30 aprile 2009 Rijeka Podhum Lipa

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TRENO

DELLA

MEMORIA 2OO9

Rijeka - Podhum - Lipa (Croazia)

Viaggio di conoscenza tra storia, memoria e impegno in collaborazione con

Muzej Grada Rijeke con il contributo della Provincia di Gorizia – Assessorato alle politiche di Pace e della Provincia di Trieste -


INTRODUZIONE Cari ragazzi, tendisti, trenisti e amici... eccoci ancora insieme per un’altra tappa del nostro viaggio fra memoria e impegno. Come sapete, questo progetto è nato con l’ambizioso obiettivo di andare a vedere la storia nei luoghi dove è avvenuta, di parlare con chi c’era, di capire il punto di vista dal quale la si guarda. Di metterci le mani dentro, insomma, sperando che questo ci obblighi ad assumerci degli impegni nel mondo e nel momento in cui viviamo. Non esistono fatti obiettivi, non ci sono versioni uniche, le ragioni e i torti non scelgono mai una sola posizione, o almeno non del tutto. Partendo da queste considerazioni, abbiamo provato insieme a superare la paura della complessità, delle diversità, del silenzio e del dolore, che troppo spesso ha portato strumentalizzazioni, omertà, ingiustizie e violenze. Oggi ci complichiamo un po’ la vita con le spinose questioni dell’occupazione italiana dei Balcani e delle Foibe. Abbiamo preparato queste dispense per dare una prima cornice che ci faccia localizzare queste tematiche, da molto tempo e ancora oggi nervi scoperti per decine di migliaia di persone che hanno subìto gravi ingiustizie, indicibili violenze e innumerevoli perdite. Abbiamo scelto di metterci dalla parte degli innocenti, dalla parte della povera gente che soffre fra i vincitori e fra i vinti, in ogni guerra e in ogni conflitto. Per fare questo, è necessario comprendere le dinamiche che ha attuato chi la guerra l’ha preparata, da una parte e dall’altra, scegliere un punto in cui spezzare il circolo vizioso e provare a srotolarlo. Serve capire come è possibile muovere migliaia di uomini contro migliaia di altri uomini, cavalcandone l’irrazionale per renderlo concreto. Serve rispondere alla domanda che ci poniamo ogni volta in cui guardiamo alle cose del passato con il senno del poi: com'è potuto accadere? Provare a capire, provare a rispondere: perchè continua a succedere, perchè non sono state fatte tutte le domande e non si sono ascoltate tutte le risposte. Viviamo in un’area in cui la storia è stata spesso molto spietata, a ridosso di un confine che ha diviso come pochi altri, fra persone che - di qualunque lingua, gruppo, religione o idea - possono raccontare di morti ammazzati. Li hanno visti, li hanno avuti in famiglia, ne hanno sentito i racconti e i fantasmi. La maggior parte di queste storie è andata perduta nelle diatribe statistiche, nelle urla delle rivendicazioni, nelle guerre dei numeri o, peggio ancora, nel silenzio. Vi chiediamo qui, come abbiamo fatto ad Auschwitz e Birkenau, di non perdere di vista le persone, di averle in testa e nel cuore ogni volta che leggete, ascoltate e prendete una posizione.

In questa introduzione al viaggio abbiamo inserito un articolo di Predrag Matvejevic che ci sembra parli con un approccio molto corretto e, per quanto sia difficile, obiettivo della vicenda delle foibe. Inoltre, brevi schede di quanto successo a Podhum e a Lipa, due villaggi teatri di stragi di persone inermi vittime della ferocia fascista e nazista di quegli anni. Moltissimi di noi non ne hanno mai sentito parlare prima. E questo silenzio è come una seconda fucilazione. Dobbiamo ricordare perchè...è successo; potrebbe capitare ancora...


