Veronica e Andrea

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Veronica e Andrea 21 marzo 2014

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Veronica e Andrea

O sole! Vita! Eternità! Luce del mondo è amore! (da Turandot di Giacomo Puccini)

Montenero

Un colle che domina la città ideale e guarda il suo porto ed il mare. In cima, un santuario, intitolato alla Madonna delle Grazie, patrona della Toscana. Lo trovi ad appena trecento metri sul livello del litorale tirreno, questo balcone sulla regione più bella del mondo, da cui non a caso si sono sporti poeti che per nome facevano George Byron, Ugo Foscolo, Giovanni Pascoli. Un’oasi di pace e preghiera, dove confidare crucci, desideri e segrete preoccupazioni, contando sul sostegno, nel cammino di fede, di braccia salde: quelle dei monaci vallombrosani, il cui ordine ha mille anni di storia alle spalle. Per salire, due sono le opzioni: o il percorso d’una manciata di curve, che salendo si fanno più strette e ritorte, oppure l’antica innovazione della funicolare, che da più di cent’anni fa la spola, trasportando pellegrini e gitanti. Dalla cima, la città appare come un immenso cerchio nel grano, o una gigantesca invenzione che qualcuno ha disegnato prima su un

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foglio, successivamente sul mondo. Perché Livorno nasce prima dei livornesi: sul finire del XVI secolo, i Medici – famiglia che ha retto le sorti fiorentine per oltre tre secoli – danno mandato a Bernardo Buontalenti di progettare, intorno al sito del porto, uno spazio urbano ideale. Nasce così questo centro fortificato, concepito in geometrico intreccio ortogonale. Per fondale, c’è il mare. Mentre, alle spalle della città, troneggia il luogo di culto, tra i più intensi e frequentati della Toscana. Un santuario dove è più facile, qualunque sia il credo abbracciato, sentire vibrare il senso nascosto che tutti noi possediamo: non l’udito, la vista, l’olfatto, il gusto od il tatto, ma quel senso che dentro ci parla, e che tesse un filo invisibile in direzione del cielo, che ci slancia e ci lega, nel ricordo e nell’attesa dell’ultraterreno. Il profilo di Livorno, quello che invade lo sguardo affacciandosi da Montenero, contiene storie di emancipazione e un coacervo felice d’etnie: greci, ebrei, inglesi, olandesi, armeni, turchi, mori, hanno approfittato della città in cui erano garantite libertà di culto e accoglienza. Se cinquecento anni sono l’età della località portuale, ben settecento quelli che bisogna percorrere indietro, per la leggenda che narra di un pastore storpiato, il quale ai piedi del colle ritrovava un dipinto della Madonna con il Bambino. E seguendo l’ispirazione come di un superiore celeste suggerimento, portava in cima il dipinto, che da quel momento dispenserà luce spirituale in una terra

in

precedenza “nera” poiché luogo insano di covi e di briganti. Ai piedi di quella sacra immagine, sotto lo sguardo intenso della Madonna di Montenero, ritratto che troneggia sull’altar maggiore della chiesa barocca del Santuario, Veronica e Andrea hanno sancito il loro patto d’amore. Nel tabernacolo marmoreo incorniciato da una raggiera dorata,

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il quadro trecentesco (attribuito a Iacopo di Michele) mostra la Vergine in atteggiamento dolce e pensoso, mentre ha il volto inclinato verso suo figlio. Sul grembo, il sacro bimbo: una manina sulla veste rossa dai bordi d’oro materna, l’altra invece a reggere un filo sottile che conduce ad un uccellino multicolore, poggiato sul braccio destro della Madonna... Nell’equilibrio tra innocente gioco d’infanzia e metafora della Dottrina, l’immagine produce una particolarissima alchimia cromatica, per quel blu profondo e notturno del manto della Vergine, abbinato al cuscino rosso ove posano le due figure, ma anche allo sfondo dorato ed alla luce abbagliante dei loro volti. La tavola è di dimensione contenuta, ma illumina l’intero spazio della basilica. Artistica e popolare, impronta tangibile dell’intangibile, l’immagine di Maria e Gesù è da secoli fonte di devozione e d’innumerevoli istanze. Nelle sale che circondano la chiesa, nelle centinaia di ex-voto lungo le pareti, la sbigottente testimonianza di chi ha perorato un’intercessione e ricevuto una grazia. La coda di automobili che hanno più o meno fantasiosamente individuato un posteggio, s’allunga per più d’un chilometro, oltre lo slargo

principale

d’accesso.

Liberati

dal

fardello

meccanico,

oltrepassando i chioschi d’oggettistica sacra, ecco finalmente le ampie scale e l’arioso piazzale rettangolare, il porticato della chiesa, il campanile e il grande orologio. Fotografi e cineoperatori sono già sul luogo, nonostante manchi oltre un’ora al matrimonio. Tutto doveva restare segreto, non per snobismo, semmai per il suo esatto contrario. Poi, chissà come, una voce ciarliera è giunta fino al quotidiano locale: poche ore dopo, la principale agenzia di stampa la riprendeva, quindi a seguire, sul web, tutti i quotidiani l’avevano strillata in homepage...

