Tesi di Laurea Triennale - DIECI:DIECI

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DIECI : DIECI Il mio percorso tra Glasgow School of Art e Politecnico di Milano, spiegato in un anno di progetti in scambio

Martina Bonetti Relatore Paolo Ciuccarelli



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Scuola del Design Tesi di Laurea triennale in Design della Comunicazione

27 Luglio 2015



indice 4

Introduzione PRESENTAZIONI

The Glasgow School of Art INTRODUZIONE DIDATTICA

dieci:dieci INFORMAZIONI GENERALI LE ISTITUZIONI LE PECULIARITÀ DEL MIO PERCORSO Progetto 1 : Brand-X Progetto 2 : Open Source Design Progetto 3 : Design Theory LE PECULIARITÀ DELLA SCUOLA Progetto 4 : Food Access Progetto

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VALUTAZIONE CRITICA SULL’UNIVERSITÀ E SULL’ESPERIENZA SVOLTA CONCLUSIONE


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INTRODUZIONE Presentazioni

Il mio nome è Martina Bonetti ed nel 2012 ho iniziato il mio percorso universitario presso il Politecnico di Milano, iscrivendomi al corso di laurea in Design della Comunicazione. Dopo la frequentazione regolare dei primi due anni di triennale, ho avuto l’occasione di frequentare un anno in una università straniera grazie al programma MEDes. Il Master of European Design è una collaborazione fra sette scuole di Design in Europa, che permette ogni anno a poco più di una decina di studenti di trascorrere un biennio in due diversi paesi stranieri. Il programma è articolato su base quinquennale, dove i primi due anni vengono frequentati in sede, il terzo e il

quarto sono affrontati in due diverse scuole partner e nel quinto prevede il ritorno nella propria istituzione originale. Ciò dà ad un ristretto gruppo di studenti la possibilità di entrare in una forte comunità internazionale, integrandosi contemporaneamente in tre diversi sistemi educativi. Ognuno segue un percorso diverso combinando tre differenti nazioni, conoscenze e metodi secondo la propria indole e le proprie aspirazioni. In questo modo il corso di studio prescelto all’inizio della propria carriera universitaria non è più vincolante e si può esplorare davvero più ampiamente tutto il campo del Design. Dopo due anni di studio in Design della Comunicazione, ho deciso di dare una svolta al mio percorso formativo e di trascorrere il mio primo


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anno di scambio presso la Glasgow School of Art, iscrivendomi al corso di studi in Product Design.

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THE GLASGOW SCHOOL OF ART Introduzione

Nata come scuola d’arte e architettura alla metà dello Ottocento, la Glasgow School of Art introdusse il corso di Product Design nel 1948. In più cinquant’anni gli insegnamenti si sono evoluti, non incentrandosi più solo sul tradizionale prodotto industriale ma soprattutto su servizio ed esperienza. Gli studenti quindi sono in grado di esplorare nuove opportunità per risolvere problemi nel settore pubblico e privato attraverso il design.

QS World University Rankings

La Glasgow School of Art si è guadagnata quest’anno il decimo posto nella categoria Arte & Design, terza a livello europeo. Ciò grazie al clima creativo che la scuola infonde non solo nella comunità studentesca, ma anche nell’intera città di Glasgow, nuovo polo artistico britannico.

Le capacità che vengono sviluppate si fanno spazio nei campi di service, interaction e environmental design, social innovation, ingegneria, scienze sia sociali che biomediche e bioetica.

Ogni gruppo d’anno è composto da venti studenti che condividono lo spazio dello studio. Questo permette di lavorare in modo interattivo nella classe pur mantenendo un approccio personale al problema. Il particolare rapporto molto collaborativo con i tutor crea un ambiente meno formale e più efficace di apprendimento, dando agli studenti un ruolo più propositivo.

I professori non tengono vere e proprie lezioni con frequenza obbligatoria, ma offrono revisioni settimanali che intervallano il lavoro sviluppato autonomamente dalla classe per il resto del tempo. In questi tutorial si ricevono consigli su come migliorare ed implementare i progetti piuttosto che direttive troppo strette su come svolgere gli stessi.


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Didattica

Gli insegnamenti dati alla School of Art prevedono progetti in studio, progetti pratici e saggi.

I progetti pratici prevedono la messa in pratica delle teorie del design, utilizzando la sperimentazione nel workshop. Esso offre prototipazione veloce, lavorazione di plastica, legno e metallo, stampa 3D, lasercut e vacuum former. L’obiettivo non è la realizzazione di un prodotto perfetto e finito, ma di un modello credibile e funzionale per comunicare in modo chiaro e tangibile la propria idea.

I primi vengono diretti dai tutor e offrono la possibilità di lavorare con clienti live, svolti nell’ambiente dello studio. Esso è caratterizzato da zone di lavoro personali, dove l’interazione e il team work sono allo stesso tempo stimolati dall’area ampia e aperta. Presentazioni e pecha kucha sono il metodo fondamentale di esibizione e di consegna del proprio lavoro, dando agli studenti buone capacità espositive e abilità nel comunicare i concetti.

Le discipline teoriche vengono introdotte agli studenti grazie al Forum for Critical Inquiry, un corso a scelta svolto in multidisciplinarietà che amplia la conoscenza degli studenti riguardo alle teorie del Design. Esso permette inoltre la collaborazione e il dialogo fra studenti dello stesso anno appartenenti a diversi dipartimenti. Il metodo didattico della scuola si avvale prevalentemente della prassi, è quindi sostanzialmente differente rispetto al rigoroso modello teorico del Politecnico. Gli studenti sono portati ad auto dirigersi e lavorare sulle proprie capacità piuttosto che seguire in modo preciso le indicazioni del docente.


