I miei primi quarant'anni

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I MIEI PRIMI QUARANT'ANNI

fondo, facevo meno impressione. Sì, non ero male, ma forse un po’ troppo rotondetta e avevo un’espressione buffa: ecco, più che bella, ero buffa. Nonno Emilio, il padre di mio padre, era molto autoritario e anche molto sordo. Era faticosissimo parlargli e, forse, la sua sordità lo rendeva per me ancora più lontano e severo. Non veniva quasi mai a casa nostra ed eravamo sempre noi ad andarlo a trovare, tranne il sabato. Quel giorno veniva lui e ci portava dei grandi pezzi di carne che sceglieva personalmente dal suo macellaio di fiducia, Angelo Amati, fratello del futuro re dei cinematografi romani. Era una specie di rituale, un’operazione che il nonno compiva con una cura scrupolosa e quasi ossessiva. Suo padre aveva guadagnato parecchi soldi con un forno a Melito Porto Salvo, in Calabria, e aveva comprato nella zona dei terreni che aveva coltivato a bergamotto, ma il nonno aveva lasciato la Calabria giovanissimo per studiare legge a Milano. Poi si era trasferito a Roma e aveva aperto un grosso studio di commercialista. Aveva avuto molto successo e in famiglia amava interpretare il ruolo del patriarca meridionale. Vestiva sempre di scuro e prendeva tutte le decisioni più importanti che riguardavano la nostra educazione, dalla scuola alla villeggiatura. Era affettuoso, ma non era certo espansivo. Comunque ci faceva dei bei regali. Fu lui a regalarmi la prima bicicletta e le cose più costose come il cappotto di lana o un bel paio di scarpine; e per lui avevo un misto di ammirazione e di timore. Nonno Emilio aveva sposato una tedesca. 12


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