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Primo Vere

La primavera è risveglio, fiorito debutto d’ogni splendore, è il sole che mantiene le sue calde promesse. L’etimologia, come accade per tante nostre parole, porta con sé un respiro poetico e include il significato più profondo del lemma. La radice sanscrita “vas” indica “ardere”, “splendere”: la primavera è rinascita, ovunque e sempre onorata, una festa interculturale perché sinonimo planetario di rinnovamento, rinascita, purificazione. Si allungano le giornate, si allunga il respiro dei sentimenti, sboccia quella palingenesi del cuore che è un dato così profano e carnale, e al tempo stesso così sacro, spirituale. Nel giorno d’equinozio in cui il tempo diurno e notturno trovano l’equilibrio perfetto, nel vissuto di Veronica e Andrea si sommano molti motivi per eleggere il ventuno di marzo, giorno ideale per farsi una promessa, di quelle che hanno l’ardire di implicare la vita intera. Una promessa pronunciata sottovoce, ma che chiede d’essere udita nei recessi del cosmo. Due anni fa, nasceva Virginia, la loro bimba. Capelli biondi, occhi grandi come nocciole, oggi sarà la damigella d’onore, incaricata di portare le fedi al babbo e alla mamma. Paziente, nonostante l’appetito (e le richieste inevase, sottovoce e più volte, a nonno Ivano: «pane, dov’è il pane?») la bimba seguirà, curiosa, composta, gli ottanta minuti di cerimonia, nel suo vestitino panna trapuntato in argento, con nei capelli due minuti chignon, due fiori bianchi di tulle. Ventun marzo, compleanno di Virginia, primo giorno di primavera, ma anche giornata mondiale della poesia: una ricorrenza giovane, istituita dall’UNESCO e festeggiata a partire dal nuovo millennio. Nel giorno del suo matrimonio, giusto qualche ora prima, Andrea ha voluto partecipare ad un evento poetico, in programma al teatro

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Guglielmi di Massa. «Credo nella poesia» dirà, «penso che sia una medicina per ciascuno di noi e che faccia il mondo più bello. Amos e Matteo erano stati convocati per suonare, supportando le letture dei versi. Quando l’ho saputo, e ancor più quando ho avuto notizia della presenza di molti studenti, ho voluto unirmi a loro, e proporre un mio testo in versi, giacché io stesso mi diletto in quest’arte». Le proprie poesie, l’autore le definisce “all’antica”, nel senso che ama scrivere sottostando alle leggi – che ritiene valide sempre, e proficue – della rima e della metrica. Quella prescelta per l’occasione data 2010 ed è intitolata “Una voce”. La voce è quella di Sandro, suo padre, un’assenza che in un giorno come questo plausibilmente scotta più del consueto, nonostante gli anni che ormai si sono sommati, uno all’altro. Ecco, diluita nella prosa, la meditazione che i versi propongono: un uomo riflette sul senso della vita, percorrendo un sentiero di campagna. Ma la ragione semina domande senza risposta e raccoglie null’altro che sconforto e percezione della propria finitezza. È l’anima, è la voce della coscienza a offrire un riscatto, è l’apparente illogicità di una suggestione (la presenza viva del ricordo del padre e i suoi ammonimenti) a smascherare la vanità della dialettica: lo svelamento della meraviglia del creato non ammette domande. Basta saper riconoscere il progetto divino nel respiro del tutto, in ogni dettaglio della nostra avventura terrena.

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Ridere Lui: «Se ti chiedessi di sposarmi, cosa risponderesti?». Lei: «Se vuoi la risposta, devi prima farmi la domanda». Veronica e Andrea valutano questo passo

da

dodici

anni:

periodicamente ne parlano, tra il serio e il faceto. Eppure, il momento migliore non lo si individuava mai... Sempre con le valigie, sempre a sfogliare l’agenda, senza trovare uno spiraglio al suo interno. Nonostante l’atipicità di una vita à bout de souffle, la fatidica dichiarazione è però un rito da preservare, è cerimoniale intimo cui la donna non può rinunciare. E Veronica (come spiega al suo compagno) non pretende cavalli bianchi e un principe azzurro a corredo. Ugualmente: «Fintanto che nessuno me lo chiede, io non rispondo». E Andrea, la fatidica domanda, alla fine non si è limitato a porla, ma si è industriato finanche per cercare il supporto del cavallo bianco! A quarantotto ore dalle nozze, una lunga telefonata con i futuri sposi. In fondo, spiega Veronica, a una conferma sul nostro amore rispondiamo ogni giorno, da quella prima serata, quando ci siamo conosciuti, da quella prima mattina, quando mi sono svegliata in una casa che non era quella dei miei genitori. Tra noi, il tacito patto che ci si sceglie ogni giorno: d’essere l’uno a fianco dell’altro. Un patto che recita: compagni, entrambi dobbiamo guadagnarci la stima e l’amore, quotidianamente... Tant’è, scherzando ho detto ad Andrea: «Bada che se mi chiami moglie ti lascio». Certo, dire “Sì” al cospetto di Dio ha un differente valore. Per un cristiano segna un passaggio potente, e Veronica e Andrea sono due anime armonicamente in cammino, lungo un percorso di fede. «Ciò non toglie che io senta d’avere avuto una benedizione dal cielo, fin dal