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Ciò comporta da una parte lo sviluppo di una identità personale come designer in grado di effettuare scelte forti e di plasmare il proprio lavoro nei modi che ritiene più opportuni volta per volta; tuttavia, se uno studente non possiede sufficienti abilità tecniche e cultura del design, il suo outcome risulta forzato all’interno di ciò che conosce e non può sviluppare nuove abilità poiché non c’è un corso apposito per impararle.

L’offerta formativa

Il corso di Product Design propone due alternative: B.Des (della durata di quattro anni) o MEDes (della durata di cinque anni). Essi condividono primo e secondo anno, nei quali gli studenti apprendono il metodo della scuola e conoscenze di base (quali fare/modellare/utilizzare e interazioni/esperienze). Durante il terzo (per il B.Des) e il quarto anno (per il B.Des Hons) di bachelor gli studenti continuano il loro percorso all’interno della scuola, con possibilità di uno scambio. In particolare in questo periodo viene sviluppata una coscienza culturale, di contesto

e del cliente, nonché autonomia, creatività e competenza. Coloro che invece decidono dopo il secondo anno di intraprendere il MEDes trascorrono il terzo e il quarto in due diverse scuole partner, prima di ritornare alla GSA per il quinto.

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DIECI:DIECI Informazioni generali

La Glasgow School of Art non è però sola al decimo posto della QS World University Rankings. Essa infatti lo condivide con il Politecnico di Milano.

All’annuncio, mi sono sentita orgogliosa dell’occasione che stavo cogliendo, potendo avere una delle migliori combinazioni possibili per la mia educazione. Incuriosita dalla classifica, ho deciso di informarmi sui suoi criteri di valutazione e ho notato come pur totalizzando lo stesso punteggio, le due istituzioni avessero i propri pregi in direzioni completamente opposte. Come la GSA eccelle in “Reputazione accademica”, il PoliMi è tra le migliori istituzioni per “Reputazione degli impiegati”. Il primo criterio viene deifnito come posto

di preminenza per la ricerca universitaria nell’area di Arte & Design, il secondo come luogo di spicco per il reclutamento di laureati. Fin dall’inizio del mio scambio avevo trovato chiara la differenza totale fra le due Scuole, ma la prova oggettiva mi ha dato modo di riflettere sul percorso intrapreso e su come questo sia in grado di influire sulla mia preparazione e il mio futuro. Due metodi di insegnamento in antitesi ma ugualmente validi, possono dare la formazione di cui il laureato ha bisogno per far spiccare le sue capacità e le sue individuali caratteristiche.

Ciò che vorrei illustrare in questo breve commentario della mia esperienza, è come ho percepito le diversità tra le due Scuole e perché ritengo di avere ora una visione più completa rispetto al Design e alle sue professioni.


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Le istituzioni

Va premesso che l’impronta delle due Università è opposta pur essendo nate a soli vent’anni di distanza. La Glasgow School of Art viene aperta come “Scuola Governativa per il Design”, abbracciando solo successivamente le Belle Arti e l’Architettura, per essere centro della creatività e promuovere il buon design per l’industria manifatturiera. Il Politecnico di Milano viene fondato come “Regio Istituto Tecnico Superiore” per Ingegneria, introducendo Architettura e Design in seguito, e diviene fulcro divulgazione tecnico-scientifica, propulsore di ricerca applicata e luogo di sperimentazione. Pur utilizzando metodi di insegnamento

diversi -in studio contro lezioni frontali- entrambe le Scuole sembrano esprimere la propria volontà nello sviluppo di linee innovative per rispondere alle reali necessità della società.

Nelle istituzioni ho frequentato corsi di studio differenti: Design della Comunicazione presso il Politecnico e Product Design presso la GSA. Il cambio di percorso mi ha permesso di sperimentare e comprendere la complessità del campo del Design. Non è stato un cambio di rotta totale, ma un’integrazione.


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Le peculiarità del mio percorso

Essendo le differenze tra i due metodi piuttosto difficoltosi da spiegare solo con la descrizione

verbale, ho deciso di servirmi dei progetti sviluppati durante il mio scambio per evidenziare i tratti fondamentali che li distinguono, utilizzando esemplificazioni concrete derivate dal mio lavoro.

BRAND-X Progetto di branding e creazione del suo sistema di prodotti. BRIEF Considerato un brand come un intreccio di artefatti, comportamenti e concetti, progettare il lancio di una nuova marca ispirata a uno dei sette peccati capitali. La sua identità deve essere forte e riconoscibile, portando un’innovazione per il mercato -seguendo cioè il comportamento degli utenti- o per l’offerta -creando

quindi nuove tendenze. La struttura deve essere improntata sui trend del futuro prossimo, come le persone vivranno, a cosa si interesseranno, di cosa avranno bisogno e cosa desidereranno nel quotidiano. il progetto è costituito da una parte di gruppo -DNA del brand- e da una individuale -un prodotto o servizio di sviluppo personale. Ognuno dei componenti contribuisce con un lavoro coerente con gli altri e con la marca stessa.


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CONCEPT Al mio gruppo è stata assegnata la gola. Dopo aver analizzato gli aspetti sociali, tecnologici, economici e culturali che coinvolgono questo peccato nella società moderna, abbiamo identificato i trend che ne danno maggior riscontro. Focalizzandoci sulla smania per l’acquisto di prodotti, abbiamo trovato stimolante indagare l’intensificazione della gola in modo controllato e sicuro. Trovata l’opportunità, il progetto si è indirizzato sulla creazione di un servizio di spedizioni che stimoli l’aspettativa prima dell’arrivo di un pacco. In questo modo si genera eccitamento per qualcosa di già comprato, in modo da mantenere il brivido dell’acquisto fino al momento in cui si ha il prodotto. Invece che contrastare la gola, trasformiamo questo sentimento da veloce in lento e godibile. Puntando sull’aspettativa, si rende più piacevole l’utilizzo dell’oggetto per ridurre la noia, che induce a nuovi acquisti.


