“Enrico Prampolini. Opere dal 1926 al 1941”

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ENRICO PRAMPOLINI opere dal 1926 al 1941

2 ENRICO PRAMPOLINI opere dal 1926 al 1941

Volume pubblicato in occasione della mostra

Enrico Prampolini. Opere dal 1926 al 1941

presso ML Fine Art, Milano, 19 maggio - 14 luglio 2023

Crediti fotografici

© Franco Borrelli, Torino

© Giuseppe e Luciano Malcangi, Milano

© Paolo Vandrasch, Milano

Si ringrazia:

Jean-Marc Baroni

Paolo Curti

Annamaria Gambuzzi

Teresa Ghioldi

Giancarlo e Danna Olgiati

Pierluigi Pero

Massimo Prampolini

Gian Enzo Sperone

Giulio Tega

SOMMARIO

5 Prefazione Matteo Lampertico

6 A proposito di Enrico Prampolini Gian Enzo Sperone

9 Materia, Cosmo, Spirito: una parabola internazionale Francesco Guzzetti

25 Opere in mostra

55 Apparati

ISBN 9788894193367

L’Editore è a disposizione degli eventuali aventi diritto sul materiale iconografico con quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti.

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PREFAZIONE

Matteo Lampertico

Enrico Prampolini non è solo uno dei più importanti esponenti del Futurismo italiano. Pittore, scultore, scenografo e costumista, l’artista modenese ha operato a tutto campo, affiancando all’attività pittorica una riflessione teorica che lo ha portato a dialogare con alcune delle figure di spicco dell’avanguardia europea. Fra queste ricordiamo Vassily Kandinsky, Walter Gropius, Tristan Tzara, Piet Mondrian, Theo Van Doesbourg, El Lissitskij, molti dei quali incontrati nel corso delle innumerevoli occasioni espositive alle quali ha partecipato in Italia e all’estero. Trasferitosi a Parigi nel 1925, è stato il vero trait d’union con l’avanguardia internazionale in un momento in cui l’arte italiana si chiudeva progressivamente su sé stessa.

Come spiega Francesco Guzzetti nelle pagine della sua introduzione, la ricerca di Prampolini sulla materia, ottenuta mediante l’utilizzo del collage degli oggetti più disparati, costituisce l’aspetto più originale della sua attività pittorica, che supera i temi più consoni al primo Futurismo per addentrarsi in un territorio finora inesplorato, quello del cosmo, descritto non tanto e non solo nei suoi aspetti fenomenologici, quanto nella sua dimensione spirituale. Le sperimentazioni sulla materia portate avanti dall’artista modenese furono anche imprescindibili per le generazioni successive, come è stato più volte messo in rilievo dalla critica soprattutto a proposito di Burri, la cui produzione giovanile sembra una naturale prosecuzione di quella di Prampolini, interrottasi nel 1956.

Eppure, nonostante il ruolo di primo piano di questo artista non sia mai stata messo in discussione, non si può certo dire che di recente i riflettori della critica e l’interesse del pubblico si siano concentrati sulla sua opera. Per questo motivo ho ritenuto che sia venuto il momento di ritornare su questo argomento in una fase in cui i protagonisti dell’arte italiana della prima metà del secolo - e Prampolini è uno di questi - appaiono quantomeno trascurati. Nel fare ciò mi sono avvalso della collaborazione e del sostegno di alcuni dei maggiori collezionisti e conoscitori di Prampolini: Giancarlo e Danna Olgiati, Annamaria Gambuzzi e Giulio Tega, che colgo qui l’occasione di ringraziare. Un sentito ringraziamento anche a Francesco Guzzetti per l’entusiasmo e la disponibilità con cui ha accolto il mio invito a partecipare a questa iniziativa. Sono grato infine a Gian Enzo Sperone per i suoi preziosi consigli.

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A PROPOSITO DI ENRICO PRAMPOLINI Gian

Ricordo di aver visto nel 1963 una cinquantina di quadri di Prampolini in una mostra alla galleria

Narciso di Torino, l’unica che svolgeva una puntuale ricerca sul Secondo Futurismo. Grande impressione e un senso di smarrimento, e anche una parola mai sentita prima applicata alla pittura: “polimaterica”.

Dopo anni di distrazione e oblio dovuti alle mille faccende in cui ero affaccendato, ho visto a Lugano dagli Olgiati, formidabile coppia di collezionisti visionari, un quadro enorme di Prampolini del 1930; una vera bellezza che mi ha illuminato e poi rovinato la giornata: sì, perché a me l’arte spesso fa questo effetto.

D’allora io, ex avanguardista militante (solo Pop, solo Minimal, solo Arte Povera, solo Arte Concettuale nel mio menù) ho cominciato a ricercare le tracce di uno che vero avanguardista è stato tutta la vita, anzi ci è nato.

Cosa era successo? Oltre ad una mai sopita passione per il mio conterraneo Giacomo Balla?

Poter comprare un pezzo irripetibile di Storia Italiana a meno di quello che spendevo per un mio giovane artista (di successo) è stata una bella spinta.

È successo anche che sì, i nomi sono “puri, purissimi accidenti” ma però possono innestare qualcosa che ti influenza tuo malgrado, un po’ come i messaggi subliminali della pubblicità.

Il nome di Prampolini, non mi evocava granché a parte, forse, una fabbrica di biscotti. Invece altri “consonantici” come Arp, Merz, Schwarz, Ernst, Marx, Tzara, sembravano forti come delle schioppettate, mentre Kandinsky, Stravinsky, Jawlensky, Jodorowsky come colpi di frusta che non si dimenticano.

Altri ancora di assonanze araldiche De Maistre, De Chirico, De Pisis, De Nittis, De Carolis ecc... sembravano già presumere una altezza di linguaggio. Sta di fatto che cominciavo a capire di dover recuperare il tempo perduto e accumulare più Prampolini che potevo così risarcendo anche la memoria di un grande futurista (ma non solo).

Nato nel 1894 a Modena sin da giovanissimo manifestò i segni inequivocabili di una predisposizione artistica, che l’avrebbe poi portato (per usare le sue parole) a esprimere “le estreme latitudini del mondo introspettivo, e della cultura”. A diciannove anni aveva già litigato con Boccioni e Balla e scriveva da pari a pari al boss del Futurismo Marinetti, con spavalderia meticolosa. Piccolo di statura e di inesauribile energia, viaggiatore nel mondo e nell’anima futurista, massone iniziato alla massoneria nella Loggia “Giosuè Carducci” di Reggio Emilia (a scuola non si scandaglia granché la vita dei nostri padri), a vent’anni era già in contatto con le avanguardie

europee aprendo coraggiosamente un dialogo fecondo (e pericoloso) con il Dada di Tristan Tzara, Mondrian, Kandinsky, Picasso. Collaborava con giornali come critico e teorico, scriveva Manifesti a getto continuo, fondava riviste riuscendo anche a collaborare come scenografo con Anton Giulio Bragaglia per “Thais” del 1917 (e anche per “Perfido Incanto” del 1918 entrambi clamorosi “fiaschi”) anticipatori entrambi della “Fotodinamica Futurista”. Sua è la prima critica “esterna” a favore della serata Futurista nel ridotto del teatro Costanzi di Roma. Va in consonanza conflittuale con il “Dinamismo Plastico” di Boccioni e le “Conseguenze astratte” di Balla.

Viene espulso dai circoli futuristi ma nel 1926 su incarico di Marinetti (che lo riabilita) cura a Venezia la prima Biennale dei Futuristi con diciannove artisti; manterrà l’incarico per tutte le edizioni successive fino al 1942. Insomma colto, insolente e un po’ irridente sempre.

Tanta roba che in sintesi la galleria di Matteo Lampertico sta offrendo su un piatto d’oro, con un saggio introduttivo di Francesco Guzzetti.

Questa nuova generosa riapertura di dibattito su Prampolini è per tutti una occasione unica di approfondimento, anche per chi dissente. Io ovviamente tifo a favore.

