Lo Sguardo sui 5 Reali Siti – Anno XIII – n°7 – Novembre 2015

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L’Italia è una delle 5 maggiori destinazioni al mondo per turismo culturale e ambientale. 2 turisti stranieri su 3 considerano la cultura e il cibo come principale motivazione di un viaggio in Italia e per questo impegnano 1/3 della loro spesa turistica. Per 1 italiano su 2 il cibo, insieme all’arte, alla moda e ai motori, costituisce l’immagine del Bel Paese nel mondo. I numeri sul turismo enogastronomico in Italia parlano, dunque, chiaro e sono tutti in positivo: si tratta di un mercato in forte espansione, con grandi opportunità che si basano su un immenso patrimonio di “giacimenti enogastronomici” e su risorse culturali di rilievo internazionale. Gli itinerari enogastronomici, in Italia, sono più o meno tanti quanti sono i nostri paesi e le mille combinazioni possibili che possono collegarli, visto lo straordinario patrimonio di specialità agroalimentari tipiche dell’agricoltura, di tradizione nella loro elaborazione, di ricette della cucina regionale. Siamo dunque un paese ideale per il turismo enogastronomico. L’itinerario enogastronomico, tuttavia, ove opportunamente organizzato, segnalato e promosso, diviene una vera e propria componente del turismo: turismo enogastronomico, appunto. Che vuol dire organizzare, segnalare e promuovere itinerari enogastronomici? Organizzare, vuol dire individuare uno o più temi enogastronomici che motivino la visita all’itinerario; tracciare il percorso dell’itinerario secondo le località che esprimono efficacemente la ragione dei temi prescelti; individuare lungo l’itinerario le “stazioni” più importanti di tradizione enogastronomica e tutti i servizi di assistenza al turismo enogastronomico che possono aiutarne la migliore fruizione; associare i tanti possibili cointeressati alla presenza e allo sviluppo del turismo enogastronomico, affinchè, ognuno nella propria funzione, contribuiscano alla vitalità dell’itinerario, migliorino i rispettivi servizi, traendone, conseguentemente maggior beneficio economico. Segnalare e promuovere, significa dare definizione e visibilità agli

itinerari enogastronomici, in modo che emergano nella propria forma organizzata, accogliente, rispetto agli altri mille possibili itinerari spontanei che qualsiasi turista può tracciare da sè. Quindi apporre cartelli che indichino la presenza e il tracciato dell’itinerario, distinguano le aziende agricole, gli artigiani alimentari, le rivendite di prodotti tipici, i ristoranti, i luoghi di studio, apprendimento e conservazione del patrimonio culturale cui gli itinerari enogastronomici fanno riferimento. In questo modo l’itinerario dichiara la propria identità ed è concretamente protagonista del sistema di

Turismo gastronomico nazionale, insieme ad altri itinerari organizzati e resi evidenti al turismo nello stesso modo. Se la segnaletica serve a guidare il turista enogstronomico “sul posto”, la promozione serve a portare il turista “verso il posto”. Un buon sito internet, costantemente aggiornato, è lo strumento primo di promozione; poi vengono i prodotti cartacei, le manifestazioni fieristiche, gli educational per i giornalisti, gli eventi di richiamo organizzati nelle località dell’itinerario enogastronomico nei diversi periodi dell’anno, in coincidenza con momenti della produzione, della tradizione, della maggiore affluenza turistica. Un esempio concreto di itinerari finalizzati a sostenere il turismo enogastronomico sono le strade del vino, e le strade del gusto e dei sapori. Le prime sono mirate su un solo prodotto, il vino, e si dice che contribuiscano a muovere, verso quel particolare genere di turismo enogastronomico che è il turismo del vino, oltre sei milioni di ospiti l’anno. Qual-

cuno si chiederà quale è la situazione in Capitanata, nello specifico del nostro territorio quale è la situazione nei 5 Reali Siti? Purtroppo il territorio resta ancora al palo, eppure si produce dell’ottimo vino, degli ottimi carciofi e di tanti prodotti della agricoltura che caratterizzano le cinque cittadine di Orta Nova, Carapelle, Stornara, Stornarella ed Ordona, eppure se da una parte le amministrazioni locali restano insensibili sull’argomento c’è da registrare i silenzio dell’Unione e così non ci sono le strade del gusto e dei sapori, tanto meno quello del vino. Eppure il cibo è considerato l’ingrediente più importante della vacanza, più essenziale di altri aspetti come visite culturali e shopping. I n u n o s t u d i o dell’Università di Foggia si evidenzia che rilevanti appaiono, di conseguenza, le ricadute sul territorio, che non si limitano all’offerta turistica attraverso la realizzazione ex novo di strutture ricettive di vario livello qualitativo in primis forme di turismo rurale, ma anche sotto forma di resort di pregio bensì si estendono a produzioni agroalimentari di qualità, peraltro in perfetta sintonia sia con le denominazioni e con la nuova politica agricola europea fondata sulla multifunzionalità, sia con il Made in Italy di produzioni di eccellenza, e manifestano i propri effetti anche dopo che il turista ha fatto rientro nel proprio ambito di residenza quotidiana, incidendo sulle sue abitudini di consumo e incrementando le esportazioni di tali prodotti. Un turismo, quindi, culturale a tutti gli effetti, in cui non solo si ha l’opportunità di conoscere, ma più correttamente di entrare in pieno contatto con il luogo, le sue genti, il suo carattere, le suggestioni che evoca. Pertanto, si viene a configurare una vera e propria esperienza che permette al turista di entrare pienamente in comunione con la realtà del luogo per instaurare un legame dialettico con il suo trascorso, per appropriarsi delle sue tradizioni e del suo patrimonio storico e culturale. Sull’argomento ho lanciato il seme ai sindaci del territorio e al Presidente dell’Unione farlo germogliare.


Anche quest'anno ci siamo raccolti, di fronte al nostro monumento, per omaggiare e ricordare, con onore e fierezza, i caduti di tutte le guerre, per festeggiare l'unità nazionale e celebrare le forze armate. E dobbiamo partecipare in maniera convinta a queste celebrazioni, perché questa ricorrenza non deve apparire scontata, non deve essere un formale rituale da agenda, a cui siamo obbligati istituzionalmente, non deve ridursi solo ad un semplice ricordo o una celebrazione nostalgica di avvenimenti accaduti cento anni fa. In qualità di primo cittadino, ho l'onore, ma anche il dovere, di rendere solenne questa ricorrenza, che deve diventare occasione di riflessione e di studio, per risvegliare, in tutti noi, un rinnovato impegno civico. Deve essere un momento di profonda meditazione e presa di coscienza, deve rappresentare una tappa fondamentale della nostra storia, della nostra memoria storica. Perché il 4 novembre è importante nella storia dell'Italia? E perché è importante ricordare fatti di un passato, sempre più distante dalla nostra vita quotidiana? E mi rivolgo soprattutto ai più giovani, che ancora ignorano la nostra storia risorgimentale.

Il 4 novembre è una data simbolo, che segna la fine di uno sforzo durissimo e il conseguimento di una vittoria, costata sacrifici, sangue, mutilazioni, morte. Il 4 novembre del 1918, dopo la vittoriosa battaglia di Armando Diaz e del Regio Esercito italiano a Vittorio Veneto, l'armistizio di Villagiusti con gli austroungarici, sancì la fine del primo conflitto mondiale e concluse quel processo, che portò all'unificazione dell'Italia, concretizzando un sogno, che aveva ispirato tanti patrioti. Fu una vittoria, frutto della dedizione, del sacrificio e dell'unità del popolo italiano. Fu una vittoria, a cui si giunse col sangue, tanto dei vincitori, che dei vinti. Una vittoria, di cui è difficile parlare, dopo aver sostato davanti al nostro monumento, che, nel marmo, ricorda i nomi di giovani uomini, che in terra di combattimento, lontano dal loro paese, dalla loro casa, dai loro affetti più cari, vissero, con onore e totale dignità, le angosce e le atrocità della guerra: la mancanza di sonno, di cibo, di acqua, la minaccia dei bombardamenti costanti, il gas letale che bruciava i polmoni e provocava la morte.

