non deve 8

Si veda il portale del CPTO Comitato Paritetico Territoriale Operativo www.cpto.it/Edilizia+Sicura.

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Federica Zanetti

essere solo di tipo tecnico e legislativo, ma che scommette sulla qualità di un obbligo formativo inteso come capacità di aumentare la qualità del lavoro partendo dalle esigenze e dalle diversità dei lavoratori. Vengono riconosciute così, a questi nuovi percorsi, grandi potenzialità non solo per il miglioramento e per l’acquisizione di nuove informazioni finalizzate a contenuti specifici; ma anche all’interno di un processo che può avere una ricaduta sulla cultura collettiva, che restituisce ai lavoratori la dignità al lavoro e il diritto di cittadinanza.

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Q3, 2012 AiFOS – Alfabetizzazione e inclusione sociale

Alfabetizzazione dei lavoratori stranieri per l’inclusione sociale nell’occupazione di Chiara Delfini 1

Competenze di lingua italiana: uno strumento di integrazione Il mondo del lavoro italiano accoglie da anni lavoratori provenienti da molti paesi europei o extra europei che non conoscono la lingua italiana. Il deficit linguistico, oltre che rallentare l’integrazione dinamica delle singole persone nel tessuto economico, sociale e culturale, pregiudica la possibilità in azienda di capire i compiti assegnati o i discorsi tra colleghi, può impedire di fare domande, segnalare un pericolo o accorgersi tramite segnali verbali dell’avviso di un potenziale pericolo. Dall’altra parte anche l’azienda vive il deficit comunicativo come impossibilità di ottenere uno scambio di informazioni e istruzioni efficace per puntare al miglioramento della qualità produttiva e del benessere organizzativo. Nel lavoro, come in tutte le attività sociali, comunicare è la base per la relazione con l’altro. Perché questo accada serve un linguaggio comune, un insieme di segni e significati condivisi che permetta un interscambio di messaggi. Ancora più pressante è oggi questa necessità al lavoro, spazio in cui l’essere umano trascorre molto tempo e deve interagire in situazioni complesse, anche potenzialmente pericolose. Saper dare corrette informazioni o comprendere i sensi dei gesti e delle parole può fare la differenza tra l’agire in sicurezza e praticare un’azione imprudente per sé o per gli altri.

1

Responsabile progettazione, certificazione di competenze e coordinamento di interventi formativi, comunicazione aziendale e selezione del personale per l’Azienda Speciale della Provincia di Mantova Formazione Mantova - For.Ma..

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Chiara Delfini

L’Istat a maggio 2012 dichiara che gli stranieri residenti sono 3 milioni 770mila originari principalmente di cinque paesi: Romania, Albania, Marocco, Cina e Ucraina. Le forze di lavoro straniere rappresentano il 9,4% del totale. Questi dati non si possono trascurare, se si immagina che più di 9 lavoratori su 100 possono non avere dimestichezza con il linguaggio italiano base per le comunicazioni più semplici ed anche con il lessico tecnico/specialistico dell’ambito della sicurezza e della prevenzione infortuni. Non è possibile senza strumenti linguistici attivare la comprensione e le competenze per una cultura della sicurezza in azienda. Essa considera il rischio come frutto di una complessa opera di costruzione sociale in cui si combinano elementi culturali e politici nei quali è riconoscibile, sia l’influenza e l’opera delle istituzioni, sia la valutazione individuale. L’aspetto normativo dell’alfabetizzazione in azienda La normativa italiana ed europea punta a sviluppare una cultura aziendale che promuove l’alfabetizzazione italiana all’interno dell’impresa, come fattore che migliora la sicurezza, la salute dei lavoratori e la sensibilizzazione sul tema. La formazione e l’addestramento in materia di sicurezza 2 e tutela della salute sono già oggi parte integrante del sistema di prevenzione rischi aziendale. Il D. Lgs. 81/2008 richiede l’acquisizione di conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro con gli artt. 36 e 37. La prevenzione contro gli infortuni e l’educazione alla sicurezza sono possibili solo attraverso l’addestramento, la formazione, l’informazione e la sensibilizzazione dei lavoratori, come previsto dal D. Lgs. n. 81/08 3. Gli articoli specificano che i contenuti dell’informazione e della 2 Cultura della sicurezza: ci riferiamo a un tratto che impronta il funzionamento complessivo del sistema ed è caratterizzato da un insieme di credenze, norme, atteggiamenti e pratiche, sia sociali che tecniche, indirizzate (o non indirizzate) a minimizzare l’esposizione di addetti, dirigenti, clienti e membri della collettività a condizioni considerate come pericolose o calamitose (Turner, 1992). 3 D. Lgs. n. 81/08 - Art. 36. Informazione ai lavoratori. Comma 4. Il contenuto della informazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le relative conoscenze. Ove la informazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione della lingua utilizzata nel percorso informativo. Art. 37. Formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti Comma 13. Il contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ove la formazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo.

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Q3, 2012 AiFOS – Alfabetizzazione e inclusione sociale

formazione devono essere comprensibili per i lavoratori e consentire loro di poterli impiegare nel contesto di lavoro. Più che trascrivere le norme e i comportamenti nelle lingue d’origine, risulta determinante poter comunicare nella lingua d’arrivo, la lingua italiana. Incentivare la cultura della sicurezza obbliga prima di tutto a creare le condizioni per entrare in possesso del codice comunicativo: la lingua italiana e la cultura linguistica italiana verbale, iconica e gestuale. Curare questo aspetto del personale in azienda migliora la cultura organizzativa, ma anche il bagaglio culturale generale dell’individuo, contribuendo a renderlo un cittadino più consapevole, attento e di conseguenza, più disponibile a relazionarsi con gli altri. Conoscere la lingua italiana crea le condizioni per uno spazio interattivo condiviso, base necessaria per fondare l’interscambio corretto tra lavoratori e organizzare l’educazione alla sicurezza e alla salute sul luogo di lavoro che richiede consapevolezza e abilità specifiche. Le ragioni dell’alfabetizzazione in azienda La sfida dell’alfabetizzazione risulta tanto più importante se si pensa che gli stranieri arrivano portando con sé differenti concezioni del mondo esterno/interno e un bagaglio socio-culturale connaturato alle norme sociali, alla lingua ed ai valori di provenienza. La sensibilità dell’azienda e dell’organizzazione nel creare uno spazio relazionale può iniziare dall’alfabetizzazione in lingua italiana. Durante le lezioni si crea uno scambio di punti di vista e la possibilità per il cittadino straniero di avere voce per esprimere le proprie credenze, comprendere le norme e le regole del mondo del lavoro italiano. Conoscere il dipendente è importante se si pensa che la cultura di provenienza potrebbe incidere sulla differente soglia di accettabilità del rischio e di riflesso sul concetto di benessere psicofisico. In questo senso l’educazione alla salute e alla sicurezza deve tener conto della differente percezione del rischio nelle diverse culture, influenzata dalla proiezione dei valori socio-culturali positivi e negativi. La fase dell’alfabetizzazione contribuisce a fare emergere questi aspetti e parlando la stessa lingua, orientarli verso comportamenti aziendali virtuosi. La prevenzione, il contenimento del disagio, la promozione delle situazioni di benessere saranno possibili quando il codice linguistico diventa un’abilità del lavoratore. Lo scambio comunicativo andrà a buon 74


Chiara Delfini

fine se il messaggio sarà prodotto intenzionalmente dal parlante e riconosciuto intenzionalmente dal destinatario 4; conoscere l’italiano permetterà a chi lo padroneggia di intervenire nelle situazioni e farsi capire, reagire agli stimoli verbali e non verbali intorno a sé. Grazie al potenziamento delle competenze linguistiche, l’azienda saprà fino a che punto il dipendente ha assorbito le informazioni necessarie al lavoro in sicurezza per tutelate se stesso e i colleghi. Appare evidente quanto l’apprendimento dell’Italiano sia funzionale ai bisogni lavorativi e sociali del cittadino migrante e dell’azienda: il deficit linguistico pregiudica la possibilità di cogliere informazioni importanti che potrebbero migliorare il benessere psicofisico del migrante stesso. Imparare la lingua apre alla possibilità di affrontare in modo adeguato il mondo del lavoro, capire ed essere capito, potersi esprimere e rispondere in modo non strumentale, ma come persone consapevoli dell’importanza di regole e norme, indicazioni e divieti, soprattutto nei settori complessi del mondo del lavoro. “Ciò implica che imparare una nuova lingua significa imparare anche un nuovo modo di pensare e di agire” (Ochs 2002, p. 106). I vantaggi per il lavoratore Nel contesto dell’informazione e della formazione sulla sicurezza, l’attivazione di percorsi di lingua italiana garantisce che il lavoratore comprenda meglio se stesso nella realtà organizzativa in cui è inserito. Inoltre, apprendere la lingua in azienda permette al lavoratore di vedere questo sforzo, che secondo il D. Lgs. n. 81/08 deve essere effettuato in orario di lavoro, come finalizzato a un’attività concreta e fondamentale, attivando il meccanismo della motivazione. L’apprendente non è un ragazzo, ma più spesso un adulto e l’atteggiamento che ha verso la nuova lingua e le tappe della sua evoluzione dipendono anche dal valore e dal significato che ad essa conferisce. La lingua italiana appresa può essere per lo straniero uno strumento per restare fedeli alle proprie origini o diventare meccanismo funzionale alla sopravvivenza, mezzo di inserimento sociale, di conoscenza e opportunità di socializzazione con i nativi. Nel momento in cui la si impara in azienda, si approfondisce il lessico specialistico, si studia 4

Anolli, 2002, Psicologia della comunicazione.

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Q3, 2012 AiFOS – Alfabetizzazione e inclusione sociale

insieme ai colleghi di lavoro, si attivano connessioni tra il lavoro e la lingua che potrebbero aumentare l’interesse e il desiderio di acquisirla e la consapevolezza della cultura della prevenzione e della responsabilità. Un lavoratore autonomo linguisticamente: - è più consapevole del proprio ruolo nell’organizzazione; - è parte attiva dell’azienda; - è sensibile alle richieste; - è più integrato nel tessuto sociale; - è più collaborativo con i colleghi di lavoro; - sperimenta il senso di appartenenza nell’organizzazione; - può leggere le istruzioni; - può fare richieste e chiedere spiegazioni; - conosce le parole del contesto lavorativo; - conosce i segnali verbali e non verbali della cultura organizzativa e lavorativa in cui è inserito; - è più sensibile alle norme della sicurezza e del benessere in azienda. Proseguire in azienda la propria formazione linguistica sembra garantire al lavoratore l’acquisizione di un livello di autonomia maggiore nel ruolo, immediatamente applicabile al mondo del lavoro 5. Competenze linguistiche elevate permettono anche l’assegnazione di mansioni più complesse e la crescita in azienda potrebbe tra gli altri vantaggi, stimolare il lavoratore ad apprendere e sperimentare oltre la soglia della sopravvivenza, la crescita linguistica. I vantaggi per l’azienda Anche l’azienda può trarre vantaggio da una maggiore padronanza della lingua da parte del lavoratore straniero per: - dialogare con il dipendente in maniera meno frustrante/stressante; - formulare richieste con minima certezza di essere capito; - prevenire contrasti o incomprensioni; - rendere autonomo il dipendete sul posto di lavoro; - accrescere la percezione del rischio nel dipendente; 5 Cisbani, Carla, 2006/07, L’audit linguistico comunicativo in un’azienda artigianale di lavorazione dei marmi, Master in Didattica dell’Italiano Lingua non Materna dell’Università per Stranieri di Perugia, Anno Accademico 2006/2007, Relatore: Professoressa Fernanda Minuz.

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Chiara Delfini

- informare sui contenuti delle principali norme di sicurezza; - fornire indicazioni sulle competenze nella materia del diritto del lavoro; - promuovere la cultura della sicurezza e del benessere organizzativo, per superare gli ostacoli dettati dalle diverse appartenenze culturali, sociali e linguistiche; - sensibilizzare i lavoratori sull’importanza del corretto uso di dispositivi e procedure di sicurezza per prevenire infortuni e malattie professionali; - applicare il nuovo modello di prevenzione previsto dal D. Lgs. n. 81/08. Quando l’azienda affronta il tema dell’alfabetizzazione persegue l’esigenza di attivare meccanismi virtuosi di comunicazione i cui benefici si avvertiranno nel breve e nel lungo periodo, come per esempio: - fornire ai lavoratori stranieri, da inserire o già inseriti da tempo nel processo lavorativo, competenze linguistiche più adeguate e complete; - per fornire strumenti comunicativi di base indispensabili sul posto di lavoro. I risultati dell’azione di alfabetizzazione Nell’ambito specifico della sicurezza, avere una lingua comune di dialogo e interscambio è fondamentale per aumentare: - la comprensione reciproca; - la capacità critica/espressiva; - la capacità di descrivere il pericolo al collega o al proprio caporeparto; - la capacità di dialogare con i colleghi; - la capacità di riconoscere segnali verbali e non verbali della cultura italiana. Tra le numerose iniziative in Italia, interessante a questo proposito è la ricerca della Regione Veneto “Promossi in classe” per comprendere gli effetti di un’azione di alfabetizzazione in azienda. Il test di “promossi in classe” è stato somministrato in un primo gruppo di aziende a giugno 2007 e la sperimentazione è stata completata nel periodo novembregennaio 2008. Basandosi su test costruiti per livelli di comprensione, 77


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ascolto, produzione del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER) 6, sono stati individuati tre livelli di competenza. Verde, livello di comprensione che consente la partecipazione ai corsi di formazione sulla sicurezza e professionalizzanti; giallo: livello di comprensione sufficiente a comprendere l’informazione e la formazione erogata, ma non permette una piena integrazione sociale e pertanto è necessario un rinforzo delle basi della lingua italiana; rosso: livello di comprensione insufficiente a garantire la comprensione della informazione, soprattutto scritta ed a considerare adeguata la formazione e la comunicazione negli ambienti di lavoro. Questi soggetti sono identificati come coloro che devono seguire corsi di alfabetizzazione della lingua italiana 7. Risultato fondamentale dell’indagine, oltre al materiale didattico a disposizione delle aziende che volessero utilizzarlo, è che 1/4 dei lavoratori che ha effettuato il questionario non comprende l’informazione e la formazione erogata dall’azienda anche se molti lavoratori risiedono in Italia da anni e molti dichiarano un livello di scolarità che farebbe scartare l’analfabetismo (id.). In questa ricerca emerge come:  Sono ben 23 le nazionalità di provenienza dei 103 lavoratori stranieri che si sono sottoposti al test. È evidente che l’apprendimento della lingua italiana è la sola soluzione possibile per ogni azienda, anche di piccole dimensioni, che voglia formare efficacemente i propri lavoratori (id.).  Attivare le disposizioni del D. Lgs. n. 81/08 porterebbe l’impresa italiana in una nuova dimensione di gestione del divario linguistico. È necessario porre l’attenzione sull’esigenza di superare la didattica linguistica dell’emergenza e la modularità dovrà tenere insieme le 6 Quadro comune europeo di riferimento delle lingue. Sviluppato attraverso un processo di ricerca scientifica e un’ampia serie di analisi, questo documento prevede una serie di strumenti pratici per impostare standard di riferimento concreti organizzati per livelli successivi di sviluppo della comprensione e dell’apprendimento che permettono un procedimento comparabile di acquisizione di competenze linguistiche. Si sviluppa in tre settori: A, il livello di competenze minimo, B il livello di competenze intermedio, C il livello superiore di competenza linguistica perseguibile. Per scaricare il Quadro delle lingue visitare il sito http://www.coe.int/t/dg4/linguistic/CADRE_EN.asp. 7 Test promossi in classe, http://www.ulss22.ven.it/UploadDocs/2600_promossi_in_classe.pdf .

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esigenze della rapidità di risposta ai bisogni formativi, quelle dei limitati e frantumati tempi disponibili da parte del migrante, ma anche le esigenze della strutturazione sistematica degli interventi 8.  I vantaggi della progettazione aziendale dell’alfabetizzazione per il miglioramento delle competenze linguistiche nel lavoratore. Dalla ricerca sull’apprendimento dell’italiano emerge l’idea che le lingue si imparano per diventare membri di un gruppo socio-culturale e che le pratiche linguistiche non possono essere separate dalle pratiche sociali 9. L’alfabetizzazione del lavoratore in azienda risponde a questa funzione dell’apprendimento creando nel lavoratore nuovi stimoli per migliorarsi come persona e come lavoratore. Quando un’azienda decide di attivare un corso per l’acquisizione della lingua italiana può tenere presenti tutti gli aspetti legati all’ambito aziendale in cui opera, dal lessico alle funzioni interpersonali o comunicative più delicate o importanti, sfruttando a proprio vantaggio la possibilità di decidere i contenuti da sviluppare. Analisi dei bisogni formativi Per interpretare a proprio vantaggio l’obbligo derivante dal D. Lgs. n. 81/08, art. 37, “ove la formazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo” è necessario individuare i professionisti da coinvolgere. Affidando il momento della formazione a un’insegnate esperta di apprendimento della lingua italiana come lingua straniera, si potrebbe proporre un percorso vicino alla quotidianità e ai compiti che maggiormente assorbono i lavoratori stranieri e rispetto ai quali questi ultimi potrebbero avere domande, ma anche alle esigenze dell’azienda in materia di:

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Bosco O., 2001, pp. 141-151. Di Lucca Lucia, Masiero Giovanna, Pallotti Gabriele, 2007, pp.179-194.

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- rapporto di lavoro: contratto, salute, assistenza fruizione di permessi, modalità di accesso a vari servizi; - aspetti operativi: procedura lavorativa, norme di comportamento in azienda, norme di comportamento tra lavoratori. L’intervento linguistico avrà efficacia se progettato a contatto con il datore di lavoro per individuare esigenze aziendali o criticità comunicative. I responsabili della sicurezza in azienda si attiveranno descrivendo i punti fondamentali attraverso un sopralluogo sul posto di lavoro. Il docente potrebbe costruire schede adeguate di lessico, situazioni comunicative, di fonetica o morfosintassi, di dialogo e di comprensione coerenti con il vissuto dei partecipanti. Lo studio della lingua diventerebbe un’esperienza viva e immediatamente spendibile. È possibile confermare che il sistema dell’apprendimento si stia orientando sempre di più su percorsi che portano la persona al centro, le danno valore e cercano di potenziarne le competenze 10. Un percorso di lingua italiana per lavoratori adulti che miri a favorirne l’integrazione, non si basa sulle conoscenze e le nozioni grammaticali, quanto piuttosto sui meccanismi comunicativi e di relazione per i quali sono necessarie, ma non definitive, le competenze di grammatica. Rientrano nell’analisi dei bisogni formativi anche le esigenze di acquisizione di abilità di impiego della lingua, soprattutto nel contesto lavorativo e nella vita di un adulto. La competenza linguistica, composta dalle conoscenze e dalle abilità acquisite, diventerà in seguito all’alfabetizzazione, un saper fare, agito consapevolmente. La progettazione dell’intervento Per poter monitorare l’efficacia del percorso di apprendimento linguistico, l’intervento potrà basarsi sugli indicatori più comuni per l’individuazione delle competenze linguistiche: il Quadro Comune 10

La competenza in generale è composta da più elementi appresi in contesti diversificati, è strutturata attraverso una definizione multifattoriale riferita alla situazione lavorativa. Riconoscere quali competenze può attivare una persona in azienda, come può fare l’azienda per puntare su quelle più adatte, permette di valorizzare le risorse uniche che una persona possiede. Per questo la definizione che meglio si addice in ambito organizzativo, può essere ripresa dal modello italiano di Levati e Sarraò (1998) che definisce la competenza: una serie di capacità, conoscenze ed esperienze finalizzate, intendendo con quest’ultima caratteristica tutte le esperienze lavorative ed extra lavorative in cui si può apprendere.