principio

della

mia

storia

d’amore...

In

chiesa

sarà

la

consacrazione, ma credo che un segno io l’abbia già ricevuto, una benedizione appunto, il giorno in cui ho incontrato l’uomo della mia vita». I genitori di Veronica hanno cresciuto la loro figlia senza imporle

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alcun predeterminato cammino religioso, lasciandola libera di dare spessore, una volta adulta, alle proprie scelte. Ed è ciò che ha fatto, dapprima battezzandosi (e affrontando poi la Comunione e la Cresima), nel corso di quest’ultimo decennio. Il matrimonio è una festa. Il matrimonio è il giorno più bello (per una donna, forse ancora di più). Tanta fatica, ripagata nondimeno da tanta gioia. Ma se la sposa passa abitualmente le giornate a organizzare eventi, anche il proprio matrimonio rischia di diventare un lavoro... Per uno sposalizio tradizionale, in grande stile, non c’era materialmente il tempo. «Doveva essere una sorpresa, anche per i parenti. Persino io, diretta interessata, l’ho saputo per via ufficiosa! È stato

Padre

Luca,

involontariamente

il

nostro segreto:

padre mi

ha

spirituale, telefonato

a

rompere

per

chiedermi

conferma della data ed altre informazioni logistiche, sui fiori per adornare la chiesa... Ed io sono caduta dalle nuvole! Comunque i familiari e gli amici più intimi (molti, provenienti da Lajatico), anche se avvisati proprio in queste ore – e con un generico invito a ritrovarsi a Montenero, per festeggiare il compleanno di nostra figlia – hanno confermato la loro presenza. Ne siamo felicissimi! Quando è nata Virginia, c’era il sole. Quando ha compiuto un anno, era il primo giorno terso dopo settimane piovose. E nel giorno del suo secondo compleanno e del mio matrimonio? Le previsioni danno nuvole e pioggia... Ma, come si dice in Italia, “Sposa bagnata, sposa fortunata”. E poi, il sole, in un’occasione così, lo porteremo dentro di noi». Manager e commozione: il binomio sembra esprimere alcune problematicità.

Veronica

si descrive

come una

persona

molto

razionale, forsanche perché viceversa è molto emotiva, ed ha siglato con la propria sensibilità un armistizio, per paura che i sentimenti si mostrino

anche

quando

è

più

opportuno

non

renderli

noti.

«Solitamente, la mia risposta a fronte d’uno stato di forte tensione, è o il pianto – e per fortuna in questo caso non ne sussiste motivo – oppure è il riso... E la mia paura è che, al momento del “sì” fatidico,

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mi scappi da ridere. Succede quando sono ubriaca di stanchezza: rido! Ma in chiesa non deve assolutamente accadere! Non davanti all’altare. Ho anticipato ad Andrea la mia preoccupazione e lui mi ha risposto: “se ridi quando mi giuri fedeltà, io mi giro e lascio la chiesa”». Incontro d’anime La definizione è di platonica memoria. Nel suo “Simposio” il filosofo greco narra come l’anima si divida in due metà, maschio e femmina, per incarnarsi nel mondo... Ogni anima divisa, prima della nascita, affronta l’esperienza terrena alla ricerca della propria metà mancante, nello slancio verso un’aurea completezza. Incontro d’anime è la definizione che Andrea utilizza per descrivere la presenza di Veronica nella sua vita. «Quando ci s’incontra e ci s’innamora, significa che sono due anime a riconoscersi. Di là da ogni difficoltà pratica, una donna e un uomo che si amano hanno il sotteso progetto di costruire qualcosa, insieme, fin dall’inizio. In caso contrario, significa che nella coppia qualcosa non funziona». Dal primo momento: «La sera stessa che ci siamo conosciuti» ricorda Andrea, «abbiamo iniziato una convivenza che dura da dodici anni, al ritmo di ventiquattr’ore al giorno: quando due persone, dopo così

tanto

tempo,

hanno

ancora

voglia

di

stare

insieme

a

trecentosessanta gradi, significa che un’anima completa l’altra, significa che siamo stati fortunati, che ci siamo riconosciuti. Oggi approdiamo al Sacramento del matrimonio, forti d’un lungo cammino: abbiamo combattuto insieme, abbiamo affrontato il vento a mani aperte... Perché vento ostile non è mancato, così come nella vita di tutti, e nel mio caso in alcuni momenti forse ha soffiato un vento ancora più forte, considerando la situazione professionale e personale atipica. Veronica si è dimostrata coraggiosa, fin dal primo giorno si è tuffata nella mia vita ed ha affrontato quel vento, con forza, con spirito positivo e costruttivo.