LE FOIBE - AUDIATUR… di Predrag Matvejević traduzione di Silvio Ferrari

«Occorre ripetere”, consigliava André Gide aggiungendo: “perché nessuno ascolta”. E tanti ignorano. Ho scritto su questo argomento già in ex Jugoslavia, quando se ne parlava poco in Italia. Sono stato criticato - alcuni hanno trovato allora le mie idee forse troppo pro-italiane. Così come ho scritto sui crimini dell’Isola Calva (Goli otok), dove perirono molti comunisti, jugoslavi e italiani, che sentivano maggiore affinità con Stalin e con Togliatti che non verso il “revisionismo” titino. (Si tratta di testi accessibili anche al lettore italiano, inseriti nel mio libro “Epistolario dell’Altra Europa”.) Ho avuto modo di sostenere gli esuli italiani dell’Istria e della Dalmazia prima e dopo aver lasciato il mio paese natio e scelto, a Roma, una via “fra asilo ed esilio”. Sì, le foibe sono un crimine grave e quelli che lo hanno compiuto meritano una condanna severa ed irrevocabile. Ma per la dignità di un dolore corale bisogna dire che questo delitto è stato preparato e anticipato da altri, che forse non sono sempre meno colpevoli. Se ciò viene taciuto, allora si corre il rischio di una strumentalizzazione “del delitto e del castigo” nonché di una manipolazione di entrambi. E’ chiaro che nessun crimine può venire sminuito o giustificato richiamandosi ad un altro. L’ingloriosa vicenda è infatti cominciata molto prima, non lontano dai luoghi dove sono stati poi compiuti quei crimini più recenti. Ci appoggiamo dunque a documenti che hanno piena credibilità. Il 20 settembre 1920 Mussolini tiene un discorso a Pola (non certo casuale la scelta della località). E dichiara: “per realizzare il sogno mediterraneo bisogna che l’Adriatico (qui si intende l’intero Adriatico – nota di P.M.), che è un nostro golfo, sia in mani nostre; di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara”. Ecco come entra in scena il razzismo, accompagnato dalla “pulizia etnica”. Le statistiche abbastanza credibili parlano di un numero di circa 80.000 esuli fra croati e sloveni di questa zona nel corso degli anni ’20 e ’30. Gli slavi perdono il diritto che prima, al tempo dell’Austria, avevano, di servirsi della loro lingua nella scuola e sulla stampa, il diritto della predica in chiesa e persino quello della scritta sulla lapide nei cimiteri. Si cambiano massicciamente i loro nomi, si cancellano le origini... Ed è appunto in un contesto del genere che si sente parlare per la prima volta della minaccia della Foiba. E’ il ministro fascista dei Lavori pubblici Giuseppe Caboldi Gigli, che si era affibbiato da solo il nome vittorioso di “Giulio Italico” a scrivere già nel 1927: “La musa istriana ha chiamato Foiba degno posto di sepoltura per chi nella provincia d’Istria minaccia le caratteristiche nazionali (leggi italiane, P.M.) dell’Istria” (da “Gerarchia”, IX, 1927). Affermazione alla quale il ministro aggiungerà anche i versi di una minacciosa canzonetta dialettale già in giro: “A Pola xe l’Arena, La Foiba xe a Pisin”. Le foibe sono dunque un’invenzione fascista. E dalla teoria si è passati alla pratica. L’ebreo Raffaello Camerini, che si trovava ai “lavori coatti” in questa zona durante la seconda guerra mondiale testimonia, nel giornale triestino”Il Piccolo” (5. XI. 2001): “Sono stati gli Italiani, fascisti, i primi che hanno scoperto le foibe ove far sparire i loro avversari”. La vicenda “con esito letale per tutti” che racconta questo testimone, cittadino italiano, fa venire brividi. Sono dunque cadaveri di varie nazionalità nelle foibe, prima e dopo la fine della guerra. Il Ministro delle Comunicazione potrebbe informarsene meglio, è il suo mestiere La storia (quella con la S maiuscola) potrebbe aggiungere alcuni altri dati. Uno dei peggiori criminali dei Balcani è certamente il duce (poglavnik) degli ustascia croati Ante Pavelic’. E il campo di Jasenovac è stato una Auschwitz in formato ridotto, con la differenza che lì il lavoro veniva fatto “a mano”, mentre i nazisti lo facevano in modo “industriale”. Quando si diceva questi giorni che gli allievi avrebbero dovuto imparare


