diario_dulp

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tissimo e aveva fatto lavare e lucidare la Mercedes. Poi tirò fuori due buste e me ne porse una. «Che cazzo è?» «Spugna». «Che cazzo ci devo fare?» «Se tutto va bene, niente, ma se non riusciamo a liquidarli con una pera, li soffochiamo con queste». «Ma in caso di emergenza usiamo le pistole». «No. Le pistole sono davvero da evitare, almeno in casa. Meglio non fare casini, non c’è molto tempo per pulire o cercare bossoli vacanti. Le pistole servono solo per costringerli a farsi». «Ok». «A che ora arrivano quei due deficienti?» «Mi hanno assicurato di stare lì per le cinque». «Lo sai di chi è Hype?» «Il negozio? No, non ne ho idea». «Del Dore». «Merda!» «Esatto, stamattina c’era già agitazione. Avrà già capito che sono stati loro, speriamo solo che non mandi a puttane il lavoro di stasera. Ma quelli come rientrano a Roma passano alla cassa». «Da morto…» «Probabile. Con un bel sorriso sulla pancia». Non ci dicemmo una parola per tutto il viaggio. Mi dovetti sorbire una serie di cd del cazzo: jazz. Non riuscivo mai a capire quanto del Piranha fosse reale e quanto fosse preparato, come un copione studiato per dare spessore al suo personaggio, alla sua fama. Qualunque fosse la combinazione funzionava. Era un professionista spietato, rispettato, richiesto e soprattutto costoso. Rispettò con scrupolo ogni limite di velocità, mi costrinse ad allacciare le cinture. «Se ci fermano a un posto di blocco insieme, possiamo anche dire addio al lavoro», commentò quando mi indicò la cintura. Aveva chiaramente ragione. Sarebbe stato 142


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