Feed Food Magazine. Percorso visivo a tema unico attraverso un piatto

percorso visivo a tema unico attraverso un piatto

Marina VirzĂŹ

Marina VirzÏ Matricola n° 862606 Relatore: Francesco Ermanno Guida

FOOD MAGAZINE

percorso visivo a tema unico attraverso un piatto

Scuola del Design Corso di Laurea in Design della Comunicazione Laurea Magistrale Anno Accademico 2016/2017 1

Marina VirzÏ Matricola n° 862606 Relatore: Francesco Ermanno Guida Politecnico di Milano Scuola del Design Corso di Laurea in Design della Comunicazione Laurea Magistrale Anno Accademico 2016/2017 Composto in: Surveyor Text, Open Sans Stampato su: Biancoflash premium 100gr 3

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A te, che sei estensione di tutti i miei sensi, grazie.

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indice INTRODUZIONE

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PRIMA PARTE 1 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6

Cosa significa pubblicare

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Dai caratteri mobili alla rivoluzione digitale del web 2.0 Editoria e digitale Cos’è la microeditoria?

Chi sono i microeditori?

Editoria e Crowdfunding Editoria sostenibile, quanto costa produrre un libro Zine, fanzine e magazine

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focus 1 //

Fame fanzine Short Stack Editions Salt Food zine

52 54 56

focus 2 //

Festival ed eventi

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La carta: dal papiro alla produzione da scarti alimentari

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Fiori bianchi, bacche di caffè, Verba Volant Edizioni

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La società della decrescita Tecniche di stampa

67 71

Edizioni Precarie Libri Finti Clandestini

76 78

2 focus 3 // 2.1 2.2 focus 4 //

7

SECONDA PARTE 3 focus 5 // 3.1 3.2 3.3 3.4

83

Bruno Munari: i pre libri e i libri illegibili

88

Marketing Esperienziale Cibo e cinque sensi Profondità storiche Comunicazione visiva e cibo: comunicazione e trasmissione Fenomeni recenti: food e social media I foodies

90 93 99 105

Chiara Maci: Chiara in Pentola Stefano Paleari e Riccardo Casiraghi: Gnambox Alice Agnelli: A Gipsy in the kitchen Anna Marconi: Taste of Runway

118 120 122 123

Analisi sull’editoria food: Rfood Repubblica

125

CASI STUDIO Le riviste di food - l’editoria e il cibo

129 131

4.2 4.3 4.4 4.5

Format editoriali italiani La Gola: mensile del cibo, del vino e delle tecniche di cultura materiale Slow food: la rivista di Slow Food Gambero Rosso Alla Carta: dissertation around a table Dispensa: generi umani e generi alimentari

4.6 4.7 4.8 4.9 4.10

Format editoriali internazionali Gather Journal Mold: the future of the food Fricote: l’épicurien urbain Fuet: food and its peipheries The Gourmand: a food and culture journal

147

3.5 3.6 focus 6 //

3.7 4

4.1

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Sinestesia

111 115

TERZA PARTE 5

CONCEPT

157

6

Il progetto feed

161

6.1

Strategia: Campaign set up Piano editoriale Contenuti

164

6.2

Il magazine: Identità Layout Digital: Promozione Sito web

170

6.3 7

202

Proposta di sostenibilità: L’Associazione Culturale

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BIBLIOGRAFIA Libri e saggi Articoli e Riviste Tesi Filmografia Sitografia

223

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introduzione “…il libro come oggetto, indipendentemente dalle parole stampate, può comunicare qualcosa?” (Munari, 1981) Attraverso le immagini e i prodotti editoriali è possibile stabilire una relazione forte tra cibo e sensi. L’analisi del prodotto alimentare è un campo che si è sviluppato rapidamente e fonda le sue basi sul design e la comunicazione visiva. Il food design, in poco tempo è diventato quindi argomento di studio per teorici e progettisti che hanno cercato di comprendere e condividere le loro tesi e idee attraverso pubblicazioni e progetti, dissertando le loro ipotesi, tramite prodotti editoriali relativi alla cucina come mera applicazione, al DIY fino ad arrivare ad altre tipologie di comunicazione tramite l’argomento cibo. Quando i sensi vengono coinvolti sul piano progettuale, il discorso si rafforza e l’interesse assume delle valenze trasversali. Il cibo infatti, non è solo qualcosa che ci sostenta ma diventa un insieme di piaceri che accompagnano l’atto, la convivialità, la condivisione del sapere, diventando un vero e proprio mezzo di comunicazione. Numerosi sono i progetti editoriali sviluppati a partire da questo tema come le fanzine, riviste nate negli anni Ottanta come mezzo di comunicazione e

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rappresentazione. Si tratta di riviste indipendenti progettate da una sola persona o da collettivi esperti o semplicemente appassionati di un particolare tema, genere o fenomeno culturale (quali possono essere letteratura, musica, fumetto, cinema) e rivolte a un pubblico di nicchia di interessati. Altre pubblicazioni ruotano sempre attorno al tema dell’editoria indipendente, che parte dal basso e che propone un’editoria di ricerca e alternativa. Non si tratta solo di prodotti editoriali curati e belli da vedere, ma riguarda un vero e proprio mood che ricerca qualità visiva, contenutistica e sensoriale.

Numerose altre visioni trasversali ci portano a parlare di cibo: l’arte, il cinema e le illustrazioni poiché il cibo, sia in modo attivo che in modo passivo, dà delle informazioni e trasmette delle sensazioni. Emerge però una criticità dall’ analisi svolta nell’elaborato. Quando parliamo di cibo e delle pratiche legate alla sua comunicazione, si tende a coinvolgere un solo senso: la vista. Risulta evidente il limite della tecnologia che permette un’immediata fruizione delle immagini ma non coinvolge gli altri sensi a volte anche impigrendoli non richiamandoli direttamente. È mia intenzione con questo progetto superare tale limite mettendo in gioco tutti i sensi tramite una comunicazione trasversale, su carta e digitale sfruttando la matericità1. Inoltre si evidenzia una sostanziale barriera comunicativa sottolineata dall’esigenza “di insegnare il cibo” che crea una netta separazione tra esecutore e ascoltatore. Si tratta di una pratica assolutamente unilaterale che contravviene alla bilateralità della comunicazione (comunicare unilateralmente le proprie conoscenze sebbene i commenti permettano un contraddittorio lascia margine alla riflessione che: chi emette pensa di avere una conoscenza migliore da insegnare a chi riceve). In realtà il punto di congiunzione per superare questo gap tra i due livelli è l’intersezione tra i due argomenti: parlare di cibo e di comunicazione visiva attraverso il coinvolgimento totale dei cinque sensi.

La Natura è un tempio ove pilastri viventi lasciano sfuggire a tratti confuse parole;

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1 matèrico agg. [der. di materia] (pl. m. -ci). – Nel linguaggio della critica d’arte, che si riferisce alla materia e al materiale, che privilegia la funzione espressiva della materia in quanto tale.

l’uomo vi attraversa foreste di simboli, che l’osservano con sguardi familiari.

Come lunghi echi che da lungi si confondono in una tenebrosa e profonda unità vasta come la notte e il chiarore del giorno profumi, colori, e suoni si rispondono.

Vi sono profumi freschi come carni di bimbo, dolci come òboi, verdi come prati, altri, corrotti, ricchi e trionfanti, che posseggono il respiro delle cose infinite, come l’ambra, il muschio, il benzoino e l’incenso; cantano i moti dell’anima e dei sensi.

- Charles Baudelaire, Corrispondenze da I fiori del male, 1857 Attraverso vari media è stata sviluppata una campagna social - editoriale per il lancio e successivo mantenimento del progetto grafico di un magazine, una pubblicazione indipendente. Questo servirà alla promozione del magazine e al successivo lancio del n°0 che avverrà durante un giorno prescelto all’interno di un evento più grande. Tale evento racconterà tutti gli step della rivista, dalle iniziali incertezze, all’idea di sostenibilità, al progetto grafico.

Inoltre, sarà il punto di incontro dei valori che sono stati posti all’inizio di questo percorso progettuale che puntiamo a rispettare ed elevare sempre. Obiettivo finale, è quello di riattivare tutti i sensi attraverso degli stimoli esterni.

Pertanto il lavoro su audio e video interesserà anche olfatto, udito, immaginazione, gusto, il lavoro visivo e materico mira a coinvolgere i sensi che solitamente non vengono stimolati.

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Noi osserviamo che il sistema della comunicazione e dell’informazione dispone oggi di una presenza generalizzata, di una diffusione capillare, di un assetto poderoso. È l’industria della comunicazione e dell’informazione a porsi come traente nello scenario contemporaneo.

Peraltro sono riscontrabili in parallelo inquietanti fenomeni di inquinamento visivo e di saturazione comunicativa, sintomi di un sistema in cui tecnologie e apparati, lontani dall’essere autosufficienti, sono bisognosi di direzioni, di scelte e orientamenti progettati.

La grafica è ormai una presenza trasversale.

Dove c’è comunicazione c’è grafica. Come la comunicazione essa è dappertutto.

La grafica è là dove la cultura si fa editoria.

- Carta del progetto grafico, 1989

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prima parte

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1

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cosa significa pubblicare pubblicare (ant. o letter. publicare) v. tr. [dal lat. publicare, der. di publĭ cus «pubblico1»] (io pùbblico, tu pùbblichi, ecc.). – 1. Rendere pubblico, cioè noto a tutti, far conoscere pubblicamente, divulgare 2. Rendere di pubblico dominio per mezzo della stampa: p. un libro, una rivista, un settimanale, un giornale.

Nel corso dei secoli le innovazioni tecniche che hanno interessato la stampa e la tipografia sono state molte e ciascuna di esse ha portato l’avvento del digitale e, in secondo luogo, di internet. Lo sconvolgimento portato da queste due innovazioni, così come le ripercussioni sociali, economiche e culturali che ne sono seguite, è paragonabile soltanto a quella che è stata, all’epoca, la diffusione dei caratteri mobili.

(Ranzani, 2011, p.87) Il termine pubblicare è stato per tanto tempo strettamente legato al mondo dell’editoria. Pubblicare significava utilizzare il mezzo stampa per comunicare qualcosa e le figure professionali a cui ci si riferiva erano i professionisti del settore quali scrittori, giornalisti, editori o tipografi.

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L’atto stesso del pubblicare nobilitava lo scrittore, difatti l’opera stampata acquisiva un valore inestimabile. A partire dagli anni Ottanta, il termine comincia ad acquisire un significato più ampio. Con la diffusione di internet e lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione le sfumature associate al termine, si ampliano divenendo molteplici e variopinte. Il mondo virtuale digitale ha fornito a tutti il più grande foglio bianco di sempre, foglio da poter riempire, ed ecco che pubblicare si associa anche a termini quali postare (su un social network) twittare (termine nato con twitter, che significa appunto cinguettio) divulgare, diffondere che non sono altro che sinonimi della parola madre.

L’editoria digitale oggi ha lo stesso peso di quella cartacea e la scelta che viene fatta non è ponderata ma puramente individuale.

Solo gli amatori, continuano a comprare un libro, o a ricevere delle sensazioni al semplice tocco della carta stampata, altri preferiranno nuovi strumenti quali i kindle. La discriminante nel mondo moderno comincia a diventare solo il gusto del lettore.

The news is, of course, a crucial element in the ongoing mutation of periodical publishing.

And the atomisation of content is based on a 63 new conception of the news: no longer as the indivisible product of a broader perspective delivered through a periodical publication, but as a single autonomous element of information that can be freely and readily combined with other elements.

(Ludovico, 2004, p.62) Già nel 1975 si parlava di “uffici privi di carta” dove tutto poteva essere contenuto nei database dei nascenti computer: We can trace the actual expression ‘paperless office’ back to an article titled The Office of the Future, published in Business Week in June 1975.25 The second section of the article is titled The Paperless Office. Besides predicting

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how computing giants (IBM and Xerox) would dominate the office market until the end of the century, this section looks into electronic methods of managing information which were expected to reduce, progressively but drastically, the amount of paper used in the working environment. The section begins with a quote Fujitsu ScanSnap ad, 2007 26 from George E. Pake, then head of Xerox Corp.’s Palo Alto Research Center (PARC): “(…) in 1995… I’ll be able to call up documents from my files on the screen… I can get my mail or any messages. I don’t know how much hard copy (printed paper) I’ll want in this world.” Starting in the early 1980s (the beginning of the age of personal information) this ‘paperless’ researchand-development mantra would increasingly become a propaganda buzzword aimed at creating a large target market for selling information technology (IT).

(Ibidem, p.62) Se il desktop publishing ha fatto della tipografia un’attività ordinaria, il network ha prodotto un nuovo hub, un contenitore infinito nel quale tutti possono pubblicare.

The turning point: electronic content with the look and feel of print. What has spurred this new wave of hope is the fact that technologies are beginning to look and feel more paper-like.

(Sellen & Harper, 2002 in Ludovico, 2004) In the first decades of the Gutenberg revolution, printing presses, as McLuhan long ago pointed out, poured forth a flood of manuscripts in print form. In a similar manner, one can expect that in the first stages of hypertext publishing, printed books will provide both its raw material and much of its stylistics.

(Landow, 1994 in Ludovico, 2004)

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Un dato da tenere in considerazione è il fatto che su Google, la ricerca più frequente dal 2004 ad oggi associata al termine pubblicare è relativa a social network come Instagram, o Facebook, seguita poi dall’ormai pubblicare un libro. Questi continui e frequenti sviluppi, questa corsa all’innovazione, porta a riflettere sul rapporto che esiste (e coesiste) tra l’editoria come settore professionale e la pubblicazione come “esercizio quotidiano” a volte non preso troppo in considerazione da parte di molteplici utenti del World Wide Web, che condividono ogni cosa, non prestando attenzione alle reali notizie e a cosa accade attorno. È possibile costruire una sorta di mappa di riferimento che tiene conto di questo meltin’ pot e influenze. Se si analizzano le varie definizioni che è possibile ritrovare nei grandi dizionari, l’accezione più generica che viene data del termine pubblicare corrisponde a rendere pubblico, ovvero noto a tutti un fatto, e quindi divulgare una notizia. Altre definizioni, fanno riferimento all’attività editoriale come mestiere, e pongono l’accento sull’aspetto commerciale della stampa.

L’Oxford America Dictionary fa riferimento a “l’occupazione o attività di redazione e diffusione dei libri, riviste o altro materiale per la vendita”.

Il Dictionary of Publishing and Printing include, aggiornando la definizione, anche i formati elettronici. (Tarabusi, 2016) Analizzando vari modelli di pubblicazione, questi ripercorrono dei circuiti comunicativi intrecciati.

Darnton (1982) sviluppa un circuito comunicativo nel quale viene analizzata la produzione e la diffusione dei libri nella società più o meno attuale. Tale modello, costruito sulla base del libro cartaceo definito “forza attiva della Storia”, si concentra su gli attori del processo editoriale e sulla comunicazione fra essi. Il circuito subisce le varie influenze intellettuali dell’epoca, la pubblicità, la congiunzione economica e sociale, l’aspetto politico e legale. Un’altra influenza, fondamentale, è ovviamente quella degli altri mezzi di comunicazione. Una variante è data dal modello di Adams& Barker che analizza il processo attraverso

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5 momenti della produzione di un testo, pubblicazione, produzione distribuzione, ricezione e capacità di durare nel tempo. A loro volta, questi eventi sono strettamente legati a quattro zone di influenza: intellettuale, politica, giuridica e religiosa, le pressioni commerciali, il comportamento sociale e il non trascurabile gusto. Questo modello non prende in considerazione le persone nè come queste interagiscono con i testi. (Bechelloni, 2010 p.36) Rachel Malik invece in opposizione ai modelli citati precedentemente, sostiene che il pubblicare precede la scrittura e governa la possibilità di lettura.

(Pubblicare, Progetto Grafico, 2015) La Malik sostiene infatti che è molto più importante considerare il contenuto piuttosto che pubblicare e basta, inteso come una serie di momenti che delimitano un’ampia sfera fatta di relazioni culturali e mediatiche.

Bhaskar (2013) ha sviluppato una teoria dell’editoria che vuole comprendere sia ciò che precede l’avvento delle tecnologie digitali interconnesse, sia ciò che vi accade durante. È ovvio che il contenuto reale, quello di qualità rappresenta la base di qualsiasi pubblicazione sia cartacea che digitale e quindi divulgata online.

Ogni contenuto non è unitario ma costituito da vari layer che compongono il prodotto finale La produzione dei contenuti viene portata avanti da modelli considerati aspettative o ambizioni, tutto ciò è regolato da due processi trasversali: la scrematura delle informazioni effettuata da colui che pubblica il contenuto, e l’amplificazione, ovvero la volontà di rendere una notizia grande ed esporla ad un mondo condiviso e senza filtri come quello di internet. Tutto questo sottolinea ancor di più la mancanza di mediazione tra l’uno e l’altro medium.

Con l’incremento dell’attuale editoria, e anche grazie e sopratutto all’editoria su piccola scala definita ormai indipendente si assiste ad una sorta di atomizzazione (Shatzkin, 2013) nella quale è chiaro che l’editoria passerà da un’attività settoriale ad una mera esecuzione e successiva pubblicazione senza un reale e condiviso obiettivo.

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Anonymous Press É una piattaforma che permette di generare libretti il cui contenuto è il risultato di una ricerca su Google Images basata su un titolo scelto dall’utente.

Accanto al campo di ricerca si trova la parola pubblica, e il libretto viene subito aggiunto alla biblioteca della piattaforma.

16 pp. 21 × 14 cm, fatto a mano, stampa digitale, $3.

Fig. 1 Landing della piattaforma Fig. 2 LSD, Anonymous Press No. 7936 Fig. 3 I Love you, Anonymous Press n°8019 Fig. 4 Seconda di copertina di un libretto Fig. 5 Ultima di copertina di un libretto

anonymous-press.com

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1.1 | Dai caratteri mobili alla rivoluzione digitale del web 2.0 La trasformazione che stiamo vivendo è cosi irreversibile che Mark Prensky nel 2001 conia il termine “nativi digitali”.

(Prensky, 2001) Si tratta di utenti che sono nati in un’era in cui la tecnologia digitale era già presente nella società, nati e cresciuti “online”. Questi, non si sono mai interfacciati con un mondo differente, per loro quello che c’è è quello che è sempre esistito.

L’attuale versione che consente agli utenti di interagire con ulteriori utenti che vivono connessi, si chiama Web 2.0, mezzo di comunicazione interattivo, sociale e disponibile sempre, h24, senza mai spegnersi. Tale accesso, disponibile in ogni device consente a qualsiasi utente di condividere, informarsi, creare contenuti in ogni parte del mondo, accorciando le distanze. (Tuten, Solomon, 2014 p.14) Con l’avanzamento tecnologico e il successivo sviluppo del World Wide Web, il potere è stato messo in mano ai media digitali, rendendo possibili nuovi prodotti che fino a quel momento non avevano un posizionamento. La rete ha modificato il modo di agire, interagire e relazionarsi, di comunicare, e addirittura pensare, ha coinvolto chiunque e chi più chi meno, è attore partecipante di questo mondo ormai non più parallelo (si pensi a second life…) rendendo possibile una comunicazione non più one to one nè one to many, ma many to many, passando dunque da univocità a collettività.

Fig. 6 Google, principale motore di ricerca utilizzato in tutto il mondo per catalogare e indicizzare le risorse del World Wide Web

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Due dei pricipali esempi di social media, Facebook e Skype che permettono agli utenti di di condividere, informarsi, creare contenuti e tenersi in contatto in ogni parte del mondo, accorciando le distanze.

Fig. 7 Pagina del profilo di Facebook Fig. 8 Skype, schermata di collegamento tra gli utenti durante una conversazione

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1.2 | Editoria e digitale In campo editoriale, la rivoluzione è avvenuta con la nascita degli ebook, del formato epub nei principali software di impaginazione, e degli e-reader ovvero strumenti che permettono una lettura a video della pubblicazione, come il Kindle.

The Kindle is silent, lightweight (a mere 10 ounces or 290 grammes) and only slightly larger than a standard paperback. The user can change the font size at will (a godsend for older readers). The device can contain a few hundred books, it allows the user to search within the text, and it can navigate the Internet: virtual goods can be purchased through wireless mobile broadband, leading Bezos to claim: “This isn’t a device, it’s a service.” He then went on to describe his vision: “The vision is that you should be able to get any book – not just any book”.

(Jeff Bezos in Ludovico, 2014 p.86)

Fig. 9 - 10 Esempi di Kindle

Tale editoria, definita elettronica, è stata la protagonista di una rivoluzione parallela che è riuscita a sviluppare, progettare e mettere in atto validi strumenti e conseguenti linguaggi adatti alle nuove realtà. La nascita e la diffusione del mondo digitale di internet e delle nuove tecnologie, ha raccolto e continua a coinvolgere ogni giorno, un numero sempre più elevato di utenti. L’immediatezza della notizia, tende ad attirare tutti coloro che in un attimo possono avere a portata di mano quello che prima doveva essere cercato tra le pagine di un quotidiano o nell’indice di un libro. Allo stesso tempo gli utenti sono ambivalenti e dunque anche attivi, con la facoltà di scrivere o pubblicare i contenuti che preferiscono causando inevitabilmente notevole impatto sui sistemi di distribuzione e produzione dei contenuti ma soprattutto, aumenta la possibilità di trovare delle notizie più o meno credibili. La differenza sostanziale però tra la carta e il web è il tempo di fruizione dello stesso medium: il cartaceo richiede

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Fig. 11 - 12 Martin Fuchs & Peter Bichsel, Written Images, 2011

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del tempo per coinvolgere, come sa fare bene, tutti i sensi, dal tatto all’olfatto, il web invece è più schietto: da un lato c’è una certa immediatezza della notizia, la velocità della fruizione, l’appetibilità del dispositivo che viene utilizzato per navigare in rete, dall’altra, il non approfondimento della news rischia di fuorviare le opinioni. Tale rivoluzione è facilmente paragonabile a quella che avviò Gutenberg nel 1445 inventando la stampa a caratteri mobili. Come la stampa, la digitalizzazione dei contenuti e la diffusione degli stessi attraverso il web permette una più “facile” e veloce diffusione delle idee, e anche una più leggera informazione nello sviluppo delle stesse. La tecnologia è paragonabile ad una finestra aperta sul mondo, dove tutti possono avere metaforicamente la possibilità di affacciarsi. Se pensiamo che l’utenza può fruire di internet come meglio crede, improvvisandosi o a volte scoprendosi, scrittore piuttosto che giornalista, allora è chiaro che i limiti della professione diventano labili.

Ogni media facente parte della cultura precedente al mondo interattivo è stato trasformato nel suo corrispettivo digitale, ogni media si è evoluto e trasformato in accordo ai corrispettivi tecnici e industriali del momento cosi da potersi adattare alle nuove richieste del mercato: mobilità, editabilità, condivisione istantanea.

Fig. 13 - 14 - 15 Neville Brody, Jon Wozencroft, Fuse, 1991

Libri e riviste hanno comunque continuato ad essere prodotte e vendute dimostrando il passo binario e funzionale del supporto cartaceo: mentre i libri si sono trasformati in un prodotto più pregiato e di nicchia, la rete ha favorito la pubblicazione di numerosi materiali sperimentali, aggiornabili,come ad esempio wikipedia2, e poco commerciali, altrimenti invisibili (Anderson, 2006) Numerosi autori inoltre, hanno provato a superare l’antitesi tra digitale e cartaceo proponendo pubblicazioni sperimentali come Written Images di Martin Fuchs & Peter Bichsel, stampando con metodo tradizionale e riprendendo l’idea di testo ipertestuale o digitale creando diversi gradi e livelli di lettura nei quali il digitale si mischia al cartaceo creando degli ibridi professionali. Un ulteriore esempio è la rivista Fuse progettata da Jon Wozencroft e Neville Brody nel 1991. I due designer inglesi crearono un esperimento unico: una pubblicazione annuale presentata in una scatola di cartone che conteneva una rivista stampata con articoli relativi alla cultura tipografica, un floppy disk con quattro font e quattro poster che utilizzavano quegli stessi font. Nel bel mezzo della rivoluzione della information technology e appena prima di internet per le masse, questa produzione è stata una pietra miliare per il graphic design contemporaneo e una nuova forma di pubblicazione.Gli strumenti digitali spesso riescono ad incentivare e rendere più veloce un cambiamento nel processo di lettura e scrittura preesistente, difatti ciò rappresenta un’opportunità per chi lavora nel mondo dell’editoria e della stampa per dar vita a soluzioni nuove, sperimentali e innovative, nuove forme di pubblicazione.

2 wikipedia è un’enciclopedia online a contenuto libero, collaborativa, multilingue e gratuita, nata nel 2001, sostenuta e ospitata dalla Wikimedia Foundation, un’organizzazione non a scopo di lucro statunitense.

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Il digitale, non ha mai cercato di eliminare la carta, piuttosto ha cercato di essere un’estensione: rispetto ai limiti cartacei.

Questa coesistenza fa emergere ed esalta maggiormente il fatto che la carta continua a vivere ed esistere, in un mercato che diventa sempre più settoriale con le piccole produzioni micro editoriali. Ogni medium dalla radio alla tv, al World Wide Web ha inciso sensibilmente sul medium stampato, portandolo ad una nuova rivoluzione interna. Ma la carta ha sempre mantenuto quella marcia in più che la rende viva, quel medium principale che difficilmente morirà. Ciò che lega l’uomo ad un prodotto editoriale, va oltre la battaglia digitale/cartaceo, il digitale non l’ha messa da parte ma le ha restituito una nuova vita, più elitaria, più elevata e di nicchia, alimentando vita e passione e interesse nei confronti della microeditoria.

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1.3 | Cos’è la microeditoria?

Chi sono i microeditori?

Fu la carta arrivata dalla Cina in Europa attraverso il vicino Oriente che a partire dal XI secolo diede inizio a un costante processo di accelerazione dell’istruzione e del commercio rendendo sempre più popolari le incisioni e ponendo le basi per l’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Gutenberg. (McLuhan, 1964 p.106)

Fig. 16 San Rocco, matrice xilografica e stampa al museo di arte e archeologia di Palazzo Traversa, Bra Fig. 17 Caratteri Mobili in legno 1890 - 1940

Prima che Gutenberg inventasse la stampa a caratteri mobili si stampava su carta tramite xilografie.

La principale caratteristica della stampa consiste nell’essere riproducibile e la ripetibilità è alla base del principio meccanico che ha dominato il mondo a partire da Gutenberg. Con la tipografia, il principio del carattere mobile mostrò come meccanizzare ogni lavoro manuale con la segmentazione e la frammentazione di un’azione totale.

Il libro stampato creò un mondo nuovo, quel mondo stampato che ora si ritrova di fronte la nuova tecnologia elettrica, cioè una nuova estensione dell’uomo. (Ibidem, p.163) È chiaro che il fenomeno dello sviluppo di una cultura elitaria sta cercando di risollevare le sorti della carta stampata. Tale cultura è costituita da realtà editoriali indipendenti, piccole case editrici, festival e punti vendita specializzati che danno spazio all’autoproduzione, all’autopromozione autoriale nel design e nell’arte. Nocciolo di questo tipo di editoria è che l’autore non delega e segue tutte le fasi del libro, dal concept, alla produzione alla stampa.

Nel grande rinnovamento culturale e tecnologico si assiste alla nascita di prodotti editoriali sempre più diversificati, con l’obiettivo di segmentare l’utenza mirando ad una parte di lettori esclusivi con argomenti di nicchia e con specifici riferimenti che faranno si che l’editore possa rendere ancora più appetibile la scelta. Quasi ogni settimana nascono nuove riviste, sopratutto nella nicchia delle indipendenti, e solo pochissime di queste finiscono nelle edicole, entrando

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piuttosto nei canali delle librerie specializzate, dei bookshop dei musei, dei concept store, dei negozi specializzati in questo tipo di editoria (già relativamente diffusi nel mondo anglosassone e in Nord Europa); alcune, più rare, bypassano la distribuzione tradizionale e si affidano solo al web o alla stampa on demand.