cosa significano le foibe (e ne sono d’accordo), si può chiedere anche se sarebbe utile d’inserire ugualmente nei programmi scolastici anche alcuni altri dati, simili: per esempio che quello stesso criminale Pavelic’ con la scorta dei suoi più abietti seguaci, poté godere per anni dell’ospitalità mussoliniana a Lipari, dove ricevevano aiuto e corsi di addestramento dai più rodati squadristi del fascismo. E ancora: il governo di Mussolini si annette la gran parte della Slovenia, compresa Lubiana, la Dalmazia, il Montenegro, una parte della Bosnia-Erzegovina, tutte le Bocche di Cattaro ecc. E nella circostanza, fra il 1941 e il 1943, circa 30.000 slavi – croati e sloveni – vennero di nuovo scacciati dall’Istria e dalle terre occupate. Le “camicie nere” eseguono fucilazioni di massa e di singoli individui. Tutta una gioventù ne rimane falciata. I dati forniti da fonti jugoslave valutano in 200.000 le persone uccise, in particolare sul litorale e sulle isole - un numero molto probabilmente gonfiato. Ma se solo un decimo di esso corrispondesse alla realtà, sarebbe comunque troppo. A ciò bisogna aggiungere tutta una catena di campi di concentramento italiani, di varia dimensione, dall’isoletta di Mamula all’estremo sud, a quella di Lapad nelle Elafiti, fino a Pago e Arbe, vicino al golfo del Quarnaro. Spesso si transitava in questi luoghi per raggiungere la risiera di San Sabba a Trieste e, in certi casi, si finiva anche ad Auschwitz e a Dachau. Anche questo potrebbe far parte del programma d’insegnamento? I partigiani non erano protetti in nessun paese dalla Convenzione di Ginevra e pertanto i prigionieri venivano immediatamente sterminati come cani. E così molti giunsero alla fine delle guerra accaniti. Fra di loro era gente capace di compiere misfatti come quelli delle foibe. Non ci sono testimonianze di nessun genere, in nessun tipo di archivio, militare o civile, di alcuna direttiva emanata o giunta dallo Stato Maggiore partigiano e da Tito. Singole persone esacerbate, di quelle che avevano perduto la famiglia e la casa, i fratelli e i compagni, eseguivano i crimini in prima persona e per proprio conto. Così sono caduti anche numerosi serbi, croati, sloveni, innocenti vittime dai loro connazionali. Purtroppo il fascismo ha lasciato dietro di se tanto male da provocare drastiche vendette non solo nei Balcani e nei loro dintorni. Ricordiamoci del Friuli, dove non c’erano rese di conti fra diverse nazionalità, ma dove i dati parlano di almeno 10.000 persone uccise senza processo, alla fine della guerra. In Francia ve ne furono più di 60.000. In Grecia non so quanti sono. In Istria e sul Carso sono stati estratti finora dalle foibe 570 cadaveri. Lo storico triestino Galleano Fogar, orientato forse più verso la destra che la sinistra, riporta persino un numero inferiore, con l’avvertenza che in alcune foibe vennero gettati anche soldati tedeschi uccisi nelle battaglie svoltesi su territori circostanti. Recentemente ci toccava ascoltare una propaganda che, attraverso le voci dei vari media, fa menzione di “decine di migliaia di infoibati”. Secondo lo storico italiano Diego de Castro (collaboratore di De Gasperi) nella regione di cui parliamo sono stati uccisi circa 6.000 italiani. E’ tanto ed è criminale! Ma è un orrore che non c’è bisogno di aumentare parlando come pure si fa, di “oltre 20.000” e più ancora uccisi. Bisogna rispettare le vittime, e non gettare addosso ai loro scheletri altri morti, come facevano proprio gli “infoibatori”. Per quanto riguarda poi il posto che tutti questi dati occupano nell’immaginario, non mi pare benvenuta né opportuna la propaganda distribuita dal film “Il cuore nel pozzo”, che 10 milioni di italiani hanno visto alla televisione, reclamizzato per giorni in modo insolitamente aggressivo. La cinematografia italiana ha la straordinaria tradizione del Neorealismo, una delle più forti dell’intera cinematografia moderna – non ha bisogno di modelli simili a quelle del “realismo socialista” avvicinabili ai film sovietici degli anni ’60. Se infine posso dire come cittadino di un paese democratico dove vivo e lavoro da più di un decennio (l'Italia), mi sembra che si tratti, fra l’altro, di una ben riuscita e fortemente stimolata iniziativa contro la sinistra e il legame che essa aveva con il comunismo che, secondo le parole che abbiamo sentite da berlusconi, ha sempre