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OUTCOME Post Script è un servizio di spedizioni personale e personalizzabile. Tiene il cliente sempre informato e coinvolto con una storia piacevole, prendendosi cura di lui, della sua corrispondenza e dei loro specifici bisogni. Una migliore esperienza di online shopping viene data attraverso il sito internet facile da usare e sobrio. In questo modo, grazie alle chiare condizioni di acquisto, l’unica sorpresa per il cliente è quella che lui decide di avere. P.S. è un nome semplice e reminiscente. Richiama la tradizione epistolare ed è allo stesso tempo acronimo di servizio postale. L’uso del post scriptum è indice solitamente di una corrispondenza personale, serve a lasciare un ultimo messaggio emozionale. Allo stesso modo questo servizio permette alle persone di dare un valore aggiunto a ciò che spediscono, senza aver bisogno di scrivere altro. Il logo richiama le forme archetipiche di timbri e francobolli, con un gusto decorativo ma pulito. We don’t just carry, we care -ovvero non


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solo trasportiamo ma ci prendiamo cura- è il motto che esprime l’idea del brand di vicinanza al cliente e ai suoi beni. Esprime la attenzione personale e l’impegno accurato. Usando riferimenti allo stile leggero e colorato di Wes Anderson, il gruppo ha creato un intero immaginario dietro al brand, per spingerlo al limite dei servizi di spedizione attraverso un’esperienza fatta su misura con l’oggetto inviato. Forte coordinazione tra packaging, outfit del corriere e mezzo di trasporto usato, crea

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-insieme allo storytelling- un mood personalizzabile di consegna. I touchpoint del servizio sono un negozio -dove poter testare i prodotti con mano-, un sito internet -nel quale si può prenotare consegne- e un’app in cui seguire la storia della propria consegna. Nessuna presenza diretta sui social permette di avere un’allure anti-tech, ma l’attenzione online intorno al brand permette pubblicità indiretta. Il tutto è improntato alle transazioni fra clienti e non su larga scala.

Il mio contributo individuale è arrivato nel campo della preparazione dei pacchi e delle spedizioni, comprensivo di design del packaging e dell’immagine ricevuta dal cliente. I pacchi sono composti da diversi elementi. Le scatole di cartone hanno una forma che permette l’apertura automatica di fronte agli occhi del ricevente, senza punti colla e riutilizzabile. Le lettere all’interno raccontano la storia del pacco seguendo il mood della consegna, per prolungare l’aspettativa. I due elementi si combinano per creare cinque diversi stili di consegna personalizzabile a cui può essere abbinata anche la scelta di un fattorino, adatto alla particolare occasione desiderata. In particolare, ho deciso di sviluppare tre stili al completo.


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RIFLESSIONE La mia preoccupazione maggiore all’inizio del progetto era sviluppare il design di un prodotto. Oltre alla richiesta, anche il metodo di lavoro era nuovo per me. Seguendo ciò a cui ero abituata, ho provato a cercare una soluzione diretta invece che ricercare prima sull’universo delle possibilità offerte dal nostro argomento. Esplorando diverse strade, hanno iniziato a scorrere facilmente pensieri laterali, connessioni originali e metafore. È stato in questo modo più facile trovare un’interpretazione stimolante del nostro peccato. Sono soddisfatta per come l’idea ha preso vita e le persone hanno reagito al brand. Si tratta di un lavoro convincente in quanto non c’è mai stato bisogno di comunicare a voce i nostri valori, che erano invece già emanati dalla coerenza di ciò che abbiamo creato e potevano essere facilmente intuiti dai nostri clienti.


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Avendo portato avanti un progetto di branding anche all’interno del Politecnico di Milano, posso dire di aver trovato una grossa differenza di fondo: invece che mettere sul mercato un’innovazione che crea un bisogno per la società, il brief partiva dalle necessità preesistenti per introdurre una novità. Questo dimostra come, pur in un progetto prettamente

visuale, l’attenzione all’utente non venga mai persa e debba rimanere preminente. Non la ricerca tecnica ed industriale, ma la comprensione dei fenomeni sociali doveva essere alla base del nostro concept. Lo scopo non era produrre una forte e convincente immagine coordinata per rappresentare la nostra marca, ma creare un canale credibile per aiutare un preciso target.

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OPEN SOURCE DESIGN Progetto OS con il comune di Glasgow. BRIEF Nel contesto del concorso “Smart Cities”, la città di Glasgow ha vinto un fondo offerto dal governo britannico per migliorare i suoi servizi. Il più grande hackathon della Scozia si è tenuto un anno fa per trovare idee su come utilizzare il denaro, permettendo a cittadini, comunità creativa e governo di lavorare insieme per risolvere problemi. Nessuno dei concept forniti è riuscito però a soddisfare la commissione comunale, che -affidandoci le idee- ci ha chiesto di usarle come materiale sorgente per capire la città e trovare migliorie o nuove idee per stimolare un suo effettivo cambiamento di reputazione.

CONCEPT Avendo prima di tutto compreso la portata del termine “Open Source” e definito come classe i nostri valori di lavoro, abbiamo deciso di esaminare diverse aree in gruppi ma di presentarci al nostro cliente live come un tutt’uno coerente. L’area del mio gruppo è stata quella dei trasporti. Il primo passo è stato analizzare le idee dell’hackathon e i data set sulla città fornitici dal comune. Entrambi hanno rivelato delle lacune: spesso l’unico obiettivo dei concept stessi era raccogliere dati già presenti negli archivi e pur avendo prova dei problemi, il governo cittadino non fa nulla per correggerli. Inoltre entrambi non presentano completamente caratteristiche open source.


