Teschio e scheletro nell'Arte Contemporanea

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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO Arti visive e discipline dello spettacolo Triennio Indirizzo Pittura

Tesi di diploma di Storia dell’Arte

Teschio e scheletro nell’Arte Contemporanea

relatore

allievo

Prof. Giandomenico Semeraro

Tommaso Iskra De Silvestri

anno accademico 2007 / 2008 sessione straordinaria


Indice

Premessa

3

Il teschio e lo scheletro, simboli antichi e moderni

5

Vanitas

8

Ciclo morte-resurrezione

11

Simbolo provocatorio

14

Maschera e teschio

17

Lo scheletro allo specchio, volto assente come protagonista nell’arte contemporanea

19

Moda e simboli di morte

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Trame, orditi…

24

… e decorazione

26

Teschi e ancora teschi

28

Teschi pop

32

Teschi, scheletro e orrore

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Morti e defunti

38

Pornografia e raggi X

45

L’artista e la morte

48

I collezionisti di ossa

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Una mostra in Italia

54

Una mostra a New York: epilogo o prologo?

56

Iconografia

61

Note

65

Bibliografia

74

Siti web e Blog

75

Artisti, brevi biografie

76

Ringraziamenti

86

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Premessa

a sempre scheletri e teschi sono stati parte delle mie fantasie. Il motivo c’è, visto che a tre anni appena compiuti sono atterrato in Messico, e la prima festa popolare cui ho partecipato con tutti i miei compagni dell’asilo è stata il Día de los Muertos (il giorno dei morti, Ognissanti), con la preparazione degli altari più dolci e affollati di qualsiasi presepio napoletano e, soprattutto, con le colorate e zuccherosissime calaveras (teschi) che scrocchiavano sotto i denti come fossero ossa vere. Parte delle offerte che avevamo preparato per l’altare -dedicato a una bambina che aveva frequentato la mia stessa scuola- le abbiamo portate al cimitero e lasciate sulla sua tomba. Il giorno dopo ci siamo ritornati tutti per fare una colazione sull’erba con canzoni e girotondi. Naturalmente abbiamo mangiato le offerte, come è tradizione; e caramelle e golosinas (dolciumi) erano meno zuccherosi, poiché lo spirito della bambina durante la notte le aveva assaggiate, portandosi via il meglio dell’aroma delle stesse. In Messico scheletri e teschi si trovano da tutte le parti, sono meravigliosi pezzi di arredamento in latón (latta) o metalli preziosi, in cartapesta o legno, sono giocattoli antichi e moderni come scheletri-marionetta che si dondolano in altalena, ballano o fanno pugilato; li trovi in chiesa, nei negozi, nelle cantinas (osterie) tra le bottiglie di mezcal o di tequila. Sono le indimenticabili calaveras de la Catrina (teschi della Catrina, simbolo della signora della buona società), dall’ossuto viso sorridente con le orbite vuote, sormontato da un cappello elegante a larghe tese e ornato di trine, disegnate da José Guadalupe Posada (1851-1913); geniale incisore di ironici pamphlet politici che metteva alla berlina ricchi e potenti, sottolineando le ingiustizie sociali così presenti nella società pre-rivoluzionaria (e purtroppo anche in quella contemporanea). Gli scheletri sono insomma parte del paesaggio, di quello che ti circonda, così come la morte, parte essenziale delle fantasie personali e della cultura, in un paese 3


dove senti che la vita è appesa a un filo ed è quindi meglio affrontarla con un sorriso, con ironia.

Da questa sponda dell’oceano Atlantico invece, la morte è considerata molto più oscena del sesso e la sua riproduzione è in realtà un tabù. Suppongo che questo divieto simbolico nasce nella cultura occidentale dove vita e morte sono nettamente separate, anche se in altri tempi non era così. Nel Medioevo o nel Rinascimento la raffigurazione della morte non costituiva motivo di clamore, anzi. I soggetti privilegiati della raffigurazione artistica erano crocifissioni, deposizioni e cronache di martirio: le morti più efferate e cruente costituivano uno spettacolo in diretta sui patiboli pubblici e il gusto dell’orrido era qualcosa di assolutamente accettabile. Ora le cose sono radicalmente cambiate. E non so se questo sia dovuto al fatto che l’artista è precursore dei tempi (dobbiamo quindi temere di essere sulla soglia della fine del mondo?), o se oggi il tema mortifero sia solo merchandising scandaloso, scioccante, per fare tanti soldi e velocemente; o sia invece un modo per meditare, per trovare il senso, denunciare, fare l’amore, ironizzare con quella huesuda señora (ossuta signora) che tutti, prima o poi, dobbiamo affrontare. In questo lavoro mi sono limitato a occuparmi dello scheletro e il teschio nell’arte contemporanea per il periodo che copre quest’ultima decade, cioè dal 2000 fino a oggi. Ho dovuto citare artisti di altre epoche per sottolineare l'inevitabile influenza e la continuità del passato nell'arte attuale.

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Il teschio e lo scheletro, simboli antichi e moderni

i è una certa serietà nel teschio umano, legato alla nostra mortalità (o alla romantica nozione di immortalità, quando vi è la certezza di una vita spirituale dopo la morte). Questo simbolo è stato da sempre associato all’ammonimento, alle società segrete, alle sostanze velenose o tossiche, alle bandiere pirata. Il teschio e le tibie incrociate, cari all’immaginario simbolico della Massoneria e dei Templari (ereditati solo successivamente dai pirati), rappresenterebbero, per lo meno a un primo livello di lettura, le ossa del mitico Hiram Abif, architetto del Tempio di Salomone e capostipite leggendario di tutti gli iniziati charpentiers 1. Immagine pericolosa e raccapricciante che non dovrebbe essere l’icona della vita elegante, del bel mondo; ed è quindi ancor più sorprendente che questo marchio lo troviamo ora nei tatuaggi, sulle camicette e accessori di moda, nei giocattoli e così via. Il teschio oggigiorno è stato anche ridisegnato stilisticamente ed esteticamente, ma nulla può distruggere la memoria del suo significato. Si può supporre quindi che il significato dato al teschio sia cambiato, o che sia ormai parte di una società sempre più alienata. In tempi antichi sono state altre le icone che definivano una continuità oltre la vita: per esempio il teschio con le tibie o i femori incrociati utilizzati anche nei rituali iniziatici come simbolo di rinascita. Anche la morte sephirah (il teschio alato) che troviamo nell’albero della vita della Kabbalah (cabala) 1.1, è la porta che ci introduce alla conoscenza dei più alti livelli di spiritualità e quindi tale da non ispirare orrore, ma al contrario la promessa di una nuova vita. In tempi moderni la troviamo persino nel marchio della Harley Davidson, sulle copertine dei Grateful Dead o di altre band musicali, nelle insegne di alcuni corpi militari.

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Negli arcani maggiori dei Tarocchi 2 la Morte, il numero tredici, ha prevalentemente un significato positivo: rappresenta il cambiamento e la trasformazione, come una fase del ciclo della vita, si inserisce quindi in un percorso a volte molto personale e porta un rinnovamento. Nei mazzi tradizionali è rappresentata come uno scheletro armato di falce; spesso lo scheletro è avvolto in un mantello e falcia teste e membra umane tra germogli di piante. Nei tarocchi marsigliesi non vi è il suo nome, ma solo il numero, per paura che, nominandola, essa possa giungere inaspettata. Lo scheletro è anche un memento mori 3, la falce simboleggia la stagione del raccolto e quindi, per le messi, è la fine di una fase e l’inizio di un'altra. Questo arcano è inteso come rinascita, rinnovamento, momento in cui è necessario cambiare, chiudere con il passato e guardare al futuro. Può essere anche l’invito a crescere, a evolversi spiritualmente, a maturare, alla necessità di far piazza pulita di qualcosa, o più semplicemente a prepararsi a cambiamenti radicali. Uno degli artisti più vicini a questa visione esoterica della vita e del tempo, è un artista prestigiatore e mago, Gino De Dominicis 4, che ha fatto della ricerca artistico/creativa innanzitutto un tema filosofico e la rende palese nella sua Lettera sull’Immortalità del 1971: ‘da sempre l’umanità si è creata degli ideali a cui credere, dei motivi che riuscissero a dare un senso alla vita’. Questa stessa tensione all’immortalità rende apparente la presenza del suo contrario: la morte; come nel lavoro Il tempo, lo sbaglio e lo spazio (1969), dove le figure dello scheletro del cane e dell’uomo che lo tiene al guinzaglio con i pattini a rotelle ai piedi, sono la metafora del tempus fugit e al contempo hanno un’energia vitale impressionante. Insomma l’essere umano non fa che cercare di superare i confini della propria mortalità anche se è fatalmente imbrigliato in un destino di morte. Per questo l’arte diventa un esercizio di libertà. 6


Nella Calamita Cosmica, immensa scultura-scheletro assolutamente perfetta dal punto di vista formale, nonostante i suoi 24 metri di lunghezza e il suo lungo naso, esposta per la prima volta a Grenoble nel 1990, questa tensione esoterica è ancora più evidente: De Dominicis voleva ricoprirla completamente d’oro zecchino, ma anche così ‘nuda’, appoggiata gentilmente per terra con il naso a becco per aria (così lungo proprio per definire la sua non umanità? o forse perché nel teschio umano quell’appendice è l’unica parte mancante?) e quell’asta dorata/antenna/gnomone in perfetto equilibrio sull’ultima falange distale del dito medio della mano destra, intrattiene non solo una conversazione con lo spazio cosmico, ma anche con noi lillipuziani del pianeta Terra che non facciamo che litigare per le questioni più futili invece di riflettere sulle tematiche esistenziali, quelle intrise di valori universali… E mentre scrivo ricordo che c’è anche un altro scheletro gigantesco in giro per il mondo: quello del francese/berbero algerino Adel Abdessemed 5 che nel 2004 ha creato Habibi (Molto Amato, in arabo), 17 metri di scheletro sospeso a mezz’aria, in levitazione a pancia in giù come fosse quello di un cetaceo in un museo di scienze naturali. Ma qui prende il volo, mutante straordinario, riuscito a sfuggire alla legge della gravità, come fosse davvero un aereo e Habibi è l’artista stesso, un enorme autoritratto, una vanitas 6 molto contemporanea.

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Vanitas

a scena nell’Amleto 7 di Shakespeare, quando il principe tiene nella mano il teschio di Yorick che era al suo servizio, ci riporta alla natura transitoria delle faccende terrene. Alcuni argomenti caratteristici di questa idea filosofica sono stati universalmente rappresentati in ogni periodo storico. Un esempio può essere la ‘natura morta’ della vanitas vanitatum del Medio Evo e dei secoli successivi, promemoria della qualità transitoria dei piaceri terreni simbolizzati proprio dalla presenza del teschio, mentre la vanità del mondo intellettuale era rappresentata da globi terracquei o libri e la vita voluptuaria da strumenti musicali, fiori freschi o monete; i pittori spesso a questo aggiungevano parole o testi ad hoc o altri simboli della nostra mortalità come la candela o la clessidra o la bolla di sapone. L’inclusione del teschio rappresenta la brevità della vita umana (e soprattutto il fatto che la morte toccherà a noi tutti, non importa se ricchi o poveri) e della sua conoscenza (paragonata all’onniscienza divina), ma è anche un simbolo dalla forte connotazione magica, specialmente nella cultura indiana e nepalese: vedi ad esempio le collane di teschi indossate da alcune divinità indù come Shiva o Kali o dal dio tibetano Kurukulla 8. Il teschio ha anche un’importante funzione di amuleto protettivo e che reca fortuna, come ad esempio nelle culture precolombiane azteca e maya. Forse l’espressione più magica e teatrale del suo uso è quella degli tzompantli 9, ossia una specie di palizzata di legno su cui venivano infilate, come fossero le palline di un abaco, le teste delle vittime dei sacrifici umani. Questi erano altari per onorare gli dei, e i primi europei che raggiunsero Tenochtitlan, l’antica Città del Messico, dicono di averne localizzate almeno sette. 8


Annualmente si praticavano spesso uccisioni rituali. Di solito si utilizzavano prigionieri o nemici, ma venivano anche sacrificati bambini o artisti. Una volta all’anno si preparava un giovane prigioniero e lo si educava all’arte della musica. Imparava a suonare una specie di flauto di ceramica, veniva alimentato e vestito con cura, come fosse lui stesso Tezcatlipoca (lo ‘specchio fumante’, dio del vento, del cielo notturno, dio della guerra e della creazione). Un mese prima della sua morte rituale, lo si maritava con quattro giovani che lo accompagnavano sino al giorno dell’immolazione quando, condotto su una barca che attraversava il lago per raggiungere un’isola, veniva abbandonato. Il musicista si dirigeva allora al tempio, saliva i gradini per raggiungerne la cima rompendo i flauti che aveva suonato durante l’anno di consacrazione e alla fine veniva ucciso dal sacerdote con un coltello di ossidiana. Gli veniva aperto il petto per strappargli il cuore, poi si decapitava. Il sangue veniva raccolto, il cuore bruciato come offerta, il resto del corpo lasciato sulla scalinata del tempio, e la testa infilata nello tzompantli come omaggio perenne agli dei.

Oggigiorno in Messico, la morte è venerata come santa. Certo, il culto de la Flaca (‘la magra’, come viene affettuosamente chiamata), ha origini antiche di almeno tremila anni. Allora la chiamavano Mictlantecuhtli ed era una divinità necessaria quanto quella della creazione. La Santa Muerte 10 non è solo questo. A seconda delle necessità del fedele, si sceglierà il colore dell’immagine scheletrica da 9


mettere sull’altare: bianca per la salute, nera per la forza e il potere, viola per aprire il cammino, bruna per chiamare gli spiriti dell’aldilà, verde per tenere uniti i propri cari, rossa per l’amore e gialla per la fortuna. E viene vestita così, come fosse una madonna un po’ kitsch con trine e merletti, adornata con gioielli, banconote e a volte le si infila un sigaro fra i denti! Nonostante il suo rito sia stato proibito dalla Chiesa, ha due milioni di credenti nel solo Messico. La gente si rivolge alla santa morte per miracoli possibili e impossibili, e favori leciti o illeciti che possono avere relazione con l’amore, la salute o il lavoro, ma anche per fini malevoli come la vendetta o la morte di un nemico. E’ venerata da criminali e da poliziotti, dalla gente umile che trova i suoi altari nei mercati, da politici o impresari nelle loro case. Negli ultimi anni il numero degli adepti è aumentato, è una santa ormai famosa in tutto il mondo perché venerata da tutti i grandi e piccoli capi del narcotráfico, parte di quell’estetica della violenza e del gran talento tutto messicano nell’abbellire la morte.

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Ciclo morte-resurrezione

a morte indica -senza alcun dubbio- la fine assoluta dell’esistenza fisica dell’essere umano. Eppure è (forse) anche uno stato transitorio che porta a un’altra forma di ‘vita’: la resurrezione, la reincarnazione, l’immortalità attraverso la trasmigrazione dell’anima. Poi vi sono le numerose e molto individuali visioni del paradiso, del mondo degli zombies e degli spiriti che ritornano dalla morte, così come di quei concetti che ciclicamente integrano la vita e la morte come per esempio di quell’aldilà che lega i morti agli avi, cioè al passato genetico, all’impronta che ci rende quello che siamo. Sono molte le persone che credono nell’esistenza dello spirito o dell’anima dopo la morte fisica. Al cessare del respiro e della circolazione sanguigna, passato il momento che segna la morte clinica e l’assenza del sentire e della coscienza, si presume che abbiano inizio svariate forme di vita ultraterrena. Tutte le culture basano la loro esistenza sui morti: essi ci ‘parlano’ dalle loro tombe nei libri, nei sogni, nelle leggende, nei ritratti, nei mausolei e monumenti. Questi e altri sono il loro modo di comunicare le linee guida della nostra esistenza, di renderci comprensibile il mondo e le sue regole. Le tracce che lasciamo durante la nostra esistenza e dopo la morte ispirano i lavori di diversi artisti contemporanei: alcuni utilizzano scheletri o teschi come Olaf Breuning 11, svizzero, che ne mette in posa dozzine in giardini o stanze come fossero in attesa o a metà di un gioco. Marc Quinn 12 utilizza il sangue e altri materiali per riflettere sulla morte, su come funziona la vita, sulla mutevolezza del corpo. Uno dei temi della sua ricerca è la conservazione, il mantenimento delle forme viventi; come quando immerge i fiori in silicone congelato (Garden, 2000); ma è indubbiamente noto per le opere che hanno come soggetto il 11


corpo umano e le sue deformazioni, come l’incredibile scheletro, Portrait of Marc Cazotte (2006), di un focomelico vissuto nella seconda metà del Settecento. Altri, come la messicana Teresa Margolles 13, lavorano direttamente nelle morgues e da lí traggono ispirazione. Le sue vaporizzazioni dell’acqua utilizzata per lavare i corpi dei cadaveri, sono un modo di farli ritornare alla vita, come nella installazione En el Aire (2003). Le coperte o i lenzuoli inamidati di Catafalco (1997), che recano l’impronta, i fluidi e il sangue dei tanti anonimi e poveri morti che si accatastano nell’obitorio di Città del Messico, sono pieni di pathos e allo stesso tempo denuncia sociale di un mondo che dimentica i morti più poveri, quelli per cui non vi è neppure la possibilità di una sepoltura. Sono opere d’arte per continuare a conversare con chi è già deceduto, per far sì che la gente acquisti dimestichezza con la propria mortalità, per togliere alla morte la sua natura spaventevole. C’è chi conversa con i morti ogni giorno, perché vive dentro le mura dei cimiteri, non per fare arte, ma per sfuggire alla povertà. Le due ‘città dei morti’ più note nel mondo sono a Il Cairo in Egitto e a Manila nelle Filippine. Nel primo si stima ci vivano almeno un milione di persone, nel secondo, almeno 50 mila. E nonostante siano luoghi privi delle infrastrutture necessarie come l’acqua corrente, non mancano servizi come botteghe, spazi comuni, bar e persino piccole scuole per i bambini che giocano tra le pietre tombali dei loro antenati.