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Europeo di riferimento per le lingue. È uno strumento basato sulle competenze di ascolto, lettura, interazione (scritta/orale), produzione (scritta/orale) 11. Si tratta di programmare per ambiti di capacità in riferimento al quadro comune europeo e il programma può prevedere anche momenti differenziati di studio e approfondimento qualora, come può capitare, la classe non sia omogenea. Fondamentale sarà la verifica in ingresso delle effettive competenze linguistiche e l’accertamento delle caratteristiche della lingua usata nell’ambito lavorativo. Questa verifica porta a delineare un contesto comunicativo contraddistinto da una terminologia specialistica, termini rideterminati da unità lessicali di altre lingue specialistiche o dal dialetto, comportamenti aziendali tipici e da una specificità nell’uso di termini italiani e anche dialettali di cui bisogna tenere conto nell’elaborazione del programma d’intervento linguistico 12. Programmazione Nell’ambito dell’intervento didattico operativo, sarà importante considerare come spiega Diadori in Insegnare italiano a lavoratori immigrati, che “non è pensabile, specialmente nel caso di un corso per immigrati adulti, una programmazione per fasi rigide e prestabilite secondo un percorso sequenziale […], ma piuttosto un percorso circolare e flessibile organizzato per blocchi, i moduli appunto, variamente combinabili in modo da favorire la diversificazione degli itinerari didattici di compensazione delle lacune e di consolidamento delle abilità possedute” (Diadori, 2001, pp.143-144). I materiali presentati faranno riferimento a situazioni concrete e vissute permettendo di chiarire dubbi o incomprensioni sull’uso della lingua, ma allo stesso tempo sarà necessario fare emergere che uso della lingua si fa sul posto di lavoro, facendo dialogare ed esprimere i partecipanti. I materiali di apprendimento potranno essere costruiti tenendo presente le persone e l’ambito in cui lavorano, dal lessico alle espressioni non verbali più frequenti, anche attraverso momenti di

11 AAVV, 31/01/2012, Linee guida per la progettazione dei percorsi di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua italiana www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/22/0437_linee_guida_MIUR_prot._23 6_12.pdf. 12 Cisbani, Carla, 2006/07.

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osservazione sul campo. Un caso emblematico emerge dalla ricerca di Cerretti: Nel contesto, gomma e muletto sono termini della lingua comune che però nel contesto identificano soltanto lo pneumatico ed il carrello elevatore. Nei giorni di ascolto in azienda nessuno degli operai ha mai chiesto o parlato di pneumatici o di carrello elevatore, nessuno ha mai chiesto ‘Hai visto lo pneumatico del carrello elevatore?’ Mentre invece sono state riparate 3 gomme di muletti. (p.5) Verifica risultati La verifica delle competenze acquisite durante l’alfabetizzazione permetterebbe all’azienda di avere più consapevolezza delle capacità dei lavoratori e a questi ultimi di aumentare la propria capacità di relazione. La prospettiva di una maggiore autonomia, immediatamente spendibile nel luogo di lavoro, con l’assegnazione di mansioni più elevate e varie, potrebbe costituire un incentivo volto a superare la fase di arresto nel processo di apprendimento, precedentemente osservata. Conclusioni L’insegnamento della lingua italiana nel mondo del lavoro è diventato un punto di riflessione obbligato per l’azienda che assume lavoratori stranieri. Alfabetizzare consente di sviluppare la comunicazione verbale e far conoscere le principali caratteristiche dei codici non verbali in uso nella cultura italiana e in un determinato contesto lavorativo. Significa che il lavoratore ottiene le competenze per l’uso di strumenti espressivi verbali e non verbali sviluppando una sensibilità di tipo interlinguistico e interculturale utile per l’organizzazione e l’azienda. I contatti dei lavoratori stranieri con gli italiani sono molto frequenti nel contesto di lavoro più che in altri ambiti, così l’apprendimento della lingua rischia di ridursi alle conoscenze sufficienti per eseguire i compiti e le mansioni assegnate. Il processo di alfabetizzazione, se promosso e sviluppato, permetterà di sviluppare il valore della vita umana nel lavoro, in sicurezza e in collaborazione con i colleghi e l’organizzazione, al fine di: • divenire consapevole del proprio ruolo; • assumersi le proprie responsabilità; 82


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• dare valore sociale al lavoro; • imparare a conoscere e gestire il rischio sia individualmente che per il bene comune.

BIBLIOGRAFIA -, 2008, Aspetti interculturali nella percezione del rischio, http://prevenzionescuola.ispesl.it/documenti/intercultura.pdf Anolli Luigi, 2002 , (a cura di), Psicologia della comunicazione, Ed.Il Mulino AAVV, 2008, Common European Framework of Reference for Languages: Learning, Teaching, Assessment (CEFR), Council of Europe, http://www.coe.int/t/dg4/linguistic/CADRE_EN.asp AAVV, 31/01/2012, Linee guida per la progettazione dei percorsi di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua italiana, www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/22/0437_linee_guida_ MIUR_prot._236_12.pdf Bosco O., Le motivazioni degli immigrati stranieri all’apprendimento della lingua italiana in contesto scolastico, in Vedovelli M., Massara S., Giacalone Ramat A.(a cura di), Lingue e culture in contatto. L'italiano come L2 per gli arabofoni, Franco Angeli, Milano, 2001, pp. 141-151 Cerretti Giovanni, 2005/06, Mi passi la gomma per favore?, Master in Didattica dell’Italiano Lingua non Materna dell’Università per Stranieri di Perugia, Anno Accademico, Relatore: Professoressa Fernanda Minuz Cisbani, Carla, 2006/07, L’audit linguistico comunicativo in un’azienda artigianale di lavorazione dei marmi, Master in Didattica dell’Italiano Lingua non Materna dell’Università per Stranieri di Perugia, Anno Accademico, Relatore: Professoressa Fernanda Minuz Diadori Pierangela, 2001, “Insegnare italiano a lavoratori immigrati”, in Insegnare italiano a stranieri, Le Monnier, Firenze, pp.133-206 Diadori Pierangela, “Non-verbal communication teaching Italian as a foreign language: an intercultural perspective” in Comunicazione non verbale nell'insegnamento dell'italiano a stranieri in prospettiva interculturale, in Catricalà M. (a cura di), Lettori e oltre… confine, Atti del corso di aggiornamento per lettori di italiano all'estero organizzato dal MAE, dal MPI e dall'Università per Stranieri di Siena (Siena, 11-15 ottobre 1999), Aida, Firenze 2000, pp. 69-109 Di Lucca Lucia, Masiero Giovanna, Pallotti Gabriele, 2007, “Apprendimento dell’italiano, identità linguistica e socializzazione: il caso di una comunità marocchina” in E. Pistolesi (a cura di) Lingua, scuola e società. I nuovi bisogni comunicativi nelle classi multiculturali, Trieste, Istituto Gramsci, pp. 179-194. Ismu, Parliamoci chiaro, piattaforma di materiali per la didattica dell’italiano L2 http://www.ismu.org/parliamocichiaro/moodle/ Valentini Ada, 2005, Lingue e interlingue dell’immigrazione in Italia, in Linguistica e Filologia 21 ISMU Morelli Giulio, La conoscenza della lingua può salvare la vita, 13 dicembre 2010 http://www.quotidianosicurezza.it 83


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Ochs Elinor, 2002. Becoming a Speaker of Culture. In: Language Acquisition and Langauge Socialization, edited by Claire Kramsch. London: Continuum, pp. 99-120. Progetto Legge 236/93 anno 2006 ID 417298 dal Titolo: “Sviluppo delle Risorse Umane e sicurezza: la formazione integrata nella metallurgia lombarda http://www.vivereinitalia.eu/fei/wp-content/uploads/2012/01/20120125VivereInItalia-WEB.pdf Redazione, Lavoratori stranieri, la lingua italiana è il primo passo per la sicurezza, 23 Marzo 2011, http://www.quotidianosicurezza.it Regione toscana, TRIO è il sistema di web learning della Regione Toscana che mette a disposizione di tutti, in forma totalmente gratuita, prodotti e servizi formativi su aree tematiche trasversali e specifiche. http://www.progettotrio.it/trio/it/trio/labeleuropeo.html Test promossi in classe, http://www.ulss22.ven.it/UploadDocs/2600_promossi_in_classe.pdf

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Eva Stofler

Creazione di un modello formativo sulla sicurezza per lavoratori stranieri di Eva Stofler 1

Premessa Uno degli aspetti fondamentali della sicurezza sul lavoro è la formazione in quanto è necessario che tutte le informazioni, le conoscenze, le problematiche negli ambienti di lavoro siano oggetto di comunicazione fra i lavoratori, ivi compresi quelli provenienti da altri Paesi. Gli immigrati in Italia risultano essere, all’inizio del 2010, secondo le recenti stime Istat e Caritas, da 4 a 5 milioni di persone, ovvero 1 immigrato ogni 12 residenti. Oltre all’aumento della presenza e dell’occupazione dei lavoratori stranieri nel nostro Paese si riscontra anche l’aumento del numero degli infortuni che, da un’analisi del Rapporto Annuale Inail sull’andamento infortunistico, risultano essere maggiori rispetto a quelli dei colleghi di nazionalità italiana, dovuti presumibilmente alla maggiore vulnerabilità degli stessi e anche alle problematiche legate alla comprensione della lingua italiana. Questa entità numerica fa comprendere l’importanza, oggi e nel futuro, di garantire o di determinare il miglior metodo formativo per la popolazione straniera. A tal proposito sono a presentare la ricerca realizzata per il conseguimento del mio titolo accademico, il cui scopo è stato quello di ricavare dati utili su come oggi viene applicata la formazione-

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Dottoressa in scienze delle professioni sanitarie della prevenzione. Tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro.

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informazione dai professionisti del settore al fine di creare un futuro modello applicativo. I metodi d’insegnamento possono essere determinanti nella comprensione dei rischi presenti nello svolgimento delle attività lavorative ed è ovvio che le difficoltà linguistiche rendono particolarmente importante il modo con cui le nozioni sulla sicurezza vengono trasmesse. Protocollo di ricerca Il campionamento. Per condurre una ricerca non sempre è possibile intervistare tutta la popolazione che presenta le caratteristiche desiderate, quindi occorre selezionare un campione e per far ciò è necessario stabilire dei criteri di scelta che permettano di includere/escludere i soggetti eleggibili e che rappresenti la popolazione per tutte le qualità d’interesse, in modo tale da ottenere un campione rappresentativo. Il campionamento adottato nella ricerca è di tipo non probabilistico, ossia basato sulla strategia di selezione di campioni che presentano solo soggetti con dati caratteri, scelti in base allo scopo della ricerca. Per la ricerca quantitativa riportata la metodologia applicata è quella del campione ad elementi rappresentativi, ovvero la popolazione di riferimento dell’analisi è stata quella composta dai formatori alla sicurezza sul lavoro iscritti ad AiFOS. Il campione ammontava a n. 2754 persone, gli iscritti ad AiFOS alla data del 10 ottobre 2011 comprensivi di soci (RSPP, ASPP, RLS, Consulenti della sicurezza, Coordinatori cantieri, Medici del lavoro, Esperti / studiosi / similari, ecc.), Referenti formatori di aziende associate e Centri di Formazione. Raccolta dei dati e somministrazione del questionario. Per la raccolta dei dati è stato progettato un questionario costituito da 13 domande di cui 5 variabili di fondo, 1 domanda aperta e 7 chiuse. Il questionario è stato somministrato a livello nazionale attraverso due canali: I) è stata inoltrata una mail, a firma della Presidenza AiFOS, a tutti i soci iscritti alla newsletter dell’associazione stessa, indicante lo scopo del progetto ed il link che conduceva alla pagina internet contenente il questionario da compilare; 86


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II) è stato pubblicato sul sito internet dell’associazione AiFOS (www.aifos.it), con richiamo e sunto della ricerca, il collegamento al link di cui al punto I) accessibile a tutti gli utenti internet. La compilazione del questionario è stata possibile dal 10 ottobre 2011 fino alle ore 24:00 del 31 ottobre 2011. Il questionario è stato compilato con risposta volontaria, senza sollecito diretto verso i destinatari e ha garantito l’anonimato. La matrice dei dati e lo strumento di elaborazione dei dati. I dati raccolti sono stati esaminati in primo luogo relativamente ai caratteri peculiari dei soggetti e poi in base alle opinioni degli utenti, ed elaborati tramite una matrice di dati in ambiente Windows con i programmi Microsoft Excel e Microsoft Word utilizzando tabelle e relativi grafici. Lo strumento form on line (ovvero il questionario), ha offerto la possibilità di aggiornare automaticamente attraverso una macro (serie di comandi pre-impostati, attivati al “click” del tasto “invia” a fine questionario) il file risultato in formato excel. Le risposte sono stare inserite in una matrice di dati in cui sulle righe ci sono i casi, ossia i singoli soggetti, e sulle colonne le variabili generate dalle risposte dei soggetti alle domande del questionario. L’alta strutturazione dello strumento di rilevazione ha favorito la quantificazione dei casi raccolti attraverso la definizione di scale di risposta alle domande ed il calcolo della loro frequenza. Si è poi provveduto ad effettuare un’analisi di secondo livello, al fine di permettere attraverso i normali algoritmi precaricati nel programma Microsoft Excel di analizzare i dati dal punto di vista, oltre che quantitativo, anche qualitativo (interpolazione dati e analisi delle risposte aperte in tipologie di risposte omogenee). Definizione dei limiti della ricerca. Un limite dell’indagine è la mancanza di un riscontro di ciò che emerge dall’analisi dei questionari compilati dai formatori rispetto alle opinioni dei destinatari dei corsi, ovvero i lavoratori stranieri. Per il completamento della ricerca lo strumento ideale sarebbe stato quello dell’intervista semi-strutturata in cui le domande prestabilite possono essere scelte dall’intervistatore, ma il tipo di formulazione e l’ordine di sequenza dipendono dall’andamento del colloquio. 87


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Un dato utile per lo sviluppo di ulteriori indagini sarebbe stato quello di raccogliere dai formatori alla sicurezza sui luoghi di lavoro la media dei corsi svolti nell’arco di un anno, al fine di ponderare le risposte emerse in base all’effettiva esperienza. Indagine sperimentale: risultati emersi Il campione che ha risposto al questionario è composto da 258 formatori i quali, nel corso dell’ultimo biennio, hanno svolto corsi di formazione cui hanno partecipato lavoratori stranieri. Come dati personali è stato chiesto loro di indicare il sesso, l’età, il titolo di studio gli e anni d’esperienza nel campo della formazione alla sicurezza. La maggior parte degli utenti che hanno risposto al questionario sono uomini e dall’analisi dei dati emerge che i laureati che svolgono attività di formatore sono poco più del 50%, mentre circa il 40% possiede un diploma di scuola media superiore. In merito ai dati relativi all’esperienza di lavoro svolto nello specifico settore della formazione alla sicurezza sul lavoro emerge che circa il 70% degli intervistati ha un’esperienza di oltre 5 anni, quasi il 28% da 1 a 5 anni e solo il 3% meno di 1 anno. La maggior parte del campione è costituito da consulenti (46,5%), seguiti da RSPP/ASPP (39%). Questionario, prima domanda: “Secondo lei nei corsi per lavoratori stranieri quale giudizio esprime sull’uso dei materiali didattici quali: immagini, filmati (di media lunghezza circa mezz’ora), filmati (spot di pochi minuti, catoni animati, d’impatto), test e questionari a risposte aperte, test e questionari a risposte chiuse, ricorso ad esempi pratici, opuscoli illustrativi scritti in italiano, opuscoli informativi scritti nella lingua d’origine, uso del computer per lezioni on line. Le opzioni di giudizio sono espresse nei termini di utilità: poco, abbastanza, molto, moltissimo”. La serie di domande di cui sopra, sono state rivolte per chiedere quali sono i materiali didattici che il formatore ritiene utile impiegare per migliorare l’apprendimento dei lavoratori stranieri che partecipano alla formazione. Secondo gli intervistati i materiali didattici maggiormente utili sono immagini, filmati (spot di pochi minuti, cartoni animati, d’ impatto), il ricorso ad esempi pratici e gli opuscoli illustrati scritti nella lingua 88


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d’origine. Il dato può trovare giustificazione nel fatto che filmati di pochi minuti trasmettono informazioni dirette in merito a ciò che è importante, per cui il lavoratore non deve affrontare un lavoro di analisi del filmato. Risultano inoltre importanti nell’apprendimento gli opuscoli in lingua madre poiché le informazioni relative a concetti di rischio, pericolo e sicurezza vengono memorizzate meglio se trasmesse nella lingua d’origine perché sono nozioni associate alla sfera emotiva. I filmati di media lunghezza (circa mezz’ora), i test e questionari a risposte chiuse, i test e questionari a risposta aperta, gli opuscoli illustrativi scritti in italiano e l’utilizzo di computer per lezioni on line vengono visti come strumenti abbastanza o poco utilizzabili. Questionario, seconda domanda: “Secondo lei quali tra queste metodiche didattiche interattive sono migliori per la formazione di coloro che hanno una conoscenza della lingua italiana scarsa? Opzioni: lezione attiva, lavoro di gruppo, il caso, l’esercitazione, il gioco, il project work, la simulazione 2. 2