condotto “alla miseria, alla morte e al terrore”. C’è una specie di “anticomunismo viscerale” (una specie di mackartismo) che, secondo le parole del mio amico, il geniale dissidente polacco Adam Michnik, è peggio del peggior comunismo. Chi scrive ne sa qualcosa: ha perso l’intera famiglia paterna, russa, in un gulag staliniano.

PODHUM E LE ALTRE STRAGI di Giacomo Scotti

Nell'estrema parte nord-orientale dell'Istria, alle spalle di Abbazia, le autorità militari italiane intrapresero al'inizio del giugno 1942 un'azione prettamente terroristica contro le famiglie dalle quali risultava assente qualche congiunto, sicché potevano ritenere che avesse raggiunto le fila dei “ribelli” (partigiani). Un comunicato del generale Lorenzo Bravarone informò che il 6 giugno erano state arrestate e deportate nei campi di internamento in Italia 34 famiglie per un totale di 131 persone; i loro beni mobili, compreso il bestiame grosso e minuto, furono confiscati o abbandonati al saccheggio delle truppe, le loro case incendiate, dodici persone vennero passate per le armi senza alcun processo. Ancora più terribile fu la sorte toccata agli abitanti della zona nord di Fiume. I maestri elementari Giovanni e Franca Renzi, mandati dal regime a “italianizzare” i bambini croati del villaggio di Podhum annesso alla Provincia del Carnaro nel 1941, erano malvisti nella zona per le punizioni inflitte a quei bambini colpevoli unicamente di non apprendere rapidamente la lingua italiana. Tra l'altro, il maestro, secondo fonti partigiane, svolgeva attività di spionaggio antiguerriglia. Stando a testimonianze di ex comandanti partigiani, il Renzi sarebbe stato catturato, interrogato e condannato a morte in quanto organizzatore e capo di una banda di miliziani belogardisti al soldo dei servizi segreti miltari italiani, e come tale fucilato assieme alla moglie. Giovanni e Franca Renzi furono giustiziati il 10 o il 16 Giugno 1942. A un mese di distanza, il prefetto di Fiume, Temistocle Testa, ordinò una rappresaglia sanguinosa: reparti di Camicie Nere nei quali furono mobilitati per l'occasione anche numerosi giovani fascisti italiani di Fiume, insieme a reparti delle truppe regolari, irruppero nel villaggio di Podhum all'alba del 13 luglio. L'intera popolazione, rastrellata fu condotta in una cava di pietra presso il campo di aviazione di Grobnico, mentre il villaggio veniva saccheggiato e poi incendiato. Il fuoco distrusse 370 case e 124 altri edifici; oltre 1000 capi di bestiame grosso e 1300 di bestiame minuto furono portati via, 889 persone, ossia 185 famiglie, finirono nei campi di internamento italiani: 412 bambini, 269 donne e 208 machi anziani. Altri 91 maschi furono fucilati nella cava: il più giovane avva 13 anni appena, il più anziano 64. Con un telegramma spedito il 13 Luglio a Guido Buffarini Guidi, sottosegretario al Ministero degli Esteri, Testa lo informò: Ierisera tutto l'abitato di Pothum nessuna casa esclusa est raso al suolo et conniventi et partecipi bande ribelli nel numero 108 sono stati passati per le armi et con cinismo si sono presentati davanti ai reparti militari dell'armata operanti nella zona, reparti che solo ultimi dieci giorni avevano avuto sedici soldati uccisi dai ribelli di Pothum stop Il resto della popolazione e le donne e bambini sono stati internati stop.