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Vi sono molti modi per definirsi vivi attraverso la morte, o vivere intensamente come alternativa alla morte. Gli artisti e non solo loro, hanno spesso cercato l’opposto nella spinta passionale dell’erotismo, eros e thanatos per l’appunto, come per esempio Ana Mendieta 14, artista cubano-statunitense che riprende il tema della ‘Morte e la fanciulla’ in chiave femminista, giacendo nuda sopra a uno scheletro. Lo bacia, lo possiede su un prato lussureggiante per sottolineare la naturalezza dell’atto. All’inizio della sua carriera si era fatta fotografare con la sovraimpressione di uno scheletro. E tutti i suoi lavori della serie Siluetas (1973-1980) parlano dell’assenzapresenza del corpo e delle tracce che lo stesso lascia dietro di sé. Anche le sue Rupestrian Sculptures (1981) intagliate nelle pareti della grande caverna del Parco Statale di Escaleras de Jaruco, La Habana, Cuba ci raccontano di antichi miti originari degli indigeni Taínos. Non esiste, credo, alcuna civiltà che non consideri la morte come parte della vita. Morte e vita sono strettamente connesse, non vi è l’una senza l’altra. Solo pensare a una persona che non c’è più (in questa dimensione), la fa in qualche modo rivivere, crea un effetto, produce qualcosa anche nella memoria di chi l’ha pensata. E così i morti non svaniscono in un non-luogo, ma credo rimangano a ricordarci di ricordare.

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Simbolo provocatorio

on è difficile capire come, a un certo punto della nostra storia, il teschio e lo scheletro siano divenuti simbolo di sfida, del vivere pericolosamente, della provocazione fine a sé stessa, perdendo l’intrinseco valore di ricerca spirituale (per quello che concerne oggettistica o moda). La rappresentazione del ghigno del teschio e della dinoccolata mobilità dello scheletro hanno dentro di sé il paradosso della morte che celebra la vita, simile a quello intrinseco del carnevale (o della festa di Halloween), così da diventare grottesca parte integrante del quotidiano panorama antropologico. Le recenti tendenze artistiche neobarocche e neogotiche utilizzano la figura e l’immagine del teschio e dello scheletro, riproponendole quali anti-icona per eccellenza, visto che sono stati superati o modificati i tabù della morte e della sua rappresentazione. Spesso diventano citazione, teatralizzazione, ricerca ed esercizio per esorcizzare la morte e aprirsi verso l’immortalità: l’orrido è infatti complemento fondamentale della vita e della vitalità. Il legame che c’è fra la vita e la morte nella religione, è rafforzato dai riti di purificazione, anche attraverso la mutilazione o la distruzione del corpo; così la morte ride, balla, canta, suona e festeggia. Nei riti propiziatori degli aztechi, degli incas o del vudù, la presenza concomitante del riso e della tortura è cosa comune. L’idea dello smembramento del dio incarnato, dello scheletro e del teschio degli uomini ‘prescelti’ e così ‘santificati’, è anch’essa idea comune. E tutto ciò è ripreso nella rappresentazione artistica. Lo spettatore che osserva la rappresentazione della morte, della deformazione del corpo, è complice della propria 14


morte/resurrezione e afferma -per contrasto- la propria esistenza ancora pulsante e dinamica. Questa rappresentazione porta al gusto voyeuristico e persino masochistico dell’esperienza dell’orrido e del disgustoso. Quasi una forma, seppur bassa, del sublime e della spinta alla spiritualità e alla commozione. L’orrore ha quindi una funzione catartica: ci si può avvicinare all’inacessibilità divina grazie proprio alla raffigurazione spaventosa, orribile, degli dei. Questo è vero soprattutto nelle divinità precolombiane (e orientali). Il ghigno terribile degli dei si sovrappone al perpetuo ghigno del teschio. Anche Cervantes nel Don Quijote 15, descrive l’orrido, nel suo ruolo di vivificazione, come piacere della morte, come riattivazione dei sensi, nel paradossale culmine del dolore per la perdita della vita che sembra poter riportare il soggetto al centro di essa. Così il legame tra amore, morte, orrore e iniziazione dà valore all’esistenza ed è terapeutica.

Spesso l’uso dello scheletro o del teschio nelle arti, è un modo per riconoscersi empaticamente in un sé stesso futuribile. Quando lo spettatore vede il teschio vi si specchia, e nel riflesso percepisce il proprio volto assente. Il teschio è maschera vuota ed emblema involontario dell’estetica della moltitudine, come afferma anche Carlos Monsivais 16, giornalista. Il sovietico Eisenstein 17, ci ricorda nel suo film lasciato incompiuto ¡Qué viva México!, che l’attualizzazione della danse macabre forma parte integrante della cultura popolare 15


in Messico. Nelle feste messicane, infatti, ci si traveste spesso da scheletri e l’esibizione di teschi e scheletri è rappresentata in modo esotico, coloratissimo, stilizzato, mantenendo il suo carattere dissacrante e quotidiano. Nel film, la natura del paesaggio messicano è presentata nei suoi tratti più duri: la terra nuda, arida, con i nopales (fichi d’india), alimento e groviglio di spine, in cui il ballo degli scheletri è una danse macabre dove s’incontrano orrore e ridicolo.

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Maschera e teschio

a funzione delle maschere e il loro essere presenti in moltissime culture, va ben oltre l’esigenza di poter mutare temporaneamente identità o persona: in esse si manifesta un’inquietudine e una fascinazione che coinvolge quasi tutta l’umanità. Forse dietro di esse, al di là di chi le indossa, è nascosto un segreto: la radice delle maschere è il teschio. Se prendiamo ad esempio una delle maschere-mosaico azteche, essa usa come base materiale il cranio umano. Ignoti artisti hanno incastonato diverse pietre preziose nei vuoti lasciati liberi dalla carne e dalla cartilagine: nelle orbite degli occhi, nell’incavo del naso e delle guance. Con il trionfo di materiali durevoli e belli si contrappone secondo me, la caducità della carne. E si fa rifiorire il cranio grazie al suo contrario: l’indistruttibilità dell’ossidiana e dei lapislazzuli. In una cultura e un tempo assai diverso troviamo invece i reconditori o reliquiari 18 creati dal medioevo in poi e sparsi per le chiese di tutta Europa. Sono preziosi scrigni, dove era di moda non solo rinchiudere teschi, ma anche interi scheletri di pseudo martiri. Secondo il costume del tempo, era importante che ogni chiesa avesse il reliquiario di un santo e per questo motivo i religiosi europei avevano preso l’abitudine di andare in pellegrinaggio a Roma, dove compravano il cadavere di un santo (quasi sempre un falso), per trasportarlo fino alla propria città di origine per dar lustro e onore alla diocesi di appartenenza. Questi teschi e scheletri venivano poi ricoperti di gemme o racchiusi in scatole di metalli preziosi (i più fantasticamente decorati, davvero rococò, si trovano in Germania e Austria, come quello presente nella chiesa austriaca di Lech).

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Nella scelta del teschio come materiale primigenio della maschera, vi è una sfida tutta umana alla categoria del Tempo. L’idea di qualcosa di noi che neanche la morte riesce a decomporre. Il teschio-maschera resiste e la maschera è un sipario che si apre sul teschio. Da qui la sua natura duplice e ambivalente, una contemporaneità che mostra e nasconde, che tace e parla, che è rigida e mobile, tra l’attesa ingioiellata di una resurrezione e la continuità di una presenza animistica. Ogni maschera, come un sole, sorge nella sua mobilità organica e tramonta nella sua fissità inorganica. Per questo in essa rimane il cranio come reliquia del cadavere, come trasfigurazione delle ossa facciali del defunto che si ‘maschera’ trasformandosi in tal modo da mortale a eterno 19.

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Lo scheletro allo specchio, volto assente come protagonista nell’arte contemporanea

a maschera del volto svuotato è un’ icona del post-umano, in cui lo spettatore viene rapito, incantato e incatenato. In molta iconografia dell’orrido in pittura, scultura, nell’immagine fotografica e cinematografica, troviamo un compiacimento nella fruizione visiva del grottesco e del raccapricciante. La rappresentazione dell’orrido attraverso l’esibizione del teschio o dello scheletro indulge e fa leva sull’assenza del volto e del corpo, sullo svuotamento di tutto quello che è la massa carnale fatta di muscoli, vasi sanguigni, nervi e che sostituisce, dissimula e mette in ridicolo la presenza del corpo: è la raffigurazione dell’atavica paura umana, la morte 20. Nelle opere di Jean Michel Basquiat 21, per esempio, teschio e scheletro, spesso presenti, sono officianti: il pittore rappresenta il rituale e rende accessibili al pubblico le proprie radici culturali haitiane. Si trasforma egli stesso in sciamano, nello hungan della tradizione vudù, e i suoi quadri si riempiono di simboli, di altari, di scheletri e teschi, di occhi chiaroveggenti, dei ferri del mestiere dello stregone utilizzati per effettuare sortilegi e inseriti in un contesto metropolitano statunitense, con continui riferimenti alla vita quotidiana. Sono molti gli artisti contemporanei, anche più recenti di Basquiat, che ripropongono il teschio o lo scheletro come figure centrali nell’opera d’arte. Gli enormi teschi di Dinos e Jake Chapman 22 (esposti alla mostra Barroccos y Neobarroccos: El Infierno de lo Bello nel 2005-2006) 23, appoggiati per terra, sono oggetti scenografici. Le dimensioni spropositate di ogni teschio (cm 120x170), ognuno con i suoi messaggi tatuati che si snodano in spirale sull’intera superficie della volta cranica, diventano presenze dissacranti, 19


strani pianeti in cui lo spettatore entra a far parte dello spazio scultoreo. Pablo Alonso 24, nella stessa esposizione, inscrive un teschio, icona ironica, in una cornice nera e spumosa di polistirolo espanso da cui sembra irradiarsi un’aura di raggi luminosi. Di Alonso vorrei anche ricordare l’installazione Familia (2003), composta da 43 teschi di varie misure, forme e textures.

Marina Abramovic 25, definita neo-mistica del corpo, riprende la tematica dello scheletro, ridotto però a semplici ossa. L’artista presenta un video di sé stessa impegnata a pulire con una grande spazzola un cumulo di ossa enormi. In questo caso non si tratta di ossa umane, bensì di animali, che si ritrovano pulite e scarnificate nello spazio museale a lato dello schermo: non si pone più la questione del volto o del corpo umano ridotto alla propria struttura ossea inespressiva, amorfa ed anonima, ma si ripropone l’idea di un corpo ridotto a materia inanimata, destrutturata come i pezzi per costruire 20


il telaio di un burattino. L’esibizione delle ossa diventa relazione tra rappresentazione e fruizione (da parte dello spettatore) dell’orrido e del sublime. L’orrido svolge una funzione di critica sociale (la Abramovic ci sta parlando degli orrori della guerra etnica nei territori della ex-Yugoslavia) e spesso di trascendenza, in rapporto con la religione e con l’esorcizzazione della morte. Anche Paolo Canevari 26 usa il teschio per denunciare l’indifferenza, l’insensibilità a cui ci portano i mass media. Nel suo video Bouncing Skull, uno dei lavori più emblematici e agghiaccianti presentati alla Biennale di Venezia del 2007, sullo sfondo degli edifici bombardati dalla NATO nel 1999 a Belgrado, c’è un bambino che gioca a pallone con quello che solo dopo un’attenta osservazione, si rivela un teschio. Inevitabilmente il pensiero corre ad altri scheletri e altri teschi: quelli che popolano i dipinti e i disegni di Otto Dix, artista considerato degenerato dal nazismo che sapeva denunciare a colori e in bianco e nero la tirannia, la guerra, le paure, le miserie e le debolezze umane, con incubi su tela che hanno ancora adesso una tale forza espressiva da provocare una catarsi etica in chi li osserva.

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Moda e simboli di morte

’ industria della moda e dell’arte nel suo complesso, si muove nei parametri del neobarocco tra eccessi, ricerca del dettaglio, labirinto, metamorfosi, distorsione, perversione: la qualità scenografica, la tendenza a combinare vari media e supporti per ottenere un forte impatto visuale, l’uso del trompe-l’œil fanno nuovamente riferimento al teatro, alle visioni.... ‘la vita non è che un sogno...’ Amore e morte, tormento ed estasi, grottesco, misticismo ed erotismo. E così scoppia la skull-mania, come la chiamano le riviste di moda. Il simbolo dei pirati è diventato un must: lo indossano le star su t-shirts e foulards, lo portano le teenagers al collo e sulle borse, vi sono gioielli di marche prestigiose per signore con profusione di ossa e teschietti e sono persino ricamati sulle scarpe. Ho trovato su una pagina web questa dichiarazione di Cristina Giorgietti 27, storica del costume e della moda: ‘L’attualità parla di catastrofi incombenti, attacchi terroristici, disastri ambientali. Indossare un vessillo di morte ha paradossalmente una funzione scaramantica: protegge dai pericoli.’ Il teschio è la nuova icona chic in colori frivoli, in fluo o rosa, compare persino sugli zainetti destinati ai bambini o diventa un richiamo erotico, un accessorio da cattive ragazze da portare con ironia per sottolineare il legame tra amore e morte, come quando si dice ‘Ti amo da morire!’. In quel luogo che sta a metà strada fra moda e arte troviamo il giapponese Izima Kaoru 28. Nelle sue fotografie della serie Landscapes with a Corpse, le modelle che indossano abiti di stilisti famosi sono corpi immobili in perfette scene di crimine, gli occhi sbarrati, bellissime, solo qualche macchia di sangue per segnalare l’evidenza della morte. Per rendere più credibile la scena, Kaoru esegue una sequenza da tre a cinque scatti, dal campo lungo al primo piano, dall’alto, dai lati. Ogni 22


sequenza è completata dalla data e dall’ora della morte, dalla lista dei vestiti e accessori indossati e dal luogo in cui la vittima li ha comperati. La storia è scritta come fosse una pagina di una murder mystery, con l’obiettivo di appagare la curiosità dello spettatore e offrire gli indizi per risolvere il delitto. Sono le stesse modelle a rivelare a Kaoru le loro fantasie di morte perfetta e quali abiti vorrebbero indossare, così queste fotografie non rimandano a qualcosa di fatale e irreversibile, ma a una cerimonia che è come un sogno: un modo fortemente teatrale, estetico, di mettere in scena la morte.

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Trame, orditi…

n questo intreccio, che lega le arti con i simboli, troviamo teschio e scheletro intessuti o ricamati come nell’opera di Angelo Filomeno 29, artista pugliese che vive e lavora a New York. Il suo atelier è una sartoria teatrale; il suo pennello, una comune macchina da cucire. Con questa, Filomeno ‘disegna’ con pazienza calligrafica un immaginario simbolico/barocco, manipolando sete iridescenti, fili d’oro e d’argento, cascate di strass, cristalli e pietre colorate: vita e morte, seduzione e dolore, trasformazioni alchemiche e storie molto personali. Le sue visioni sono infatti legate all’infanzia segnata dalla perdita dei genitori e ‘nascono spesso di sera, quando l’oscurità porta a confrontarsi con pensieri e incubi’ 30. E proprio su larghe tele di shantung si stagliano i suoi scheletri sospesi in idilliaci paesaggi rinascimentali o luminosissime città contemporanee, con elaborati dettagli e motivi ornamentali.

Altri artisti hanno un approccio più leggero, ironico. Ad esempio la statunitense Stephanie Metz 31, che usa la lana cotta, il feltro. Con questo materiale elabora delle sculture morbide che sono anche studi pseudo-scientifici sulla morfologia dei crani degli orsacchiotti di pezza. Creature inventate dagli uomini e rese vive dalla nostra immaginazione. Ha certamente un senso pensare che un animaletto imbottito debba avere un teschio di feltro. La Metz considera il teschio 24


come un’elegante struttura per la vita, un qualcosa che rivela indizi di storie individuali. E’ l’evidenza tangibile di una vita vissuta, non solamente la prova della morte alla fine di una vita. Il teschio dell’orsetto di pezza dà qualche indizio in più: è un soggetto legato all’infanzia e all’innocenza, ma è anche una cosa inventata dall’uomo e quindi artificiale. Un po’ di umorismo nero per alleggerire un tema solitamente pesante. Anche Ben Cove 32 è statunitense e nel suo lavoro Tall, Dark and Handsome (2006) avvolge ordinatamente con fili di lana colorati dei teschi infilzati semplicemente su dei pali. Tuttavia, credo che il lavoro in cui si sente di più il legame con le tradizioni familiari e l’ironia, è quello della islandese Hildur Bjarnadóttir 33, che con l’uncinetto prepara grandi centrini di una bellezza e precisione quasi impossibili che terminano con degli accessori che sembrano fuori posto: lunghi colli di cigno tesi verso l’alto, pistole e, naturalmente, teschi.

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…e decorazione

sempio non convenzionale di trattare il materiale osseo è il lavoro Cometas Negras (Aquiloni Neri, 1998) di Gabriel Orozco 34. L’artista concettuale messicano ha ricoperto un cranio umano con un motivo che ricorda le losanghe del costume di arlecchino. Questa alternanza di bianchi e di neri sembra accennare alla scacchiera, al conflitto della dualità vita e morte, o più semplicemente alla forma degli aquiloni che prendono il volo dal teschio. Orozco sottolinea le qualità formali del lavoro e suggerisce che sente la sua opera più vicina all’immaginario informatico.