Tutte questa riviste, o quasi, hanno un tratto comune: la scelta di dare più spazio possibile alle storie, ai contenuti di qualità, al cosiddetto long form journalism, spesso specializzandosi in piccole/piccolissime nicchie di argomento, di genere, di pubblico geolocalizzato accanto ai soliti temi come i viaggi, il design, l’architettura, la moda, l’arte, la gastronomia.

La sconfitta delle riviste da edicola e di basso spessore ha spinto sempre più gli editori a circoscrivere il proprio pubblico cercando di far coincidere il più possibile gusti, ideali, interessi, background del lettore con quelli di chi il magazine lo fa dal basso e lo produce. Il core è appunto l’idea che la storia, per quanto lo storytelling possa aiutare a farle reggere, non basta più per garantire il successo di un magazine e la sostenibilità del progetto. Infatti, accanto ad un’elevata pubblicazione di nuovi magazine, anche quello di progetti nati e non cresciuti culturalmente è molto alto, dopo appena i primi numeri. I fattori sono molteplici e bisogna sempre considerare ogni cosa, ogni idea, il posizionamento e il modello di business prima di mettere in circolazione un prodotto che non ha le basi adatte per affrontare l’attuale mercato. L’editoria indipendente si concentra su tutti quei temi o autori stessi che rischiano di essere messi da parte dalla grande editoria. Indipendente infatti non può essere sinonimo di qualitativamente elevato ma è un punto di partenza per dar voce a quelle storie che non sono adatte alla grande distribuzione e che altrimenti non verrebbero pubblicate. L’editoria indipendente è un ingrediente fondamentale nel panorama letterario moderno, e non è solo un’alternativa alle grandi catene, ma è altro: partendo dal basso è una scelta, pensata, accurata e politica.

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L’idea è quella di una ricerca di qualità, sia nel libro inteso come oggetto fisico, ma soprattutto riguardo ai contenuti.

La continua evoluzione della stampa ha un ruolo cruciale: da un lato le tecnologie di stampa digitali permettono lavorazioni più complesse a prezzi obiettivamente vantaggiosi e i servizi di stampa on demand (POD) hanno ormai acquisito la leadership.

Dall’economicità della stampa digitale, rinascono le zine.

Questo divide la strada in due, da un lato vi è la produzione esagerata di prodotti editoriali cheap dal punto di vista contenutistico, e dal punto di vista editoriale, progettati senza criterio e divulgati solo per il gusto di farlo, dall’altro invece sta emergendo la cultura della cura dei contenuti, della qualità del prodotto editoriale, dei processi di stampa ad hoc e soprattutto dei materiali scelti, per riuscire a far coesistere in un unico prodotto dei saperi forti, nei quali tutto è scelto appositamente, progettato e pensato per rendere quella determinata pubblicazione di un certo livello.

Inoltre, il sovraccarico del web ha riportato in auge il piacere della lettura non digitale, più lunga, più dettagliata, più reale.

Si tratta non solo di piacere visivo ma soprattutto culturale, immersivo e lento. Questo ritorno di interesse è anche una reazione alla società liquida (Bauman, 2002), alla smaterializzazione dei saperi avvenuta con l’abuso del web come mezzo di comunicazione. Le pubblicazioni cartacee, le autoproduzioni invece, le piccole pubblicazioni, promuovono scambi reali, contatti, link, reti, tramite eventi, festival e spazi fisici messi a disposizione da chi crede realmente in questi progetti e considera la qualità e la realtà un assunto solido.

L’idea di queste produzioni “dal basso” è quella di creare dei libri il cui contenuto non sarebbe trasmissibile su dispositivi digitali, per le caratteristiche intrinseche del prodotto stesso quali la sensorialità, la matericità, i formati, le particolari rilegature, o le tecniche di stampa. Questo porta alla creazione di micro reti di contatti, e a collaborazioni efficienti con tipografie, legatorie, luoghi, come le piccole librerie, condivisione di saperi anche con chi, pur non essendo professionista è vicino a questo mondo, il mondo

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3 réte s. f. [lat. rēte]. – 1. [...]

Insieme di persone o cose il cui collegamento consente di svolgere compiti di collaborazione, cooperazione o osservazione, volti a un medesimo fine: casa editrice che dispone di una efficiente r. di agenti e di produttori.

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dell’autoproduzione e della comunicazione alternativa in senso stretto.

Nessun medium digitale può restituire qualità, sensorialità, materiali, contenuti speciali, che costituiscono la base e sono gli attori principali di questo modo di fare editoria di pubblicare, che è vicino al processo dall’idea embrionale, alla sua totale realizzazione.

Dietro queste realtà, riconosciute in eventi, case editrici, luoghi, librerie, ci sono prima di tutto persone mosse dallo stesso ideale e con un obiettivo specifico e condiviso. Il percorso pregresso non è importante, ma queste figure che operano nel mondo editoriale sono accomunate dalla visione di insieme, dalla convivialità e dalla coerenza progettuale, infatti lo studio, la ricerca, il networking, l’esperienza condivisa sono solide basi per queste realtà che hanno in comune il sogno di un ritorno alla qualità.

La parola rete3 è una key-word in questo ambito ed assume molteplici sfaccettature.

Rete come connessioni, collegamenti, trame, tra un utente e l’altro, tra un produttore e un fruitore. Rete come social network, come mondo virtuale che non deve essere considerato un nemico ma visto come un luogo di autopromozione e proclamazione, sfruttandolo in toto come contenitore parallelo di informazioni e strumento indispensabile per nutrirsi, per guardare, per informarsi, per poter diffondere e pubblicizzare il proprio progetto a livello locale ma anche nazionale e internazionale. Anche perchè, uno dei punti di forza del digitale è anche quello di accorciare le distanze, ciò permette l’autopromozione, e la possibilità di essere apprezzati anche da chi si ritrova dall’altra parte del mondo. La rete inoltre è anche vista come sistema capillare di conto vendita e di partecipazioni a festival ed eventi, gestiti in modo autonomo e indipendente, e anche come punto di incontro tra progetto e fruitore.

(Pubblicare, Progetto Grafico, 2015)

Fig. 18 - 19 Spazio b**k, libreria e laboratorio, Milano Fig. 20 Due delle ragazze che gestiscono lo spazio b**k Fig. 21 - 22 Workshop di serigrafia semplice all’interno dello spazio b**k, autunno 2017

Fig 23 Brochure disegnata da Marta Iorio per il workshop di serigrafia semplice all’interno dello spazio b**k, autunno 2017

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Fig. 24 - 25 - 26 Libreria Verso, Milano

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1.4 | Editoria e crowdfunding Ogni nuova nascita culturale ha sempre bisogno di fondi e risorse per costruirsi, la cultura è cresciuta nel tempo alimentata da grandi investitori che l’hanno sostenuta senza tregua. Negli anni l’arte si è evoluta e ha cercato e trovato una nuova via per il proprio sostentamento: il crowdfunding.

Il crowdfunding è uno dei maggiori sistemi di finanziamento dal basso che permettono oggi di realizzare dei progetti quando non è possibile autofinanziarsi poichè spesso questo diventa causa di un possibile insuccesso.

L’editoria, intesa nel suo complesso culturale, dalla produzione di musica a redazione di libri nell’ottica di capire la complessità del progetto, le professionalità che esso richiede e i costi, dunque la ricerca dei fondi necessari per la sua realizzazione, può ovviamente beneficiarne.

Il crowdfunding (dall’inglese crowd, folla e funding, finanziamento) o finanziamento collettivo in italiano è un processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone e organizzazioni. Si tratta di una pratica di microfinanziamento dal basso che mobilita persone e risorse che credono in un determinato progetto. Il termine crowdfunding trae la propria origine dal crowdsourcing o sviluppo collettivo di un prodotto. Il finanziamento collettivo si può riferire a qualsiasi tipo di iniziativa, dall’aiuto in occasione di tragedie umanitarie al sostegno all’arte e ai beni culturali, al giornalismo partecipativo, fino all’imprenditoria innovativa e alla ricerca scientifica.

Il finanziamento collettivo viene spesso utilizzato per promuovere l’innovazione e il cambiamento sociale, abbattendo le barriere tradizionali dell’investimento finanziario. Negli ultimi anni sempre più spesso è stato invocato come una sorta di panacea per tutti i mali e un’ancora di salvezza per le economie colpite dalla crisi finanziaria. Il web è solitamente la piattaforma che permette l’incontro e la collaborazione dei soggetti coinvolti in un progetto di crowdfunding.

Secondo il Framework for European Crowdfunding l’ascesa

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Fig. 27 Campagna di crowdfunding per Short Stack Editions, 2013

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del crowdfunding negli ultimi dieci anni deriva dal proliferare e dall’affermarsi di applicazioni web e di servizi mobile, condizioni che consentono a imprenditori, imprese e creativi di ogni genere di poter dialogare con la crowd per ottenere idee, raccogliere soldi e sollecitare input sul prodotto o servizio che hanno intenzione di proporre.

Il crowdfunding è una importante fonte di finanziamento ogni anno per circa mezzo milione di progetti europei che altrimenti non riceverebbero mai i fondi per vedere la luce.

Nel 2013 in Europa sono stati raccolti fondi pari a circa un miliardo di euro.

Si stimano aumenti esponenziali nel prossimo futuro, milioni di miliardi entro il 2020, grazie al crowdfunding, che trova tutti gli elementi per poter sprigionare al meglio le sue potenzialità nel web 2.0.

Le iniziative di finanziamento collettivo si distinguono in iniziative autonome, sviluppate ad hoc per sostenere cause o progetti singoli e in piattaforme di crowdfunding.

Barak Obama, per esempio, fu colui che rese noto il crowdfunding pagando parte della sua campagna elettorale per la presidenza con i soldi donati dai suoi elettori, che erano i primi portatori di interesse.

Il crowdfunding è un ottimo mezzo per sostenere iniziative legate al prodotto editoriale, nel momento in cui si tratta di un’idea valida ed interessante e fornisca un plus per la società di riferimento. Si tratta infatti di uno dei cardini del finanziamento dal basso, che premia soprattutto le idee intelligenti e migliori che riescono a essere finanziate proprio in quanto tali e in quanto utili per una larga folla di persone; inoltre, tanto più l’idea è buona tanto più interessa diverse persone, tanto più facilmente può essere finanziata dal basso. Molte più persone ne saranno in parte affascinate e incuriosite, perciò saranno disponibili a donare, attivando una rete che provoca un largo crowdfunding.

In questo, il social networking attuale fa da trampolino di lancio e il WOM genera interesse, come una catena.

In generale, per il finanziamento dal basso, esistono molte piattaforme di crowdfunding attive a livello internazionale a sostegno di iniziative editoriali come Upspringer, o per la musica Musicraiser che diventano punto di incontro tra coloro che hanno un progetto editoriale da realizzare e i fan/ lettori che possono decidere e scegliere chi e cosa vogliono vedere pubblicato. In questo modo la filiera viene ribaltata e sono i fruitori finali a scegliere e decidere quale, per loro, è il progetto “vincente”, si tratta appunto di una rivoluzione totale che parte dal basso.

Una campagna di crowdfunding ha come obiettivo raccogliere i fondi necessari alla realizzazione di un progetto e per raggiungerlo è importante avere un piano d’azione efficace che consiste in una serie di azioni specifiche che devono essere eseguite secondo una logica precisa, al fine di raggiungere il proprio goal.

definire quali sono gli obiettivi da raggiungere

perchè si vogliono raggiungere tali obiettivi

quali sono le azioni utili per realizzare il progetto

Grafico 1 I tre step utili per raggiungere il proprio goal

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Fig. 28 Campagna di crowdfunding per il progetto Stiamo scomparendo – Viaggio nell’Italia in minoranza di CTRL magazine, 2017

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Produzioni dal Basso Produzioni dal Basso è la prima piattaforma di crowdfunding nata in Italia.

Rappresenta la più grande community italiana del crowdfunding reward based donation ed è una delle più importanti realtà europee nel panorama della sharing economy. Dal 2005 permette a chiunque di proporre e raccontare, in modo semplice, il proprio progetto allo scopo di raccogliere fondi per realizzarlo.

Nel 2017 nella piattaforma viene inserito il progetto “Stiamo scomparendo – Viaggio nell’Italia in minoranza” è il titolo di una rivista che si trasforma in un libro di reportage. Un viaggio da nord a sud attraverso le minoranze linguistiche tutelate dall’articolo 6 della Costituzione.

1.5 | Editoria sostenibile, quanto costa produrre un libro Il fallimento o la buona riuscita di un progetto editoriale autoprodotto è determinato da molteplici fattori.

Dal momento in cui si decide di autopromuoversi e quindi di commercializzare il progetto è necessario confrontarsi con economia, sostenibilità, costi progettuali, e quindi all’autogestione di risorse, tempo, idee.

Il diffondere e il divulgare non sono più gli unici obiettivi da perseguire, ma anche la sostenibilità e la modalità con cui si riesce ad ottenerla diventano un obiettivo primario e fondamentale per la riuscita del progetto stesso.

Spesso accade che molti progetti autoprodotti cadano in un limbo senza riuscire a progredire risultando di fondo deboli, molti altri, al contrario, crescono e si evolvono grazie alla conquista della fondamentale sostenibilità iniziale, ampliando il proprio network fino al raggiungimento della serenità economica. Se un progetto non va avanti possibilmente non ha avuto le forti motivazioni di cui necessitava, nè il corretto linguaggio comunicativo, risultando infine debole nei contenuti determinando dunque il fallimento del progetto stesso.

Per sostenere l’editoria sono necessarie risorse economiche non indifferenti, alcune destinate “solo” alla ricerca che possono dare frutti a medio lungo termine.

(Pubblicare, Progetto Grafico, 2015) Nondimeno, è necessario considerare i costi di produzione, - elevati per chi produce in Italia - mirando ad una certa qualità. Altresì da tenere presente è l’aspetto relativo ai costi di distribuzione, dato che non sarebbe possibile gestire tiratura tali da abbattere i costi di stampa per piccole case editrici. Il mercato creato dalle grandi case ha fatto lievitare i prezzi di copertina, curando i criteri di posizionamento e marketing mettendo da parte la reale commisurazione dei costi legata al valore intrinseco del libro.

Pubblicare non è solo informare, ma proporre e spiegare punti di osservazione differenti e significativi, mostrare un particolare taglio progettuale, una trasversalità, una

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differente prospettiva. (Pubblicare, Progetto Grafico, 2015) Da mera attività informativa e divulgativa, la funzione del libro, caratterizzandosi in propria espressività e narratività, enfatizzando la sinestesia, non solo nella realizzazione dei contenuti ma anche nella struttura della forma e dei materiali. La ricerca fa parte del progetto stesso, ed è fondamentale che questa sia ricca il più possibile per poi concentrarsi sul progetto finale con opportune reference progettuali ed entrare poi nel mercato editoriale.

Questa sperimentazione e questa volontà forte di mettersi in gioco rappresenta il tentativo da parte dei progettisti e curatori di ritagliarsi un ruolo differente, caratterizzato da passione, costanza, nuove competenze e processi sempre atti ad evolversi per ampliare la figura del designer. Egli infatti non è solo un mero esecutore, ma appunto vive e coesiste con le altre figure che prendono parte al progetto editoriale.

Pubblicare in generale è fare rivoluzione tanto artistica quanto culturale proponendo una visione differente di società, la rivista è il medium comunicativo alternativo ai canali istituzionali e ufficiali dell’editoria standardizzata ed è essa stessa il mezzo di divulgazione delle teorie messe in atto insieme agli obiettivi da raggiungere. La prospettiva di fruizione dell’opera può cambiare e la rivista, può mirare a spodestare i musei e le gallerie dal ruolo di unici mediatori culturali.

Si può fare cultura in tanti modi, uno di questi è promuovere l’autoproduzione e la cultura con mezzi uguali ma allo stesso tempo diversi, con progetti editoriali sinceri e veri, democratici.

In numeri In un’analisi che riguarda il processo e la successiva produzione è necessario dover parlare di conti economici, ovvero tutto ciò che ruota attorno al mondo dell’editoria e che regge il sistema delle grandi case editrici e che stanno dietro al prezzo di copertina di un libro.

Secondo il report sullo stato dell’editoria in Italia 2016, a cura dell’Ufficio Studi dell’Associazione Italiana Editori (AIE) il

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mercato del libro è in generale ripresa, infatti dagli anni della crisi, l’editoria libraria italiana è più internazionale, con una maggiore capacità di proporre e vendere diritti degli autori italiani sui mercati stranieri (non più solo per bambini e ragazzi, ma anche titoli di narrativa) e di realizzare coedizioni internazionali, soprattutto nel settore arte e bambini, che insieme rappresentano il 76% dei titoli in coedizione. Il mercato e-book, nonostante sia cresciuto meno di quanto si prevedeva, vale oggi oltre il 5% del totale, mentre quello del digitale nel suo complesso il 13% (nel 2011 era il 5%).

In generale, rispetto al periodo pre crisi del 2010 è chiaro che i canali di vendita sono molto cambiati, cresce l’online, la grande distribuzione crolla, tiene la libreria e si fa spazio la microeditoria con proposte controcorrente. Il problema più grave è dato dal fatto che sempre meno gente legge, e compra libri e l’Italia registra la più bassa percentuale di lettori a confronto con le altre editorie: la media italiana si attesta sul 40,5%. Nel 2016 le case editrici italiane hanno pubblicato 66mila titoli a stampa. Di fronte a un mercato interno ristretto, gli editori italiani puntano sulla valorizzazione di un “copy in Italy” di eccellenze editoriali, che in alcuni settori esprimono al meglio la varietà e l’articolazione di un’offerta di qualità. I prezzi medi di copertina sono cresciuti del 2,8% e nel 2016 mostrano una conferma della crescita già rilevata nel 2015, passando da 18,41 euro a 18,93 (+2,8%). Un dato rilevante è il calo della lettura di libri di carta. Per il lettore carta e digitale sono diventati intercambiabili, a seconda delle occasioni e delle necessità del momento. Il basso indice di lettura costituisce il principale problema di crescita dell’editoria nazionale: significa avere un mercato più piccolo rispetto a quello delle altre editorie continentali con cui si confronta. Dopo i primi anni di forte crescita, anche la lettura di e-book presenta segnali di rallentamento. Il 37% dei lettori compone mix diversi di carta ed e-book. Caratteristiche sempre più performanti hanno portato lo smartphone a diventare il device di riferimento per cercare e trovare informazioni, notizie, servizi e, sempre più spesso, leggere e-book e testi complessi.

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La libreria si conferma come il principale canale attraverso il quale le case editrici raggiungono i loro clienti ma le nuove formule di commercio online ne hanno eroso importanti quote di mercato e hanno abituato i clienti a modi diversi di acquistare.

Per fare un rapido calcolo, supponendo un prezzo di copertina di 15 euro con una tiratura di 3.000 copie e un reso del 25%, i costi che incidono sono (Capelli 2012): costi fissi

Grafico 2 i costi fissi e opzionali che incidono su un prezzo di copertina

- 62% costi di distribuzione [raggiungimento punti vendita, promozione, librerie, gestione delle rese] - 15-28% costi fissi e redazionali [stipendi, fiscalità] - 10% diritti d’autore - 7% costi di realizzazione [carta, stampa]

costi opzionali - 4% credito bancario - 8% costi di traduzione

Il totale è di circa 96-119% che palesa come mai siano necessari volumi di vendita altissimi per riuscire a mantenere in pari la propria attività e spiega inoltre l’abbassamento di qualità in termini di materiali e in termini contenutistici: mentre il credito bancario è necessario perchè per conoscere i dati effettivi di vendita di un titolo occorre aspettare un anno e verificare le rese, spesso si sceglie di esternalizzare e precarizzare nzioni percepite come accessorie, come la ricerca, come la traduzione, la progettazione o la promozione.

Di conseguenza l’intera produzione viene, anche se forzatamente, finalizzata alla pubblicazione di best seller, in grado di abbattere i costi unitari di produzione e costruire il margine per continuare la produzione: sono libri che incontreranno un maggiore favore di pubblico in quanto sono acquistati da quel 19% della popolazione che in media compra un solio libro all’anno, ma che costituisce la più gossa fetta di mercato. (Istat 2016)

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In un mercato del genere possono sopravvivere solo i grandi gruppi e la GDO che controllano tutti gli snodi verticali della filiera e i maggiori marchi editoriali, con il conseguente abbattimento di piccole e medie realtà e lo sviluppo di quella cultura delle hit che tanto critica Chris Anderson nel suo articolo su Wired (2004) e che è stata travolta dalla nuova economia nata con il digitale e la rete.

Questo radicale abbassamento dei costi collegato all’aumento dei titoli disponibili sul mercato ha avuto come effetto collaterale quello di portare le persone a scoprire di avere gusti meno di massa di quanto avesse sempre pensato.

As they wander further from the beaten path, they discover their taste is not as mainstream as they thought (or as they had been led to believe by marketing, a lack of alternatives, and a hit-driven culture). (Anderson 2004)

80%

20% cause

Grafico 3 Regola dell’80/20 o principio di Pareto

Dovendo, infatti, scegliere quali libri acquistare, promuovere ed esporre in negozio, i rivenditori hanno sempre scelto i titoli più scontati, omologando di conseguenza le scelte dei consumatori. Era nel loro interesse concentrare i propri sforzi sul vendere quei titoli che avrebbero reso la maggior parte dei guadagni4 trascurando del tutto i titoli di nicchia, in quanto come citava 20% Anderson, nella tirannia dello spazio fisico, avere un pubblico troppo poco ampio è come non averlo affatto. Chi frequenta oggi le librerie, lo fa perchè cerca un contatto, un titolo interessante perchè 80% reputa ci sia qualcos’altro oltre ad un prezzo di copertina conveniente online, cerca infatti un libraio capace di coinvolgere e attrarre con titoli non convenzionali e proposte non scontate, ma soprattutto in grado di incuriosire e guidare effetti nell’acquisto consapevole anche il meno esperto.

Il lettore infatti vuole sempre ritrovarsi in uno spazio accogliente dove è possibile confrontarsi, perdersi, essere attirato a nuove iniziative, in un luogo dove è possibile nutrire anima e corpo. (Parmeggiani, 2015)

regola 80/20 o principio di Pareto. Esso prende il nome da Vilfredo Pareto,uno dei maggiori economisti italiani e viene applicato in tantissimi ambiti e discipline. Si tratta di una legge empirica che afferma che circa il 20% delle cause provoca l’80% degli effetti. Studiando la distribuzione dei redditi, dimostrò che in una data regione solo pochi individui possedevano la maggior parte della ricchezza.

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Anche se il mondo del digitale attira sempre più masse esiste ancora chi tende a preferire piccole realtà e pubblicazioni di editori medio piccoli, a volte pubblicazioni vicine al self publishing con l’obiettivo di valorizzare i mercati di nicchia e quelle tipologie di libri in cui il supporto esterno è ancora una variabile forte. Librerie ed editori indipendenti, oltre a condividere lo stesso (triste, a volte) destino sono comunque carichi e animati dallo stesso impegno nel diffondere la qualità, quella vera, della pubblicazione editoriale, preferendo sempre un libro “ben fatto” sia dal punto di vista della qualità editoriale che dal punto di vista dei contenuti, ad uno mediocre. Tramite queste piccole realtà si riesce ad avere più facilmente un contatto diretto, assicurandosi la possibilità di effettuare uno studio più approfondito e mirato alle richieste del pubblico di nicchia scegliendo autonomamente i titoli più interessanti, e non quelli più in voga. Un modello commerciale di questo tipo non permette più l’idea di potersi limitare a vendere libri, come accadeva una volta, e ottenere un giusto guadagno, piuttosto si stanno diffondendo sempre di più modelli commerciali ibridi in cui non è raro trovare accanto ai libri, altri articoli cartacei autoprodotti (Papero Editore, Piacenza), spazi per portare avanti dei percorsi formativi (Spazio B**k, Milano), o da adibire a bar (Gogol & Company, Verso, Milano), o dove tenere presentazioni e eventi tematici. Tutte queste attività, arricchiscono l’offerta e rendono i lettori parte di una riqualificazione culturale che, spesso, è legata anche al quartiere o alla città in cui la libreria si trova. Per quanto questo ritorno di attenzione verso piccole realtà possa considerarsi inaspettato, la risposta del pubblico è molto positiva: accanto ad un pubblico digital-addicted, che considera il supporto cartaceo solo come un vincolo o uno svantaggio, ci sono infatti ancora moltissime persone che continuano a comprare libri, perché, pur lavorando con il digitale e continuando a consumare abitualmente prodotti digitali, sono alla ricerca di un’esperienza fisica, estetica e materica completamente diversa dal digitale. La stampa tradizionale, viaggia su due mondi paralleli, difatti se da un lato è minacciata dalle nuove prospettive digitali, dall’altro

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ne è rivitalizzata e invece di scomparire si adatta e si evolve, abbandonando gli ambiti in cui il digitale è chiaramente superiore e sfruttando le possibilità offerte dal nuovo medium per potenziarsi e consolidare il proprio ruolo dove le sue peculiarità sono ancora essenziali. Infatti per quanto condividano un certo numero di caratteristiche, i due media sono fondamentalmente diversi, tanto quanto diverse sono le esigenze che soddisfano: mentre il digitale è fatto per la rapidità di fruizione, la carta assicura stabilità e sicurezza.

La natura statica e immutabile del medium stampato, che è sempre stata la principale giustificazione per dichiararne l’obsolescenza, paradossalmente si sta rivelando il suo punto di forza più inattaccabile, sopratutto in un mondo in continuo mutamento. É ormai chiaro quindi che non si sta andando verso una sostituzione ma verso un’assoluta contaminazione reciproca dei due ambiti, una soluzione in cui digitale e analogico riescono a trovare ognuno il proprio ruolo, e a consolidarsi come parti complementari ma indipendenti di uno stesso sistema. I più lungimiranti si reinventano sperimentando e ibridando le qualità uniche della stampa, studiando il modo di integrarle con le nuove caratteristiche digitali, consapevoli che i meccanismi commerciali già assodati e i flussi di denaro che hanno sostenuto l’editoria per secoli sono messi in discussione dalla rete in modo sempre più evidente. L’editoria della grande distribuzione si sta adattando alle nuove dinamiche di mercato e ai nuovi strumenti a disposizione, proponendo prodotti che sfruttino le potenzialità del medium digitale (on demand, contenuti autogenerati), oltre che replicare prodotti progettati per quello cartaceo (e-book). L’editoria indipendente si sta muovendo in una direzione opposta, dando molto spazio a prodotti di qualità: sia di contenuti, sia di realizzazione, dove le scelte di pochi contano più di quelle di massa, segnando “un’importante opportunità storica per una nuova ondata di editoria indipendente, creativa ed estremamente significativa”.

(Ludovico, 2014 p.12).

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Il mercato dell’editoria indipendente, comunque, cresce sia per quantità ma soprattutto per valore. La svolta è data dalla rete di cui si parlava precedentemente. Ciò che conta è il rapporto con chi entra a far parte della filiera, con tutti coloro che collaborano strettamente per la riuscita di un progetto editoriale e non accettano che un libro sparisca dopo un mese e mezzo, e quindi ci tengono a seguirlo sotto ogni punto di vista. Molti autori indipendenti: recuperano piccoli libri, li seguono e questi diventano bestseller, cosa che i “grandi” non possono fare. La Dublini, fondatrice di NN Editore in una recente intervista dichiara che al Corriere della Sera dichiara che: “C’è chi produce libri sapendo di contare su 100 lettori.