20 Aprile 2023

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MATERIA, COSMO, SPIRITO: UNA PARABOLA INTERNAZIONALE

Enrico Prampolini costituisce una figura anomala nel panorama dell’arte Italiana del Novecento. Forse anche a questa anomalia si deve la negligenza che gli è stata ingiustamente riservata nel corso degli ultimi decenni. Ancora oggi, Prampolini merita di essere riconosciuto per il ruolo di promotore delle ricerche dell’arte moderna e di catalizzatore di una vera e propria apertura internazionale dell’arte italiana. A partire dal folgorante esordio in seno al Futurismo alla metà degli anni Dieci, i contatti con gli esponenti delle avanguardie sfociarono presto in una rete di rapporti con le fronde più aggiornate dell’arte europea. Basta leggere queste parole per comprendere l’importanza del fenomeno: “Il est bien important pour nous que nous commencons de venir en relation avec les guides importants des autres pays d’autant plus que nous tous savons que l’isolation et les limites nationales sont des obstacles aux buts formales qui sont devant nos yeux”. L’autore è Walter Gropius, che indirizza questa esortazione a Prampolini dal suo ufficio di direttore del Bauhaus nel 19221. In questo modo, l’artista riuscì a mantenere una rilevanza nel contesto dell’arte italiana anche negli anni della maturità e fino alla fine della propria attività. In particolare, gli anni Trenta segnarono un periodo particolarmente intenso nel suo lavoro. Molteplici furono le partecipazioni alle grandi rassegne nazionali di arte moderna: l’artista fu presente con nuclei consistenti di opere, se non con sale personali, alle Biennali di Venezia del 1930, 1932, 1934, 1936, 1938 e 1942; alle Quadriennali di Roma del 1931, 1935, 1939 e 1943; alle Triennali di Milano del 1936 e 1940. Ad esse, occorre aggiungere l’intensa attività di esposizioni e progetti architettonici all’estero, come la Mostra del Novecento Italiano organizzata dalla Galleria Pesaro a Buenos Aires nel 1930, la mostra “L’art italien des siécles XIXe et XXe” curata da Antonio Maraini al Jeu de Paume di Parigi nel 1935, e i progetti per la Golden Gate International Exhibition di San Francisco e l’Esposizione Universale di New York nel 1939. Certamente un’agenda così fitta si spiega innanzitutto nel quadro della promozione costante del Futurismo ad opera di Filippo Tommaso Marinetti, in anni che, con il procedere del decennio, si fecero sempre più problematici dal punto di vista politico. Tuttavia, Prampolini si distinse sempre, in quel contesto, per il respiro autenticamente internazionale della sua ricerca. Da questo punto di vista, egli si può ritenere a buon diritto, insieme a Fortunato Depero, l’esponente di maggiore rilievo del Futurismo dopo la generazione storica dei firmatari del primo manifesto. L’associazione con le vicende istituzionali e politiche del Futurismo in quegli anni ha certamente favorito la ripresa degli studi sull’artista, ma, al contempo, ha compromesso la valutazione del suo specifico contributo di protagonista dell’arte della prima metà del ventesimo secolo.

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1 W. Gropius, lettera ms. a E. Prampolini, 8 febbraio 1922, in R. Siligato (a cura di), Prampolini. Carteggio 1916-1956, Roma, Edizioni Carte Segrete, 1992, p. 154. Enrico Prampolini, Composizione (Polimetria), 1930, p. 4 Enrico Prampolini, Materia Cosmica, 1929 (particolare), p. 8

Con la partecipazione alle mostre futuriste di Bologna, Palermo e alla Galleria Pesaro di Milano nel 1927 [Fig. 1], si avviò a conclusione la stagione dell’arte meccanica avviata da Prampolini alla fine del decennio precedente. L’artista viveva stabilmente a Parigi da un paio di anni. Trasferitosi nella capitale francese nel 1925, vi sarebbe rimasto stabilmente per dodici anni. In quel torno di tempo, Prampolini fu impegnato in misura particolare nell’attività teatrale. Il teatro rivestì un ruolo fondamentale nella costruzione dell’immaginario della macchina da parte dei Futuristi. La pantomima e i balli meccanici futuristi offrirono molteplici occasioni di riflessione sull’automa e sul rapporto uomo-macchina. Attraverso il lavoro di scenografo e disegnatore di costumi per molte di queste messinscene, Prampolini poté articolare il proprio linguaggio visivo, come testimoniano lavori come lo studio per la scena di L’heure du fantoche [Fig. 2 e pp. 2627], una pantomima scritta da Luciano Folgore e destinata ad essere allestita con musiche di Alfredo Casella. L’heure du fantoche, in cui molteplici elementi erano ispirati da Pinocchio, non fu infine mai rappresentata. La sperimentazione di materiali e forme nel teatro d’avanguardia ebbe immediati riscontri sulla pittura di Prampolini. I lavori realizzati agli sgoccioli degli anni Venti attestano un cambiamento di rotta nel suo percorso, destinato a svilupparsi negli anni seguenti. Dipinti come Grotta Verde. Architettura dello spazio [Fig. 3 e pp. 28-29] testimoniano i primi segnali di un’evoluzione. Innanzitutto, occorre soffermarsi sul genere cui l’opera appartiene. Il paesaggio costituì infatti, fin dagli esordi, un campo di indagine essenziale nel lavoro di Pram-

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Fig. 1. Da sinistra: Benedetta Marinetti, Filippo Tommaso Marinetti, Enrico Prampolini, Tato (Guglielmo Sansoni) nella sala futurista alla III Biennale romana (1925). Stampa fotografica b/n, 15 x 18 cm, iscrizione dattiloscritta. Filippo Tommaso Marinetti Papers. General Collection, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University Fig. 3. Enrico Prampolini, Grotta Verde, Architettura dello spazio,1928. Fig. 2. Lo studio di Prampolini in via Regnault a Parigi, fine anni ‘20. Sul cavalletto L’heure du fantoche. Fotografia di André Kertesz. Archivi Giovanni Lista, Parigi.

polini. L’artista individuò in quel genere la possibilità dell’esplorazione di un linguaggio astratto della pittura e, in questo senso, il superamento del rischio naturalista insito negli studi sulla compenetrazione tra figura e ambiente. Riportare all’attenzione il paesaggio, infatti, richiedeva una sforzo ulteriore, per evitare il rischio del pittoresco da un lato e quello del decorativismo fine a sé stesso dall’altro. Il senso prampoliniano del paesaggio fu immediatamente riconosciuto, come attesta la riproduzione di Costruzione spaziale/paesaggio sulla copertina del fascicolo del luglio 1922 della rivista “Der Sturm” [Fig. 4], il fondamentale organo di informazione e promozione dell’avanguardia internazionale condotto da Herwarth Walden in terra tedesca2. Nei paesaggi capresi, che scandiscono gli anni Venti dell’artista, la solidità della forma si apre all’intensità delle stesure di colore e ritorna prepotente il senso dell’arabesco, termine chiave del lessico delle avanguardie, legato alla capacità degli elementi compositivi essenziali del quadro di costruire una composizione armonica. In occasione della presentazione di un gruppo di vedute capresi in seno all’esposizione futurista alla Biennale romana del 1925, Giorgio Carmelich ritrovò in quei quadri il senso della pittura di Prampolini: “Il principio-base sul quale si eleva la pittura di Prampolini è la ricostruzione formale del soggetto considerato sotto l’aspetto dinamico spaziale cromatico (luce) costruttivo (architettura di volumi). In special modo nei suoi ‘paesaggi di Capri’ così rivela una sensibilità architettonica acutissima che, seppure confessando una lieve influenza lineare cubista, resta totalmente futurista nel colore e nel movimento: fusione architettonica dei

volumi spaziali col paesaggio; determinazione di un ritmo che dispone quasi musicalmente il movimento delle masse (risultato involontario: nel paesaggio concreto, un paesaggio musicale Kandinsky); sintesi simultanea della plastica, della luce e del colore; profondità ottenuta mediante le varie densità dei toni”3 [Fig. 5].