Se scorriamo i nomi iscritti sulla nostra lapide, ognuno di noi riconoscerà un parente, un antenato, che porta con sé una storia. Non esiste famiglia di Orta Nova, che non abbia versato il suo tributo di sangue e sofferenze sui campi di battaglia. Quella storia fa parte della nostra memoria, dunque, ci appartiene e va custodita. I protagonisti di quella guerra non furono re, imperatori o generali, ma uomini semplici, che hanno compiuto gesti eroici, senza probabilmente rendersene conto. Persone umili, che avevano nel cuore ideali di patria, libertà e democrazia. E anche se di quei soldati che, un secolo fa, combatterono nella guerra delle trincee, adesso non è rimasto più nessuno, il paese sente il dovere di farne memoria. La memoria è un patrimonio prezioso, una risorsa importante, che deve essere trasmessa alle nuove generazioni. Quella memoria, che lo scorrere del tempo non deve oscurare; lo scorrere del tempo non deve cancellare le ferite, le cicatrici, il sacrificio dei nostri soldati, il dolore delle vittime civili e tutti coloro che, feriti e mutilati, portarono per sempre nella carne il segno del dovere compiuto. Lo scorrere del tempo non deve affievolire il dolore e il pianto di quelle mamme, di quelle mogli, di quei figli, cui sono stati strappati i loro cari. È necessario, dunque, che la memoria diventi strumento di coscienza civile. È necessario che ognuno si assuma la responsabilità della propria storia, perché questa memoria oggi deve risplendere. Guai a dimenticare questa memoria. Nulla si fa, cancellando il passato. Ricordare da dove si arriva, ti fa com-


Orta Nova: La Navetta della Preghiera La Misericordia di Orta Nova insieme alla Parrocchia di Lourdes, nell’ambito dell’assistenza domiciliare gratuita, è lieta di presentare il nuovo servizio – La Navetta della Preghiera, che sarà attiva tutti i primi venerdi del mese del 2015 e 2016, il servizio ha lo scopo di prendere l’anziano o comunque la persona non autosufficente con mezzi idonei al trasporto accompagnandola presso la Parrocchia di Lourdes, dove le sarà possibile confessarsi, partecipare alla Santa messa e ad un ora della adorazione solenne. Alla fine della cerimonia sarà possibile farsi accompagnare al proprio domicilio dai giovani volontari o partecipare ad un buffet all’interno dei locali della Misericordia, con un assaggio del prodotto offerto dalla stagione, al termine del momento comunitario tutti gli utenti saranno accompagnati presso la propria abitazione, con l’arrivederci al mese successivo. Il servizio sarà garantito solo su prenotazione telefonica.

mons. Luigi Renna del clero della diocesi di Andria, finora rettore del Pontificio Seminario Regionale «Pio XI» di Molfetta. Accolta da un accorato applauso, la notizia è stata accompagnata dalla comunicazione della nomina ad Amministratore Apostolico di S.E. Mons. Di Molfetta che guiderà la diocesi fino all'ingresso del nuovo pastore. La consacrazione di Mons. Renna avrà luogo nella cattedrale di Andria il 2 gennaio prossimo.

Mons. Luigi Renna nuovo vescovo della diocesi Cerignola-Ascoli Satriano E' stato nominato Vescovo della Diocesi di Cerignola - Ascoli Satriano, il rettore del Seminario Vescovile di Molfetta, Mons. Luigi Renna, di origine di Minervino Murge. Nel salone «Giovanni Paolo II» dell'episcopio di Cerignola, alla presenza del clero, degli officiali di curia, delle autorità civili e dei rappresentanti dell'associazionismo cattolico, Mons.. Felice di Molfetta ha annunciato il nome del suo successore sulla cattedra della Chiesa di Cerignola-Ascoli Satriano, individuato da papa Francesco in

Contro la dispersione scolastica l’Orta Nova che Vorrei rilancia “Cultura+Cultura” L’Orta Nova che vorrei, come associazione di promozione sociale, non si rassegna alla dispersione scolastica dilagante, all’abbandono precoce della scuola, all’allontanamento da quella che è la nostra possibilità di riscatto: lo studio. E allora riproponiamo un’iniziativa già andata a buon fine un anno fa, invitando chiunque voglia farlo e comprenda l’importanza di una simile azione a donare un contributo volontario che andrà a costituire delle borse di studio per chi versa in situazioni socio-economiche difficili. Il nostro “Grazie di cuore” si materializzerà in un libro, che ci consentirà di rispondere alla generosità con generosità, alla cultura con la cultura. Vogliamo dare a tutti la possibilità di crearsi un futuro migliore, di comprendere l’importanza della scuola e della crescita che ne deriva. Alla povertà economica e sociale vogliamo rispondere con cultura e solidarietà. L’educazione è la strada per rialzarsi, permettiamo a tutti di percorrerla.

prendere dove puoi andare. Non dobbiamo dimenticare le vicende del passato, se vogliamo procedere sulla strada di una costruzione di un futuro migliore per noi e per nostri figli. Non dobbiamo dimenticare chi siamo. Non dobbiamo dimenticare le nostre radici. Non dobbiamo dimenticare su quali sofferenze si fondano la nostra indipendenza e la nostra libertà. Non dobbiamo dimenticare la nostra storia. Non dobbiamo dimenticare la storia di tutti coloro che, per riunire gli italiani in un'unica nazione, hanno sacrificato la loro vita e magari anche gli anni migliori della loro esistenza. Non dimentichiamo il loro eroismo. Non dimentichiamo il loro coraggio. Non dimentichiamo i loro alti valori.

Non dimentichiamo il loro sangue, versato per la nostra patria, per una patria libera dallo straniero e in pace. È doveroso non dimenticare, come è doveroso trasmettere ai nostri giovani, ai nostri figli, ai nostri nipoti, il vero ed integrale significato di questa giornata. Solo riannodando il filo della memoria, una comunità è in grado di costruire il suo futuro. Solo con la conoscenza e il ricordo dei fatti, anche le nuove generazioni potranno rendere il doveroso tributo a coloro che, pur giovanissimi, spesso poco più che adolescenti, del tutto impreparati, ma avendo davanti a sé ancora un'immagine di speranza e di futuro, inseguendo un ideale di giustizia e di amor patrio, sono andati incontro al loro terribile destino, eroicamente. Tutti siamo potenzialmente eroi, anche nel nostro quotidiano, nelle difficoltà dei nostri tempi, che potranno essere superate solo percorrendo una strada retta da onestà,

Per donare il tuo contributo chiama al seguente numero 329.5411841 (Gianluca Di Giovine) oppure dal lunedì al sabato (dalle 16:00 alle 21:00) puoi recarti presso la sede in via Stornarella, 26 I primi 50 anni di Antonella Tantissimi auguri a Antonella D'Alessandro che il 13 novembre ha compiuto 50 anni. La sua famiglia riunita nella gioia, insieme agli amici della Comunità Parrocchiale S. Giuseppe di Carapelle hanno festeggiato, a sorpresa, il suo compleanno. Antonella è madre del nostro collaboratore e giornalista Matteo Piarulli. Tantissimi auguri da parte di tutta la Redazione de "Lo Sguardo".

Lutto E’ venuta a mcare4 ai suoi cari Antonietta Benedetto in Mauriello. L’editore e l’intera redazione si associano al dolore dei figli Savino, Isabella e Francesco, nipoti e parenti tutti. rispetto e correttezza. Ora tocca a noi portare avanti questo messaggio. Questa memoria è affidata a noi, ma è affidata soprattutto a voi, giovani. A voi, che spesso vi arrendete alle prime difficoltà, a voi, che avete sempre meno fiducia nel vostro futuro e meno speranza in un avvenire, che dipende soprattutto da voi. Sappiate emulare i vostri coetanei di cento anni fa, il loro spirito di sacrificio, la loro energia, i loro alti ideali, la ricchezza di sentirsi parte di un paese unito. Ma soprattutto sappiate apprezzare e custodire la nostra epoca di pace. La pace è stata la vera vittoria conseguita cento anni fa: una pace fatta di rispetto, valori morali, servizio, bene comune. La pace è uno dei pilastri, su cui si è voluta edificare la nostra nazione ed è un fondamentale diritto dell'uomo. * Sindaco di Orta Nova


