SALA DELLE METAFORE di Mauro Varotto e Giovanni Donadelli
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l desiderio di esplorare è in genere seguito dal desiderio altrettanto forte di raccontare ciò che si è scoperto. La terza sala del Museo è appunto dedicata al processo di trasferimento del sapere, ovvero al “racconto” che ogni atto di conoscenza geografica produce sullo spazio, attribuendogli significato. È stata chiamata anche “Sala delle Metafore” traendo ispirazione da un classico della geografia novecentesca, Le metafore della terra di Giuseppe Dematteis, uno dei più straordinari e noti libri di geografia italiani del secolo scorso, che suggerisce di interpretare la geografia come descrizione metaforica della realtà. La metafora è per il geografo torinese il manifesto di una nuova geografia che si propone come pensiero critico, in contrapposizione ad un’idea oggettiva e indiscutibile di sapere geografico: “Che cosa resta della geografia dei nostri ricordi scolastici? Apparentemente nulla. Niente di problematico, nessuna interpretazione, nessuna possibilità di discussione (è o non è Lisbona la capitale del Portogallo?)”. La tesi sostenuta da Dematteis è che una depoliticizzazione della conoscenza geografica non può che essere funzionale
al potere, non serve ad altro che a riprodurre e normalizzare lo status quo: “La sicurezza è la consolazione che il potere offre in cambio della sottomissione (…) Viceversa, nella sua forma fantastica, come scoperta, come ricerca di alternative, è potenzialmente colpevole di sottrarsi – se non di ribellarsi – a quello stesso potere, all’ordine esistente delle cose” (p. 16). In questo invito al rinnovamento della geografia che passa attraverso la consapevolezza della potenza e insieme relatività dei suoi strumenti interpretativi, Dematteis aggiorna le istanze fatte proprie più di un secolo prima da Giuseppe Dalla Vedova (1834-1919), a cui la sala è titolata, maestro riconosciuto della geografia patavina e italiana, il cui profilo si distinse a sua volta per la carica di rinnovamento che affonda le sue radici nella lezione dei padri della geografia europea Carl Ritter e Alexander von Humboldt, le cui opere Dalla Vedova aveva potuto conoscere nel periodo di formazione a Vienna. Ritter temeva la riduzione della Terra a mera carta geografica, una tavola-altare di sé stessa a cui manca essenzialmente la capacità di 77