Questo mi induce a pensare. Indipendenti significa editori che non hanno alle spalle i grandi gruppi. Ma vorrei lanciare ’idea che essere editori indipendenti significa essere interdipendenti con tutti gli attori della filiera e con i lettori.

E anche tra di noi”.

Fig. 29 - 30 Ore Piccole, Papero Editore In dettaglio Sex & Disabled People, Barbara Garlaschelli, Alessandro Sarchi Opere inedite dei migliori scrittori italiani in 150 esemplari numerati. Si tratta di un progetto d’eccellenza con volumetti stampati su carte di pregio e rilegati a mano.

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1.6 | Zine, Fanzine e Magazine Etimologia: voce ingl. d’america; comp. di fan(atic) ‘fanatico’ e (maga)zine ‘rivista’, propr. ‘rivista per fanatici’.

Quando si parla di zine si intendono quelle particolari rivista con una piccola distribuzione, spesso prodotte da giornalisti o da chi, pur non essendo un esperto, lo fa per hobby.

Le zine trattano temi a volte molto forti ed illustrano diverse opinioni, siano esse concordi o contrastanti, in quanto non devono curarsi degli abbonati e della pubblicità, cosa che invece devono fare le riviste più famose, altre invece, ruotano attorno ad un solo argomento e sono ancor di più di nicchia.

Il termine inglese fanzine nasce dalla crasi delle parole fan (da fanatic, appassionato) e magazine (rivista), e può essere tradotto in italiano come rivista amatoriale.

Indica quelle riviste realizzate da esperti o semplicemente appassionati di un particolare argomento, genere o fenomeno culturale (quali possono essere letteratura, musica, fumetto, cinema) e rivolte a un pubblico specifico di interessati.

Si tratta di produzioni indipendenti, che affrontano varie tematiche, alcune trattano di musica, altre raccontano storie divertenti, altre ancora mostrano sotto-culture, elencano collezioni personali, presentano foto/collage e illustrazioni, altre infine sono fumetti autoprodotti.

Le pubblicazioni sono varie, spesso hanno l’aspetto di miniriviste, ma possono assumere migliaia di forme e formati diversi: A4, mezza pagina, arrotolate, un quarto di foglio, un biglietto del treno o del tram, a fisarmonica o rilegate a mano.

Le fanzines possono essere prodotte da una sola persona o da collettivi e per realizzarle non bisogna essere esperti dell’argomento che si vuole raccontare e/o rappresentare, basta la passione e la voglia a di comunicare il proprio punto di vista trasversale. In genere gratuitamente o per un prezzo nominale, al fine di ammortizzare le spese di spedizione o di produzione e per garantire una base alla sostenibilità tanto sperata. Normalmente editori, direttori e redattori degli articoli o gli autori delle illustrazioni delle fanzines non ricevono alcun compenso finanziario. L’origine delle pubblicazioni amatoriali è oscura e se ne trova traccia nei gruppi letterari americani del XIX secolo, che ad un

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certo punto si riunirono nell’Amateur Press Association e pubblicavano tramite stampa amatoriale raccolte di racconti, poesia e saggi. Il termine fu coniato nell’ottobre 1940 per una fanzine di fantascienza da Russ Chauvenet, che per primo lo ha reso popolare nel circuito del fandom di fantascienza, da dove è stato poi preso e adottato da altri generi.

Anche in Italia le prime fanzine nascono dal mondo della fantascienza, negli anni Sessanta. La più antica che si ricordi è Futura Fantasia, fondata dal regista Luigi Cozzi. Sempre negli anni Sessanta la fanzine diventa strumento di stampa dell’underground musicale e quindi del movimento Hippie.

Numerose sono le riviste amatoriali ciclostilate di stampo psichedelico, quando non dichiaratamente politico che vedono la luce nel periodo attorno al ‘68.

Ma è con il movimento punk, negli anni settanta, che la fanzine assume un suo status di vera e propria stampa indipendente in forma amatoriale: le fanzines, al motto del DIY (fai da te), pubblicano recensioni e interviste di dischi e concerti ignorati dalla stampa musicale ufficiale.

Durante i successivi decenni tale fenomeno si espande anche a tutte le altre scene musicali, ma anche ad altri fenomeni: molteplici sono le fanzines di fumetti, narrativa, cinema amatoriale, tifo organizzato. Ogni tipo di realtà che non trova spazio - talvolta per reali limiti artistici degli autori, talvolta per cieca ottusità degli editori - nella cosiddetta editoria mainstream, si realizza imboccando la strada dell’autoproduzione. Non ultimo un filone artistico che proprio nella diffusione postale trova la sua ragione d’essere: la Mail Art. The Mail Art movement was grounded in a similar do it-yourself practice and freedom of expression, suitable to its radical critique of the art world (no curators, no critics, everybody can be an artist, everybody can create an exhibition simply by collecting works by other artists sent through the mail). Mail Art was based on a remarkable yet underestimated infrastructure: the global postal system. (Ludovico, 2004)

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Le prime fanzine erano scritte a mano o a macchina e stampate usando sistemi di riproduzione primitivi, quali ad esempio la stampa a spirito o il Poligrafo. Di questo tipo di pubblicazione ne venivano prodotte un numero di copie molto ridotto e di conseguenza la loro circolazione era estremamente limitata.

L’uso del ciclostile consentì un grosso salto in avanti dell’editoria amatoriale, fino agli anni ottanta, infatti, questo è stato il sistema di stampa più economico, molto diffuso nonostante la qualità del prodotto finale era bassa. Il crollo dei prezzi della xerografia ovvero della copia “fotocopiata” portò alla nascita di fanzine di migliore qualità grafica fin dalla fine degli anni settanta e ne aumentò maggiormente la velocità di realizzazione e di conseguenza ne rese la produzione ancora più semplice. Con l’avvento del computer e dei software di grafica e impaginazione, la realizzazione delle pubblicazioni amatoriali è stata maggiormente agevolata, rendendole talvolta quasi indistinguibili dalle riviste professionali.

Dalla fine degli anni novanta le fanzine tradizionali stampate su carta hanno cominciato a cedere il passo alla cosiddette webzine o e-zine, che sono più facili da produrre, non richiedendo alcun impegno economico nella stampa, e la diffusione attraverso Internet ne consentiva una ampia diffusione a livello globale.

Nonostante ciò alcune fanzine stampate vengono ancora prodotte, sia per una più agevole lettura, sia per raggiungere persone che non hanno, o accesso alla rete, sia perchè il messaggio che passa attraverso la carta stampata risulta essere totalmente differente, poichè il medium cartaceo porta con se delle specifiche tecniche di matericità e sensorialità che attraverso il mondo digitale è difficile replicare.

Le zine nascono quindi come fenomeno industriale di autopromozione/produzione, divulgazione di varie tematiche, nascono dal basso e come ogni prodotto di stampa legato alla cultura popolare, sono il risultato di molteplici situazioni e contesti che vedono protagonisti attori che condividono un medesimo ideale e obiettivo. Una delle basi per la nascita

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delle fanzine è la sempre più emergente opportunità di accesso a determinate tecnologie in grado di realizzare prodotti di stampa e la possibilità immediata o quasi di comunicare con utenti con uguali interessi ma distanti geograficamente durante il periodo del proibizionismo, negli anni ‘20 in America. Con gli stessi ideali e obiettivi furono creati gli speakeasy chiamati anche blind pig o blind tiger, esercizi commerciali che vendevano illegalmente bevande alcoliche. Tali esercizi furono in auge negli Stati Uniti durante il periodo conosciuto come proibizionismo. La carta comunque, a parte rari casi continua ad essere il medium privilegiato anche in virtù delle caratteristiche materiche e sensoriali, infatti per chi sceglie questo strumento le possibilità espressive e comunicative si estendono anche all’impaginazione, alle tecniche utilizzate, alla legatoria, al confezionamento. Il supporto utilizzato riesce a restituire numerose sensazioni e percezioni molto più concrete e reali rispetto al digitale e in generale alle pubblicazioni web che riescono a coinvolgere il lettore solo marginalmente.

Nonostante le riviste indipendenti continuino a soddisfare nicchie di mercato medio-grandi, a causa proprio della varietà offerta, le pubblicazioni di settore sono diventate meno visibili e più di difficile reperimento (Ludovico, 2014, p.69).

Cosi, le riviste online,

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Fig. 31 - 32 - 33 Ettore Sottsass, Room East 128.

Chronicle, 1962 Fig. 34 - 40 Ettore Sottsass, Pianeta Fresco, 1968

nonostante non possano far pagare il prodotto che viene pubblicato e divulgato, in un sistema come quello della rete basato sulla condivisione di contenuti a titolo gratuito (sharing is caring), assicurano delle entrate sufficienti che provengono dalla vendita di spazi pubblicitari online, e la possibilità di raggiungere un pubblico sempre più ampio ammortizzando così - la contrazione dei ricavi cui è soggetta da diversi anni, l’industria della carta stampata.

(Peschiera, 2016) A differenza delle pubblicazioni periodiche le riviste non sono in competizione con il digitale poichè, per quanto possano essere informative la loro mission è differente.

Il loro obiettivo primario è quello di intrattenere e i contenuti sono mirati ad uno specifico argomento, trattato in modo approfondito sotto ogni sfumatura, e con limiti di obsolescenza medio lunghi in base all’argomento scelto. Il contesto comunque è ovviamente fondamentale e contribuisce all’empowerment della rivista, dal fronte opposto, invece il digitale può diventare un supporto alla carta stampata dando un taglio trasversale al medesimo argomento a causa della fruizione differente: si dedica maggior spazio ad una rivista stampata, si guarda l’impaginazione, la grafica, si tocca con mano, per i più, si odora, e si capta il testo e l’informazione più lunga, globalmente, mentre online ci si limita ad essere catturati dalle immagini e/o dai suoni tralasciando quasi il contenuto dell’argomentazione.

Sottsass ha deciso di spostare il limite più in avanti non accontentandosi di ideare una nuova rivista, ma creando forse uno dei più bei prodotti a stampa del periodo tenuto conto da una parte delle sostanziose risorse a disposizione e degli esperimenti tecnici che oramai rendevano possibili numerose trovate creative. Pianeta Fresco è una forma d’arte nuova che mischia design, pittura, grafica, collage con esperimenti di processo davvero avanguardistici come l’utilizzo del mix di colori nel ciclostile per la creazione dei primi articoli stampati in colore arcobaleno o la personalizzazione di ogni copia con i petali di fiore.

- Edizioni del Frisco, 2017

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focus 1 //

Fame fanzine Fame fanzine è un progetto editoriale di Alessandra De Cristofaro e Irene Rinaldi.

Si tratta di una zine che parla di cibo, magia, viaggi, ma anche di cattivo gusto.

“Da sempre siamo molto attente al cibo, al gusto, al sapore e ci stuzzicava l’idea di parlarne in maniera nostra, senza limitazioni, con un approccio diverso. A volte si tratta il cibo come una divinità intoccabile, ecco: noi volevamo essere un pò blasfeme riportandolo alla pancia, alla spontaneità”.

L’esigenza della libera espressione e fuori dalle costrizioni economiche ha fatto confluire il tutto in una zine. Il nome fame, è nato quasi subito, perchè sia suona bene accanto a “fanzine” sia perché lascia spazio a tante interpretazioni.

48 pagine fotocopiate, quartino centrale a colori, copertina inizialmente stampata in serigrafia, il tutto raccolto con punti metallici. Fame è una fanzine dal carattere volutamente auto prodotto e che per certi versi va contro a tutti i principi della grafica.

“I primi numeri di Fame Fanzine avevano la copertina stampata in serigrafia, una tecnica non casuale dato che per noi rappresenta libertà, libertà di stampare su qualsiasi supporto o superficie, di stampare a casa, di auto produrre.

Secondo la filosofia punk del DIY, che rifiuta le canoniche etichette musicali”.

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Della zine vengono stampate solo 50 copie che vengono incrementate in base alle richieste, da un lato per evitare gli sprechi e dall’altro per consentire a chiunque di poter stampare la rivista autonomamente dal momento che è disponibile online gratuitamente.

rispetto assoluto nei confronti del lavoro altrui. L’editing è il nostro atto di amore nei confronti di chi percorre un pezzo di strada con noi”. (frizzifrizzi.com)

“L’obiettivo di Fame Fanzine non è certo quello di fare i soldi. Almeno per ora! Ma rappresenta un’oasi felice al riparo da scadenze, richieste assurde, clienti difficili da gestire”.

Ogni numero propone un tema diverso che viene sviluppato da illustratori, giornalisti, scrittori, fotografi e fumettisti in totale libertà di tecnica e soprattutto di contenuti. Si parla di viaggi, di magia, rimorsi, amore o cattivo gusto. Il cibo che è veicolato dalla grafica e dalle illustrazioni, crea in ogni numero nuove sinergie con gli argomenti più vari.

“Ci piace il cortocircuito che si crea associando il tema del cibo con altri argomenti, poi la scelta delle varie tematiche serve a noi per capire chi coinvolgere: la selezione garantisce la totale libertà a chi collabora”.

Chi viene invitato a produrre un contenuto è tenuto a sentirsi libero di esprimere la propria arte e di proporre anche cose diverse dal suo campo d’azione abituale, di sfogarsi per comunicare qualcosa di nuovo, senza alcuna, a parte il tema, indicazione editoriale, difatti la libertà è quello che ripaga il contributo gratuito.

“Siamo attentissime a pubblicare un lavoro lineare e corretto, proprio per il

Fig. 41 Manifesto di Irene Rinaldi

Fig. 42 - 45 Copertine di Fame fanzine, 1, 2, 3 4 Fig. 46 Sticker creato da Irene Rinaldi e Alessandra De Cristofaro per Fame n°4

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focus 1 //

Short Stack Editions Uova, pomodori, fragole, avocado, patate dolci, broccoli, miele, mais, mele, zucchero di canna, limoni, prosciutto di Parma, cioccolato, sono solo alcuni degli ingredienti a cui Short Stack Editions dedica i suoi libretti monografici rilegati a mano e curati, ad ogni uscita da chef o critici gastronomici, dispensando ricette e curiosità sulla materia prima in oggetto, affidata a ciascuno. Questi mini magazine sono nati grazie ad una campagna di crowdfunding che ha raccolto oltre 90.000 dollari. Questo progetto editoriale è stato fondato da Nick Fauchald, noto giornalista enogastronomico che collabora con Food&Wine e Wine Spectator. Fino ad ora i volumi usciti sono 32, l’ultimo è lo yogurt. (shortstackeditions.com)

Fig. 47 - 52 Alcune delle copertine dei 31 numeri di Short Stack Editions

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focus 1 //

Salt Food zine “A zine about food culture independently published in Brooklyn, NY”.

Si tratta di un magazine edito da Mitchell Kuga, giornalista, scrittore nato e Honolulu che vive a Brooklin.

Salt è una zine grande formato stampata su un unico foglio. Come un giornale, è piena di articoli, ricette, e nel retro contiene un poster in ogni numero. È stampata a tre colori in formato 22.75x33”. Ad ogni numero sono inoltre allegati stickers, dei tovaglioli da cucina personalizzati e una cartolina di “Things Are What You Make of Them”.

Fig. 54 Salt food zine 1, 2 e i poster allegati Fig. 55 Mitchell Kuga, ideatore della zine

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Fig. 53 Alcune cartoline di Things are what you make of them di Adam J. Kurtz.

Il libro da cui sono tratte è scritto a mano e condivide saggezza ed empatia e racconta i promemoria più importanti o le pagine staccabili permettono di dare un consiglio a qualcuno che ne ha bisogno.

Fig. 56 Poster allegato al n°2 della zine che ritrae Sasha Velour, designer, illustratore e drag queen statunitense

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focus 2 //

Festival & Eventi Negli ultimi anni in Italia si sono diffusi a macchia d’olio eventi incentrati sull’autoproduzione, sulla progettazione sostenibile e sulle nuove forme di artigianato. Oltre agli eventi, si sono moltiplicate le occasioni di incontro tra i nuovi maker e un pubblico interessato a questo tipo di prodotti, ma non necessariamente di settore, nei festival Solitamente vengono allestiti in spazi urbani molto differenti tra loro, vecchi magazzini, spazi autogestiti, a volte viene richiesto un contributo all’ingresso e ci si può trovare cibo e buona musica, accoglienza e quindi un ambiente caldo e adatto per fare rete, networking, nel quale trascorrere un pò di tempo, osservando e sfogliando diverse e varie proposte editoriali, non solo italiane ma anche internazionali. Spesso questi festival vengono svolti in concomitanza con dei market, difatti è facile trovare accessori, abiti, gioielli e piccoli oggetti creati da designer e non solo che sperimentano, così come fanno i piccoli editori.

(Tarabusi, 2016) Solo per citarne alcuni: Sprint - Milano Indipendentemente - Milano Book Pride - Milano Bellissima Fiera - Milano Book City - Milano Fruit Exhibition - Bologna Buk Festival - Modena Fahrenheit 39, Ravenna Microeditoria - Chiari, Brescia Pisa Book Festival - Pisa Più libri più liberi, Roma L’utilità di questi festival è misurabile sulla capacità di presentare e affrontare nella maniera più credibile questo

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fenomeno a partire dal taglio che ciascuno decide di dare alla propria iniziativa.

Vengono condivisi obiettivi e cause come condividere materiale di qualità, e aumentare l’interesse per il libro sia nella sua identità di oggetto di design e quindi luogo di incontro di espressività che nelle sua vesti quotidiana di veicolo di contenuti tramite la sperimentazione e la messa in atto di tecniche particolari con dei toni quasi sinestetici che riescono a stimolare in ogni modo la vista, il gusto, l’olfatto, anche l’udito, con il semplice movimento dello sfogliare un libro, una rivista tramite la materialità e le sue funzioni. Questo fenomeno dell’editoria è anche spinto da una nuova didattica della progettazione, successiva ad un approccio più critico e speculativo, vicino alla pratica del design che trova nel libro e anche nella scrittura, e nella comunicazione strumenti elevati della sua indagine.

Tutto questo risulta essere funzionale al ruolo che il design si sta ricreando in una società che cresce, ed evolve e che crea a sua volta dei mutamenti nei processi che determinano i parametri del design stesso e dell’arte contemporanea.

L’editoria indipendente nasce da un rapporto profondo tra possibilità e limiti che regola la produzione editoriale ma è chiaro che nonostante sia un fenomeno in espansione, è necessario valorizzare quegli aspetti di ricerca e sperimentazione che la caratterizzano e la rendono interessante. Quello che risulta fondamentale è la possibilità di tracciare un percorso che di volta in volta ci metta in condizione di allargare e rafforzare una rete di collaborazioni con figure e realtà secondo noi particolarmente interessanti nel panorama del design europeo.

In Italia, questo fenomeno arriva molto in ritardo rispetto a numerose realtà europee e internazionali in cui questo percorso è già ampiamente maturato e assodato, ma grazie al ruolo della didattica e al lavoro di eccellenze editoriali italiane riconosciute all’estero, e alla crescita e all’impegno di molti designer, giovani o storicamente affermati, anche nel nostro paese si sta consolidando un movimento consapevole che trova nei vari festival, rassegne e appuntamenti che si svolgono durante l’anno, un circuito di incontro e diffusione.

“This edition is dedicated to Giorgio Maffei, a friend and generous being, passionate collector and book lover, to his brilliance and enthusiastic curiosity ∞” - Incipit a Sprint Milano 2017

Fig. 57 - 62 Alcune delle locandine e dei manifesti utilizzati per promuovere i festival e gli eventi di editoria

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La carta: dal papiro alla produzione da scarti alimentari

via della Seta, s’intende il reticolo, che si sviluppava per circa 8.000 km, costituito da itinerari terrestri, marittimi e fluviali lungo i quali nell’antichità si erano snodati i commerci tra l’impero cinese e quello romano. La destinazione finale della seta che su di essa viaggiava (non certo da sola ma insieme a tante altre merci preziose) era Roma

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Quando fu scoperta la carta?

L’avventura inizia dal frammento di una mappa perduta, custodita per tantissimo tempo in una piccola tomba e ritrovata quasi trent’anni fa in una città della Cina chiamata Tianshui, lungo la Via della Seta5.

Tale frammento è ad oggi una delle più antiche testimonianze dell’uso della carta, risalente alla prima metà del II secolo a.C. In questo periodo, secondo gli storici, la carta viene inventata, altri invece, sostengono che le origini della carta non sono definibili dall’uomo nè temporalmente nè spazialmente Possiamo quindi pensare a: “un luogo fantastico, a un tempo mitico, perchè proprio del mito è la forza di questa storia, la storia di un’invenzione destinata a rivoluzionare la vicenda del genere umano”.

(Medioli, 2013 p.19) Tutto inizia dal gelso..

Un gelso sta ritto nel terreno: tronco sottile con linee increspate che puntano in ogni direzione. Sembra morto,

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Fig. 63 Foglia di Broussonetia papyrifera

Broussonetia papyrifera conosciuta più comunemente con il nome di gelso da carta è un albero-arbusto di origine asiatico-orientale introdotto in Europa nella metà del XVII secolo ed oggi presente in quasi tutta Italia. Dalla corteccia si ricavano, per macerazione, fibre molto lunghe usate in Giappone nella produzione di una carta pregiata, nota col nome di carta cinese o carta di seta, e in Polinesia per produrre filati e tessuti. In Cina la pianta viene utilizzata in sostituzione del gelso per l’allevamento dei bachi da seta. Il nome specifico fa riferimento all’utilizzo della pianta per la produzione di carta: ‘papyros’, infatti, è la pianta da cui gli antichi Egizi ricavavano la carta.

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o che dorma. In realtà al suo interno si trova una intera generazione di bachi. Infatti tra i rami dormono gli embrioni dei bachi da seta in un letargo che viene chiamato “diapausa”.

Queste uova si schiuderanno in primavera attirando a sè un lavoro certosino. Gli artigiani, davanti al ciclo di vita del baco, impareranno anche ad aspettare e successivamente, dopo trenta giorni, raccoglieranno i bozzoli dai quali estrarre il prezioso filamento chiamato seta con il quale verranno poi realizzati abiti, ma anche fogli: vengono creati i primi, preziosissimi, supporti per la scrittura. Ma è ancora inverno e le ore scorrono pensando al futuro. Un artigiano percorre i campi e osserva rami spogli e scori del gelso. Nulla lo lascerebbe credere ma sotto la corteccia scorre una forza chiara e paziente, che il sole sposerà per fare forma e colore alle foglie. Divorando quelle foglie, le larve dei bachi cresceranno, fino a trasformarsi in bruchi, e poi in farfalle, protetti dal loro bozzolo di seta, creato per metà dalla loro arte, e per metà dal nutrimento della pianta. La seta, in potenza, è già nei rami ora scuri e spogli, a questo pensa l’artigiano paziente, osservando le sue piante.

Non distanti dai gelsi da baco si trovano altri gelsi, l’uomo li guarda: i bruchi non mangiano le loro foglie. Tali alberi Broussonetia papyrifera6, detti comunemente gelsi, pianta infestante di scarsa utilità se paragonata all’omonima produttrice. Un giorno la pioggia macera quelle cortecce che erano state abbandonate in un recipiente. Quando l’artigiano vede l’opera dell’acqua sul legno, esita. Non getta via le cortecce, ma d’istinto cerca un pestello e le batte. Le cortecce si sfibrano e creano una pasta. Quello che sembra nulla, prende vita nelle sue mani e l’uomo stesso trasforma l’intuizione in metodo: raccoglie la corteccia, ne estrae la parte più interna, il libro (che casualità), e lo fa cuocere in una miscela di acqua e cenere. La parte fibrosa che ottiene la distribuisce su di un setaccio, facendola asciugare dai potenti raggi solari. Dal setaccio infine, l’uomo raccoglie un

Fig. 64 Il lungo viaggio della carta dal 751 d.C. , anno in cui Samarcanda viene conquistata

nuovo oggetto, sottile, ambrato, che sembra un panno ma non è seta. Attraverso questa rudimentale tecnica, detta Tapa, che viene ancora utilizzata nelle isole Tonga, nasce la prima forma di carta. (Libera rielaborazione da Cotone, Conigli e Invisibili Segni d’Acqua). La carta offre un’alternativa meno costosa al foglio di seta, senza rinunciare a nobiltà e leggerezza e fornisce all’uomo uno strumento di scrittura più agevole rispetto agli altri supporti che l’hanno preceduta: lastre di pietra, ossi, pergamena e risulta inoltre essere molto più agevole, leggero e sensibilmente pratico, quella cinese è definita anche seta vegetale. Facendo un passo indietro, e ritornando alla seta come strumento di scrittura, costituisce di base una rivoluzione immensa: è pratica e raffinata e si presta all’arte calligrafica. I suoi primi utilizzi risalgono al IV millennio a.C. in Cina ma a causa dei costi elevatissimi finisce per costituire un mezzo utilizzato solo per testi sacri o documenti ufficiali.

Con l’invenzione della carta invece si ebbe un vero e proprio cambiamento, una rivoluzione, fa da base alle prime forme di comunicazione e impone successivamente in tutto il mondo il modello della cultura scritta.

L’invenzione attraversa lunghi secoli di progresso e conservazione durante i quali la ricetta subisce trasformazioni notevoli rimanendo comunque segreta. Il segreto fu perso nel momento in cui due mastri cartai cinesi furono rapiti e obbligati a svelarne i segreti. Da quel momento la carta comincia il suo viaggio fino ad arrivare ai giorni

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7 carbon footprint, “impronta di carbonio” è un parametro che viene utilizzato per stimare le emissioni gas serra causate da un prodotto, un servizio, un’organizzazione, un evento o un individuo, espresse generalmente in tonnellate di CO2 equivalenteTale parametro può essere utilizzato per la determinazione degli impatti ambientali che le emissioni hanno sui cambiamenti climatici di origine antropica.

Il risultato finale è quello di una carta dalle note tattili e visive inconfondibili, il richiamo alla sua materia prima, mantenendo non solo le sfumature ma anche i segni del prodotto a partire dal quale viene realizzata, risulta perfetta per stampare qualsiasi prodotto tipografico, come libri, brochure, opuscoli, etichette, e scegliere di stampare su carta ecologica prodotta da scarti alimentari è da un lato il risultato di un impegno per la salvaguardia dell’ambiente, ma non è da sottovalutare l’aspetto puramente creativo.

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nostri incontrando nel suo percorso mutazioni, innovazioni e scoperte ma comunque rimanendo “povera” e strettamente legata al processo della tapa.Gli sviluppi, negli anni, hanno portato alla produzione di carta da scarti alimentare, spesso impiegata in ambito editoriale per la creazione di magazine o zine strettamente legati al mondo food. È ovvio che la stampa di immagini di cibo su carta deve avere un livello molto elevato, tanto quello che è rappresentato. Tutto deve riuscire a coinvolgere i sensi e trasmettere delle emozioni e sensazioni non indifferenti, carta, inchiostri, fotografia, grafica, sono dei mezzi fondamentali per includere l’utente del progetto editoriale e trasmettere qualità, non solo visiva, ma anche di contenuti. Tramite il recupero di scarti alimentari, anche la carta può divenire protagonista diretta, essendo lei stessa cibo, trasformato in nuovo medium. Favini coniuga cibo e carta sviluppando le carte ecologiche Crush prodotte da residui dell’industria agro alimentare. Gli scarti di frutta come agrumi, uva, ciliegie, kiwi, o ancora legumi, lavanda, mais, olive, caffè, nocciole e mandorle, costituiscono le materie prime 100% naturali che vengono riutilizzate per la produzione della carta, costituendo un elemento totalmente materico e sensoriale.L’impatto di questa produzione sull’ambiente è minimo perchè l’utilizzo degli scarti permette di risparmiare il 15% di cellulosa proveniente da un albero e di ridurre del 20% le emissioni di gas serra (carbon footprint7) e l’intero ciclo produttivo utilizza il 100% di energia verde da fonti rinnovabili.