Chiuso il capitolo Tar di Bari nelle scorse settimane, sono finalmente ripresi i lavori di riqualificazione di Largo Ex Gesuitico; tratto che nel frattempo causa le copiose piogge, si è trasformato in una vasta palude di melma e fango, come testimoniano le immagini scattate. La vicenda risale a metà settembre, quando ad appena una settimana dall’apertura del cantiere ed inizio dei lavori da parte dell’Impresa Festa Costruzioni S.R.L., con chiusura al traffico dell’area compresa tra Via Trento e Corso Aldo Moro e, non lievi disagi per gli automobilisti in transito; giunge come un fulmine a ciel sereno, la notizia del blocco del cantiere su disposizione di una sentenza del Tar di Bari, a seguito del ricorso di una delle ditte non aggiudicatrici: la Società Consortile A.R.L. Consorzio Stabile di Torremaggiore. Per l’attuazione del blocco, si rende altresì necessario l’intervento dei Carabinieri; dal momento che la comunicazione di sospensiva, inoltrata al Comune, non era ancora stata applicata. A onor del vero lo storico Palazzo di Largo Ex Gesuitico, già lo scorso anno era finito nella bufera; a seguito di incerte perizie cui era seguito l’abbattimento di vecchi locali dismessi, in passato adibiti a deposito municipale, che ne ostruivano la splendida facciata risalente al XVII secolo, nonché per la conseguente risistemazione della pavimentazione antistante. I lavori attualmente in opera, invece, per l’ammontare complessivo di un milione di euro, rientrano nei finanziamenti P.O FESR 2007/2013 - AZIONE 7.2.1, e dovrebbero ora concludersi nel rispetto dei tempi previsti, intorno alla fine dell’anno; consentendo alla città di poter finalmente fruire, di una nuova area pedonale. Tali lavori consentiranno in particolare, la riqualificazione di un’area storica della città, valorizzando la centralità di Palazzo Ex Gesuitico; l’imponente complesso architettonico già sede della Biblioteca Comunale, dell’Unione, di una prestigiosa Associazione di Studi Storici, e che a breve ospiterà anche un importante Museo della Civiltà Contadina. Ripartiti però i lavori, già si scatenano sui social nuove e feroci polemiche, dovute questa volta all’abbattimento di una quercia collocata alle spalle della struttura comunale, e di un abete. In tanti, si domandano se non sarebbe stato più giusto preservarne il mantenimento, dati i tanti e recenti episodi di scempio del verde pubblico, già registrati nel territorio. Ma il Primo Cittadino, deve anche placare gli animi dei commercianti da qualche tempo in agitazione contro il provvedimento comunale, che ha disposto la chiusura del tratto di Via Purgatorio - Corso Umberto I, ora zona pedonale. Perciò, spiega da queste colonne: “Tale provvedimento si è reso necessario su istanza della Sovrintendenza ai Beni Culturali, allo scopo di preservare la secolare Chiesa del Purgatorio, da pochi anni restaurata, pro-

teggendo il muro laterale della stessa da smog e infiltrazioni d’acqua piovana, causati dal passaggio delle auto. Sono tuttavia al vaglio studi di settore, per garantire la mobilità nel tratto interessato.” Non sembrano tuttavia gran che soddisfatti gli stessi commercianti, che lamentano ingenti danni economici a seguito di tale provvedimento e che intanto, hanno dato il via ad una spontanea raccolta di firme, come già comunicato al Comune attraverso una nota. “Siamo al limite dell’esasperazione” ci spiegano, “a causa del momento di forte crisi nei consumi; riteniamo per questo di meritare maggiore attenzione da parte delle Istituzioni locali, attraverso l’adozione di provvedimenti ben diversi dall’inibizione al traffico di un

tratto di strada. Riconosciamo si, la necessità di salvaguardare una struttura secolare come la Chiesa del Purgatorio, anche se riteniamo tuttavia possibile, l’adozione di altri strumenti per farlo. Al contempo, riteniamo imprescindibile rivedere lo stesso Progetto di Largo Gesuitico, che ha già determinato la chiusura al traffico di un importante tratto stradale, e mandato in tilt il traffico veicolare!” Una nuova tegola dunque, si abbatte sulla viabilità del centro cittadino, che non piace affatto a residenti e commercianti in primo luogo, che quotidianamente già devono fare i conti con buche e strade dissestate, di cui l’intera città già abbonda.


Mi è capitato, mesi fa, di andare a trovare Suor Savina Ricciulli, la sorella di Michele e Tommaso Ricciulli, miei compagni di scuola, che abitava in Corso Cavour (u’ canalon). Al numero 8 c’era e c’è ancora una delle due porte di accesso della mia casa natale, perciò la conoscevo bene perché frequentavo la sua casa e l’ho frequentata fino al momento in cui si fece suora. L’ho rivista quasi mezzo secolo dopo, a Roma, perché il convento nel quale vive dista un centinaio di metri dall’abitazione della zia di mia moglie. Il figlio della zia, Luigi, frequenta assiduamente il convento e così, avendo appreso che Suor Savina è di Orta Nova, me lo aveva comunicato. Sono andato perciò a trovarla e devo dire che, nonostante l’età, ha superato gli ottant’anni, lo sguardo è ancora brillante, lo spirito ancora vivace e la conoscenza del nostro dialetto perfetta anche se si tratta di un reperto linguistico che ormai pochi ortesi parlano ancora perché contiene vocaboli e inflessioni vocali tipici dei primi Anni Cinquanta. Mi ha parlato infatti di fatti e persone risalenti a quel periodo e ha chiesto i miei libri perché voleva riviverli attraverso i miei racconti. È stata una serata piacevole che mi ha fatto pensare molto all’attaccamento alle proprie radici che caratterizza molti ortesi della mia età che hanno dovuto lasciare Orta quando erano giovani e si sono spostati, per ragioni di fame e di lavoro in altre regioni. Non è il caso di Suor Savina, che lasciò Orta per la sua vocazione religiosa, ma l’amore per il paese natio è ugualmente intenso. Suor Savina vive con solo tre consorelle in un convento enorme e conduce una vita scandita dalla meditazione e dalle preghiere, molto diversa da quella vissuta per mezzo secolo da una sua coetanea, Suor Eugenia, una suora spagnola che ho incontrato sul treno che portava questa estate, me e mia moglie, da Milano (dove avevamo visitato l’Expo) a Venezia. Suor Eugenia parla benissimo l’italiano e la sua congregazione, della quale è consigliera generale, ha centoventi case sparse in tutti i Continenti. Mi ha parlato di quella che si trova in Africa, nel Mali, paese poverissimo, ricco di foreste nelle quali la vita sembra ferma alla preistoria. Ha raccontato che, prima dell’arrivo di una suora medico e di una suora infermiera, la mortalità dei neonati e delle loro madri era altissima per due ragioni concomitanti. In base alle credenze dei nativi, la donna doveva partorire distesa sulla nuda terra, sulla quale il bambino doveva essere deposto per stabilire il primo contatto con la Grande Madre. Inoltre, il riconoscimento del figlio appena nato da parte del padre avveniva nel momento in cui egli, col suo coltello

da caccia e di guerra, tagliava il cordone ombelicale. Poiché quest’ ultimo era generalmente infetto, le infezioni erano inevitabili e erano mortali per la madre e il neonato. Suor Eugenia non nascondeva la sua gioia per aver escogitato due semplici espedienti e cioè deporre per terra un lenzuolo lavato in acqua bollente e convincere il padre a passare la lama del coltello sulla fiamma di una lampada a spirito tenendovela per alcuni minuti fino ad arroventarla e quindi a sterilizzarla. Con questi due semplicissimi rimedi, la mortalità neonatale e delle partorienti si è ridotta drasticamente di oltre il 90 per cento. Il secondo passo è stato quello di preparare un certo numero di infermiere e infermieri, creando un piccolo reparto di maternità accanto al convento. Il progetto, per fortuna, è stato condiviso dal governatore della regione,che invia anche medicinali e attrezzature e oggi stanno per diplomarsi i primi cento tra infermieri e ostetriche che saranno dislocati nei vari villaggi. Suor Eugenia ha parlato della resistenza opposta dagli stregoni e delle fattucchiere fino ad oggi titolari esclusivi della “medicina tradizionale” basata su intrugli, pozioni magiche, riti e preghiere di varia natura. Il primo scontro con la “santona” del villaggio avvenne dopo un parto alla fine del quale il bambino si salvò e la madre purtroppo morì. Secondo le credenze locali, tale bambino era maledetto, per aver provocato la morte della madre e sarebbe stato portatore di maledizione per tutto il villaggio, perciò doveva morire. La santona chiese e, purtroppo, ottenne di vedere il bambino e cominciò ad accarezzarlo graffiandolo sulle guance con le sue unghie, sotto le quali essa aveva messo evidentemente del veleno. Il risultato fu che il bambino morì dopo quattro ore di sofferenze terribili. Dopo di ciò, la Suora aveva convinto il capo del villaggio ad allontanare la strega, che si era ritirata nella foresta. Qualche settimana dopo, però, era tornata da Suor Eugenia in atteggiamento dimesso,

invocando pace e riconciliazione. Perciò le aveva stretto più volte le mani e si era congedata. Dopo pochi minuti Suor Eugenia aveva cominciato a sentirsi male, ma per sua fortuna la suora medico aveva notato che le mani di Suor Eugenia erano sporche di una polverina gialla, che era stata rimossa prontamente con un successivo impiego di detergenti e disinfettanti. Suor Eugenia se l’era cavata con febbre e vomito durati per un giorno e per una notte. “Se non fosse intervenuta subito la mia consorella - aveva detto sorridente - adesso non sarei qui a raccontarlo!” Mentre la suora raccontava delle pratiche magiche, dei riti propiziatori, delle “preghiere” usate come cura per diverse malattie, la mia mente è andata a ciò che, su scala diversa, avveniva in Orta ancora all’inizio degli Anni Cinquanta, quando si pagavano sia le visite mediche che le medicine e la parte più povera della popolazione ortese ricorreva a mediconi che curavano le scottature con l’olio minerale e foglie di cavolo, che ricomponevano le fratture avvolgendo l’arto con garze intrise di chiara d’uovo che si rapprendeva formando una sorta di gessatura; quando si usavano formule magiche per la sciatica, il malocchio, le tenie (vedi il capitolo -Medicina popolare e magianel mio libro del 2007 “La foglia e la via”), senza trascurare le fatture a fin di bene o a fin di male alle quali ancora oggi nonostante l’era di internet, molti uomini e soprattutto molte donne continuano a credere facendo arricchire tanti ciarlatani. L’antropologia insegna che l’uomo è comparso per la prima volta in Africa, prima di diffondersi su tutto il pianeta, portando con sé il ricordo ancestrale di miti, di riti, di credenze. La scienza moderna, la moderna medicina hanno demolito molto di questo antico patrimonio, ma cinquant’anni fa gli abitanti del Tavoliere e di molte regioni meridionali non erano poi molto dissimili dagli attuali abitatori delle impenetrabili foreste del Mali!