Sospesa e coltivata tra il paesaggio e l’architettura – due parole che riguardano, in fin dei conti, l’esperienza dello spazio – la visione di Prampolini si chiarì ulteriormente negli anni successivi, verso una più decisa elaborazione di un linguaggio astratto. Nel 1929, l’artista aveva profetizzato che l’astrazione sarebbe stata la forza più viva della giovane arte italiana, un’astrazione da intendersi non in senso esclusivamente formale, ma come modalità per rendere visibili le forze spirituali e cosmiche4. I concetti di cosmo e spirito divennero centrali nell’arte e nella scrittura di Prampolini per tutti gli anni Trenta. Lo annunciò egli stesso introducendo una mostra di aeropittura futurista, svoltasi presso la Galleria Pesaro di Milano: “Padroni assoluti dei principi di espansione di forme-forze nello spazio; di simultaneità di tempo-spazio; e della polidimensionalità prospettica; ritengo che per giungere alle alte mete di una nuova spiritualità extra-terrestre, dobbiamo superare la trasfigurazione della realtà apparente, anche nella contingenza dei propri sviluppi plastici, e lanciarsi verso l’equilibrio assoluto dell’infinito ed in esso dare vita alle immagini latenti di un nuovo mondo di realtà cosmiche. Gli aspetti della natura, del paesaggio, dell’uomo, condizionati alla macchina, come gli infiniti suggerimenti plastici che questa ci ha dischiuso, non sono sufficienti a creare un nuovo organismo plastico, se questo non si orienta verso l’analogia plastica, cioè nella metamorfosi nel mistero, fra realtà concreta e realtà astratta. Le esperienze della pittura futurista hanno portato una maggiore chiarezza e ricchezza all’alfabeto plastico”5 Con profetica intuizione, Prampolini immaginò una strada per l’aeropittura futurista che non fosse più la letterale traduzione su tela della visione del paesaggio a volo d’uccello, dall’alto di un velivolo, ma si spingesse oltre, giungendo alla figurazione del cosmo stesso, in una totale astrazione della forma. Il cosmo e lo spirito rappresentavano dunque gli approdi di una ricerca astratta, ma non nel senso geometrico o metafisico, bensì nel senso della resa plastica di ciò che l’artista definì, nel medesimo catalogo della Galleria Pesaro del 1931, come “idealismo cosmico”. Varie componenti favorirono una simile evoluzione, a partire dall’importanza che i futuristi fin dagli esordi avevano assegnato allo spirito. Inteso come motore del dinamismo, contraltare del corpo e forza interiore dell’uomo, lo spirito costituiva la radice della visione futurista del mondo. Una tale impostazione, maturata su precedenti letterari e filosofici, venne sviluppata nel corso degli anni, giungendo alla concezione prampoliniana dello spirito come dimensione astratta. Dare forma all’impulso dello spirito si traduceva inevitabilmente in una visione cosmica del mondo.

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3 G. Carmelich, Enrico Prampolini, “L’impero”, a. III, n. 71, 24 marzo 1925, p. 4. 4 E. Prampolini, La missione dell’arte Italiana all’estero. Nell’attesa di un nuovo orientamento, “L’impero. A e Z”, a. VII, n. 188, 7 agosto 1929, p. 2. 5 Id., in Mostra futurista di aeropittura e di scenografia (mostra personale Prampolini), cat. della mostra, Milano, Galleria Pesaro, ottobrenovembre 1931, Milano-Roma, Bestetti e Tuminelli, 1931, p. 12. 2 Il fascicolo era dedicato alla situazione italiana. Fig. 4. “Der Sturm”, a. XIII, n. 7-8, luglio 1922, copertina. Riproduzione di E. Prampolini, Costruzione spaziale/paesaggio Fig. 5. Marinetti e Prampolini a Capri, s.d. Stampa fotografica b/n, 8 x 10.5 cm, timbro e iscrizione ms. sul verso, Filippo Tommaso Marinetti Papers. General Collection, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University

Il cosmo come sintesi della realtà nella sua interezza, simultaneità di materia e spirito, divenne dunque il soggetto dei quadri di Prampolini. Continenti cosmici o Organismi cosmici sono solo alcuni dei titoli attraverso i quali l’artista definì la propria visione. Forme geometriche pure e agglomerati organici si confrontano sulle superfici dei quadri, spesso incorniciate o connesse tra loro da linee fortemente dinamiche, ancora memori delle linee-forza “andamentali” del Futurismo della prima ora [Fig. 6]: “L’esasperazione geometrica ha trovato un nuovo equilibrio nel linearismo-geometrico-astratto autonomo della forma”, continuava l’artista nell’introduzione al catalogo milanese del 1931, “Mentre la rarefazione plastica ha trovato un nuovo nutrimento formale in un indefinito-pittorico, dove l’elemento colore-tono e la forma-forza, si compendiano vicendevolmente”6. Il quadro è dunque la figurazione di un equilibrio dinamico, il cui soggetto non è più riconducibile a un genere preciso. Le ricerche sul paesaggio e sull’ambiente condussero l’artista a questi, che possono essere definiti dei “paesaggi astratti”. Analogia e metamorfosi sono altri due termini chiave per comprendere la poetica dell’artista. La metamorfosi è la condizione stessa del cosmo, un’entità in costante movimento e mutazione. L’analogia è la modalità concessa alla figurazione per tradurre nelle due dimensioni del quadro quella metamorfosi. Le composizioni di Prampolini sono dunque costruzioni biomorfiche, i cui elementi rimandano all’infinitamente grande della geologia, ma anche all’infinitamente piccolo della biologia cellulare. Il senso delle dimensioni e delle proporzioni scompare, mentre rimane l’impulso generatore della forza cosmica tradotto in forma. Questa fu l’intuizione che distinse Prampolini, più di qualsiasi altro, dai futuristi della sua generazione. È dunque complesso definire il significato dell’astrazione nella sua ricerca. Non a caso, in una ricognizione degli anni Trenta tracciata all’esordio del decennio successivo, l’artista definì la stagione dell’idealismo cosmico ricorrendo all’ossimoro “realismo astratto”7. Già nel testo sopra citato del 1931, aveva distinto tra “realtà astratta” e “realtà concreta”, la cui sintesi costituiva l’essenza dell’analogia plastica. Nella volontà di dare

forma alla metamorfosi del cosmo, infatti, l’artista non intese l’astrazione come pura speculazione della mente, bensì come l’unico linguaggio adeguato a dare forma a una realtà universale, cosmica. Non è un caso se, proprio negli anni Trenta, l’attenzione di Prampolini per l’ambiente e l’architettura si tradusse nell’esaltazione della pittura murale, come unica forma adatta a restituire la misura sovrumana del cosmo. Con questa ricerca l’artista si inseriva in un filone di discussione sull’arte particolarmente vivo negli anni Trenta. Per Prampolini, l’arte murale costituiva l’approdo ideale di un’arte che mirasse a rappresentare la sintesi cosmica tra la realtà astratta dello spirito e quella concreta della materia. Il “realismo astratto” dell’artista mirava dunque a scardinare il realismo del frammento dell’arte del diciannovesimo secolo, il paesaggio o la natura morta come brani di bella pittura, e lo spirito romantico per cui il quadro era espressione dell’interiorità soggettiva dell’artista. La realtà del cosmo, universale e collettiva, sostituiva “il trionfo del frammento, l’avvento del quadro da cavalletto, dell’espressione individualista”8. Il concetto di materia è centrale per comprendere pienamente la poetica prampoliniana. È nella materia che si concentra il grado di realismo e, al contempo, di astrazione del quadro. In senso letterale, Prampolini ebbe fin dall’inizio del proprio lavoro una spiccata predilezione per l’uso dei materiali. Un’opera straordinaria come Béguinage (1914) [Fig. 7] è anticipatrice e profetica