Fig. 65 Carta Crush Favini, dall’alto verso il basso: Crush Grape Crush Kiwi Crush Coffee Crush Corn Crush Olive Crush Hazelnut

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Fiori bianchi, bacche di caffè, Verba Volant Edizioni “Un libro è importante per il contenuto che porta con sé, è vero e giusto, ma il contenitore? Non può essere lasciato al caso. Per questo motivo cerchiamo di curare il più possibile anche l’aspetto estetico dei nostri libri per renderli degli oggetti belli da possedere e da sfogliare, non soltanto da leggere. Per questo motivo, un paio di anni fa, ho pensato che fosse ora di avere un’idea di libro diversa… un libro che non dovesse rimanere chiuso in libreria una volta letto che avesse una seconda occasione di vita… A casa non abbiamo quadri, ma lunghe e strette mensole dove libri illustrati di tutte le case editrici e di tutte le lingue decorano le pareti… allora perché non realizzare un libro che decori anche le pareti? Ed ecco nascere l’idea dei Libri da Parati: dei libri che vanno aperti e non sfogliati e che rivelano nell’ultima pagina la sorpresa finale. Un unico foglio tipografico che può essere appeso. Il libro è contenuto all’interno di un contenitore fustellato che funge da copertina e non solo. Una volta appeso il libro, il contenitore può essere utilizzato per contenere ricette, pensieri, documenti…”.

- Verba Volant Edizioni Dalla collaborazione con la casa editrice di Siracusa e Moak, industria siciliana di caffè, è stato prodotto un libro sulla storia del caffè stampato su carta Favini Crush realizzata anche con scarti propri dell’industria siciliana.

Fig. 66 - 69 Fiori Bianchi, bacche di caffè, Verba Volant Edizioni. Stampati su carta Favini Crush prodotta con scarti di caffè (moak) e agrumi

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Fig. 70 - 72 Esempio di un altro libro da parati Le Luci alle finestre, Verba Volant Edizioni

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2.1 | La società della decrescita “La parola d’ordine della decrescita ha soprattutto lo scopo di sottolineare con forza la necessità dell’abbandono dell’obiettivo della crescita illimitata, obiettivo il cui motore è essenzialmente la ricerca del profitto da parte dei detentori del capitale, con conseguenze disastrose per l’ambiente e dunque per l’umanità”.

(Serge Latouche, 2008)

Fig. 73 Serge Latouche

hỳbris ‹ìbris›, dal gr. ὕβρις, «insolenza, tracotanza», e nella cultura greca antica è anche personificazione della prevaricazione dell’uomo contro il volere divino: è l’orgoglio che, derivato dalla propria potenza o fortuna, si manifesta con un atteggiamento di ostinata sopravvalutazione delle proprie forze, e come tale viene punito dagli dèi direttamente o attraverso la condanna delle istituzioni terrene (per es., la h. di Prometeo).

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Abbandonare la “crescita senza crescita” per una decrescita con crescita significa ragionare con una nuova logica, vuole dire credere in una nuova fede: “decolonizzare il nostro immaginario” usando il gergo di Latouche.

Decrescere implica la creazione di una nuova società eco-socialista che dia importanza ai valori ecologici, umani e sociali e in cui questi principi non siano commerciabili, ma siano riscoperti e consentano alla decrescita di essere serena. La decrescita, affinché sia serena, deve possedere tre peculiarità fondamentali. Innanzitutto la decrescita deve essere voluta, scelta, non può essere imposta poiché ha in sé uno spirito rivoluzionario che parte dalle viscere della società per trasformarla dal suo interno. Inoltre, decrescere significa riscoprire il presente senza proiettarsi in un futuro vuoto, è perciò la capacità di saper vivere il proprio tempo ritrovando i momenti contemplativi e di riflessione oggi abbandonati.

Infine, decrescere è un rieducarsi alla vita, una conversione etica ed estetica, una lotta non contro i propri limiti ma contro la propria illimitatezza, contro l’hybris8 e la tracotanza umane. La decrescita è scelta di qualità, libertà e autonomia: non obbedendo più alle richieste sempre più pressanti del mercato che genera i bisogni e produce merce in quantità per soddisfarli. É necessario innanzitutto riconoscere i valori che dominano la società dei consumi, rendersi conto di quanto è stato sacrificato al progresso, alla tecnica, al denaro, all’egoismo e alla velocità.

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Secondo Latouche, scegliere la semplicità equivale a vivere meglio assaporando il gusto della vita: significa riscoprire il proprio tempo, non più votato alla massimizzazione del profitto, emancipandosi dai canoni imposti e dai prodotti artificiali. Con ciò sarà possibile riscoprire il valore dell’altro, non considerandolo più cosa ma persona. Oltre a ridefinire i concetti della società capitalistica, il compito pratico della decrescita investe i sistemi specifici su cui la società della crescita è fondata. Riformare l’apparato economico e di produzione e ricostruirli in accordo con i nuovi valori riscoperti è infatti prioritario per dare corpo al progetto della decrescita. Si tratta quindi di dare nuova importanza ai rapporti di produzione e nuova logica ai mercati e al capitale introducendovi l’aspetto umano ed ecologico.

Secondo Latouche è essenziale, ai fini di concretizzare l’utopia decrescente, ridistribuire, bilanciare equamente e dare a ciascuno il proprio, in termini di ricchezza e di diritti, ridistribuendo anche le responsabilità.

Il manifesto della decrescita: le otto R Per esporre il proprio progetto teorico Latouche racchiude il significato della decrescita in otto obiettivi, otto comportamenti virtuosi. Senz’altro questi punti non esauriscono il discorso decrescita e nemmeno vogliono essere dei dogmi calati dall’alto: si tratta di spazi d’azione in cui ogni attore della decrescita può apportare il proprio contributo, fornendo nuove idee e creando nuovi campi di lavoro. Questi otto obiettivi sono un “circolo virtuoso di decrescita serena, conviviale e sostenibile” (Latouche, 2008 p.52), non sono ordinati su di una scala di priorità né classificati in alcuna gerarchia, ma sono interdipendenti e reciproci.

Gli otto obiettivi sono: rivalutare, ridefinire, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare.

Secondo Latouche, la decrescita è una resistenza alla dipendenza da consumo: scegliere autonomamente i propri bisogni e stabilire da sé i propri desideri, scegliendo le risposte più adeguate, in termini di sostenibilità e di equità,

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rispecchia la volontà di uscire dalla società capitalista per avviare un processo di cambiamento radicale che coinvolga ogni ambito di vita umano. L’educazione e la formazione dell’uomo non saranno volte a determinare nuovi soggetti atti alla produzione e al consumo, la massa di operatori e di clienti sarà sostituita da individui educati al rispetto per se stessi e per la natura, creativi, autonomi e sereni (Ibidem, p.11). La decrescita è arte del saper fare, è innovazione e progresso, anche tecnico, scientifico ed economico, permette una crescita spogliata dall’ideologia consumista e vestita di una nuova consapevolezza: la ricerca del progresso, nella società della decrescita, è indirizzata verso l’aumento del benessere. La ricchezza economica e l’avere lasceranno il posto alla ricchezza interiore, dei legami umani, e all’essere nel suo complesso: “l’uomo deve imparare ad accogliere questo dono, che è dono del luogo e del tempo di vita del dono stesso. Si tratta anzitutto di accogliere l’altro, pianta, animale o uomo che sia. Il passo successivo è la reintroduzione dei rapporti personali nell’arte di consumare”. (Ibidem, p.11)

rivalutare ridefinire ristrutturare rilocalizzare ridistribuire ridurre riutilizzare riciclare 69

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2.2 | Tecniche di stampa Nonostante questa tesi non si ponga l’obiettivo di analizzare tutto quello che ruota attorno alla stampa di un magazine autoprodotto, le tecniche di stampa costituiscono un elemento fondamentale dello stesso e all’interno dello scenario della produzione di un libro poichè corrispondono all’incisione su carta dell’idea progettuale, chiudendo il cerchio iniziato da una semplice idea. Le tecniche di stampa, sono numerose e varie, qui sono state prese in considerazione le principali per poter raccontare, in modo esaustivo, cosa accade quando si passa da un idea a un progetto che sta per essere realizzato.

Tipografia La tecnica di stampa più antica, inventata da Gutenberg, è la stampa tipografica. Si tratta di una lunga tradizione e fino a metà degli anni ’70 era la tecnica più utilizzata, a livello mondiale. Al giorno d’oggi tuttavia questo processo di stampa a pressa è stato largamente sostituito dalla stampa offset. Nella produzione dei giornali capita però di trovare ancora qualche esemplare a stampa tipografica.

Caratteristici della stampa tipografica sono da un lato i caratteri (scritte, immagini) più elevati nella disposizione rispetto agli elementi da non stampare (interspazi tra parole e righe). Quando i rulli applicano l’inchiostro alla lastra di stampa, si colorano gli elementi posti alla stessa altezza, e tramite la pressione lasciano il segno sulla carta.

Particolarità di questa tecnica è la lieve impronta sul lato anteriore della carta derivante appunto dalla pressione. Sul lato posteriore si forma un rilievo più o meno pronunciato chiamato ombra.

Si nota anche il bordo schiacciato presente nelle zone periferiche dei punti della griglia in corrispondenza delle immagini e ai bordi dei caratteri.

Fig. 74 - 75 Caratteri mobili in piombo Preparazione alla stampa con caratteri mobili

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Calcografia Per capire meglio come avviene la stampa calcografica possono essere di aiuto le antiche tecniche artistiche, perché questo processo di stampa si è sviluppato a partire dall’acquaforte, dall’eliotipia e dall’incisione. In questo caso le parti da stampare sono incise sulla lastra da stampa vengono chiamate celle. In base alle loro dimensioni e profondità possono contenere quantità diverse di inchiostro.

La calcografia moderna si distingue per lavorare con speciali tipi di inchiostro a colori, perfetti per tale scopo sono ad esempio quelli a bassa viscosità ovvero quelli liquidi. Ogni colore necessita tuttavia di una lastra a parte. Le celle si riempiono di inchiostro che si depone sui punti che non premono; successivamente si pressano contro la superficie da stampare. In effetti la stampa calcografica è l‘esatto opposto della stampa tipografica. La calcografia è particolarmente adatta per la stampa di immagini, poiché lo spessore dei vari strati di colore corrisponde alle diverse tonalità dell’originale.

Quindi le riviste illustrate, i periodici, i dépliant o i cataloghi di vendita per corrispondenza sono stampati solitamente con questa tecnica.

Planografica / off set La stampa offset è una tecnica intermedia tra tipografia e calcografia, si avvale di diverse reazioni fisiche a partire da acqua e grasso. La struttura in superficie viene usata per disporre l’inchiostro e gli spazi vuoti sullo stesso piano.

Sulla superficie ingrassata si fissa l’inchiostro contenente grassi o olio, mentre le superfici coperte d’acqua lo respingono. Il colore quindi aderisce solo alle superfici da stampare.

La stampa di distingue in offset a foglio (carta a

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Fig. 76 - 77 A sinistra, dall’alto Stampa calcografica, Lorena Lopez Centell Artista Visual, 2015 Fig. 78 - 79 Esempi di matrice e stampa planografica Fig. 80 - 81 A destra, dall’alto, telaio e racla, essenziali per la stampa serigrafica

singoli fogli) e stampa roto-offset (grandi rotoli di carta che arrivano a pesare anche alcune tonnellate). Al giorno d’oggi il 60% dei lavori di stampa si effettuano con la tecnica offset.

Serigrafia Con la serigrafia, i punti da stampare si trovano nelle aperture di una sagoma o nelle zone di un tessuto in plastica non coperte dalla colla.

Queste aperture spesso sono poste su un setaccio o su un tessuto in materiale plastico teso su un telaio. Utilizzando una racla in gomma si passa il colore sopra le aperture esercitando una certa pressione. Una sagoma copre le parti che non vanno colorate. La serigrafia funziona su oggetti come le bottiglie, ma la qualità del colore dipende sempre dal materiale di cui è fatto l’oggetto da stampare. Un impiego tipico della serigrafia sono la stampa pubblicitaria o tessile, ad esempio per bandiere o stendardi. Si possono stampare con la serigrafia anche altri prodotti, tra cui volumi illustrati, adesivi ed etichette, stoviglie, sacchetti e grandi poster.

ciclostile La tecnica di riproduzione del ciclostile consiste nell’utilizzo di una maschera sagomata, chiamata matrice, attraverso la quale l’inchiostro viene trasferito sulla carta durante l’azione di stampa. La matrice è costituita da un foglio di carta ricoperto da uno strato di cera, inciso dai martelletti della macchina da scrivere, i quali, battendo sul foglio, distruggono la cera. In questo modo l’inchiostro passa sulle zone prive di cera e viene successivamente traslato sui fogli in fase di stampa.

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Risografia Si può definire la stampante Risograph come figlia del ciclostile (favini.com) poichè il procedimento utilizzato dalla prima è più o meno lo stesso, leggermente più evoluto, rispetto a quello del ciclostile9.

Nato nel 1887, su brevetti di Thomas Edison, il primo ciclostile fu il Mimeograph Edison di Albert Black Dick.

La nuova invenzione registra un elevato successo grazie alla sua semplicità d’uso che ne consente un utilizzo di massa. Dagli anni ‘30 il ciclostile fu utilizzato per la stampa delle fanzine, riviste giornalistiche dedicate a nicchie di appassionati, un’alternativa valida ai mezzi di comunicazione tradizionali. Abbandonato con l’arrivo della xerografia, economicamente più competitiva, il ciclostile torna in auge negli ultimi anni evolvendosi in quella che oggi prende il

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nome di stampante Risograph. Riscoperta per uso creativo da fotografi, designers e grafici, la stampante Risograph è oggi strumento di tendenza e mezzo d’espressione di nicchia.

Erroneamente da come si pensa il nome Risograph non deriva dall’utilizzo di fogli in carta di riso come matrici, bensì dalla parola “riso”, che significa ideale. Probabilmente il nome intende raccontare l’obiettivo utopistico di sviluppare un metodo di stampa perfetto. Il tipo di stampa Risograph è a metà strada fra la serigrafia e la stampa offset: la macchina crea una matrice che viene avvolta attorno ad un cilindro attraverso il quale passa dell’inchiostro liquido.

Digitale Con la stampa digitale solitamente si identificano diversi sistemi in cui la matrice non è fisica, ma viene generata da un software e impressa direttamente sul supporto da stampare.

Se da un lato la carta e gli inchiostri sono generalmente più costosi che nell’offset, non avendo costi di avviamento la stampa digitale ha permesso la diffusione di contenuti autoprodotti e il print on demand: la stampa offset necessita infatti di una tiratura minima di circa 500 copie per risultare economicamente sostenibile, con il rischio di causare spese addizionali legate alle giacenze di magazzino. Tuttavia, la qualità della stampa digitale è spesso inferiore a quella offset, in particolare quando il lavoro presenta ampie aree di fondi pieni o uniformi. (Stracuzzi, 2014) Non essendoci una definizione chiara di stampa digitale, vengono fatte rientrare nella categoria macchine dalle caratteristiche molto differenti, tra i principali ci sono: la stampa inkjet nella quale l’immagine viene riprodotta attraverso il deposito di piccole Fig. 82 Esempio di stampante risograph gocce di inchiostro sulla carta, per mezzo di una Fig. 83 matrice di punto e la stampa laser che utilizzando Dettaglio di stampante digitale a quattro colori il principio dell’elettrostatica, per cui particelle cariche positivamente o negativamente sono

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Fig. 84 Risografia, Alisa Mahat, Visual Designer alisamahat.com Fig. 85 Risografia, Jan Van der Veken, Gent, 2016

attratte dai loro opposti, l’immagine viene creata da un laser che imprime la superficie fotoconduttrice punto per punto.

La superficie viene quindi ricoperta dalla polvere di un toner carico negativamente che si deposita solo con le aree a carica positiva.

Fig. 86 - 89 Stampa digitale e dettagli, Alisa Mahat, Visual Designer alisamahat.com

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focus 4 //

Edizioni Precarie Edizioni Precarie è un progetto dell’architetto Carmela Dacchille, nato nel 2013 e fortemente legato al territorio di cui fa parte. Per i quaderni vengono utilizzate le carte alimentari da imballaggio, trasformate in uno strumento per parlare dei mercati storici di Palermo, realtà precarie in trasformazione, realtà culturali e commerciali che andrebbero sviluppate, sostenute e trasformate per tenere testa ai cambiamenti quali commercio e scambio, e che invece si trovano a vivere un lento declino.

Carte e buste da lettera, racconti illustrati, segnalibri, e altri esperimenti arricchiscono questo progetto grafico di design artigianale. L’idea è di riutilizzare le carte dandogli nuovo uso e nuovo valore. Usare l’immenso potere della decontestualizzazione e sfruttarne le proprietà quali resistenza, ruvidezza o consistenza vellutata che può avere ad esempio la carta oleata, ma pure l’estetica, con tutte quelle stampe che finché le tieni nella borsa della spesa o dentro al frigo neanche te ne accorgi quanto siano belle.

La prima creazione è stato il CARNEt de Reves, il quaderno dei sogni, realizzato al 99% con carta da carnezzeria e un sottilissimo velo (appena l’1%) di carta da torrone. Perchè edizioni precarie?

Edizioni come termine tecnicamente non è corretto perché principalmente si tratta di quaderni. Però partendo da quel termine, l’ha trasformato, cosi come fa con la carta, cambiando il punto di vista. Precarie poi perché tali sono quelle realtà che stanno scomparendo, anzi trasformando, cosi come accade ad esempio con i mercati tradizionali.

(Intervista a Carmela Dacchile, Frizzi Frizzi, Simone Sbarbati, 2015)

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Fig. 90 - 92 Carte alimentari da lettera Quaderni realizzati con le carte dei Mercati di Palermo Fig. 93 - 95 Alcuni degli scatti realizzati durante il workshop en marche au marchè

“[...] Alla fine Edizioni Precarie te lo spieghi così: come una sorpresa, che è questione di sguardi e di mani che proprio non riescono a star ferme”.

En marche au marché Palermo, 2015 Il collettivo Le Cagibi ed Edizioni Precarie ha guidato i partecipanti al workshop “En marche au marchè”. È stata progettata una piccola edizione a tiratura limitata, a partire dalla scelta della carta, alla sperimentazione delle sue forme, passando per la stampa serigrafica e altre tecniche sperimentali (timbri alimentari), fino alla rilegatura. Il fine è stato quello di offrire un’esperienza di lavoro e di creazione collettiva nella realizzazione, interamente manuale, di un libro-oggetto a tiratura limitata, esplorando dall’interno il funzionamento e le dinamiche che animano realtà micro-editoriali come quelle di Le Cagibi e Edizioni Precarie.

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focus 4 //

Libri finti Clandestini Libri Finti Clandestini, è un progetto nato nel 2103 dall’idea di Sebastiano, giovane grafico e aspirante fotografo, di recuperare tutta la carta che veniva stampata e altrimenti buttata via per farne dei libri, da continuare a disegnare o da lasciare così come sono e sfogliare.

Alcuni di questi sono semplicemente assemblati, altri, progettati per festival, concorsi e mostre, raccontano storie poetiche e beffarde come il collettivo che le ha realizzate. Le poche stampe che realizzano sono fatte imprimendo i caratteri a mano o con la stampante digitale, mente i libri sono assemblati in un modo non professionale. Tuttavia il successo di questa realtà è dovuto da un lato alla capacità di integrare i prodotti di carta con gli strumenti digitali adatti a promuoverli tramite fotografia, video, social media, dall’altro all’abilità di creare uno storytelling positivo che avvicina anche l’utente meno vicino al mondo dell’autoproduzione. Da non trascurare è la capacità di chi fa parte di questo progetto di mettersi in contatto con altri attori di questa controtendenza, spostandosi e coinvolgendoli nella propria attività, e partecipando a eventi e festival, non solo in italia, ma in tutto il mondo.

Libri Finti Clandestini è un collettivo beffardo* formato da El Pacino (Milano - 1988), Aniv Delarev (Pueblo Nuevo Solistahuacán- 1980) e Yghor Kowalvsky (Petropavlovsk-Kamchatsky - 1985).

Libri Finti Clandestini è un esperimento nell’ambito del riciclo.

Lo scopo del collettivo è quello di realizzare veri e propri libri (sketchbook, taccuini, diari di viaggio, “libri oggetto”...) usando solamente “carta trovata in giro”, carta che la gente considera spazzatura: scarti di tipografie,

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prove di stampa e carte di avviamento, sacchetti della spesa, poster, buste, sacchetti del pane, carta da parati...

La carta usata proviene infatti da laboratori di stampa, festivals, case di amici, fabbriche abbandonate in giro per l’Europa, università di arte, biblioteche...

La carta “trovata in giro” viene assemblata e rilegata a mano secondo un metodo non professionale, ossia in modo diverso da come procederebbe un rilegatore professionista.

Pazienza esclusa, l’intero processo è a spesa zero, ed è a impatto zero sull’ambiente.

Libri Finti Clandestini è un esperimento nell’ambito della decrescita.

Il risultato finale è un vero e proprio libro, pronto per essere scritto, disegnato o per assumere qualsiasi altro significato il possessore voglia dargli.

Nota Bene: Libri Finti Clandestini è un collettivo beffardo * perchè vende alla gente la sua stessa spazzatura.

- librifinticlandestini.com

Fig. 96 Carta da scarto utilizzata per comporre i libretti Fig. 97 Interno di un libretto Fig. 98 Interno di un libretto pop un Fig. 99 Piccolo libretto pop up dedicato ai tipografi più famosi vissuti tra 1400 e 1830 Fig. 100 - 102 Altri libretti realizzati con carta da scarto

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seconda parte

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sinestesia Il termine sinestesia deriva dal greco synáisthìsis che significa “percepire insieme”, syn che significa “unione” ed aisthesis che significa “sensazione”, quindi percepire insieme, più sensazioni.

Si tratta di una particolare forma di interazione nella quale stimoli induttori e sensazioni prodotte da qualcos’altro creano una relazione di causa ed effetto. Da un lato vi è la sensory, lo stimolo ricevuto da una realtà esterna, dall’altro l’imagery, che è una costruzione che si attiva e prende forma nella mente. Nella sua forma più elementare, chiunque è in grado di creare delle sinestesie, per esempio, quando si è in determinate situazioni in cui un odore, un rumore, o un semplice sapore evoca un’altra reazione sensoriale. Questo perchè sensi, pur essendo autonomi l’uno dall’altro, spesso coesistono e reagiscono insieme. Quando il discorso invece ruota attorno alla “forma pura” la sinestesia si manifesta automaticamente come fenomeno percettivo e non cognitivo.

Gli atti verbali e fisici hanno origine nella mente. Quando gli organi di senso e la realtà esterna interagiscono, all’interno del corpo si sviluppa una sensazione, da cui si originano reazioni che sono causa di nuove azioni, come una sorta di reazione a catena di emozioni.

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Gli stimoli provenienti dal mondo esterno sono innumerevoli e non quantificabili, l’uomo non è in grado di recepirli tutti infatti nel corso della sua evoluzione ha fatto una selezione naturale cogliendo solo quelli utili alla sopravvivenza. Con lo studio, il tempo e soprattutto l’evoluzione, i nostri sensi si sono specializzati a ricevere determinati stimoli piuttosto che altri, determinate frequenze e determinati sapori. Questo è dovuto al fatto che l’uomo non è in grado di saper gestire tutti gli stimoli del mondo esterno e solo in rari casi riesce a percepire sensazioni ed emozioni che lo rendono “superiore” ad altri, come nel caso degli ultrasuoni che sono superiori ai suoni mediamente udibili da un orecchio umano ma non recepibili dalla gran parte di essi.

Questi stimoli esterni, richiamano delle informazioni che sono state recepite precedentemente, creando delle connessioni nella corteccia cerebrale, ed è per questo che il corpo umano è in grado di conseguire l’interoperabilità attraverso un processo di cognizione.

I caratteri sinestetici possiedono diversità di interazione, e questa può essere: Involontaria, quando prodotta da uno stimolo oggettivo.

Proiettata, quando veramente percepita e non semplicemente immagine della mente.

Durevole, quando la sensazione permane per tutta la vita anche se celata, in forme semplici, textures, simmetrie, sapori e odori.

Memorabile, quando si ricollega ad un ricordo soprattutto in presenza dello stimolo originale.

Emozionale, se i percetti conservano stesso valore e stessa intensità delle esperienze reali precedenti.

A distanza, se rimanda ad un contenuto gustativo o olfattivo.

A contatto, quando la sensazione viene riprodotta tramite un’azione che coinvolge tattilità e propriocezione.

La sensazione e la percezione rappresentano il fondamento principale dell’attività cognitiva e la base della sinestesia.

Il sentimento personale rappresenta una caratteristica individuale e solamente attraverso il corpo si può godere

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della sinestesia. La sensazione può essere divisa in tre grandi categorie: in primo luogo la ricezione di uno stimolo esterno, in secondo luogo il riflesso di sensazioni esterne quali vista, udito, olfatto, gusto e tatto, creando una sensazione interna basata su di un riflesso, come la sete, la sensazione di fame ed infine il riflesso di un movimento o di sensazioni corporee come ad esempio l’equilibrio o così via.

Comprendere questi sentimenti è molto complesso e molto soggettivo, ma rappresenta la base della sinestesia, e si tratta del bagaglio culturale ed esperienziale dell’individuo che percepisce le sensazioni e le “sinestetizza” soggettivamente rappresentando appunto la base della percezione dei cinque sensi. La sinestesia è una forma comunicativa che accorcia le distanze, trasformando informazioni che inducono le persone a comprendere e comunicare in modo maggiormente inclusivo. La percezione della realtà risulta essere sempre e solo soggettiva: ognuno di noi percepisce e ricorda la parte della realtà più conforme ai suoi sensi.

Il cervello percepisce la realtà oggettiva, attraverso i 5 sensi, connessi in differenti canali sensoriali che trasmettono il flusso informativo proveniente dall’ambiente esterno permettendoci di interpretarlo con l’integrazione della nostra sfera di realtà utilizzando, amplificando, e perfino cancellando nuove informazioni. Si tratta quindi una rielaborazione attraverso le esperienze pregresse e quindi vissute precedentemente o in riferimento a delle associazioni mentali. Chiaro esempio è “Autonomous sensory meridian response” (ASMR), in italiano risposta autonoma del meridiano sensoriale. Si tratta di un neologismo che indica la sensazione di piacere successiva ad uno stimolo. Questo può essere ricavato da diversi stimoli, cerebrali (pensieri o idee) visivi, uditivi o tattili, percepiti da un soggetto in maniera sia attiva che passiva. Nel mondo digitale e dei social media sempre più brand utilizzano queste vie per far attivare delle emozioni. Utilizzano un suono detto trigger che innesca delle sensazioni, si pensi ai post della Pepsi che cattura approvazioni e like dei suoi consumatori con il rumore della bevanda che frizza o l’Ikea che per la campagna promozionale

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statunitense dedicata al rientro a scuola e nei college, ha prodotto un video ASMR con sussurri e i suoni dei propri prodotti.

Kandinsky fondatore dell’arte astratta era un sinestesico, sperava che i suoi dipinti potessero essere ascoltati e chiunque potesse diventare parte attiva di essa e vivere nel coro dei suoi colori fissati sulla tela. Solo i sinestesici possono sentire veramente un suo quadro, possono vedere i colori di una sinfonia, o sentire il gusto di una forma e ciò accresce sicuramente la qualità di un’opera. In Kandinsky la sinestesia diviene la peculiarità per intendere i tratti comuni di una nuova cultura. Bach invece fu definito architetto della musica perché “vedeva” la musica, la sua scrittura era bella, anche graficamente, tant’è che viene definita armonia obliqua, proprio perché gli accordi sono dedotti attraverso linee trasversali. Martin Klimas, artista tedesco, ha realizzato varie sculture sonore, catturando con la fotografia almeno una parte visibile dell’energia liberata dai brani musicali creando cioè una musica per gli occhi. Ispirandosi ai lavori di Hans Jenny, che aveva studiato i fenomeni di diffusione delle onde ponendo della sabbia su una membrana vibrante dal suono di un altoparlante e colorandola con vernici è riuscito ad ottenere schizzi plastici che poi ha fotografato.