Rocco Roggia, nipote dell’indimenticato Rocchino, il celebre parrucchiere che aveva il Salone nel locale a piano terra di palazzo Colucci, all’angolo fra Corso Italia e via Ernesto de Maio, è nato a Foggia nel 1995. Intraprende lo studio del violino in età precoce sotto la guida del padre Roberto, anch’egli violinista affermato, che dal 1990 fa parte dell'orchestra stabile del Teatro “San Carlo” di Napoli e che attualmente vive San Nicola La Strada (Ce) con la moglie Maria D'Elia e i tre figli. Rocco si diploma nel 2014 con il massimo dei voti, la lode e la Menzione speciale presso il Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli. Durante gli studi, partecipa a numerosi concorsi nazionali ed internazionali. Si classifica al primo posto al Concorso nazionale Acli di Santa Maria Capua Vetere; seguono il Concorso “Gesualdo da Venosa” di Scafati (SA) nel quale si classifica al secondo posto e il Concorso internazionale “Leopoldo Mugnone” di Caserta al quale partecipa per due edizioni, aggiudicandosi rispettivamente il primo premio ed il primo premio assoluto. Partecipa anche al Concorso Internazionale “Flegreo” di Bacoli (NA) vincendo il primo premio assoluto e il concerto – premio offerto dall'Associazione. Si è esibito come solista in numerosi Concerti a Napoli per l'inaugurazione della “Città della scienza”, ad Atri (PE), a Roma (Parco della Musica)

a Foggia, a Benevento, a Salerno e Parigi con particolare attenzione rivolta a composizioni per solo violino. Nel 2014, vince una borsa di studio per una Master class di perfezionamento sulla musica Gipsy eseguendo durante il concerto finale la “Tzigane di Ravel”. Studia da violino solista ai corsi di alto perfezionamento presso l'Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Roma sotto la guida

del M° Sonig Tchakerian. Collabora anche frequentemente con l'Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini” diretta dal M° R. Muti e ha partecipato sia al Festival dei due Mondi di Spoleto sia al Festival internazionale di Salisburgo suonando nell’opera verdiana Ernani. A Rocco, a nome de “l’Ortese- Lo Sguado sui n5 Reai Siti”, gli auguri più fervidi per una lunga e luminosa carriera!


È sempre più evidente l’attenzione rivolta dalla nostra sede alla sana alimentazione e alla produzione agricola del territorio. Ne è la testimonianza il convegno, patrocinato con l’Unitre di Cerignola, tenutosi domenica 8 novembre presso Villa Demetra. Come da programma, alle ore 9 si sono incontrati associati, ospiti e autorità. Alle 9,30 dopo il saluto dei rispettivi presidenti di sede, Nunzio Paolicelli e Rina Di Giorgio Cavaliere, è intervenuto l’assessore all’Agricoltura del comune di Orta Nova Alessandro Paglialonga, che ha espresso vivo compiacimento per l’iniziativa, il cui tema affronta un fenomeno attuale, di grande valenza politica, sociale ed economica. Il moderatore, Filippo Santigliano, capo servizi Gazzetta del Mezzogiorno di Foggia, con professionalità ha presentato di volta in volta i relatori che si sono alternati al podio: Antonio Troccoli, ricercatore CreaCer Divisone Agricoltura Conservativa, in “Vocazione agricolturale” Giuseppe Lopriore, Settore “Arboricoltura generale e coltivazioni arboree” Dipartimento di Scienze Agr. degli Alimenti e dell’Ambiente dell’Università di Foggia, in “Tecniche agronomiche e valore salutistico degli alimenti”, Gianpaolo Cianci, imprenditore dell’industria pastaia, in “Produzioni alimentari salubri”, Giulio Ciccone, medico - Medicina Generale Stornara, in “Alimenti funzionali”, Agnese Daniela Paolicelli, biologa nutrizionista, in “Nuovi concetti sulla nutrizione umana”, Antonio Stasi, Settore “Economia ed estimo rurale” Dipartimento di Scienze Agr. degli Alimenti e dell’Ambiente dell’Università di Foggia, in “L’Università di Foggia ed il territorio di Capitanata”. A chiusura della mattinata e per la con-

segna degli attestati di partecipazione al moderatore e ai relatori è intervenuto l’assessore alla cultura del comune di Orta Nova, Nicola Maffione. Nel pomeriggio, alla ripresa dei lavori, hanno preso la parola uomini della politica e della cultura territoriale, tra cui il preside Alfonso Palomba, già sindaco di Carapelle, Matteo Silba, già sindaco di Stornara e Franco Luce, ex assessore al comune di Stornarella. Moderatore del dibattito è stato il nostro vice presidente Annito Di Pietro. La finalità del convegno non era quella di emettere un giudizio o procedere ad analisi sociologiche sulle implicanze di un tema così vasto, ma di condividere una serena riflessione sul ruolo che lo Stato, le aziende e i cittadini devono responsabilmente assumersi: dal produttore al consumatore. Proprio su quest’ultima realtà ormai molto diffusa ci si deve soffermare per

individuare modalità e spazi di azione in cui intervenire, per trasformare un’esigenza indotta in opportunità educativa e di costume. Non si nascondono difficoltà o perplessità comprensibili da superare, maturando la convinzione che la prevenzione e l’informazione possano diventare importanti protagonisti della nostra salute e del nostro benessere sempre più diffusamente minacciati dai rischi derivanti da una poco corretta alimentazione: obesità, diabete, ipertensione, allergie, malattie cardiovascolari... Educare ad acquisire e a mantenere uno stile alimentare corretto rappresenta un importante intervento di promozione alla salute; costruire un giusto rapporto con il cibo, quale fondamento di una vita sana. In tal senso l’informazione può utilmente essere il campo di una adeguata e continua azione educativa che va oltre il pasto igienicamente e nutrizionalmente appropriato per divenire via via opportunità di socializzazione, luogo di diffusione di una giusta cultura alimentare, ampliamento degli orizzonti alimentari. È indispensabile, quindi, ricercare e promuovere una più efficace collaborazione tra enti gestori, enti locali, famiglie, università sulle tematiche riguardanti l’educazione alimentare. Tutte le componenti suddette hanno interesse a collaborare, a confrontarsi costantemente per evitare allarmismi e sospetti amplificati dai media e che influenzano negativamente i nostro atteggiamento nei confronti del cibo. Non sono mancate le proposte costruttive e infine, certo di non poco rilievo, la possibilità di promuovere il rispetto dei doni che la natura ci offre.


È stata un’inaugurazione davvero originale, quella svoltasi lo scorso 8 ottobre presso il Centro Fatima ad Orta nova, per dare il via al nuovo anno sociale. Qui infatti, In collaborazione con l’Amministrazione Comunale locale, l’Unitre e Lo Sguardo dei Cinque Reali Siti, si è tenuta la prima edizione della “Festa dei nonni”. Ad aprire la manifestazione, il Sindaco Gerardo Tarantino. Chi si aspettava di trovarlo in evidente stato di agitazione, dati i recenti episodi criminali che lo hanno visto vittima insieme al collega di Stornarella Massimo Colia; si è dovuto ricredere, dal momento che il dr. Tarantino è apparso da subito in piena forma ed assolutamente tranquillo. “Per me è sempre un piacere essere qui in mezzo a voi,” ha esordito Tarantino rivolgendosi alla numerosa platea di anziani presente in sala, “da quest’anno intraprendiamo un percorso di ricordi, attraverso l’istituzione della 1ª Festa dei nonni. Sarà questo un appuntamento fisso, che ci impegneremo a far crescere di anno in anno e, lo faremo soprattutto grazie al vostro aiuto”. Il Sindaco poi, si è detto dispiaciuto per le recenti strumentalizzazioni operate da taluni avversari politici, in relazione al soggiorno climatico di Chianciano Terme; spiegando come non sia stato disposto alcun aumento delle tariffe, da parte del Comune di Orta Nova. “Vi è stata si, una riduzione degli anziani partecipanti al soggiorno, che dagli 86 dello scorso anno sono scesi a 21. Ciò purtroppo, è da ricollegarsi esclusivamente all’applicazione del Nuovo Modello ISEE; mentre per quanto concerne le tariffe, le stesse restano invariate rispetto a quelle già in uso e, disposte dal Commissario Prefettizio in fase preelettorale.” L’Editore dello Sguardo, Annito Di Pietro, ha invece voluto sottolineare l’importanza di istituire questo appuntamento: “Forse non siamo proprio in tanti stasera, a tagliare il nastro di questa prima edizione della Festa dei nonni, ma sono certo che negli anni cresceremo di numero, anche grazie al considerevole apporto dell’Amministrazione. La Federanziani, invero, ci aveva già proposto l’attuazione di un programma molto ricco ed ambizioso, nei contenuti. Purtroppo per questa prima edizione non è stato possibile attuarlo; ma già dal prossimo anno, lavoreremo perché questo appuntamento possa crescere attraverso le