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7 Id, Premessa [sulla propria ricerca], in XLI mostra della Galleria di Roma con le opere del pittore futurista Enrico Prampolini, cat. della mostra, Roma, Galleria di Roma, febbraio-marzo 1941, Roma, Confederazione Fascista Professionisti e Artisti, 1941, p. 11, rist. in Prampolini. Dal Futurismo all’Informale, cat. della mostra, a cura di E. Crispolti, R. Siligato, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 25 marzo-25 maggio 1992, Roma, Edizioni Carte Segrete, 1992, p. 313. 8 E. Prampolini, Al di là della pittura verso i polimaterici, “Stile futurista”, a. I, n. 2, agosto 1934, p. 9. Fig. 6. XVII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia, 1930. Sala 39, mostra dei Futuristi italiani. Sulla parete di fondo, lavori di Prampolini. Fotografia: Giacomelli Venezia. Courtesy © Archivio Storico della Biennale di Venezia, ASAC 6 Ivi, p. 13. Fig. 7. Enrico Prampolini, Beguinage, 1914, Assemblage polimaterico su tavola, 18 x 22 cm, Collezione Privata, Lugano

dell’interesse per l’integrazione dei materiali extra artistici nel piano del quadro, che avrebbe caratterizzato l’evoluzione post-cubista del collage e le pratiche dell’assemblage delle avanguardie europee a cavallo tra secondo e terzo decennio. In quel caso, tuttavia, l’artista operò un’associazione di oggetti o frammenti di oggetti specifici. Era l’accostamento di quei materiali, in quelle forme, a generare la composizione. A partire dalla fine degli anni Venti – come attesta un lavoro seminale quale Materia cosmica (1929) [pp. 30-31] – l’artista si concentrò sulla materia, in senso assoluto, più che sui materiali. Materia cosmica è dipinta a olio su masonite, eppure le stesure del pigmento e i profili delle forme prendono l’aspetto di agglomerati di materia in grado di suscitare l’immagine di elementi organici, minerali, o biologici, sospesi in un processo di (tras) formazione all’interno di un’astratta placenta celeste. Occorre ritornare all’Henri Bergson di Matière et memoire, così come alla penetrazione della scienza del tempo nelle esperienze del primo Futurismo (Umberto Boccioni intitolò Materia il monumentale ritratto della madre) per rintracciare le radici della concezione della materia da parte di Prampolini. Al di là delle specifiche variazioni di significato, la materia era identificata come il complesso dinamico delle relazioni percettive tra il soggetto e la realtà. Prampolini estese il raggio di tale rapporto oltre la percezione fisiche delle cose, abbracciando una sensibilità cosmica che potesse suscitare la più pura risposta dello spirito. Composizione (1930) [pp. 34-35] marca un momento di passaggio nel rapporto con la materia. La presenza di due suole in sughero è a prima vista disorientante. Ricondotte alla partitura pittorica su cui sono poste, tuttavia, quelle forme diventano l’indice di una dimensione organica più astratta, quasi fossero pesci o organismi marini. Più avanti, con serie prodigiose come Intervista con la materia, Prampolini rinuncia a qualsiasi traccia di referenzialità per valorizzare la trama della superficie dei materiali impiegati (sughero, legni, stoffe, fibre metalliche e sintetiche, fogli di alluminio, galalite) al fine di evocare un generale biomorfismo. In un fondamentale articolo del 1934, Prampolini appuntò le proprie riflessioni su composizioni che, a quelle date, potevano definirsi polimateriche, rintracciandone anche la storia: “Le mie ricerche polimateriche, iniziate quasi contemporaneamente a quelle pittoriche nel 1914, suscitarono allora, il più vivo interesse, soprattutto da parte di stranieri (come Picasso e Cocteau che visitarono il mio studio). In questi ultimi anni ho portato i miei polimaterici a delle concrete realizzazioni, che pur destando stupore nelle folle visitatrici […] erano l’inizio di una nuova era plastica destinata ad arricchire le superficie spaziali di una nuova dimensione emotiva. […] Spiritualizzare la materia e orchestrarla armonicamente sopra delle superfici spaziali, chiamate ad esaltare con il contrasto vivo e diretto delle materie stesse le visioni umane della nostra epoca. Ecco il potere suggestivo e rappresentativo delle composizioni polimateriche, il cui avvenire è indiscutibilmente legato alle grandi epoche costruttive che sono quelle dei grandi interrogativi nazionali dove l’artista se illuminato da una nuova fede può fare dell’uomo un Dio”9. Nel polimaterico, dunque, si condensò il precipitato dei tratti distintivi della ricerca dell’artista: lo spirito come “forma-forza” della visione, il cosmo come

misura concreta dell’universo stesso, e l’arabesco come principio astratto di organizzazione di una composizione armonica. Nelle parole appena citate, Prampolini volle insistere sull’immediata ricezione internazionale delle sue prime sperimentazioni polimateriche. Tale sottolineatura si motiva nel contesto del vivace scambio intellettuale che l’artista seppe intessere con i maggiori protagonisti delle avanguardie artistiche e letterarie del tempo. Nel 1930, tre lavori inaugurali del nuovo corso erano elencati nel catalogo della mostra di “Cercle et Carré” [Fig. 8]. Si trattava di Itinéraire plastique, Entretien avec la matière e Entretien avec l’esprit10-. L’esposizione si svolse dal 18 aprile al 1 maggio 1930 nei locali della Galerie 23, al numero 23 di Rue de la Boëtie. Pochi mesi prima, la stessa sede aveva accolto una grande mostra del Futurismo, nella quale Prampolini partecipò con trenta lavori degli anni Venti11. Il movimento di “Cercle et Carré”, creato nel 1929 dall’artista

Joaquín Torres-García insieme al critico Michel Seuphor, si proponeva di riaffermare i principi

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Fig. 8. Inaugurazione della mostra “Cercle et Carrè”, Parigi, Galerie 23, 18 aprile 1930 Fotografia di Michel Seuphor. Stampa alla gelatina ai sali d’argento, 18 x 23.9 cm Da sinistra: Franciska Clausen, Pere Daura, Marcelle Cahn, Wanda Chodasiewicz-Grabowska, Florence Henri, Sophie TaeuberArp, Joaquín Torres-García, Piet Mondrian, Ingibjoerg Bjarnason, Michel Seuphor, Jean Gorin, Luigi Russolo, Wanda Wolska, Stefan Mosczynski, Friedrich Vordemberge-Gildewart, Germán Cueto; (fila posteriore) Georges Vantongerloo, Vera Idelson, Manolita Piña

dell’astrazione neoplastica, per come l’avevano elaborata Piet Mondrian, Theo van Doesbourg e il gruppo di De Stijl. Nello stesso periodo, van Doesbourg firmò, insieme agli artisti Carlsund, Hélion, Tutundjan e Wantz, il primo e unico numero della rivista “Art concret”, nel quale apparvero un manifesto e delle riflessioni critiche intorno a questi fenomeni. L’assunto di partenza era “peinture concrète et non abstraite”12. Solo attraverso le forme, le linee e i colori puri l’arte poteva essere manifestazione dello spirito, dunque assurgere a una dimensione autenticamente concreta: la realtà del quadro, come traduzione della realtà dello spirito in forme composte architettonicamente, era infinitamente superiore alla mimesi della realtà esteriore. Alle finzioni del quadro come espressione dell’individualità, questi artisti intesero opporre la concretezza della superficie, dei materiali, del linguaggio dell’arte. “Cercle et Carré” si organizzò innanzitutto in una rivista del medesimo nome, nel cui numero inaugurale trovò spazio anche una riflessione di Prampolini sull’architettura come paradigma cosmogonico delle arti13. Alla mostra alle Galerie 23, fu molto chiara l’eterogeneità delle opere presentate, che tradivano di fatto il rigore geometrico cui mirava il neoplasticismo di Mondrian o van Doesbourg14. Per quanto vi fossero molteplici punti di incontro – i temi dello spirito, della plasticità della forma, la fascinazione per l’architettura, la dimensione concreta del quadro – anche i dipinti di Prampolini si discostavano da quei dettami. La componente organica così spiccata delle sue opere ha indotto a proporre accostamenti anche ad alcune vicende del Surrealismo, per quanto il confronto rischi di essere fuorviante. In fondo, uno degli artisti che maggiormente si avvicina al linguaggio di Prampolini è Hans Arp, il quale, a quelle date, rappresentava già il campione di un’arte in cui la sintesi astratta della forma non escludeva di suscitare immagini organiche. Anche Arp espose alla mostra di “Cercle et Carré”. Altri tre italiani, legati al Futurismo, parteciparono all’esposizione: Fillia, Luigi Russolo e Alberto Sartoris. Prampolini fu invece il solo italiano ad essere coinvolto nel debutto del movimento che seguì e raccolse l’eredità di “Cercle et Carrè”. A partire dalla sua fondazione nel gennaio 1931, il gruppo di “Abstraction-création” divenne il centro nevralgico dell’arte non figurativa internazionale. Nei cinque fascicoli della rivista omonima, curati rispettivamente dagli artisti Jean Hélion, Auguste Herbin, Georges Vantongerloo e Étienne Béothy, si alternarono esperienze accomunate dall’adesione a una linea non figurativa dell’arte. L’indicazione di “art non figuratif”, riportata nel sottotitolo della rivista, è un indizio del cambiamento di rotta della nuova vicenda, che volle accogliere le maggiori voci dell’astrazione, da Arp a Mondrian, da Brancusi a Kandinskij, da Delaunay a Schwitters, allentando i paletti della rigida applicazione del