I teschi di Steven Gregory 35, artista sudafricano, sono molto più decorativi. Li ricopre di pietre semipreziose con tecniche simili a quelle utilizzate dagli artigiani delle antiche civilizzazioni. I suoi lavori ricordano l’arte dei surrealisti e emanano un’energia speciale, molto apprezzata anche da 26


Damien Hirst 36, che in fatto di teschi decorati è senz’altro l’artista più conosciuto. In uno dei suoi lavori più recenti Cornucopia (2008), preparato appositamente per essere esposto al British Museum, Hirst ha usato semplici smalti colorati per dipingere con la sua spin-machine 37 200 teschi che sono poi stati inseriti in file ordinate in otto antiche scaffalature di legno nella Enlightenment Gallery del museo. In questo modo fa riferimento alle relazioni fra sacro e profano, tra ragione e superstizione, giacché l’opera appare come un altare dedicato a un antico dio sanguinario. Opere coloratissime sono anche quelle della statunitense Amy Sarkisian 38. I suoi teschi sono preziosamente tempestati di brillanti pietre preziose, oro e strass che li trasformano in accessori teatrali barocchi. Jason Clay Lewis39, artista dell’Oklahoma, ha una fascinazione per la morte e i suoi teschi ricoperti con pelliccia colorata di coniglio sono pezzi surrealisti e anche una citazione della famosa opera di Meret Oppenheim Le Déjeuner en Fourrure 40 (tazzina, piatto e cucchiaino ricoperti in pelliccia, del 1936) esposta al MoMa di New York. Di teschi è anche popolato il grottesco, gotico universo di Kris Kuksi 41, statunitense. Le sue sculture sono affollate di dettagli e suggeriscono che il mondo dell’arte è forse più contorto di quello che è possibile immaginare. Richiamano alla memoria le opere di Hieronymus Bosch, ma l’artista afferma che i suoi lavori sono basati soprattutto sulla magia dei numeri e delle cose, su materiali di recupero e il mondo che lo circonda. Il teschio più spettacolare e psichedelico è senz’altro quello presentato nel giardino botanico di Atlanta, Stati Uniti, nell’esibizione del 2006, Niki in the Garden. L’autrice, Niki de Saint Phalle 42 di origine francese, ha decorato la sua enorme La Cabeza (1999) con pezzi di vetro, mosaico, ceramica e pietre semi preziose all’esterno; mentre all’interno è completamente ricoperta di frammenti di specchio. E’ una meravigliosa scultura giocosa, e rende il memento mori un pensiero solare.

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Teschi e ancora teschi

teschi non solo proteggono la massa cerebrale, ma stimolano anche la mente. Spesso simboli di mortalità e potere, sono stati utilizzati nelle cerimonie, nei rituali, nell’arte per decine di migliaia di anni. Dai teschi di animali ritrovati nelle sepolture del Paleolitico, sino a quelli decorativi di bovini che fluttuano come spiriti al di sopra delle montagne nei dipinti di Georgia O’Keefe 43, le culture di tutto il mondo hanno utilizzato questi simboli per esprimere concetti ed idee sulla vita e sulla morte. Vi sono molti esempi di questa fascinazione nel mondo dell’arte. Henry Moore 44 nel 1966 ricevette in regalo da due cari amici il cranio di un elefante.

Fu un gesto davvero gradito. “ Ci ho trovato le tante qualità che in genere hanno le ossa, incluse la solidità e lo spessore di alcune parti, mentre altre sono leggere e sottili quanto un foglio di carta. Il senso di forza e struttura della Natura, sono fra le cose meravigliose che si possono scoprire studiando queste ossa” 45. E ancora, mentre descriveva i lavori che quel cranio gli aveva ispirato: “Non conosco altro singolo osso che 28


abbia così tante forme all’interno di sé, è assai più complesso e affascinante del cranio umano! Mi è stato donato anche quello di un rinoceronte, che ha una forma interessante, ma non m’ispira quanto quello dell’elefante. Ha un carattere feroce, aggressivo; mentre quello dell’elefante, nonostante sia molto potente, m’ispira gentilezza e serenità. Nella mia mente è divenuto persino il braccio di una figura reclinata’46. Quell’enorme osso di cui studiò forma, spazi vuoti e pieni, interni ed esterni, fu ispirazione di un gran numero di opere grafiche e scultoree. Non c’è in effetti nulla di originale nell’utilizzare crani umani per farne opere d’arte: vi sono teschi incrostati di pietre preziose e semi-preziose nell’arte primitiva di molti popoli, come già accennato. Vi sono moltissime rappresentazioni di teschi nella storia dell’arte, da quello dipinto con la tecnica dell’anamorfosi di Hans Holbein nella tela intitolata The Ambassadors 47 (o dell’artista contemporaneo statunitense Robert Lazzarini 48 che li fa ugualmente distorti e senza alcun sfondo), sino a quelli serigrafati di Andy Warhol 49.

Il teschio è un tale cliché nell’arte che non si può parlare di originalità nel suo utilizzo, salvo quando se ne fa un uso così eccessivo come Damien Hirst nel suo lavoro For the Love of God 50. In questo caso sono il suo costo eccezionale e la sua magnificenza che lo rendono un lavoro unico. 29


E’ il teschio di una società ricca elaborato dal suo più ricco artista. Hirst drammatizza la sua bizzarra posizione come artista che è diventato immensamente facoltoso. Ha creato qualcosa che nessun artista ha potuto mai autonomamente creare prima d’ora, uno di quei lavori che in tempi passati venivano commissionati dai re per rendere evidente la loro ricchezza ed il loro potere e per farne usualmente regalo o offerta ad una divinità. Hirst con quest’opera comunica molte cose a proposito dell’artista contemporaneo, dell’arte e della religione; anche del mondo occidentale, facendone comunque un arcaico memento di mortalità, di caducità. Ed è allo stesso tempo un perfetto capolavoro fatto in durevoli, inossidabili, platino e diamanti. Se il memento mori tradizionale ci indica di accettare l’universalità della morte, qui il messaggio è di lasciare dietro di noi un corpo perfetto che, con la sua infinita durabilità, potrà essere il testimone della fine dei tempi. Quando l’ultimo respiro di Dio soffierà sulle ceneri del nostro mondo, questo oggetto terribile continuerà ad esserci. Un’opera che si è incastonata nel nostro immaginario e definisce un momento storico, emblema della decadenza per eccellenza, simbolo della pazzia del mercato dell’arte (è stato venduto a circa 100 milioni di dollari, giusto prima che l’economia mondiale entrasse in crisi). Il gusto per la morte, per l’orrido, per la parte oscura della vita è qualcosa su cui riflettono gran parte degli artisti contemporanei. Che posto ha la paura nella società di oggi? Questo zeitgeist (spirito dell’epoca e della sua società) può darci una chiave di lettura delle opere d’arte che ripropongono così spesso i simboli del terrore con cui veniamo bombardati quotidianamente dai media. Così ossessivamente che persino la nuova generazione di artisti li ha fatti propri. L’orrore è diventato un aspetto accettato della vita quotidiana e l’arte ne è semplicemente il riflesso. La guerra al terrore, la morte e la cultura pop dell’usa e getta si fondono insieme e sono così onnipresenti che non è sorprendente che influenzino l’arte. Ai suoi tempi, il marchese De Sade sosteneva nell’esaminare l’opera Idée sur les Romans, che la letteratura gotica ‘era il 30


risultato inevitabile degli shock rivoluzionari che l’Europa intera aveva sofferto’. Affermava quindi che l’idea della manifestazione dell’orrore nelle arti creative era una risposta a un mondo reso insensibile alla violenza. Charles Baudelaire nel 1860 si lamentava dell’aspetto sensazionalistico dei media, bollando i giornali come un ‘ordito di orrori’ e una ‘orgia di atrocità universale’. Parole che possono essere utilizzate anche oggi 51. Di che cosa abbiamo così paura? Abbiamo paura di qualsiasi cosa che trasgredisce i ‘sani principi’, i codici ammessi dalla ‘civilizzazione’; di qualsiasi cosa che sta tra realtà e fantasia, tra le leggi sociali e i tabù, tra il razionale e l’irrazionale. Molti artisti fanno proprie le paure di quest’epoca, non solo quindi la paura della morte, anche quella della guerra, dell’AIDS, dei serial killer e dei pedofili, delle gangs, delle armi, dell’apocalisse ambientale. Esplorare la parte oscura aiuta a infondere un senso di sicurezza e di controllo in una società dove non ne abbiamo per niente. E questa iconografia artistica riflette la nostra lotta per mantenere un’identità in una società che sta perdendo il senso. L’orrore si associa anche a una delle nostre spinte primordiali: il voyeurismo. Le immagini della morte e della malvagità possono essere metafora dell’arte stessa, cioè il desiderio incontrollabile di guardare. Guardando la violenza o l’orrore diventiamo complici nella sua creazione, complici della causa e così del disagio occasionato dal guardare. Sappiamo che gli esseri umani sono spesso coloro che provocano il terrore, non certo un’immaginaria malvagia forza esterna. Siamo noi che creiamo i nostri incubi.

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Teschi pop

ra i ragazzi che riempiono le strade e le piazze dei loro incubi e dei loro sogni con le bombolette spray, gli stickers o dipingendo con rulli e pennelli, molti utilizzano l’icona dello scheletro e del teschio. Forse perché alcuni arrivano dal mondo dei tattoo artists e finiscono per lavorare per marchi famosi della moda o degli sport ‘alternativi’ come il snowboarding, il surf e lo skateboarding 52. La fascinazione per l’immagine del teschio e dello scheletro e di altre icone apocalittiche non è solo un modo per fare l’amore con la morte o per prendersi gioco della paura della mortalità così insita nella cultura occidentale. Oltre alla ovvia contrapposizione fra bene e male, è un modo per ironizzare sulla paranoia dilagante, di sfidare uno status quo sempre più dominante, vigilante. E cosa può inquietare più delle orbite vuote del teschio di cui non è possibile sapere dove punta lo sguardo?

Una sfida, quindi, utilizzata moltissimo dalla sub-cultura delle bande heavy metal, del punk o hard core che del teschio hanno fatto proprietà pubblica e lucrosa merchandise: bandiere, spillette, t-shirts, adesivi 53... E, anche quando la musica ‘metallara’ ha perso il suo lustro, il teschio e lo scheletro hanno continuato a essere un simbolo largamente usato nell’avanguardia artistica e culturale, non più come incarnazione della morte, bensì come emblema di immortalità.

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Così dagli anni ’80 in poi il teschio è apparso nelle strade, nella moda, nelle gallerie, in tutti i luoghi possibili e immaginabili del nostro pianeta. Il simbolismo era perfetto: l’artista statunitense Kaws 54 utilizzava le pubblicità esposte nelle pensiline delle fermate dei mezzi pubblici e le personalizzava con il suo marchiofumetto di teschio con ossa incrociate. Quando era ormai affermato, ha iniziato a disegnare e produrre giocattoli un po’ inquietanti in edizione limitata, poi capi di abbigliamento, decorazioni per snowboards, scarpe per famose marche. Ha cancellato con successo la linea di demarcazione tra arte e merchandising. E con lui altri, come Jeremy Fish 55, statunitense, fine decoratore molto conosciuto nell’ambiente. Un altro artista versatile d’oltreoceano è Mike Giant 56, che ha iniziato la sua carriera tra graffiti, design e tattoo art. Tra gli inglesi troviamo invece Bansky 57 e Paul Insect 58. Il primo utilizza lo scheletro per motivi di denuncia politica. Per Paul Insect teschio e scheletro sono invece motivi decorativi e fanno parte della sua fascinazione per tutto quello che ha attinenza con la medicina o la scienza. E’ collezionista di posters anatomici su cui interviene con serigrafie.

Londinese di nascita, D*Face 59 è noto per aver ridisegnato, sopra il viso della regina Elisabetta II presente sulle banconote da 10 sterline un teschio, per poi rimetterle in circolazione (idea utilizzata nel 2007 anche dai fratelli 33


Chapman alla Frieze Art Show di Londra 60), e continuare la sua ricerca grafica con gli stickers e persino con i cartoni animati. Tra gli italiani, citerei Erica il Cane 61, di Bologna, che produce scenografie fiabesche anche per la moda dopo aver a lungo praticato l’anonimato riappropriandosi di spazi e muri nelle città. Chi ha invece un approccio con la tradizione dei murales completamente opposta è il brasiliano Alexandre Orion 62: reinventa la street art in chiave ecologica ripulendo dalla morchia lasciata dai tubi di scappamento le pareti dei tunnel che attraversano Sao Paulo. Nel suo lavoro Ossario ha fatto apparire, utilizzando semplicemente acqua e stracci, centinaia di teschi per denunciare gli effetti dell’inquinamento. Non artista di strada, l’australiano Ricky Swallow 63 ha scelto l’icona del teschio come oggetto chiave della cultura popolare, per rendere chiara l’inutilità dell’attaccamento così umano alle cose materiali. Un concetto reso chiaro in due dei suoi lavori: i-Man Prototypes (2001), fila di teschi coloratissimi in resina come il modello iMac G3 della Apple e Everything is Nothing (2003), il ‘tutto è niente’ esplicitato da una scultura in legno di un teschio inserito nel cappuccio di una felpa di una marca di abbigliamento sportivo.

E c’è anche lo ‘scienziato forense’ indubbiamente brillante e dotato di umorismo Hyungkoo Lee 64, che in Animatus (2005-2006) decostruisce con disegni molto precisi e poi 34


elabora gli scheletri in tre dimensioni, bloccati anche a mezz’aria nelle loro ‘occupazioni’ usuali, di Vil Coyote e Bip Bip (Canis Latrans Animatus & Geoccocyx Animatus) e di tutti quei personaggi dei cartoons (Lepus Animatus, Bugs Bunny; Felis Catus Animatus, Tom; Mus Animatus, Jerry; Anas Animatus, Paperino; e i nipotini Qui, Quo, Qua Animatus H., D. & L.) che sono così familiari, così popolari, da essere come scheletri più riconoscibili perfino di qualsiasi altro scheletro scientificamente corretto. E’ paleontologia pop e viene effettuata in camice bianco, preparando i modellini dei teschi in creta, con vere ossa di animali sulle scaffalature, con i muri ricoperti dai disegni anatomici degli animali reali a cui fanno riferimento gli Animatus e gli studi bi e tri-dimensionali dei personaggi dei fumetti a lato. Hyungkoo Lee è riuscito a rendere lo spazio virtuale, uno spazio reale: sono gli scheletri di esseri a noi cari e vicini.

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Teschio, scheletro e orrore

on è ancora evidente se questo simbolo culturale è puramente commerciale o una genuina possibilità per esprimere la propria anima ‘pirata’. Se non altro vi è insita la nostra umana vulnerabilità e il desiderio di superare l’imposta cultura del terrore: ridere in faccia alla morte con un teschio sulla maglietta, può essere forse un atto rivoluzionario. I pacifisti utilizzano il simbolo come avvertimento: la morte è ciò che si paga ignorando la realtà. I guerrafondai attaccano: la morte è ciò che si paga ignorandomi.

Impossibile dimenticare le montagne di scheletri dell’Olocausto, le piramidi di crani dei Khmer Rossi in Cambogia o, più recentemente, i soldati tedeschi delle forze alleate di stanza a Kabul che simulano sesso orale con i crani dei civili uccisi 65. Impossibile stabilire una gerarchia dell’orrore, i simboli utilizzati sono gli stessi, tutti ugualmente sconvolgenti. La violenza e la morte sono ovunque nei media. Il contatto diretto con la morte è però evitato nella nostra società. La salma è bandita dalla nostra vista ed è rimpiazzata da un 36


sistema di rituali e di simboli che media i limiti dell’umana esistenza. In altre culture, come già detto, possiamo invece trovare un diretto contatto con la morte, un maggior uso di rituali e persino dell’umorismo nero per far fronte al naturale imbarazzo che si crea quando ci si trova faccia a faccia con la morte, e ancor piÚ con un corpo morto.

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Morti e defunti

morti sono armate ben più estese dei vivi! Con il passare dei secoli si sono installati nelle opere d’arte, nei romanzi e nel cinema. Il processo di individualizzazione è evidente nei cimiteri sin dal XIX secolo, con lapidi dalle forme o dalle iscrizioni estrose, persino umoristiche. Per esempio in Austria, a Kramsach, possiamo trovare le seguenti scritte: ‘Qui giace Martin Krug, che prendeva a martellate i figli, la moglie e l’organo della chiesa’; o il politicamente scorretto: ‘Qui giace l’onesta vergine Nothburg Nindl: morì a diciassette anni, proprio quando avrebbe potuto esser utile’. E ancora ‘Qui giace Franz Joseph Matt, che bevve sino a morirne. Che Dio gli faccia la grazia della pace eterna e di un paio di bicchieri di acquavite’ 66. Dietro a questa apparente mancanza di pietas emerge l’interesse nel ricordare la persona per quello che era, con tutte le sue qualità e manchevolezze. E così, anche le imprese di pompe funebri hanno diversificato creativamente i loro portfolio di offerte: è ormai possibile la scelta fra un ampio ventaglio di urne, bare, catafalchi e cerimonie funebri, persino di spettacoli audio-visuali. In altri luoghi del mondo questa individualizzazione esiste da sempre. Chi visita il Ghana si troverà certamente faccia a faccia con un funerale almeno una volta alla settimana. Per i clan Ga della regione costiera il funerale è il rito più importante nella vita di una persona ed è celebrato e portato a termine con molta attenzione. Non si tratta solamente di un evento doloroso, poiché i Ga credono nella reincarnazione e gli antenati hanno una posizione molto importante nella vita quotidiana della famiglia. Così non sorprende che la morte e i rituali relativi a essa siano fonte di ispirazione per gli artisti ghaniani. Dagli anni ’50 oltre alle statue, alle maschere e alle tombe decorate, si sono aggiunte le bare figurative. Questi lavori effimeri, 38


visibili talvolta solo il giorno della sepoltura, usano una simbologia molto ben definita per descrivere l’attività svolta dal defunto, per rendere più semplice il suo cammino nell’aldilà. I pescatori spesso riposano in bare a forma di canoa, i contadini le hanno invece decorate con verdura, gli uomini d’affari a forma di automobile lussuosa, le donne che hanno avuto molti figli e sono state buone madri, a forma di gallina (sic). Quelle a forma di sgabello, gallo o sandalo sono invece destinate ai capiclan o ai re, e ve ne sono moltissime che fanno riferimento ai proverbi presenti nella cultura ghaniana. E come per qualsiasi oggetto anche queste bare sono cambiate negli anni, secondo le mode del momento 67.