varie iniziative, che attueremo nel territorio. Intanto, vorrei sottolineare stasera l’importanza di iniziare, attraverso l’azione sinergica di queste tre realtà: lo Sguardo, l’Unitre e naturalmente il Centro Fatima; che operano già con successo da tempo, rivolgendo un’attenzione particolare alla Terza Età.” Poi è stata la volta della Presidentessa dell’Unitre, la prof.ssa Rina Di Giorgio Cavaliere: “potremmo - a ragion avveduta - definire quello attuale, il secolo della velocità e non certo della memoria. Tuttavia, gli stessi venti di crisi che hanno investito il Paese, hanno prodotto anche

un’inversione di tendenza; favorendo la riscoperta di quei valori umani, che ormai sembravano irrimediabilmente scomparsi. Tale recupero di rapporti umani, si intreccia con quello della memoria collettiva, nell’ambito di una realtà multiculturale. Certo risulterebbe anacronistico, riproporre oggi il passato modello di famiglia patriarcale ormai tramontato; tuttavia possiamo e dobbiamo reinterpretarlo; ponendo al centro la persona - non certo l’individuo ciascuna in relazione con se stessa, con gli altri e col mondo esterno. Tuttavia, mentre dilaga inarrestabile la confusione che investe la famiglia, i nonni restano l’ultimo baluardo di difesa all’avanzata delle nuove tecnologie. Figure non virtuali, ma più reali che mai nell’aiuto pratico ed economico, che quotidianamente offrono - in forma del tutto disinteressata- in questa moderna e, lacerata istituzione familiare.” Don Donato Allegretti, Parroco della B.V.M. dell’Altomare, ha invece richiamato l’attenzione su quella che Papa Francesco chiama: “la cultura dello scarto” e che spinge l’uomo a buttar via, con estrema leggerezza cose e persone. “L’anziano” ha af-

fermato don Donato, “continua in molti casi ancora oggi, ad essere ritenuto un peso; sulla scia di quella irrinunciabile cultura del profitto, che lo vede elemento di mero disturbo, in quanto ormai esterno al circuito produttivo. Nulla di più sbagliato, in quanto, l’essere anziani vuol dire rispondere ad una vocazione. Gli anziani sono infatti chiamati ai nostri giorni, in particolare ad essere nonni, ma anche a reinventare la propria vita; non accettando di vivere da rassegnati, ma dedicando il maggior tempo libero disponibile, alla preghiera.” A concludere lo spazio degli interventi, la Presidentessa Dora Iannuzzi, che ha voluto ricordare il decennale di attività del Centro Fatima da poco trascorso, e le tante iniziative fiorite negli anni per valorizzare gli anziani presenti nel territorio dei Cinque Reali Siti; in particolare attuate grazie all’apporto umano e professionale di esperti volontari, che dedicano alla struttura il proprio impegno. “Tante le novità anche per quest’anno” ha proseguito la Presidentessa, “che vedranno protagonisti soci e simpatizzanti del nostro Centro; in particolare gli Immancabili appuntamenti settimanali del giovedì dedicato alla gastronomia, del venerdì e della domenica riservato a balli di gruppo e ricamo e del sabato, con uno spazio aperto alla cultura e all’approfondimento.” La parte centrale della serata, è stata infine riservata alla premiazione degli ultracentenari, che vivono nel territorio. Tre, le concittadine ortesi premiate dagli ospiti intervenuti; con un simpatico attestato di merito, per l’ambito traguardo raggiunto: Serafina Russo, classe 1914; Maria Rosaria Gaeta, classe 1911 e Teresa Pupo, classe 1915. Nessuna delle tre arzille nonnine, ha purtroppo potuto prendere parte, personalmente, alla cerimonia di premiazione; tuttavia l’organizzazione dell’evento, si è già attivata per poterle ospitare nella seconda edizione del prossimo anno. Una menzione particolare, è andata inoltre al militare Pasquale Torredimare, disperso durante la seconda guerra mondiale; e che figura tra gli ultracentenari ancora iscritti nelle liste dell’anagrafe locale. Il militare, sarà ricordato anche nel corso di un successivo incontro in fase di preparazione, incentrato sugli avvenimenti bellici del novecento. A margine dell’evento, è stato poi allestito uno spazio di intrattenimento; offerto dal Centro Fatima, dall’Unitre e da L’Ortese con musica, balli ed un ricco buffet.


Oggi mi trovo da Fabiana Castiglione di Purple Pug Clothing, una giovane stilista foggiana che ha già un background notevole, la sua linea è conosciuta in Italia e all’estero, la sua verve e il suo amore per la moda sono davvero contagiosi, un uragano di idee e voglia di fare. Domanda: Ciao Fabiana, parlami di te, come è nata la tua passione per la moda? Risposta: Ho amato la moda dall’asilo, quando mi divertivo a inventare modelli giocando con ‘gira la moda’ e creavo vestiti per la Barbie usando gli stracci per la polvere rubati a mamma! Una volta terminati gli studi ho deciso di prendere privatamente lezioni di modellistica e alta sartoria per fare della mia passione il mio lavoro. Mi informo continuamente, sono sempre alla ricerca di stimoli creativi, sperimento senza limiti, voglio cucire anche l’impossibile! Grazie a internet mi conoscono in Inghilterra, Francia, Stati Uniti e Giappone. La mia linea più recente ‘Le chic pin up’ l’ho mostrata a Tokyo, conquistando le ragazze più stravaganti del famosissimo quartiere alla moda di Shibuya! D.: Com’è nata la Purple Pug Clothing e perché questo nome? R.: La mia linea è nata prendendo forma definitiva quando ho potuto creare la sartoria che ho sempre sognato, dopo aver lavorato per anni nella cameretta sequestrata a mio fratello. Il nome Purple Pug invece letteralmente significa ‘Carlino Viola’. Il carlino è la razza della mia prima cagnolina Giuditta che ho amoto e che ho scelto come simbolo del mio marchio, “Viola” colore improbabile per un cane che indica stravaganza e originalità.

D.: A quale tipo di donna si rivolge? R.: La donna Purple Pug ama indossare qualcosa di unico creato per il suo fisico: oltre ad essere stilista, sono anche complice della mia cliente (soltanto io e lei conosciamo i difetti e come valorizzare i pregi? col vestito giusto), la mia soddisfazione più grande è una ragazza felice quando si vede bella davanti allo specchio! D.: Secondo te il mercato dell’abbigliamento ha ancora un margine di espressione creativa in Italia e soprattutto a Foggia? R.: Sono sempre dell’idea che ‘Volere è potere’ anche se in Italia è difficile per un giovane realizzarsi, specie a Foggia: la mentalità è chiusa e confusa da tanta roba di scarsa qualità a prezzi bassi, tuttavia credo che ci sia ancora chi crede nel valore del prodotto artigianale e della cura che c’è in esso. Insomma io vorrei poche scuse e più volontà tra noi giovani! D.: Raccontami un episodio emozionante che hai vissuto durante la tua esperienza con la Purple Pug, un incontro interessante, un momento particolare… R.: Ogni incontro con una ragazza che sceglie le mie creazioni mi rende felice, tuttavia vi racconto due episodi: uno accadutomi grazie alla mia fedele cliente americana Janet e l’altro a me personalmente. Per Janet ho realizzato un costume cosplay: una ‘Wonder Woman’ rivisitata che ha indossato al Comicon di New York e lì ho ricevuto i complimenti da uno degli attori protagonisti della serie tv Star Treck. L’altro, nell’atelier di Jean Paul Gaultier a Tokyo, dove hanno ammirato tantissimo il mio look, naturalmente Purple Pug Clothing!