Lezione attiva: si intende la trasmissione di concetti e contenuti nei confronti di un gruppo di persone attraverso un metodo partecipativo, con l’ausilio di metodi e strumenti finalizzati a coinvolgere i partecipanti. Alcuni metodi per gestire in modo attivo la lezione sono: - Contratto psicologico: caratterizza la sessione di apertura di un corso di formazione e si pone l’obiettivo di stabilire convergenze tra bisogni/aspettative dei diversi stakeholder coinvolti nel processo. - Brainstorming: letteralmente “tempesta di cervelli”, rappresenta un metodo didattico utilizzato per ricostruire il significato di alcuni concetti o per risolvere alcune problematiche critiche. - Mappe concettuali e mentali: costruiscono una rappresentazione grafica di modelli di conoscenza e permettono di visualizzare quanto le persone conoscono rispetto a un determinato argomento, aiutando a semplificare le informazioni e a creare relazioni tra di loro. - Supporti filmici: gli argomenti trattati durante un corso di formazione possono essere supportati da alcuni stimoli visivi (slides presentate su supporto informatico o spezzoni filmici) scelti appositamente da formatore. Lavoro di gruppo: è l’attività che coinvolge più persone in un rapporto di reciproca interazione, con lo scopo di realizzare finalità comuni, concordate o comunque condivise da ogni membro, secondo una metodologia che richiede la partecipazione attiva e responsabile di ciascun componente. Le fasi per la gestione pratica dei lavori di gruppo sono: a) distribuzione del mandato ai partecipanti e condivisione del compito, b) verifica della comprensione, c) suddivisione in sottogruppi, d) assegnazione di spazi e risorse ad ogni sottogruppo, d) avvio dei lavori, e) monitoraggio e supervisione dei lavori, f) rientro in plenaria e confronto dei risultati, g) discussione di gruppo. Il caso: è una situazione difficile e problematica riportata a un determinato contesto; esso viene solitamente illustrato in maniera scritta e contiene, nella parte conclusiva, uno o più quesiti da risolvere. Le tipologie di caso sono: a) caso generico, b) caso esterno o di altre aziende, c) caso interno o aziendale, d) autocaso, e) incident o caso a più fasi, f) caso filmico. Esercitazione: si tratta di esercizi che servono a rafforzare l’apprendimento di conoscenze, di capacità operative o ad apprendere un metodo per la risoluzione del problema. L’esercitazione può essere: a) nozionistica, serve a rafforzare l’apprendimento di conoscenze teoriche apprese a lezione, es: questionari o test che vengono poi corretti in plenaria; b) applicativa, favorisce l’applicazione di (segue)

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Considerando lo sviluppo e l’evoluzione della formazione e delle sue tecniche metodologiche è stato chiesto ai formatori il loro giudizio sui differenti sistemi formativi. Per evitare problematiche relative all’errata conoscenza delle terminologie si è provveduto a esplicitare nel questionario una breve descrizione delle stesse (come riportato in nota). La formazione in aula attraverso la lezione “attiva” viene confermata da un giudizio positivo di circa il 25% dei formatori: non poteva essere altrimenti dato che, prevalentemente, i formatori svolgono la loro attività in aula. Si evidenzia tuttavia che la maggior parte degli intervistati, il 33,33%, ritiene che la formazione in aula non sia il sistema più utile per l’apprendimento, ma questa debba essere svolta sul luogo di lavoro attraverso la simulazione, anche in considerazione dell’importanza dell’analisi dei rischi specifici presenti nei diversi settori ed ambienti di lavoro. La tecnica del Project Work è quella in assoluto ritenuta meno utile per la formazione di lavoratori stranieri, la metodica prevede la realizzazione di un progetto complesso ed articolato (es. elaborazione di protocolli, piani di lavoro, linee guida e procedure di miglioramento) che è lontano dai compiti operativi che solitamente i lavoratori stranieri ricoprono. Questionario, terza domanda: “Nei corsi di formazione sulla sicurezza per lavoratori stranieri di cui è stato docente sono state capacità operative, prevedono l’esecuzione di procedure pratiche; c) problem - solving: assegna ai partecipanti un problema complesso da risolvere. Simulazione: tecnica basata sull’esperienza dove l’apprendimento avviene tramite la verifica (in situazione sperimentale protetta o direttamente nei luoghi di lavoro). La simulazione può essere: a) applicativa, vengono effettuate secondo precise linee guida e supportate da un osservatore che utilizza una check-list di valutazione della prestazione; b) su casi (role-playing), realizzazione di una “recita a soggetto” in cui gli attori vengono posti in una determinata situazione con un obiettivo da raggiungere; c) dimostrativa, hanno lo scopo di analizzare fenomeni sociali e di evidenziare alcuni comportamenti interpersonali; d) di analisi, il loro obiettivo è approfondire che cosa sta avvenendo tra i partecipanti in un determinato momento. Gioco: occasione di simulazione della realtà nella quale uno o più individui fanno esperienza di una situazione ludica governata da regole più o meno articolate. Le fasi gestionali del gioco sono: a) presentazione del gioco in modo coinvolgente e sfidante, b) raccolta delle adesioni al gioco, c) condivisione delle regole, d) svolgimento del gioco con la “regia” del formatore, e) chiusura del gioco con eventuale segnalazione del/i vincitore/i, f) analisi del processo attivo di ricostruzione degli apprendimenti individuali e di gruppo. Project work: è un progetto di lavoro complesso ed articolato che viene ideato ed elaborato dai partecipanti con l’obiettivo di sperimentare, mettere in pratica e valutare alcuni apprendimenti acquisiti o rafforzati durante il corso di formazione (es. elaborazione di protocolli, piani di lavoro, linee guida e procedure di miglioramento).

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utilizzate le metodologie didattiche interattive sopra descritte?” “Se sì, indicare tre metodi in ordine”. Rispetto alla domanda precedente, in cui veniva chiesto al formatore un parere sull’utilità delle metodiche, è stato chiesto se i metodi didattici citati sono utilizzati, e se sì in quale ordine, durante la formazione. È emerso che il 65,50% dei formatori utilizzano le metodiche diverse dalla lezione cattedratica ed i primi tre metodi maggiormente utilizzati risultano essere, in ordine d’uso, la lezione attiva, l’esercitazione e la simulazione. Il dato rispecchia quanto emerso dalla domanda precedente anche se l’ordine delle risposte è variato; infatti la simulazione sul campo è spesso difficile da organizzare soprattutto se i formatori sono personale esterno all’azienda, come ad esempio i consulenti, rispetto all’utilizzo di lezioni attive ed esercitazioni. Questionario, quarta domanda: Al fine di ottenere informazioni anche di carattere qualitativo il questionario è stato arricchito dalla domanda aperta che viene riportata di seguito. Dal punto di vista dell’analisi delle informazioni è stata costruita una tassonomia di risposte e, per ciascuna di esse, è stata calcolata la distribuzione di frequenze. “Secondo lei quali caratteristiche deve avere una lezione perché sia capita in maniera chiara da coloro che hanno una conoscenza della lingua italiana bassa?” Di seguito si riporta una breve spiegazione di quanto emerso dall’analisi dei dati le cui risposte aperte risultano essere distribuite in maniera omogenea. Risposta: Brevità, semplicità, chiarezza, utilizzo di esempi pratici (32,95%); Immagini, fotografie e filmati (26,74%) e Simulazioni sul luogo di lavoro (20,93%). Secondo gli intervistati, l’apprendimento dei principi di sicurezza deve avvenire in lingua italiana, attraverso un linguaggio chiaro, breve, semplice e facilitato dall’utilizzo e dal confronto attivo di simulazioni di lavoro quotidiano, da esercitazioni, e dalla proiezione di immagini, fotografie e filmati, ritenuti indispensabili nel processo di pensiero e di apprendimento utilizzato durante l’acquisizione di una seconda lingua. Risposta: Formazione nella lingua madre o in italiano con mediatori linguistico-culturali (19,38%). La buona conoscenza dell’italiano non dipende dagli anni di residenza in Italia, ma è invece correlata con gli anni di scolarizzazione e associata ad un buon livello di integrazione con gli italiani. Il 19,38% degli intervistati sostiene che la formazione dei 91


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lavoratori stranieri con una conoscenza della lingua italiana scarsa dovrebbe avvenire nella lingua madre del lavoratore oppure in italiano con l’affiancamento di mediatori linguistico-culturali. Questionario, quinta domanda: “A suo avviso la preparazione del personale strutturato a procedure d’affiancamento/mentoring dei lavoratori stranieri sarebbe… Opzioni: inutile/strumento complesso e poco applicabile, poco utile/strumento da valutare caso per caso, abbastanza utile/consigliabile, molto utile ed efficace/da promuovere maggiormente”. È stato domandato se l’affiancamento o mentoring, ovvero la metodologia che fa riferimento ad una relazione tra un soggetto con più esperienza (senior o mentor) e uno con meno esperienza (junior, mentee, protégé), cioè un allievo, al fine di aiutarlo a sviluppare competenze in ambito formativo e lavorativo, sia utile per migliorare la sicurezza di lavoratori stranieri all’interno di aziende. La maggior parte dei formatori ritiene che l’insegnamento e la trasmissione di esperienze risultano essere abbastanza utili/consigliabili (44,57%) e molto utili ed efficaci/da promuovere maggiormente (29,07%). Per un’analisi più approfondita del dato si è provveduto ad interpolare le opinioni emerse sull’utilità dell’affiancamento/mentoring in azienda con il ruolo delle figure che hanno risposto al questionario (RSPP/ASPP, Medici Competenti, Consulenti, Esperti/studiosi/similari, Altro). Dall’analisi dei dati di secondo livello si trova conferma a quanto sopra esposto. Tale opinione è trasversale sia per quelle figure aziendali che solitamente operano all’interno di un’azienda, ovvero RSPP/ASPP e Medici Competenti rispetto ai consulenti ed altre figure esterne. Se ne deduce infine che la figura del preposto o di altri lavoratori, che sono quelle che ricoprono ruoli di mentor, devono essere per prime idoneamente formate per poter interagire in maniera efficace con i lavoratori stranieri e quindi ricoprire i propri ruoli di guida sulle tematiche di sicurezza. Questionario, sesta domanda: “I lavoratori stranieri rispetto a quelli italiani le risultano essere… Opzioni: molto più vulnerabili, meno vulnerabili, equamente esposti, maggiormente tutelati”. Per circa il 57% degli intervistati i lavoratori stranieri rispetto a quelli italiani risultano essere molto più vulnerabili. La maggior “vulnerabilità” 92


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dei lavoratori immigrati è oggetto di attenzione da parte del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. che stabilisce l’obbligo per il datore di lavoro di garantire la tutela dei propri lavoratori e di valutare i rischi a cui gli stessi sono esposti, tenendo conto di rischi particolari tra cui quelli connessi alla provenienza da altri Paesi. La maggiore vulnerabilità è dovuta principalmente al fatto che gli immigrati sono spesso adibiti a lavori più umili, più faticosi e più pericolosi; inoltre la scarsa conoscenza della normativa, la difficoltà di comprensione linguistica, l’assenza di informazione e formazione e, di conseguenza, la ridotta percezione dei rischi legati al lavoro, vanno ulteriormente ad amplificare i rischi per la salute e sicurezza di questa tipologia di lavoratori. Questionario, settima domanda: “Al momento dell’organizzazione del corso c’è uno scambio d’informazione e comunicazione sulla presenza di lavoratori stranieri? Opzioni: mai, raramente, spesso, sempre”. Più del 60% dei formatori dichiara che durante l’organizzazione dei corsi di formazione c’è sempre, o spesso, uno scambio d’informazione in merito al numero dei partecipanti stranieri. È ormai una prassi consolidata la raccolta, da parte degli enti formatori, dei dati anagrafici degli iscritti ai corsi attraverso la compilazione di moduli, al fine di recuperare i dati necessari per la predisposizione di aule formative, dei registri dei corsi e per la predisposizione degli attestati. Circa il 40% dichiara invece che non vengono raccolte queste informazioni, si ipotizza che nelle aziende ove non viene richiesto il dato vi sia un’incidenza bassa di lavoratori stranieri (es: settore terziario). Questionario, ottava domanda: “In generale, qual è la motivazione prevalente delle Aziende che organizzano corsi di formazione sulla sicurezza? Opzioni: migliorare la qualità del lavoro ed il benessere dei dipendenti, prevenire infortuni e conseguenti iter penali, obblighi di legge e altro”. Il principale motivo per cui le aziende organizzano corsi di formazione sulla sicurezza è dettato dagli obblighi previsti dalla normativa vigente che impone l’obbligo ai datori di lavoro di effettuare una formazione adeguata ed aggiornata a tutti i lavoratori. In caso di non ottemperanza di quanto dettato nel Testo Unico sulla Sicurezza sono previste delle sanzioni sia di carattere amministrativo che penale. Il dato 93


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emerso è prevedibile e rispecchia la mentalità attuale dettata anche dal momento di crisi economica, ove vi è poco spazio per iniziative se non quelle dettate dalla legge. Conclusioni La progettazione e la realizzazione di un corso formativo deve assicurare la comprensione e, soprattutto, la memorizzazione dei contenuti della formazione ed informazione. Dall’indagine svolta è emersa la difficoltà dei formatori a comunicare con i lavoratori stranieri che hanno talvolta una conoscenza molto limitata della lingua italiana. I formatori di cui sopra devono studiare, e sperimentare, vari metodi didattici, alternativi o di supporto alle lezioni d’aula in quanto i discenti provengono da differenti Paesi stranieri, e sono portatori di diversi idiomi, culture e storie. Dalla ricerca si evince, inoltre, che occorre sempre più adottare metodologie che prevedano un più diretto coinvolgimento dei partecipanti, con dimostrazioni pratiche, esercitazioni e anche simulazioni nei reali cicli produttivi, e dall’altro è necessario dotarsi di strumenti e metodologie che ne favoriscano l’apprendimento, come immagini, filmati brevi, cortometraggi ed il ricorso ad esempi pratici. Altri strumenti per favorire la comprensione e l’apprendimento di tutti coloro che hanno difficoltà linguistiche, sono l’utilizzo di opuscoli in lingua d’origine e la collaborazione di mediatori culturali. I risultati emersi possono essere facilmente prevedibili, ma sottolineano il desiderio da parte dei formatori di migliorare e completare il proprio approccio formativo anche nei confronti dei lavoratori stranieri.

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Antonio Ghibellini - Cecilia Alessandrini

Stranieri e infortuni: in/formazione. L’esperienza nel settore edile di Antonio Ghibellini 1 e Cecilia Alessandrini 2

Tutti coloro che si occupano di informazione e formazione per la sicurezza sul lavoro si confrontano con le difficoltà di un approccio efficace rispetto ai cittadini stranieri. Anche il CPTO IIPLE di Bologna dalla sua creazione nel 2001 lavora sul tema della prevenzione infortuni dei lavoratori e imprenditori stranieri (che in edilizia sono circa il 40% degli occupati). Anche nei paesi esteri, molti degli immigrati trovano lavoro in edilizia, come è stato in passato per gli italiani in Germania e in Canada. Come CPTO, per aiutare le aziende e i professionisti edili nel lavoro di in/formazione dei lavoratori stranieri abbiamo sia realizzato alcuni prodotti (opuscoli, manifesti, video, trasmissioni tv e radio) sia raccolto materiali multilingue sulla sicurezza sul lavoro realizzati in Italia (su carta, su web, su video) segnalandone alcuni nel nostro sito www.cpto.it. Abbiamo fatto poi altre sperimentazioni di cui parleremo nella parte finale dell’articolo. Alcuni dati Secondo i dati Inail nel 2011 i lavoratori stranieri assicurati all’Inail erano circa 3 milioni, il 17,8% in più del 2007. Questa rilevante crescita, nonostante la crisi, è dovuta soprattutto alla progressiva regolarizzazione dei contratti di badanti e colf. Gli infortuni degli stranieri denunciati nel 2011 all’INAIL sono stati 115.661, il 15,9 % degli infortuni complessivi, 1

Laureato in sociologia e impegnato nel campo dell’informazione e formazione sulla sicurezza, è dal 2001 coordinatore del Comitato Paritetico Territoriale Operativo, struttura interna di IIPLE, l’ente bilaterale di formazione edile di Bologna e provincia. 2 Laureata in lettere, e impegnata nell’insegnamento, anche nel campo dell’italiano a stranieri, dal 2005 collabora stabilmente con il CPTO nelle attività di promozione della sicurezza e nelle ricerche sul tema.

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i 138 casi mortali sono il 15 % dei morti sul lavoro. Il settore più colpito è quello delle costruzioni (13.200 infortuni a stranieri, di cui 28 mortali, l’11,5% del complesso delle denunce). Secondo Inail l’incidenza infortunistica (infortuni denunciati/lavoratori assicurati a Inail) risulta più elevata per gli stranieri rispetto a quella degli italiani (38 casi denunciati ogni 1000 occupati rispetto a 35). Il fenomeno migratorio è in continua evoluzione, sia nelle quantità delle persone sia nelle terre di origine dei migranti. I cittadini stranieri registrati come residenti in Italia al 1 gennaio 2011 erano 4.570.317, (dati ISTAT), circa l’8% in più dell’anno precedente. La quota dei cittadini stranieri sul totale dei residenti è il 7,5%. L’86,5% degli stranieri risiede nel Nord e nel centro Italia. I cittadini rumeni, con quasi un milione di residenti (9,1% in più rispetto all’anno precedente) rappresentano la comunità straniera maggiormente presente in Italia (21,2% sul totale dei cittadini stranieri). Sono molti di più in realtà gli stranieri che lavorano in Italia se teniamo conto anche dei permessi di soggiorno (su questi dati si basano i rapporti annuali redatti da Caritas-Migrantes). Le cause Secondo Inail questa maggiore incidentalità è causata dal fatto che gli immigrati sono occupati prevalentemente in settori rischiosi dove è prevalente l’attività manuale (edilizia, industria,agricoltura), le ore lavorate in genere sono maggiori e spesso la formazione professionale non è adeguata. Secondo quanto ci è stato segnalato dal prof. F. S. Violante, docente di Medicina del Lavoro all’Università di Bologna, nelle varie ricerche svolte all’estero sugli infortuni dei lavoratori stranieri, emerge che essi avvengono maggiormente nel primo anno di arrivo nel paese di immigrazione, a causa della poca conoscenza sia delle tecniche ed organizzazione del nuovo lavoro, sia della lingua locale. La necessità di attenzione al tema è posto in modo tassativo dal Testo unico sulla sicurezza (D. Lgs. n. 81/2008, art. 37, comma 13). Con il recente Accordo StatoRegioni sulla formazione minima obbligatoria sulla sicurezza, che rende sanzionabile la mancata formazione prima che si verifichi l’infortunio (e non dopo l’accadimento, come di fatto era finora), il quadro normativo è cambiato. Chi (azienda, centro di formazione, professionista della sicurezza) realizza una azione in/formativa in cui siano presenti anche lavoratori stranieri, deve essere in grado di documentare a un possibile control96