9 Ivi, p. 10.

10 Catalogue, “Cercle et Carré”, n. 2, 15 aprile 1930, cat. 80-82, pnn.

11 Peintres futuristes italiens, cat. della mostra, Parigi, Galerie 23, 27 dicembre 1929-9 gennaio 1930, prefazione di Gino Severini, Parigi, Galerie 23, 1930, cat. 30-59, pnn.

12 Commentaires sur la base de la peinture concrète, “Art concret”, a. I, n. 1, aprile 1930, p. 2.

13 E. Prampolini, in J. Torres-García, Vouloir construire, “Cercle et Carré”, n.1, 15 marzo 1930, pnn. Anche Fillia e Luigi Russolo parteciparono alla discussione.

14 M. Raynal, On expose “L’intransigéant”, a. LI, n. 18.453, 29 aprile 1930, p. 7.

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Fig. 9. “Abstraction création art non figuratif”, n. 1, 1932, p. 29 Fig. 10. “Abstraction création art non figuratif”, n. 2, 1933, p. 37 Fig. 11. Abstraction création art non figuratif”, n. 3, 1934, p. 36

neoplasticismo dell’esperienza precedente. Due lavori di Intervista con la materia di Prampolini campeggiano su una pagina del primo numero15 [Fig. 9]. Da lì in poi, l’artista fu una presenza ricorrente: un estratto de L’arte meccanica. Manifesto futurista fu pubblicato insieme a due dipinti del 1932 (tra cui Forme forze nello spazio) nel secondo numero16 [Fig. 10]; sul terzo, un appunto sull’analogia plastica tratto da Valori plastici della plastica futurista del 1932 commenta l’immagine di un dipinto e un polimaterico del 193317 [Fig. 11]. Risulta assente solo negli ultimi due fascicoli di “Abstraction création” (1935 e 1936), che dedicarono invece pagine rispettivamente ad alcuni artisti astratti gravitanti attorno alla Galleria del Milione di Milano – come Lucio Fontana, Osvaldo Licini e Fausto Melotti – e ad Atanasio Soldati. Le ragioni dell’assenza sono state interpretate come reazione alla crescente adesione alle politiche culturali del regime nei secondi anni Trenta18

In effetti, nella seconda metà del decennio le occasioni espositive fuori d’Italia si diradarono parecchio. Nel 1937, l’artista lasciò Parigi. Tuttavia, i contatti con la scena internazionale non furono mai interrotti, in parallelo con l’evoluzione della propria ricerca artistica. La feconda stagione degli anni Trenta culminò nella prima grande retrospettiva di Prampolini che, nel 1941, riunì alla Galleria di Roma ottantasette opere dagli esordi fino ai quadri recenti. All’inizio degli anni Quaranta, l’artista era ormai un protagonista riconosciuto dell’arte moderna italiana. In un momento particolarmente problematico per il Futurismo, segnato dagli anni di adesione al fascismo e dal riconoscimento ufficiale della sempre più larga compagine di artisti guidata da Marinetti, egli seppe mantenere il respiro internazionale della propria visione e ricerca artistica [Fig. 12]. Fu forse anche per quello che non subì ostracismi radicali negli anni difficili tra il 1943 e il 1945, ma, al contrario, agì da catalizzatore e punto di riferimento per le nuove generazioni artistiche. Non si dimentichi che Prampolini fu tra i primi che, ad apertura di decennio, si occuparono con sistematica attenzione del lavoro di Pablo Picasso, garantendo un livello di circolazione e conoscenza del suo lavoro che si sarebbe rivelato determinante per i giovani artisti all’indomani del secondo conflitto mondiale. In particolare, il volume sulla scultura dell’artista spagnolo, pubblicato nel 1943, offrì uno squarcio inedito sull’importanza della manipolazione plastica e dei materiali nel suo lavoro19. Il volumetto uscì nella collana “Anticipazioni” per i tipi Bocca di Roma, una serie diretta dallo stesso Prampolini e dedicata a episodi centrali delle arti, della letteratura e del teatro internazionali.

Per le stesse edizioni l’artista licenziò, nel 1944, uno dei suoi testi capitali, nel quale appose il sigillo sulla vicenda dell’arte polimaterica [Fig. 13]. L’indagine teorica fu condotta alla luce della piena maturazione dell’investigazione della materia nella sua pratica artistica. Infatti, nel corso

15 “Abstraction création art non figuratif”, n. 1, 1932, p. 29.

16 “Abstraction création art non figuratif”, n. 2, 1933, pp. 36-37.

17 “Abstraction création art non figuratif”, n. 3, 1934, p. 36.

18 G. Lista, Prampolini e gruppi dell’ “arte astratta” in Francia, in Prampolini dal Futurismo all’Informale, cit., pp. 301-307.

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Fig. 12. XIX Esposizione Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, 1934. Sala Aeropittori-Aeroscultori futuristi italiani Particolare della parete con i dipinti di Prampolini. Fotografia: Giacomelli Venezia Courtesy © Archivio Storico della Biennale di Venezia, ASAC

della seconda metà degli anni Trenta, Prampolini approfondì le possibilità bioplastiche delle sue composizioni, secondo due direttrici fondamentali. Da una parte, vi fu un approfondimento della tecnica pittorica. L’esplorazione della materia non passò più necessariamente dall’inserzione di materiali extra-artistici nel dipinto. Come testimoniano i lavori cruciali della serie di Apparizione biologica [pp. 44-45, 50-51 e 52-53], il ricorso a tecniche pittoriche diverse sulla superficie del quadro mirava a ottenere il medesimo risultato dei polimaterici di qualche anno prima. Combinando smalto, olio, tempera, gouache, addirittura affresco, l’artista impiegò il colore senza necessità illusionistiche, ma per la pura fisicità dei diversi pigmenti. Il colore, insomma, divenne esso stesso materia: “L’arte polimaterica”, scrisse l’artista, “è una libera concezione artistica che si ribella contro l’usata e abusata adorazione del pigmento colorato, mesticatore, sofisticatore, mistificatore; contro la funzione dell’illusionismo ottico dei mezzi pittorici, dai più reazionari ai più rivoluzionari. […] L’ARTE POLIMATERICA NON È UNA TECNICA MA – COME LA PITTURA E LA SCULTURA – UN MEZZO D’ESPRESSIONE ARTISTICA RUDIMENTALE, ELEMENTARE, IL CUI POTERE EVOCATIVO È AFFIDATO ALL’ORCHESTRAZIONE PLASTICA DELLA MATERIA. La materia intesa nella propria immanenza biologica, come nella propria trascendenza formale”20