D.: Cos’è per te la moda e cosa è in e cosa è out? R.: La moda per me è un modo di essere e sentire: a me basta indossare un vestito nuovo o entrare in un negozio di tessuti per diventare euforica e ricevere ispirazione. Cosa è “in” e cosa è “out”?… sembrerà assurda la mia risposta, ma credo che sia ‘out’ seguire la moda a tutti i costi…mentre è ‘in’ vestire con ciò che ci fa sentire belle anche se non è “fashion”, se si indossa con gioia un capo allora sarà quel capo a dettare stile e ‘moda’! D.: Quale consiglio daresti a una ragazza che volesse fare la stilista e aprirsi un suo show room? R.: Il consiglio che posso dare è di credere nei propri sogni e di perseguire l’obiettivo: la sartoria è un mestiere duro e faticoso, quando si decide di farlo seriamente, bisogna dedicarcisi anima e corpo. Occorre studiare tantissimo e fare tanta pratica ogni giorno, per acquisire sempre più sicurezza e professionalità. Non vi è nulla che dia più soddisfazione del vedere realizzate le proprie idee dopo ore o giorni di lavoro: è assolutamente fantastico. D.: Per acquistare un capo Purple Pug cosa bisogna fare? R.: Basta contattarmi via mail o telefonicamente, per chi è di Foggia e dintorni invece, si fissa un appuntamento. Creo, oltre a capi da cerimonia, anche abiti da sposa e costumi cosplay: serietà, precisione e puntualità sono alla base del mio lavoro. Le creazioni di Fabiana potete vederle nella sua fan page di Facebook. Info: purplepug_clothing@hotmail.com


Quando l’uomo primitivo,in Europa e nel vicino Oriente, da cacciatore nomade e raccoglitore di erbe mangerecce, funghi e frutti selvatici divenne agricoltore e allevatore, il contatto con gli animali domestici e selvatici si fece sempre più stretto. Egli ne osservava le abitudini e i comportamenti, avendo come elementi di confronto quelli suoi e degli altri uomini. Cominciò così un processo di “umanizzazione” del mondo animale che poi venne definitivamente codificato nelle favole di Esopo,circa 2500 anni fa, successivamente da Fedro, duemila anni fa e, in epoca ancor più vicina a noi, dal La Fontaine. In esse, scritte a scopo didattico per i bambini, ma utili anche agli adulti, gli animali vengono presentati come incarnazioni dei vizi e delle virtù degli uomini, spesso in modo errato. Così, ad esempio, la volpe simboleggia l’astuzia, il leone la forza, il lupo la ferocia, il coniglio la viltà, il pavone la vanità, l’asino la scarsa intelligenza (ed è falso), il mulo la testardaggine, ecc. Ugual sorte è toccata ai rapaci notturni (barbagianni, gufo, civetta) i quali, durante il giorno, cercano riparo negli anfratti di case diroccate, nel fitto della chioma di alberi sempreverdi come i cipressi dei cimiteri, cioè in posti bui e poco o per nulla frequentati dall’uomo. Durante il giorno, esposti alla luce del sole, essi sono praticamente ciechi e inermi, avendo la pupilla rotonda (a differenza dei rapaci diurni che, come l’aquila, hanno la pupilla ellittica e possono fissare il sole senza esserne abbagliati).Il barbagianni (o allocco), accecato dalla luce e quindi impacciato e incerto nei movimenti,è divenuto il simbolo dell’uomo vecchio e rimbambito. Il gufo, per il suo modo di stare immobile e silenzioso, è divenuto il simbolo del vecchio saggio, ma anche del giudice taciturno, severo e sostanzialmente ostile al nuovo e ai giovani. Oggi è il simbolo dell’invidioso, di chi si augura il male altrui. “Gufare”, soprattutto nello sport (ma, con l’attuale Presidente del Consiglio Renzi anche in politica) sta a significare “tifare contro”, augurarsi la sconfitta della squadra avversaria, ma anche l’insuccesso dell’avversario politico. La sorte peggiore è toccata senza dubbio alla civetta. Da uccello sacro a Minerva, la Dea della sapienza a partire dal Medioevo, è divenuta “l’uccello del malaugurio”, l’annunziatrice della morte imminente di un uomo, generalmente

di un uomo gravemente malato o prossimo a morire di una morte improvvisa. Un detto sannicandrese afferma infatti che la civetta “porta bene dove posa e male dove fissa”, cioè preserva la casa sul cui tetto è appollaiata, ma annunzia e affretta la morte di una persona presente nella casa verso la quale essa guarda, generalmente quella di fronte o attigua ad essa. Gli anziani sono convinti che la civetta “sente l’odore della morte” che traspirerebbe da un uomo morente, ma è una falsità perché la civetta non si ciba di animali morti né di cadaveri. Credo che l’origine della credenza vada ricercata altrove. Dal Medioevo e fino all’arrivo della pubblica illuminazione, le strade erano buie durante la notte, le case avevano il tetto coperto dagli “embrici” di terracotta, che lasciavano aperture nelle quali gli uccelli nidificavano, sui terrazzi venivano allevati colombi, polli e conigli e agli incroci delle strade venivano depositate le immondizie che richiamavano i topi. Poiché topi, pulcini, piccoli conigli e uova sono le prede preferite, i centri urbani erano indubbiamente il terreno di caccia ideale per i rapaci notturni. Era facile, perciò, udire le strida di una civetta quando lottava con una preda che cercava di sfuggire alla presa dei suoi artigli, così com’era ugualmente possibile, dopo aver mangiato la sua preda, che essa si riposasse per lanciare il suo richiamo d’amore ad un’altra civetta che fosse nei paraggi. Se il teatro della sua caccia era situato nei pressi dell’abitazione di un malato o di un moribondo, la sua attenzione era forse attratta dalla luce fioca che trapelava dalla finestra (generalmente i parenti stretti vegliavano tenendo accesa una lampada ad olio o una candela) ed essa vi si fermava per qualche tempo, giusto il tempo perché i parenti del malato o del moribondo prendessero il suo canto come un preavviso di morte. All’inizio degli Anni Settanta, in Orta la credenza nel potere malefico della civetta era ancora molto radicata.“In quegli anni” - mi ha raccontato Antonio Lamanna - Santucce (Santo) Vece abitava in Via Ponticelli. Egli aveva dato alla SEBI, la società appaltatrice della rete elettrica, il permesso di attaccare una staffa di sostegno dei cavi elettrici al muro del suo palazzo. Su di essi, a sera, aveva cominciato a posarsi una civetta che poi, per ore, lanciava il suo

richiamo. Pochi giorni dopo era venuta a mancare improvvisamente la moglie di Santo e, quando la civetta era tornata a posarsi sul cavo elettrico, gli abitanti della strada l’avevano uccisa a colpi di fionda e di canne lunghe e poi avevano chiamato un prete per far benedire le abitazioni e allontanare la sventura! Né le cose andavano diversamente a Sannicandro. Lo dimostra in modo eloquente l’aneddoto raccontatomi pochi giorni fa dal mio grande amico Pietro Trombetta, medico di famiglia in pensione. Una trentina di anni fa, egli era stato svegliato, in piena notte, dal figlio trentenne di un suo anziano paziente che abitava nella “Terra vecchia”, il dedalo di vicoli e stradine sorto intorno al Castello angioino, oggi in gran parte disabitato e in rovina, ma all’epoca ancora sufficientemente popolato da persone e civette. Il giovane, visibilmente agitato, gli aveva chiesto di seguirlo fino a casa sua per soccorrere il padre ottantenne che viveva con lui. Il dottore aveva mugugnato, ma aveva obbedito al suo dovere professionale. Giunto a casa del suo assistito, aveva trovato tutta la famiglia sveglia, riunita attorno al camino. C’era anche l’ottuagenario, più arzillo di tutti. A questo punto, arrabbiato, aveva detto: “Perché mi avete fatto venire, visto che Nazario sta benissimo?”. - “Dottore, fino a poco fa sul tetto della casa di fronte cantava la civetta e ciò sta a significare che in questa casa qualcuno starebbe per morire. Siccome il più anziano di tutti è mio padre, abbiamo deciso di chiamarvi perché gli diate una medicina affinché non muoia!”. Il dottor Trombetta era tornato a casa, commosso per quella grande dimostrazione di affetto filiale e incavolato per l’ugualmente grande manifestazione di superstiziosa ignoranza. Alla fine era scoppiato a ridere. Oggi le civette sono sparite dalle nostre città, salvo le poche che vivono nelle abitazioni diroccate dei centri storici in abbandono, ma la credenza popolare persiste soprattutto fra le persone anziane e quelle meno anziane ma di scarsa cultura. Lo ha confermato Angelo D’Amaro, che gestisce un’agenzia di assicurazione in Corso Umberto: “Premetto che io non credo affatto al potere malefico della civetta”ha risposto senza esitare - “ma, dai discorsi delle persone che vengono a trovarmi in ufficio o che ci passano davanti e si fermano a parlare con me, emerge chiaramente che i sannicandresi si sono, nella stragrande maggioranza, liberati dall’ignoranza assoluta, ma non ancora completamente dalle credenze superstiziose del passato!”.