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Nonostante condividiamo da tanti anni lo stesso tetto, Veronica è compagna, amica, amante, è fonte d’ispirazione privilegiata per le mie poesie, che scrivo di notte per lei. E lei, di mattina, aprendo la posta elettronica, trova questi miei piccoli doni... Per il non credente, pronunciare un “Sì” in chiesa è perfettamente inutile. Peggio, è una burletta. Ma per il credente è una piccola parola dall’immenso significato: è il momento in cui chiami il buon Dio a testimoniare, a unire il tuo destino con quello di un’altra persona. Quanto alla fedeltà che in tal sede è promessa, a dirla tutta penso non ci sia uomo sulla terra che ha la forza morale per pronunciare quel “Sì” in modo fino in fondo responsabile... Inutile negarlo, è una scommessa forte, un gesto persino avventuroso, quasi un atto di presunzione, il dichiarare irrevocabilmente di mantenere un simile impegno davanti al cielo... Ma la volontà, la convinzione, da parte mia non manca”. Due giorni, al primo giorno di primavera: è il 19 marzo, si festeggia un’altra ricorrenza, la festa del babbo. «Papa Francesco proprio oggi sollecitava

l’urgenza

di

stare

accanto

alle

famiglie...

Bisogna

raccogliere questo invito, bisogna che ciascuno faccia qualcosa di concreto, e che anche le istituzioni comprendano una simile urgenza». Quanto accadrà a Montenero tra poche ore è strettamente legato alle convinzioni di Andrea... La famiglia – lo dice da sempre - è il mattone principale della società.

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VIP! In cima al colle di Montenero c’è un po’ di Lajatico, di Ancona e di Forte dei Marmi. C’è mamma Edi Aringhieri, raggiante, in un abito che propone un gioco di chiaroscuri, con una veste nera e una sciarpa candida come i suoi capelli, ad incorniciare un décolleté di disegni geometrici (ancora nelle tinte di bianco e di nero). Accompagna suo figlio fino ai piedi dell’altare, com’è tradizione. Amici ne rallentano il tragitto, le dicono qualcosa, lei risponde: «è il giorno più felice della mia vita». Già l’atrio ovale d’accesso alla chiesa settecentesca è un tripudio di marmi e di affreschi barocchi. L’ingresso è triplice, e svela quel soffitto ligneo intagliato che lascia senza fiato. Lo scintillante tempio ha nell’immagine mariana e del Gesù Bambino, l’ideale punto di fuga prospettico dell’intero edificio, gioiosamente illuminato dai colori dell’oro, dalle sfumature del marmo, dal tripudio latteo delle composizioni floreali che idealmente accompagnano il visitatore dall’entrata fino all’abside. A destra, la famiglia di Andrea, a sinistra quella di Veronica. Alberto Bocelli, il fratello architetto, veste un foulard che propone un’eleganza alternativa e informale: «anche quando fui io a fare il medesimo passo, non vestii in giacca e cravatta, ed il prete mi chiese dove era lo sposo!». È accanto a Cinzia, sua moglie, deus ex machina dell’azienda agricola e dunque dei vini Bocelli. La chiesa della Madonna delle Grazie conta, in questo primo giorno di primavera, un alto tasso di gioventù: ci sono Amos e Matteo, inseparabili e inseparabilmente accanto al loro babbo. Amos e Matteo che dodici anni fa, quand’erano ancora con i calzoncini corti, anche loro si erano un po’ innamorati, di questa inattesa seconda mamma, all’epoca poco più che ventenne. Oggi dovranno leggere le Sacre Scritture, ed Amos sarà inoltre in via eccezionale l’autista della vettura nuziale, all’uscita. Tra i giovanissimi, i quattro figli di Alberto, i nipoti prediletti di Andrea: un piccolo esercito dalla preadolescenza