Questa necessità di ‘individualizzare’ la morte può entrare in conflitto con le norme statali, culturali o religiose. In Italia possiamo ricordare le complicazioni burocratiche da affrontare per ottenere la possibilità di gettare nei corsi d’acqua o in mare le ceneri del defunto, oppure le limitazioni religiose che regolano la sepoltura dei suicidi, o le discussioni infinite e così attuali sull’eutanasia. La morte è quindi ritornata presente non solo come soggetto religioso o filosofico, ma anche nella vita quotidiana. Nei dibattiti televisivi, in medicina e nelle scienze biotecnologiche che promettono una longevità quasi immortale, 39


persino nel turismo culturale e nei libri d’arte che trasformano i cimiteri come il Père Lachaise a Parigi, quello di San Michele a Venezia o di Campo Santo Teutonico a Roma in veri e propri musei. Rebecca Horn 68, tedesca, in Spiriti di Madreperla (2002) si ispira ai teschi del cimitero delle Fontanelle di Napoli: le ‘capuzzelle’, raffigurate nelle leggende partenopee come benigni angeli custodi e portafortuna. Li rifà in ghisa e ne mette 333 nella centrale piazza del Plebiscito. Sopra la piazza, sospesa, una rete di 66 aureole al neon color madreperla che creano uno spazio intermedio con i teschi e, nell’intenzione dell’artista, un momento di tensione e di energia tra elementi opposti, un dialogo, una riconciliazione con il pensiero della fine.

La paura della morte e il desiderio di vedere/capire il suo mistero, stimolano il pensiero e le azioni umane e sono effettivamente all’origine della cultura. Fin dal Neolitico il teschio scarnificato veniva staccato dal corpo morto per trasformarlo in una scultura che potesse ricordare la persona da viva. Perché è solamente con un’immagine che è possibile mantenere una persona nella memoria, e questa usanza è ancor oggi universalmente valida e rende quasi magica la nostra percezione del mondo. 40


Dall’antichità al presente il nostro modo di pensare e sentire la morte è cambiato pochissimo. Il XVIII secolo è il più necrofilo, con l’ansietà legata alla possibilità di essere sotterrati ancora in vita, o al mito del vampiro. Morte e bellezza, eros e thanatos, vanno mano nella mano, sono una sola cosa. E nella seconda metà del XIX secolo sarà la fotografia che si occuperà della morte, riportandoci esteticamente ai caravaggeschi o al barocco, cosa del resto assai evidente anche negli scatti effettuati nel 1992 da Andrés Serrano 69 nella serie La Morgue.

Il fotografo americano nato nel 1950, continua la sua ricerca estetica anche nei luoghi meno convenzionali o nei soggetti in cui solitamente non ci si aspetterebbe di trovarla. Ci mette a confronto con immagini che di solito ci farebbero chiudere gli occhi! Ma l’uso sapiente della luce, l’impronta pittorica, riportano inevitabilmente lo sguardo sulle sue opere anche perché Serrano riesce a dare alle sue immagini un’armonia profonda e un grande senso di religiosità. Joel-Peter Witkin 70, anch’egli newyorkese di nascita (1939), mette invece in scena sacrileghe rappresentazioni del corpo umano. Le sue immagini urtano lo sguardo e la nostra sensibilità, sono scenografie barocche costruite con attenzione maniacale anche nei dettagli più insignificanti.

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L’artista enfatizza molto ciò che si preferirebbe evitare: la morte, il deterioramento a cui siamo destinati, le nostre imperfezioni, le lotte interiori nelle quali ci dibattiamo. I suoi sono morbosi fermo-immagine claustrofobici sulla nostra caducità, sul dramma dell’esistenza umana. Si rifà alle nature morte del Seicento con raccapriccianti pezzi anatomici, cadaveri e quant’altro di irritante per i nostri sensi, per palesare il ‘ricorda che devi morire’ che volentieri vorremmo dimenticare. Nell’arte contemporanea viene ripreso il rituale ormai perduto persino dalla religione; la morte viene esposta in pubblico per mostrare a volte crudamente che l’esistenza può continuare anche dopo il decesso. L’interesse accademico per l’argomento è aumentato in modo vertiginoso, e ciò è uno dei segni che ci dimostra che non è più un tema tabù. Anche nel cinema, in televisione e nei video musicali, scheletri e teschi sono spesso presenti: nei film di Tim Burton, nelle animazioni macabre di Walt Disney, nella serie televisiva statunitense Six Feet Under, solo alcuni degli esempi in cui la morte e i suoi simboli vengono utilizzati. Eppure la morte è l’evento più personale, intimo e incomunicabile che vi sia per l’essere umano. In termini religiosi fissa il ritorno al divino, mentre nel mondo laico è il momento più definitivo, ossia l’unico evento veramente certo di qualsiasi esistenza. Allo stesso tempo, è impossibile sapere come sarà l’esperienza di morire, e non è possibile quando si sta morendo, trasmetterne ad altri l’esperienza. Per questo la morte provoca ansia e fascinazione. L’arte diventa così mezzo di comunicazione che permette di trasmettere l’idea, la sensazione, il pensiero della morte attraverso composizioni o immagini simboliche come il teschio, il giglio o una candela appena spenta. Ma è pur sempre una rappresentazione estetica che non permette di toccare con mano l’esperienza di morire. Lo scheletro è la fascinazione dell’inguardabile: il nostro corpo ridotto all’osso, come ci sarà impossibile vedere. Il teschio è socialmente accettabile: è un’astrazione, è ciò che rimane e ritorna come allegoria della vanitas. Può incutere timore, ma raramente provoca disgusto. 42


Quando si ritrae il corpo di un defunto si evita di mostrarlo in decomposizione, l’immagine è di solito patinata, il morto è dormiente. Questo per evitare che lo spettatore decida, poco moralmente, che è meglio godersi la vita presente, il tutto e subito, proprio perché la vita è solo un attimo fuggente (carpe diem).

Nella società occidentale, si rende bella la morte per completare i riti religiosi di passaggio: battesimo, comunione, matrimonio. Così l’immagine del defunto può alleviare il dolore di chi rimane. Non sempre però si tratta di consolazione. Nel XIX secolo il popolo spesso andava alle camere mortuarie come fossero circhi o teatri per godere il sublime raccapriccio della vista dei cadaveri delle vittime di incidenti o di crimini. Del resto, nei secoli passati, il gusto del morboso non è mai mancato. La straordinaria chiesa nella città di Sedlec (Repubblica Ceca) 71, è decorata con centinaia di migliaia di ossa che formano archi, lampadari e stemmi, un guazzabuglio bizzarro e kitsch oggi meta di curiosi e devoti. L’autore di quest’opera era un intagliatore: Frantisek Rint, e utilizzò le ossa di 40 mila defunti del vicino cimitero, liberandolo perché altri potessero esservi sepolti. Chiese e cripte simili non mancano nel resto del mondo cattolico: in Italia le più note sono a Roma (Santa Maria della 43


Concezione) 72, a Otranto (Cattedrale dei Beati Martiri) 73 e a Palermo (Catacombe dei Cappuccini annesse alla Chiesa di Santa Maria della Pace)74, con più di ottomila corpi mummificati. Oggigiorno possiamo ‘godere’ dell’orrore direttamente dagli schermi dei televisori nei nostri salotti. La morte diventa quindi piacere erotizzante e pornografico.

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Pornografia e raggi X

’arte diventa pornografia quando si vuole sottacere la potenza dell’impulso sessuale, che si esprime allora in forme ufficialmente rifiutate, per ipocrisia, dal corpo sociale, ma praticate in effetti da molti, anzi moltissimi. -Faye Wattleton 75 Wim Delvoye 76, controverso artista belga, famoso per i maiali tatuati come Hell’s Angels (club motociclistico degli ‘angeli dell’inferno’), si diletta in pornografia ai raggi X. Sviluppa i giochi erotici dei suoi amici a cui dipinge parte dei corpi con polvere di bario mescolata a crema su lastre, che trasforma poi in vetrate stile Tiffany per improbabili chiese. Da lontano le vetrate sembrano soggetti astratti. Solo da vicino ci si rende conto che si tratta di immagini hardcore. Ossa e interiora sono perfettamente visibili, non lasciano niente alla fantasia e hanno molto a che vedere con i ritmi naturali della vita, del sesso e della morte, senza dimenticare l’ironia. Quando nel 1895 Wilhelm Röntgen fece la prima radiografia alla mano inanellata di sua moglie, rivoluzionò non soltanto la tecnica diagnostica in medicina, diede anche l’impulso a una speciale forma di arte fotografica. Oltre a Delvoye, c’è il giovanissimo olandese Ben Kruisdijk 77 (1981) che, ancora studente in accademia, ha iniziato a sperimentare con questo linguaggio espressivo. Le sue Röntgen Etchings (2005-2008) gli permettono di creare, su un supporto quasi astratto, pensieri e sogni con fini disegni graffiati sulle lastre. L’inglese Nick Veasey è invece un professionista affermato in quest’arte: ciò che rivela una semplice lastra ai raggi X, con la sua creatività diventa un linguaggio sottile e impressionante che permette di poter osservare il mondo da un altro punto di vista. Nell’introduzione al suo ultimo libro X-Ray - See Through the World Around You: ‘Niente mi dà più piacere che rivelare la bellezza interiore di un soggetto. L’invisibile 45


diventa visibile, l’interno diventa esterno’ 78. Per ottenere le sue opere utilizza macchinari molto sofisticati, e deve mantenere i soggetti fotografati per almeno 12 minuti sotto la radiazione perché le immagini siano perfette. Quando si tratta di forme umane, Veasey lavora con scheletri rivestiti di tute di gomma (le stesse utilizzate dai radiologi) o con cadaveri donati alla scienza. Nel momento in cui un corpo è disponibile ha circa otto ore per la posa e gli scatti, prima che inizi il rigor mortis. Anche la statunitense Diane Covert 79 ha un approccio scientifico, ma non solo. Il suo X-Ray Project: Inside Terrorism (2005) è anche denuncia politica. Gli artisti hanno spesso un interesse per la violenza e per la guerra: da I disastri della guerra (1810) di Goya, a Guernica (1937) di Picasso, ai lavori del fotografo Mathew Brady sulla guerra di secessione negli Stati Uniti, sino a quelli dei fotoreporter dei giorni nostri. Anche Diane Covert parla di ‘guerra’, ma di quella sporca, dei kamikaze che si imbottiscono di plastico, di chiodi, dadi e bulloni (e altri oggetti di uso comune) e si lasciano esplodere sugli autobus e nelle pizzerie in Israele, lasciando segni indelebili sulle lastre radiografiche a cui si sottopongono i morti e feriti di questi attentati. La Covert trasforma le lastre in un progetto artistico che denuncia la follia contemporanea. Il regista newyorkese Julian Schnabel è famoso per le sue tele di grandi dimensioni e l’utilizzo di materiali come porcellane rotte, o scenografie in disuso del teatro giapponese Kabuki. I suoi ultimi lavori sono basati su interventi pittorici su antiche pellicole radiografiche trovate in una casa disabitata sulla costa della Normandia francese, mentre girava il film Lo Scafandro e la Farfalla (2007). I frammenti di uno scheletro gigantesco sembrano soltanto ombre o sbuffi di fumo e di polvere e rendono palpabile la fragilità del corpo umano. Più ironici la coppia di artisti Vedovamazzei 80 con le loro radiografie di Pinocchio, Lucignolo, Bart Simpson, Pulcinella, Carabiniere, Licantropo, un Santo e una Dama del Settecento; che sono in realtà dipinti a olio. Simone Crispino e Stella Scala sono andati in un ospedale di Napoli, hanno selezionato le radiografie di persone con strane deformazioni ossee utilizzandole per rappresentare personaggi popolari. ‘Così la malattia o qualsiasi cosa, per quanto possa sembrare orribile, ha una vitalità sorprendente’81. 46


Per l’italiana Benedetta Bonichi la radiografia è ‘l’unico mezzo possibile per leggere la realtà attraverso la materia, anziché la luce’ 82. Al supporto fotografico che trasferisce sulla tela, unisce il carboncino e le polveri d’affresco. Un approccio diametralmente opposto e niente affatto poetico è quello di Robert Gligorov 83, macedone. L’unico desiderio di questo artista, è quello di stupire, anzi di scioccare. L’ex modello e attore di fotoromanzi Lancio prende a pugni nello stomaco chi guarda i suoi lavori fotografici e le sue immagini pornografiche ai raggi X (XXXRay). Il suo unico scopo dice, è quello di attirare e tenere il pubblico davanti alle sue opere per almeno 30 secondi, ma credo che in realtà faccia leva sui nostri istinti piú bassi, voyeuristici, per un mero interesse di mercato. E’ una forma di comunicazione aberrante che disturba e crea un disagio simile a quel concetto di ripulsa di cui parla il critico d’arte e filosofo Gillo Dorfles nel suo saggio Horror Pleni. Insomma, all’orrore bisogna porre un limite, perché solo così conserveremo la nostra umanità.

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L’artista e la morte

el 1919, Sigmund Freud descrisse l’esperienza estetica dell’orrore e di tutto ciò che è sinistro con queste parole: ‘Questo senso del mistero non è nulla di nuovo o di alieno, ma è invece qualcosa di familiare e ben stabilito nella mente’ 84. Per altro, heimlich nella lingua tedesca, coincide con il suo opposto unheimlich, cioè ha due significati; da un lato può voler dire familiare, domestico, intimo, fidato; dall’altro significa nascosto, tenuto celato in modo da non farlo sapere a altri o da non far saper la ragione per cui lo si intende celare. Questa ambiguità ci spiega l’influenza di Freud sul Surrealismo: le teorie sull’inconscio, il mondo dei sogni, le visioni e l’aldilà sono state la fonte dell’ispirazione attraverso la quale i Surrealisti hanno creato nuovi mondi pittorici e espressivi. Da allora, l’arcano e il mistero sono stati associati all’esperienza estetica e alle arti plastiche e grafiche o diventano anche parte della vita quotidiana, come l’uso di un teschio stilizzato ripetuto nella carta da parati da John Armleder 85, svizzero, del 2002 (Lubaantun). Si tratta quasi di un ready-made, a metà strada tra kitsch decorativo e metafora simbolica. Negli anni ’80 scheletri e teschi decoravano le discoteche e qualsiasi altro luogo dove si sentiva musica. Nel 2000, l’artista Martin Kersels 86 ricopre uno scheletro di specchietti e lo illumina con un faretto, trasformandolo nella tipica sfera riflettente di stelline che riempie di giochi di luce le pareti di una stanza. Danse macabre di una nuova generazione disco che si diverte e balla tra violenza e perversione ormai banalizzate. Ma la morte in sé, non è mai banale. Nel 1975, l’artista concettuale olandese Bas Jan Ader 87 annunciò con una cartolina che avrebbe intrapreso una traversata dell’Atlantico con una minuscola barca a vela di soli 4 metri, chiamata ‘Ocean Wave’. Il viaggio era parte di una performance 48


intitolata In Search of the Miraculous. Dopo dieci mesi una nave recuperò la barchetta parzialmente sommersa a circa 150 miglia al largo dell’Irlanda, ma il corpo dell’artista non fu mai ritrovato. Fu un colpo di genio? Un suicidio teatralmente messo in atto? Possiamo immaginare quel piccolo natante che viaggia sulle onde dell’oceano con lo scheletro dell’artista, quasi come un vascello fantasma in miniatura. Gli artisti in tutte le epoche, sono sempre stati legati alla morte: non sono rari i suicidi, né le morti esibite come rituali, come opere d’arte, appunto. Non è tanto il romantico desiderio della morte, quanto sapere di non avere scampo e quindi di dover affrontare il capitolo finale della nostra vita che spinge a prepararci, a volte in modo autoironico, come nel caso dell’inglese Jonathan Monk 88 che intitola con questo epitaffio la sua lapide: A Work in Progress (to be completed when the time comes) 1969 - .