L’autunno a tavola tra olio e olive in salamoia L’olio e uno dei condimenti più usati in cucina e sopratutto della cucina mediterranea. Spesso mi chiedete quale olio usare in cucina. Cercherò di rispondere in modo semplice evidenziando l’importanza dell’utilizzo in cucina per la genuinità delle nostre ricette e per la nostra salute. L’olio da usare in cucina è senza dubbio l‘olio extravergine di oliva. Tassativo. Alla luce dell’ultimo scandalo sull’olio è opportuno chiarire che tanti solo gli oli in commercio ma non tutti sono oli extravergine di oliva, alcuni oli per diventare commestibili subiscono dei trattamenti chimici e per questo bisogna fare molta attenzione. Seguitemi: Olio extravergine di oliva: il migliore. Ha una bassissima acidità e un profumo delizioso. Estratto dalla molitura o spremitura delle olive fatta con mezzi meccanici a freddo. È un olio purissimo con un grado di acidità inferiore allo 0.80% su 100 gr. di prodotto. La qualità dell’olio extravergine viene misurata proprio attraverso il grado si acidità ed è ottenuto solo e soltanto dalla spremitura delle olive, è un olio perfetto. Le olive molite devono essere sane e fresche, raccolte al giusto grado di maturazione e spremute a freddo nel minor tempo possibile dopo la raccolta. È un olio leggermente piccante ma non è un difetto è solo un pregio. Quando dovete acquistare l’olio assicuratevi che sull’etichetta sia scritto: Olio extravergine di oliva. Il prezzo elevato è giustificato poi c’è l’Olio vergine di oliva abbastanza buono. È un olio di seconda scelta con un grado di acidità intorno al 2% su 100 g di prodotto. Non è un extra vergine. A seguire l’Olio di oliva è costituito dal 90% di olio raffinato con l’aggiunta di olio vergine (10% max). È ottenuto dall’unione di oli raffinati trattati cioè con sostanze chimiche con olio d’oliva vergine. Ha un sapore leggero e si pensa che sia più buono perchè meno grasso…falso! È solo un olio ottenuto in laboratorio. Poi c’è quello di sansa che si ricava dalla sansa residui avanzati dopo la spremuta e per immetterlo in commercio viene raffinato e miscelato con oli di prima o seconda scelta. Nella nostra provincia l’orientamento è sulla tipologia Dop grazie al riconoscimento

di quello del Gargano del Tavoliere e dei Monti Dauni gusti incredibili e diversi ma uniti dall’eccellente qualità. È tempo anche di olive da mensa, sono amare ma fortunatamente le possiamo addolcire e renderle gustose. Ci sono due modi ci conservazione con l’uso della soda e quello naturale.. Olive verdi in salamoia con l’uso della soda Su ogni kg di olive da mensa occorrono: 20 g di soda acquistatela in farmacia o in ferramenta specificando l’uso alimentare 1 lt di acqua. Esempio: su 10 kg di olive useremo 200 gr di soda e 10 lt di acqua.

Procedimento: Selezionare le olive verdi, eliminare le guaste e pesarle. Lavarle accuratamente. Dopo aver pesato le olive calcolare 20 g di soda a Kg e 1 litro di acqua sempre a kg di olive. Sistemare le olive in un recipiente capiente e aggiungere l’acqua che occorre. Far scaldare appena un po’ di acqua e scioglierci la soda facendo attenzione. Aggiungere la soda sciolta nelle olive e girare energicamente con un cucchiaio di legno. Evitare il contatto con la soda. Le olive devono essere completamente ricoperte della soluzione per evitare che anneriscano a contatto con l’aria e per questo è opportuno sistemare degli stracci sopra con un peso. Il tempo di posa varia dalle 7/8 ore, vanno girate spesso. La soda deve penetrare nelle olive e per valutare questo bisogna effettuare un taglio fino al nocciolo. La parte cotta dalla soda all’aria diventerà più scura mentre la parte dove non è arrivata ad agire la soda sarà più chiara. Appena ci si rende conto che la soda ha colpito i 2/3 della polpa, in genere dopo 7/8 ore, scolare le olive e

aggiungere acqua pulita. L’operazione di lavaggio delle olive, per scaricare la soda, va fatto più volte al giorno per una media di 4/5 giorni. Constaterete che l’acqua è di colore rosso ma appena sarà limpida si passa alla conservazione in salamoia. È necessario ricordare che la soluzione con la soda caustica è altamente ustionante per cui è necessario utilizzare i guanti e fare molta attenzione. Poi si passa alla Salamoia: 180/220 gr. di sale per ogni 4 Kg. di olive 4 litri di acqua, alcuni rami di finocchio selvatico qualche foglia di alloro da sottolineare che nell’acqua della salamoia, che si deve portare a bollore si aggiungono solo gli aromi e il sale, le olive non vanno aggiunte. Versare tutti gli ingredienti in un pentolone e far bollire per circa 1 ora. Far raffreddare e filtrare. Riempire i vasetti di olive ben sgocciolate, versare la salamoia e chiudere ermeticamente. Conservare in frigo, saranno pronte dopo 2/3 giorni. Olive verdi in salamoia con l’uso naturale. Le olive devono essere “olive da mensa” completamente verdi. Selezionarle e lavarle accuratamente eliminando quelle non perfettamente sane. È opportuno ricordare che su 1 kg di olive aggiungeremo 1 litro di acqua e 80 g d sale grosso. Per 5 kg di olive bisogna far bollire 5 litri d’acqua aggiungendo 500 g di sale grosso. Far bollire per 10 minuti circa. Far raffreddare. Sistemare le olive nei contenitori di vetro e versare la salamoia fino a coprirle completamente. Chiudere i contenitori ermeticamente. Dopo 60 giorni, ripetete l’operazione con le seguenti indicazioni: su 5 kg olive far bollire 5 litri d’acqua e aggiungere 400 g di sale. Scolare le olive dalla prima salamoia e aggiungere la nuova dopo averla fatta raffreddare. Chiudere nuovamente i contenitori. Dopo uno o due mesi le olive saranno pronte. Brurschetta E per concludere la classica bruschetta bianca, quella esaltata dall’olio buono e dall’aroma dell’aglio, compagna di allegre scampagnate all’aperto. Ingredienti: Fette di pane, olio di oliva extravergine, aglio. Tagliate le fette di pane ad uno spessore di circa mezzo centimetro.Tostatele sulla brace o in forno. Sbucciate lo spicchio di aglio e strofinatelo su un lato della fetta di pane. Irrorate con olio extra vergine, aggiungete un pizzico di sale e servite le bruschette ancora calde.


Vita sine proposito vaga est (La vita senza una meta è vagabondaggio): così scrive Seneca a Lucilio quasi duemila anni fa, ricordandogli (Epist. 95, 46)che nella direzione del “porto” da raggiungere l’uomo deve saper orientare ogni sua azione, ogni suo comportamento, ogni sua parola, al pari dei naviganti capaci di dirigere il loro corso, guardando a qualche stella. Il “sommo bene” di cui parla il filosofo di Cordova si è, però, nel tempo trasformato nella totale “assenza” di ogni riferimento valoriale nella società contemporanea, immersa in una sorta di frenesia del nulla ed orientata come non mai a consumare attimi di presente, in nome della grossolana filosofia materialista dell’ hic et nunc - concepita come una cattiva versione modernista del carpe diem di memoria epicurea - con l’inevitabile conseguenza per l’uomo di scivolare sempre più verso la desertificazione del cuore e della mente. In questa prospettiva, ben sottolineata da don Donato Allegretti, parroco della BVM dell’Altomare di Orta Nova, nel suo libro I pozzi di significato. L’uomo e le sue sorgenti di senso (Foggia, Edizioni del Rosone, 2015), non può non determinarsi lo smarrimento del significato della vita quale portato inevitabile di un modo di agire improntato solo al possesso, alla manipolazione, all’uso e al consumo (cfr. il tasso di inquinamento della legalità, la corruzione, la violenza ad ogni livello dei tempi che stiamo attraversando): i valori che in passato costituivano, infatti, il naturale supporto della convivenza civile, sono divenuti progressivamente evanescenti e desueti, lasciando campo libero a paradigmi di stampo utilitaristico e a forme convulse di ricerca del piacere e del potere a tutti i costi (cfr. C. Taylor, Il disagio della modernità, Bari, Laterza, 1994). Perduti così i punti di riferimento di un tempo e i valori di appartenenza, la propria traiettoria esistenziale diventa davvero un continuo girovagare senza meta e senza scopo, perché ci si sente come immersi in un mare di nebbia, si procede lungo il cammino a casaccio, senza speranze, senza illusioni, senza nulla che conferisca bellezza e significato alle cose: tutto diventa opaco, liquido, incompiuto e insignificante, mentre nulla merita attenzione, nulla più trattiene il nostro interesse e soprattutto il nostro rispetto. Di tutto questo, cioè del degrado cui giorno dopo giorno assistiamo inerti ed impotenti, assuefatti e indifferenti al male che dilaga intono a noi, hanno parlato domenica 25 ottobre 2015 (alle ore 19.30), presso la Parrocchia della BVM dell’Altomare di Orta Nova, Francesco Bellino (Università di Bari), S.E. mons. Felice di Molfetta e lo stesso autore del libro, che hanno presentato l’opera al pub-