Queste cosiddette “Sculture Soniche”, rappresentano un equivalente visivo alla rappresentazione sonora. Si potrebbe pensare che il mondo è percepito da tutti allo stesso modo, ma non è così, la sinestesia rappresenta un importante indizio che porta a ritenere che la realtà sia percepita in maniera diversa da ognuno di noi. Un esempio, è dato dal cervello che elabora le rappresentazioni visivo-tattili attraverso neuroni specializzati che riguardano lo spazio peri-personale, cioè la parte che circonda il viso e le mani. Questo significa che l’esperienza visiva che si ha di una parte del corpo è connessa all’esperienza del toccare.

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Fig. 103 Vasilij Kandinskij, Composition VIII, Oil on Canvas, 1923 Fig. 104 Vasilij Kandinskij, Orange, Lithograph, 1923 Fig. 105 Martin Klimas, Steve Reich and Musicians, Drumming, 2011, Ed 5 Fig. 106 Martin Klimas, Velvet Underground and Nico, Run Run Run, 2011, Ed 8 Fig. 107 Martin Klimas, David Bowie, Ziggy Stardust, 2011, Ed 8

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focus 5 //

Bruno Munari: i pre libri - i libri illegibili Bruno Munari, con i suoi studi e con la trasmissione del suo sapere dimostra come ognuno possa fare del suo prodotto, della sua idea un qualcosa di unico se pone come base la creatività e il metodo.

Il metodo risulta essere fondamentale per progettare qualcosa che abbia un carattere distintivo e personale.

Munari infatti sostiene che un progetto deve essere governato da principi di semplicità e funzionalità.

Le forme semplici e il colore hanno sempre accompagnato la sua arte, e attraverso queste ha tramandato una comunicazione attraverso i sensi che doveva essere oggettiva e universale quindi comprensibile da parte di tutti, una sorta di “design for all”.

I libri illeggibili sono dei libri lontani dai testi tradizionali. Si tratta infatti di opere d’artista nelle quali Munari utilizza ampiamente colore e forme trasformandoli in un linguaggio visivo unico che coinvolge i sensi lasciando all’utente la possibilità di essere coinvolto emotivamente. Le varie forme, e i colori che compongono questi piccoli prodotti editoriali creano percezioni differenti, a seconda del colore e della forma corrispondente trasmettendo contrasti di calore o di freddo associati alla forma secondo sistemi altri.

Tutte queste esperienze sensoriali portano il lettore ad essere coinvolto emotivamente, quindi ad ascoltare, sentire, percepire, stimolando l’immaginazione e creano sempre delle nuove associazioni, dimostrando come l’elemento visivo che in questo caso è un pezzetto di carta non regolare possa creare un immaginario unico, una comunicazione visiva che stimola creatività e attenzione.

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I pre libri, mirano sempre a colpire la sfera sensoriale, sfera a cui Munari è legato, sono pensati per bambini che non sono in grado di leggere.

Si tratta di dodici piccoli libri progettati con materiali differenti: vari tipi di carta, legno, materiali morbidi, o rumorosi.

L’obiettivo è quello di creare un campionario di sensazioni cosi da rimanere impresso nella mente del bambino per creare delle emozioni e delle sensazioni che il bambino porta con se come bagaglio per l’approccio successivo ad altri testi, più grafici e visivi, e anche testuali.

“Il libro è un oggetto che delimita un blocco di spazio. Per attraversare questo spazio occorre sfogliare le pagine… Ci si mette un certo tempo ed è come una passeggiata nella neve. Per entrare in questo spazio bisogna aprire la copertina che è come una porta che permette l’attraversamento del libro… E poi le pagine possono essere di carte diverse, di colori diversi, di misure diverse…”.

- Bruno Munari

A: Ma a che cosa serve un libro?

B: A comunicare il sapere, o il piacere, comunque ad aumentare la conoscenza del mondo.

A: Quindi, se ho ben capito, serve a vivere meglio.

B: Spesso sĂŹ.

- Bruno Munari, 1980

Fig. 108 - 109 Libro Illegibile NM1, Bruno Munari Fig. 110 Interni del libro Illegibile NM1 Fig. 111 Bambina che interagisce con i Prelibri di Bruno Munari Fig. 112 Le copertine dei Prelibri, Bruno Munari

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3.1 | Il marketing esperienziale e i sensi Ciò che riguarda in senso stretto la sinestesia e il coinvolgimento dei sensi nel mercato della progettazione è oggi strettamente legato al marketing esperienziale.

L’obiettivo di questo progetto infatti è quello di attivare tutti i sensi, coinvolgendoli, attraverso la produzione di una magazine sensoriale e attraverso una campagna sui media, rendendo paralleli due discorsi, il primo, quello del mondo digitale, e quindi dei social media, utilizzando pubblicazioni uditive e sensoriali per creare delle associazioni non dirette e in secondo luogo quello editoriale che sfrutta la carta per coinvolgere l’utente in un discorso trasversale sul cibo e sul suo mondo. È chiaro infatti che quando si parla di cibo non si fa riferimento solo alla ricetta perfetta, o alla mera esecuzione di un piatto, si tratta di interconnessioni ed esperienze che vogliono attirare l’utente e renderlo partecipe, in modo tale che l’esperienza che ne ricava sia il più immersiva e coinvolgente possibile.

L’utente, oggi, non si accontenta infatti del prodotto in sè come sola esperienza di consumo. Il focus si infittisce ed è necessario spostare l’attenzione passando da un’economia di prodotto ad un’economia basata sull’esperienza. In questo modo non si tratta solo di produttori di oggetti, libri, cibo, si tratta di fornitori di emozioni ed esperienze uniche che coinvolgono completamente l’utente e lo rendono partecipe con informazioni, sensazioni, mirando più ad una cultura partecipativa ed inclusiva basando il tutto su più esperienze di consumo che sul valore d’uso dei prodotti. È il consumatore stesso che è alla ricerca di emozioni e sensazioni che un prodotto può suscitare. Tale esperienza è ricca di sensazioni che viene creata dal cliente, dal momento che le sensazioni e le scelte sono soggettive e hanno quindi un valore personale.

Diventa quindi sempre più importante la personalizzazione dell’offerta e l’instaurazione di una relazione con il cliente.

Il consumatore non acquista solo il prodotto o servizio, ma acquista anche l’esperienza che ne può trarre. Il consumatore è spinto anche da fattori emotivi, è alla ricerca di esperienze

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d’acquisto e di consumo che siano coinvolgenti e piacevoli.

L’utente diventa quindi un “consumAttore”, acquista un prodotto non solo per soddisfare un bisogno funzionale, ma anche per trovare appagamento nel suo utilizzo.

Secondo B. Joseph Pine e James H. Gilmore (1999), l’esperienza è una nuova tipologia di offerta che si va ad aggiungere a commodity (materiali fungibili), beni (manufatti tangibili) e servizi (attività intangibili).

Quando si parla di esperienza si può chiaramente parlare di evento, perchè il consumatore è coinvolto sul piano personale nell’atto del consumo e della fruizione. Queste possono essere classificate in base alla partecipazione attiva o passiva da parte degli utenti e in base al tipo di coinvolgimento all’evento stesso. Qui di seguito elenco due tipi di classificazione, una fatta da Pine e Gilmore che sostengono l’esistenza di quattro tipi di esperienze e una effettuata da Schmitt che classifica le esperienze tramite cinque moduli strategici esperienziali (SEM).

assorbimento

intrattenimento

educazione

partecipazione attiva

partecipazione passiva

evasione

estetica

immersione

Grafico 4 Joseph B. Pine, James H. Gilmore, quattro tipi di esperienza

Tipi di Esperienza Secondo Pine e Gilmore esistono quattro tipi di esperienze: Esperienza di intrattenimento: quando gli individui assorbono passivamente quello che accade, attraverso i sensi (esempio l’ascolto della musica).

Esperienza educativa: l’individuo assorbe l’evento partecipandovi attivamente con il corpo o con la mente (esempio nell’ambito della formazione).

Esperienza estetica: l’individuo si immerge fisicamente in un evento ma resta passivo (come ad esempio il visitare una galleria d’arte o il guardare il sole che sorge in riva al mare).

Esperienza di evasione: l’individuo è totalmente immerso e partecipa in maniera attiva.

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Secondo la visione di Bernd H. Schmitt, invece, la classificazione delle esperienze viene effettuata tramite 5 moduli strategici esperienziali (SEM, cioè Strategic Experiential Module): Sense (senso): l’esperienza che coinvolge i sensi Feel (sentiment): l’esperienza che coinvolge le emozioni Think (pensiero): l’esperienza cognitiva Act (azione): le esperienze che coinvolgono la fisicità Relate (relazione): le esperienze che derivano dalle interazioni e relazioni con gli altri.

L’esperienza in se è un processo che coinvolge tutti gli elementi qui sopra elencati, poichè per rendere partecipe l’utente è chiaro che bisogna prima attirare la sua attenzione tramite esperienze sensoriali, stimolarlo in modo tale da attivare o innescare degli stati d’animo particolari, creare degli stimoli che lo portino a riflettere, farlo agire e poi, infine far relazionare l’utente con se stesso e con altre culture.

feel

esperienza olistica

sense

Grafico 5 Bernd H. Schmitt classificazione delle esperienze viene effettuata tramite 5 moduli strategici esperienziali

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act relate

think

3.2 | Il cibo e i 5 sensi Oggi parlare di gusto sembra essere legato esclusivamente al piacere di mangiare ma non è sempre stato cosi, infatti nel corso dell’evoluzione dell’uomo il senso del gusto ha svolto un ruolo fondamentale come strumento di sopravvivenza che ha aiutato l’uomo a distinguere cibi buoni da quelli cattivi, oppure le piante per sali minerali e vitamine o i cereali per gli zuccheri.

Quando si mangia, vengono coinvolti tutti i sensi e il piacere della degustazione diviene una percezione globale, sinergica, costituita da tutte le sensazioni che un alimento riesce a trasmettere all’uomo. Se ci approcciassimo con un senso nascosto, o con più di uno, le nostre percezioni sarebbero notevolmente ridotte.

Parlare di piacere del cibo solo in termini di gusto è riduttivo perchè senza l’azione coordinata dei cinque sensi è impossibile godere fino in fondo di un determinato piatto.

L’analisi sensoriale è una disciplina scientifica che prende in considerazione le caratteristiche di un prodotto attraverso l’uso dei sensi cosi da descriverlo in modo oggettivo e univoco. L’obiettivo è quello di superare i confini di opinioni soggettive e imparare a tracciare un profilo misurabile sia dal punto di vista qualitativo ovvero la definizione della sensazione, sia quantitativo, ovvero l’intensità percepita.

Per poter affrontare un viaggio nel mondo del gusto è necessario comprendere cosa rende originale il personale modo di assaggiare e approfondire.

Due fattori sono molto importanti, l’età e l’ambiente.

L’età influenza l’informazione del sistema sensoriale e con il passare degli anni modifica la percezione e la preferenza dei gusti. L’uomo è inoltre influenzato dall’ambiente sia geografico che culturale. La percezione è soggettiva: non è possibile trasformarla in un dato di fatto ed importante imparare a conoscere gli elementi che la caratterizzano.

I sensi sono sempre attenti, scrupolosi, e non solo per godere del piacere del cibo ma sono pronti eventualmente ad inviare un segnale se qualcosa non va.

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Il piacere inizia prima di mangiare con la bocca, e la vista, che è il senso, nella maggior parte dei casi, più sviluppato e gioca un ruolo fondamentale. Spesso si preferisce un prodotto piuttosto che un altro solo per il colore vivace e quindi per la sua presenza visiva, e questo influenza anche gli altri sensi, allo stesso modo mangiare al buio modifica la percezione del sapore dei cibi e anche l’olfatto può essere facilmente ingannato. Il potere cromatico del cibo influisce ed è legato non solo all’approccio multisensoriale a cui l’uomo è abituato, ma anche al significato che i colori esprimono nel contesto culturale e in base alle nostre esperienze pregresse. viola / profumi delicati e gradevoli verde / profumi di erbe giallo / gusto acido, profumo di agrumi arancio / sensazione di dolce, spezie orientali rosa / sapore delicato e dolce blu / gusto amaro grigioverde / salato Esperienza al buio Cosa succede se un senso viene eliminato o inibito?

Mangiare al buio è un’esperienza che risveglia i sensi, aumenta la consapevolezza, potenzia la capacità di percezione e ascolto, libera le inibizioni e favorisce una convivialità leggera, senza preconcetti, e spazio per la vanità.

(Diffidenti, 2017 p. 42) Per quanto riguarda l’olfatto, il naso riesce a percepire e riconoscere centinaia di sostanze, anche se presenti in minima quantità. Possiede la capacità di conservare e ricordare le informazioni raccolte in una sorta di archivio ricordando qualcosa anche dopo molto tempo. Il potere di questo senso è dato dall’olfatto retronasale che durante l’aspirazione fa passare gli odori dal retro della bocca al naso, cosi da influenzare il gusto.

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Anche l’udito, in ambito culinario è stimolato tantissimo.

Ascoltare si riferisce alla consapevolezza. Consapevolezza del suono degli alimenti il rumore del guscio dell’uovo che si rompe, per esempio, o quello di un determinato strumento, l’olio che sfrigolia in padella, tutto invia dei segnali al cervello cosi da completare la percezione del gusto. Spesso anche attraverso i suoni emessi da un determinato prodotto alimentare è facile comprendere la sua freschezza e qualità.

I termini sensazione e percezione sono stati più volte utilizzati, ma attenzione a non considerarli sinonimi perchè i loro significati sono in realtà diversi.

Nel mondo del piacere sensoriale dato dal cibo, la sensazione è “l’informazione che deriva dall’interazione diretta dei nostri organi sensoriali con l’ambiente esterno”, la percezione è invece “il processo suggestivo che fa riferimento all’organizzazione dei dati sensoriali, l’interpretazione e l’attribuzione di senso alle sensazioni”. (Ibidem, p.75)

Fig. 113 “To see taste must be it must be dark” Esempio di cena esperienziale al buio, Ctaste, Amsterdam

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Fig. 114 - 115 con¡tatto, a new culinary culture per accendere tutti i sensi, Giulia Soldati contattoexperience.com

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3.3 | Profondità storiche Se ci si sofferma a pensare ad esperienze sensoriali, il cibo può senza dubbio essere considerato quale multisensorialità per eccellenza. Due campi di ricerca che possono definirsi relativamente nuovi, quali i food studies e gli studi sulla produzione agroalimentare si occupano di studiare il campo alimentare a cominciare dagli strumenti necessari per procurarsi il cibo, passando per i metodi di raccolta o preparazione, evidenziando ancora di più la relazione indissolubile tra cibo da una parte e strumento, progetto e tecnologia dall’altra. La trasformazione dei cibi, così come i progressi nella sua conservazione, sono stati e continuano ad essere i soggetti preferiti della società di massa sin dai tempi della urbanizzazione. Nel tentativo infatti di creare condizioni di vita miogliori, si sono registrati importanti avanzamenti tecnologici in relazione alla produzione e distribuzione del cibo. Nondimeno il design già da tempo è centro dello stesso processo di sviluppo di dispositivi o strumenti sempre più sofisticati dedicati al cibo stesso. È stato e continua ad essere protagonista di tutti i processi di evoluzione legati al settore alimetare. Sono nate quindi nuove figure professionali legate alle aree della produzione agroalimentare dalla coltivazione al trasporto, dalla vendita alla cottura dei cibi e per ognuno di esse sono nati nuovi foodscapes: nell’agricoltura, nei trasporti, nella distribuzione all’ingrosso, nel retail marketing o nella vendita di cibo per supermercati, bancarelle, ristoranti. Il design è sicuramente stato un elemento centrale in tutti questi processi di evoluzione. È chiaro che è impossibile parlare di cultura alimentare e storia del cibo senza approfondire tecnologie, strumenti e le macchine che sono necessarie per lo sviluppo dei sistemi alimentari e le loro storie.

Allo stesso modo, per uno storico di design è impossibile analizzare la storia di oggetti che sono parte integrante del sistema alimentare, senza studiare il cibo a cui essi si riferiscono. Eppure Food Design è una parola relativamente nuova, ma che in pochi decenni è riuscita a diventare quasi uno strumento di aggregazione e comunicazione anche per teorici, designer e progettisti.

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Così come è stato mediaticamente configurato, il food design, è un universo in cui confluiscono pratiche di vario tipo, da attività creative e di DIY, a virtuosismi culinari, inserendo erroneamente pratiche come la decorazione delle torte, il cake design, o attività promozionali di designer che “lavorano con il cibo, con nessuna idea di cucina”. (Ferrara, Massari, 2015). Il crescente interesse per le questioni connesse con il cibo inizia a diffondersi anche a livello di istituzioni culturali e politiche, già negli anni ‘80. Non è un caso che la rivista Gambero Rosso fondata nel 1986 divenne presto luogo ideale per l’organizzazione e la costituzione di Arcigola, dove Arci era l’acronimo di Associazione Ricreativa dei Comunisti Italiani e Gola ironicamente univa cibo e gola. L’interesse per Gambero Rosso e Arcigola crebbe velocemente e il 9 novembre del 1989 all’Opera Comique di Parigi, i rappresentanti dei paesi partecipanti al movimento internazionale per “the defense of and the right to pleasure” (Parasecoli, 2004, p.35) firmarono il registro per celebrare la nascita ufficiale di un nuovo movimento: Slow Food.

L’obiettivo era chiaro, ci si opponeva alla frenesia della vita per riportare il cibo verso il godimento dello stesso, la sua connotazione più lenta e sensuale. Il nome “slow”, fu scelto infatti in opposizione al fast e come forma di protesta contro l’apertura del primo ristorante di McDonald in centro a Roma.

Gambero Rosso e Slow Food hanno contribuito a diffondere un nuovo modo di vedere l’alimentazione, non solo per moda, e tendenza di mercato, ma esaltando quella che è la sua natura più collettiva, conviviale e comunitaria, quindi in quanto mezzo di relazione. Tra le attività condotte da Slow Food vi sono iniziative di agricoltura sostenibile, progetti di salvaguardia delle biodiversità, campagne di informazione, di critica alla fast life e anche attività di sostegno alla lentezza, invocata nella sua stessa titolazione, non come semplice opposizione alla velocità della produzione industriale, ma di anticipazione riflessiva degli effetti della velocità nell’ambito della produzione del cibo. Non era tuttavia un rifiuto assoluto per i processi industriali che hanno dalla propria parte dei

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reali vantaggi come costi più bassi, risparmio di energie e di tempo e l’accesso alla varietà del cibo, ma si cercava un nuovo equilibro “per resistere agli eccessi della modernità, senza divenire reazionari” (Andrews, 2010). Una filosofia che si traduce ben presto in un progetto concreto e in una serie di servizi. Non a caso nel 2011 Slow Food vince il Premio Compasso d’Oro ADI per il Design dei servizi.

L’appello alla tradizione, tanto forte in Slow Food, in realtà era già stato ampliamente sfruttato anche dall’industria alimentare, attraverso il settore della pubblicità: in Italia in particolare negli anni ‘80 e ‘90, molti prodotti industriali sono stati commercializzati attraverso una immagine di “buoni e vecchi tempi”. Basta citare i biscotti del Mulino Bianco, che negli spot di quegli anni venivano presentati sempre attraverso il consumo da parte di una famiglia, sorridente, all’interno di un bellissimo mulino di altri tempi, in un ambiente e paesaggio incontaminato. O l’Antica Gelateria del Corso che ha sempre mantenuto la sua visual identity utilizzando un’immagine di salone da te del secolo scorso. (Ferrara, Massari, 2015) La globalizzazione ha cambiato e allo stesso tempo enfatizzato il contesto di operatività dei protagonisti della produzione agroalimentare e l’atteggiamento legato al cibo muta già alla fine degli anni ‘90. Con la crescita esponenziale dell’attenzione pubblica e politica sulle questioni del cibo, si sviluppa un nuovo campo di studi accademici: i Food Studies: apparentemente sembra essere un campo di studi totalmente disparato e pieno di argomenti non collegati fra di loro ma in realtà si pone l’obiettivo di insegnare come obesità, ambiente, sapore, famiglia, fame e piatti di cucina, siano concetti fortemente interconnessi. Nell’insieme, emerge un cluster tematico che comprende argomenti di etica, relativi alla salute, all’ambiente oltre a quelli di estetica, e questioni relative alla cultura sociale centrali nel dibattito sulla produzione del cibo e del consumo negli ultimi dieci anni che trova nel design un alleato non indifferente.

Dal 1995, anno della pubblicazione di The Green Imperative di Victor Papanek, la problematica della sostenibilità diviene

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pregnante nell’ambito dei design studies. Il nuovo paradigma nella sua caratterizzazione europea in ambito progettuale, pur tendendo all’efficienza e alla standardizzazione delle pratiche produttive in termini di processi replicabili, ai fini della sostenibilità economica della produzione, coglie la tipicità dei prodotti e dei territori e luoghi di produzione come tema di progetto sempre più fecondo di nuove idee finalizzate a generare valore in un regime di “distinzione”.

In particolare il design italiano agli inizi del nuovo millennio ha lanciato l’idea di un connubio tra la difesa dei contesti territoriali e gli approcci del design strategico nel settore alimentare. Ciò è avvenuto a partire dagli esiti della ricerca Sistema Design Italia, diretta nazionalmente da E. Manzini, che ha mappato la natura sistemica del design italiano con il suo straordinario patrimonio culturale e materiale, le sue competenze e attori e le sue relazioni con il sistema produttivo, attorno ai settori merceologici comunemente indicati con la definizione di Mady in Italy. In alcune regioni, come la Sicilia e la Campania, le dinamiche produttive più interessanti hanno riguardato il settore agroalimentare con attenzione alla valorizzazione dei prodotti tipici legati alle identità locali (M. Ferrara, 2001 p. 43-55) L’attenzione agli aspetti sistemici del Food Design ha coinciso con una modifica di paradigma della disciplina che rispetto al passato ha ampliato la complessità degli elementi in gioco e l’analisi dei suoi possibili effetti. Oggi si è consapevoli che nel concetto di Food Design si incontrano e mescolano diverse discipline: dall’ingegneria chimica alla fisica molecolare, dalla biologia alla genetica, dall’antropologia alla psicoanalisi, dalla sociologia dell’alimentazione al progetto delle forme di accoglienza e convivialità legate al cibo.

Rispetto a un processo di design che favoriva il prodotto e la sua comunicazione oggi si utilizza sempre più spesso l’espressione: progettazione degli “atti alimentari” con cui si comprendono anche i luoghi e i modi della produzione e del consumo, si fa riferimento ai contenuti simbolici e, di riflesso, storici e cerimoniali della nutrizione. La dimensione locale è assunta come vincolo e requisito del Food Design, nel senso

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che il contesto diviene opportunità in quanto luogo fisico, spazio delle relazioni e istanza sociale.

Evoluzioni La storia del rapporto dell’uomo con il cibo è stato un caso sociale, culturale e di ricerca antropologica. Ciò che inizialmente risultava essere un problema, ovvero procacciare del cibo, si è trasformato in opportunità.

Oggi è possibile ripensare secondo nuove chiavi di lettura il rapporto con il cibo. I tratti emergenti di questo nuovo approccio potrebbero essere, secondo l’analisi di Bauman, situati all’incrocio tra il piacere dell’esperienza sensoriale e la richiesta di una comodità situazionale che consenta di godere appieno del cibo gustato. Il tratto della velocità, divenuto un elemento caratteristico dell’epoca attuale, influenzerà il rapporto con il cibo. Ciò introduce altre dimensioni rilevanti: dall’esigenza di semplificazione delle procedure di preparazione del cibo, alla nozione di portabilità ovunque, intesa come facilità di applicazione dello stile alimentare desiderato anche all’interno di una società in movimento sempre più frenetico. Anche la ritualità è una dimensione potenziante del rapporto con il cibo. Il cibo è di fatto un aggregatore socio - culturale e funge da collante per intere comunità. Il rapporto con esso è poi legato alla ritualità che rende ancor più intensa l’esperienza del mangiare. Il conferimento di collante socio-culturale e quindi alla aggregazione che nasce dal food sharing si ripercuote in maniera significativa sulla valorizzazione della convivialità: tornare dunque ad un sano rapporto con il cibo, riprenderne i valori da trasmettere di generazione in generazione e soprattutto rinnovare i sapori antichi nel gusto contemporaneo; questo corrisponde a diffonedere al meglio la cultura del gusto e il saper vivere attraverso il cibo autentico.

(Ferrara, Massari, 2015) Ancora oggi l’alimentazione è considerata uno degli elementi più importanti per delimitare barriere ideologiche, etniche, politiche sociali, oppure un mezzo potente per conoscere ed

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interagire con altre culture, per mescolare le civiltà e fare un meltin’ pot, meccanismo rivelatore dell’identità etnica, culturale e sociale, infatti quando si parla di tradizioni alimentari è ovvio considerare il senso di identità come appartenenza a un territorio. L’identità locale nasce in funzione dello scambio nel momento in cui un prodotto o una ricetta si confrontano con culture e regimi differenti infatti come dichiara Montanari, ogni tradizione è il frutto di una serie di innovazioni e dell’assestamento che esse hanno introdotto nella cultura che le ha raccolte. Il legame tra cibo e condivisione è indissolubile. Mangiare insieme diviene un vero e proprio rito, riesce ad unire persone di contesti e sfere sociali completamente diversi mettendole in comunicazione.

La diversità si lega al cibo, e gli attori diventano parte integrante di una stessa cultura, trasmettendo valori, evocando stili di vita e collegandosi tra loro proprio attraverso il rituale del cibo. Oggi come ieri, la qualità e la quantità del cibo è espressione di cultura della tradizione culinaria e dell’appartenenza sociale, i prodotti poveri, rustici, che provengono dal basso vengono oggi rivalutati ed elevati. I beni di consumo in genere ma soprattutto i beni alimentari sono il soggetto preferito dei media come la tv e la stampa. Il medium televisivo in particolare incide sulle modalità di consumo del cibo adattandosi ad uno stile di vita sempre più frenetico ed in evoluzione che necessita di spinte comunicative continue: campagne pubblicitarie, packaging particolari, convenienza di prezzo, fanno tutte parte di un’incalzante comunicazione che orienta ad una determinata scelta il consumatore finale.

La qualità non è per forza sinonimo di “più buono” ma si associa ad una serie di esperienze che possono considerarsi uniche: esperienze sensoriali e culturali come il gusto e le tradizioni indissolubilmente legati tra loro. Il cibo infatti è stato influenzato da diverse culture, ne riflette la memoria e trae le sue origini da fenomeni storici che possono averlo più o meno originato e diffuso. Come è facile comprendere, gusto e tradizione – nel loro rapporto biunivoco – rappresentano elementi che evidenziano in modo significativo l’importanza

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che svolge, soprattutto oggi, il tema della memoria: memoria tanto dell’esperienza culinaria (anche in termini di esperienza sociale), quanto della cultura alla base di quest’ultima. Si assiste da anni ormai alla crescita di un regime alimentare orientato al cibo spazzatura o “ junk food” ma si nota d’altro canto che un numero sempre più crescente di popolazione, reclama un ritorno alla genuinità del prodotto alimentare.