Antonio Ghibellini - Cecilia Alessandrini

lo di merito dell’Ente di vigilanza cosa ha fatto perché l’azione in/formativa fosse recepita e comprensibile al cittadino straniero. Avendo in Italia più di 150 lingue parlate dai cittadini stranieri presenti ed operanti nelle aziende, l’utilizzo dei mediatori culturali madrelingua è molto difficile e comunque altamente costoso. Non vi è quindi pratica alternativa allo svolgere l’azione in/formativa in lingua italiana, supportandola con immagini, video, e successivamente magari fornire all’allievo materiali nella sua lingua madre per un maggiore approfondimento ed una riflessione ulteriore. Per i cittadini stranieri che provengono dall’Est europeo, e che in genere hanno una scolarità significativa, e in alcuni casi già qualche conoscenza dell’italiano, o che parlano lingue derivate dal latino, vi sono minori difficoltà ed entro un tempo relativamente contenuto si verifica un sufficiente apprendimento della lingua italiana. Per i cittadini stranieri di altri ceppi linguistici, ed in particolare per coloro che provengono dall’Africa del Nord, frequentemente con scolarità minori e in alcuni casi analfabeti, le difficoltà sono molto maggiori. Cosa ne dicono i lavoratori edili In vista della redazione di questo articolo, nell’ambito di un corso di formazione tenuto a Bologna, abbiamo raccolto le riflessioni di due gruppi di RLS edili, sia italiani che stranieri. Abbiamo chiesto loro quali fossero le motivazioni del fatto che i cittadini stranieri si infortunano in misura maggiore rispetto ai cittadini italiani. Queste sono state le risposte: Primo gruppo o Perché hanno meno formazione e informazione rispetto agli italiani o Poca conoscenza della lingua italiana o Conoscono meno i loro diritti o Hanno paura di non trovare un altro lavoro o Gli stranieri non capiscono bene tutto e c’è poca pazienza nel spiegar loro cose da fare o Ci sono regolamentazioni diverse da paese a paese o Ci sono diversità nella mentalità , nel modo di vedere le cose 97


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o Alcune leggi e obblighi sembrano inutili o Sono più propensi ad accettare lavori a basso costo perché sono più a disagio (catena subappalti) o Hanno metodi diversi di lavoro rispetto ai nostri o La percentuale dei lavoratori stranieri è maggiore del 70% o Costano meno e quindi sono più assunti perché non raggiungono alcuni livelli contrattuali o Anche in situazioni di crisi gli italiani non sono ancora tornati in cantiere o Comunicazione più faticosa nonostante l’integrazione necessita di capirsi e di collaborare o Sfruttamento dei lavoratori stranieri (5/10 anni fa) senza alcuna formazione o C’è una maggiore non consapevolezza dei propri diritti tra gli italiani Secondo gruppo o Poca attenzione nel lavoro per la troppa fretta o Poca formazione nei paesi di origine o Lo straniero è pagato di meno, quindi deve lavorare di più e presta poca attenzione ai rischi o Poca comprensione della lingua e del messaggio (metamessaggio) o Per gli artigiani il costo del lavoro (dei DPI) è un costo da trascurare o Timore di chiedere spiegazioni o Non ci sta con la testa, pensa a casa o Diverse abitudini nella vita quotidiana (si stancano perché lavorano troppo e si proteggono meno) o Troppa fretta nel lavoro (nei propri paesi i ritmi di lavoro sono più calmi) o Paura di perdere il posto di lavoro o Più sfruttati, lavoro in nero o Fanno i lavori più pericolosi o Mancanza delle regole nei Paesi di origine o Manca comprensione del linguaggio di cantiere e dei termini tecnici 98


Antonio Ghibellini - Cecilia Alessandrini

o Doppio lavoro per bisogni economici e provenienza da lontano,

non si riposano mai Il primo gruppo ha anche proposto alcune soluzioni.    

Più confronto tra RSPP/formatori/operai Più rapporti umani Conoscenza globale del processo edilizio, visione del cantiere a 360° Corsi di italiano  Cultura (ma anche impegno da una parte e dall’altra di comunicare) Che fare? Ferme restando le concrete riflessioni dei lavoratori appena viste, pur ricorrendo alle tecniche didattiche più avanzate, ai docenti più capaci e interattivi, all’uso di grafiche e video, se lo straniero presente al corso non ha una conoscenza elementare dell’italiano, il corso – breve o lungo – non ottiene nessun risultato. L’insegnamento di base della lingua italiana agli stranieri sconta in Italia un ritardo, colpevole, di almeno quindici anni. Per un lungo periodo, infatti, nessuna istituzione pubblica si è preoccupata in modo regolare di insegnare la base della lingua italiana ai cittadini stranieri che arrivavano sul nostro territorio. Così per anni i cittadini stranieri hanno lavorato nel nostro territorio senza mai essere “obbligati”, ma neanche semplicemente spinti o agevolati ad apprendere le competenze di base della lingua italiana. La mancata conoscenza di base della lingua italiana ha avuto come prima conseguenza la scarsa capacità da parte degli stranieri di pretendere tutele e diritti sul lavoro. È chiaro infatti che qualsivoglia richiesta di maggiore tutela del proprio contratto o della propria salute e sicurezza sul luogo del lavoro passa soprattutto attraverso la capacità di comprensione e di comunicazione del linguaggio da parte dei lavoratori. Attualmente questa tendenza a lasciare i lavoratori immigrati con una scarsa conoscenza di base della lingua italiana è stata invertita e alcune aziende hanno posto come condizione per l’utilizzo di lavoratori stranieri che essi siano in possesso dell’attestato A2 di conoscenza di base della lingua italiana, che viene rilasciato dalla Scuola pubblica dopo un esame. Questo attestato è anche richiesto dalla nuova legislazione italiana per 99


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ottenere il permesso di soggiorno. Per superare l’esame per avere tale attestato è chiaro che il cittadino straniero deve frequentare scuole serali specifiche, il che non è semplice per chi spesso fa lavoro straordinario e in genere risiede in località periferiche. È vero che nei contratti di lavoro, a partire dallo storico CCNL metalmeccanici del 1973, esiste la possibilità del ricorso alle ‘150 ore’ . Tale innovazione contrattuale che negli anni 70 ha permesso a centinaia di migliaia di italiani di acquisire il diploma di scuola media, è di fatto da molto tempo dimenticata e non più utilizzata, e certamente non lo è dai lavoratori stranieri. Essenziale è quindi il ruolo delle scuole di italiano per stranieri (con insegnanti volontari nella maggioranza di esse o con insegnanti retribuiti dallo Stato all’interno dei Centri Territoriali Permanenti) fuori orario di lavoro. L’apprendimento di una seconda lingua straniera da parte di soggetti adulti comporta una serie di problematiche complesse e si rivela un processo piuttosto lento e faticoso per gli apprendenti. Il tempo necessario in cui apprendere una seconda lingua straniera è molto variabile da soggetto a soggetto e dipende, più per gli adulti che per i giovani, da alcuni fondamentali fattori di contesto (la provenienza linguistica originaria, la presenza massiccia o meno nel territorio della propria comunità di appartenenza, l’ambiente lavorativo in cui ci si trova ad operare ecc.) ed altri fattori personali peculiari come il grado di scolarizzazione, la conoscenza di un’altra lingua oltre a quella madre, la motivazione personale. Il percorso che può portare all’apprendimento della lingua italiana come seconda lingua necessita quindi di un modello di apprendimento integrato che coinvolga tutti gli attori necessari: da quelli che operano in contesti formali (come l’istituzione scolastica) a quelli che invece operano in contesti più informali (associazioni di volontariato e scuole di italiano gestite da volontari) senza tralasciare assolutamente l’importanza di percorsi di integrazione personale o in piccoli gruppi. Il mezzo più veloce di apprendimento della lingua, anche in un apprendente adulto, rimane infatti la pratica che ciascuno può fare frequentando quotidianamente persone e luoghi nei quali incontrare parlanti di madre lingua. Nella nostra provincia abbiamo svolto una sperimentazione, come CPTO, recandoci in molte delle scuole per stranieri esistenti a Bologna, con un modulo didattico di tre/quattro ore per sensibilizzare i corsisti sul 100


Antonio Ghibellini - Cecilia Alessandrini

tema della salute e sicurezza sul lavoro e sulle normative vigenti in Italia su questi temi. L’esperienza è stata da un lato positiva (grande era l’interesse e l’attenzione, gli scolari percepivano la utilità per loro e per la loro famiglia di acquisire informazioni su questo tema), ma anche negativa (per tutti gli allievi con una conoscenza troppo limitata dell’italiano, nonostante l’interesse al tema, i contenuti non venivano concretamente recepiti). Quindi condividiamo l’opinione di coloro che sostengono che tutto lo sforzo vada concentrato sull’insegnamento di base dell’italiano, oltre che naturalmente su una didattica moderna e interattiva, che valorizzi l’esperienza dell’adulto che partecipa ai corsi (ma questo è essenziale anche per chi parla già bene l’italiano essendo nato qui). Molto interessante ed efficace in tutta Italia si è anche rivelata l’esperienza delle “16 ore MICS” previste dai Contratti nazionali edili. Si tratta di 16 ore di formazione sulla sicurezza, prima di entrare in cantiere, con insegnamento in aula-laboratorio direttamente con macchinari e protezioni che il lavoratore userà (betoniera, ponteggio, sega circolare, DPI,ecc.) Ma anche in questo caso un minimo di italiano di base è necessario. Conclusioni I cittadini stranieri si infortunano maggiormente di quelli italiani, in particolare nel primo periodo dall’arrivo in Italia. È necessario un approccio nazionale alla in/formazione sulla sicurezza del lavoro dei cittadini stranieri (sia lavoratori sia imprenditori). Le norme statali sulla formazione di base obbligatoria approvate nel 2012 rendono sanzionabile ex ante (e non più solo post infortunio) la mancata formazione. Occorre un lavoro di rete fra enti di vigilanza, enti bilaterali, professionisti della sicurezza e parti sociali per diffondere le esperienze in/formative più creative, positive ed efficaci. Per questo il massimo uso del web è certamente utile. La certificazione della conoscenza della lingua italiana è un obbligo per varie normative di legge e prevedibilmente sarà indispensabile anche per la documentazione di efficacia della in/formazione sulla sicurezza.

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I lavoratori stranieri nel comparto agricoltura in Italia di Federica Masci 1, Chiara Somaruga 2 e Claudio Colosio 3

La manodopera straniera sta assumendo un’importanza sempre più rilevante in agricoltura e zootecnia. I dati dell’ultimo Censimento sull’agricoltura effettuato dall’ISTAT 4 evidenziano in particolare che i lavoratori stranieri, pari a 233 mila unità, rappresentano una quota del 24,8% della manodopera aziendale agricola non familiare e del 6,4% di quella complessiva. Percentuali importanti, se si considera la peculiare struttura del comparto, fatto prevalentemente di piccole aziende, che solo nel 4% hanno salariati come componente strutturale della manodopera. Il 57,7% di tale forza lavoro proviene da Paesi dell’Unione Europea, mentre il 42,3% da Paesi non appartenenti all’Unione. I cittadini extra UE hanno prevalentemente una forma di lavoro continuativa, mentre nelle forme contrattuali più flessibili sono relativamente più frequenti gli stranieri appartenenti a paesi membri dell’Unione europea. La presenza di manodopera straniera è particolarmente rilevante nelle regioni dell’Italia settentrionale. In particolare, nel Nord-est prevalgono gli stranieri dell’Unione europea, mentre nel Nord-ovest prevalgono quelli dei paesi extra-UE4. I dati relativi all’andamento dell’occupazione per professione segnalano l’accentuazione di due caratteristiche della migrazione a scopo di lavoro: accanto ad una crescita dell’occupazione degli stranieri prevalentemente nell’ambito delle professioni non qualificate, si è consolidato il modello della “specializzazione”. Diversi livelli di 1

ASL Lodi Dipartimento di Prevenzione Medica, Servizio di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro. 2 Centro Internazionale per la Salute Rurale - AO San Paolo, Polo Universitario, Milano. Università degli Studi di Milano - Dipartimento di Scienze della Salute. 3 Centro Internazionale per la Salute Rurale - AO San Paolo, Polo Universitario, Milano. Università degli Studi di Milano - Dipartimento di Scienze della Salute. 4 ISTAT, 6° Censimento Generale dell’Agricoltura – Dati definitivi Luglio 2012.

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Federica Masci - Chiara Somaruga - Claudio Colosio

istruzione media, diverse propensioni, preferenze e competenze, insieme all’operare di reti sociali giustificano forme di settorializzazione su base etnica 5 e ciò accade anche in agricoltura. Gli immigrati dall’India e dalla Romania rappresentano una quota non trascurabile dei lavoratori del settore agricolo e in particolar modo si sottolinea come gli indiani risultano essere più frequentemente impiegati nelle attività di mungitura. La presenza di lavoratori stranieri in agricoltura e zootecnia impone delle attenzioni particolari a chi si occupa di prevenzione dei rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro. Il settore, infatti, rimane uno dei più rischiosi per i lavoratori: il lavoro agricolo richiede spesso l’utilizzo di mezzi meccanici che, se da un lato contribuiscono a ridurre il sovraccarico funzionale del rachide, dall’altro sono riconosciuti essere una delle principali cause di infortunio grave 6. D’altra parte, l’eccessivo uso di forza in posizioni incongrue e movimentazione di gravi che continuano ad essere richiesti in alcune nicchie di lavoro possono contribuire all’insorgenza di eventi acuti a carico del rachide dorso-lombare che è peraltro il sistema più coinvolto dalla patologia lavoro-correlata 7. Il lavoro agricolo inoltre è per sua stessa natura incostante: la stagionalità, periodi di lavoro intenso in condizioni climatiche sfavorevoli si alternano a periodi di minore impegno in cui i lavoratori possono dedicarsi ad altri lavori informali. Questo, insieme alla non sempre buona conoscenza della lingua italiana ed alla presenza di una importante quota di lavoratori stagionali – e quindi presenti sul territorio solo in alcuni periodi dell’anno – rende difficile la programmazione di interventi di informazione e formazione soprattutto per i lavoratori stranieri e dunque rappresenta un fattore di criticità. Per alcuni gruppi di immigrati, poi, altri fattori possono contribuire ad aumentare il rischio infortunistico: ai lavoratori di fede musulmana è richiesto il rispetto del Ramadan, il mese sacro per l’Islam, in cui è richiesta l’astensione dal cibo e dalle bevande dall’alba al tramonto. Tale prescrizione può risultare pericolosa per chi lavora nei campi soprattutto quando, come nell’anno in corso, il mese di digiuno 5

INAIL RAPPORTO ANNUALE 2011 – Luglio 2012. Bucciarelli A., Agricoltura: il pericolo viene dalle macchine, in DATI INAIL Gennaio 2011. 7 Campea S., Agricoltura: localizzazione e tipologia delle malattie professionali in DATI INAIL Luglio 2011. 6

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cada in mesi estivi, in cui possono configurarsi particolari condizioni di suscettibilità al colpo di calore. Azioni di informazione sui pericoli della disidratazione e dello stress da caldo, come portate avanti da alcune Aziende Sanitarie Locali del Nord Italia 8 rivestono una grande rilevanza. L’efficacia di tali azioni è tuttavia condizionata dalla collaborazione con personalità carismatiche appartenenti alla comunità in oggetto. A questo proposito, per esempio, di grande importanza può risultare l’intervento del Imam Izzedin Elzir, Presidente dell’Unione delle comunità islamiche italiane (Ucoii) secondo cui i fedeli che svolgono lavori pesanti sotto il sole o in ambienti caldo torridi, che si trovano in difficoltà o che hanno problemi di salute possono bere acqua e interrompere il digiuno previsto dall’alba al tramonto. Per quanto concerne invece il coinvolgimento in programmi di formazione e informazione, è da tenere presente anche che non di rado il livello culturale dei lavoratori agricoli stranieri è superiore a quello atteso per la mansione svolta, per via del mancato riconoscimento da parte dell’Unione Europea di titoli di studio conseguiti in paesi extracomunitari. Tale fascia di lavoratori più scolarizzati rappresenta un importante interlocutore per il provider di formazione e può significativamente contribuire alla disseminazione delle informazioni fornite tra i colleghi a livello di scolarizzazione, o di comprensione della lingua italiana, più basso. Il coinvolgimento degli stranieri negli infortuni Nel 2010 sono state quasi 6mila (12% del totale) le denunce di infortunio a carico di lavoratori stranieri in agricoltura. Per le vittime sul lavoro si arriva ad una incidenza del 21% con oltre il 52% dei casi attribuiti alla “preparazione del terreno”, “propagazione di piante” e “coltivazioni speciali” 9. Si sottolinea inoltre che l’indice di frequenza infortunistico rispetto al triennio precedente è rimasto sostanzialmente invariato in termini complessivi (49,64 nel triennio 2007-2009, 49,71 nel triennio 20062008), con un lieve peggioramento per le tipologie di conseguenza 8

ASL Mantova e Comitato Paritetico Provinciale di Mantova “Attenzione al Gran Caldo! Semplici azioni per evitare i danni da calore durante il lavoro”. 9 Campea S., Nella preparazione del terreno agricolo i maggiori infortuni in DATI INAIL Gennaio 2012.

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dell’infortunio più gravi4. Tale dato assume una connotazione di particolare gravità se viene letto in un quadro di complessiva riduzione del fenomeno infortunistico se si considera tutta la popolazione lavorativa, compresa quindi quella autoctona. L’esperienza del Centro Internazionale per la Salute Rurale Il Centro Internazionale per la Salute Rurale dell’azienda Ospedaliera San Paolo, Centro di Collaborazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la Medicina del Lavoro, da ormai da quattro anni si occupa della sorveglianza sanitaria di un gruppo di circa 300 aziende agricole lombarde, per un totale di circa 800 lavoratori. Si è deciso di procedere ad un’indagine conoscitiva dei fattori di rischio infortunistico a carico dei lavoratori stranieri, presenti con una percentuale di circa il 24% . La percentuale sale vertiginosamente se si considerano alcune mansioni: nell’allevamento di bovini da latte, per esempio, si rileva che il 70% degli addetti a mungitura è costituito da stranieri e di questi, il 65% è rappresentato da Indiani. L’indagine, condotta con un’intervista somministrata da un operatore, ha indagato alcuni fattori di sicura rilevanza per la sicurezza sul lavoro, quali lo stato di immunizzazione verso Clostridium tetanii, la conoscenza della lingua italiana – requisito fondamentale per l’efficacia delle azioni di formazione ed informazione – , la pregressa esperienza nel settore agricolo, la scolarità. Di seguito vengono riportati i risultati ottenuti. Immunizzazione verso Clostridium Tetanii I risultati dell’indagine anamnestica, condotta su un campione di 100 lavoratori stranieri appaiati per sesso ed età ad un analogo campione di lavoratori italiani, hanno mostrato una probabilità di essere sicuramente vaccinati (determinata dalla presenza di un richiamo decennale valido registrato su documento) significativamente più elevata per gli italiani rispetto ai migranti (p .038). Il rischio di non essere vaccinati è 5.8 volte maggiore nei migranti dell’est-Europa e di 4.6 volte in quelli da altri paesi rispetto agli italiani (p. 002). A seguito di tale osservazione, si è proceduto alla determinazione sierologica del titolo anticorpale IgG verso Clostridium tetani.