L’altra direttrice di sviluppo riguardava invece la vocazione architettonica. La costruzione di spazi, la decorazione murale e la realizzazione di allestimenti per edifici e mostre a funzione pubblica costituì il banco di prova finale per l’artista. La rappresentazione di una materia organica, colta nel suo processo di incessante nascita e germinazione, assumeva il valore di una vera e propria costruzione di forme ed equilibri che, di conseguenza, poteva tradursi nello spazio tridimensionale. L’architettura, per la sua stessa capacità di associare il pensiero astratto della forma alla dimensione concreta dello spazio, costituì il modello di riferimento e l’approdo ideale per la ricerca polimaterica dell’artista. Non è un caso se, nel libretto del 1944, fu proprio l’architettura a rappresentare la conclusione del ragionamento. Se l’arte polimaterica sanciva la morte del quadro da cavalletto, della sensibilità romantica del colore, dell’espressione individuale, e inaugurava invece la possibilità di tradurre la dimensione cosmica dello spirito nel quadro, allora essa poteva diventare un arte collettiva, capace di dare forma allo spirito universale dell’uomo e del mondo sotto il segno della metamorfosi della materia, e trovare di conseguenza il luogo ideale di applicazione nella decorazione e progettazione architettonica. Lo scritto del 1944 segnò un momento di passaggio nel percorso di Prampolini e di apertura verso le stagioni finali della propria attività artistica. Tuttavia, come testimoniano il tono programmatico e la sofisticata elaborazione intellettuale del testo, l’artista non abbandonò mai la volontà di sperimentare, non smise mai di essere un artista autenticamente d’avanguardia. A partire dal 1945, egli fu tra i fondatori e uno dei promotori più attivi dell’Art Club, un’associazione nata a

19 E. Prampolini, Picasso scultore, Roma, O.E.T. – Edizioni del Secolo (Dep. Libreria Fratelli Bocca), 1943 (‘Anticipazioni’, n. 2). 20 Id., Arte polimaterica (verso un’arte collettiva), Roma, O.E.T. – Edizioni del Secolo (Dep. Libreria Fratelli Bocca), 1944 (‘Anticipazioni’, n. 7), p. 9.

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Fig. 13. E. Prampolini, Arte polimaterica . (Verso un’arte collettiva), Roma 1944. Copertina

Roma e presto diramatasi in molteplici centri in Italia e nel mondo, con lo scopo di organizzare mostre, convegni, incontri interamente dedicati alle forze migliori delle nuove generazioni artistiche. Per molto tempo, fino almeno alla fine degli anni Cinquanta, l’Art Club offrì le prime occasioni espositive e di scambio internazionale ad artisti alle prime armi, che sarebbero diventati i protagonisti dell’arte della seconda metà del secolo. Il nome più emblematico è quello di Alberto Burri, che partecipò a diverse esposizioni organizzate dall’associazione. Si può immaginare che, nei primi della ricerca di Burri sui materiali, il senso della concretezza organica dei quadri di Prampolini potesse aver contato qualcosa. Approfondito in una mostra pionieristica, organizzata alla Galleria Fonte d’Abisso nel 199021, il rapporto di Prampolini con Burri non è ancora stato adeguatamente affrontato dagli studi. Il tema potrebbe essere sviluppato nel contesto di una rivalutazione dell’ultimo, vivacissimo decennio di attività del pittore. È, questo, uno dei tanti temi ancora insondati di Prampolini, a partire dai quali si potrebbero ricostruire le tracce del lavoro dell’artista e ritrovare ulteriori testimonianze, ove mai fosse necessario, della rilevanza del suo pensiero, della dimensione autenticamente internazionale del suo tragitto, del significato storico e dell’alta qualità della sua ricerca artistica.

26 27 OPERE IN MOSTRA
21 Prampolini e Burri e la materia attiva, cat. della mostra, a cura di Luciano Caramel, Milano, Fonte d’Abisso Arte, 17 ottobre 20 dicembre 1990, Milano, Fonte d’Abisso Arte, 1990.

L'HEURE DU FANTOCHE, 1926

Firma e data in basso a sinistra

Firma e titolo sul retro

Tempera su cartone

39 x 53 cm

L’opera è visibile nella foto dello studio di Prampolini a Parigi, scattata alla fine degli anni ‘20 da André Kertesz.

PROVENIENZA

Collezione privata.

BIBLIOGRAFIA

D. Fonti, Prampolini futurista. Disegni, dipinti, progetti per il teatro 1913-1931 (catalogo della mostra, Roma, Auditorium Parco della Musica, 16 novembre 2006 - 21 gennaio 2007), Milano 2006, p. 74, illustrato.

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GROTTA VERDE. ARCHITETTURA DELLO SPAZIO, 1928

Firma in basso a destra

Olio e tempera su masonite

50.3 x 40 cm

Titoli alternativi: Architectures d’éspace: Capri. La grotte verte; Grotta verde; Grotta verde: architettura dello spazio (Capri).

PROVENIENZA

L’artista; Filippo Tommaso Marinetti; Benedetta Cappa Marinetti, Roma; Collezione privata.

BIBLIOGRAFIA

Esposizione 80e. Prampolini, catalogo della mostra, introduzione di Filippo Tommaso Marinetti, Parigi 1929, Casa del Fascio, cat. 17, p.n.n. (datato 1924); Enrico Prampolini, cat. della mostra, a cura di Palma Bucarelli, Maurizio Calvesi, Roma, De Luca

Editore, 1961, cat. 25, p. 90, tav.n.n. (riferito al 1928 circa, tempera su cartone, 51 x 40 cm); F. Menna, Enrico Prampolini, Roma 1967, cat. 64 (fig. 148), p. 232, tav.n.n.

ESPOSIZIONI

Parigi, Casa del Fascio, Prampolini, 15 30 giugno 1929; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Enrico Prampolini, 7 giugno - 6 agosto 1961.

30 31

MATERIA COSMICA, 1929

Firma in basso a sinistra

Olio su masonite

81 x 100 cm

L’opera è visibile nella foto della sala della XIX Biennale di Venezia del 1934 dedicata agli Aeropittori-Aeroscultori futuristi italiani (vedi pag. 20).

PROVENIENZA

World House Gallery, New York (etichetta sul retro);

Stuttgarter Kunstkabinett, R. N. Ketterer, Stoccarda, no. 383 (etichetta sul retro);

Galleria Marlborough, Roma;

Galleria Toninelli, Milano;

Galleria Arte Centro, Milano, no. 3843 (etichetta sul retro); Collezione privata.

BIBLIOGRAFIA

F. Menna, Enrico Prampolini, Roma 1967, p. 233, n. 76, n. 158, illustrato.

ESPOSIZIONI

Venezia, XIX Esposizione Biennale internazionale d’arte, 2 maggio 14 ottobre 1934; Hartford, Connecticut, Wadsworth Atheneum, Salute to Italy: 100 years of Italian Art, 1861-1961 (etichetta sul retro).

32 33

ANALOGIE PLASTICHE, 1930

Firma in basso a sinistra

Firma e titolo sul retro Tecnica mista su cartone applicato su tavola

78 x 63 cm

PROVENIENZA

Collezione privata.

ESPOSIZIONI

Tapei, Chiang Kai-Shek Memorial Hall, Futurismo, a cura di Maurizio Scudiero, 11 luglio - 10 ottobre 2009, p. 236, illustrato;

Firenze, M.I.C.R.O, Futurismo e futuristi a Firenze, a cura di Maurizio Scudiero e Anna Maria

Ruta, 15 aprile - 15 maggio 2011, p. 100, illustrato;

Porto Montenegro, Dal Futurismo ai percorsi contemporanei, a cura di Maurizio Scudiero, 5 luglio - 15 agosto 2013, illustrato.

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COMPOSIZIONE (POLIMETRIA), 1930

Firma in basso a destra Tecnica mista su tela su tavola

62 x 47 cm

PROVENIENZA

Galleria Lorenzelli, Milano; Collezione privata, Milano.

BIBLIOGRAFIA

G. Ballo, La linea dell’arte italiana, Roma 1964 (datato 1932 ca.);

F. Menna, Enrico Prampolini, Roma 1967, n. 86, tav. XII, illustrato; “Catalogo Collezione Privata Bergamo” Rossi-Rodeschini Galati, 1991, p. 128, n. 60.