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alla giovinezza piena. Sull’altare sono allestite panche laterali riservate alla famiglia ed agli amici più stretti. Al centro, davanti al tabernacolo, l’inginocchiatoio di un velluto color azzurro cielo, e due cuscini d’azzurro profondo. Il medesimo colore dei panchetti dove siederanno gli sposi. Mentre in un damascato d’oro antico, quelli che accolgono i testimoni: per Veronica, la sorella e “amica per la pelle” Barbara, due anni fa protagonista del medesimo passo, e accanto, la cugina Alice, medico e pianista. Per lo sposo, Mariella e Piero, i due numi tutelari del focolare domestico, lui custode della villa, lei addetta alle vettovaglie, due certezze di casa Bocelli che ben rappresentano quel mix di semplicità ed eleganza che si respira intorno ad Andrea. Due parenti, d’una parentela acquisita “sul campo”, attraverso la dedizione e l’affetto. È un matrimonio VIP, nel più genuino senso dell’acronimo: non ci sono esemplari dello star system, per contro la chiesa è fitta di persone importanti, di belle persone. Non poteva mancare il cuore di ABF, il toscano reggimento d’assalto del bene, Laura Biancalani accanto a suo marito Massimo Lucioli, ma anche Olimpia Angeletti (e tra pochi giorni, sarà lei a vestirsi di bianco). Veronica ha la gioia d’avere accanto le colonne portanti della propria grande famiglia: suo padre Ivano, che l’accompagna all’altare, insieme alla sua compagna Patrizia; sua mamma Elena (che sembra non madre ma sorella maggiore) con Paolo, suo marito. E poi, gli amici fraterni di entrambi gli sposi, ed ancora parenti, come la cugina di Andrea, Laura Giarré, ingegnere elettronico, docente universitaria, prezioso riferimento per i progetti di ABF inerenti le sfide tecnologiche in collaborazione con il MIT di Boston... Una carriera brillantissima, per uno dei tanti “cervelli” che la famiglia Bocelli ha

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dato alla luce... La incontriamo prima della funzione, mentre sta posteggiando, alla guida d’una utilitaria sgangherata, di quelle in cui è più facile imbattersi nei sentieri e fra gli orti. E questo dettaglio, ai nostri occhi, la rende ancora ed ancora più straordinaria.

La benedizione di Papa Francesco Veronica percorre la chiesa insieme a suo padre. Ai piedi dell’altare c’è Andrea che la attende. E nel percorso la sposa sceglie la solare, accogliente limpidezza sonora del “Canone” di Pachelbel: una musica che le somiglia, un brano che rimarca la forza della semplicità (non c’è disposizione d’animo più difficile, non c’è traguardo spirituale più complesso cui aspirare). Per le Sacre Letture, nel corso della funzione, si alternano i figli “grandi” di Andrea, Matteo ed Amos. Ma c’è un’altra voce che le inaugura, proponendo estratti biblici dal libro del Siracide: “Beato il marito di una donna virtuosa; il numero dei suoi giorni sarà doppio. Una brava moglie è la gioia del marito, questi trascorrerà gli anni in pace. Una donna virtuosa è una buona sorte, viene assegnata a chi teme il Signore. Ricco o povero il cuore di lui ne gioisce, in ogni tempo il suo volto appare sereno”... Chi legge è Chiara Amirante, una delle figure più carismatiche della cristianità contemporanea, visionaria promotrice delle missioni di strada, scrittrice e fondatrice della Comunità Nuovi Orizzonti. Quando, a tarda sera, faremo per accomiatarci, troveremo Chiara ed Andrea, in piedi, sulla soglia di casa,

a

parlare

e

sorridere,

ed

il

festeggiato

dirà:

«difficile

immaginare, sai, questa donna, di quali grandi cose sia capace!». Il Sacramento del matrimonio, secondo il rito cattolico e cristiano, prevede che in un certo senso gli sposi siano anche ministri del culto... Nel libretto, in carta perlacea, voltata la prima facciata, ecco il messaggio di Veronica e Andrea: “Dopo dodici lunghi anni trascorsi come un lampo nella gioia dell’amore giunge il momento di unire le

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nostre vite ai piedi dell’altare del Santuario di Montenero, dove siamo felici di avervi con noi, per condividere un momento che resterà scolpito nei nostri cuori per sempre”. Poi, la Liturgia della Parola, la Liturgia del Matrimonio, la Liturgia Eucaristica. Padre Luca è l’officiante di una Messa densa di parti cantate, di monodie

gregoriane

che

sottraggono

al

tempo

la

cerimonia,

facendone sentire il profumo d’eterno. La musica di Händel risuona dopo l’omelia, il violino propone la linea melodica del celebre “Largo”, mentre, sottovoce, Andrea la segue, col proprio canto. Per l’Eucarestia, il “Panis Angelicus” di César Franck. Sui novelli sposi, giunge una benedizione speciale: Papa Francesco, informato del lieto evento, invia un messaggio con le seguenti parole: “Ad Andrea Bocelli e Veronica Berti, in occasione del loro matrimonio, imparto di cuore la benedizione apostolica. E invoco sulla nascente famiglia copiose grazie celesti e la protezione della beata vergine Maria affinché cresca costantemente nella fede dell’amore e dia sempre testimonianza di esemplare vita cristiana”. Dopo un simile regalo, la funzione si chiude sulle note dell’“Ave Maria” di Schubert. E questa volta è lo sposo ad offrire, all’altare e a tutti i presenti, la propria voce, al servizio della preghiera cantata. È l’invocazione musicale più celebre della Cristianità, quell’Ave Maria che innalza la sua dolcissima linea melodica proprio salutando la Vergine, dopo le prime due battute di arpeggi in sestine. La musica è un dono misterioso che non di rado trascende persino le intenzioni di chi lo produce: ci sono brani concepiti dapprima con un messaggio (e in un contesto) che viene presto superato dalla personalità