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IgG antitetano - italiani vs migranti 40 35 30 25 20 15 10 5 0 <0.01 0,01 0,1 - 0,5 - 1 0,1 1,0 0,5 5,0 UI/ml

italiani migranti

%

>5

A fronte di un quadro complessivamente confortante in cui solo il 4% dei soggetti è risultato privo di protezione nei confronti di Clostridium tetani, con un titolo anticorpale < 0,01 UI/ml, si nota come la popolazione italiana sia effettivamente più protetta nei confronti dell’infezione tetanica, con il 97% dei soggetti dotati di una copertura anticorpale efficace sul medio – lungo termine, contro l’87,5% dei migranti. Inoltre, tra gli italiani sono molto più numerosi i lavoratori con una protezione valida sul lungo periodo: quelli con titolo anticorpale > 5 UI/ml sono il 39% contro il 5 % degli stranieri, come illustrato in figura. Formazione ed informazione I lavoratori stranieri intervistati dichiarano più frequentemente degli italiani (32% versus 29%; p <0.05) di aver partecipato a specifici programmi di formazione ed informazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, pertinenti al proprio compito lavorativo. Scolarità Rispetto al livello di educazione scolastica, si sottolinea come i lavoratori non italiani abbiano più frequentemente completato le scuole di grado superiore. In particolare, sono in possesso di licenza di scuola media superiore il 18% degli stranieri contro il 15% degli italiani (p < 106


Federica Masci - Chiara Somaruga - Claudio Colosio

0,05), mentre gli stranieri laureati sono piÚ del doppio degli italiani (5% versus 2%; p < 0,05). Conclusioni I lavoratori stranieri in agricoltura rappresentano una innegabile risorsa, anche e soprattutto nelle produzioni di pregio, dall’allevamento dei bovini da latte destinato alla produzione di Parmigiano Reggiano e Grana Padano, alla raccolta delle mele della Val di Non. Tuttavia, ai lavoratori stranieri va riconosciuto anche un altro ruolo, ovvero quello di essere un importante ingranaggio del sistema della prevenzione: nonostante infatti il loro accesso ai servizi sanitari sia spesso solo marginale, come evidenziato per esempio dalla bassa prevalenza di copertura antitetanica a lungo termine, coloro che sono dotati dei piÚ elevati livelli di scolarità devono essere valorizzati come elemento chiave nelle campagne di diffusione di una cultura delle prevenzione, potendo raggiungere anche i migranti integrati in maniera informale nel mercato del lavoro del nostro Paese e comunque tutti coloro che, per la loro condizione di lavoratori precari, stagionali, informali non sono coinvolti nei programmi di prevenzione ai quali, in accordo alla Legge Europea, avrebbero il diritto (e dovere) di accedere.

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Q3, 2012 AiFOS – Esperienza Spisal Provincia di Verona

Salute e sicurezza negli ambienti di lavoro e lavoratori stranieri: l’esperienza degli Spisal della Provincia di Verona (Ulss 20, 22) di Andrea Serpelloni e Manuela Peruzzi 1

Nell’ultimo decennio si è assistito ad una forte crescita della manodopera straniera, in Veneto i permessi di soggiorno sono arrivati a un totale di quasi 250.000. Questi lavoratori sono impiegati principalmente in attività stagionali come addetti alla raccolta di frutta e ortaggi. Nel biennio 2008-2009 sono state effettuate mediamente 52.000 assunzioni all’anno nel settore primario (agricoltura e pesca) e il numero di assunzioni che hanno interessato lavoratori stranieri è salito nel triennio 2007-2009 da 21.000 a 30.000 circa, arrivando a superare, a partire dal 2008, quelle dei lavoratori italiani. Nel 2010 i voucher venduti nella provincia di Verona sono stati 114.657 su un totale di 383.185, pari a 7.644 lavoratori/tre giorni/lavoro. Quasi tutte le assunzioni avvengono con contratto a tempo determinato (nel 2009 oltre 49.000, pari al 94% del totale): la loro distribuzione nell’anno vede prevalere i lavoratori italiani a gennaio, mentre nei mesi primaverili sono preponderanti i lavoratori stranieri. Le assunzioni a tempo determinato in agricoltura avvengono in assoluta prevalenza nel territorio di Verona (con due picchi stagionali: primavera e autunno). Circa la metà (49%) dei 19.609 lavoratori stranieri assunti in Veneto nel 2008, con contratto di lavoro a tempo determinato e con primo settore di impiego l’agricoltura, è stata assunta nuovamente, l’anno successivo, in ambito agricolo. I soggetti “fidelizzati” sembrano sviluppare una sorta di specializzazione nel lavoro agricolo, visto

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Servizio di Prevenzione Igiene e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro – Ulss 20 Verona.

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Andrea Serpelloni - Manuela Peruzzi

l’incremento del numero pro-capite di avviamenti nel settore primario a discapito del numero di rapporti di lavoro svolti in altri settori.

Figura 1. Flussi di assunzione di lavoratori stranieri nel settore agricolo con contratto a tempo determinato in Veneto. Fonte: elab. Veneto Lavoro

Tra questi 19.609 lavoratori, più di 6.500 sono extracomunitari. I flussi migratori più consistenti interessati al lavoro agricolo provengono da paesi della zona EU (Romania e Polonia) ma anche extra-europei (Marocco e Moldavia). I soggetti provenienti da queste quattro nazioni rappresentano il 75% delle assunzioni complessive di stranieri per il settore agricolo. I cittadini marocchini, tra le nazionalità elencate, sono gli unici che presentano un tasso di riconferma del contratto di lavoro in questo settore significativamente sopra la media (59%). Analizzando le qualifiche di assunzione è facile dedurre come le professioni meno qualificate del settore (tipicamente braccianti agricoli e manovalanza non qualificata) assorbano una quota di lavoratori stranieri (63%) di gran lunga maggiore rispetto a quella osservata tra gli italiani (37%). Tali dati sottolineano l’importanza della popolazione lavorativa straniera e la necessità di interventi, ad ampio raggio, di sensibilizzazione e informazione con la doppia finalità di garantire ai lavoratori stranieri condizioni di lavoro sicure e di favorire la loro integrazione nel mondo del lavoro. 109


Q3, 2012 AiFOS – Esperienza Spisal Provincia di Verona

Con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, viene esplicitato che i contenuti della informazione (articolo 36 comma 4) e della formazione (articolo 37, comma 13) devono essere comprensibili per i lavoratori e consentire loro l’acquisizione delle conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro. In tale contesto nasce e si sviluppa la rete “Tante Tinte”, rete che raggruppa la scuola del primo e del secondo ciclo della provincia di Verona e che si occupa dell’inserimento ed integrazione degli alunni stranieri e della loro famiglia. Nel 2010, tale rete, in collaborazione con le Organizzazione sindacali, gli Spisal delle Aziende Sanitarie 20, 21, 22 della provincia di Verona, la Coldiretti di Vr , la C.I.A. di Vr, En.BI.Av, ha predisposto un percorso sperimentale di informazione e formazione sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro per lavoratori immigrati, della durata di 3 ore. Azione sperimentale nata all’interno del progetto relativo a “Deliberazioni della giunta regionale del Veneto n. 3172 del 28 ottobre 2008 - Programma regionale di iniziative ed interventi in materia di immigrazione, anno 2008 − area "formazione". Accordo di programma tra Regione Veneto e Province del Veneto per la realizzazione di programmi formativi locali propedeutici all'integrazione degli immigrati regolari”. L’obiettivo del progetto consisteva nel ricercare, individuare e realizzare attività di formazione con la produzione di materiali divulgativi efficaci per concretizzare un’adeguata prevenzione negli ambienti di lavoro e per promuovere una crescita culturale del settore dell’agricoltura, individuando un modello replicabile per le future attività di formazione. Nello specifico, l’attività formativa, destinata a tutti i lavoratori immigrati residenti/domiciliati nella provincia di Verona, aveva i seguenti obiettivi: la promozione e il sostegno al processo di integrazione sociale e lavorativa degli immigrati; la tutela della salute del lavoratore immigrato nei luoghi di lavoro e prevenzione dei rischi nei luoghi di lavoro; il sostegno dell’imprenditore locale all’assolvimento degli obblighi di formazione dei lavoratori stagionali ai sensi del D. Lgs. n. 81/2008.

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Andrea Serpelloni - Manuela Peruzzi

La partecipazione al corso di formazione doveva permettere all’immigrato la conoscenza: della normativa specifica sulla sicurezza e sulla prevenzione; dei compiti ed obblighi dei diversi soggetti; dell’utilizzo delle attrezzature di lavoro conformi alla normativa; dei dispositivi di protezione individuali. Gli Spisal delle Aziende Sanitarie 20, 21, 22 della provincia di Verona, in collaborazione con la Coldiretti e con la C.I.A., hanno creato del materiale specifico sulla salute e sicurezza in agricoltura, tenendo conto della difficoltà derivanti dalla scarsa conoscenza della lingua italiana. A tal proposito si è deciso di utilizzare un filmato introduttivo alla sicurezza in agricoltura, di creare presentazioni con immagini esplicative dei rischi piuttosto che descrittive. Nello specifico il modulo di 3 ore è stato strutturato con il seguente programma: Modulo A (1 ora)

Modulo B (1 ora)

Modulo C (1 ora)

Organizzazione italiana riguardo alla sicurezza sul lavoro: Diritti e doveri del datore di lavoro Diritti e doveri del lavoratore I soggetti della prevenzione I rischi aziendali collettivi I rischi in agricoltura I dispositivi di protezione individuale Il rischio incendio Il rischio elettrico Il primo soccorso I rischi specifici aziendali: Il trattore, l’albero cardanico, il carro raccogli frutta, le scale La movimentazione manuale dei carichi I fitofarmaci I colpi di calore La raccolta

Al fine di raccogliere dati sul gradimento dell’attività formativa, sull’efficacia degli interventi, sulla comprensione dei messaggi trasmessi è stato inoltre creato un questionario, costituito da 5 semplici domande: Ti sei stancato? I docenti sono stati chiari? Hai avuto problemi con la lingua italiana? Conoscevi già queste cose? Hai imparato cose nuove? 111


Q3, 2012 AiFOS – Esperienza Spisal Provincia di Verona

L’azione sperimentale ha previsto l’organizzazione di 5 momenti formativi, ai quali ha partecipato un totale di 80 lavoratori di nazionalità marocchina, polacca, romena, serba e italiana. Nel primo incontro, che ha visto coinvolti 18 lavoratori di nazionalità marocchina, polacca e rumena, si è testato il materiale prodotto e sono emerse le prime difficoltà derivanti dalla scarsa comprensione della lingua italiana. Analizzando i risultati del questionario di gradimento, pur non rilevando risultati particolarmente negativi, è emerso che il 65% dei partecipanti ha fatto fatica a seguire a lezione a causa della lingua. In particolare tale difficoltà è stata riscontrata nel modulo giuridico, in cui il testo prevaleva sulle poche immagini.

Figura 2. Risultati questionario di gradimento del primo incontro.

Nel secondo incontro, al quale hanno partecipato 13 lavoratori di nazionalità marocchina sono emerse criticità simili: difficoltà nella comprensione della lingua italiana e materiale presentato troppo complicato. Di conseguenza, per le successive lezioni, il gruppo di lavoro ha deciso di rimodulare il materiale predisposto. In particolare, il modulo giuridico è stato integrato, usando l’opuscolo INAIL “Straniero, non estraneo. ABC della sicurezza sul lavoro”, con immagini e con didascalie nelle diverse lingue dei partecipanti: polacco, romeno, ucraino e arabo. Inoltre anche per quanto riguarda il modulo dedicato ai rischi specifici si sono aggiunte maggiori immagini esplicative. 112


Andrea Serpelloni - Manuela Peruzzi

Nei successivi incontri è stato testato il nuovo materiale e, attraverso la consegna ai discenti della presentazione nella propria lingua, si è riusciti ad ottenere una maggiore comprensione e partecipazione dei lavoratori. Alla fine del progetto si è giunti alla produzione di un pacchetto per la formazione dei lavoratori stranieri, ritenuto dagli stessi lavoratori efficace, disponibile sul sito dello Spisal dell’Ulss 20 di Verona e sul sito della Regione Veneto – Direzione Prevenzione. In tale contesto, si inserisce un’altra iniziativa realizzata dallo Spisal dell’Ulss 22 di Bussolengo: il progetto “Promossi. In classe!” 2, all’interno del quale è stato sviluppato un test che fosse utilizzabile da tutte le Aziende per la verifica della comprensione e della conoscenza della lingua italiana. Il test è stato formulato facendo riferimento ai parametri individuati dal Common European Framework (quadro comune di riferimento per l’apprendimento delle lingue elaborato dal Consiglio Europeo), che individua sei livelli di competenza linguistica (elementare o base A1- A2, intermedio o autonomo B1-B2, avanzato o padronanza C1-C2). Il test di “Promossi. In classe!” è stato somministrato ad un primo gruppo di aziende a giugno 2007 e la sperimentazione è stata completata nel periodo novembre-gennaio 2008. In complesso sono state contattate 5 Aziende del settore lapideo e 1 del settore alimentare, ritenute sensibili al problema. Nessuna infatti ha rifiutato la collaborazione. L’organizzazione per l’intervista dei lavoratori durante il turno di lavoro è stata a carico dell’Azienda che ha messo a disposizione un locale dotato di tavoli e sedie. La sperimentazione di questo test è stata condotta con personale del Servizio Spisal (1 educatore professionale e 2 assistenti sanitari), affiancato, per quanto riguarda la definizione del test e la somministrazione in fabbrica, da personale esterno (una insegnante di CTP e una collaboratrice laureata Educatore Professionale, attualmente iscritta al biennio di specializzazione in Interculturalità e Cittadinanza sociale). Il test di “promossi in classe” tuttavia può essere somministrato

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Responsabile del progetto: dott. Emilio Cipriani. Sottoprogetto di “Sicurezza e integrazione sul lavoro degli immigrati” – S.I.L.I. – che ha affrontato il problema dell’integrazione dei lavoratori stranieri in Italia.

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anche da personale dei Servizi di Prevenzione e Protezione Aziendali o personale docente nei corsi di formazione aziendali. Di seguito si riportano alcuni suggerimenti per le Aziende, dettati da tale esperienza progettuale: fondamentale risulta essere il coinvolgimento del Rappresentate dei lavoratori per la sicurezza (R.L.S.) e una adeguata informazione volta a far comprendere l’importanza dell’iniziativa ai fini della sicurezza di tutti i lavoratori (marketing interno). Si suggerisce inoltre di validare il test, magari su un campione di soggetti. La validazione di un test, può essere effettuata somministrando le stesse domande agli stessi soggetti dopo un periodo sufficientemente lungo da poter considerare dimenticate le domande, ma non sufficiente perché il soggetto abbia cambiato la propria situazione, cioè aver migliorato la conoscenza della lingua italiana. Un periodo di circa 10/15 giorni tra la prima somministrazione del test e la seconda può ritenersi sufficiente. Se le risposte nella seconda somministrazione sono sovrapponibili a quelle della prima, si può ritenere il test valido. Il test viene di norma utilizzato anche dagli operatori dello Spisal per le indagini di infortuni gravi in cui sono coinvolti lavoratori stranieri e per l’ammissione ai corsi per lavoratori addetti alle operazioni di bonifica dell’amianto. Il test, predisposto dal gruppo di lavoro e validato attraverso sperimentazione, è disponibile sul sito dello Spisal dell’Ulss 20 di Verona. Concludendo, è possibile affermare che la formazione si configura quale elemento fondamentale nella prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. Tale importanza viene rafforzata ulteriormente nel caso di lavoratori stranieri che, a causa di difficoltà linguistiche, presentano maggiori difficoltà nell’apprendimento. Alla luce di ciò risulta necessario rendere ancor più chiare e comprensibili le informazioni e le conoscenze che tali lavoratori devono apprendere durante le fasi formative. Le attività progettuali fin qui descritte hanno avuto quindi l’obiettivo di creare strumenti concreti e utili alle aziende e di promuovere una maggiore attenzione alla formazione dei lavoratori stranieri, sia all’interno delle aziende che nelle scuole.

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Vito Volpe - Maurizio Belloni

Stranieri per apprendere di Vito Volpe 1 e Maurizio Belloni 2

Oggi tutti noi viviamo in una società complessa e in questa prospettiva introdotta dai processi di globalizzazione è sempre più difficile definire in un modo certo lo “straniero”. Il cambiamento continuo, l’evoluzione tecnologica, l’integrazione interetnica, i social network, l’alta mobilità e tanto altro ancora fanno si che tutti siano stranieri per certe cose e tutti siano locali e “indigeni”, famigli per altre. È straniero chi non conosce la lingua del Paese in cui vive, ma anche chi parla solo il proprio dialetto, chi non conosce l’inglese che è la lingua di scambio fra persone di paesi diversi. È straniero chi non conosce internet e non sa usare i social network rispetto a chi ha dimestichezza e confidenza con essi. È straniero chi non ha le skills necessarie per agire efficacemente nei sistemi organizzativi complessi, chi non sa lavorare in gruppo, chi non sa superare il proprio narcisismo, i propri bisogni, le proprie paure, per potersi occupare di qualcosa di più, di altri e di altro. Traducendo queste semplificazioni in sintesi, possiamo dire che straniero è colui che non sa uscire dalla condizione in cui è, che non sa espatriare e andare oltre rispetto a ciò che è e a ciò che ha già.

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Fondatore e presidente di ISMO dal 1972, società che dal 2009 diventa Socio Unico di SIMKI (Gruppo con_ISMO). Ha una lunga esperienza nel campo della consulenza, della formazione degli adulti, della formazione professionale, della formazione continua e dello sviluppo organizzativo. È stato docente in diverse università italiane e in seminari di studio in Italia all’estero. È autore di numerosi libri e pubblicazioni scientifiche e professionali. 2 Partner della Società ISMO-SIMKI, dove opera come manager, formatore, consulente e ricercatore sociale. Ha curato i volumi: Servizi al Lavoro Franco Angeli 2005 (con Marco Carcano), Il lavoro atipico a Milano e Provincia Franco Angeli 2007 (con Marco Carcano) e Stranieri per apprendere: la formazione per l’inserimento lavorativo (con Marco Carcano, Giovanna Garuti, Vito Volpe e prefazione di Luciano Galetti) Franco Angeli 2011.