Il generale di brigata Umberto Fabbri, comandante del V Gruppo Guardie alla Frontiera (GAF) aveva comunicato in quello stesso periodo che un suo reparto, in collaborazione con la Milizia di frontiera di Zamet (oggi sobborgo di Fiume) aveva incendiato diverse case di famiglia sospettate di mantenere legami con i “ribelli del bosco”. La rappresaglia fu eseguita “per ordine dell'Eccellenza il Prefetto di Fiume”.

Secondo un documento per la Commissione per i crimini di guerra, stilato il 20 settembre 1945, nel solo Comune di Castua subirono spedizioni punitive 17 villaggi; soltanto in 5 non vi furono fucilati, nei rimanenti furono passate per le armi 59 persone, altre 2311 furono deportate e precisamente 842 uomini, 904 donne e 565 bambini; furono incendiate 503 case e 237 stalle. Sempre nella zona di Fiume, il 3 Maggio 1943, per ordine del solito Testa, reparti di Camicie Nere e di fanteria rastrellarono il villaggio di Kukuljani e alcune sue frazioni, portarono via tutto il bestiame, saccheggiarono le case, deportarono la popolazione e appiccarono il fuoco alle abitazioni e agli altri edifici “covi di ribelli”. Queste sanguinose persecuzioni indiscriminate contro la popolazione civile slava furono denunciate anche da eminenti personalità politiche e religiose italiane di Trieste. Le repressioni e il terrore del fascismo in Istria e a Trieste furono testimoniati, per esempio, da una lettera di Antonio Sanzin, vescovo noto per il grande patriottismo italiano. La lettera è datata 12 marzo 1943 ed è indirizzata al sottosegretario agli Interni del Governo di Mussolini, Buffarini Guidi. In essa il vescovo di Trieste e Capodistria protesta contro le torture e implora per farle cessare. Diverse personalità politiche triestine furono firmatarie di un Promemoria presentato il due settembre 1943 da un “Fronte Nazionale Antifascista” al prefetto Giuseppe Cocuzza. Siamo a un mese e mezzo circa di distanza dalla caduta del regime fascista e a meno di una settimana dalla capitolazione militare dell'Italia. Nell'iniziativa eraevidente, oltretutto, un “difusso senso di paura per vendetta” che avrebbe potuto abbattersi indisciminatamente sugli Italiani dell'Istria come reazione “alla tracotanza del Regime e dei suoi uomini più violenti che in Istria e nella Venezia Giulia, avevano usato strumenti e atteggimaneti fortemente coercitivi nei riguardi delle popolazioni slave”. Alla luce di questi fatti, dunque, vanno visti gli avvenimenti del settembe 1943 in Istria. tratto dal volume: “Dossier Foibe”, Manni Editore, di Giacomo Scotti, uno dei primi studiosi ad aver sollevato la questione delle Foibe e dell'esodo degli italiani nella Jugoslavia di Tito, non senza sottacerne la relazione con la condotta degli Italiani al di là del confine.