ESPOSIZIONI

Venezia, XVIII Esposizione Biennale internazionale d’arte, 28 aprile - 28 ottobre 1932; Roma, Palazzo delle Esposizioni, II Quadriennale d’Arte Nazionale, 5 febbraio - 31 luglio 1935; New York, World House Gallery, 1957;

Parigi Zurigo, Musée d’Art Moderne de Paris / Kunsthaus Zurich, DADA, 30 novembre 196630 gennaio 1967;

Bergamo, Galleria Lorenzelli, Enrico Prampolini, marzo - aprile 1967;

Bergamo, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Collezione privata, Bergamo. Arte italiana del XX secolo, a cura di Francesca Rossi e Maria Cristina Rodeschini Galati, 10 novembre 1991 - 31 gennaio 1992;

Sent, Chasa dal Guvernatur, Gian Enzo Sperone, Painting in Italy 1910s – 1950s: Futurism, Abstraction, Concrete art, 31 luglio - 2 settembre 2015;

New York, Sperone Westwater, Painting in Italy 1910s – 1950s: Futurism, Abstraction, Concrete art, 30 ottobre 2015 23 gennaio 2016;

Torino, Ersel, Pittura in Italia, anni ‘10 - ‘50. 1936 e dintorni Arte italiana tra futurismo e astrazione, 16 marzo 5 aprile 2016.

36 37

ORGANISMI COSMICI, 1930

Firma in basso a destra Olio su tela applicata su pannello

68 x 99 cm

PROVENIENZA

Julius Spencer, Pasadena; World House Galleries, New York; Galleria Lorenzelli, Bergamo; Collezione privata, Milano.

ESPOSIZIONI

Venezia, XVIII Esposizione Biennale internazionale d’arte, 28 aprile - 28 ottobre 1932 (etichetta sul retro);

New York, M.H. de Young Memorial Museum, 1936 (etichetta sul retro); Bergamo, Galleria Lorenzelli, Enrico Prampolini, marzo - aprile 1967.

38 39

CONTINENTI COSMICI, 1930

Firma in basso a destra Tecnica mista su tela

116 x 76 cm

PROVENIENZA

Galleria Pesaro (Collezione Lino Pesaro); Collezione privata.

40 41

AUTORITRATTO COSMICO, 1934 ca.

Firma in basso a sinistra

Olio su tavola

116 x 89 cm

L’opera è visibile nella foto della sala della XIX Biennale di Venezia del 1934 dedicata agli Aeropittori-Aeroscultori futuristi italiani (vedi pag. 20).

PROVENIENZA

Collezione William Robertson; Collezione privata.

BIBLIOGRAFIA

F. Menna, Enrico Prampolini, Roma 1967, n. 124, p. 238, fig. 194, illustrato.

ESPOSIZIONI

Venezia, XIX Esposizione Biennale internazionale d’arte, 2 maggio - 14 ottobre 1934, p. 112, illustrato (etichetta sul retro).

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AEROPITTURA - COMPOSIZIONE, 1934

Firma in basso a sinistra

Olio su tavola

50 x 70 cm

PROVENIENZA

Collezione Prampolini, Roma; Galleria Minotauro, La Spezia; Collezione privata, Milano; Galleria Arte Centro, Milano; Collezione privata.

ESPOSIZIONI

Venezia, XIX Esposizione Biennale internazionale d’arte, 2 maggio 14 ottobre 1934 (etichetta sul retro);

Sent, Chasa dal Guvernatur, Gian Enzo Sperone, Painting in Italy 1910s – 1950s: Futurism, Abstraction, Concrete art, 31 luglio - 2 settembre 2015; New York, Sperone Westwater, Painting in Italy 1910s – 1950s: Futurism, Abstraction, Concrete art, 30 ottobre 2015 23 gennaio 2016; Torino, Ersel, Pittura in Italia 1910 - 1950. 1936 e dintorni - Arte italiana tra futurismo e astrazione, 16 marzo 5 aprile 2016.

44 45

APPARIZIONI BIOLOGICHE, 1935

Olio su tavola

116 x 88 cm

PROVENIENZA

Collezione Marco Alliata Nobili.

BIBLIOGRAFIA

F. Lattuada (a cura di), Collezione Marco Alliata, Milano 2007, p. 80, illustrato; “Arte”, n. 426, 2009, p. 122, illustrato;

ESPOSIZIONI

Milano, Galleria Fonte d’Abisso, Prampolini verso i polimaterici, 19 ottobre 1989 4 febbraio

1990, p. 54, illustrato;

Modena, Comune di Vignola, Futurismo in Emilia Romagna, 1990, n. 87, p. 145, illustrato;

Roma, Palazzo delle Esposizioni, Prampolini dal Futurismo all’Informale, 25 marzo - 25 maggio

1992, no. 4/p/24, p. 322;

Roma, Palazzo delle Esposizioni, Futurismo 1909 - 1944, 7 luglio 22 ottobre 2001, p. 361, illustrato;

Marsala, Convento del Carmine, René Paresce e gli italiani di Parigi, 10 luglio - 17 ottobre 2004;

Torino, Palazzo Cavour, L’estetica della macchina. Da Balla al futurismo torinese, 29 ottobre 2004 - 20 gennaio 2005;

Bergamo, Galleria d’arte moderna e contemporanea, Il futuro del futurismo, 21 settembre 2007 - 24 febbraio 2008;

Milano, Arte Centro, Futurismo e Aeropittura. Velocità e dinamismo dal Trentino alla Sicilia, 19 febbraio 16 maggio 2009, n. 198, p. 61, illustrato;

Voghera, Sala Luisa Pagano, Marinetti e il fuoco futurista, 15 novembre - 9 dicembre 2014;

Milano, Arte Centro, Il secondo futurismo, 13 maggio - 28 luglio 2021, n. 93, p. 72, illustrato.

46 47

ANGELI DELLA TERRA (I MITI DELL'AZIONE), 1936

Firma in basso a destra

Olio su tavola

90 x 117 cm

PROVENIENZA

Collezione privata, Roma; Collezione privata, Como.

ESPOSIZIONI

Roma, Prima Nazionale di Arte Sportiva (VI Mostra del Sindacato di Belle Arti del Lazio), 1936; Roma, Galleria di Roma, Enrico Prampolini, febbraio - marzo 1941;

Torino, Galleria Narciso, Enrico Prampolini, 31 ottobre 20 novembre 1963;

Antibes, Musée Grimaldi, Enrico Prampolini: une rétrospective: 1894-1956, 15 maggio - 20 giugno 1964.

Todi, Palazzi Comunali, Enrico Prampolini. Pittura, Disegno, Scenografia, 16 ottobre - 20 novembre 1983, p. 65, illustrato;

Valencia, Instituto Valenciano de Arte Moderno, Centre Julio González, Arte Abstracto, Arte Concreto: Paris, Cercle et Carré, 1930, 20 settembre - 2 dicembre 1990;

Torino, Palazzo Bricherasio, Capitali d’Italia. Torino-Roma 1911-1946, settembre - ottobre 1997; Roma, Palazzo delle Esposizioni, Appunti allo stadio: 90 opere sul tema del calcio nell’arte italiana del XX secolo, 19 Marzo - 8 Aprile 2002;

Seoul, Seoul Arts Center, Appunti allo stadio: 90 opere sul tema del calcio nell’arte italiana del XX secolo, 4 Giugno - 30 Giugno 2002.

BIBLIOGRAFIA

F. Menna, Enrico Prampolini, Roma 1967, n. 155, tav. XVIII, illustrato.

48 49

ENTITÀ COSMICA, 1937

Firma in basso a sinistra

Olio su tavola

77 x 48 cm

PROVENIENZA

Galleria Arte Centro, Milano; Collezione privata, Milano.

50 51

APPARIZIONE BIOLOGICA, 1940

Firma in basso a sinistra Affresco, gouache, olio e smalto su pannello 65.3 x 50 cm

Sul retro due etichette dell’artista: “Il concetto di metamorfosi presiede alla creazione di questo quadro. In quest’opera viene evocato - in forme plastiche - il divenire della materia concepito attraverso entità biologiche e biochimiche. Il carattere politecnico di questo quadro risiede nell’impiego di più tecniche: affresco, gouache, olio, smalto”.

PROVENIENZA

Marlborough Galleria d’Arte, Roma (etichetta sul retro); Galleria Arte Centro, Milano (etichetta sul retro); Spazio Immagine Arte Contemporanea, Milano (timbro sul retro); Collezione privata, Italia; Collezione privata, Svizzera.