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Q3, 2012 AiFOS – Stranieri per apprendere

Straniero è colui che resta fermo dove è, in una conservazione e mantenimento del proprio status, della propria identità, del proprio dominio, della propria cultura. Straniero è perciò colui che non sa apprendere, trans-formarsi, cambiare. L’esistenza di chi, con facile pregiudizio, definiamo straniero svela quanto stranieri siamo a noi stessi, non solo verso gli altri, perché incapaci di scoprire e scoprirci in nuove dimensioni. Siamo stranieri quando restiamo fermi in un mondo che cambia. L’apprendimento è la nostra risposta al nuovo, alle differenze, alla trans-formazione. Nei corsi rivolti all’integrazione, al lavoro in Italia di persone di paesi e continenti diversi, tutti siamo stati stranieri se e in quanto ex-patriati dalle proprie abitudini, dalle proprie appartenenze. Per incontrare gli altri, per costruire ed imparare a costruire “nuovi legami”, tutti, docenti, tutor e allievi siamo posti in una “terra di mezzo” più sconosciuta, più incerta, per costruire una nuova dimensione sociale rivolta al futuro e non bloccata dal proprio passato. Occorre imparare una lingua nuova, un italiano contaminato da altre lingue. Un italiano per capirsi in gruppi dove su 10-15 persone (docenti inclusi) erano spesso provenienti da continenti e nazioni diverse. Imparare a stare insieme a comunicare, a relazionarsi e perciò costruire una nuova lingua italiana di contatto, di prossimità. Imparare a stare insieme riuscendo, pur con enorme fatica, a superare l’idea di un mondo ripartito, suddiviso, lottizzato per costruire comunità aperte a tutti, dove non c’è posto solo per i privilegiati, i locali, gli stabilizzati; dove non c’è marginalità ed esclusione, ma c’è rispetto delle persone e delle istituzioni, senza esclusioni. La divisione e la separazione generano già di per sé violenza. Occorre costruire, nella situazione formativa, interazione e integrazione, reciproca accoglienza, pace… fondate sul futuro, sul sentirsi tutti in viaggio e nessuno tragicamente arrivato, fermo. I docenti formatori si devono mettere in gioco come interlocutori, come referenti. Tutti stranieri in cerca di una nuova identità e di un nuovo system in the mind, capace di favorire un inserimento attivo, adulto, 116


Vito Volpe - Maurizio Belloni

interdipendente, come protagonisti di un mondo nuovo per tutti; perciò aperto a tutti. Per ciascuno si tratta di superare lo status di migrante, di straniero per costruire “qui ed ora”, intanto nel setting della formazione, poi nella comunità e nel territorio trentino, nella vita quotidiana, una nuova modalità di essere, più attiva, più interdipendente. Per integrarsi in una nuova dimensione sociale più differenziata si è cercano altri legami e le altre appartenenze (fra pakistani, fra marocchini, fra cubani, fra ucraini… fra mussulmani, fra cristiani, fra giovani, fra uomini, fra donne…) meno esclusivi e più aperti. Ex-patriare da ciò che si è già, dal proprio passato per entrare nel futuro, ricordando che il futuro non può mai essere sottomesso al passato. I migranti hanno compiono un lungo viaggio, ma dovunque arrivino il viaggio continua, dunque occorre andare avanti, proseguire, occorre apprendimento più che nostalgia, occorre cercare la bellezza possibile nella nuova dimensione costruendola fuori dal rimpianto, fuori dal passato. Il miglior modo di utilizzare il passato è proprio saperne uscire, saperlo superare. Potenziare questo atteggiamento verso il cambiamento, dunque verso l’apprendimento, è lo sforzo con cui ci deve misurare nell’e-sperienza di formazione. Tutti sono considerati come stranieri, italiani e non, perché a tutti è stato proposto di andare oltre, di cambiare, di ex-patriare da ciò che si è e si ha già per affrontare la trans-formazione che è anzitutto personale e interpersonale. In questa prospettiva di apprendimento, anche il miglioramento della lingua italiana è proposto come prospettiva di cambiamento, come risorsa strumentale per sviluppare nuove relazioni, legami, scambi con gli altri e dunque come apprendimento e costruzione del nuovo. Le attività formative devono superare la logica tradizionale della scuola e dell’insegnamento volta a colmare carenze e ad allineare saperi, conoscenze e capacità al nostro modo di vivere, alla nostra lingua italiana. Quell’approccio scolastico verticale mal si adatta a gente adulta, con una propria identità e ricchezza culturale. Produce “bambinizzazione”, non sviluppo. 117


Q3, 2012 AiFOS – Stranieri per apprendere

Perciò dobbiamo puntare ad un approccio orizzontale, paritario, partecipativo, all’interazione ed alla integrazione in cui a ciascuno, italiani e no, è posto il problema di andare oltre ciò che si è già, senza rinunciare alla propria lingua. Insomma sviluppo individuale e culturale, non rotture, conversazione e non conversione, non adattamento forzato. La bellezza di andare avanti e non l’obbligo di adattarsi. Ben inteso, la strada scelta è risultata comunque più efficace anche per imparare la lingua italiana o il linguaggio informatico. L’orizzontalità della relazione come sviluppo delle persone coinvolte, up-up e non una odiosa e inefficace gerarchizzazione fra chi sa e chi non sa una certa cosa, fra chi ha e chi non ha una determinata competenza. Per imparare bisogna avere fiducia in sé e negli altri, sentirsi riconosciuti, stimati, partecipi nel gruppo di formazione. E poi nel mondo che riconosce il valore dell’incompiutezza e della mancanza, tutti sanno cose che altri non sanno e viceversa, tutti sono stranieri, tutti sono in viaggio. I docenti devono essere compagni di viaggio non maestri, consulenti non comandanti. I corsi di formazione sono palestre in cui sperimentare la costruzione di una società più multietnica, più plurale, più aperta. Il gruppo di formazione è gruppo di trans-formazione “qui e ora” ed è stato il luogo del cambiamento personale e sociale. Conoscere e farsi conoscere, accogliere e farsi accogliere, adattarsi agli altri ma anche saper influire sugli altri, esercitare la propria leadership ma anche saper utilizzare la leadership altrui… Tutte capacità psicologiche e sociali per allargare la propria autorità su di sé e la propria capacità di relazione, di essere ed essere con. Non c’è apprendimento né cambiamento se non c’è desiderio di allargare la propria presenza oltre i confini già abitati. Il primo apprendimento è scoprire sé, il proprio mancante e il proprio desiderante. L’apprendimento della lingua italiana e di altro (cultura, istituzioni, informatica…) sono proposti non come pressione ad essere altro, ma come la conseguenza del desiderio di allargare il proprio “sé”, di costruire una comunità capace di accogliere il nuovo che è in ciascuno di noi, capace di apprendere, non come adattamento a volontà altrui, ad un 118


Vito Volpe - Maurizio Belloni

mondo estraneo, ad un mondo subìto, ma come costruzione di un mondo in cui si può stare tutti insieme. Non a caso l’apprendimento linguistico è assai più forte, quando i temi di discussione e di confronto riguardavano questioni di fondo della propria storia, dei propri vissuti, delle rispettive identità: il rapporto fra maschi e femmine, la famiglia, l’educazione, la religione, il lavoro, i rapporti internazionali, la pace. Il metodo è quello della conversazione non direttiva e non della conversione, dell’insegnamento. Sviluppare le proprie differenze non per omogeneizzarsi, ma per utilizzarsi, non per dimenticarle, ma neppure per restarne chiusi dentro. Cambiare tutti, espatriare tutti non senza resistenze e paure. A tutti viene posto un problema più grande, quello di ristrutturare la propria persona in una realtà nuova e in divenire. I modelli culturali e i valori introdotti con l’azione formativa sono perciò quelli dell’apertura a sé e all’altro, del gruppo e dell’istituzione, della soggettività come diritto ad essere a modo proprio, ma anche della relazione, della parità, dell’accoglienza, del dubbio e della socialità: ciascuno può apprendere, cambiare e dunque essere altro rispetto a ciò che già è, ma in logica di sussidiarietà e dunque di centralità del soggetto e delle sue speranze e attese (motus e non status). Tanti mondi, non un mondo uguale per tutti. Un mondo da costruire e non un mondo definito, pre-costruito. Perciò valori relazionali come supporto della costruzione di luoghi plurali in cui si può con-vivere con le proprie specificità e le proprie differenze, ma anche essere uniti. Per apprendere occorre accettare di essere stranieri, di essere in viaggio in una continua ridefinizione della propria identità e delle proprie relazioni interpersonali e sociali. La sperimentazione pratica di tutto quanto sopra esposto è avvenuta nel territorio di Trento tra il 2009 e il 2011 dove la Società Simki del gruppo con_ISMO (di cui gli autori dell’articolo sono Partner) ha partecipato al “Programma Anticrisi” della Provincia Autonoma di Trento, attuato per il tramite dell’Agenzia del Lavoro di Trento e con il contributo degli Enti Accreditati, che ha messo in atto una vasta attività di formazione con l’obiettivo di investire sulla crescita, il rafforzamento e lo sviluppo del capitale umano, puntando in particolare sullo sviluppo 119


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dell’occupabilità delle persone, investendo sulle competenze tecniche e di cittadinanza necessarie a favorire il re-inserimento nel mercato del lavoro. Interpretando questa domanda, Simki con_ISMO (uno degli Enti Accreditati appunto), si è posta l’obiettivo di costruire un’offerta formativa capace di agire su due livelli fra loro integrati. Lo sviluppo di competenze tecniche (siano esse l’informatica, la lingua inglese, le tecniche amministrative e di vendita, la lingua italiana) e di competenze trasversali (culturali, di cittadinanza, di relazione, di presa di coscienza delle proprie risorse/potenzialità e di come utilizzarle al meglio nel contesto di riferimento). Tutto questo percorso di sviluppo di competenze sia tecniche che trasversali è stato finalizzato ad accrescere le possibilità occupazionali dei disoccupati trentini in vista di un loro inserimento lavorativo. In particolare, la scelta di operare nella direzione di privilegiare all’interno della platea dei soggetti disoccupati la componente straniera è nata dall’intuizione, dalla riflessione e dall’attenta analisi della realtà territoriale trentina svolta dagli operatori di Simki con_ISMO. Congruentemente alla proposta, l’approccio metodologico realizzato in aula è stato soprattutto di tipo esperienziale, atto perciò ad integrare diversi livelli di apprendimento (sapere, saper fare, saper essere). L’aula è diventata un “laboratorio” dove produrre ricerca, analisi, confronto, rielaborazione, progettazione, dove imparare ad imparare, sperimentare, tessere relazioni per trasferire poi il tutto nella prassi quotidiana e professionale. Sia le competenze tecniche sia quelle trasversali sono state trattate in modo attivo, utilizzando metodologie attive quali role play, simulazioni, studi di caso, game, dinamiche di gruppo, t–group. L’esperienza agita dai partecipanti è stato pretesto di analisi e riflessione in aula, al fine di modellizzare l’esperito e pianificarne il trasferimento nel quotidiano e nel professionale. Il lavoro in aula è agito nella dimensione di gruppo, ritenendo il “lavorare insieme”, valore aggiunto in termini di opportunità di apprendimento (tecnico e relazionale). In sostanza si è cercato di interpretare il mandato formativo nell’ottica non solo dell’insegnare, ma dello sviluppare la condizione umana, in un contesto comunque nuovo e diverso. 120


Vito Volpe - Maurizio Belloni

Più valenze dunque: quella formativa, quella integrativa, quella psicologica. Accoglienza, sviluppo, integrazione multietnica e non solo. In sintesi in questa esperienza sono stati realizzati ben 49 corsi così come di seguito descritto. Corsi della durata di 160 ore - Informatica per lavorare (corso di base) - 8 edizioni - Conoscere la lingua italiana per migliorare le possibilità occupazionali (già Italiano base per stranieri) - 22 edizioni Corsi della durata di 320 ore di cui 240 d’aula e 80 di tirocinio - Imparare la lingua e la cultura italiana per lavorare (già Lavorare in Italia: istruzioni per l’uso) - 13 edizioni Corsi della durata di 640 ore di cui 440 ore d’aula e 200 di tirocinio - Addetti alle attività commerciali e di vendita - 3 edizioni - Addetti all’attività amministrativa e di gestione del personale 3 edizioni. Ci preme ricordare che in tutti i corsi sono state introdotte tecniche laboratoriali per l’addestramento specifico al lavoro di gruppo, all’agire in squadra, alla gestione di ruoli organizzativi. In questa direzione sono state utilizzate tecniche analitiche per consentire un apprendimento emotivo e cognitivo di grande efficacia. Imparare ad imparare partendo dalle narrazioni ed esperienze vissute. L’universo complessivo dei partecipanti ai corsi realizzati Simki con_ISMO, è stato di 611 persone di cui i formati (cioè quelli che hanno realizzato almeno il 70% delle ore previste) sono n. 389 cioè il 64% del totale. Venendo alle caratteristiche principali o se si vuole alla fisionomia del campione di riferimento possiamo constatare che questa popolazione era in gran parte maschile (64%) mentre le donne rappresentavano il 36% ed è stata soprattutto straniera per l’87% dei casi mentre per il 13% è stata composta da italiani. Le nazionalità sono state le più varie e in grado di coprire tutti i continenti come Africa, America, Sud America, Asia, Europa, Est Europa, anche se la maggior prevalenza è stata quella dei pakistani che 121


Q3, 2012 AiFOS – Stranieri per apprendere

hanno rappresentato il 28% dei partecipanti, dei marocchini il 21%, dei rumeni e degli albanesi entrambi il 5%, dei tunisini il 4% e degli algerini il 3%. Seguono con percentuali minori i colombiani, i kossovari, i brasiliani, i bulgari, i cubani, i moldavi, gli ucraini, gli afgani, i bengalesi, i macedoni ecc. Potremmo dire una moltitudine di etnie, di culture, di usanze, di mentalità estremamente ricca ed eterogenea. L’età media calcolata dei frequentanti i corsi è stata di 33 anni. Il livello di studio di queste persone è stato in prevalenza di percorsi di studio brevi, infatti la maggior parte (62%) ha titoli di media inferiore o più bassi, con la licenza media al 45%, quella elementare al 9% e l’8% non possiede nessun titolo, mentre ci sono stati anche diversi laureati. La condizione occupazionale è stata per tutti quella di disoccupato alla ricerca di nuova occupazione. Infine, in merito agli esiti finali dei corsi abbiamo raccolto pareri/informazioni dei partecipanti al termine dei corsi e abbiamo somministrato un questionario telefonico a qualche mese di distanza dalla fine della formazione. Dai dati elaborati emerge che un significativo 60% dei corsisti ha trovato occupazione dopo i corsi e che quasi l’80% di essi sta ancora lavorando, fatti che testimoniano l’utilità di queste esperienze formative e di stage, ma anche la loro grande capacità di rendere i partecipanti capaci di adattarsi al mercato del lavoro e alle esigenze del tessuto produttivo locale. Un altro dato interessante emerso è che il 12% dei corsisti ha fatto anche altra formazione, nella maggior parte di tipo professionalizzate (cameriere, elettricista, manutentore, magazziniere, addetto vendite, pizzaiolo). Per quanto riguarda invece la percezione circa l’utilità dei corsi per l’inserimento lavorativo la stragrande maggioranza dei partecipanti ha dato una valutazione altamente positiva al 57% e un giudizio abbastanza positivo al 35%.

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Fabrizia Archetti – Danilo Ruberto

Strumenti di lavoro per il formatore alla sicurezza: la proposta del gruppo di lavoro AiFOS di Fabrizia Archetti 1 e Danilo Ruberto 2

Premessa La Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano del 21 dicembre 2011, ha approvato l’intesa sull’Accordo previsto dall’art. 37, comma 2, del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche e integrazioni; tra i vari aspetti affrontati, fondamentale è l’interesse rivolto all’organizzazione della formazione dove si precisa che “nei confronti dei lavoratori stranieri i corsi dovranno essere realizzati previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare e con modalità che assicurino la comprensione dei contenuti del corso di formazione …” 3; inoltre per quanto concerne la “metodologia di insegnamento/apprendimento” è importante privilegiare un approccio interattivo che comporti la centralità del lavoratore nel percorso formativo tramite il perseguimento di un equilibrio tra lezioni frontali, 1 Laureata in Assistenza Sanitaria (Università degli Studi di Brescia, titolo della tesi: “Indagine conoscitiva sulla gestione delle patologie croniche e implementazione del Chronic Care Model nell’Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia”). Laureanda Magistrale presso l’Università degli Studi di Milano in “Scienze delle professioni sanitarie della Prevenzione”. Gruppo di lavoro AiFOS “Lavoratori stranieri”. 2 Perfezionato con Master Universitario di II livello in “Valutazione, formazione e sviluppo delle risorse umane. Analisi organizzativa e interventi, prevenzione del rischio“ (Università degli Studi di Padova, Facoltà di Giurisprudenza, Medicina Chirurgia, Psicologia, Scienze della Formazione. Titolo dell’elaborato finale: “Valutazione e Prevenzione dei rischi: il ruolo degli organismi paritetici“); Dottore Magistrale in Scienze Politiche (Università degli Studi di Padova, titolo della tesi: “Il polo tecnologico nell'Economia della Conoscenza: il caso di Sophia-Antipolis“; dipendente del Ministero dell'Interno presso l'Ufficio Immigrazione della Questura di Brescia; Istruttore Pronto Soccorso e Trasporto Infermi (P.S.T.I.) della Croce Rossa Italiana; Volontario del Soccorso della Croce Rossa Italiana in convenzione con AREU 118 di Brescia; Gruppo di lavoro AiFOS “Lavoratori stranieri”. 3 Accordo tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano per la formazione dei lavoratori, ai sensi dell'articolo 37, comma 2, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. (Rep. Atti n. 221/CSR).

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esercitazioni teoriche e lavori di gruppo, privilegiando appunto metodologie di apprendimento interattive e innovative 4. Al fine di sostenere i formatori ad assolvere tale obbligo di adeguare la formazione alle caratteristiche dei lavoratori stranieri, si è pensato di procedere mediante la produzione di strumenti utili a favorire la trasmissione dei concetti più importanti e la comprensione delle nozioni relative alla salute e sicurezza negli ambienti di lavoro mediante l’utilizzo della lingua veicolare. Tra le questioni trattate si è approfondito il tema della percezione del rischio. Si farà riferimento al settore dell’edilizia, dell’agricoltura e della ristorazione in quanto si contraddistinguono, visto l’alto tasso di infortuni, per essere tra le attività lavorative più rischiose; tuttavia questo non esclude di realizzare il medesimo lavoro prendendo in considerazione gli altri settori, soggetti comunque a rischi. È risaputo che le attività in tali settori siano particolarmente rischiose, ma è altrettanto noto che spesso questa rischiosità sembrerebbe essere mascherata da indifferenza e scarsa percezione. È emblematica la famosissima foto in cui degli operai edili fanno pausa pranzo seduti, senza alcun tipo di tutela, su di una putrella ad un’altezza inquietante, come se fossero rilassati su una panchina in un parco. La percezione del rischio infatti soffre spesso di routine, soprattutto nei lavoratori con maggior esperienza, in quanto il correre rischi diviene un’abitudine ai pericoli con cui si convive quotidianamente; la percezione, in queste condizioni, si riduce al minimo se nonché viene annullata completamente. La normativa che impone il rispetto di determinati comportamenti da sola non può conseguire i risultati attesi; in tale contesto la formazione ha l’importantissimo compito di intervenire e correggere questa distorsione della percezione. Occorre tutelare maggiormente la persona facendo particolare attenzione a quelle classi più sensibili al problema. Troppo spesso si pensa che un evento nefasto si verifichi semplicemente perché doveva succedere per destino. Questo comportamento è da correggere. Si tratta di una variabile della personalità del lavoratore cioè della percezione che ciascuno ha di controllare la realtà, della capacità di affrontare e 4

Ibidem, punto 3, pg. 6.