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I collezionisti di ossa

’atlante (prima vertebra cervicale) può arrivare a 30 euro , una spina dorsale a 272, un teschio a 820, un intero scheletro a più di 2000. Sono i prezzi del 2007, da tariffario macabro del traffico che collega i cimiteri delle città dell’Asia meridionale alle aule delle più prestigiose facoltà di medicina occidentali. Gli scheletri esposti nelle aule provengono solitamente da qualche remoto villaggio dell’India. Da qui arriva la maggior parte della popolazione ossuta e silenziosa che popola quasi tutti i laboratori del pianeta. E’ un business iniziato nel diciannovesimo secolo, dopo l’approvazione nel 1832 dell’Anatomy Act, legge del Regno Unito. Nel 1984, l’India esportava 60 mila scheletri l’anno e le fabbriche di ossa di Calcutta arrivavano a sfiorare il milione di dollari di ricavato. Poi, quando un commerciante fu sorpreso a vendere 1500 scheletri di bambini, il governo intervenne con una legge che vietava l’esportazione di ossa. Il provvedimento ha reso clandestino il traffico e fatto aumentare i prezzi 89. Ora il commercio si è trasferito in Cina e gli esperti dicono che la merce sia di qualità inferiore (possibile che la nostra sinofobia ci faccia pensare che persino i suoi scheletri siano cheap?). Vi è un’altra mania legata al collezionismo di ossa: il nuovo terreno di caccia di ricchi e famosi sono i reperti fossili 90. Le quotazioni hanno toccato cifre da capogiro, come ad esempio lo scheletro di un Triceratopo del Cretaceo che ha raggiunto i 600 mila euro, ed è finito come pezzo di arredamento nel salotto di casa invece che in un museo. Se non si desidera uno scheletro fossile o umano, è possibile comprarne uno da Meyer Vaisman 91, venezuelano che ha concepito il suo Autoritratto da morto (1998-2008) in resina, o da un’artista austriaca che li elabora in vetro: Melli Ink 92. Trasparenti e luminosi come cristalli, nudi o decorati semplicemente da un accessorio, molto teatrali. Tra gli artisti contemporanei molti sono collezionisti di ossa. Innanzitutto un cinese, nato nel 1956. Shen Shaomin 93, che 50


nella sua mostra Scary Monsters del 2006, ha esibito enormi, fantastici animali immaginari e scheletrici mescolando ossa, farina d’ossa e colla e intagliando pazientemente ogni pezzo delle sue sculture con elementi decorativi e ideogrammi. Si trasforma in antropologo e scienziato e diventa l’autore delle sue mitologie creando un bestiario di creature meravigliose, spaventevoli e strane che mi sembra abbiano la coscienza di tutto ciò che è fragile e magico. Sono anche una condanna molto poetica dei possibili effetti della modificazione genetica e di quello che potrebbe essere il nostro mondo futuro, se non ci preoccupiamo più seriamente del nostro impatto sulla natura e l’ambiente. Assai diversi sono i teschi o gli scheletri di Damien Hirst, da sempre collezionista di ossa e corpi. Una vera ossessione, un rapporto morboso. E allo stesso tempo, una fissazione che denota molta sensibilità nei confronti della morte e delle sue implicazioni. Nella sua indagine artistica vi è la ricerca spirituale di cosa vuol dire veramente essere vivi: ‘Mi muovo pericolosamente sulla linea che mi separa da qualcosa di orribile e credo in qualcosa di incredibilmente puro’ 94. I suoi pezzi da museo di storia naturale, da studio medico di anatomia o gabinetto farmaceutico, ne fanno non solo un esploratore scientifico, ma soprattutto un investigatore dell’anima, della morte e della paura. La contraddizione sta anche nel modo in cui produce la sua arte: presiede un paio di fabbriche che producono i suoi dipinti con le farfalle e quelli di realismo fotografico. Nella campagna del Gloucestershire ha preso in affitto due hangar dell’aeronautica usati nell’ultima guerra per fare i dipinti puntinati, quelli eseguiti con la spin machine e i corpi nelle vasche di formaldeide. Ha anche un’officina e uno studio. Più di 180 persone lavorano per lui creando i ‘Damien Hirst’. La sola differenza visibile fra un suo lavoro e quelli firmati da Giorgio Armani è il prezzo: le case di moda non vendono i loro vestiti a dieci milioni di euro a capo. E Hirst riesce comunque a vendere a tutti: ha fondato una casa editrice (Other Criteria) e ha anche disegnato una linea di jeans per una famosissima marca statunitense. Tutte queste attività lo hanno reso molto ricco e ha cambiato anche molte regole nel gioco dell’arte: riesce ad ottenere il 70, e persino il 90 per cento sulle vendite effettuate tramite i galleristi, invece del solito 50 per cento (che è già assai alto). Colleziona arte (tramite una sua società, la Murderme) ed ha 51


proprietà nel Regno Unito (Devon, Londra e una villa ottocentesca, Toddington Manor, di circa 300 stanze, che trasformerà in una galleria) e in Messico 95. Il Messico ancora una volta. Hirst sta costruendo una casa/studio sulla costa del Pacifico a Troncones, nello stato di Guerrero dove, oltre agli appassionati di surf e ai pescatori locali, sarà in compagnia di altri artisti come Julian Schnabel, Francis Ford Coppola e José Luis Cuevas. E se la ragione principale di questo investimento immobiliare è per dare alla sua famiglia un luogo dove passare tre mesi al caldo, lontano dai gelidi inverni inglesi, la scelta va ben oltre. Ha a che vedere con la profonda affinità che sente con una parte ben precisa della cultura locale: ‘…penso che abbia a che fare con la morte. Credo che il modo con cui mi confronto con la morte ha un aspetto messicano. In Inghilterra la gente nasconde o sfugge dalla morte e dalle idee che hanno relazione con essa, mentre i messicani camminano con lei mano nella mano. Qui mi sento liberato. La loro arte è semplice, diretta e pesante. Sono arrivato in Messico e ho pensato che il mio lavoro ci s’incastra proprio bene’ 96. Nel 2006 ha preparato una mostra con il gallerista della capitale messicana Hilario Galguera: ‘La morte di Dio. Verso una migliore comprensione della vita senza Dio a bordo della nave dei folli’: un corpus di 28 sculture e dipinti esposti nel 2006 97. L’esposizione affronta diversi temi comuni nelle opere di Hirst: la moralità, la scienza, la fede, l’amore, il surrealismo. Le opere presenti sono sconvolgenti e provocatori riferimenti ai concetti sacri del cattolicesimo, e mettono l’osservatore in discussione rispetto al suo posto in un mondo che sta vivendo una devastazione estrema, sia materiale che spirituale. Nonostante questo, è stata un successo a tutto tondo (i pezzi sono stati tutti venduti), i commenti della critica sono stati positivi, anche se molti dei lavori sembravano una ripetizione di quelli della fine degli anni novanta: ‘Ha fatto sì che profonde cappe geologiche si muovessero nella mia psiche ed è riuscita a riorganizzare impressioni e concetti del mondo. I suoi lavori hanno toccato zone molto sottili (dell’anima) che sono in relazione con la fragilità umana’ 98. Anche il pubblico, numerosissimo e curioso, ha invaso la galleria nei mesi di apertura, nonostante i timori pre-vernissage dei giornalisti: ‘ma come sarà accolta 52


dall’America Latina così timorata di Dio?’ 99. Credo invece che Hirst non se ne sia preoccupato affatto. Del Messico ha anche detto: ‘Ci sono due lotte che continuano ininterrottamente –una interna, l’altra esterna- e quando sei qui, quello che succede in America o in Inghilterra sembra un puntino all’orizzonte. In Messico ci sono meno trivialità e più orrore. Due tipi sono entrati in un night club qui vicino e hanno ‘versato’ cinque teste mozzate sulla pista da ballo. Erano coinvolti nel traffico di droga, ma per tutti le scelte sembrano più realistiche, hanno molta più paura, ma lo sono in una maniera più sana. La gente ha molta umiltà di fronte a queste enormità, c’è meno arroganza e più comprensione. Noi cerchiamo invece di evitare la morte in modo paranoico e idiota. Se invece la accetti, la nuvoletta nera è meno pesante’ 100. Del resto Città del Messico è diventata nell’ultimo decennio non solo famosa per il suo smog o la sua criminalità, ma soprattutto per le numerosissime gallerie che offrono esposizioni spesso assai più vivaci e interessanti di quelle che si possono vedere a New York e Londra 101.

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Una mostra in Italia LA MORTE TI FA BELLA Galleria Sansalvatore, via Canalino 31, Modena 30 ottobre – 04 dicembre 2004 102

l tema iconografico del teschio sopravvive nell’arte contemporanea senza assumere ogni volta il significato di memento mori. In alcuni casi l’allusione alla morte passa in secondo piano e il teschio diventa solo un pittogramma dal valore segnaletico o decorativo. Oggi il teschio non è solo simbolo o metafora, ma anche un segnale, un codice. Lo si usa con la stessa leggerezza con cui si usa l’immagine del cuore: è quasi diventato un luogo comune del nostro immaginario. Senza dubbio è la testimonianza più ricorrente della vanitas ma, non si può ridurre il teschio a rappresentazione macabra del disfacimento organico, perché in questo vi è anche l’opera del Tempo. In questa mostra collettiva, la morte, il teschio, lo scheletro sono visti sotto tutti gli aspetti possibili 103. Tra gli artisti che hanno partecipato: Robert Gligorov, Federico Guida, Marco Fantini, Tony Oursler, Gabriele Arruzzo, Bertozzi e Casoni, Paolo Grassino. Robert Gligorov ha esposto Verrà la Morte, dove una coppia di lumache con il guscio a forma di teschio sembra alludere al destino lento ma inesorabile che attende ognuno di noi. Con Germe Latente (2004), Federico Guida si rifà alla tradizione pittorica del Seicento. Marco Fantini, nel suo Dead Line (2004), impiega il teschio come pittogramma, che si separa dal suo significato letterale per recuperare il linguaggio dei cartoons. Tony Ousler presenta la sua opera su carta. Dagli anni’70 ha dipinto strumenti tecnologici e di morte come teschi e scheletri, che sembrano estratti da un atlante di medicina. 54


Le metafore della contemporaneità dipinte da Gabriele Arruzzo, contaminano l’iconografia dell’arte del passato con elementi che provengono da grafica e fumetto, dalla letteratura all’attualità. In Senza Titolo (Memento) del 2004, compaiono le vanitas tradizionali, un teschio e una rosa, e compare la Pittura, come una mano del pittore entrata nel quadro nell’atto di dipingerlo. Le sculture ‘ciniche’ di Bertozzi e Casoni, contaminano l’antica tecnica della ceramica con la tecnologia della stampa laser. Le opere della serie Avanzi (2001-2008), dedicati al tema della caducità, hanno espliciti rimandi alle vanitas barocche. Tutto il lavoro di Paolo Grassino è un’allegoria del Tempo, della trasformazione continua nella vita di persone, animali e cose, i cui resti si confondono per diventare spazzatura.

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Una mostra a New York: epilogo o prologo? I AM AS YOU WILL BE: THE SKELETON IN ART Cheim & Read, 547 West 25 Street, New York, NY 20 settembre-3 novembre 2007 Artisti presenti: Francis Alÿs, Donald Baechler, Matthew Barney, JeanMichel Basquiat, Lynda Benglis, Michaël Borremans, Louise Bourgeois, Marcel Broodthaers, Salvador Dalí, Paul Delvaux, Wim Delvoye, Marlene Dumas, James Ensor, Jan Fabre, Angelo Filomeno, Roland Flexner, Katharina Fritsch, Adam Fuss, Damien Hirst, Jenny Holzer, Lady Pink, Jannis Kounellis, Sherrie Levine, Kris Martin, Tony Matelli, McDermott & McGough, Robert Morris, Edward Munch, Alice Neel, Pablo Picasso, Jack Pierson, Sigmar Polke, Félicien Rops, Leon Spilliaert, Jan Van Oost, Andy Warhol

uesto lavoro è iniziato più di un anno fa, nell’autunno 2007 a New York. Prima di partire avevo letto che nelle gallerie del quartiere Chelsea avrei trovato una serie di esposizioni sul tema della morte. Purtroppo l’aereo prenotato mi ha permesso soltanto di visitare, nell’ultimo giorno di apertura, quella che ha ricevuto le recensioni più numerose. I Am As You Will Be: The Skeleton in Art nella galleria Cheim & Read è stata un’esperienza che ha messo in moto tutta quella serie di pensieri che ho cercato di trasmettere a parole in questa tesi. L’esposizione, curata da Xavier Tricot, presentava 44 lavori di 33 artisti in uno spazio davvero straordinario. Il periodo storico è compreso tra la seconda metà dell’Ottocento e i giorni nostri e le opere illustrano la visione della morte in modo pressoché completo. Non solo la paura che è a essa legata, quindi, ma anche la sfida, la denuncia, il 56


piacere, l’ironia, la sua sacralità… per ricordarci, come Francisco de Quevedo nell’introduzione al catalogo della mostra (di Xavier Tricot), che ‘(si è) teschio e ossa ben prima di sapere di poterlo essere’.

Un’esperienza spiazzante quella che ho vissuto entrando nella galleria e trovandomi di fronte al tavolo da pranzo così ‘domestico’, così normale, ricoperto da ordinate fila di ossa, vertebre e perfino denti, di Jenny Holzer (Lustmord Table, 1994). Lustmord, che in tedesco significa omicidio a sfondo sessuale.

La Holzer dopo aver letto dei crimini commessi durante la guerra bosniaca, ha iniziato a fare una serie di opere con questo stesso titolo. Quindi, non solo il tavolo (a 17 delle ossa sono stati aggiunti degli anelli d’argento con delle lettere incise: parole della poesia Her Breasts), ma anche tre dei suoi truisms composti da luci in cui si legge una conversazione che da tenera diventa via via sempre più dolorosa, opprimente, orribile, insopportabile. Sono le parole di tre persone diverse: 57


la vittima, il carnefice e l’osservatore 105. Nella mostra questa seconda parte non è presente, c’è solamente il tavolo e le ossa, e l’impressione è tranquilla, delicata; soprattutto per chi come me non conosce il significato del titolo e non riesce a decifrare le parole della poesia sugli anelli d’argento… La Vittima: Sono sveglia in un posto dove le donne muoiono./L’uccello gira la testa e mi guarda con un solo occhio quando si entra./Le mie tette sono così gonfie che le mordo/Il tuo linguaggio abominevole è nell’aria a lato della mia testa/Non mi piace camminare perchè lo sento tra le mie gambe./Peli sono infilati dentro di me./Il mio naso si è rotto sull’erba. I miei occhi mi fanno male contro il palmo della tua mano./Ho il sangue gelatina./Con te dentro di me arriva anche la consapevolezza della mia morte./Hai pelle nella tua bocca. Mi lecchi stupidamente./Mi confondi con qualcosa che è dentro di te. Non predirrò come hai intenzione di usarmi./Io sento chi sei e non mi fa nessun bene./Cerco di eccitarmi per rimanere folle./Ciò che rimane sulla coperta è chiaro e ha il colore dell’inferno.

Terribile come un pugno nello stomaco che mi ha colpito solamente quando mi sono messo a cercare il perché di un’opera che mi era così piaciuta. Di stanza in stanza, continuo a incontrare ossa da tutti i punti di vista e in ogni materiale possibile, dal romanticamente macabro al distaccato e cerebrale. I lavori più intimi e diretti sono per esempio le quattro incisioni di James Ensor eseguite tra fine Ottocento e inizio del Novecento. Sono anche opere piene di ironia, come Skeletons Playing Billiards, 1903, My Portrait as a Skeleton, 1889 e Skeletons Trying to Warm Themeselves, 1895 dove un disperato e infreddolito gruppo di scheletri si ammassa intorno a una stufa. Anche la morte, pare, non è riuscita a liberarli dalla miseria umana. Il surrealista belga Paul Delvaux riempie di scheletri i suoi dipinti. Io ricordavo soprattutto le sue Passioni di Cristo che spiegava con queste parole: ‘Non potevo dipingere nuovamente delle scene religiose con personaggi vivi, è stato già fatto migliaia di volte. Quello che potevo fare era ritrarre i personaggi come scheletri e dare qualcosa di diverso, di drammatico e vivo ai miei scheletri…’ 106 E sì, indubbiamente i suoi scheletri sono vivi, come l’olio su tela Squellette dans l’Atelier (1907-45) con la sua posizione 58


seria e decisa e i suoi colori caldi, molto differenti da quelli che ci presenta Damien Hirst. Uno scheletro maschile e uno femminile appesi su treppiedi metallici, impersonali, ovvi nella loro semplicità (Male and Female Pharmacy Skeletons, 1998/2004). L’unico intervento dell’artista sugli scheletri di plastica e gomma sembra essere un piccolo, indecifrabile diagramma dipinto su cadauno dei teschi: uno in rosa, l’altro in azzurro. Nello stesso spazio tre lavori di Andy Warhol che sembrano analizzare l’atteggiamento umano nei confronti della morte invece dei metodi formali per la sua rappresentazione: il SelfPortrait with Skull, 1978 tutto sui toni rosso fuoco, dove tiene in bilico sulla testa un teschio come un giocoliere e Untitled (Skeletons), 1976/86 in contrastato bianco e nero che ricorda un magazzino degli orrori, sconvolgente, assai più del noto Skull, 1976, stampa serigrafica su pergamena (ho trovato la scelta del supporto davvero adatto al soggetto). E poi l’amico Jean-Michel Basquiat, con un disegno/graffito No hay crimen (de clase) 1983, politico e probabilmente già un riferimento all’epidemia di AIDS che stava mietendo vittime tra gli artisti più vicini; e un altro, bellissimo graficamente, Untitled (Skull), 1982, che deve essere rimasto a terra nel suo studio, perché ci si vede, nettissima, l’impronta della scarpa da tennis. L’essere così formidabile della morte ha spinto Jan Fabre a celebrarla con stravaganza: Skull with Budgerigar, 2000 è uno splendido teschio ricoperto di elitre di scarabei che tiene tra i denti una cocorita dal piumaggio azzurrino che ha uno sguardo niente affatto impaurito. Tra una litografia di Picasso, una puntasecca di Munch, c’è Wim Delvoye con Butt, 2000 e Suck 1, 2000, due cibachrome su alluminio della serie di fotografie a raggi X, dove il concetto di eros e thanatos è espresso nella maniera più lampante possibile. Credo che quello che disorienta di più nelle immagini, è che di solito associamo le radiografie al campo medico, cioè a qualcosa di davvero poco erotico e siamo al contempo ormai immuni al bombardamento di immagini pornografiche che subiamo quotidianamente. Il fatto di vedere due scheletri che eseguono una fellatio però, può lasciarci del tutto straniati. Ho anche ritrovato, Angelo Filomeno dopo averlo visto alla Biennale di Venezia 2007, con un suo sontuoso, The 59


Philosopher’s Woman, 2006 presentato come l’archetipo dell’orrore delle fiabe, nonostante la bellezza dei materiali con cui è eseguito. E poi ho scoperto Tony Matelli con il suo Sad Skulls (2003), una scultura che presenta una piramide di teschi in polistirene. L’originalità dell’opera risiede nel fatto che i teschi sono tutti differenti: quelli adulti completi da molari usurati o cariati, quelli dei bambini con i dentini appena affioranti. Con un’abile e leggera alterazione alla struttura ossea, Matelli ha cambiato completamente l’espressione del teschio: dal ghigno mortale e sardonico, a una tristezza che è quasi un blues. L’impressione che ne deriva è inquietante: da un lato perché i teschi sembrano appartenere a dei personaggi dei comics, dall’altro la forma piramidale ci ricorda le stragi di innocenti in tutti i secoli della nostra storia. Direi che questo lavoro incarna la natura morta, il memento mori, la vanitas dei nostri tempi a volte davvero troppo tragici per poterne sorridere seppure da morti. Un buon inizio e anche una fine perfetta. Il messaggio è che tutta l’arte è basicamente il tentativo di spiegare, schivare o accettare la morte, è necessità di commemorare o comunicare con la morte, con i morti o con gli dei; o ancora è il bisogno di rifiutare di obbedirle, è il desiderio di sfidarla, facendo qualcosa che viva per sempre. E scheletri e teschi sono sia assolutamente essenziali per la vita fisica, sia imprescindibili come simboli della sua inevitabile fine.