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Siccome ogni mezzo di trasporto è separato dagli altri, uno dei nostri obiettivi era riconnetterli. Per creare un concept basato su un’idea hardware, abbiamo deciso di basare la nostra direzione sull’Open City Manifesto usato nel concorso governativo iniziale. Dopo interviste agli utenti per definire il loro punto di vista e letture dei piani del comune per comprendere meglio il nostro cliente, abbiamo deciso di puntare su l’incoraggiamento ad usare di più i mezzi pubblici. Dando motivi agli utenti per essere fedeli e comprare i biglietti, si investe conseguentemente nell’economia locale e si migliorano i servizi per i cittadini stessi. Il risultato è un win-win per tutto il sistema.

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OUTCOME La Wee Card è un nuovo tipo di biglietto di viaggio per cerare un sistema integrato di trasporti a Glasgow. Grazie alla tecnologia ITSO, gli utenti possono passare la carta sugli scanner già presenti in città per entrare nelle stazioni o passare il controllo dell’autista sui mezzi. Iscrivendosi al servizio, gli utenti ricevono la carta anonima in due parti e un profilo personale sul sito internet della Wee Card. Questi sono connessi attraverso un codice identificativo per proteggere la propria privacy. L’estetica della carta riflette Glasgow sia in immagine che caratteristiche. I possessori vengono rappresentati dalla volpe urbana, l’animale più conosciuto della città, e una gamma di diversi profili è

disponibile per le varie tipologie di utenti cittadini e non. Il colore e la tipografia richiamano l’immagine coordinata delle opere pubbliche cittadine. La carta può essere ricaricata o controllata attraverso dei touchscreen posizionati in città, i quali forniscono anche orari e mappe. La tariffa di ogni viaggio viene convertita in punti, regolati da un sistema di ricompense che distribuisce bonus agli utenti: una volta raggiunta una certa soglia si può avere diritto a sconti in attività locali.


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RIFLESSIONE Il progetto si è rivelato molto intenso in quanto siamo passati dal buio completo della prima settimana senza aver incontrato il cliente, ad un risultato rifinito e di qualità nella quarta. La nostra risposta progettuale ha generato interesse ed è stata presa in seria considerazione grazie al suo aspetto. Le circostanze di lavoro -un collettivo di diciannove studenti- sono state uniche e l’esperienza si è conclusa bene grazie alla coesione e alla continua comunicazione tra

i gruppi. Ognuno ha avuto libertà di azione nel proprio tema, senza competizione ma supportando gli altri per dare un’aspetto preparato e coeso alla classe. Una delle ragioni del successo del lavoro sta nel fatto che, essendo studenti, il nostro interesse maggiore era nell’imparare, sperimentare e condividere senza tornaconto o perdite economiche. In questo modo i principi di open source non sono mai stati persi di vista. Durante questo progetto ho imparato molto riguardo le tecniche di ricerca e il metodo user-centred utilizzato alla School of Art. Tutte queste abilità possono risultare efficaci per qualsiasi mia pratica futura, in quanto servono a costruire una forte base concettuale che va oltre la desk research.


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Questo è stato il primo progetto accademico a farmi uscire dall’università. In primo luogo ho potuto lavorare per un cliente vero, percependo per la prima volta le pressioni di consegne e presentazioni ufficiali, non solo finalizzate a ricevere un voto ma a vendere il proprio concept. In questo modo la idea ha la possibilità di vivere di vita propria e non si articola solo come esecita-

zione del corso. In secondo luogo la ricerca effettuata sul campo e i dati effettivi raccolti con l’open source si contrappongono alla sola desk research di questionari online utilizzata al PoliMi. Gli studenti qui non vengono spinti a conoscere, provare nuovi metodi di indagine, non acquisendo quindi abbastanza tecniche diverse da permettere l’adattabilità ad ogni tipo di progetto.


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DESIGN THEORY Progetto sulla sperimentazione come artefatto. BRIEF Gli oggetti che progettiamo possono provocare reazioni inaspettate nei nostri utenti, permettendoci di imparare qualcosa sul comportamento delle persone. In questo senso i prodotti diventano esperimenti e possono generare conoscenza tramite un uso documentato. Il nostro obiettivo era produrre una serie di artefatti da testare sugli utenti, documentare e trarre conclusioni per dedurre il design di un nuovo oggetto quotidiano. CONCEPT Al mio gruppo era stato affidato il set di azioni riguardanti la preparazione di bevande. Ogni componente ne ha poi scelta una da analizzare in-

dividualmente. La mia preferenza è ricaduta sulla preparazione del cappuccino ed ho lì deciso di concentrarmi sull’utilizzo del montalatte, in quanto è la schiuma il tratto distintivo della bevanda. Dopo aver studiato come il latte schizza dalla tazza e le reazioni che ciò provoca negli utenti -con conseguenti influenze sul design finale-, ho iniziato a produrre gli artefatti sperimentali. Passando attraverso carta idrosensibile, reagente e multistrato, piattini con decori incisi e tovagliette che predicono il futuro, mi sono lasciata guidare dalle reazioni ricevute ed ho sviluppato una collezione di piatti. Anche questa è stata poi evoluta grazie a user testing.


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OUTCOME L’Alberta Set è un insieme di sei piattini per tazze da cappuccino. La loro dimensione permette di essere utilizzati anche come un normale set da tavola, ma nella parte convessa rivelano pattern incisi nella ceramica per far fluire il latte fuoriuscente durate la montatura. Ognuno dei pezzi ha un disegno e un colore diverso, per mantenere il prodotto più interessante per il possessore. RIFLESSIONE Complessivamente il progetto è stato molto impegnativo per me in quanto è stata la prima volta che in cui mi sono dovuta concentrare solo su un prodotto e le reazioni dei suoi utenti. In particolare è stato difficile testare qualcosa senza sapere dove mi avrebbe portato, ma si è rivelato efficace quando mi ha dato risultati inaspettati. L’attività di documentazione e il coinvolgimento di persone sono ancora migliorabili, ma si sono dimostrati in questo caso il modo migliore per motivare il mio processo di lavoro e le mie scelte finali.