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comprendere una situazione specifica e/o di percepire le conseguenze che l’azione stessa produce. È doveroso individuare un legame con esperienze precedenti che possano aver influenzato il modo di concepire il proprio comportamento in relazione alle conseguenze dell’azione intrapresa. Dal punto di vista psicologico si tratta del costrutto denominato Locus of Control. Rotter, uno dei maggiori esponenti in questa tematica, ha individuato due ideali di individui estremi: 1) i soggetti interni che percepiscono le conseguenze di un comportamento come dipendente soltanto da loro stessi (Locus interno); 2) i soggetti esterni che credono di non poter controllare, con il loro comportamento, il flusso degli eventi e che questi siano, invece, governati dalla fortuna, dal destino, dal caso o da altre persone (Locus esterno). In letteratura c’è chi ha voluto attribuire una valenza positiva ai soggetti interni, considerandoli più intelligenti, razionali, carismatici e, per contro una valenza negativa ai soggetti esterni considerati ignoranti, fatalisti e pigri. È stato dimostrato che un soggetto interno in caso di fallimento (nel nostro caso di infortunio) tende a risentirne maggiormente in quanto imputerebbe la colpa unicamente a se stesso. Al contrario, il soggetto esterno tenderebbe a risentirne meno in quanto il verificarsi dell’evento negativo non sarebbe da imputarsi unicamente a se stesso. Ciò che a noi interessa è incentivare nell’individuo la consapevolezza del fatto che una parte degli eventi dipende dal proprio comportamento. Nelle ricerche effettuate in ambito lavorativo, con particolare riferimento agli infortuni sul lavoro, gli individui con Locus of Control esterno sono quelli maggiormente colpiti. Formazione lavoratori stranieri: l’esperienza di AiFOS Ritornando alla questione relativa alla formazione dei lavoratori stranieri il discorso si complica ulteriormente. Ormai il mercato del lavoro si nutre di questi lavoratori ed in futuro le statistiche nazionali 125


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prevedono che ve ne sarà ancor maggior necessità. Questi lavoratori provengono da culture differenti nelle quali spesso il concetto di tutela del lavoro e quello di sicurezza sul lavoro sono particolarmente trascurati, se non completamente assenti in alcuni casi. È proprio qui che il legislatore ha voluto porre particolare attenzione, curando l’accesso alla formazione di base con l’accertamento della comprensione e conoscenza della lingua veicolare, stimolando la produzione di strumenti utili al perseguimento di tale fine. Non si tratta di imporre una cultura differente, quale potrebbe essere la nostra, ma di proporre una comunicazione efficace. In un ambiente lavorativo contraddistinto da una presenza di etnie differenti è necessaria l’esistenza di una comunicazione alimentata da un linguaggio comune che altro non può essere che l’italiano. La non comprensione è un problema importante. Una formazione efficace del lavoratore straniero è possibile solo se vi è una conoscenza basilare della lingua italiana. I vari tentativi di proporre materiale multilingue sono incoerenti con le necessità formative reali del lavoratore considerato incluso in un gruppo di lavoro 5. Tale materiale può esser utilissimo per assolvere l’obbligo previsto di informazione, ma non di formazione. È necessario, oltreché di fondamentale importanza, creare un linguaggio comune in quanto questi strumenti multilingue non fanno altro che contribuire a mantenere la distanza in fase comunicativa senza produrre quel cambiamento necessario nella realtà lavorativa. I dati statistici affermano che gli infortuni, oltre quelli mortali, sono maggiormente frequenti tra i lavoratori stranieri; ciò vuol dire che la cultura della sicurezza non è ben recepita e quindi è mal trasmessa dai normali strumenti utilizzati nell’attività formativa. Per questo motivo AiFOS ha deciso di costituire un gruppo di lavoro per sviluppare un progetto relativo alla creazione di strumenti che possano facilitare la comunicazione e la trasmissione della cultura della sicurezza, agevolando l’adempimento dell’obbligo formativo dei lavoratori stranieri.

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Sul punto si veda anche l’intervento di Rocco Vitale pubblicato nella versione on-line di questo Quaderno pubblicata in formato e-book sul sito istituzionale AiFOS e disponibile per i soci.

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È costruttivo rendersi conto che per migliorare tutto il sistema della salute e sicurezza è necessario promuovere la piena integrazione di questi lavoratori e per poter raggiungere tale obiettivo devono esser messi nelle condizioni di poterlo fare, con ogni strumento disponibile. Portare il lavoratore straniero allo stesso livello di quello italiano, in termini di percezione del rischio, è un must per giungere ad un punto di partenza qualitativo idoneo per il miglioramento del sistema salute e sicurezza inteso nella sua globalità. Negli ultimi 10 anni si è assistito ad un incremento importante del tasso di crescita delle popolazioni straniere. La nostra società è divenuta multietnica. Tenendo in considerazione l’elevata percentuale di infortuni subiti dai lavoratori stranieri possiamo affermare che la formazione pregressa, inerente la salute e sicurezza dei lavoratori stranieri, non ha prodotto i risultati attesi e sicuramente non è stata ben recepita per i problemi già esposti. Per questo motivo il nostro legislatore ha ritenuto opportuno porre l’attenzione sulle caratteristiche soggettive di ogni lavoratore. L’art 28 del Decreto Legislativo 81/2008 (oggetto della valutazione dei rischi, Titolo I, Sezione II: Valutazione dei rischi) prevede la Valutazione dei Rischi quale processo di analisi obbligatorio da svolgere in ogni contesto lavorativo, come un intervento non più solo mirato a cogliere le potenziali fonti di rischio presenti nell’ambiente di lavoro (come il rischio rumore, il rischio da agenti chimici, biologici, da movimentazione manuale dei carichi, da videoterminale, da vibrazioni, quindi rischi di natura tradizionale), ma anche come indagine sulla relazione tra il tipo di lavoro, l’ambiente in cui si svolge e le caratteristiche tipiche delle lavoratrici e dei lavoratori presenti nelle diverse popolazioni 6. Le lavoratrici ed i lavoratori devono necessariamente ricevere tutte le attenzioni, le tutele e gli strumenti adeguati alle proprie caratteristiche (correlati allo svolgimento della mansione lavorativa e non all’individualità e alla personalità). 6

Barbato, L. & Frascheri, C. (2009). Salute e Sicurezza sul lavoro: guida al Decreto Legislativo 81/2008 integrato con il Decreto Legislativo 106/09, Edizione Lavoro, p. 32-33.

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Il nuovo approccio di analisi e valutazione dei rischi pone in evidenza alcuni elementi di grande rilievo e importanza; si richiede una rilettura trasversale dei dati di esposizione prendendo in considerazione alcuni fattori particolari, tra cui la provenienza da altri paesi 7. Dovranno quindi essere valutate le eventuali influenze che tale fattore possa determinare nei riguardi di un’eventuale esposizione a fonti di rischio (superando il solo elemento della lingua, si pensi alla sorveglianza sanitaria) 8. Come già evidenziato, i lavoratori stranieri vengono impiegati ampiamente in settori produttivi che costituiscono il pilastro della nostra crescita economica specialmente nel settore delle costruzioni, in agricoltura, turismo e manifattura. Dobbiamo tenere in considerazione che il momento storico-economico che stiamo vivendo è difficile. In momenti di crisi si è fortemente predisposti al risparmio e al taglio dei costi ritenuti superflui; tra questi è erroneamente considerato voluttuario il costo relativo alla formazione alla salute e sicurezza dei lavoratori con conseguenze importanti e con effetti disastrosi che potrebbero ripercuotersi nel lungo periodo. È fondamentale che i lavoratori stranieri si integrino nel miglior modo possibile, che apprendano la lingua italiana, i nostri modelli di comportamento e culturali relativi alla sicurezza. Senza un’adeguata integrazione difficilmente potremo attenderci buoni risultati nel campo della salute e sicurezza. Il Governo ha deciso di perseguire questo importantissimo obiettivo, nei confronti dei cittadini stranieri, collegando il rilascio del permesso di soggiorno allo svolgimento di attività formativa 9. 7

Ibidem. Ibidem. 9 Anche in questo contesto, ancora una volta, il legislatore ha dimostrato di comprendere la situazione e favorire la creazione di condizioni fondamentali alla promozione della cultura necessaria per perseguire gli obiettivi posti dalla Comunità Europea, recepiti dal Governo Italiano. I meriti del legislatore derivano dal recentissimo Accordo d’integrazione tra lo Stato e lo straniero: dal 10 marzo 2012 agli stranieri che richiedono il rilascio di un permesso di soggiorno verrà richiesto di sottoscrivere un “Accordo di integrazione” nel cui preambolo riporta: “L’integrazione, intesa come processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio nazionale, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, si fonda sul reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società. In particolare, per i cittadini stranieri integrarsi in Italia presuppone l’apprendimento della lingua italiana e richiede il 8

(segue)

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Alla luce delle evoluzioni normative, che prevedono un incremento dell’impegno formativo, l’obiettivo del gruppo di lavoro, costituito presso AiFOS, è stato quello di rendere operative tali indicazioni al fine di favorire l’integrazione/inclusione dello straniero nelle nostre organizzazioni lavorative, attraverso l’elaborazione di strumenti didattici utili ai formatori della sicurezza per l’espletamento di percorsi formativi comprensibili anche dai lavoratori stranieri. Questo permetterà di migliorare la condizione lavorativa di quelle persone meno tutelate, con effetti direttamente benefici nell’organizzazione presso cui lavorano. Maggiore è la conoscenza, perseguibile mediante un’efficace attività formativa, minori saranno i rischi sul lavoro e minori saranno i costi sociali derivanti dall’infortunio sul lavoro.

rispetto,l’adesione e la promozione dei valori democratici di libertà, di eguaglianza e di solidarietà posti a fondamento della Repubblica italiana. A questi obiettivi mira l’accordo di integrazione che, ai sensi dell’art. 4-bis del testo unico delle disposizioni concernenti l’immigrazione, lo straniero è tenuto a sottoscrivere contestualmente alla presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno, quale condizione necessaria per ottenere il permesso medesimo”. In base a questo accordo lo straniero si impegna, nei confronti dello Stato italiano (rappresentato dal Prefetto o da un suo delegato), ad acquisire una conoscenza della lingua italiana parlata equivalente almeno al livello A2 ed una sufficiente comprensione dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica con particolare riferimento ai settori della sanità, scuola, servizi civili, lavoro e obblighi fiscali. Lo Stato invece si impegna ad assicurare i diritti sanciti dalla Carta Costituzionale, a garantire, in accordo con le regioni e gli enti locali, il controllo del rispetto delle norme a tutela del lavoro dipendente e favorisce il processo di integrazione dell’interessato attraverso l’assunzione di ogni idonea iniziativa in raccordo con le regioni, gli enti locali e l’associazionismo non profit. Un percorso questo perseguito anche da altri stati membri dell’Unione Europea. Riassumendo, quindi, il Governo si impegna nel fornire gli strumenti per l’apprendimento della lingua, della cultura e dei principi generali della nostra Costituzione mentre il cittadino straniero si impegna a rispettare le regole al fine di perseguire un processo di integrazione. Un accordo questo che coniuga gli interessi di tutti, ma soprattutto un elemento viene messo in risalto, la persona: infatti è presa in considerazione quale fattore importante disposta al cambiamento per migliorare la propria condizione e di conseguenza migliorare la condizione dell’intera società. La società, la comunità, lo Stato sono lo specchio che riflette la condizione del singolo individuo, quindi se a tutti vien data la possibilità di migliorare innegabilmente migliorerà tutto il sistema. È da tenere in considerazione la “disposizione transitoria” inserita nel decreto legislativo sulle sanzioni per chi assume lavoratori stranieri irregolari approvato il 6 luglio dal Consiglio dei Ministri e in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. L’art. 5 di detta “disposizione transitoria” prevede la possibilità per i datori di lavoro di regolarizzare i lavoratori stranieri irregolarmente presenti sul territorio nazionale da almeno dalla data del 31 dicembre 2011. Inoltre l’elemento importante da mettere in evidenza è per il lavoratore e il datore di lavoro, mediante la comunicazione obbligatoria di assunzione al Centro per l’Impiego, l’estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi relativi alle violazioni elencate al comma 6 della disposizione transitoria presa in considerazione.

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Alcuni strumenti utili per il formatore10 Questo lavoro, frutto dell’esperienza maturata in AiFOS, ha un obiettivo nobile, quello di migliorare la cultura della sicurezza nelle persone che costituiscono la nostra comunità. Gli strumenti prodotti sono utili al formatore per semplificare la comprensione e quindi favorire la conoscenza di nozioni base necessarie all’espletamento del percorso formativo, indipendentemente dalla categoria di rischio a cui l’organizzazione lavorativa appartiene. Tali strumenti permetteranno di comprendere il messaggio trasmesso mediante l’utilizzo del linguaggio veicolare, affrontando così uno dei principali problemi in fase formativa: la mancanza di un’adeguata conoscenza della lingua italiana. Gli strumenti che abbiamo realizzato mirano prodromicamente all’accertamento della conoscenza della lingua italiana e secondariamente ad incrementare la consapevolezza e la conoscenza dei termini e dei concetti necessari per intraprendere il percorso formativo generale della salute e sicurezza sul lavoro. Si è ritenuto utile produrre strumenti centrati sulla comprensione di determinate parole utilizzabili sia individualmente che in gruppi di lavoro, in grado di far riflettere lo straniero sul significato del termine stesso. Questionario conoscitivo Tra gli strumenti realizzati vi è il “questionario conoscitivo” dotato di una griglia di punteggio. Di per sé non è uno strumento didattico, ma può rivelarsi molto utile per il formatore al fine di identificare il livello medio di conoscenza della lingua italiana dei discenti che si troverà di fronte nell’espletamento dell’attività formativa. Si tratta di uno strumento d’indagine semplice, di facile e veloce somministrazione ed elaborazione dei risultati. Si compone di dodici domande suddivise in tre parti:

10 Gli strumenti per il formatore qui brevemente illustrati saranno inseriti nei supporti didattici per la formazione diffusi da AiFOS e disponibili per coloro che li acquisteranno a partire dalle edizioni successive ad ottobre 2012.

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1) una domanda relativa alla “formazione pregressa” utile per conoscere il livello d’istruzione; 2) una domanda relativa al “lavoro”, utile per conoscere il contesto lavorativo in cui è inserito il lavoratore ed il relativo ruolo nell’organizzazione. Questo quesito non sarà utile al fine del computo del punteggio, ma lo sarà per il formatore per uniformarsi al contesto lavorativo; 3) dieci domande relative alla “anamnesi del lavoratore”, utile al formatore più attento per analizzare il livello di conoscenza della lingua italiana, correlata al livello di inclusione sociale. Una volta riportate le risposte nella griglia di riferimento si otterrà un punteggio finale che identificherà tre classi: una con punteggio compreso tra zero e tre, un’altra tra quattro e dieci punti ed un’altra con punteggio superiore a 10. Sulla base di questa classificazione il formatore potrà adottare determinati strumenti ritenuti più idonei. Qualora si riporti un punteggio tra zero e tre sarà consigliabile indirizzare il lavoratore verso un percorso formativo mirato, in quanto l’apprendere nozioni relative alla salute e sicurezza richiede un livello minimo di conoscenza della lingua italiana. Cruciverba e parole intrecciate In seguito al questionario conoscitivo il formatore si può avvalere dei seguenti strumenti: “I cruciverba e le parole intrecciate” aventi lo scopo di concentrare l’attenzione del lavoratore straniero su concetti e parole che necessariamente devono esser conosciute affinché la formazione possa conseguire i risultati attesi. Le parole intrecciate hanno un livello di difficoltà minimo ed è lo strumento idoneo per i lavoratori che nel questionario conoscitivo hanno riportato un punteggio compreso tra quattro e dieci. Per contro, per punteggi superiori a 10 il formatore potrà somministrare il cruciverba. La differenza sostanziale di difficoltà risiede nel fatto che nel primo strumento le parole sono scritte e da cercare nel riquadro, mentre nel secondo le parole da scrivere devono essere individuate leggendo una definizione.

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Figura 1: Parole intrecciate

Figura 2: Cruciverba

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Questi strumenti possono esser utilizzati sia sul singolo lavoratore che in gruppi di lavoro. Si da altresì atto che maggiori vantaggi, al fine dell’efficienza formativa, si possono ricavare laddove questo strumento venisse somministrato in modalità “gruppo di lavoro”, in quanto l’interattività favorirebbe quel circolo virtuoso di continuo confronto ed arricchimento reciproco tra i partecipanti al corso. Il formatore ha facoltà di presenziare al lavoro da svolgere; il suo ruolo principale è quello di accertare che i membri del gruppo siano consapevoli del significato di ogni parola, qualora si rilevassero lacune e incomprensioni è d’obbligo intervenire al fine di favorire la comprensione e colmare le mancanze. Durante lo svolgimento dei lavori, tra i vari suggerimenti proposti, il formatore, potrà raccomandare ai membri del gruppo di prendere nota delle parole che possano aver creato problemi di comprensione e quali il gruppo non è stato in grado di risolvere autonomamente in modo tale che in fase di debriefing tali lacune possano esser colmate. Precisiamo che il lavoro di gruppo è da privilegiare, quando possibile, in quanto stimola la collaborazione, l’interattività e il mettersi in gioco; 132


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in gruppo si favorisce lo scambio di idee e informazioni: un soggetto può venire a conoscenza di nozioni importanti da un altro membro che a sua volta può arricchire il suo bagaglio di conoscenze da un altro compagno di lavoro; grazie a questo reciproco scambio si stimola la crescita personale di tutti i partecipanti. Questo scambio è fondamentale anche sul lavoro in quanto senza condivisione, collaborazione e comunicazione tutto il sistema della salute e sicurezza non potrebbe funzionare. Il formatore dovrà quindi porre l’accento sull’importanza del gruppo di lavoro e sull’interazione tra tutti i membri per il raggiungimento degli obiettivi, esplicitando chiaramente che tale comportamento è da apprendere e replicare ogni qualvolta ve ne sia l’esigenza, soprattutto per situazioni che riguardino la tutela della salute e della sicurezza. Supporti grafici Per accertare ulteriormente l’effettivo apprendimento, si sono creati supporti didattici che esplicano con metodologia grafica e visiva i termini ed i concetti presi in considerazione nella formazione generale dei lavoratori ai sensi dell’Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011. Sono contenute delle immagini trattanti i soggetti della sicurezza sul lavoro e delle vignette relative ai tre settori presi in considerazione in questa prima fase di sviluppo del progetto: costruzioni, agricoltura e ristorazione. Tali vignette aiutano il discente nella comprensione del significato di determinati termini. In particolare viene trattata la tematica della percezione del rischio, i concetti stessi di rischio, pericolo, danno, probabilità, valutazione del rischio, i soggetti della sicurezza, e così via. Si precisa che tali immagini hanno la peculiarità di favorire l’interattività in quanto il formatore dovrà stimolare la partecipazione del discente invitandolo ad individuare l’elemento che è oggetto dell’unità didattica presa in considerazione.