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Iconografia In copertina: Bertozzi e Casoni, Skeletal Madonna, ceramica policroma, 2003 La citazione di Francisco de Quevedo è tratta da El sueño de la muerte, 1627 I capolettera di ogni capitolo sono tratti dall’alfabeto Alphabet of Death di Hans Holbein il Giovane, stampato a Lyon nel 1538 e parte della sua Dance of Death. Sono presenti 24 lettere in totale. Le lettere ‘J’ e la ‘U’ mancanti, sono rimpiazzate dalla ‘I’ e la ‘V’. http://www.godecookery.com/macabre/dalpha/dalpha.htm

Premessa -José Guadalupe Posada, Calavera de la Catrina, 1913

Il teschio e lo scheletro, simboli antichi e moderni -particolare di una pietra tombale presente nello storico cimitero di Granary Buryin Ground, Tremont St., Boston, U.S.A. -Gino De Dominicis, Il tempo, lo sbaglio, lo spazio, 1969

Vanitas -Tzompantli raffigurato alla destra di un tempio azteco dedicato a Huitzilopochtli (dio del sole e patrono di Tenochtitlan), da un manoscritto del 1587 redatto da Juan Tovar e meglio conosciuto con il nome di Codice Ramirez, Museo Nacional de Antropología, Messico -Altare alla Santa Muerte nel quartiere di Tepito, calle Alfareria, Città del Messico

Ciclo morte-resurrezione -Manila, North Cemetery, foto di Bahag da Vice Magazine http://www.viceland.com/ video del National Geographic sulla ‘citta dei morti’ a Il Cairo: http://video.nationalgeographic.com/video/player/news/culture-placesnews/egypt-cemetery-apvin.html -Ana Mendieta, Itiba Cabubaba (Old mother blood), 1981 - parte delle Rupestrian sculptures, pareti incise nella caverna del Parco Statale di Escaleras de Jaruco, La Habana, Cuba

Simbolo provocatorio -José Guadalupe Posada, Calavera de Don Quijote, incisione , 1905 ca. -Sergei Eisenstein: 1)Ritratto con calavera de azucar (teschio di zucchero) durante le riprese del film ¡Qué Viva México! nel Día de Muertos (Giorno dei morti, Ognissanti)

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2)Einsentein mentre dirige il film sulla piramide di Quetzalcoatl a Teotihuacán, Messico foto del sito: http://en.wikipedia.org/wiki/Sergei_Eisenstein

Maschera e teschio -due immagini di uno stesso reconditorio presente in una chiesa di Lech, Austria. Immagini trovate in questo blog: http://holywhapping.blogspot.com/2008_04_01_archive.html -Frida Kahlo, Niña con máscara de calavera (1), 1938, olio su lamina, 20 x 14.9 cm, Nagoya City Art Museum, Giappone

Lo scheletro allo specchio, volto assente come protagonista nell’arte contemporanea -Marina Abramovic, Balkan baroque, 1997, performance alla XLVII Biennale internazionale d’arte di Venezia -Otto Dix, Teschio, 1924. Incisione di un teschio trovato su un campo di battaglia, parte di un portfolio di 50 incisioni e acqueforti titolato Der Krieg (la guerra)

Moda e simboli di morte -due immagini di: Izima Kaoru, Sakai Maki wears Jil Sander, 2008 , stampa Cibachrome

Trame, orditi… -Angelo Filomeno, Death of blinded philosopher (Morte di filosofo accecato), 2006, ricami su shangtun di seta, lino e cristalli, 106.7 x 309.9 cm., collezione dell’artista, cortesia della Galerie Lelong, New York, foto di Michael Bodycomb -due immagini di: -Hildur Bjarnadóttir, Untitled, 1999, filo di cotone

…e decorazione -Gabriel Orozco, Cometas negras, 1997, grafite su teschio

Teschi e ancora teschi -Henry Moore nel suo studio mentre lavora sulle incisioni della serie Elephant skull, foto di Errol Jackson, 1969 -Robert Lazzarini, Skull, 1999, resina e osso

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Teschi pop -marchi di abbigliamento e skateboard: Sonic Skatebords™, tokidoki™, Blind™, Bueno™, True Grit™, Bones™, Phantom™, Zero™. -due banconote: 1) la versione dell’artista D*Face del 2005 2) la versione del fratelli Chapman all’inaugurazione della Frieze Art Show del 2007 -Ricky Swallow, iMan Prototypes, resina, 2001 -Hyungkoo Lee nel suo atelier/laboratorio con alcuni Animatus, foto Arario Gallery, Seul, Corea

Teschio, scheletro e orrore -Lynsey Addario for The New York Times, Crimes of war. Evidence of killings by government troops abound in Sudan (Crimini di guerra. Sono molte le prove degli assassinii perpetrati dalle truppe governative), 27 luglio 2008 -Paolo Canevari, Burning Skull, video, 2007

Morti e defunti -quattro immagini dal Ghana: 1)Paa Joe, Sandal coffin (bara a forma di sandalo), 2006 2, 3, 4) Ataa Oko Addo, disegni, matita colorata, 2006 -Rebecca Horn, Spiriti di madreperla, Napoli, piazza del Plebiscito, 2002 -Andrés Serrano, The morgue part II (Death by natural causes II), Cibachrome, silicone, plexiglass e cornice di legno, 152,4 x 127,7 cm, 1992 -Ritratto di Tim Burton dal sito 353review.com/2008/ 07/26/tanka-tim-burton/ -tre immagini a fine capitolo: 1) Reliquie dei martiri di Otranto nella cattedrale della città 2 e 3) Gold Bar NY - 389 Broome St., New York. Immagini tratte dalla home page: http://www.goldbarnewyork.com/

Pornografia e raggi X -Hand mit ringen (mano con anelli): stampa fotografica della prima radiografia medica della mano della moglie di Wilhelm Röntgen scattata il 22 dicembre 18995 e presentata il primo gennaio 1896 al Prof. Ludwig Zehnder del Physik Institut dell’Università di Friburgo, Germania.

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L’artista e la morte -Jonathan Monk, A Work in progress (to be completed when the time comes) 1969- , marmo, 2005.

I Collezionisti di ossa -Damien Hirst, Adam and Eve under the table (Adamo e Eva sotto al tavolo), mixed media, 2005

Una mostra in Italia -Bertozzi e Casoni, Torre di Babele, ceramica policroma, 2002

Una mostra a New York: epilogo o prologo? -due immagini della installazione di Jenny Holzer, Lustmord table, 1994 -L’emblema a fine capitolo è tratto da Collection of emblemes ancient and moderne di George Wither e rappresenta un putto in atteggiamento meditativo, con il gomito poggiato su di un teschio, il tutto incorniciato da un serpente che si morde la coda. Tale raffigurazione non ha bisogno di ulteriori elementi per essere colta nel suo significato e a renderla ancora più chiara e inequivocabile c’è il motto 'Finis ab origine pendet' (La fine è nel principio) che corre intorno all’immagine e i due versi che la introducono "As soone, as we to bee, begunne; we did beginne, to be undone" (Così presto appena nasciamo, noi a morire già incominciamo). Inoltre, nell’originale, c’è la peculiarità del testo di Wither, un epigramma in trenta versi che spiega ciascuno degli emblemi della Collection.

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Note Teschio e lo scheletro, simboli antichi e moderni (1) e (1.1) per quello che riguarda il simbolismo, http://www.designboom.com/history/death.html (2) per i riferimenti sull’arcano maggiore dei tarocchi numero 13, la Morte, Arthur Edward Waite (1857-1942), mistico e studioso statunitense di occultismo e esoterismo. Oltre a numerosi libri sul tema, consiglio la lettura del sito web http://en.wikipedia.org/wiki/Tarot (3) pag. 86, Enrico De Pascale, Morte e resurrezione, ed. Electa, collana I dizionari dell’arte, 2007 (4) per Gino De Dominicis Italo Tomassoni, Flash Art, marzo 1999 Laura Cherubini, Flash Art, giugno-luglio 2008 Roberto Barzi, Calamita cosmica, Ancona, Mole Vanvitelliana,dal 26 giugno al 2 ottobre 2005, recensione pubblicata su Archimagazine e il sito web http://ps1.org/exhibitions/view/204/ (5) per Adel Abdessemed comunicato stampa di David Zwirner per Adel Abdessemed: drawing for human park, Magasin Centre National d’Art Contemporain, Grenoble, Francia, dal 3 febbraio al 27 aprile 2008; e comunicato stampa del MIT List Visual Arts Center, Wiesner building, 20 Ames St., Cambridge, Mass. U.S.A., per Adel Abdessemed: situation and practice, dal 11 ottobre 2008 al 4 gennaio 2009 (6) pag. 99, Enrico De Pascale, Morte e resurrezione, ed. Electa, collana I dizionari dell’arte, 2007

Vanitas (7) dal monologo dell’ atto III, scena I, dell’Amleto di William Shakespeare (8) pagg. 8-9, Rob Linrothe and Jeff Watt, Demonic divine, Himalayan art and beyond, ed. Serindia publications, 2004. Catalogo della mostra al Rubin Museum of Art, New York , 2 ottobre 2004-9 gennaio 2005 (9) pagg. 111-124, Eduardo Matos Moctezuma, Muerte a filo de obsidiana. Los Nahuas frente a la muerte, Fondo de Cultura Económica, 2005 pagg 93-96, Eduardo Matos Moctezuma, Tenochtitlan, Fondo de Cultura Económica

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(10) da un articolo pubblicato sul quotidiano messicano El Universal del 30 marzo 2004 questo sito web http://es.catholic.net/sectasapologeticayconversos/243/1456/articulo.php?id=2 1521

Ciclo morte-resurrezione (11) per Olaf Breuning pag. 186, Six feet under, autopsy of our relation to the dead, ed. Kerber, 2006. Catalogo della mostra dallo stesso nome, Kunstmuseum Bern, Berna, Svizzera, 2 novembre 2006-21 gennaio 2007 (12) per Marc Quinn il sito web http://www.whitecube.com/artists/quinn/ (13) per Teresa Margolles il sito web http://www.culturebase.net/artis.php?1013 e qui di seguito c’è anche il video con un’intervista all’artista: http://www.tate.org.uk/liverpool/exhibitions/liverpoolbiennial06/artists/marg olles.shtm (14) per Ana Mendieta: il sito web http://www.women.it/oltreluna/artepolitica/artisteviolenza/anamendieta.htm e Blake Gopnick, ‘Silueta’ of a woman: sizing up Ana Mendieta, articolo apparso sul quotidiano Washington Post del 17 ottobre 2004

Simbolo Provocatorio (15) ho trovato l’ispirazione per questo capitolo in particolare da Itinera – Rivista di filosofia e di teoria delle arti e della letteratura, dic. 2007 Lo spettatore e la deissi della propria morte: teschio e scheletro in alcune opere del XX e XXI secolo (narrativa, cinema, arti plastiche) articolo di Annelisa Addolorato (docente di lingua spagnola presso la facoltà di economia dell’Università di Pavia) (16) Carlos Monsivais, Cartoline messicane – Strategia della lumaca, 1997, Roma (17) per Sergei Eisenstein il sito web http://www.quevivamexico.com/site_home.htm

Maschera e teschio (18) per reconditori e reliquari il sito web del Metropolitan Museum of Art di New York dedicato al tema http://www.metmuseum.org/TOAH/HD/relc/hd_relc.htm (19) alcuni accenni dal libro di Massimo Canevacci, Antropologia della comunicazione visuale, ed. Meltemi, 2001 (docente di antropologia culturale presso la facoltà di sociologia dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma)

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Lo scheletro allo specchio, volto assente come protagonista nell’arte contemporanea (20) anche qui alcuni accenni da Itinera – Rivista di filosofia e di teoria delle arti e della letteratura, dic. 2007, stesso articolo di Annelisa Addolorato (21) per Michel Basquiat pagg. 29-31, Gianni Mercurio, The Jean-Michel Basquiat show, ed. Skira, 2006. Catalogo della mostra con lo stesso nome alla Fondazione La Triennale di Milano, 19 settembre 2006-28 gennaio 2007 (22) per Dinos e Jake Chapman il sito web http://www.whitecube.com/artists/chapman/ (23) un articolo di Vivianne Loria, En la Era del Artificio, Lápiz-Revista internacional de arte, n. 217, novembre 2005 e i due siti web relativi alla mostra http://www.salamancaciudaddecultura.org:81/da2/descripcion.php?id=99 http://www.salamancaciudaddecultura.org:81/da2/descripcion.php?id=100 (24) per Pablo Alonso http://www.janwentrup.com/artists/pablo_alonso/works/ (25) per Marina Abramovic http://www.skny.com/artists/marina-abramovi/bio/ e nel sito dell’Hangar Bicocca, http://www.hangarbicocca.it/ cercando l’artista tra gennaio e maggio del 2006 (26) per Paolo Canevari http://www.treccanilab.com/biennale_di_venezia/corderie/canevari.php

Moda e simboli di morte (27) (http://www.donnamoderna.com/quello_che_succede/pagina_articolo/quelch esuccede/da-hollywood-all-italia-e-scoppiata-la-skull-mania.html) (28) per Izima Kaoru pag. 170-171, Six feet under, autopsy of our relation to the dead, ed. Kerber, 2006. Catologo della mostra dallo stesso nome, Kunstmuseum Bern, Berna, Svizzera, 2.11.2006-21.1.2007 e il sito web http://www.vonlintel.com/index2.html

Trame, orditi… (29) per Angelo Filomeno Xavier Tricot, dall’introduzione di A portrait of the skeleton as a work of art, catalogo della mostra I am as you will be: the skeleton in art, Cheim and Read, NY, 2007 e il sito web: http://www.treccanilab.com/biennale_di_venezia/corderie/filomeno.php

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(30) da un’intervista concessa da Angelo Filomeno a Grazia D’Annunzio, Vogue, giugno 2007 (31) per Stephanie Metz il suo sito web http://stephaniemetz.com e il suo portfolio http://artbysteph.com/portfoliocurrent.html (32)per Ben Cove il suo sito web http://www.benjamincove.com/mainmenu.htm (33) per Hildur Bjarnadóttir http://www.portlandart.net/archives/2006/01/hildur_bjarando.html http://www.boiseartmuseum.org/exhibit/hildur.php

…e decorazione (34) per Gabriel Orozco http://www.pbs.org/art21/artists/orozco/index.html e un articolo di Adrian Searle del quotidiano britannico The Guardian del 28 settembre 2006 (35) per Steven Gregory http://www.kingsplace.co.uk/visual-arts/pangolin-london/artists/stevengregory (36) per Damien Hirst per l’esposizione al British Museum di Londra http://www.britishmuseum.org/whats_on/all_current_exhibitions/statuephili a/damien_hirst.aspx http://www.artinfo.com/news/story/29966/damien-hirst-refuses-to-have-hiswork-filmed/ (37) per una spiegazione sulla spin-machine http://www.thegascoignegallery.com/damien_hirst.html (38) per Amy Sarkisian http://www.sisterla.com/artists/press/23 (39) per Jason Clay Lewis http://www.31grand.com/lewis.html (40) http://www.moma.org/collection/browse_results.php?criteria=O%3AAD%3A E%3A4416&page_number=1&template_id=1&sort_order=1 (41) per Kris Kuksi http://www.darkroastedblend.com/2007/10/art-of-grotesque.html (42) per Niki de Saint Phalle http://www.atlantabotanicalgarden.org/site/our_gardens/highlights_5.html

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Teschi e ancora teschi (43) per Georgia O’Keefe http://www.ellensplace.net/okeeffe4.html (44) per Henry Moore http://www.henry-moorefdn.co.uk/matrix_engine/content.php?page_id=2490 (45) dalla prefazione del catalogo della mostra Elephant skull: original etchings by Henry Moore, Gerald Cramer, Ginevra, 1970 (46) pag. 50-51, Gemma Levine, With Henry Moore: the artist at work, Sidgwick & Jackson, 1984 (47) per Hans Holbein il Giovane, The ambassadors, 1533, Londra, National Gallery pag. 100, Enrico De Pascale, Morte e resurrezione, ed. Electa, collana I dizionari dell’arte, 2007 e un’analisi dettagliata del dipinto http://web.archive.org/web/20060423155438/http://www.newcastle.edu.au/sc hool/fineart/arttheoryessaywritingguide/analysisofhansholbeinstheambassado rs.html (48) per Robert Lazzarini http://www.deitch.com/artists/sub.php?artistId=19 (49) per Andy Warhol http://alaintruong.canalblog.com/archives/2008/10/16/10971643.html (50) Sean O’Hagan, Hirst’s diamond creation is art’s costliest work ever, articolo apparso sul quotidiano britannico The Guardian il 21 maggio 2006 e William Shaw, The iceman cometh, articolo apparso sul quotidiano statunitense The New York Times il 3 giugno 2007 (51) Francesca Gavin, dall’introduzione al libro Hell bound, new gothic art, Laurence King publishing, 2008)

Teschi pop (52) Jo Waterhouse e David Penhallow, dall’introduzione di Skateboarder’s art: dai graffiti alle tele, ed. Logos, 2005 (53) Alessandro Riva, dall’introduzione di Street Art, Sweet Art. Dalla cultura hip hop alla generazione pop up, catalogo della mostra al PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, dall’8 marzo al 9 aprile 2007 e Paul Budnitz, dall’introduzione di I am plastic: the designer toy explosion, ed. Harry N. Abrams, 2006

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(54) A.A.V.V., Kaws One, ed. Little More, 2001 e questo sito web http://www.nytimes.com/2008/08/03/magazine/03wwlnconsumed-t.html?_r=1&scp=2&sq=the%20new%20york%20times%20magazi ne,%20kaws,%202008&st=cse (55) per Jeremy Fish http://www.formatmag.com/features/artist/jeremy-fish/ (56) per Mike Giant http://swindlemagazine.com/issue19/mike-giant/ (57) per Bansky pagg. 42-46, dall’introduzione di Alessandro Riva a Street Art Sweet Art, dalla cultura hip hop alla generazione pop up, Skira, 2007, catalogo della mostra al PAC- Padiglione di Arte Contemporanea di Milano, dall’ 8 marzo al 9 aprile 2007 (58) per Paul Insect http://www.woostercollective.com/2004/12/new_work_from_ paul_insect.html (59) per D*Face http://www.woostercollective.com/2003/07/dface_the_vitalsage_ask.html (60) http://www.bigshinything.com/dface-vs-the-chapman-brothers (61) per Erica il Cane http://www.designerblog.it/post/682/erica-il-cane-a-pitti-immagine-uomo-07 (62) per Alexandre Orion http://www.environmentalgraffiti.com/featured/35-greatest-works-of-reversegraffiti/1949/4 (63) per Ricky Swallow pagg. 146-151, Francesca Gavin, Hell bound, new gothic art, Laurence King publishing, 2008 (64) per Hyungkoo Lee http://www.villagevoice.com/2008-03-18/art/mickey-s-fibula-courtesy-ofhyungkoo-lee/

Teschio, scheletro e orrore (65) http://sweetness-light.com/archive/outrage-at-german-soldiers-posingwith-afghan-skull e anche questo sito web della agenzia Reuters http://www.alertnet.org/thenews/newsdesk/L25241798.htm

Morti e defunti (66) pagg. 23-24, dal catalogo della mostra Six feet under: autopsy of our relation to the dead, id.