LA STRAGE DI LIPA a cura della Tenda per la Pace e i Diritti Dopo il 18 settembre 1943, il territorio di Fiume (Rijeka), l'Istria e la Venezia Giulia furono annesse al Terzo Reich. Gli oppositori politici (già attivatisi durante l'occupazione italiana) e i perseguitati dal nazismo furono deportati da questi territori a Trieste, dove sarà attivata la tristemente famosa Risiera di San Sabba. Da lì migliaia di persone vennero trasportate verso i campi di concentramento e di sterminio dell'Europa centro-settentrionale sotto il controllo nazista; quelli che restarono furono invece uccisi e cremati dopo atroci torture. Circa la metà delle vittime del forno crematorio di Trieste era di origine slava, in particolare croata. La strada che all’epoca collegava direttamente Fiume a Trieste era strategica per gli spostamenti dell'esercito tedesco, che aveva anche una caserma molto importante a Ilirska Bistrica (oggi in Slovenia, da dove la strada si biforcava in direzione Lubiana o Trieste). Attraverso essa venivano deportati i civili imprigionati e si muovevano i rifornimenti e i mezzi militari nazisti. Non dimentichiamo che accanto ai nazisti operavano milizie fasciste e militari italiani fedeli al Duce. Proprio lungo questa strada, a Rupa, un piccolo paese dell'altipiano sovrastante Fiume, nella ex-scuola aveva sede un drappello fascista, composto da circa venti uomini, con funzioni di controllo di questa importante arteria. Nonostante questo presidio, i partigiani continuavano da mesi a ostacolare e attaccare i convogli tedeschi che passavano; ad un certo punto i fascisti si misero a controllare assiduamente la popolazione di Lipa, un villaggio a circa 2 km da Rupa, e di un suo sobborgo, Novo Cracina. Gli abitanti del paese furono avvertiti del pericolo da una ragazza che era fidanzata con un carabiniere di stanza a Rupa, il quale l'aveva informata che le cose avrebbero potuto finire male se non avessero collaborato, ma gli abitanti di questi villaggi erano anche familiari dei partigiani e profondamente anti nazifascisti a loro volta, per cui non collaborano. Il 30 aprile del 1944 i partigiani prepararono un attacco contro il presidio di Rupa e all'alba aprirono il fuoco; qualcuno dal presidio riuscì a raggiungere una colonna di soldati tedeschi che transitava lungo l'arteria principale. Mentre il comandante della colonna, composta da circa 30 soldati, decideva il da farsi, una granata colpì la colonna stessa uccidendo quattro soldati tedeschi. I nazisti chiamarono subito rinforzi da Ilirska Bistrica e quando questi arrivano, sotto la guida del drappello fascista, si diressero verso il villaggio di Lipa che venne circondato. Il terrore fu immediato: i primi abitanti che si facevano incontro vennero fucilati all'istante. Tra questi, c’era Ivan Ivancich che, ferito, si finse morto e rimarrà uno dei pochi testimoni della strage. Nelle case erano rimasti quasi solamente donne, bambini e anziani. Contro di essi la violenza dei nazisti si sviluppò feroce. In poco meno di due ore, le case vennero saccheggiate, molte persone uccise con violenza inaudita, alcune decine radunate e stipate in un piccolo edificio all'entrata del paese mentre le case vengono bruciate una per una. E l'atrocità estrema, dopo un pomeriggio di orrori, si compì proprio sugli


ostaggi rinchiusi in quella piccola casa: cosparsi di benzina e arsi vivi! Chi riusciva a scappare dall'edificio venne ucciso a colpi di mitra. Alcuni bambini riusciti che erano svicolati vennero rigettati all'interno della casa in fiamme. Alla fine, i nazisti aiutati dai fascisti cercarono di nascondere il massacro facendo saltare l'edificio con la dinamite, ma furono visti da alcuni ragazzi di Lipa, che avevano portato il bestiame al pascolo ed erano scampati alla strage nascondendosi nei boschi circostanti il villaggio. Vennero uccisi 269 civili in poche ore, fra cui tre bambine che non avevano neanche un anno. Sessantacinque anni dopo la strage di Lipa, vogliamo rendere omaggio alle vittime di questo e degli altri eccidi, vogliamo portare con noi il ricordo di quello che è stato e impegnarci ancora una volta perchè non accada più, né qui né altrove. Perchè le donne e gli uomini di domani siano più forti dei confini dello spazio, ma soprattutto di quelli della mente.


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