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Figura 3: Pericoli da identificare

Figura 4: Pericoli identificati

Figura 5: La percezione del rischio

Figura 6: I soggetti della sicurezza

Supporti video L’INAIL sul proprio portale web mette a disposizione supporti video. Si tratta di brevi animazioni computerizzate in 3D che affrontano in modo spiritoso, ma incisivo, i pericoli quotidiani della vita lavorativa. I filmati sono destinati a tutte le categorie e sono utili per stimolare un confronto diretto tra i discenti, durante determinate sessioni formative, relativamente ai rischi che vi possono essere nell’ambiente di lavoro. Particolare attenzione viene posta ai neo assunti, studenti delle scuole medie e professionali. Inoltre, poiché i filmati utilizzano un tipo di comunicazione visiva e acustica e sono privi della comunicazione verbale, si prestano in maniera efficace per i corsi di formazione destinati a lavoratori stranieri 11.

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Questi filmati sono stati prodotti nella Comunità Europea e sono il frutto della collaborazione di sei Istituti impegnati nel settore della sicurezza e tutela della salute negli ambienti di lavoro: INAIL, HVBG tedesca, INRS francese, HSE inglese, SUVA svizzera e ARBETARSKYDDSSTYRELSEN svedese.

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L’attore principale di questi filmati è il famosissimo NAPO che interpreterà numerosissime situazioni tipicamente rischiose negli ambienti di lavoro. Tra i tantissimi filmati disponibili sul portale sono stati presi in considerazione quelli che secondo noi presentavano un tipo di rischio particolarmente diffuso. Per facilitare il formatore si è proceduto nel riassumere brevemente il contenuto di ciascun filmato, in maniera tale da facilitare il reperimento del video ritenuto più idoneo per la sessione formativa specifica. Test di valutazione Si è realizzato, inoltre, uno strumento utile alla valutazione dell’efficacia dell’attività formativa, pregressa ed attuale. Si tratta del “test di valutazione” strutturato e suddiviso in specifiche aree tematiche coerenti con il supporto didattico (CD) già prodotto da AiFOS relativo alla formazione generale dei lavoratori ai sensi dell’art. 37 del D. Lgs. n. 81/08 e dell’Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011; questo test permette di individuare con semplicità ed estrema precisione le nozioni da riprendere in fase formativa. Un altro pregio è l’utilità che ne deriva nel caso in cui il formatore intenda concentrare l’attività formativa su specifici argomenti in quanto questo strumento permette di estrapolare le schede di valutazione in relazione all’argomento che si intende trattare. Il formatore potrà utilizzare questo test di valutazione in diverse modalità e momenti: 1. in caso di aggiornamento formativo dei lavoratori; il formatore utilizzerà il test di valutazione al fine di analizzare i bisogni formativi dei lavoratori. A tal scopo, il test dovrà esser somministrato anteriormente l’inizio del corso di aggiornamento, al fine di progettare l’azione formativa sulla base dei risultati ottenuti; 2. in caso di aggiornamento e/o di prima formazione dei lavoratori; il test potrà esser utilizzato per sondare e controllare la comprensione da parte dei discenti durante il corso (in itinere). Lo strumento infatti è stato progettato intenzionalmente con una suddivisione specifica capitolo per capitolo uguale a quella ideata per il supporto didattico AiFOS relativo alla formazione generale dei lavoratori. In questo caso, al termine di ogni argomento trattato nella lezione, il formatore potrà somministrare ai discenti le schede relative alla lezione appena espletata e poter così valutare il livello di efficacia 135


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della lezione. Nel caso in cui i risultati riportassero situazioni non soddisfacenti il formatore potrà riprendere velocemente i concetti mal percepiti in quanto lo strumento permette di individuare con estrema precisione il concetto non compreso. Sia in caso di aggiornamento che in caso di prima formazione lo strumento potrà esser somministrato alla fine del corso al fine di valutare l’efficacia dell’azione formativa e permettere al formatore di riprendere, grazie alla possibilità di individuare con estrema precisione il punto che necessita di maggior sforzo e attenzione, in maniera agevole, i concetti mal recepiti o non compresi. Questi strumenti risultano quindi essere un importante supporto ai formatori più accorti in grado di cogliere l’importanza del raggiungimento di un adeguato livello di comprensione del linguaggio della sicurezza anche nel lavoratore straniero e dei benefici che tale attività può apportare sul singolo soggetto, sul gruppo e sull’organizzazione stessa. Schede informative Successivamente si è pensato di realizzare schede informative dettagliate scegliendo un settore preciso per ogni categoria di rischio (classificazione ATECO); un’attenta analisi dei dati lavorativi inerenti appunto i lavoratori stranieri e dei materiali già presenti è stata utile per proseguire in modo idoneo al contesto. Per quanto concerne la categoria di rischio basso, si è deciso di approfondire il settore della ristorazione. Si è provveduto ad analizzare in dettaglio i principali fattori di rischio (tra i quali rischio di cadute e scivolamenti, rischio meccanico, rischio elettrico, rischio connesso ad agenti pericolosi, rischio di natura chimica/biologica/fisica, rischio collegato alla movimentazione di carichi …) e per ognuno di essi sono state evidenziate le misure di prevenzione da proporre le quali si differenziano tra interventi sui fattori di rischio e interventi sulla persona stessa. Per ogni rischio, inoltre, sono state proposte in modo descrittivo delle ipotetiche immagini da realizzare, sia dimostrative che di valutazione, utili a favorire la comprensione della situazione da affrontare e dell’eventuale misura di prevenzione da adottare. 136


Fabrizia Archetti – Danilo Ruberto

Per la categoria di rischio medio, si è deciso di approfondire il settore dell’agricoltura; anche in questo caso si è provveduto ad analizzare le specifiche tipologie di rischio individuando gli agenti causali, le fonti principali e i possibili interventi preventivi sia di protezione collettiva che individuale da realizzare. Al fine di migliorare l’insegnamento e la percezione dell’importanza di tali misure preventive, in questo strumento, vengono proposte varie esercitazioni specifiche per il settore esaminato: si descrivono alcune ipotetiche rappresentazioni di lavoratori in situazioni di rischio e si chiede al lavoratore di individuare eventuali errori o mancanze, si propongono anche delle immagini che precisano il significato e l’obiettivo di eventuali cartelli di segnaletica della sicurezza facilmente riscontrabili, le possibili difficoltà che si possono incontrare nelle situazioni quotidiane ed alcuni degli attrezzi ampiamente utilizzati nel settore. Spesso infatti i lavoratori non conoscono le conseguenze del mancato rispetto di determinati principi di prevenzione e queste descrizioni perseguono l’obiettivo non solo di incentivare la cultura della prevenzione, ma di rendere consapevoli i lavoratori delle gravi conseguenze che un mancato rispetto di essa possa determinare sul lavoratore e sull’organizzazione. Il formatore potrà decidere se utilizzare, durante la formazione con i lavoratori, i suggerimenti da noi proposti al fine di incentivare l’insegnamento con una formazione che non sia solo teorica, ma che si avvalga anche del contributo di situazioni concrete e del lavoro di gruppo, in quanto queste situazioni possono essere proposte in aula favorendo un sapere condiviso. Infine per la categoria di rischio alto sono state analizzate le pericolosità presenti in edilizia. Innanzitutto si è pensato di precisare i cartelli di divieto ed i segnali di avvertimento presenti in cantiere; ad ognuno di essi sono state associate le possibili conseguenze del mancato rispetto di essi con l’obiettivo di aumentare la percezione del rischio e sono state evidenziate le parole che sarebbe opportuno spiegare in quanto il lavoratore straniero potrebbe non conoscerne il significato. Per ogni cartello relativo ai segnali di prescrizione si è pensato di presentare la situazione di difficoltà in cui si ricorre ed il DPI corrispondente in grado di evitare il danno e le spiacevoli situazioni di infortunio. Si è voluto inoltre precisare il significato dei segnali di salvataggio ed i segnali delle attrezzature antincendio; l’obiettivo consiste nel facilitare 137


Q3, 2012 AiFOS – Strumenti di lavoro per il formatore

l’individuazione autonoma delle misure di prevenzione da adottare qualora il lavoratore si trovasse in una situazione simile a quella descritta. Il formatore potrà decidere se utilizzare o no i suggerimenti forniti e avvalersi del contributo di altre indicazioni presentate in questo lavoro: vengono presentati dei termini che frequentemente risultano essere mal compresi, che restano sconosciuti e/o vengono usati impropriamente in questo settore e che sarebbe opportuno precisare al fine di rendere migliore l’insegnamento. Infine viene proposta una serie di esercitazioni da realizzare anche in gruppo; per esempio si descrivono situazioni dove i lavoratori devono individuare cosa sarebbe opportuno fare e quali DPI si dovrebbero indossare al fine di ridurre il rischio di infortunio. Tra i vari esercizi si è pensato anche di mostrare delle immagini di attrezzi di lavoro ai soggetti presenti i quali devono individuarne il nome corretto o di presentare immagini di cartelli di segnaletica con l’obiettivo di far individuare il rischio associato al suo mancato rispetto. Conclusioni Il lavoro svolto, oltre ad aver permesso al gruppo di percepire al meglio le difficoltà che un lavoratore straniero può incontrare in relazione ad una formazione non adeguata alle sue conoscenze, ha perseguito l’obiettivo di incentivare e sostenere l’importanza della diffusione e della comprensione della cultura della sicurezza nei lavoratori stranieri e nei formatori stessi, che spesso si trovano ad affrontare situazioni impreviste di difficoltà di comprensione. In relazione alla normativa, infatti, i corsi dovranno svolgersi previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare e con modalità che assicurino la recezione dei contenuti del corso di formazione. Gli strumenti realizzati dal gruppo di lavoro AiFOS possono aiutare il datore di lavoro ad assolvere tale obbligo in maniera idonea ed efficiente, in sintonia con quanto previsto dalla normativa.

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Fabrizia Archetti – Danilo Ruberto

L’Accordo Stato-Regioni e l’Accordo d’Integrazione 12 anticipano lo scenario che tra pochi mesi le organizzazioni lavorative si ritroveranno ad affrontare. I controlli da parte delle istituzioni delegate saranno più insistenti e precisi vista la correlazione che dovrà necessariamente esserci tra situazione contrattuale dello straniero e detenzione del titolo di soggiorno. L’accordo di integrazione, infatti, prevede il conseguimento di alcuni attestati di formazione, i quali dovranno essere certificati e riconosciuti per poter garantire allo straniero il proseguo del soggiorno nel nostro Paese. Sottoporre il lavoratore straniero alla formazione generale sulla salute e sicurezza senza aver svolto la formazione preliminare prevista comporterà, in sede di giudizio, che il Pubblico Ministero non riconosca la validità della formazione effettuata, facendo ricadere la responsabilità sul soggetto obbligato (il datore di lavoro). In relazione a ciò, si è pertanto deciso di produrre Strumenti che perseguono l’obiettivo di sostenere il datore di lavoro nell’assolvere l’obbligo della formazione preliminare, di aiutare i formatori nell’espletamento dell’attività formativa prevista e di sostenere i lavoratori stranieri nell’affrontare il percorso formativo riducendo al minimo le possibilità di incomprensione. Si auspica, pertanto, che l’applicazione di tali strumenti ad opera del formatore possa migliorare la condizione personale e lavorativa e il livello di integrazione/inclusione sociale dei lavoratori che hanno deciso di vivere e lavorare nel nostro Paese.

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Si legga la nota a piè di pagina n. 9 del presente articolo.

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Q3, 2012 AiFOS – Lavoratori stranieri e sicurezza

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QUADERNI DELLA SICUREZZA AiFOS Rivista trimestrale dell’Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro Direttore Responsabile: Rocco Vitale Responsabile di redazione: Maria Frassine Direzione e Redazione: via Branze, 45 - 25123 Brescia tel. 030.6595031 - fax. 030.6595040 Sito web: www.aifos.it – mail: quaderni@aifos.it AiFOS è partner della Campagna promossa dall’Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro (OSHA) di Bilbao. AiFOS è stata riconosciuta con Decreto della Regione Lombardia n. 10678 del 20/10/2009 quale “Centro di eccellenza per la Formazione ed il Lavoro”. Registrazione e iscrizione Registrazione al n.10 del registro periodici della cancelleria del Tribunale di Brescia in data 18 febbraio 2010. Progetto grafico: Silvia Toselli Stampa: Tipolitotas, via Ponte Gandovere n. 3/5 - Gussago (Bs) Costi e condizioni di abbonamento Prezzo di questo numero: € 17,00 (spese di spedizione comprese). La rivista viene inviata gratuitamente a tutti i soci AiFOS che risultino in regola con il versamento della quota associativa annuale. Le iscrizioni ad AiFOS si effettuano esclusivamente online dal sito www.aifos.it con il versamento della quota annuale di € 100,00. Abbonamento annuo con diritto a ricevere 4 numeri della rivista: € 60,00. Versamento sul conto corrente postale n. 74894502 intestato a: AiFOS, via Branze, 45 - 25123 Brescia (Bs) Hanno collaborato: Villiam Alberghini, Cecilia Alessandrini, Lorenzo Alessio, Diego Alhaique, Giovanni Alibrandi, Pietro Aloisio, Giovanna Alvaro, Alberto Andreani, Fabrizia Archetti, Cecilia Arici, Giovanni Ballan, Chiara Ballarini, Gregorio Barberi, Giuseppe Battista, Gigi Bellometti, Maurizio Belloni, Chiara Bellotti, Fabrizio Benedetti, Riccardo Bianconi, Renato Bisceglie, Elena Bonfiglio, Giuseppe Bonifaci, Renata Borgato, Silvana Bresciani, Antonio Buccellato, Ettore Bussi, Abele Carnovali, Alessandro Cafiero, Pier Sergio Caltabiano, Marina Calabrese, Alberto Cerquaglia, Giuseppe Ciarcelluto, Andrea Cirincione, Luigi Dal Cason, Claudio Colosio, Silvano Danesi, Dario De Andrea, Diego de Merich, Fabrizio De Pasquale, Adele De Prisco, Chiara Delfini, Davide Degrassi, Fulvio Degrassi, Dario Domenighini, Priscilla Dusi, Erick Faita, Lorenzo Fantini, Stefano Farina, Paola Favarano, Gloriana Favaretto, Rosa Anna Favorito, Giulia Forte, Cristina Frasca, Piergiorgio Frasca, Ermanno Franchini, Cinzia Frascheri, Maria Frassine, Rosita Garcia, Antonio Ghibellini, Dario Alberto Gigante, Maria Giovannone, Angelo Giuliani, Anna Guardavilla, Annalisa Guercio, Michele Lepore, Fabiola Leuzzi, Alessandra Ligi, Monica Livella, Massimiliano Longhi, Giuseppe Lucibello, Giuseppe Macchi, Laura Manfrin, Marialaura Manna, Sandro Marinelli, Federica Masci, Marco Masi, Francesca Morselli, Francesco Naviglio, Grazia Nuzzi, Elena Padovan, Paolo Pennesi, Manuela Peruzzi, Fabio Pontrandolfi, Stefano Porru, Aldo Preiti, Giancarlo Quiligotti, Diego Ragni, Franco Robecchi, Danilo Ruberto, Federico Ruspolini, Luca Saitta, Nirvana Salvi, Marco Fabio Sartori, Andrea Serpelloni, Massimo Servadio, Costantino Signorini, Chiara Somaruga, Giuseppe Spada, Maria Simonetta Spada, Eva Stofler, Michele Tiraboschi, Stefano Tomelleri, Filippo Trifiletti, Silvia Toselli, Celso Vassalini, Andrea Volpe, Vito Volpe, Rocco Vitale, Carlo Zamponi, Federica Zanetti, Daniele Zanoni.

Precisazioni È vietata la riproduzione o la memorizzazione dei “QUADERNI DELLA SICUREZZA AiFOS” anche parziale e su qualsiasi supporto. La Direzione della rivista e l’Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro declinano ogni responsabilità per i possibili errori o imprecisioni, nonché per eventuali danni risultanti dall’uso delle informazioni contenute nella presente pubblicazione.

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Rapporto AiFOS 2012 Il Medico Competente n. 1 - 2010

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T.U. n. 81/2008

Valutare i rischi

Gestione aziendale

Formatore alla Sicurezza Rapporto AiFOS 2010

n. 1 - 2011

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Sistemi di Gestione tra Certificazione e Asseverazione

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Presentazione “Rapporto AiFOS 2012” 5 dicembre 2012 - Roma CNEL - Sala della Biblioteca Viale Davide Lubin n. 2 - 00196 Roma

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Formazione dei Formatori alla Sicurezza

La gestione delle Emergenze


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QUADERNi DELLA SiCUREZZA AiFOS Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro

AiFOS è un’associazione senza scopo di lucro costituita da formatori, docenti, professionisti, consulenti ed aziende che operano nel campo della sicurezza sul lavoro. La formazione è strumento di prevenzione per la salute e la sicurezza nei luoghi di vita e di lavoro. La rivista scientifica trimestrale “Quaderni della Sicurezza AiFOS” presenta studi, ricerche, analisi e commenti di carattere monografico.

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Rivista scientifica trimestrale - Salute e Sicurezza nei Luoghi di Vita e di Lavoro

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Lavoratori Stranieri e Sicurezza

Esperienze di formazione e inclusione sociale A cura e con un intervento di: Maria Frassine Interventi di: Villiam Alberghini Fabrizia Archetti e Danilo Ruberto Fabrizio De Pasquale Adele De Prisco Chiara Delfini Antonio Ghibellini e Cecilia Alessandrini Federica Masci, Chiara Somaruga e Claudio Colosio Stefano Porru e Cecilia Arici Andrea Serpelloni e Manuela Peruzzi Eva Stofler Vito Volpe e Maurizio Belloni Federica Zanetti

n. 3 - Anno III Trimestrale Luglio - Settembre 2012

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