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Pur avendo già affrontato nel mio percorso accademico materie teoriche, mai mi era stato mostrato cosa fossero davvero la teoria e la ricerca nel campo del Design. Al Politecnico viene data molta importanza alla sua storia e le tecniche dei grandi autori, escludendo però poi lo sviluppo moderno e la speculazione riguardo il futuro della pratica.

Il dibattito viene stimolato grazie a conferenze e interventi di teorici e di ricercatori, che spingono a provare strade inaspettate per risolvere in modo nuovo il brief. Questo aspetto viene considerato invece una preminente conoscenza alla GSA, dove gli studenti si trovano ad avere meno cultura visuale e tecnica ma piĂš apertura ed innovazione per i loro progetti.

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Le peculiarità della scuola

Esistono alcune caratteristiche della Glasgow School of Art che la rendono del tutto particolare. Soltanto con occhio critico alla fine del mio percorso qui mi sono resa conto di come il suo punto di forza sia la costante attenzione di un contemporaneo sguardo al futuro e al passato. La volontà di adattamento alla società circostante, ha permesso di trasformare l’indirizzo della Scuola. Nel corso di Product Design infatti il prodotto non è più inteso come l’oggetto industriale, ma come il focus centrale dello outcome di progetto. Esso può quindi essere sviluppa-

to in diverse forme per perseguire in modo versatile il risultato finale. L’innovazione e la capacità di cambiamento portano in questi anni il Service Design al centro dell’interesse del corso, essendo una risposta coerente con gli utenti moderni di oggi.

Anche in questo caso, ho ritenuto più efficace utilizzare i miei progetti per mostrare l’articolazione concreta dell’impronta data dalla Scuola.


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FOOD ACCESS Progetto di educazione alla salute alimentare. BRIEF La richiesta era la creazione di un servizio futuro collegato al cibo, per risolvere dei complessi problemi sociali, economici o ambientali esplorando come il tema può essere risolto nel quotidiano. L’importante è trovare il modo di trasmettere alle persone la salute alimentare. Ogni gruppo ha un’area differente di cui occuparsi per creare un servizio e ogni componente ha da solo il compito di sviluppare un touchpoint dell’esperienza dell’utente. Il mio gruppo si è occupato del tema “Scuole ed Educazione”, approfondito nella prima settimana.

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CONCEPT Grazie all’uso della “social science” abbiamo potuto identificare una gamma di opportunità. Essendoci globalmente un bisogno concreto di

trovare nuovi modi di coltivare e diverse fonti nutrienti di cibo, abbiamo deciso di focalizzarci sui cosiddetti “Cibi del futuro” quali insetti, ghiande e alghe. La strada dell’introduzione di questi alimenti nelle nostre diete deve passare per l’educazione, in quanto il cambiamento culturale non può avvenire in ristoranti di lusso ma nelle case e nelle cucine.


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Volendo offrire una proposta valida, ma soprattutto concreta, abbiamo deciso di sviluppare un piano strategico su tre generazioni in cui il nostro servizio si sviluppa ed adatta alla società in cambiamento. Per questo, ci siamo concentrati solo sul tema degli insetti come uno dei nostri prodotti e lo abbiamo esteso su quattro fasi. Dopo aver sperimentato personalmente l’entomofagia, identificato le sue barriere nel prossimo futuro -basandoci su predizioni degli esperti alimentari- e aver definito delle persona, abbiamo deciso di fornire un servizio che permettesse di imparare come cucinare gli insetti, fornendo conoscenza al riguardo e rappresentando il punto di riferimento del sapere culinario nella cultura occidentale.


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OUTCOME NOM NOM -Non Ordinary Munchies, New Ordinary

Munchies- è un brand che punta a rendere i cibi del futuro disponibili e allettanti al

Per rispondere in modo efficace alla società abbiamo identificato quattro target: scuole e strutture educative, famiglie, giovani adulti e produttori. La nostra strategia prevede l’ingresso nel mercato in un paio d’anni, orientandoci ad un pubblico adulto che vuole scoprire culture ed esplorare cibi nuovi. In dieci anni la risonanza del tema lo renderà normale e gli insetti entreranno a far parte dei metodi di insegnamento scolastici. In trentacinque anni entreremo nelle famiglie perché i figli porteranno la conoscenza a casa ai loro

pubblico, che viene coinvolto sia per l’aspetto etico che produttivo di questi cibi.

genitori. Una volta stabiliti come brand, potremo vendere ingredienti nei supermercati per cucinare a casa i propri pasti a base di insetti. Questo si basa su produttori affidabili, che garantiranno la sicurezza dei nostri prodotti, trasformando così la nostra impresa in un collegamento tra la nuova generazione di produttori e di consumatori. NOM NOM si declinerà quindi in nomShop in due anni, nomFarm in cinque anni, nom Project in dieci anni e nomLifestile in trenta cinque anni.


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Il mio sviluppo individuale consiste nella prima fase, dove mi sono dovuta confrontare con lo stigma per permettere alla novità di entrare nel nostro quotidiano. Dopo un’analisi sui trend alimentari della società odierna, ho deciso di seguire la strada dell’introduzione lenta attraverso piatti non estremi e fusion. Con un interesse specifico sull’aroma, i gusti vengono descritti per eliminare lo stigma della forma, educando così il pubblico aperto e acculturato, nonché offrendo un’esperienza attraente e coinvolgente per i sensi. All’interno si trovano un’area degustazione -in cui provare diversi sapori ed essere consigliati dal commesso su cosa comprare e come utilizzarlo nella propria cucinae un coffee shop -dove ogni normale prodotto può essere combinato con polveri per esaltarne il gusto-. L’obiettivo è essere cercatori di gusti e venditori di sapori.