Per indurre al consumo e durare di più nelle scelte individuali, i prodotti dovranno integrare agli aspetti funzionali ed emozionali con elementi simbolici, interpretando il bisogno di radici, di localizzazione, di durata, di sollievo dall’ansia, di rassicurante confine fisico e mentale. Questo, sul versante degli stili alimentari, apre la possibilità di una nuovo rapporto con il cibo. Come sostiene Bauman, i tratti emergenti di questo nuovo approccio potrebbero essere situati all’incrocio tra il piacere dell’esperienza sensoriale e la richiesta di una comodità situazionale che consenta di godere appieno del cibo gustato. La frenesia caratterizza ormai la nostra epoca e di conseguenza influenza il nostro rapporto con il cibo: da una parte quindi inciderà sulla preparazione dei cibi cercando di guadagnare del tempo e dall’altra si focalizzerà sulla portabilità dello stesso provando a facilitare l’applicazione di uno stile alimentare quasi dovuto per una società in continuo mutamento. Si può affermare nel futurò vi sarà una reinterpretazione del rapporto con il cibo sul versante costruttivo, tentando di conciliare l’ambiente sociale della nostra epoca ad un approccio più salutare all’alimentazione, passando per quella ritualità che di certo contraddistingue la dimensione food e che rende sempre rassicurante l’esperienza dell’atto del mangiare.

Progettare il cibo è progettare la realtà. Ma che cos’è il cibo? Una delle risposte possibili coincide con quella che si potrebbe dare a una domanda altrettanto fondamentale: cos’è la libertà? (fooda.org) Per rispondere alla domanda su cosa sia il cibo ci si può riferire ad un antico proverbio tedesco che recita

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“Mann ist was Mann isst”, che grazie al gioco di parole si può leggere in maniera ambivalente: siamo quello che mangiamo, ma anche mangiamo quello che siamo.

“A symbol is a sign which stands for its object in respect of a law”.

- Charles Sanders Peirce

Cibo è di certo una parola ma prima di tutto è un elemento simbolico. Pierce sosteneva che il simbolo o segno, rappresenta l’oggetto in riferimento ad una legge o ad una convenzione. Dunque non può esserci niente di naturale nelle leggi simboliche umane o nello stesso cibo. Questo ci porta ad affermare che se il cibo è un simbolo allora il suo significato viene culturalmente stabilito. La cultura infatti non decide solo del nostro sesso o della nostra lingua, ma si impone anche sul cibo, sul nostro gusto e sui nostri desideri.

Il gusto in parte non è solo nostro e il cibo diventa simbolo di ciò di cui siamo fatti, simobolo dunque di noi stessi. Se cibo e libertà vengono infine associati, si può dire che la libertà è ciò che nessuno può darci, un lavoro che nessuno può fare al nostro posto. La libertà, come dichiara Sant’Agostino, è fare quello che si vuole, è il grande lavoro che comporta il fare ciò che ci fa, è fare il proprio cibo.

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3.4 | Comunicazione visiva e cibo: comunicazione e trasmissione Per quanto riguarda i fenomeni recenti, i media sono portatori di una forma di sapere che, proprio perchè diffusa e popolare, è fondamentale per capire la cultura del gusto, e le trasformazioni ad essa legate. Queste informazioni sono fondamentali per capire ragioni, senso e valori condivisi.

(Marrone, 2014 p. 11) In generale vi è un interscambio continuo tra gli aspetti culturali del gusto e i modi per comunicarlo. Da una parte i processi comunicativi e mediatici riguardanti il cibo rimandano ad un’immagine chiara e non banale, difatti pubblicità, magazine cinema e tv costituiscono dei luoghi in cui non solo riflettono le nostre pratiche alimentari ma mostrano diverse modalità di interpretazione delle stesse per renderle maggiormente chiare, o, più complesse. Si può dire infatti che una buona attività comunicativa relativa all’ambito food deve passare dalla consapevolezza del valore sia antropologico che allo stesso tempo culturale. Quando si parla di comunicazione in relazione al gusto, le due dimensioni di riferimento sono il cibo e la cucina che inevitabilmente si incrociano, ma si rendono necessarie alcune distinzioni: da un lato il linguaggio del cibo, nelle conversazioni, nei libri riguardanti il tema, nei magazine, ma anche nelle trasmissioni tv e nelle pubblicità, non tralasciando i social media. Comunicando il cibo si contribuisce a dare ad esso una specifica caratteristica e altresì un significato spostando l’attenzione verso ulteriori aspetti culturali. I media ci trasmettono dei valori identificati con buona cucina o buona tavola sottolineando l’importanza di scelte etiche e consapevoli. Tutto ciò di conseguenza conduce a discussioni che ruotano attorno all’argomento di riferimento traslando l’attenzione sulla scelta del gusto, sul perfezionamento della scelta del cibo sano e dunque le produzioni a Km 0 o una specifica azienda agricola piuttosto che la produzione industriale. La summa di tutto il mondo comunicativo del cibo ci porta dunque inevitabilmente a fare delle scelte che influenzano il nostro modo di affrontare l’argomento. I blog e le pagine sui social media hanno contribuito al boom della gastronomia, facendo passare in

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secondo piano il discorso ufficiale dei critici del settore per instaurare un regime di gusti libero, lontano dalla tradizione familiare, o giusto sbagliato che sia. (Marrone,2014 p.12) Allo stesso modo i programmi di cucina hanno cambiato i nostri modi di andare al ristorante o di preparare una pietanza. La seconda dimensione, è quella del cibo in quanto tale, perchè costituisce una forma determinata di linguaggio.

Si parla di “cibo buono da pensare: attraverso il cibo parliamo del mondo della società del cosmo, di tutto..” (Marrone,2014 p.13) Al di là della natura funzionale degli alimenti e della loro dimensione estetica c’è anche la loro natura semiotica. È ormai chiaro il desiderio di ritornare alla terra, al buon gusto e alla promozione delle produzioni locali. La voglia di superare i limiti geografici e climatici è sempre stata viva in cucina, con la speranza di riuscire a coinvolgere ogni sapore e ogni visione. L’esistenza di culture culinarie differenti sottolinea ancor di più la socialità totale del cibo che in evoluzione tende a produrre sempre nuove forme di identità.

In toward a Psychosociology of Contemporary Food Consumption, Roland Barthes spiega come il cibo non deve esser visto come privodi significato. Secondo lui la psicologia si focalizza indirettamente sulle abitudini alimentari alle quali dovrebbe essere prestata più attenzione.

Infatti, cibo e cultura sono strettamente correlati. Si prenda ad esempio lo zucchero in America. È diventato così comune che lo zucchero sia contenuto in quasi tutto il cibo americano da portare a scrivere persino delle canzoni a riguardo.

Eppure in altre culture come la Francia, lo zucchero non è un protagonista. Barthes descrive di quanto la cultura influenzi il gusto e parla di cibo come situazione. Il caffè, per esempio, è stato associato più all’idea di una pausa che all’effetto prodotto sul sistema nervoso, legandosi dunque alle affermazioni che si ritrovano tra cibo e pubblicità.

La pubblicità è diventata ormai una grande fetta della cultura, e Barthes afferma che le persone si sono fidelizzate più al marchio che al cibo. Il cibo influisce pertanto sulla cultura e viceversa. (Barthes, 2008, p. 22-24). Il cibo rappresenta il primario elemento di vita ma assorbe tutta la

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socialità, tradizione e cultura che trasversalmente lo investe diventando ideologia pura ed assume un significato molto diverso rispetto a quello che di consuetudine lo definisce.

Grazie alla cucina e al gusto si delineano le sottili e complesse relazioni fra natura e cultura [..] È a partire dal cibo che ci si costituisce un’immagine del corpo determinando volta per volta la sua funzionalità sociale, la sua desiderabilità erotica, la sua propensione a farsi modello di ogni artefatto umano e sociale [..] Il cibo è una forma, tanto silenziosa quanto profonda di linguaggio forse anche più importante di altri linguaggi umani e sociali, a cominciare dalla lingua cosidetta storiconaturale, come anche quella dei gesti e del corpo, delle immagini, della musica, dello spazio. E se di linguaggio si tratta, i due elementi che lo compongono, detti per convenzione espressione e contenuti, sono fra loro in presupposizione reciproca, di modo che nessuno di essi possa esistere senza l’altro e nessuno determina l’altro.

(Marrone, 2014 p.15) Ciò che risulta essere fondamentale è il sistema culturale entro cui il cibo ha un ruolo comunicativo fondamentale, di causa o di effetto, di significante o di significato. Se prendiamo ad esempio gli strumenti da cucina si trovano a metà strada tra cultura materiale e cultura gastronomica, ed è impossibile decidere se sia l’una a provocare l’altra o viceversa.

Tutte le forme di discorso attorno al cibo fanno parte di un immaginario sociale, un discorso del saper fare in cucina e della sua problematica pratica, ovvero la ricetta, ma anche la parte relativa al gusto e all’esperienza del cibo insieme agli abbinamenti sostenuti dalla cultura del vino. Il libro da cucina oggi è un protagonista con più sfumature: da una parte si parla di successo editoriale, con il libro quale mero oggetto per riempire gli scaffali, d’altra parte invece le costrizioni relative al dissolvimento sui media dove la forma tradizionale del ricettario insieme agli ulteriori strumenti del mondo

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food perdono di significato in funzione degli apporti provenienti dalla dimensione dell’immagine, dell’audiovisivo e dell’interattività. Se da un lato quindi nascono guide, libri, prodotti editoriali alternativi, dall’altro invece vengono messi da parte a vantaggio di altre forme testuali che hanno l’arduo compito di sostituire la storica guida e devono trasmettere un sapere ormai diverso. È chiaro pertanto che comunicare il mondo food, quale fenomeno linguistico non verbale può essere associato ad una lingua che ne parla un’altra, giungendo quindi ad una approssimazione comunicativa legata alla rappresentazione di un fenomeno non verbale. Gli ambiti disciplinari che più si sono occupati del genere comunicativo dei ricettari sono sopratutto quello storiografico, ovvero quei documenti che attestano una pratica così da ricostruire tecniche di cottura o conservazione, le relazioni e le organizzazioni e l’ambito letterario nel quale ciò che più conta è il testo nella sua dimensione estetica più che documentaria.Si è davanti ad una fruizione trasversale con differenti pubblici e diversi tipi di autore, ed è qui che la parte grafica e visiva viene maggiormente esaltata in favore di un testo scritto e anonimo. Da qui la moltiplicazione e la crescita di diversi supporti mediativi al testo di cucina: il periodico, il magazine, i calendari, le dispense, le ricette allegate ai packaging alimentari, in funzione dei differenti pubblici, delle loro possibilità economiche e delle loro finalità relativamente alla pratica culinaria. Oggi la presenza di differenti ricettari, sotto ogni forma, in uno stesso luogo comporta una consultazione concomitante e quindi una costruzione di un piatto che deriva da un patchwork (Marrone,2014 p.35) il cui gusto, visivo e non solo deriva dalla consultazione di molteplici fonti.

Emerge quindi una chiara doppia natura del cibo: necessità biologica, ancorata al bisogno corporeo, e piacere. La pubblicità coglie in pieno questa dualità e la sfrutta finendo per ridisegnare i bisogni e le necessità dell’uomo.

Come cita Mangano l’immagine ha il compito di figurativizzare il piacere nella sua espressione più pura e lo fa tematizzando la frivolezza. Si tratta di un collegamento

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diretto all’attuale ritorno all’attenzione per la qualità e la provenienza del cibo. Nell’era del web e dei Social Media ciò risulta notevolmente amplificato inserendosi nella quotidianità degli individui. La cultura gastronomica cambia, il piacere gustativo ritorna centrale in un contesto in cui il mangiare sano, l’attenzione per l’ambiente e l’eticità sono temi posti alla base di tutto il pensiero globale. Si ritorna al buono pulito e giusto di Slow Food, al km 0 e alle certificazioni di qualità, alla stagionalità del prodotto. Quindi, l’identità di un prodotto editoriale o pubblicitario che sia, è saldamente ancorata ad un insieme di differenze che caratterizzano un determinato periodo storico.

Tale identità evolve nel tempo e deve rispondere a due esigenze fondamentali: di non stancare il consumatore e di rispondere attivamente alle mosse dei competitor. (Mangano, p.85)

Fig. 116 Petunia Ollister, Colazioni d’autore, Slow Food Editore, 2017

Fig. 117 - 119 Libri a colazione fotografati su Instagram @petuniaollister con l’hashtag #bookbreakfast.

Da qui prende vita il libro edito Slow Food che oltre agli scatti ha al suo interno ricette e citazioni.

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Fig. 120 Libri a colazione fotografati su Instagram @petuniaollister con l’hashtag #bookbreakfast Fig. 121 Stefania Soma in arte Petunia Ollister Fig. 122 Fiammiferi brandizzati con la copertina del libro Colazioni d’autore

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3.5 | Fenomeni recenti: food e social media Come già più volte affermato, il cibo è un’azione sociale sin da epoche lontane ma la dimensione odierna che ruota intorno ai social media ha ampliato la possibilità di condivisione di ogni esperienza legata al cibo stesso in qualsivoglia parte del mondo. Questa pratica entra a far parte di quella cultura che viene definita convergente (Jenkins, 2011 p. 135) e ci porta a condividere, il cosa, il come, il perchè e il dove di qualsiasi cosa. Recenti studi hanno dimostrato come gli hashtag legati al cibo, e ai luoghi relativi a questo argomento siano quelli più utilizzati e ricercati e di come siano esplose le recensioni e i relativi programmi che le contengono. Inoltre, fa parte di questa pratica la dimensione di “preparatori” che condividono con il mondo intero o con i follower ricette e consigli sulle preparazioni il più delle volte lontani dalle tradizioni tramandate di madre in figlia.

Condivisione diviene e si afferma quale parola chiave.

I social media favoriscono senza dubbio l’influenza peer to peer rendendosi utile mezzo di scambio di opinioni tra persone in un campo tra l’altro in cui il parere soggettivo è senz’altro fondamentale. Numerosi studi dimostrano che la cucina e tutto ciò che ruota intorno ad essa è ormai argomento di ogni conversazione online o offline.

I Social Media costituiscono quindi il canale ideale per consentire una conversazione: continua personale interessante creativa rilevante (We are social Italia, food and social media, 2015) Il prodotto alimentare viene posto al centro, e in ambito food la tematica parte da esso, evolvendosi in modo creativo e abbracciando nuovi ambiti, stili e interpretazioni. Riuscire però a fare un discorso personalizzato è necessario per distinguersi dalla massa cercando di trovare e sviluppare al meglio il proprio core per portare a compimento dei progetti che oggi si ritrovano ad essere vere e proprie occupazioni

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Le variabili che tradizionalmente costituiscono il marketing mix sono le cosiddette 4P (four Ps) teorizzate da Jerome McCarthy e riprese in seguito da molti altri: Product: prodotto Price: prezzo Place: punto vendita Promotion: promozione o comunicazione (di marketing)

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lavorative sostenute dall’immagine personale condivisa nel mondo dei media.

La chiave della condivisione è il cibo e l’argomento ruota intorno ad esperienze, discussioni e confronti che possano esaltare l’esperienza vissuta volta a coinvolgere l’audience restando impressa e raccontando molteplici sfumature evocative.

La partecipazione è la filosofia che sta alla base dei social media corredata dalla capacità di interagire in libertà con altre persone o organizzazioni, utilizzando i contenuti prodotti quale base per la costruzione di ulteriori concetti applicando però il punto di vista personale. Secondo Tracy L. Tuten e Michael R. Solomon, la comunicazione è multidirezionale e non più orientata da uno a molti. La forza data dai social media ai consumatori fa sì che la loro capacità di interagire e relazionarsi con le marche cresca. I canali digitali forniscono ai consumatori grandi possibilità di accesso, consentendo loro di collaborare e condividere.

Tutto questo porta ad affermare che il controllo sia in mano allo stesso consumatore grazie all’informalità della cultura del marketing. Essa ha assunto una natura informale concentrata sopratutto sulla convinzione che il controllo sia nelle mani dei consumatori. Peter Druker afferma infatti che “ lo scopo di un’azienda è creare clienti che creino altri clienti”, tale partecipazione viene quindi definita come quinta P del marketing10. Quello che caratterizza maggiormente il food marketing è il mercato a cui questo si riferisce: non si tratta più infatti solo di quello dei prodotti comprati in modo passivo dai consumatori nei supermercati, indirizzati da una pubblicità, ma si è proiettati in una nuova dimensione che coinvolge la sensorialità. I consumatori sono cambiati e quello che più li distingue è la consapevolezza e l’esigenza.

Sentirsi parte attiva di un racconto fa gola a molti, i foodies diventanoo gli attori protagonisti del sempre crescente mercato della cosidetta food experience.

Il cibo è un prodotto sensoriale e per questo, si presta perfettamente al racconto e allo storytelling. Quando si parla di cibo e di prodotto alimentare, si racconta di storia,

di tradizione, ma anche dei luoghi in cui questo viene preparato. Il cibo viene condiviso ed è anche legato alle necessità dell’uomo. Gli utenti che vogliono vivere delle esperienze, cercano una sensazione e una storia: dove il prodotto nasce, cresce, come viene coltivato perchè gli utenti sanno che se un prodotto è buono, pulito e giusto (Slogan di Slow Food) è dovuto alla virtuosità della filiera produttiva.

Oggi non riusciamo sempre a godere dei piccoli piaceri della vita a partire dal semplice gesto del mangiare. Il foodie invece cerca proprio quell’emozione di cui spesso non riusciamo a godere e lo fa non solo tra le mura domestiche ma anche nelle esperienze esterne legate al food nei locali che coniugano alla perfezione location e concept.

Fig. 124 - 125 Esempi di alcuni degli scatti più ricorrenti, dettaglio e tavola imbandita fotografata dall’alto Fig. 123 Feed instagram di @nonsolofood, Lidia Forlivesi food blogger

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Fig. 126 - 127 Feed instagram di @gnambox, Stefano Paleari, Riccardo casiraghi, food blogger

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Fig. 128 - 129 Feed instagram di @agipsyinthekitchen, Alice Agnelli, food blogger

3.6 | I foodies Il termine foodie fu coniato nel 1981 da Paul Levy e Ann Barr, che nel 1984 pubblicarono il libro “The Official Foodie Handbook”, da quel momento questo fenomeno si è diffuso nel mondo, sopratutto negli ultimi anni grazie al crescente interesse verso le tematiche legate al cibo.

Il foodie si contraddistingue dall’esperto gastronomico perchè non è un gourmet professionista, ma è un intenditore che conosce gusti e sapori e ama il cibo, lo studia, lo mangia ed è attento a tutte le novità culinarie. Ha un approccio più amatoriale, infatti se il gourmet cerca semplicemente il miglior cibo, il foodie vuole saperne il più possibile e dà importanza all’impressione che riceve guardando, toccando e sentendo il profumo del cibo, coinvolgendo tutti i sensi.

Negli Stati Uniti, dove il fenomeno nasce, questo cluster conta circa 44 milioni di persone ovvero il 19,5% della popolazione americana, in Italia rappresentano invece il 9,8%.

11 Siamo semiotici e ricercatori.

Aiutiamo i brand a essere distintivi rispetto alla concorrenza, rilevanti per le persone, tramite posizionamenti, copy test, product test.

Identifichiamo i profili di consumatore all’interno di un mercato, il loro stile di vita e come comunicare al meglio con loro. Rintracciamo fenomeni e stili di vita emergenti che guideranno il mercato di domani e li raccontiamo tramite report e workshop di formazione. raduciamo le ricerche in contenuti che fanno notizia, da usare per comunicazione e PR. I nostri quadrati semiotici sono un esempio. (www.squadrati.com)

Il mondo digitale è stato l’autore e il fautore della costruzione di un’esperienza diffusa del cibo trasformandolo in medium perfetto per raccontare il vissuto di ognuno.

Le ricerche in ambito food si sono moltiplicate sul web e l’argomento viene affrontato in ogni sfumatura con interesse sempre crescente per food blogger e influencer. Grazie infatti all’autorirty e all’awarness di queste figure, il consumatore è letteralmente influenzato nelle scelte non solo del cibo propriamente detto ma anche peri prodotti editoriali legati all’ambito.

In generale è chiaro che tutto ciò che ruota attorno al cibo è diventato social, dalle ricette, alle guide, alle recensioni.

Tale socializzazione ha moltiplicato le occasioni di confronto tra le persone e ridistribuito la conoscenza su tale argomento.

Secondo Niko Romito, chef tre stelle Michelin il termine foodie è considerato generalista ma non negativo e indica infatti chi è interessato al mondo della gastronomia a 360 gradi, che sia la ristorazione i prodotti di un territorio, oppure gli artigiani del cibo. Secondo l’analisi di mercato effettuata da Squadrati11 esistono diverse tipologie di foodie, una più istituzionale e legata ad un’idea di cibo già riconosciuta nella

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cultura e una più alternativa con una ricerca di una via differente all’idea riconosciuta di cibo e cucina.

Una via più di resistenza ovvero con una difesa dei propri principi riguardanti il cibo e una più di aspirazione, con interesse per il cambiamento inteso come ricerca e moda.

Risulta necessario quindi capire, ed analizzare come il mercato racconta del cibo, difatti questo cambia così come cambiano i consumer sempre più vicini e coinvolti a realtà come quella dei food blogger.

Fig. 130 Quadrato semiotico dei Foodies, analisi condotta da squadrati

Blogging e food La cultura convergente tipica della sfera digitale ha, come già affermato coinvolto il cibo reindirizzandolo verso un tipo di scrittura culinaria adattata al web con l’intento di arrivare più lontano possibile abbattendo i confini grazie a storie e personaggi vari coinvolti nel processo di diffusione.

I blogger diventano eroi intermediali (Mangiapane in Marrone, p.167), il tempo di risposta di un post annulla le distanze, e il blog, o pagina social che sia diventa lo scenario di vita mediatica di ogni blogger che intenda fare carriera ed affermarsi in questo mondo. Il cibo viene declinato in ogni sua forma e il blogger diventa un narratore esperto che riesce a rendere partecipe l’utente evocando sensazioni che si rispecchiano nella vita quotidiana: la scelta di una ricetta, l’acquisto di un prodotto invece di un altro, l’impiattamento per una cena con i colleghi o semplicemnete cucinare un piatto per assoluto piacere pesonale. La condizione necessaria e sufficiente affinchè il lettore venga coinvolto è di certo il valore che il blogger riuscirà a creare attorno al cibo. La conseguenza sarà l’attenzione dell’utenza che passerà all’azione eseguendo una data ricetta che risulta ai suoi occhi come la più autorevole. Superando lo step media digitali, ciò che afferma maggiormente lo status di food influencer è la pubblicazione cartacea del sapere, con l’uscita del primo libro di cucina, annunciato sempre, tramite post sui canali media.

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È chiaro che dietro ogni influencer/blogger, ci sono tutti quegli utenti che costruiscono la loro autorevolezza, e che seguendoli e dando adito alle loro idee portano avanti e alimentano il loro lavoro. Il blogger quindi acquista una duplice valenza sia quella di persona che influenza e quella di curator, ovvero di autore e costruttore dei contenuti.

La condivisone, linfa vitale dei nuovi food fenomena, viene ancor di più spinta non solo da contest o giveaway. ma anche da momenti che la rendono assolutamente personalizzata quali cucinare insieme condividendo la propria cucina. La nascita del Supper Club12 ne è un esempio in Italia Alice Agnelli o gli Gnam Box con lo sharing Kitchen.

La propria cucina si trasforma in ristornate offrendo un servizio che si basa sulle capacità organizzative ed economiche di ognuno e pubblicizzato su internet dagli stessi influencer con una certa riservatezza, a volte, che segue un pò il principio dei bar clandestini noti come speakeasy, nati durante il periodo del proibizionismo.

In giro per il mondo può essere un’esperienza culturalmente fantastica, per i turisti ad esempio scoprire come vivono i nativi cenando in una casa tipica, per di più senza spendere una fortuna.

(Kerstin Rodgers13, sostenitrice dei supper club)

Fig. 131 - 132 - 133 Ma’ Hidden Kitchen Supper Club, Milano

“Sharing the same table, talking to new people, tasting homemade food: this is the fun part of it!”

-Melissa & Lele, tratto dal manifesto di Ma’ Hidden Kitchen Supper Club

12 supper club, diffusissimo negli Stati Uniti e in UK, secondo il The Guardian ha sicuramente contribuito la recessione, con il termine supper club o underground restaurant / home restaurant / hidden kitchen, si fa riferimento ad un fenomeno di cultura culinaria e sociale. Al centro c’è l’aspetto culinario ma anche umano, l’evento sociale intimo e l’attesa, il ritrovarsi ad un tavolo con persone mai viste.

Un pò di mistero per poi scoprire le cucine e le case altrui.

13 MsMarmite Lover pseudonimo di Kerstin Roger ha lanciato nel 2009 il suo supper club “The Underground Restaurant”, facendo da apripista a centinaia di club. Si approccia al cibo incoraggiando piccoli imprenditori ad autosostenersi vendendo le loro stesse merci.

Nascono così dei mercati prevalentemente notturni dove si ascolta buona musica e si scambiano idee e consigli sul cibo. Kerstin, scrive molto e principalmente di cibo, viaggi, interior design e politica, firmando importanti testate come the Indipendent e The Guardian.

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focus 6 //

Chiara Maci: Chiara in Pentola La food blogger Chiara Maci nel 2009 decide di lasciare il settore marketing e grazie alla passione per la cucina, insieme alla sorella, decide di aprire il blog Sorelle in Pentola che ha un successo immediato. Tre mesi dopo viene selezionata per il programma Cuochi e Fiamme su La7, durante il quale impara a stare davanti alla telecamere. Il successo cresce fino alla conduzione di uno show tutto suo: Vita da food blogger, su Fox Life. Nel 2017 conduce Let’s go, in onda su La5, un viaggio tra i temi del cibo, della musica, del lifestyle e dell’arte, tra le strade di Barcellona. Pubblica per Rizzoli un ricettario molto particolare, Pomodori verdi fritti e sentimenti a vapore, un diario culinario in cui espone ricette di ogni tipo che spaziano dalla cucina tradizionale a quella fusion, dagli antipasti ai dolci, tutte accompagnate da brevi storie di vita dolce amara.

Riassumendo al successo televisivo si aggiunge il suo blog e il profilo Instagram attraverso i quali non parla solo di cucina ma ama raccontare i viaggi insieme alla figlia svelando qualche retroscena della sua vita privata.

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Fig. 134 Dall’alto, Chiara Maci che condivide un suo piatto Fig. 135 Copertina del ricettario edito Rizzoli, 2015 Fig. 136 Post pubblicizzato da Samsung Italia, ricetta Chiffon cake, con link al sito Fig. 137 Particolare del sito chiaramaci. com, con varie ricette Fig. 138 VitadaFoodBlogger, in onda su FoxLife in cui viene condivisa la ricetta

“Di una risata, due mani sporche di farina e un buon calice di vino, ne ho fatto uno stile di vita”.

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focus 6 //

Stefano Paleari & Riccardo Casiraghi: Gnambox Riccardo e Stefano, sono i due designer che hanno fondato Grambox. Il tutto nasce dalla voglia di condividere una passione e agire in libertà partendo della bellezza del cibo, della semplicità della buona cucina e della felicità di conoscere nuove persone attorno ad un tavolo. Lo storytelling avviene online “raccontando quello che ci piace, chi incontriamo, cosa cuciniamo e con chi ceniamo”.

“Ci siamo inventati un lavoro, abbiamo viaggiato, conosciuto persone,mangiato in ristoranti, baracchini, spiagge e mercati” Riccardo e Stefano hanno inventato un modo personale per comunicare le ricette, la loro filosofia in cucina, i pranzi e le cene, facendo capire agli altri cosa piace loro e a cosa si avvicinano, che si può mangiare bene seguendo anche le ricette più sperimentali e sono riusciti ad avvicinare alla cucina anche le persone più scettiche. Nel 2014 hanno pubblicato il primo libro di ricette – basato sulla stagionalità degli ingredienti “In Food We Trust” edito Mondadori.