blico intervenuto, sottolineandone gli aspetti più significativi. Don Donato Allegretti (classe 1971), alla cui penna si deve il libro, è un giovane sacerdote che, dopo il volume In mille immagini ti contemplo (2014), consegna oggi al lettore - alla città di Orta Nova e a quanti vogliano avviare al proprio interno un percorso di consapevolezza - una sorta di filo di Arianna per uscire fuori dal “vuoto esistenziale” dei nostri tempi, dominati da forme pervasive di idolatria di vario genere (il dio denaro, il potere, il piacere, il sesso, la droga e così via), non disgiunte da un marcato “spaesamento morale” che ormai ha aperto la strada alla confusione sociale e alla degenerazione morale (cfr. il caso della diciassettenne di Melito Porto Salvo, Reggio Calabria, che ha ucciso la madre, che le aveva vietato l’uso del computer e del telefono cellulare). L’horror vacui, la paura degli spazi vuoti, si è trasformata così in una situazione di passività, oltre che di “mancanza”, generatrice a sua volta di una diffusa sensazione di perdita di senso nella vita e capace solo di stimolare pensieri sterili, che non portano a propositi o a progetti ma solo all’isolamento e al disorientamento. In un contesto del genere, reso sempre più marcato da una società munifica di gratificazioni illusorie ma avara di tensioni ideali, il “vuoto esistenziale” diventa davvero fastidioso, soprattutto quando viene percepito come

“assenza” di qualcosa: in questo ha proprio ragione don Donato, quando afferma che la vita senza significato è il trionfo dell’irrequietezza e del disagio, una nave che anela il mare aperto, senza essere in grado di mollare gli ormeggi, una sorta di insignificante routine, segnata da ritmi sempre uguali a se stessi e, comunque, interiormente fragili ed inconsistenti. Di fronte al malessere diffuso nella società odierna ad ogni livello, Don Donato sa dare, però, risposte convincenti e sa indicare una via per uscire fuori dall’angoscia dell’attuale condizione umana, trattando in modo chiaro e lineare temi dottrinali e complessi come la libertà e la responsabilità, la vita e la morte, la sofferenza, il lavoro, l’amore, la festa, Dio e la fede, da lui definiti “pozzi di significati” ai quali attingere i veri valori, quelli che danno un senso all’esistenza e per i quali vale la pena di vivere. Un libro, dunque, davvero coinvolgente quello di don Donato, che può, da un lato, favorire in ogni lettore una sorta di profonda metànoia, di rivoluzione interiore, di conversione del cuore e della mente, capace di far riflettere ogni uomo sul proprio posto nel mondo; dall’altro di promuovere un’espansione della coscienza tale da far comprendere, attraverso un atto di fondamentale umiltà e lealtà verso stessi, che la vita ha senso solo se si è in grado di andare al di là del mero soddisfacimento degli impulsi o della semplice ricerca del piacere, per approdare ad una dimensione superiore, agendo e muovendosi sul piano spirituale, per dirla con il medico-filosofo-psichiatra ViKtor Emil Frankl. In questa direzione ovviamente si muove il libro di don Donato Allegretti, che non solo merita di essere letto ma anche diffuso, perché ha in sé una grande vis attrattiva, quella di inserire il lettore all’interno di un orizzonte positivo, intessuto di veri valori e di significati superiori da attribuire alle nostre azioni e ai nostri pensieri, gli unici in grado di dare totale gratificazione all’uomo contemporaneo. Non si può, infine, non essere d’accordo con il giovane parroco di Orta Nova, anche perché, per dirla con Seneca, longa est vita, si plena est: impletur autem, cum animus sibi bonum suum reddidit et ad se potestatem sui transtulit (La vita è lunga se è piena ed è piena, quando l’animo ha saputo darsi il suo bene e prendere il governo di sé). È piena, aggiungo io, quando si ha la capacità di mettere al centro dell’attenzione non noi stessi e i nostri problemi, ma “qualcosa” o “qualcuno” che trascenda noi stessi e che dia finalmente risposte a quel forte bisogno di trascendenza che è in ogni uomo.


A.A.A. Adulti cercasi La scorsa estate per diverse settimane si sono susseguite notizie relative ad adolescenti morti “per troppo divertimento”. Ragazzi per bene, studiosi, forse solo un pò irrequieti che più o meno consapevolmente hanno deciso di sperimentare un divertimento esagerato, talmente tanto esagerato da snaturarsi diventando l'opposto di una esperienza piacevole. Possiamo empatizzare e stringerci idealmente attorno ai famigliari di questi ragazzi ma non potremo mai avvicinarci neanche lontanamente al loro dolore. Mi sono chiesta se quello che si prova davanti a notizie di questo tipo non derivi anche dal confronto che spontaneamente facciamo tra l'adolescente che è in noi e il protagonista della tragedia. L'adolescente che siamo stati, che rimane dentro di noi per sempre facendo da supporto allo sviluppo della nostra personalità da adulti, è possibile si senta molto fortunato ad essere stato, suo malgrado, capace di fare scelte migliori di quei poveri ragazzi. Ci sentiamo fortunati per aver deciso in una frazione di secondo, e senza neanche sapere bene come, se fare qualcosa oppure no. Nel renderci conto a posteriori del pericolo che abbiamo scampato inconsapevolmente arriviamo a provare una sorta di sconcerto. Non di rado le generazioni più adulte confrontandosi con queste storie collocano tutto il pericolo nei luoghi che i ragazzi frequentano, nelle ore della notte che loro non hanno mai vissuto fuori di casa, finendo con l'attribuire ai luoghi e alle cattive compagnie responsabilità che non si riesce a distribuire altrove. E allora si arriva a pensare che sia un bene chiudere le discoteche, che tutto possa risolversi facendo rincasare i ragazzi presto la sera e se succede una qualche tragedia la responsabilità viene data a quel dato amico di cui si doveva vietare la frequentazione. Tuttavia se non si vuole correre il rischio di avere una visuale parziale sul mondo degli adolescenti di oggi dobbiamo necessariamente considerare anche il mondo degli adulti che dovrebbe avere il compito di guidarli, contenerli e accoglierli. L'adolescenza è un periodo in cui tutti gli equilibri che faticosamente si erano stabilizzati nella psiche del bambino vengono messi in discussione perché sembra arrivato il momento in cui potersi affacciare al mondo degli adulti e a tutto ciò che questo comporta. Anche spinte infantili sono ancora presenti negli adolescenti e adesso che il loro corpo e i loro desideri sono

più vicini a quelli degli adulti è con questa categoria che devono confrontarsi e scontrarsi per capire se tutti i valori che da loro hanno ricevuto meritano credito oppure no. Le spinte impulsive che adesso si affiancano al bisogno di indipendenza e la messa in discussione delle figure genitoriali diventano ingredienti di un cocktail esplosivo. Portando avanti questo discorso non c'è l'intenzione di riferirsi ad un ragazzo in particolare e ai suoi genitori ma vorrei riflettere in termini un pò più ampi su ciò che sta accadendo nella nostra società. Se c'è una differenza sostanziale tra un adulto e un adolescente la si ritrova nel fatto che il primo dovrebbe avere capito in pieno una delle lezioni fondamentali della vita: la realtà impone dei limiti. Ovvero ci sono delle oggettività oltre le quali non si può andare, se dobbiamo essere responsabili delle nostre scelte dobbiamo considerare anche che alcuni effetti di queste sono irreversibili. "La grande bellezza" di Sorrentino mostra proprio uno spaccato di società in cui gli adulti sembrano adolescenti che giocano a fare i grandi. Se quel film ha avuto il potere di spaccare in due le platee italiane dividendo gli spettatori tra "entusiasti" e "offesi" forse è proprio perchè quella storia ci ha sbattuto in faccia l'inconsistenza dell'età adulta nella nostra società. Se gli adolescenti di oggi si confrontano con adolescenti cresciuti viene meno il presupposto fondamentale che distingue le due categorie. E se non esiste tanta differenza tra un adolescente ed un adolescente cresciuto, possiamo ancora sostenere l'esistenza di un mondo adulto? Se volete segnalare un argomento da affrontare in questa rubrica potete scrivere a m.trecca@prospettivapsi.it *Psicologa-Psicodiagnosta-Psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico informazione




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