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Il nomShop è un punto vendita di polvere di insetti e offre la più vasta selezione di sapori, ognuno dei quali viene spiegato con precisi termini gastronomici.


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RIFLESSIONE Inizialmente il progetto mi ha aiutata ad aprire gli occhi sulla corrente situazione ambientale e su come il cibo debba essere considerato una tradizione, non soltanto un nutrimento. In particolare ho avuto la possibilità di riflettere sulle mie abitudini e di discutere molto con chi mi sta intorno, in quanto il cibo è caro a tutti e parlando di entomofagia sono nate discussione etiche in cui ho dovuto giustificare il mio concept.

L’intero processo si è rivelato molto ambizioso perché l’argomento scelto è ancora un taboo. Abbiamo dovuto progettare un’innovazione e un cambiamento culturale, che sembrava troppo grande all’inizio ma ha rivelato il suo enorme potenziale andando avanti. Il risultato è stato una risposta pratica ad un problema che si porrà nel prossimo futuro, che ritengo molto valida.

Pur essendoci stato assegnato un tema che sembrava molto limitante, il gruppo è riuscito a trovare un’opportunità interessante. Questo grazie all’interpretazione di “educazione” come acquisizione di conoscenza e all’applicazione di una struttura logica consequenziale per non perdere il punto in un sistema complesso. Anche l’approccio al Service Design è stato nuovo e mi ha insegnato versatili strumenti, che potranno rivelarsi utili in futuro nella mia professione.


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In questo caso particolare non solo si punta a servire un bisogno attraverso un servizio più che un prodotto, ma si tenta di soddisfare una necessità prevista. Tutto il progetto è sviluppato per evidenziare le potenzialità, tentando di ipotizzare gli sviluppi economici e sociali partendo dalla ricerca sostenuta dalla Social Science.

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Fondamentale in una istituzione storica è la protezione del suo heritage. Ciò si rivela estremamente importante per la Glasgow School of Art in quanto casa spirituale dell’architetto Charles Rennie Mackintosh, vero punto di riferimento conosciuto e amato da tutta la città. Ciò che mi ha stupito maggiormente è stata l’attenzione e la cura che la scuola mette nel proteggere e dare risalto al proprio patrimonio, che si compone allo stesso modo dei suoi storici edifici e

dei suoi alumni. Il Mackintosh e il Reid Building sono luogo di visite turistiche durante l’arco del l’anno, e Renfrew St. è ancora il cuore pulsante della istituzione nonostante l’incendio accaduto l’anno scorso. La storia non è fatta però solo di mattoni e grande orgoglio della Scuola sono i suoi ex- allievi, artisti tra i più premiati ed influenti in UK. Il lavoro degli studenti viene spesso messo in mostra una volta completate le consegne. Ciò permette di ricevere

molta attenzione esterna e gli alunni si trovano facilitati nella ricerca di lavoro alla fine del loro percorso di studi. L’ottima reputazione della Scuola e l’esaltazione della qualità dei suoi studenti, la rendono quasi una garanzia di successo per i laureati. Per questo motivo una rigida selezione con colloqui e test è il metodo di ingresso. Questo orgoglio ed esaltazione è ciò che mi ha dato la spinta all’interpretazione del mio ultimo progetto durante lo scambio.


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DESIGN FOR EXPERIENCE Progettare un’esperienza in un luogo da rivalutare. BRIEF Il progetto mi ha richiesto di progettare individualmente un’esperienza in uno spazio trascurato di Glasgow. Il posto doveva essere agibile, raggiungibile e accessibile, non ignorando però la sua posizione, tempo e condizione climatica. Dopo aver trovato un luogo e definito le sue opportunità, avrei dovuto pianificare e mappare l’intera esperienza per poi produrre un artefatto centrale al contatto con l’utente. Dovendo comunicare l’anima e il feel della idea, il risultato finale avrebbe dovuto essere il touchpoint e una narrazione visiva dell’evento, che spieghi come le persone ne vengono a sapere, cosa accade e cosa ne portano via. L’articolazione centrale si suddivideva in: aspettativa e scoperta, esperienza dell’evento, memoria residua e lascito. Le condizioni assegnatemi per la scelta del mio luogo erano “trascurato e liminale”.

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CONCEPT Dopo l’identificazione di una gamma di opzioni, ho scelto di occuparmi della scalinata centrale del Reid Building nella Glasgow School of Art. Pur non essendo abbandonata, essa risulta trascurata in quanto i passanti tendono a preferire l’ascensore anche se essa costituisce l’effettiva colonna portante dell’edificio. Inoltre il palazzo di per sé -ancora dopo più di un anno dalla sua apertura- non è apprezzato dagli studenti, che continuano a lamentarsi. Ciò significa non aver raggiunto il suo completo potenziale in quanto la Scuola è stata costruita per e intorno a loro. Il Reid Building è stato progettato per essere una tela bianca personalizzabile da chi vi lavora secondo le pro-

prie necessità, ma a causa dei limiti imposti dalla Direzione ciò non riesce ad avvenire e la struttura non può venir toccata. L’edificio necessita di essere riappropriato in modo da non essere più solo un’attrazione turistica, ma riveli connessione e proprietà degli alunni. Con un semplice sguardo d’insieme è ovvio sia una bella costruzione, ma senza studenti a viverla e rapportarvisi sembra fredda e asettica. Orgoglio può essere creato attraverso l’esaltazione del proprio lavoro, ma chi frequenta questa Scuola dimostra abbastanza sicurezza verso se stesso e la propria istituzione. Gli alunni credono nella School of Art, ma non riescono ancora a vederne l’essenza in questo edificio come invece succedeva nel Mackintosh Building. I due sono stati pensati come due metà complementari e ora che l’antico è in ricostruzione, il nuovo ha tutta la responsabilità del prestigio della Scuola da portare.