espressiva

intrinseca

della

partitura,

svincolata

dall’originario progetto compositivo: è il caso di questa travolgente melodia, inizialmente concepita da Franz Schubert nel 1825 quale sesto numero di un ciclo di sette Lieder tratti dai versi del poema epico “The Lady of the Lake” di Walter Scott. Ma è lo stesso compositore a comprendere come, in quella pagina

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sia espresso un senso di religiosità “capace da far presa su ogni anima inducendola alla devozione”. Andrea canta la Salutatio Angelica e l’uditorio raccoglie, nota per nota,

l’intensità

trascendente

di

quella

melodia,

di

quell’interpretazione. Andrea canta, e ascoltando scopriamo ogni volta di custodire, anzi d’essere noi stessi “strumento musicale”, le cui corde emotive – troppo spesso sedate – iniziano per incanto a vibrare, quando messe in sintonia con questa voce che non somiglia a nessuna. Così, anche tra i partecipanti alla funzione nuziale al Santuario di Montenero, si alza la risposta silenziosa delle lacrime. Lacrime che, con le loro radici profonde (da sempre, più profonde dei sorrisi) sono in grado di benedire, nella commozione, gli sposi. In molti commenteranno d’aver percepito come l’intenzione di Andrea fosse proprio di cantare dedicando ogni nota alla sua dolce Veronica. E ci auguriamo di non tradire la fiducia del nostro protagonista, riportando una sua confidenza: «Quando mi sono alzato ho pensato fra me: questa volta, Veronica, canterò solo per te; magari non lo saprai, non lo avvertirai, o persino non te ne importerà molto, ma l'intenzione in cuor mio sarà questa. Sono poi rimasto davvero piacevolmente

sorpreso,

del

fatto

che

la

gente

sia

tanto

incredibilmente capace di avvertire le reali disposizioni d'animo di un artista, assai più di quanto egli possa immaginare!». La funzione è quasi terminata. Padre Luca ha parole affettuose per gli sposi ed amici, ricorda la piccola Virginia, che oggi compie due anni, ma anche il babbo di Andrea, Alessandro, che non è più tra noi ma che l’abbraccia di certo, dall’alto. Dopo, le firme e le foto-ricordo di prassi. E all’uscita, li aspetta una grandinata di riso e di flash, di fotografi che spingono per non perdere il bacio e il saluto, la partenza sull’auto con il figlio di Andrea al volante. Le fotografie faranno il giro del mondo, con didascalie colorite che parleranno di “matrimonio blindato”, “nozze segrete”... C’è anche chi scrive: “Presto un maschietto?”. Non mancano, in internet, quasi in

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tempo reale, le descrizioni minuziose degli abiti... Lui, un raffinato abito blu (di Corneliani), lei un abito longuette morbido (di Ermanno Scervino) color panna di seta doppia, con qualche inserto in pizzo... A casa Bocelli Cinquanta chilometri, dal Santuario a Forte dei Marmi, dalla cerimonia alla festa. Durante il percorso, dal chiarore del tramonto si scivola lentamente nel buio d’una sera che ha graziato i consorti novelli: non una goccia di pioggia, a bagnare la sposa, ma un imbrunire nuvoloso che prosegue in una notte tiepida, ad archiviare il primo giorno che ha accolto la stagione primaverile. L’intero pian terreno è imbandito: in casa di Andrea e Veronica, tavolate spuntano anche laddove, prima, c’erano divani e consolle. La disposizione dei posti è studiata con attenzione dalla padrona di casa, un po’ per deformazione professionale, un po’ per quel desiderio di rendere confortevole la conversazione a ciascuno degli ospiti, attraverso una sapiente ricetta che combina invitati più o meno in confidenza tra loro e più o meno del medesimo ambiente lavorativo. Ecco gli amici più intimi: c’è Adriano, il direttore di banca, il “secondo fratello” che Andrea aveva voluto personalmente informare, circa

il

proprio

matrimonio.

Ma

l’aveva

fatto

a

suo

modo,

anticipandogli con gravità che avrebbe dovuto dirgli “una cosa”... Suscitando

così la

sua

più

viva

preoccupazione.