Da due anni gnambox.com si è arricchito di una preziosa sezione di city guide, da Torino a Berlino passando da Lisbona e New York fino ad arrivare a Tel Aviv.

Nel 2016 invece, sono stati protagonisti durante la Design Week del progetto Welcome Home con IKEA. Stefano e Riccardo studiano contenuti e collaborano con grandi brand online e offline. Nel 2017 hanno ricevuto anche il premio dell’Associazione Le Soste: Blog dell’anno 2017 e il premio come Miglior Blog Social 2017 del Cucina Blog Award Corriere della Sera. Nell’aprile 2017 pubblicano la loro prima city guide WOW MILANO con più di 200 indirizzi per vivere la città nel loro personale “style&mood” tra food, shopping, design e arte.

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Fig. 139 Uno scatti sul feed Instagram di @gnambox Fig. 140 La landing page del sito web gnambox.com

Fig. 141 Dall’alto, Stefano Paleari e Riccardo Casiraghi, gli Gnambox Fig. 142 Gaia Venuti nella cucina di Gnambox

“Gnambox è per chi ama il buon cibo, la bellezza e vuole respirare aria fresca in cucina”.

Fig. 143 Dall’alto, la prima pubblicazione “In food we trust” edito Mondadori Fig. 144 La guida WOW Milano, pubblicata nel 2017, per la scoperta di “200 place & tips” a Milano

Fig. 145 Manifesto per il Salone del Mobile 2015 Ikea + Gnambox, Welcome homw Fig. 146 Interno della guida WOW Milano, particolare della mappa

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focus 6 //

Alice Agnelli: A Gipsy in the kitchen A Gipsy in the Kitchen nasce dall’unione della scrittura e delle ricette di Alice e le fotografie e la creatività del suo compagno Alessandro che insieme hanno deciso di dedicarsi a questo progetto che è poi diventato un lavoro. Tramite il blog, Alessandro e Alice vogliono condidivere non solo ricette e viaggi ma una filosofia del possibile, “laddove i sogni non devono restare nel cassetto ma rendere quotidianità ogni passione, trasformando l’ostacolo in un nuovo traguardo”. Si tratta di un percorso immersivo tra genuinità, economie sostenibili, microcosmi che abbracciano la natura e il rispetto reciproco “Buoni ingredienti, buon cibo, buona vita”. Condividono inoltre anche i loro momenti creando dei supper club mensili a tema in Gipsyland.

Fig. 147 Copertina del libro Ricette dal cuore Fig. 148 Alessandro Madami, Alice Agnelli e Brie in un momento di relax Fig. 149 Uno scatti sul feed Instagram di @ agipsyinthekitchen

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focus 6 //

Anna Marconi: Taste of Runway Taste of Runway è il nome del blog nato nel Novembre del 2011 grazie alle due più grandi passioni di Anna: la moda e il cibo.

Il blog offre ricette di cucina ispirate agli outfit più interessanti che sfilano sulle passerelle del mondo e il risultato sono immagini evocative e cariche di creatività.

Retwittato da Dolce & Gabbana, Alberta Ferretti, Antonio Marras, Alaïa, Akris, Blumarine, Viktor and Rolf in breve tempo raccoglie l’interesse delle case di moda ed è pubblicato sulle maggiori riviste nazionali e internazionali. Taste of Runway da vita nel 2014 alla rubrica dedicata allo stile a tavola e all’arte del ricevere. Dal 2015 è pubblicato un nuovo progetto dal titolo “Taste of People”, ricette di cucina ispirate ai look di persone selezionate dal mondo della moda, dell’arte, del design, della musica e scattate e intervistate da Anna Marconi. Attualmente tradotto in 2 lingue, viene letto in più di 70 nazioni e vanta importanti progetti in Europa, Sud America e Cina.

Fig. 150 A sinistra, Anna Marconi Fig. 151 - 152 Ricette ispirate a due outfit da passerella

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Fig. 153 La crĂŞpe di Dolce & Gabbana, al latte di cocco con salsa al cioccolato, 2016 Creata ispirandosi al safari style

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3.7 | Analisi sull’editoria food: Rfood Repubblica

Fig. 154 Manifesto per la pubblicità di Rfood, dicembre 2017

Repubblica, mira a raccontare storie attraverso vari strumenti, ricerche approfondite, studi attenti, interviste.

Da sempre l’interesse per il cibo è forte, cominciato già da qualche tempo sul web, con Repubblica Sapori, sezione online di Repubblica.it Anche nella versione cartacea di Repubblica non sono mai mancati articoli sul tema e suggestioni, ma se fino a oggi il cibo era solo uno dei tanti argomenti trattati, da dicembre 2017 nasce un nuovo progetto: RFood che si aggiunge agli altri inserti settimanali del quotidiano come RLab. Si tratta del nuovo inserto del giovedì, un insieme di 8 pagine dedicate alla cultura del cibo, racconti che s’intrecciano e convivono in sinergia fra loro: il progetto vuole portare alla luce storie di piccoli imprenditori, produttori, designer, sommelier, camerieri, viticoltori, racconti virtuosi “che vale la pena svelare”. Alla base di tutto vi è la voglia di esporre la testimonianza di uomini e donne che “con il lavoro e la loro creatività, reinventano quotidianamente la gastronomia, rendendo quella italiana un unicum riconosciuto in tutto il mondo, vogliamo fare informazione sul cibo, sia andando alla ricerca di vicende e aneddoti singolari, sia raccontando le tendenze del momento.

Come? In maniera più “alta”, approfondita, curata, ma al contempo divertente e accattivante con un linguaggio immediato, fruibile da tutti, ma non per questo meno tecnico. Articoli, quindi, che si rivolgono a tutti, con l’obiettivo di sdoganare luoghi comuni e sviscerare ed esaminare i tanti dibattiti di questo mondo, senza però rinunciare ad analisi settoriali portate avanti dagli esperti. Quello che ci proponiamo di fare è rispondere alle domande dei consumatori”. Parallelamente all’inserto, Repubblica Sapori continua a crescere, infatti l’approccio dei lettori al mondo cartaceo e digitale, è differente. I lettori della carta e del giornale online sono molto diversi.

Nonostante gli spazi limitati, il cartaceo consente un’analisi

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più lunga e minuziosa dei vari argomenti, mentre il web richiede pezzi più immediati, concisi e in grado di catturare l’attenzione del lettore. Inoltre, il sito è un prodotto in continuo aggiornamento, un contenitore di notizie e dati che vanno implementati costantemente, l’inserto invece esce settimanalmente e quindi ha più tempo per esser pensato e maturato.

“Non si tratta di due prodotti che viaggiano su binari paralleli e che non si incontreranno mai. Mi piace immaginarli, piuttosto, come mondi sinergici, opposti e complementari”.

Il progetto grafico è curato da Francesco Franchi, designer italiano e managing editor di Repubblica.

Fig. 155 Da sinistra verso destra RLab, RDesign, RSalute, RClub, RSport, RGuide, RFood Fig. 156 - 161 Alcune delle copertine di RFood

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casi studio

Le riviste di food - l’editoria e il cibo Il percorso attorno al mondo del cibo si arricchisce di seguito con l’analisi di casi studio specifici nazionali ed internazionali. Il cibo fa da filo conduttore a prodotti editoriali diversi tra loro ma con uno scopo condiviso: fare del cibo cultura e tradizione. I format analizzati lasciano il segno nel lettore che ha avuto il piacere di gustarne le pagine, analizzando il cibo in tutte le sue forme: artistica, culturale, conviviale, visuale, e sensoriale.

La celebrazione del cibo è dunque la base di partenza di tutti i prodotti editoriali presi in esame, le sfumature che esso assume tra le pagine dei diversi autori sottolineano la singola esclusività dei format, conquistando diverse tipologie di pubblico, più o meno inclini alle diverse peculiarità di questo tema.

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format editoriali italiani 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5

La Gola: mensile del cibo, del vino e delle tecniche di cultura materiale Slow food: la rivista di Slow Food Gambero Rosso Alla Carta: dissertation around a table Dispensa: generi umani e generi alimentari

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La Gola: mensile del cibo, del vino e delle tecniche di cultura materiale 1982

Fig. 162 La prima copertina di La Gola, 1962 progetto grafico a cura di Gianni Sassi

La Gola - mensile del cibo e delle tecniche di vita materiale è stata una rivista italiana di gastronomia e cultura materiale, il progetto grafico era curato da Gianni Sassi. Nel 1971 Milano venne invasa dai cartelloni pubblicitari che ritraevano Franco Battiato seduto su un divano per una reclame che fece scalpore.

L’ideatore di questa pubblicità fu Gianni Sassi, uno dei protagonisti più ecclettici del panorama culturale italiano dagli anni ’60 fino agli anni ’90. Gianni Sassi nel ’79, lavorando tra gli altri con Nanni Balestrini e Umberto Eco, di Alfabeta,

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rivista culturale, nel ‘82 creando La Gola, mensile del cibo e delle tecniche di vita materiale, di carattere interdisciplinare, che fu pubblicata fino al 1988.

Il cibo viene trattato non solo come uno “spettacolo” ma come filiera.

Iconografia del cibo inteso come filiera, sequenza e operazioni, dalla produzione, al mercato e vendita, al cucinare e preparare, presentare apparecchiare, avanzare e riciclare.

Fu precursore della mission di Slow Food come movimento con l’idea di una gastronomia vista come materia prima. Ciò comportava ricerca sul campo, territorio e tecniche di vita materiali. Rappresentare il cibo in modo iconografico significava occuparsi del cibo in modo trasversale, occuparsi di arte, di mercato, di cucina, ma anche di disgusto, sia quello visibile che quello invisibile, e di filosofia. I temi sono trasversali e si ritrovano anche nella riedizione Nutrirsi per immagini. Il formato è il tipico formato tabloid 29x44cm e l’obiettivo è quello di documentare gli aspetti più tipici di tale cultura con spessore culturale.

Filo conduttore delle argomentazioni è il rapporto tra il cibo e l’uomo, “filo elastico che si mischia a temi più letterati e filosofici”. Il punto di vista di chi scrive è sempre quello di un mero osservatore, i discorsi che vengono fatti sono parallelamente afforntati dalle immagini.

“Sassi creava con le immagini un discorso parallelo e a se stante rispetto al testo, negli articoli ciò significa creare un livello più alto” quasi trascendentale tanto da non esser colto da tutti.

Con «La Gola» l’esuberanza grafica sarà ancora più marcata e si legherà ai temi

della cultura materiale.

Come scriveva Alberto Capatti “la parola food non circolava ancora, unendo cibo, poesia, arte e grafica…”, Sassi è stato il primo a comprendere il valore identitario della produzione alimentare per i nostri territori, fuori dal mondo accademico e dall’industria.

Nutrirsi per immagini, 2016 Una riedizione che raccoglie i saggi di Alberto Veca per La Gola, con lo scopo di tornare a riflettere sul tema cibo da una angolazione culturale ed estetica, oltre che culinaria. Così, riprendendo un filo rosso che vede negli anni ottanta (1982), a Milano, la nascita di un progetto editoriale innovativo e pioneristico, rivive oggi La Gola attraverso gli scritti di Alberto Veca, e la riproposta di una parte di essa.

“La Gola non rappresentò una semplice rivista di settore, nemmeno un periodico specialistico di confronto sul cibo e sul gourmettismo. Essa prefigurò nel suo “pensare” e nel suo “fare editoriale” attorno “all’approfondimento delle culture materiali”, quello che sarebbe divenuto lo stile e la mission di un Movimento come Slow Food: l’idea di una gastronomia, e con essa delle materie prime, che comportava una ricerca sul campo, sul territorio, di tipo antropologico, alla scoperta delle “tecniche di vita materiali”, delle fonti e delle storie dei principali attori della qualità”.

“Secondo lei oggi cosa farebbe Gianni?

Continuerebbe ad occuparsi della parte gastronomica.

Era infatti molto affezionato alla Gola�.

-Intervista a Sergio Albergoni, Milano, 29 settembre 2004

Fig. 163 - 166 Copertine della Gola, progetto grafico a cura di Gianni Sassi

Fig. 167 Copertina di Nutrirsi per Immagini, a cura di Giulio Ceppi

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Gambero Rosso 1986 un forum dove appassionati di tutta Italia si ritrovano e un blog dove Stefano Bonilli, direttore del Manifesto, si mette in gioco in prima persona: il Papero Giallo.

L’esordio di Gambero Rosso, nel 1986 fu di grande impatto e ottenne consensi dai lettori del Manifesto, quotidiano al quale era inizialmente allegato, che riuscì grazie al Gambero Rosso ad allargare la propria area di diffusione.

Era il “mensile dei consumatori curiosi e golosi” e parte di un vero e proprio fenomeno, sociale e di costume, che puntava i riflettori sull’uso consapevole dei prodotti.

“Facciamo la guerra. Guerra dichiarata da un piccolo gruppo di persone, molto determinate e molto coscienti, ai commercianti, ai produttori, ai ristoratori.

Non tutti, naturalmente, certo quelli che costantemente, quotidianamente, cercano di fregare il consumatore. […] È guerra con i produttori, anche in questo caso non tutti, ma quelli che usano prodotti che a lungo andare recheranno danno al consumatore. Un esempio per tutti, l’uso massiccio dei pesticidi in agricoltura che inaridisce la terra e lascia residui nei prodotti della catena alimentare”.

Nel 1989 viene cambiato il formato, è stampato a colori, si arricchisce di fotografie e disegni di qualità, cosi come il suo contenuto.

La rivoluzione del web investe il mondo dell’editoria e nel 1995 nasce il sito internet, successivamente, si aggiungono

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Nel 1992 finisce la collaborazione con il Manifesto, e nasce una rivista indipendente dalla testata. Negli anni poi, le cose cambiano, le guide acquistano prestigio, viene creato il canale tv tematico, successivamente nasce la Città del Gusto, un intero edificio appartenente al Gambero Rosso che ospita la redazione, gli studi televisivi, una pizzeria-osteria, un wine bar, i saloni per gli eventi, il teatro per gli show cooking, le scuole che formano i futuri professionisti e organizzano i master da cui escono i futuri giornalisti del settore. Nel 2005 invece, nasce DireFareMangiare, uno dei primi casi italiani di congresso enogastronomico.

“Il Gambero Rosso era un supplemento mensile, prima inserito dentro al giornale, quindi stampato su carta da quotidiano, e dopo un anno è diventato un supplemento esterno, disegnato con il Macintosh.

Siamo stati i primi a disegnare le copertine con il Macintosh”.

Fig. 168 Prima copertina del Gambero Rosso, 1986

Fig. 169 Le prime copertine disegnate con il Macintosh, 1989

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Il Papero Giallo, Stefano Bonilli Il papero giallo fu il primo blog di cucina nato nel 2004, ancor prima che Bonilli rompesse con il Manifesto a causa di un problema giudiziario.

Fu il primo che, pur essendo direttore di una rivista e anche editore, e avendo nel settore un grosso nome, ha creato un blog con nome e cognome.

Fig. 170 Primo piano di Stefano Bonilli Fig. 171 Landing page di paperogiallo.net adesso oscurata Fig. 172 - 173 Illustrazioni di Luca Laurenti “mklane” per l’intervista a Frizzi Frizzi di Stefano Bonilli, 2014

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“Beh Papero Giallo ero io, in prima persona, che raccontavo. Si trattava di un racconto a 360° del mondo enogastronomico, mondo che via via si stava formando, e sviluppando”.

-Stefano Bonilli, Frizzi Frizzi, 2014

Slow. La rivista di Slow Food 1996 Slow è la rivista di Slow Food, il movimento diventato famoso per la sua filosofia: buono, pulito e giusto.

La dimensione umana è al centro di questo progetto editoriale, infatti il lettore può raggiungere storie sempre diverse.

L’obiettivo di Slow Food era quello di parlare col mondo e Slow, la rivista, ha fatto da ponte, infatti raccoglieva l’eredità di illustri antenati come La Gola, rivista destinata a un pubblico colto, pubblicata a Milano dal 1982 al 1988 e Gambero Rosso, nato nel 1986 come supplemento de Il manifesto.

All’inizio la sua uscita era trimestrale con tre edizioni (italiano, inglese e tedesco), successivamente, nel 2006, sei con l’aggiunta di spagnolo, giapponese e francese.

La grafica era pulita ed essenziale, le immagini grandi e dal gusto provocatorio.

Questo ha permesso di ricevere numerosi riconoscimenti, come quello dell’Alternative Press Award di Utnee Reader nel 2002: “Tradotto con gusto e realizzato con una veste grafica deliziosa […] Slow è la fenomenale pietanza servita dal movimento Slow Food. Splendide foto, veste classica e, mmmh, spazio bianco quanto basta. Saziarsene lentamente!”.

Nel 2006 si decise che la rivista aveva esaurito la sua funzione. Nel 2004 era nata una nuova rivista per i soli soci italiani: Slow Food dal formato più grande rispetto a Slow, dalla grafica più accessibile ad un vasto pubblico, colorata e giovanile. La nuova rivista si pone l’obiettivo di accompagnare i soci informandoli sul buono che esiste e su quello a rischio di non esistere più, in

contemporanea a questo cambiamento, nasce la filosofia del buono, pulito e giusto.

Nel 2013 Slow Food viene sostituita da una nuova edizione della rivista che, in omaggio all’originaria testata internazionale viene chiamata Slow. La rivista di Slow Food.

Si tratta di una rivoluzione, con una nuova generazione di giovani collaboratori e piccole collaborazioni esterne. “È più artigianale, è dentro il nostro mondo e guarda fuori con curiosità”.

Il tipo di fotografia utilizzato è semplice pulito e richiama i sensi.

Nel 2016, per festeggiare i 30 anni dell’associazione, vengono create quattro copertine che, affiancate, formano una mappa concettuale dell’universo Slow Food dove la grafica si integra con una serie di fotografie di alimenti e materie prime realizzate da Oliviero Toscani.

La rivista Slow è un viaggio in bicicletta: le pagine si attraversano con il ritmo di una pedalata in campagna, in cui il panorama grafico cambia ad ogni angolo.

(Undesign, 2013)

Fig. 174 In copertina la Lumaca Slow Sotto il segno della lumaca sono riconosciuti i cultori della cultura materiale e coloro che amano ancora il piacere del lento godimento.

“Buono, pulito e giusto” Il manifesto dello Slow-food, pubblicato nella prima pagina del Gambero Rosso, supplemento del quotidiano Il Manifesto, 3 novembre del 1997

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fig. 175 - 177 In alto Copertine della rivista prime edizioni, 1996 -97 fig. 178 - 180 Edizione italiana della rivista, numero I, II, III progetto grafico Undesign fig. 181 - 182 Alcuni scatti degli interni del n°II del magazine

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Dopo tre anni dal precedente studio della linea grafica e in concomitanza con il cambio di formato della pubblicazione Bodacom ha curato il restyling del progetto grafico della rivista Slowfood. Le modifiche introdotte non hanno portato allo stravolgimento delle logiche precedenti ma hanno riguardato in primis la riorganizzazione delle “gabbieâ€? grafiche poi l’uso di font piĂš leggeri fino a riorganizzare il sistema comunicativo delle pagine. fig. 183 - 184 Copertine e interni della rivista dal 2007 Studio Grafico Bodacom

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Nel 2016, per festeggiare i 30 anni dell’associazione, ci siamo concessi una serie speciale di copertine: quattro copertine che, affiancate, formano una mappa concettuale dell’universo Slow Food dove la grafica si integra con una serie di fotografie di alimenti e materie prime realizzate da Oliviero Toscani.

La rivista Slow è un viaggio in bicicletta: le pagine si attraversano con il ritmo di una pedalata in campagna, in cui il panorama grafico cambia ad ogni angolo.

fig. 185 - 186 Copertine di Slow Food per i 30 anni dell’associazione Oliviero Toscani, 2016

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Dispensa: generi umani e generi alimentari 2013 Martina Liverani Dispensa è un prodotto editoriale, una foodzine che si rivolge agli appassionati di cibo di cucina, e non per forza agli addetti ai lavori. É un quadrimestrale, perchè, come dichiara l’autrice, per raccontare delle storie, ci vuole del tempo.

“La periodicità quadrimestrale ci impone di lavorare con lentezza, e impone al lettore di leggere con lentezza, recuperando un ritmo diverso: i servizi sono lunghi, con tante parole e tante foto.

Sono letture senza scadenza che vogliono essere riscoperte a distanza di tempo, anche collezionate, e che chiamano in ballo un modo più gentile di accostarsi alle cose”.

La ricerca di un approccio differente che mira ad approfondire l’argomento ma allontanandosi dall’informazione meramente didattica. Viene affrontato un tema differente per ogni numero, con ispirazioni, racconti, prodotti e persone.

Una peculiarità è la scelta di non inserire pubblicità per la sostenibilità, ma solo storie fotografiche e una grafica attuale. É questo l’obiettivo di Dispensa, riuscire a crescere e sopravvivere solo con le vendite del magazine.

Si tratta quindi di un giornale particolare, prodotto con carta, anch’essa alimentare perchè proveniente da scarti da cibo.

Dispensa guarda il mondo con gli occhi del cibo e lo racconta con stile unico e originale. Un progetto controcorrente che, nell’epoca del digitale, vuole recuperare, grazie alla bellezza tattile ed estetica di un prodotto editoriale antico, il tempo giusto da dedicare alle cose belle.

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Dispensa come contenitore di cose buone e dispensa come approfondimento.

“Ho iniziato con la carta, è il mio primo amore. Quando scrivo per la carta stampata ci metto più tempo, c’è più poesia. Bisogna dare meno cose per scontate, senza poter mettere dei link per approfondire, si deve usare un registro stilistico più vario rispetto a quello del web. Parto dal presupposto che il lettore lo devo intrattenere, mentre sul web lo devo trattenere. Sono due cose diverse, tra chi scrive e chi legge c’è uno scambio reciproco”.

Dispensa si sostiene con le copie vendute e i profitti di ogni numero serviranno a finanziare la realizzazione dei servizi (tutti prodotti in esclusiva per Dispensa) del numero successivo.

Il crowdfunding verrà utilizzato per servizi particolarmente costosi e i partner distributivi che però non saranno presenti nelle pagine di Dispensa , infatti non ci sarà mai pubblicità: condizione necessaria per mantenere autonomia e avere il controllo sui progetti.

Simone Sbarbati, intervista a Martina Liverani

fig. 187 - 189 Storie di donne e di cibo, monografia allegata a Dispensa per Expo 2015 Marina Rinaldi a cura di Martina Liverani Fotografia di Lea Anouchinsky fig. 190 - 193 Alcune delle copertine di Dispensa

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Alla Carta: dissertation around a table 2013 Valentina Barzaghi, Yara De Nicola e Fabiana Fierotti Si tratta di un magazine bimestrale made in Italy, scritto interamente in inglese nel quale il cibo fa da filo conduttore e medium comunicativo celebrando la carta come elemento di massima espressione. É un esperimento indipendente “around a table” ode al momento più intenso e prezioso della giornata, il mangiare attorno ad un tavolo per celebrare la convivialità come tradizione, che combina insieme diversi ingredienti culturali, in primis la moda, innalzando il cibo a soggetto/oggetto da cui sviluppare opinioni e immagini suggestive.

Alla Carta nasce dalla voglia di voler ancora credere nell’editoria cartacea, creando qualcosa di diverso che potesse scuotere il pubblico.

Il perché del soggetto è stato una semplice evoluzione di ciò che succedeva durante i nostri incontri, che avvenivano sempre durante i pasti e ci hanno portate a constatare quanto il cibo stimolasse i processi creativi e si prestasse a interpretazioni nuove e interessanti. È ovvio che il mercato editoriale oggi sta cambiando ma vi è anche un ritorno alle origini, infatti non è più il prodotto che fa la quantità bensì la sua esclusività, ed è per questo che Alla Carta punta alla storicità della carta perchè si tratta di un ineguagliabile medium di lettura, di resa fotografica, ma anche per la sua collezionabilità che la rende, a differenza del web, senza tempo.

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fig. 194 Scatto all’interno di Alla Carta Bea de Giacomo, 2011 fig. 195 Reintenpretazione delle sedie di Ten Lutrario di Carlo Mollino su L’ArcoBaleno, 2012 fig. 196 Scatto all’interno di Alla Carta Bea de Giacomo, 2011 fig. 197 - 202 Copertine di Alla Carta n° 1,2, 3, 9, 10, 11

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format editoriali internazionali 4.6 4.7 4.8 4.9 4.10

Gather Journal Mold: the future of the food Fricote: l’Êpicurien urbain Fuet: food and its peipheries The Gourmand: a food and culture journal

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Gather Journal 2012 Michele Outland e Fiorella Valdesolo, Art director e Director del Nylon Magazine, fondano Gather Journal, una combo tra rivista e ricette a tiratura limitata con uscita semestrale. Gather celebra il cibo elevadolo a centro di convivialità tra ricette e approfondimenti ruotando intorno a vari temi e con l’apporto di food photographers e giornalisti, imprime memorabili immagini nella mente dei lettori sfruttando food e lifestyle con l’idea centrale della convivialità. É un esempio eccellente di editoria di riferimento che con artistiche copertine stimola idee e creatività.

Le fondatrici pensano e realizzano qualcosa che le accomuna, un mix di cibo e cultura. Nel 2012 esce il primo numero e la scelta di strutturare a “forma di libro” le ricette mira al desiderio di raccolta che suscita nel lettore, che può infatti conservare i numeri creando una piccola biblioteca casalinga. Le copertine sempre di impatto, tendono ad evocare un sentimento, un incontro di persone (da gathering) dandogli un’identità visuale più unica che rara. Ogni capitolo è diverso dall’altro con degli elementi distintivi ben definiti ed una storia a sé che tramite un file rouge si lega all’interno del mondo di Gather Journal.

fig. 203 - 204 Due delle copertine di Gather Journal

fig. 205 Will Anderson per Gather Journal fig. 206 Il magazine è supportato da un’app che costituisce un ricettario portatile

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Mold: the future of the food 2017 Mold è un magazine recente che pone l’attenzione sulla prospettiva del food design come chiave per esplorare e comprendere il futuro del cibo. L’obiettivo che si pone la piattaforma online Mold, ideata da LinYee è dare spazio alle storie di chi sul design ha scommesso per dare forma al cibo che verrà. Ogni numero si concentra su un tema specifico analizzandolo con il filtro del design, dall’evoluzione dal packaging alimentare al riuso degli scarti, dai novel food all’innovazione agricola. È stata inoltre aperta una campagna di crowdfunding su Kickstarter, che finanzierà sviluppi futuri.

I temi sono vari, dall’approfondimento sulla tavola come rituale sociale all’esplorazione dei packaging commestibili, all’applicazione dei big data per l’industria alimentare.

fig. 207 Landing del sito web, collettore di informazioni

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fig. 208 - 210 Copertine di Mold n°1, n°2 e alcuni scatti di un articolo

Fricote: l’épicurien urbain 2011 Fricote colpisce per le sue copertine, sempre differenti, colorate, illustrate e anche in 3D. Il codice è volutamente non convenzionale con l’obiettivo principale di far comprendere che si ha a che fare con una rivista dedicata al cibo. L’idea è anche quella di farlo risaltare nei luoghi in cui viene venduto, creando copertine semplici, colorate e intriganti. Le copertine sono quasi sempre frutto di collaborazioni esterne tranne la prima che è stata realizzata internamente, non viene utilizzata una tecnica ben precisa, non c’è un layout predefinito, e dipende sempre dagli artisti che vengono scelti per la collaborazione.

L’idea è quella di avere un prodotto editoriale sempre differente dal precedente.