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Per far sentire gli studenti parte della loro Scuola, ho deciso di fornirgli un modo per visualizzare la loro appartenenza. Affidando ad ogni studente uno scalino dell’edificio da decorare significa rendere ognuno un pezzo della colonna portante della propria scuola. Ho scelto questa opzione perché l’ho ritenuta la più significativa. Essendo vicina alla fine dei miei studi qui, volevo chiudere con un progetto audace per lasciare un segno.


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OUTCOME Adopt a Step è un’iniziativa che permette agli studenti della GSA di riprendere il controllo sull’aspetto della propria Scuola, con l’esposizione al pubblico di lavori sulla scalinata centrale del Reid Building. Lavorando in gruppi multi-dipartimentali, gli alunni dello stesso anno possono imparare uni dagli altri collaborando nella prima settimana accademica -già votata ad un progetto per rompere il ghiaccio. Le classi di ogni anno possono esporre in periodi diversi in modo da ricevere il dovuto interesse -primo anno nel primo trimestre, secondo anno nel secondo trimestre e terzo anno nel terzo trimestre. I laureandi hanno invece la possibilità di esporre nel periodo che precede il Degree Show per attirare l’attenzione sull’evento e richiamare più visitatori. Nel periodo di esposizione, gli studenti possono commentare a vicenda i propri lavori e i crediti dell’autore sono riportati per chi è interessato a vedere di più. Alla fine dell’anno accademico, dopo la cerimonia di laurea, i lavori sono messi all’asta per creare un fondo da utilizzare nel suc-

cessivo Degree Show. Pur non lasciando alcun pezzo alla scuola, i laureandi creano un’eredità scegliendo il tema per le opere che saranno prodotte l’anno successivo.


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Grazie a questa iniziativa, viene esaltata l’abrasione creativa che è la principale ragione per cui le scale formano un circuito aperto che connette i maggiori spazi di ritrovo. La scalinata era stata infatti pensata per la condivisione di idee tra persone diverse, per il dibattito e il colloquio, non per il semplice passaggio. È stata quindi una risposta naturale trasformare il mio concept in un progetto collaborativo, essendo il Design basato sulla compartecipazione. Gli studenti rivelano il maggior fastidio nel passaggio dei tour di visita all’interno degli spazi di lavoro. L’insegnamento deve essere il voto principale dell’edificio perché il giorno in cui alunni e staff saranno forzati fuori dalla Scuola, sarà la morte della costruzione stessa. L’aspetto davvero unico nella esperienza del visitatore è non solo l’apprezzamento dello spazio fisico, ma anche la vista del suo uso come scuola. Quando lo studio viene invaso però, essendo il Reid Building piuttosto anonimo senza il lavoro degli studenti, essi si sentono traditi poiché viene ignorata la loro privacy. Grazie ai lavori esposti sulla scalinata, questo problema può essere risolto attraverso chiara divisione degli spazi e soddisfazione della curiosità riguardo ciò che avviene all’interno della Scuola. In questo modo la convivenza è ristabilita.


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RIFLESSIONE Considero questo progetto un degno finale ai miei studi presso la GSA. Avendo imparato molto ho voluto dare qualcosa in cambio, aiutando la Scuola a sviluppare il suo completo potenziale. Vedo molte possibilità in questo edificio e il mio scopo principale era comunicarlo agli altri per far cambiare idea almeno a qualcuno. La Scuola incita alla sperimentazione ed è stata molto tollerante nei metodi. Permettendomi di creare graffiti sugli scalini, appendere dei poster, affiggere nomi degli studenti, ho potuto sperimentare molto sui comportamenti dei passanti e ricreare la mia intera esperienza in loco per la presentazione finale -avvenuta sulle scale stesse. Tutti si sono dimostrati mol-

to reattivi ed interessati a ciò che stavo provando a creare, rendendosi disponibili ad aiutarmi solo perché credevano nella mia idea e non per dovere. Questo mi ha stimolata a lavorare sodo per offrirgli un cambiamento grazie al mio progetto. Essendo molto interessata a storia ed architettura, poter prendere in mano l’identità della School of Art è stato estremamente interessante e stimolante e provare a creare qualcosa per esaltarla mi ha fatto sentirne parte. Questo è un primo passo per permettere agli studenti di creare intorno a loro la Scuola in cui vogliono studiare, rendendoli responsabili e custodi dell’ambiente in cui si trovano a collaborare ogni giorno.


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Lo sguardo al proprio patrimonio diventa quindi il modo per risolvere un problema attuale e rimettere la soluzione alla volontà dell’utente.

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Valutazione critica sull’università e l’esperienza svolta L’esperienza che ho fatto in questi dieci mesi, grazie alla possibilità di svolgere studi in altre università straniere, si è rivelata ricca di stimoli e apprendimenti molto più interessanti e innovativi rispetto alle mie iniziali aspettative. Dalla didattica all’ambiente, dalla crescita come designer a quella personale, credo di essere riuscita a costruirmi un percorso formativo davvero completo. Ogni metodologia e progetto affrontato mi ha offerto una nuova prospettiva. Ciò mi ha permesso di ricevere stimoli continui, che in corsi semestrali frequentati nei primi due anni al Politecnico non avevo mai riscontrato.

Il numero contenuto dei membri della classe rende possibile una effettiva comunicazione con gli altri studenti, sia del proprio gruppo che di diversi anni o corsi di studi. Il beneficio è la creazione di un ambiente molto ricettivo, aperto e collaborativo, nonché l’incontro con molte più varietà di idee e di sviluppo delle stesse. Questa cultura dello studio incoraggia le revisioni informali e la critica; le idee possono essere condivise, i feedback raccolti e i problemi risolti molto più velocemente che se fossero invece stati affrontati singolarmente.