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(67) http://www.ghanaweb.com/GhanaHomePage/NewsArchive/photo.day. php?ID=52081 e in questo sito web si può anche comprare una bara http://www.eshopafrica.com/acatalog/Ga_Coffins.html (68) per Rebecca Horn http://guide.supereva.it/campania_i/interventi/2003/01/128130.shtml (69)per Andrés Serrano http://biblioteca.artium.org/dossieres/AR00167/themorgue.htm e il comunicato stampa della mostra Il dito nella piaga al PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano dal 14 ottobre al 26 novembre 2006 http://www.teknemedia.net/archivi/2006/10/14/mostra/18107.html (70) per Joel Peter Witkin http://d-sites.net/english/witkin.htm (71) http://www.kostnice.cz/ (72) http://www.cappucciniviaveneto.it/ (73) http://it.wikipedia.org/wiki/Beati_martiri_di_Otranto (74) http://members.tripod.com/~Motomom/index-3.html

Pornografia e raggi X (75) Sulla pornografia, tratto da Timothy Greenfield-Sanders, XXX: 30 PornStar Portraits, Bulfinch, NY, 2004 (Faye Wattleton è presidente dell’associazione U.S.A. Planned Parenthood, N.d.A.) (76) per Wim Delvoye http://www.galerieperrotin.com/artiste-Wim_Delvoye-116.html# (77) per Ben Kruisdijk la sua pagina web http://www.benkruisdijk.com/ (78) per Nick Veasey la sua pagina web http://www.nickveasey.com/ il libro a cui si fa riferimento e’: Nick Veasey, X-Ray: see through the world around you, Carlton Books, 2008 (79) per Diane Covert http://news-service.stanford.edu/news/2007/october31/xray-103107.html (80) per Vedovamazzei http://www.italianarea.it/index.php/Vedovamazzei/?idartista=1232719077#p (81) http://www.portfolioonline.it/cgi-bin/portfolio/portfolio.pl?action=descri zione&foto=1233327055 (82) per Benedetta Bonichi http://www.frameonline.it/Fuoricampo_Bonichiintervista.htm

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(83) per Robert Gligorov il sito web dell’artista http://gligorov.aeroplastics.net/ e Gillo Dorfles, Horror Pleni. La (in)civiltà del rumore, Alberto Castelvecchi editore, 2008

L’artista e la morte (84) nel saggio Il Perturbante -Unheimlich- apparso sulla rivista di psicanalisi viennese Imago e ripreso da Aldo Carotenuto, Freud il perturbante, Studi Bompiani, Bergamo, 2002 (85) per John Armleder http://www.frieze.com/issue/print_back/john_armleder1/ (86) per Martin Kersels http://www.undo.net/cgi-bin/undo/pressrelease/pressrelease.pl?id=1083317352 (87) per Bas Jan Ader il sito web dell’artista http://www.basjanader.com/ (88) per Jonathan Monk http://www.frieze.com/issue/review/jonathan_monk/

I collezionisti di ossa (89) http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/giornalisti/grubrica.asp?I D_blog=175&ID_articolo=46&ID_sezione=358&sezione= (90) http://paleonews.wordpress.com/2008/06/07/collezionisti-di-ossa/ (91) per Meyer Vaisman http://www.artnet.com/Galleries/Artists_detail.asp?G=&gid=139120&which =&aid=16993&ViewArtistBy=online&rta=http://www.artnet.com (92) per Melli Ink http://www.designboom.com/weblog/cat/10/view/3954/melli-ink-editions-atcramer-cramer.html (93) per Shen Shaomin http://www.galerieursmeile.ch/nav/top/artists/text/default.htm?view_ArtistIt em_OID=65 e per vedere i suoi lavori http://www.galerieursmeile.ch/nav/top/artists/works/default.htm?view_Artist Item_OID=65 (94) pag 135, Damien Hirst e Gordon Brown, Manuale per giovani artisti, l’arte raccontata da Damien Hirst, Postmedia Books, 2004 (95) per i dati ho consultato l’articolo The shark’s last move pubblicato dalla rivista The Economist nell’edizione dell’ 11 settembre 2008. Qui si può leggere la versione online: http://www.economist.com/books/displaystory.cfm?story_id=12202493

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(96) intervista concessa a Jo Tuckman del The Guardian, 24 ottobre 2005 (97) Galería Hilario Galguera, calle Francisco Pimentel, 3 – Colonia San Rafael, Mexico, D.F., Mors Dei. Ad meliorem comprehensionem vitae sin Deo in nave stultorum 23 febbraio-31 agosto 2006, sito web http://www.galeriahilariogalguera.com (98) Magali Tercero, Revista Replicante, México, febbraio 2006 (99) Sean O’Hagan, The Observer, 24 febbraio 2006) (100) intervista concessa a Sarah Kent di Time Out London il 20 novembre 2006 (101) Julia Chaplin, in Contemporary Art: in Mexico City an edgy (and busy) art scene emerges articolo apparso sull’ International Herald Tribune, 12 settembre 2006

Una mostra in Italia (102) La morte ti fa bella, Galleria Sansalvatore, via Canalino 31, Modena, 30 ottobre – 04 dicembre 2004 www.galleriasansalvatore.it (103) tratto da un comunicato stampa trovato su www.teknemedia.net/fiere/dettaglio_news.html?newsid=8733#

Una mostra a New York: epilogo o prologo? (104) I am as you will be: the skeleton in art, Cheim & Read, 547 West 25 Street, New York, NY, dal 20 settembre al 3 novembre 2007, http://www.cheimread.com http://www.cheimread.com/exhibitions/2007-09-20_i-am-as-you-will-be/ (105) per una spiegazione completa, anche delle parole del carnefice e dell’osservatore (un bambino probabilmente), questo sito web è il più esaustivo http://www.geocities.com/Paris/Rue/5047/lustmord.html (106) nell’introduzione di Xavier Tricot al catalogo della mostra I am as you will be: the skeleton in art, id.

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Bibliografia Catalogo della mostra: I am as you will be: the skeleton in art, Cheim & Read, New York, 2007 Catalogo della mostra: Six feet under: autopsy of our relation to the dead, Kunstmuseum, Bern, ed. Kerber, 2006 Catalogo della mostra: Il male, a cura di Vittorio Sgarbi. Palazzina di Caccia di Stupinigi, Torino, ed. Skira, 2005 Demetrio Paparoni, Eretica.Trascendenza e profano nell’arte contemporanea, ed Skira, 2007 Francesca Gavin, Hell Bound. New Gothic Art, editore Lawrence King, 2000 Enrico De Pascale, Morte e resurrezione, I dizionari dell’arte, Electa, 2007 Marco Bussagli, Il corpo umano. Anatomia e significati simbolici, I dizionari dell’arte, Electa, 2005 Matilde Battistini, Simboli e Allegorie, I dizionari dell’arte, Electa, 2002 André Breton, L’arte magica, con la collaborazione di Gérard Legrand, Adelphi edizioni, 1991

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Siti web http://www.wikipedia.org http://www.flickr.com/ http://www.artcyclopedia.com http://www.artnet.com http://www.exibart.com http://www.artinfo.com http://www.artsblog.it http://www.teknemedia.net http://www.portfolioonline.it http://www.designboom.com/eng http://www.deitch.com http://www.saatchi-gallery.co.uk http://www.gagosian.com http://www.whitecube.com http://www.nytimes.com http://www.guardian.co.uk http://www.timeout.com http://www.frieze.com http://www.fecalface.com/SF

Blog http://www.skulladay.blogspot.com http://www.streetanatomy.com/blog http://www.whokilledbambi.co.uk http://www.iwantyourskull.com http://www.morbidanatomy.blogspot.com http://www.woostercollective.com

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Artisti, brevi biografie Abdessemed, Adel

(Costantine 1971- ) Artista multimediale algerino, vive lavora a Parigi. Utilizza video, animazione, performance e installazione per i suoi progetti artistici che hanno molto spesso una connotazione politica. Abramovic, Marina (Belgrado, 1946- ) Artista serba, famosa nel campo della Performance Art. Ha vinto il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 1997 e altri premi internazionali. Vive e lavora a Amsterdam, Olanda. Ader, Bas Jan (Winschoten, Olanda 1942-Oceano Atlantico 1975) Artista concettuale, fotografo, perfomance artist. Famoso per il suo cortometraggio I Am Too Sad to Tell You. Scompare in mare mentre prepara la performance In Search of the Miraculous. http://www.basjanader.com/ Alonso, Pablo (Gijón, Spagna 1969- ) artista e scenografo spagnolo emergente noto in patria e in Germania dove vive e lavora. Armleder, John (Ginevra, Svizzera 1948- ) Vive e lavora tra Ginevra e New York. Tra gli anni ’60 e ’70, attivo con Fluxus, un network internazionale di artisti di cui fa parte anche il musicista John Cage, e del progetto The Reality Bag. Arruzzo, Gabriele (Roma, 1976-) Vive e lavora a Pesaro. Nella sua arte mette in relazione le connessioni fra amore e morte, le uniche esperienze impossibili da controllare. Bansky (Yate, GB 1974- ) Robin Gunningham, street artist britannico che ha a lungo mantenuto l’anonimato. Usa solitamente la tecnica dello stencil per effettuare i suoi graffiti a sfondo satirico e politico. E’ famoso per essere entrato in rinomate gallerie e musei per appendere le sue opere in stile settecentesco con dettagli surreali. http://www.banksy.co.uk/ Basquiat, Jean (Brooklyn, NY 1960-New York 1988) pittore e writer Michel statunitense conosciuto anche con il nome di SAMO (salva gli idioti) che smetterà di usare nel 1978. Entra a far parte della Factory di Andy Warhol, ed è amico di Keith Haring e Madonna. Muore per overdose di eroina a ventisette anni. Bertozzi e Casoni Gianpaolo Bertozzi (Borgo Tossignano, BO 1957- ) e Stefano Casoni (Lugo di Romagna, RA 1961-) si conoscono all’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza. Il loro logo aziendale diventa il simbolo di una scelta artistica. Utilizzano vecchi metodi e nuove tecnologie per fare le loro opere in ceramica policroma.

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Bjarnadóttir, Hildeur

(Reykjavik, Islanda 1969- ) rinomata artista tessile islandese che ora vive e lavora in Stati Uniti. http://www.hildur.net/ Blu Street artist bolognese, anonimo. Dei suoi graffiti fa anche video in stop-animation. L’ultimo è Muto (2008) che si può trovare sul suo sito www.blublu.org. Lavora spesso con Erica il Cane. Bonichi, Benedetta (Alba 1968- ) piemontese, ha inizato a esporre nel 2002. Per il ciclo di mostre To see in the Dark (radiografie), ha ricevuto la targa d’argento del presidente della Repubblica Ciampi per la diffusione dell’arte italiana all’estero. Bosch, (s’Hertogenbosch 1450-1516) Pittore fiammingo. Hieronymus L’umanità e le sue debolezze sono le protagoniste dei suoi dipinti. Il Museo del Prado di Madrid possiede le sue opere più famose. Brady, Mathew B. (Warren County, NY1822-1896) famoso fotografo della guerra di secessione statunitense. Fece non solo ritratti, ma molte immagini che ritraevano cadaveri. Durante la guerra spese 100 mila dollari per creare le stampe e quando il governo si rifiutò di comprarle, andò in bancarotta. Morì in miseria. http://www.mathewbrady.com/ Breuning, Olaf (Schaffhausen, Svizzera 1970- ) Vive e lavora a New York. Crea ironiche fotografie, sculture, installazioni e video. http://www.olafbreuning.com/ Burra, Edward (Southkensington, Londra 1905-Hastings 1976) Pittore inglese celebre per le sue raffigurazioni del degrado sociale. La Tate Gallery tenne una retrospettiva dei suoi lavori nel 1973. Burton, Tim Timothy William Burton (Burbank, CA 1958- ) Regista, sceneggiatore e attore statunitense noto per la creatività fiabesca e visionaria dei suoi film. http://www.timburton.com/ Canevari, Paolo (Roma, 1963- ) Vive e lavora a Roma. Crea sculture di materiali poveri, installazioni, performances e video. http://www.paolo-canevari.gmxhome.de/ Chapman, Jake Jake (Cheltenham, GB,1966- ) e Dinos (London, and Dinos GB,1962- ) sono fratelli e artisti concettuali inglesi e lavorano quasi esclusivamente insieme. Utilizzano modellini in plastica o fibra di vetro e manichini. I loro lavori sono spesso grotteschi e pornografici. Hanno vinto il Turner Prize nel 2003. http://www.jakeanddinoschapman.com/ Conte, (Bergen, Norvegia) Si trasferisce giovanissimo con i Christopher genitori a New York. Ottiene una borsa di studio dalla Pratt Institute di NY. Lavora facendo protesi per chi ha sofferto l’amputazione di un arto e combinando la 77


Cove, Ben

Covert, Diane D*Face

De Saint Phalle, Niki

De Dominicis, Gino Delvoye, Wim

Dettmer, Brian Dix, Otto

Dupuis, David

passione per la scultura, la scienza e la biomeccanica ha iniziato a esporre nel 2007 le sue opere artistiche. http://www.microbotic.org/ Artista inglese che ha terminato gli studi nel 2001. E’ conosciuto soprattutto per i suoi grandi dipinti su ruote. Vive e lavora in Manchester, GB. http://www.benjamincove.com Artista statunitense, nota per il suo ‘Inside Terrorism: The X-Ray Project’ . http://www.x-rayproject.org/ Dean Stockton, artista britannico ironico e nichilista che fonde street e comics art. Alla prima esposizione, Death and Glory, tenuta alla Stolenspace di Londra nel 2006, ha venduto tutte le opere presenti. http://www.dface.co.uk/ Catherine Marie-Agnès de Saint Phalle (Neuilly-surSeine, F 1930-San Diego, CA 2002) Artista di origine francese stabilitasi ai sette anni a New York. Poetessa, fotomodella, sogna una carriera artistica. Si trasferisce a Parigi, dove, dopo un ricovero per depressione, inizia a dipingere e poi a fare le sue grandi sculture (Nanas) coloratissime. Vive per un lungo periodo a Capalbio in Toscana e insieme al suo compagno e artista Jean Tinguely realizza Il Giardino dei Tarocchi. Farà altri due giardini monumentali in USA e Israele. Ha un museo a lei dedicato a Nasu in Giappone. (Ancona 1947-Roma 1998) Artista emblematico e controverso, figura di spicco del nostro secondo dopoguerra, patafisico per eccellenza, tentò sempre di non farsi omologare dal mondo dell’arte. (Wervick, Belgio 1965- ) Artista concettuale belga noto per i suoi progetti non convenzionali: i maiali tatuati; Cloaca, un’installazione che produce feci; Euterpe, in cui produce lastre a raggi X di atti sessuali. http://www.wimdelvoye.be/ (1974- ) Artista contemporaneo americano, noto per le alterazioni a vecchi libri o musicassette che trasforma in sculture. (Untermhaus 1891-Singen 1969) Pittore tedesco. Volontario nella Prima Guerra Mondiale i cui orrori diventeranno uno dei temi espressi nella sua arte, così come la critica sociale e politica e il rapporto fra eros e morte. Esponente di spicco della Neue Sachlichkeit (Nuova Soggettività). Considerato dai nazisti ‘artista degenerato’. www.otto-dix.de (Holyoke, MA 1959- ) Artista statunitense, vive e lavora a NY. Usa grafite e matite per realizzare disegni/collage iperrealisti. 78