C’è Verano,

l’imprenditore pasticcere, colui che completa quel trio di ragazzi che facevano musica e scherzi e nottate in bianco, negli anni ’70, tra Pontedera e La Sterza. C’è Sergio, il maestro di tennis, c’è l’altro Sergio, quello lajatichino, fuoriclasse non della racchetta ma dei trattori, poi Marco, il dentista, Fausto, il pompiere, Pierpaolo, l’ingegnere del suono, Carlo, il pianista, Max, il mago del web, poi il motore dell’ufficio management di Forte (Charlie ed Alessia)... E Luca, collaboratore melomane ed egli stesso tenore, che un po’ a tradimento, tra il secondo ed il dolce, viene invitato a cantare

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(nientemeno che il “Nessun dorma”). Un menù raffinatamente salutista, bagnato naturalmente da una ricca selezione di vini Bocelli, è allestito e servito da un catering di fiducia (perché anche i collaboratori di casa Bocelli, questa sera, siedono fra gli invitati). Veronica e Andrea l’hanno appena potuto assaggiare, supponiamo, perché trascorrono la maggior parte del tempo andando a trovare ogni tavolo e ciascun invitato: una parola, una battuta per tutti. In molti, tra gli amici d’infanzia di Andrea, erano stati invitati con quarant’otto ore d’anticipo o poco più, ad uno strano appuntamento per festeggiare i due anni della piccola Virginia (senza alcun cenno ai fiori d’arancio). Ai più però era parso assai strano, questo invito al monastero (e poi in riviera, di sera)... C’era quindi chi aveva immaginato il vero motivo. Ma nessuno voleva rovinare il gioco ad Andrea, sicché tra loro, gli amici lajatichini si davano laconicamente appuntamento a Montenero, ciascuno custode del segreto di Andrea, anche se in tanti avevano mangiato la foglia. Per il taglio della torta, agli invitati viene chiesto di lasciare i tavoli e guadagnare il giardino. Qui campeggia il classico dolce nuziale a cinque piani che sembra essere uscito dalla scena finale di una fiaba dei fratelli Grimm. Gli sposi si accingono alla cerimonia del taglio. Il cielo è d’un blu scuro pastoso, mentre a destra della platea, in piedi sulla

soglia

di casa, campeggia l’azzurro

tenue della

piscina

illuminata... Di fronte, il bianco abbagliante della tavola e della torta, ed il tragitto che porta alla cancellata, la cui prospettiva è rimarcata, ai lati, da piccole fiamme. Andrea e Veronica tagliano la prima fetta, mano nella mano... Qui la sposa ha voluto vestire un altro abito chiaro, realizzato dallo stilista – e suo caro amico, presente alla festa – Oscar Scirè. Dal prato di casa, le prime quattro cascate di luce e di fuoco... Ed è solo l’inizio. Nel frattempo, nell’aria, una voce, quella del compianto amico Big Luciano, che canta. Fosse ancora tra noi, l’avrebbe fatto davvero, col suo immenso smoking e le braccia aperte, ad abbracciare idealmente

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gli sposi. Restituendo con gioia lo stesso favore che Andrea gli aveva fatto, lo stesso onore che Andrea aveva avuto, quand’era stato, anni fa, invitato da Pavarotti a cantare, per il suo matrimonio con Nicoletta. Un attestato di stima che non ha prezzo. Questa sera, una sera di tanti anni dopo, la voce dolcissima del grande collega si è mescolata ai sorrisi e alla gioia della festa di casa Bocelli a Forte dei Marmi: Andrea e Veronica hanno trovato il modo (delicato e affettuoso) per ospitarne il ricordo, e rivolgere un grato pensiero all’amico che non c’è più. Ricordando come, viceversa, attraverso il suo canto continui a essere qui, e nel cuore di ognuno, ogni giorno. Occhi di fata “Oh begli occhi di fata, oh begli occhi stranissimi e profondi, voi m'avete rubato la pace della prima gioventù!”... È il codice segreto, la password del loro amore, scoccato dodici anni fa. È il brano che Andrea ha dedicato a Veronica pochi minuti dopo averla conosciuta, è un primo gesto di accondiscendenza al destino, alla chimica che bussa e che non bisogna temere di ascoltare. E pensare che a quella festa, l’8 maggio del 2002, né Andrea né Veronica volevano andarci. Era una giornata piovosa, era un invito mondano, era la previsione scontata di una serata di rumorosa solitudine... A quel giorno fatidico, Andrea ha dedicato una poesia che inizia con questi versi: “Mistero dolce, meta che non muta, / luce d'anima lieta, che s'accende, / nel riconoscer ciò, verso cui tende, / onde evitar la noia e la caduta”. E, poco più avanti: “Tu te ne stavi docile, garbata, / quasi dimessa, quasi disarmata, / frutto indeiscente, all'occhio dei presenti”. Una data, un incontro, un riconoscimento. La scintilla d’un istante che cambia la vita, nel marcato contrasto d’un contesto fatuo, d’una occasione pubblica pullulante vanità... Nei versi di Andrea, un inno al mistero dell’amore, alla sua essenza sensitiva, all’agnizione che