ESPOSIZIONI

Roma, Palazzo delle Esposizioni, IV Quadriennale d’Arte Nazionale, maggio - luglio 1943 (etichetta sul retro);

Milano, Galleria Arte Centro, Enrico Prampolini. Opere scelte, 6 marzo 2 aprile 1975; Modena, Galleria Civica, Continuità dell’avanguardia in Italia, Enrico Prampolini (1894-1956), gennaio - marzo 1978;

Milano, Galleria Spazio Immagine, Secondo Futurismo e Aeropittura, febbraio 1989; Sent, Chasa dal Guvernatur, Gian Enzo Sperone, Painting in Italy 1910s – 1950s: Futurism, Abstraction, Concrete art, 31 luglio - 2 settembre 2015; New York, Sperone Westwater, Painting in Italy 1910s – 1950s: Futurism, Abstraction, Concrete art, 30 ottobre 2015 23 gennaio 2016;

Torino, Ersel, Painting in Italy 1910s - 1950s. 1936 and surroundings - Italian art between futurism and abstraction, 16 marzo 5 aprile 2016; Basilea, Erasmushaus, Collector’s eye, 12 giugno 8 luglio 2017.

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APPARIZIONE BIOLOGICA B (ORIGINI), 1941

Firma e data in basso a sinistra Tempera, olio, affresco, pittura a encausto, smalto su tavola 65 x 50 cm

Sul retro scritta dell’artista: “Anche in questo quadro il concetto di metamorfosi presiede la creazione. È il mondo del macrocosmo e del microcosmo che denunziano il rivelarsi di una nuova estetica: dell’estetica della bioplastica. Quadro politecnico dove ogni elemento della composizione e dell’opera è seguito con una tecnica adeguata - tempera, olio, encausto, smalto, affresco ecc.”

PROVENIENZA

Collezione Prampolini, Roma; Collezione privata, Milano; Galleria Lorenzelli Arte, Bergamo (timbro sul retro); Lorenzelli Arte, Milano; Collezione privata.

BIBLIOGRAFIA

P. Courthion, Prampolini, Roma 1957, p. 19, n. 14, illustrato (titolo “Origini”);

F. Menna, Enrico Prampolini, Roma 1967, p. 245, n. 184, fig. 246, illustrato.

ESPOSIZIONI

Roma, Galleria di Roma, Mostra del pittore Enrico Prampolini, febbraio - marzo 1941, p. 23, n. 24; Venezia, XXIII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, 31 maggio - 31 ottobre 1942, Padiglione del Fututrismo italiano, p. 240, n. 132 (intitolato “Origini”);

Roma, Palazzo delle Esposizioni, IV Quadriennale d’Arte Nazionale, maggio-luglio 1943;

Parigi, Galerie Denis René, gennaio - febbraio 1958;

Roma, Galleria Nazionale d’arte Moderna e Contemporanea, Enrico Prampolini, giugno luglio 1961, p. 98, n. 83, illustrato (con descrizione errata), (etichetta sul retro);

Bergamo, Galleria Lorenzelli, Omaggio a E. Prampolini 1894 -1956, marzo aprile 1967, n. 10, illustrato; Milano, Galleria San Fedele, Enrico Prampolini, novembre 1968, n. 13, illustrato; Roma, Palazzo delle Esposizioni, XII Quadriennale d’Arte, Prampolini. dal Futurismo all’informale, 25 marzo 25 maggio 1992, p. 329, no. 4/B/47, illustrato; Milano, Fondazione Stelline, Wunderkammer. Meraviglie d’arte in una stanza moderna, giugno luglio 1999, n. 64, illustrato; Sent, Chasa dal Guvernatur, Gian Enzo Sperone, Painting in Italy 1910s – 1950s: Futurism, Abstraction, Concrete art, 31 luglio 2 settembre 2015; New York, Sperone Westwater, Painting in Italy 1910s – 1950s: Futurism, Abstraction, Concrete art, 30 ottobre 2015 - 23 gennaio 2016; Torino, Ersel, Pittura in Italia 1910 1950. 1936 e dintorni L’arte italiana tra futurismo e astrazione, 16 marzo - 5 aprile 2016.

54 55
56 57 APPARATI

Enrico Prampolini nasce a Modena nel 1894.

Studia a Lucca e a Torino e frequenta per un breve periodo l’Accademia di belle arti di Roma (1912) dove insegna Duilio Cambellotti. Viene espulso l’anno successivo per aver pubblicato un manifesto antiaccademico.

Nel 1912 entra nello studio di Giacomo Balla e incontra i maggiori esponenti del movimento futurista, tra cui Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Gino Severini.

Ad aprile e maggio del 1914 espone con altri futuristi alla Galleria Sprovieri di Roma e, poco dopo, a Praga.

Nel 1913 Prampolini scrive il manifesto Cromofonia: Il colore dei suoni, in cui fa propri i principi fondamentali di Vasily Kandinsky, che poi critica in Pittura Pura e Un’arte nuova?

Costruzione assoluta di moto-rumore nel 1915. In un manifesto dedicato al teatro, Manifesto della scenografia futurista, Prampolini incorpora le idee di Balla sul dinamismo meccanico e sulla smaterializzazione dei corpi attraverso la luce nell’ambito della scenografia.

Negli anni successivi, Prampolini diventa una figura chiave di collegamento tra gli artisti italiani e le avanguardie internazionali. Incontra il poeta Tristan Tzara a Roma nel 1916 e partecipa alla mostra internazionale dadaista di Zurigo dello stesso anno.

Le sue connessioni internazionali continuarono ad espandersi con la sua attività di fondatore e redattore di una serie di pubblicazioni, tra cui Avanscoperta (1916), Noi (1917) e Sic (1919), e di organizzatore di mostre con opere proprie e di altri futuristi e artisti dell’avanguardia internazionale, come la “mostra d’arte indipendente” del 1918 alla galleria dell’Epoca a Roma, con opere di Prampolini, Carrà, Giorgio de Chirico e Ardengo Soffici.

Nel 1925 espone alla III Biennale di Roma.

Dopo un lungo viaggio all’estero nei primi anni Venti e un dialogo continuo con artisti come Alexander Archipenko, Jean Arp, Marc Chagall, Albert Gleizes e Vasily Kandinsky, Prampolini si trasferisce a Parigi.

Vive a Parigi dal 1925 al 1937, frequentando i membri di numerosi circoli artistici, tra cui Der Sturm e la Section d’Or, oltre ad artisti legati al Bauhaus.

Nel 1926 espone alla Biennale di Venezia con il gruppo Die Abstrakten. Nel 1931 espone con gli Aeropittori futuristi alla Quadriennale e nel 1932 alla mostra “Enrico Prampolini et les aéropeintres futuristes italiens” alla Galérie de la Renaissance di Parigi e alla Biennale di Venezia.

Prampolini continua a creare e a esporre opere con elementi stilistici del Futurismo, del Purismo e del Surrealismo, ma contemporaneamente esplora il teatro, la danza, la cinematografia e l’architettura. Nel 1925 fonda la compagnia di danza Teatro della Pantomima Futurista, dove lui stesso fu scenografo e costumista della compagnia.

Tra i suoi progetti architettonici figurano i padiglioni di Torino (1928) e Milano (per la Triennale di Milano, 1933), e nel 1934 Prampolini fonda la rivista Stile Futurista, specializzata in architettura.

Verso la fine della sua vita, Prampolini si dedica a lavori decorativi, tra cui vetrate e mosaici per il Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari di Roma, nel 1940-1941, e per la Triennale di Milano nel 1954.

Nel 1945 fonda l’Art club, e continua la sua opera di diffusione dell’arte astratta insieme alla sua attività pittorica, sempre fedele all’astrazione pura e alla ricerca delle varie possibilità offerte dal polimaterismo.

Nel corso della sua vita è stato oggetto di una mostra monografica alla Galleria di Roma (1941), e successivamente delle mostre alla Galleria Narciso di Torino (1963), alla Galleria Civica di Modena (1978), al Palazzo Comunale di Todi (1983) e al Palazzo delle Esposizioni di Roma (1992).

Muore nel 1956 a Roma.

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BIOGRAFIA

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di stampare Maggio 2023 da Arti Grafiche Meroni, Lissone (MB)
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