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Uno degli aspetti che ho maggiormente apprezzato è stata l’importanza che vien data al modo di pensare dello studente e alla sua presentazione, piuttosto che alla sua abilità tecnica. Il più importante fattore di valutazione infatti è l’articolazione del collegamento tra ricerca, identificazione di insight ed opportunità, e l’output risultante. Il prodotto finale non necessita di tecnicismi, calcoli, dati, ma ha piuttosto bisogno di una anima vicina all’utente e di rendersi convincente in quanto possibilità tangibile. Soprattutto grazie alla ricerca etnografica, gli alunni sviluppano una forte ricettività verso i bisogni insoddisfatti di chi li circonda e sono in grado di trovare soluzioni innovative, non avendo costrizioni di eccessiva meticolosità nei funzionamenti meccanici o tecnologici. Ciò a cui si punta è far entrare lo studente in contatto con una varietà di problemi contemporanei e renderlo in grado di impiegare una gamma di approcci creativi per comunicare in modo professionale tutti i suoi output progettuali.

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L’indirizzo del corso

In questo senso si può dire quindi che il corso, pur essendo detto Product Design, non sia incentrato tanto sull’aspetto industriale quanto più su quello di comunicazione e di ricerca. Questo ha permesso anche a me, provenendo dal corso di Comunicazione, di ricevere ottimi feedback in quanto i dettagli nella trasmissione della mia idea sono risultati efficaci. Mettere le mie abilità visuali al servizio di un mio concept originale è stato incredibilmente più stimolante dei progetti portati avanti presso il Politecnico e mi ha dato uno scorcio sulla futura professione.


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Durante il terzo anno di corso dunque, la ed esperienze. Ciò permette di visualizzare filosofia dell’insegnamento si sposta dal solo ed analizzare problemi complessi in modo imparare abilità di base, avendo consegne da definire le rispettive opportunità per un e linee guida chiare, alla pura responsabilità prodotto, un servizio o un’esperienza. per la propria educazione, In questo modo, il Design sviluppando una personale All’interno del campo thinking diventa lo strumenprospettiva progettuale. del Design, passare da to per il cambio culturale ed Il processo di progettazione prodotto a servizio e da il ruolo del designer entra a viene esplorato nel contesto interfaccia a interazione far parte del contesto più sia morale, che politico, etico significa vagliare tutte le tradizionale, sostenibile ed ed economico per definire forme per raggiungere la economico della società in la rete di rapporti tra utente propria direzione. cui viviamo.


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Conclusione

Prima di questo programma non ero cosciente delle potenzialità che il design ha nella vita di tutti i giorni. La pratica non è fatta per rimanere isolata ed essere autoreferenziale nell’ammirare l’aspetto estetico, ma per risolvere problemi comuni ed aiutare le persone. Questo non è valido solo al l’interno del disegno industriale di prodotti, ma, vivendo nella società moderna, risulta quanto più necessario nel campo dei servizi per migliorare la vita dei cittadini. Si rivela un processo più complesso, che produce nuove relazioni nella comunità in cui viviamo.

Credo sia molto interessante vivere in un epoca in cui stiamo assistendo allo spostamento del paradigma dal “Design Tradizionale”, limitante in metodi e soluzioni, al “Design Proattivo”, che si basa sulla cooperazione tra i soggetti. In questo modo diventa possibile esplorare i problemi futuri di un mondo in trasformazione e si rendono chiare le nuove potenzialità del Design grazie al suo processo creativo.

Nella visione tradizionale i tre ruoli fondamentali sono: designer, che progetta il prodotto, cliente, che produce e distribuisce il prodotto, ed utente, che compra e convive con il prodotto. Nella società moderna si può assistere ormai invece alla co-creazione, dove ruoli e responsabilità si incrociano, uniscono e scambiano. Non esiste ancora un metodo preciso, quindi il lavoro in questo campo è sviluppato collaborativamente con modi esplorativi e sperimentali. Trovo tutto ciò incredibilmente stimolante e mi rende in grado di essere ottimista sul mio futuro come designer.


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Vedere la vera utilità del mio ruolo nel futuro non sarebbe stato possibile senza il programma MEDes, che si è rivelato molto più di quanto potessi mai aspettarmi. Si dice che l’esperienza del Erasmus abbia la capacità di potenziare tratti della personalità di chi vi partecipa: la tolleranza, la fiducia in se stessi, le abilità di problem solving, la curiosità, la consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza, e la ferma risolutezza. Con il Master of European Design tutto ciò risulta anche

ben più valido. Grande adattabilità si viene a creare con forte flessibilità in metodi e tempi di lavoro, conoscenza di culture del Design da tutto il mondo e disponibilità a sperimentare situazioni non familiari o sconosciute. Apertura all’imparare continuamente si forma con inter disciplinarità del percorso, crescita personale oltre la didattica e lavoro di squadra. Unicità si compone grazie a contrastanti diversità fra gli studenti, gerarchia piatta ed esperienze personalizzate. Eccellenza è il risultato finale di standard di lavoro

alti, esclusività del programma e nessun timore a dover prendere iniziativa. Grazie agli insegnamenti tecnici ricevuti al Politecnico di Milano e all’apertura alla novità sperimentata in questo anno alla School of Art, sento che la mia formazione triennale sia completa e sia stata sfruttata al massimo. Ora, sono pronta ad usare tutto ciò che ho imparato fin qui come base per iniziare il nuovo percorso alla Aalto University di Helsinki, dove spero di creare le fondamenta per il mio prossimo futuro professionale e personale.


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Scuola del Design Tesi di Laurea triennale in Design della Comunicazione


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