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risana la vita (perché amore è guarigione). Oggi, dodici anni dopo, col sigillo di quel frutto biondo del loro amore che bisogna già rincorrere ogni dove e che ha una vocina già piena di parole, la romanza di Denza che riempie la prima sera primaverile acquisisce un sapore strano. Perché dovrebbe far sorridere e invece commuove. Forse è la vita che scorre ad intenerire, ancor più quando due persone decidono di servirla, facendosi strumento divino, nel replicare il segreto gioioso d’un infinito futuro. Quando la voce di Pavarotti sfuma, si fa spazio il duetto che vede Veronica e Andrea “colleghi per un giorno”, a condividere lo stesso microfono nella lieve, ridente melodia “Somethin’ Stupid”... Ma c’è un colpo di scena. Il cielo s’illumina, sulla spiaggia e sul mare di Forte dei Marmi: uno spettacolo di fuochi artificiali saluta gli sposi, un magnifico dono da parte di alcuni amici si consuma in pochi minuti, per restare nello stupore e nel ricordo degli invitati. Altri sbigottimenti promettono i dolci, che nel frattempo hanno invaso i tavoli del giardino... Poi, le bomboniere: un morbido astuccio di taffetà di seta bianca contenente un assortimento di confetti di mandorle e di cioccolato bianco prodotti dalle volontarie della Andrea Bocelli

Foundation.

A

chiudere

l’astuccio,

un

bracciale-rosario

d'argento. Il biglietto allegato propone la seguente frase di Andrea: “Proteggi la nostra vita, Signore, acciocché non ci manchi il tempo per fare di noi, piccoli fiori degli del Tuo giardino”.

Tutti i giorni dopo La luna di miele è quella che s’alza ogni sera, e si riflette sul mare di Forte dei Marmi. È luna di miele da quella sera di tanti anni fa, quando Andrea s’è offerto di poter ospitare Veronica a mezza strada, tra dov’era il party (vicino a Ferrara) ed Ancona. La luna, quella sera, Andrea aveva portato la sua recentissima amica ad ammirare, sul lungomare e fin sul pontile, dicendole: «questo è il posto più bello del mondo». La festa nuziale s’inizia a sfoltire, in molti d’altronde han da

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percorrere tanti chilometri, prima di rincasare. Per il viaggio di nozze c’è ancora tempo. Ritaglieranno senz’altro un periodo di riposo nella loro

residenza

a

Miami,

ma

non

mancheranno

gli

impegni

professionali in agenda... D’altronde, per uno che fa il mestiere di Andrea, il concetto di vacanza è un po’ diverso da ciò che comunemente s’intende... Per Veronica e Andrea, è “vacanza” ogni volta che riescono ad approfittare della quiete di un tramonto (o d’un luogo isolato) per fare due passi, da soli, magari sulla sabbia del mare. A ventiquattrore da quel “Sì” pronunciato davanti all’altare, Andrea studia il nuovo titolo che sta accingendosi a registrare: “Turandot”, l’unica opera di Puccini dove l’amore alla fine trionfa. All’indomani della sacra funzione, Veronica è già al lavoro: documento probante, una mail che riceviamo di prima mattina (e non sarà stata certo la prima, della sua prima giornata da sposa). Casa Bocelli tornerà a brillare e imbandire la tavola dopo una manciata di ore, per una cena ulteriore, insieme ad un nome importante dell’imprenditoria: sarà tra gli sponsor del progetto di beneficenza, i cui fili Veronica sta pazientemente tessendo anche in questi giorni, per ABF. Il risultato sarà, in principio d’autunno, la raccolta di fondi più ambiziosa e più ricca che mai sia stata concepita in Italia. Scarse opportunità di lasciare ossigeno alla noia, per gli sposi novelli: tre figli dai due ai vent’anni, il canto (che è disciplina, è quotidiano esercizio), la fondazione con i suoi passi galvanizzanti e complessi (perché fare del bene è parecchio più complicato che fare del male, e sovente anche più osteggiato). E poi c’è il mondo, che chiede alla stella del canto notizie e disparati pareri e ovunque sorrisi e presenze in occasione d’ogni immaginabile evento, ciascuno chiedendo attenzione e favori e snocciolando buoni motivi. Per chi guarda, da fuori, c’è sufficiente materia per essere preda di scoramento, per esaurire le forze nervose. Ma Veronica e Andrea

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sanno “affrontare il vento a mani aperte” da tanti anni, e quando la stanchezza fa capolino, sanno verso chi giungere le loro mani ogni giorno, per ritrovare le forze. Insieme. Perché, come si dice e si canta, nell’ultimo verso di “Turandot”: “Luce del mondo è amore!”. Giorgio De Martino

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