Egan, Mike

Eisenstein, Sergei Ensor, James

Erica Il Cane Fabre, Jan

Fairey, Frank Shepard

Fantini, Marco

Farmer, Tessa

Filomeno, Angelo

Fish, Jeremy

Giant, Mike

Pittore americano le cui opere trattano specificamente con la vita, la morte e la religione, di cui è ‘specialista’ poiché lavora in un’impresa di pompe funebri! www.eganpaintings.com/ (Riga 1898-Mosca 1948) Regista sovietico rivoluzionario, famoso per i suoi film muti. La corazzata Potêmkin, Ottobre, Ivan il Terribile. (Ostenda 1860-1949) Pittore espressionista belga introverso le cui opere si rifanno alla tradizione fiamminga: nature morte, ritratti, interni e paesaggi. I suoi dipinti aprirono la strada a surrealismo e dadaismo. (Bologna 1980- )Street artist, lavora spesso con Blu http://www.ericailcane.org/ (Anversa 1958- ) Artista, coreografo, regista teatrale e scenografo belga. Promotore di una ricerca artistica completa; è una delle personalità più rilevanti della scena europea. Motivi ricorrenti nei suoi lavori, animali impagliati ed insetti. (Charleston, SC 1970- ) Street artist statunitense, designer grafico, illustratore partito dalla scena dello skateboarding e sticker art e ormai famoso grazie al suo poster per la campagna elettorale di Barack Obama, ‘HOPE’. http://obeygiant.com/ (Vicenza 1965- ) Artista italiano interessato nei temi della diversità e alienazione. Dapprima influenzato da Diane Arbus e dal muralismo messicano disegna e si dedica alla pittura ad olio. I suoi ultimi lavori sono videoinstallazioni e sculture. http://www.marcofantini.org/ (Birmingham, GB 1978- ) Vive e lavora a Londra. Artista inglese che utilizza carcasse di insetti, radici e piante con cui elabora minuscole scene che ricordano l’immaginario magico di Hieronymus Bosch e dell’autore di racconti dell’orrore gallese Arthur Machen. www.tessafarmer.com/ (Ostuni 1963- ) Vive e lavora a New York. Artista figurativo neo-barocco che utilizza l’arte del ricamo su seta con inserti di cristalli e pietre preziose per creare il suo immaginario di vita e di morte. (Albany, NY 1974- ) Street artist e illustratore statunitense che vive e lavora in San Francisco. Ha lavorato per la Microsoft, Adidas, Nike e altre importanti ditte che producono abbigliamento e accessori per lo skateboarding. http://www.sillypinkbunnies.com/ Artista statunitense nato a New York che ha iniziato la sua carriera nella tattoo art, graffiti e design. http://www.mikegiant.com/ 79


Gligorov, Robert Goya y Lucientes, Francisco José

Grassino, Paolo

Gregory, Steven

Guida, Federico Gupta, Subodh

Hillier, Dan

Hirst, Damien

Holbein, Hans (il Giovane) Holzer, Jenny

(Kriva Palanka 1959- ) Artista macedone che vive e lavora a Milano. E’stato modello e attore (fotoromanzi Lancio). http://gligorov.aeroplastics.net/ (Fuendetodos, E 1746-Bordeaux, F 1828) Pittore e incisore spagnolo. Dà inizio alla pittura contemporanea. Notissime le sue incisioni de Los Desastres de la Guerra, Los Caprichos, i grandi dipinti El dos e El tres de mayo de 1808, Las Majas (desnuda y vestida) e i ritratti di governanti e borghesi spagnoli. (Torino 1967- ) Vive e lavora a Torino. Realizza sculture e installazioni in gomma e metallo di grande formato e forte impatto visivo http://www.paolograssino.net/ (1952- ) Nato in Sudafrica, vive e lavora a Londra. Maestro scalpellino, utilizza ossa e crani e li incastona con una combinazione di pietre semi-preziose e parti elettroniche e metallo. http://stevengregory.com/ (Milano 1969- ) Pittore, vive e lavora a Milano. Il corpo umano è il protagonista dei suoi lavori artistici. http://www.federicoguida.com/ (Khagaul, Bihar 1964- ) Artista indiano che vive e lavora a New Delhi. E’ fotografo, pittore, scultore, performance e video artist. Prepara i suoi lavori spesso utilizzando cliché tipici della vita indiana, ad esempio utensili da cucina. (Londra 1972- ) Artista inglese che vive e lavora a Londra. Incisore che fonde lo stile vittoriano all’orrore dei racconti gotici di Lovecraft. www.danhilliercom/ (Bristol 1965- ) Artista inglese che ha fatto parte del gruppo YBA (Young British Artists). Ha dominato la scena artistica britannica negli anni ’90. La morte è il tema centrale delle sue opere. E’ anche un uomo d’affari a capo della Science Ltd. che si occupa di elaborare –sotto la sua supervisione- le sue opere; e di una casa editrice: Other Criteria. L’asta di Sotheby’s del 2008 in cui ha venduto 218 delle sue opere ha fatto un totale da record mondiale: 198 milioni di dollari. www.damienhirst.com/ www.othercriteria.com/ (Augsburg 1497-Londra 1543) Pittore e incisore tedesco del Rinascimento nordico. Famosissimo per i suoi ritratti carichi di riferimenti simbolici. Lavorò tra Basilea e l’Inghilerra alla corte di Enrico VIII. (Gallipolis, OH 1950- ) Artista statunitense considerata tra le esponenti principali dell’arte concettuale e pubblica. Famosa per i suoi truisms, testi in stampatello nero su fogli bianchi affissi abusivamente negli spazi 80


Hopkins, James

Huan, Zhang

Ink, Melli

Insect, Paul Kaoru, Izima Kaws

Kagami, Ken

Kersels, Martin

Kruisdijk Ben

Kuksi, Kris Lazarus, Michael

urbani di Manhattan e i suoi lavori con LED luminosi e proiezioni allo xeno. www.jennyholzer.com/ (Stockport, Cheshire 1976- ) Scultore inglese che crea singolari nature morte a partire di oggetti d’uso quotidiano che, manipolati, risultano in scenografie illusorie. (An Yang City, He Nan 1965- ) Artista cinese che vive e lavora a New York. Famoso per le performances in cui utilizza il corpo e la sofferenza con ritualistica quasi religiosa per denunciare i traumi sofferti durante la rivoluzione culturale cinese. www.zhanghuan.com/ (Innsbruck 1972- ) Artista austriaca che vive e lavora a Zurigo. Utilizza il vetro soffiato come mezzo di espressione. Con questo materiale fa preziosi giardini luminescenti, animali, teschi e scheletri. www.melli-ink.com/ (1971- ) Artista grafico esponente della street art inglese www.paulinsect.com/ (Kyoto 1954- ) Fotografo giapponese che vive e lavora a Tokio, noto per le sue Landscapes with a corpse. Brian Donnelly (Jersey City, NJ 1974- ) Street artist che vive e lavora a Brooklyn, NY. Famoso per i suoi teschi cartoon, per i giocattoli, per la linea di abbigliamento e per le collaborazioni con la Nike. www.kawsone.com/ (Tokio 1974- ) Scultore giapponese che rielabora bambolotti con perversi teschi umani al posto della testa o trasforma giocattoli in incubi. http://www.kenkagami.com (Los Angeles, CA 1960- ) Artista statunitense, vive a Sierra Madre, CA. Lavora soprattutto con il suo corpo a cui fa delle ironiche fotografie mentre inciampa o cade rovinosamente. (Zaandam, NL 1981- ) Artista figurativo olandese esordiente. Lavora con lastre a raggi X, matite e acquarelli www.benkruisdijk.com/ (Springfield, MO 1973- ) Pittore e scultore statunitense appassionato in temi macabri e esoterici. http://kuksi.com/ (Newton, Mass. 1969- ) Artista figurativo statunitense vive e lavora a Brooklyn, NY. Elabora tele utilizzando tecnica mista in cui spesso vi è il tema della vanitas. http://www.michaellazarus.com/

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Lazzarini, Robert

Le Gentil Garçon

Lee, Hyungkoo

Lewis, Jason Clay

Margolles, Teresa Matelli, Tony Mendieta, Ana

Metz, Stephanie Monk, Jonathan Moore, Henry Spencer Muniz, Vik

Murakami, Takashi

(Parsippany, NY 1965- ) Scultore statunitense noto per utilizzare l’anamorfosi per creare le sue distorte opere d’arte. www.robertlazzarini.com/ Artista francese contemporaneo (si nasconde dietro a uno pseudonimo inventato nel 1998), che spazia tra installazioni, performances, video e scultura. Famoso è il suo Pac-man skull del 2002. http://www.legentilgarcon.com/ (Pohang 1969- ) Scultore coreano che ha creato la serie Animatus, realistiche riproduzioni degli scheletri in fermo immagine degli eroi dei cartoni animati. http://www.hyungkoolee.net/ (Enid, Oklahoma 1970- ) Scultore e artista figurativo statunitense che vive e lavora a NY. Lavora prevalentemente su temi religiosi e storici con una certa ironia. http://www.jasonclaylewis.com/ (Culiacan, Sinaloa 1963- ) Artista concettuale messicana. Membro fondatore del gruppo SEMEFO nel 1990, il suo atelier è la morgue di Città del Messico. (Chicago, IL 1971- ) Artista statunitense noto per le sue sculture iperrealiste che rappresentano il malessere sociale. (La Habana 1948-New York 1985) Artista cubanostatunitense femminista famosa per la sua performance art e per i suoi lavori con il tema earth-body. Muore in circostanze non chiarite cadendo dal 34º piano, da un appartamento nel Greenwich Village, dove viveva con lo scultore minimalista Carl André. Giovane artista statunitense della costa del Pacifico, che utilizza la lana cotta o feltro per elaborare le sue sculture. http://www.stephaniemetz.com/ (Leicester 1969-) Pittore, scultore e fotografo inglese che vive e lavora tra Berlino e Glasgow. (Castleford, Yorkshire 1898-Much Hadham 1986) Forse lo scultore inglese più noto del XX secolo. Le sue poderose sculture monumentali ‘astratte’ ritraggono anche la figura umana. (Sao Paulo, Brasile 1961- ) Artista brasiliano che vive e lavora a New York. I suoi lavori fotografici giocano sulla verosimiglianza e l’illusione. Spesso i temi delle sue opere sono ritratti di persone famose o riproduzioni di opere d’arte eseguiti utilizzando cioccolata, zucchero, terra… http://www.vikmuniz.net/ (Tokio 1963- ) Artista multifacetico giapponese che dipinge, ma spazia anche nell’arte digitale, nel filone dei manga e degli anime giapponesi, dei gadgets e giocattoli, delle sculture monumentali e coloratissime nello stile 82


O’Keeffe, Georgia

Oppenheim, Meret

Orion, Alexandre Orozco, Gabriel Os Gemeos

Oursler, Tony

Ozmo

Pelli, Leemour

Perego, Marco

Peter Smith, Mike

Superflat, lo stile di vita e la sub-cultura, il consumismo e il feticismo otaku (cioè di coloro che hanno interessi compulsivi nei videogames, etc.). http://www.kaikaikiki.co.jp/ (Madison, Wisconsin 1887-Santa Fé, NM 1986) Artista figurativa statunitense famosa per i suoi dipinti di fiori visti così da vicino, da apparire soggetti astratti, vagamente erotici. (Berlino, D 1913- Basilea, CH 1985) Artista associata al movimento Dada che è stata anche la musa del Surrealismo. Il suo lavoro più noto è Object (Le Déjeneur en Fourrure) del 1936. (Sao Paulo 1979- ) Street artist brasiliano, illustratore e fotografo. http://www.alexandreorion.com/_orion.htm (Jalapa, Veracruz 1962- ) Artista concettuale messicano che utilizza pittura, scultura, installazione artistica, fotografia, video art per stimolare i sensi del fruitore. Otavio e Gustavo Pandolfo (Sao Paulo 1974) gemelli monozigoti, artisti rinomati di street art brasiliana. I loro graffiti rappresentano solitamente personaggi fantastici con dettagli e colori che li rendono unici. http://www.lost.art.br/osgemeos.htm (New York 1957- ) Video artista statunitense che vive e lavora a New York, noto per le sue installazioni e opere multimediali surreali dove proietta video su oggetti o manichini con l’aggiunta di registrazioni. E’ anche membro del gruppo rock The Poetics. http://www.tonyoursler.com/ Gionata Gesi (Pontedera, PI 1975- ). Street artist che dipinge ora in bianco e nero sui muri o su PVC, antichi miti e leggende mescolati con marchi, santi e animali da cortile. http://www.ozmo.it/ (New York - ) Artista statunitense che utilizza il mezzo pittorico per creare delle opere monocolori e fuori fuoco tra sogno e poesia. http://leemourpelli.com/ (Salò 1979- )Vive e lavora a New York, noto soprattutto per una scultura/installazione in cui lo scrittore della beat generation William Burroughs ha colpito a morte la cantante Amy Winehouse (The Only Good Rock Star is a Dead Rock Star). http://www.marcoperego.com/ (Hemet, CA 1972- ) Scultore statunitense vive e lavora a New York. Utilizza vari materiali per creare dei paesaggi surreali e ambigui.

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Piene, Chloe Posada, José Guadalupe Quinn, Marc

Rint, Frantisek Roig, Bernardi

Sarkisian, Amy

Schnabel, Julian

Serrano, Andrés

Shaomin, Shen Swallow, Ricky

Turf One

(Stamford, Conn. 1972- ) Artista statunitense nota per i suoi disegni in carboncino e i suoi video dark. http://www.chloepiene.com/ (Aguascalientes, México 1851-México, D.F. 1913) Illustratore, litografo e stampatore messicano. Nonostante la fama e l’influenza dei suoi lavori, muore in miseria. (Londra 1964- ) Scultore inglese famoso per il ritratto di Alison Lapper, disabile incinta, ora in Trafalgar Square, Londra; e per Self, una scultura di sé stesso effettuata con il suo proprio sangue congelato. Fa parte dei YBA. http://www.marcquinn.com/ Intagliatore ceco del XIX secolo famoso per aver ornato nel 1870 la cappella di Sedlec con decine di migliaia di ossa umane. (Palma de Mallorca 1965- ) Artista spagnolo multimediale che vive e lavora tra Madrid e l’isola di Mallorca. Ossessionato dalla morte e l’immortalità utilizza per i suoi lavori scultura, fotografia e video. (Cleveland, OH 1969- )Vive e lavora a Los Angeles. I suoi lavori più noti sono i crani ricoperti di perline e paillettes. http://asark.com/ (New York 1951- ) Pittore e regista statunitense, vive e lavora a New York. Ha diretto i film: Basquiat (1996), Prima che sia notte (2000) e Lo scafandro e la farfalla (2207) con cui ha vinto il Festival di Cannes come miglior regista. Come pittore è inserito nella corrente del Neo-espressionismo. (New York 1950- ) Artista statunitense di origine afrolatina che vive e lavora a New York. Noto per le sue foto di corpi scattate nelle morgues e per alcuni lavori controversi come Piss Christ (foto di un crocefisso immerso nell’urina dell’artista stesso). (Heilongjang 1956-) Artista cinese che vive e lavora tra Pechino e Sydney, Australia. E’ noto per le sue sculture in cui utilizza ossa per creare esseri e vegetali mutanti. (San Remo, Victoria 1974- ) Scultore australiano noto per la cura con cui elabora le sue opere che hanno spesso relazione con la morte. http://www.rickyswallow.com/ Jean Labourdette, street artist parigino che vive e lavora a Montreal, Canada. Ha iniziato con i graffiti per poi fare comics, disegni e dipinti su tela. Le sue opere sono surreali teatrini che raffigurano freaks da baraccone. http://www.turfizm.com/site-nofl.html

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Tyukanov, Sergey

Vaisman, Meyer

Veasey, Nick

Vedovamazzei

Warhol, Andy

Witkin, Joel-Peter

(Poronaisk, Isola Sakhalin 1955- ) Artista grafico russo che vive e lavora tra Kalinigrad e Chicago ed elabora mondi mistici, surreali e magici che ricordano lo stile di Hieronymus Bosch. http://www.tyukanov.com/ (Caracas 1960-) Artista concettuale venezuelano che vive e lavora tra New York e Barcellona. Ventenne aveva aperto una galleria con un compagno di studi, per poi lasciarla e iniziare ad esporre le sue installazioni artistiche che affrontano temi profondi con una leggera ironia. (1963- ) Fotografo inglese famosissimo per le sue foto a raggi X. Collabora con grandi marche per creare la parte visuale della pubblicità ai loro prodotti. http://www.nickveasey.com/ Maristella Scala (1964) e Simone Crispino (1962) aristi concettuali attivi a Milano. Utilizzano mezzi diversi (fotografia, video, installazione, pittura…) per invitare a guardare oltre le apparenze e a riflettere sulla rigidità insensata delle convenzioni. http://www.vedovamazzei.it/ (Pittsburgh, Pennsylvania 1928-New York 1987) Artista a tutto tondo, pittore, regista statunitense, padre della Pop Art. E’ il creatore del concetto dei ’15 minuti di fama’. http://www.warholfoundation.org/ (Brooklyn, NY 1939- ) Fotografo statunitense che ha inizialmente lavorato come fotoreporter nella guerra del Vietnam . Crea tableaux basati sulla morte, i corpi, i freaks, le deformazioni e la fragilità umana. I temi ricordano opere famose o temi religiosi.

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Ringraziamenti

al prof. Giandomenico Semeraro, per i consigli, le correzioni e la libertà che mi ha lasciato nell’elaborare questa tesi; a Barbara per la piena collaborazione, per il sostegno e l’aiuto nella traduzioni dallo spagnolo e dall’inglese, e a Giancarlo per l’incoraggiamento e lo stimolo incessante; a Paola che grazie a Skype™, dal Messico, ha migliorato e curato la correzione del testo (e a questo punto, se ci sono degli errori sono solo imputabili a mie sviste e disattenzioni); a tutto il resto della famiglia per avermi regalato idee, stimoli e affetto; a tutti gli amici vicini e lontani che in questi ultimi tre anni e non solo, mi hanno accompagnato e sopportato nei momenti facili e difficili; a tutti quelli che mi hanno regalato libri, accompagnato a mostre e esposizioni, segnalato articoli e siti web; alla bibliotecaria, ai docenti e a tutto lo staff dell’Accademia di Belle Arti di Urbino per la cooperazione e la disponibilità.

. marzo 2009

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