La fotografia utilizzata all’interno si ispira agli editoriali di moda, e spesso viene lasciato ampio spazio a questa sacrificando il testo.

fig. 211 Interni del magazine

fig. 212 - 214 Copertine di Fricote n°1 e n°3

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Fuet: Food and its peripheries 2013 Dall’idea di Eduardo Garcìa Llamas e Maria Arranz, nasce Fuet, un biennale di orgine spagnola ma tradotto anche in inglese.

Il primo numero è stato pubblicato in tiratura limitata di 1000 copie. Il punto focale della rivista è l’intersezione tra la cultura e il piacere del cibo coninvolge la tradizione spagnola dalla cultura all’arte, dal cibo al design a 360°.

“When we think of rituals, the first thought that comes to mind is related to ancient religious or social performances that served to bind communities together, and the general assumption is that nowadays the function of these rituals has been weakened.

Yet, upon closer examination, we find our life is punctuated with rituality, even if not so much connected to spiritual life”. fig. 215 - 217 Copertine di Fuet Magazine e dettaglio degli interni

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The Gourmand: a food and culture journal 2012 Il magazine, fondato da David Lane di Inventory Studio e Marina Tweed, organizzatrice di eventi, parla principalmente di cultura e di arte attraverso il cibo. Viene dato ampio spazio ad artisti, interviste e servizi fotografici sia di moda ma anche approfondimenti sul tema food.

“The Gourmand is an award winning, biannual food and culture journal.

Each issue features 120 pages of specially commissioned words and images - the Gourmand’s content is creative, timeless and exclusive�.

fig. 218 - 220 Copertine di The Gourmand e dettaglio degli interni Scatti di Baker & Evans

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terza parte

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concept I casi studio e le informazioni raccolte e riportate nei precedenti capitoli sono risultati fondamentali per definire il concept di questo progetto.

Tutti i magazine che sono stati analizzati, affrontano il tema in modo differente e nessuno di questi si sofferma sul cibo, o al piatto, come mera esecuzione o fotografia.

Il food viene sempre integrato o affrontato con trasversalità, e a volte proiettato in dimensioni altre, come accade in Alla Carta. Risulta evidente già dalla sua tagline dissertation around a table e dal naming la connessione con una tavola, delle sedie, la visione conviviale del cibo, tuttavia è vera solo in parte. Alla Carta infatti, non è un ricettario, e non parla di cibo. Si tratta invece di un magazine di moda, arte, visualità, che affronta queste tematiche in vari luoghi e in selezionati locali, attorno ad una tavola imbandita con uno o l’altro piatto, dedicandovi poi l’uscita di riferimento.

Dispensa, invece, affronta l’argomento in modo ancora differente. Parla di cibo, di filiera, di realtà e di tradizioni, non spendendo neanche una pagina in pubblicità. Ogni parola è pesata, misurata e condivisa con un preciso obiettivo.

Le sue monografie, si concentrano su un tema unico per ogni

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uscita, solo per citarne alcuni ad esempio Storie di Pasta, realizzata per Monograno Felicetti, oppure storie di Donne e Cibo, realizzata in collaborazione con Marina Rinaldi che coniuga donne, cibo, e naturalmente moda.

In Dispensa, tutto proviene dal cibo, e dalle sue evocazioni, come la carta, ottenuta e realizzata con gli scarti delle lavorazioni alimentari.

Dispensa è un giornale fatto solo di storie, rigorosamente senza interruzioni pubblicitarie, raccontate con un registro doppio di parole e d’immagini, di Generi Alimentari e Generi Umani, come recita la testata. Ogni numero affronta un tema diverso e contiene ispirazioni, itinerari, prodotti, persone.

Dispensa guarda il mondo con gli occhi del cibo e lo racconta con un uno stile unico ed originale. Nell’epoca del digitale Dispensa invita a recuperare, grazie alla particolarità tattile ed estetica di un prodotto editoriale antico, il tempo giusto da dedicare alle cose belle.

Questi ed altri esempi, si sono rivelati fondamentali per l’approdo finale all’idea progettuale con analisi affrontate su diversi piani: il discorso, il coinvolgimento dei sensi, i materiali utilizzati e potenzialmente utili alla dimensione sensoriale, i temi.

L’obiettivo finale è raccontare il cibo, creando una narrazione ancora differente, attraverso una lettura trasversale tramite il coinvolgimento dei sensi sia su supporti digitali, attraverso una narrazione continua, che attraverso il medium cartaceo, per poter assaporare a pieno il piacere della lentezza dedicando il tempo giusto ad un prodotto editoriale speciale tramite la riscoperta della carta come mezzo esclusivo, inclusivo e particolare.

Ogni numero sarà dedicato ad uno specifico argomento e affronterà il tema su tre livelli: reperire [obtain] le materie prime esplorare [explore] tramite strumenti e racconti servire [wait on] il prodotto finale.

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L’argomento unico di ogni singola uscita sarà analizzato e sviscerato al fine di restituire una rappresentazione grafica del piatto, delle materie prime che lo compongono, della loro storia e di tutti i soggetti coinvolti nella preparazione.

Il magazine sarà infine redatto in Inglese, l’idioma dei cittadini del mondo, è globale, internazionale, supera le barriere e accorcia le distanze di apprendimento e inclusione.

“Feel, Sense, Think, feed”.

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6

160

il progetto Feed è una pubblicazione che entra a far parte dell’ editoria definita indipendente, nasce e si sviluppa intorno a tre passioni: la sperimentazione, la cucina e l’editoria.

Il progetto prevede di coinvolgere i cinque sensi posizionandoli come co-protagonisti di un incontro quasi ossimorico tra due mondi: editoria e digitale.

Due output veicoleranno e alimenteranno il progetto: Una campagna di promozione online per il lancio del numero 0 della rivista e il mantenimento per le successive pubblicazioni.

La progettazione di un magazine, dai contenuti, al layout, alla creatività, fino ai materiali.

Ogni fase di progettazione, poi, coinvolgerà i cinque sensi, integrandoli con coerenza all’interno del mondo Feed.

Il sito internet dedicato al progetto, una landing audiovisuale, un vero e proprio hub di informazioni relative al tema oggetto dell’ultima uscita, con una sezione e-commerce e un’area in cui sarà possibile iscriversi alla newsletter.

Negli ultimi 8 anni molti progetti di microeditoria sono nati

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e si sono sviluppati grazie alle piattaforme di crowdfunding o finanziamento collettivo. Si tratta di un processo collaborativo: gli utenti della piattaforma sulla quale è ospitata l’idea da finanziare utilizzano il proprio denaro per sostenere gli sforzi di chi ha buone idee ma non ha fondi per realizzarle. È una pratica di microfinanziamento dal basso che mobilita persone e risorse.

Non dimentichiamo che in Italia i prezzi dell’editoria sono vertiginosamente saliti, ma solide basi possono senza dubbio fare emergere, conoscere e sostenere l’idea progettuale che si vuole realizzare.

Per finanziare feed, dopo un analisi delle spese e dei costi si è giunti a una conclusione. A seguito della richiesta di 3 preventivi, è risultato evidente che secondo il progetto attuale sarebbe possibile autofinanziare la stampa e la diffusione del progetto (ipotizzando nessun costo di progettazione).

Tuttavia la forma di finanziamento, che risulta idonea al progetto è la costituzione di un’Associazione Culturale.

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“Una narrazione trasversale sul cibo, un approfondimento tematico semestrale. Una visione, un’evoluzione di segni sovrapposti, un viaggio tra i materiali e gli attrezzi da cucina, un’immersione scientifica sul tema, una scoperta sinestetica, un viaggio tra i sensi. Associazioni, allusioni, link. Una playlist dedicata ad ogni tema e unica per ogni uscita.

Feed nasce dalla passione per la scoperta e per la cucina, è un piccolo editoriale particolare, è un pezzo di cuore, un libretto da collezione”.

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6.1 | la strategia Con questo progetto vogliamo creare esperienze, e stimolare la sensorialità e la percezione utilizzando una strategia di comunicazione multicanale. Il fine è quello di far avvicinare l’utente ad un tipo di magazine differente che affronta il tema food in modo trasversale.

Obiettivo L’obiettivo finale è quello di raccontare il cibo, creando una narrazione, coinvolgendo i sensi sia sui social sia attraverso il medium cartaceo, per poter gustare il piacere della lentezza dedicando il tempo giusto ad un prodotto editoriale tramite la riscoperta della carta come mezzo esclusivo, inclusivo e particolare.

Le keywords attorno alle quali gira il progetto sono feel, sense, think.

Vogliamo creare un’esperienza totalizzante: ogni numero tratterà un singolo argomento food sempre differente, e ne leggerà le caratteristiche intrinseche. Analizzerà le materie prime e la loro provenienza, la loro forma e struttura così come gli strumenti indispensabili per la realizzazione del piatto nonchè gli elementi utili durante il servizio per esaltare la presentazione finale. Potrà trattarsi di un piatto stratificato come il tiramisù, oggetto della nostra prima indagine, o di un piatto più omogeneo come il couscous.

Si tratta di un progetto di microeditoria che racconta una storia unica tramite i sensi sollecitati dai materiali utilizzati e le suggestioni che tramettono. La trasversalità viene sfruttata per raccontare il cibo dal prodotto utilizzato, agli strumenti, un’analisi critica e una finale realizzazione grafica e fotografica, arrichendo l’anima con informazioni particolari.

Target: chi sono gli utenti?

Il segmento al quale ci rivolgiamo è composto da utenti di età compresa tra i 24 e i 45 anni.

Appartenenti ad un ceto medio alto, che non hanno paura di spendere e acquistare un magazine scelto solo dalla

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copertina, utenti attivi sui social che si informano, viaggiano, si interessano di nuove realtà, utenti curiosi, creativi, ma anche utenti non attivi sui social ma che frequentano luoghi in cui queste riviste vengono divulgate, come i festival e gli eventi legati all’editoria.

Il main goal è stimolare l’utente attraverso una campagna di comunicazione visiva e informativa che coinvolge i cinque sensi e tramite la matericità del prodotto editoriale stampato su carta.

L’obiettivo è quello di rendere consapevole l’utente, e coinvolgerlo alle attività che feed propone: la scelta della carta, dell’impaginato, dei contenuti, della playlist dedicata, dei suoni, delle immagini, degli odori (reali o evocati).

Per concludere, il magazine avrà diverse vite, nella sua forma primaria sarà un oggetto reale stampato su supporto cartaceo, eco di questa vita sarà la selezione di contenuti rintracciabile online.

Sui social post video, audio, immagini, avranno lo scopo di evocare i sensi tramite associazioni e suggestioni, reminder.

Una selezione audio accompagnerà la lettura.

Sul sito web saranno selezionati i migliori articoli di approfondimento e sarà possibile acquistare i numeri della rivista attraverso l’e-commerce.

Il valore aggiunto di Feed è la lingua. Pur essendo un prodotto editoriale italiano, viene realizzato e divulgato in lingua inglese per una più facile comprensione da parte del pubblico cosmopolita e per una maggiore internazionalizzazione.

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media mix owned online

offline

sito web feedmagazine.org newsletter

Associazione Culturale feed

earned online

offline

instagram @feedfoodmagazine spotify @feedmusic

paid

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online

offline

blog siti social magazine digitali

stampa eventi editoria eventi microeditoria

social media

magazine

sito web

Instagram audio visuale racconta il tema nella sua totalità

feed medium principale costituito da tre parti coesistenti, rappresenta l’analisi totale del tema analizzato

feedmagazine.org collettore di informazioni, luogo nel quale è possibile informarsi e acquistare il magazine tramite l’e-commerce

i contenuti trattandosi di un magazine semestrale monotematico, i contenuti ruotano attorno all’argomento definito precedentemente e creati dal team dell’Associazione Culturale

magazine

i contenuti sito web

social media

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piano editoriale Il piano editoriale prevede una fase iniziale di hype ed engage per l’utente.

Su Instagram il piano del racconto è solo audio - visuale con delle pubblicazioni connesse l’una all’altra tramite un segno grafico, così come avviene sul magazine. La narratività verrà introdotta con 3 teaser per creare hype, e un what is di presentazione di feed.

Il sito internet è costituito da una landing iniziale interattiva che successivamente si trasformerà in un collettore di approfondimento, nel quale inoltre sarà possibile acquistare la rivista tramite l’ e-commerce.

Instagram sarà il canale digitale principale nel quale verranno condivisi contenuti audio visuali e i teaser che accompagneranno l’utente alla scoperta del tema del magazine. Un altro strumento informativo, che aiuterà il lettore a gestire queste informazioni sarà la newsletter, inviata solo in prossimità di eventi in cui feed sarà presente oppure quando è in uscita il nuovo numero; rappresenterà lo strumento di bussola e sintesi del progetto (best of, da non perdere).

I social avranno un periodo di latenza tra un’uscita e il nuovo numero. È proprio in questi mesi che verrà attuato un ‘programma di mantenimento’ che come durante una dieta aiuta a non perdere i risulati ottenuti. Saranno condivisi articoli di approfondimento con un climax che porterà, con una successione naturale di informazioni, fino al nuovo numero. Il mese prima dell’uscita del numero successivo, i social verranno invasi con uguali modalità per introdurre il nuovo argomento: il cous cous.

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teaser / hype

narratività

teaser / hype

narratività

CTA evento

narratività

facebook

teaser / hype

narratività

teaser / hype

narratività

CTA evento

narratività

sito web

teaser / hype

evento offline

instagram

newsletter

newsletter

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instagram

audio / visuale

audio / visuale

audio / visuale

audio / visuale

audio / visuale

audio / visuale

facebook

informazione

sito web

informazione

informazione informazione

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informazione

informazione

informazione

informazione

newsletter

newsletter

instagram

audio / visuale

narratività

teaser / hype

narratività

facebook

informazione

narratività

teaser / hype

narratività

sito web

informazione newsletter

newsletter mantenimento

uscita n°1

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6.2 | il magazine Il formato scelto per il magazine, è il 210*240 mm, proiettandosi all’infuori di qualsiasi scelta canonica, questo formato risulta essere ottimo nell’ottica dell’autoproduzione e del risparmio di materiale.

Essendo principalmente visuale, e poco testuale, si è scelto di utilizzare un formato di una dimensione media, che desse risalto alle immagini e alle scelte grafiche.

Il volume è costituito da tre parti, e si sviluppa su tre livelli di racconto. Ognuna di queste parti rappresenta l’evoluzione del tema affrontato e accompagna la narrazione dalla prima fase, quella del reperire le materie prime, alla seconda fase, esplorando il tema tramite gli strumenti utili alla realizzazione del piatto e racconti etici ed informativi inerenti il tema, fino ad arrivare alla terza parte, la fase in cui il prodotto è finito, e deve essere servito.

L’idea segue il principio della sovrapposizione degli elementi in modo grafico e fotografico.

La prima parte del magazine reperire [obtain] le materie prime è formata da un dodicesimo in carta da lucido, interamente grafica, formata dai prodotti che servono per poter creare il piatto, e le suggestioni con le quantità utili.

La seconda parte del magazine, esplorare [explore], è costituita da un’estensione del formato in orizzontale (x6) che ripiegata rientra nel formato iniziale. In questa parte vengono affrontati due piani dello discorso: un’abaco degli strumenti, e le informazioni che sono state ritenute più importanti per il riconoscimento del piatto e i suggerimenti degli strumenti più utili da utilizzare. Il secondo piano, invece, è informativo e tratta, tramite degli elementi grafici e testi informativi, gli argomenti ritenuti più interessanti in relazione al tema trattato.

Le prime due parti costituiranno un elemento unico tramite un sistema di legatura che permette la totale fruibilità dell’elaborato. Il filo che legherà queste due parti sarà sempre

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del colore del prodotto principale di cui stiamo parlando, in questo caso sarà azzurro.

La terza parte del magazine, servire [wait on], fornisce all’utente un elemento personale estraibile e fruibile in vari modi.

Il formato scelto, costituisce il manifesto del servire che ripiegato, rientra nel formato originale di 210x240 mm.

Il piatto viene destrutturato e tramite suggestioni, rappresentato sfruttando il sistema grafico e fotografico di cui ci siamo serviti fino ad ora. L’idea è quella di giocare tramite la trasversalità e l’astrazione, utilizzando prodotti suggetivi e elementi grafici e fotografici che compongono il piatto, i consigli prima di essere servito, e l’abbinamento scelto. Dopo varie proposte, è stato deciso di abbinare il Negroni, cocktail internazionale che costituisce anche un elemento di fine pasto.

Saranno inoltre previsti per ogni numero, due lavorazioni speciali, due odori particolari, contenuti in delle piccole bustine che costituiscono due campioni di prodotto.

Il magazine sarà contenuto in un packaging personalizzato, una busta alimentare che conterrà ogni sua parte, le lavorazioni particolari e tutti i dati riguardanti il magazine: le collaborazioni, il pensiero dell’editor, il costo, e i contatti.

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logotipo & scelte tipografiche Sono stati scelti due caratteri tipografici per la progettazione di feed, Il principale è il Surveyor, utilizzato inoltre per la realizzazione del logotipo e nel sito web. Per la font secondaria invece pensata principalmente per la testata e per i testi di supporto, è stata scelta una bastoni quanto più geometrica possibile, per non appesantire nè il logo, nè il magazine e garantire leggibilità. Il carattere scelto è l’Open Sans, ottimizzato per la lettura sia su digitale che su stampa.

Surveyor fine

Surveyor text

Surveyor display

1234567890 abcdefghijklm nopqrstuvwxyz

1234567890 abcdefghijklm nopqrstuvwxyz

1234567890 abcdefghijklm nopqrstuvwxyz

Surveyor fine

Surveyor text

Surveyor display

light medium bold

light medium bold

light medium bold

LOGOTIPO

TESTI

WEB

Il Surveyor è una font serif progettata da Tobias Frere-Jones nel 2001 come carattere personalizzato da utilizzare nella rivista Martha Stewart Living e pubblicato poi nel marzo 2013, in una gamma più ampia di stili, dalla fonderia di tipo Hoefler & Frere-Jones. La caratteristica più importante di Surveyor è la sua ampia gamma di pesi e stili, progettata per fornire più opzioni per pubblicazioni complesse come i magazine.

Open Sans Open Sans

1234567890 abcdefghijklm nopqrstuvwxyz

light medium bold SUPPORTO - TESTI

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L’Open Sans è una font sans-serif progettata da Steve Matteson e commissionata da Google. È ottimizzata per la lettura su carta, web e interfacce mobili.

FOOD MAGAZINE

FOOD MAGAZINE

FOOD MAGAZINE

FOOD MAGAZINE

FOOD MAGAZINE

FOOD MAGAZINE

f

Il logo ha un’identità tipografica barocca che crea un link diretto ai sensi traducendo al meglio l’idea di evocare delle sensazioni.

Come logotipo, viene utilizzato principalmente nel magazine, la testata invece per la declinazione digitale del progetto: nel sito web, e sui social.

f

Nutrire, alimentare informare.

Raccontare una storia

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identità | feed Le scelte cromatiche sono state fatte in base ad un’analisi approfondita di un senso in particolare: il gusto.

L’idea è quella di evocare ogni sapore, sia visivo che reale.

Studiando quindi la lingua e ogni sua parte, l’identità di feed sarà rappresentata dai sapori principali (amaro, acido, salato, dolce) quindi colori più forti e caratterizzanti, così da farli emergere nel mondo digitale pieno di sfaccettature.

Il magazine invece, rappresenterà l’umami, il quinto senso della lingua e costituirà la sfumatura progettuale, con dei colori più tenui ed eleganti.

amaro

R245 G186 B150

acido

R45 G82 B155

salato

R196 G53 B65 dolce

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identità | feed tiramisù L’identità dei magazine, ed in particolare quella del tiramisù, oggetto della nostra analisi, è costituita da colori più tenui ed eleganti.

Il colore scuro che è presente nella parte grafica del magazine verrà accompagnato dai colori più tenui dell’azzurro per la prima parte, quella di ottenere [obtain] e nel logotipo.

L’azzurro più scuro sarà presente invece nella seconda parte [explore] per dar risalto ai temi etici ed informativi.

amaro

C47 M65 Y63 K70 acido

umami

C67 M21 Y14 K3 | 549C

C67 M21 Y14 K3 | 50% salato

dolce

C100 M44 Y43 K43 | 548C

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identitĂ | ipotesi altri temi unici

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icon set Per la creazione dell’icon set, sono partita dallo studio dei cinque sensi, e, dopo varie elaborazioni sono arrivata a sintetizzare i miei studi in cinque icone essenziali, ognuna per ogni senso.

I cinque sensi: vista, udito, olfatto, gusto, tatto.

Attorno l’idea di sensazione, percezione, e associazione è stata costruita l’identità di feed, cercando di stimolare contemporaneamente i sensi su diversi piani.

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packaging Il magazine verrà distribuito in una bustina alimentare, che conterrà ogni sua parte: le prime due sezioni del magazine legate insieme con un filo dello stesso colore dell’identità scelta per il tema, il manifesto finale, le lavorazioni particolari e tutti i dati riguardanti il magazine: le collaborazioni, il pensiero dell’editor, il costo, e i contatti.

All’esterno verrà quindi applicato un adesivo con tutte le informazioni necessarie e conoscitive e anche quelle utili a spedire il prodotto finale.

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#tiramisĂš

2018 / YE AR 1

Associazione Culturale Feed Piazzale Segrino, 1 20159, Milano feedfood@magazine.org feedmagazine.org

-N UM BE R

0

00 1, â‚Ź2

/ Simona Nuccio Piazzale Lugano, 6 20158 Milano

A precious smell: Theobroma cacao, South America

A precious smell: Arabian coffee, Ethiopia dry process

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layout Il magazine, come abbiamo precendentemente detto, ha tre anime, ricerca delle materie prime, esplorazione su molteplici livelli e compimento del piatto: [obtain] [explore] [wait on]

[obtain]

[explore]

[wait on]

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[obtain] La prima parte del magazine, in carta da lucido, costitusce l’incipit del progetto. Prima di agire e iniziare a creare un piatto sono necessarie le materie prime, e le quantità che servono per la corretta riuscita del piatto, queste informazioni vengono raccontate tramite infografiche di ogni singolo elemento che costituisce il piatto.

Queste parti, sovrapposte, costituiscono poi la copertina del magazine.

La copertina è frutto della sovrapposizione degli elementi che compongono la prima parte del magazine: l’elemento grafico, quello testuale, e iconico e simula la stratificazione del piatto. È inoltre presente un segno grafico, caratterizzante e rappresenta il piatto di servizio contenendo tutti gli elementi.

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Il cacao

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Il mascarpone e le uova

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Lo zucchero

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I savoiardi

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Il caffè

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infografica ingredienti

suggestioni

tipologia di prodotto / consigli

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suggestioni

sezione

anno / numero

ingredienti + quantitĂ

logo + tematica

[explore] La seconda parte del magazine è più tecnica: un abaco iniziale fa da apertura, per poi continuare con dettagli essenziali che spesso vengono sottovalutati ai fini della buona e corretta riuscita del piatto. Successivamente invece, troviamo un approfondimento tecnico sul tema.

L’ultima parte analizza sotto il punto di vista etico e informativo due temi attuali.

In apertura una frase suggestiva ed evocativa che spinge l’utente ad immergersi nel mondo di feed. “esplora il mondo del tiramisù, immergiti totalmente nei sapori, negli odori e nelle informazioni.

Fai scelte consapevoli, trova dei nuovi valori.

Scopri, assaggia, mordi, è qui per te!”.

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sezione testo

190

abaco degli elementi

abaco degli elementi

testo

det per la p

ttagli utili preparazione

dettagli utili per la preparazione

testo di approfondimento

approfondimento fotografico

approfondimento fotografico

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Abacus

handle whisk 1920

spiral whisk 1920

flat whisk or roux 1950

pressure whisk 1960

25°C

22°C

wooden bowl

glass bowl

10°C

23°C

steel bowl

porcelain bowl

[explore]

History tells that...

The egg yolks and sugar should be assembled then add the mascarpone cream and whipped egg whites. The ladyfingers biscuits are soaked in the coffee and alternate with layers of egg and mascarpone cream, dusting at the end with cocoa.

It’s fundamental that the cream must remain soft and abundant, without being completely absorbed from the ladyfingers biscuits.

Essential details

coil 1970

The kitchen whisk is a tool very used above all in pastry. It’s made of a cylindrical handle that ends in a sort of cap, from this starts 4 o 6 elongated arches formed by wires of flexible material arranged a sunburst.

It can be replaced by an electric mixer or a blender, however many cooks believe that the manual movement is essential for the delicacy of many preparations.

192

foam whisk 1950

flat whisk or roux 2000

wooden spoon

23°C

The prepa the simple element n the tempe material.

Did you kn not recom eggs?

And that i products c electric beater whisk A 1970

electric beater whisk B 2004

spatula

plastic bowl

Pyrex is th serve the t can see th

Deepen: the dish, the spoon, the fork

transparent

baking dish pyrex

Cooking tools are essential to fully enjoy a product. You can find particular kind of dish, fork or spoon for every different specialities.

Talking about desserts, the tools are several, according to their consistency, the way to serve them and also referring to the small containers they are in.

Tiramisù is a creamy dessert often served as a cake and eaten with a spoon; you could eat it also using a particular fork stiffer in a side.

opaque

baking dish porcelain

Cocoa: the black flow

sweet dish english porcelain

mousse fork

pie fork

cake fork

soft cake fork

Cocoa plants grow in certain areas of the planet, between 20°C to the north and south of the equator, areas where there are suitable conditions for their production: abundant rainfall and a high humidity level.

Conditions that, however, could, from now to 2050, be thwarted by the expected increasing in the temperature of the globe, equal to 2.1°C, which will destroy the balance of those areas, also having major repercussions on the world of chocolate industry.

As a result, the water will be evaporate from the soil and plants faster than the normal; It will be a drying up that couldn’t be rebalanced by the abundant equatorial rains, which will occur less and less.

tasting spoon

aration of a dish, even est, needs important not to overlook, as erature, or the type of

now that plastic is mmended for whipping

in the steel bowl the can’t’ rise?

he best baking dish to tiramisù because you he layers of the sweet.

cake scoop steel

sweet dish modern porcelain

tea small spoon

sugar medium spoon

coffee medium spoon

coffee small spoon

Mars Inc 18 bn $ Mondelēz International 12,9 bn $

dessert fork

dessert medium spoon

USA

Dominican Republic 55 t

Ecuador 233 t

Export Import

Economics data - billion dollar Quantity expressed in tons 4.7 m tons / y - total Data from 2016 Estimated data Source: ICCO

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testo di approfondimento

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infografica etica informativa

testo di approfondimento

infografica etica informativa

testo di approfondimento

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poon, the fork

Cocoa: the black flow

o n ork

ools ir e he Germany

t aten

k mousse fork

pie fork

cake fork

soft cake fork

Cocoa plants grow in certain areas of the planet, between 20°C to the north and south of the equator, areas where there are suitable conditions for their production: abundant rainfall and a high humidity level.

Conditions that, however, could, from now to 2050, be thwarted by the expected increasing in the temperature of the globe, equal to 2.1°C, which will destroy the balance of those areas, also having major repercussions on the world of chocolate industry.

As a result, the water will be evaporate from the soil and plants faster than the normal; It will be a drying up that couldn’t be rebalanced by the abundant equatorial rains, which will occur less and less.

tasting spoon

tea small spoon

sugar medium spoon

coffee medium spoon

coffee small spoon

dessert medium spoon

Economics data - billion dollar Quantity expressed in tons 4.7 m tons / y - total Data from 2016 Estimated data Source: ICCO

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Mars Inc 18 bn $ Mondelēz International 12,9 bn $

dessert fork

Swiss Nestlè SA 9.1 bn $

Italy Ferrero Group (It - Lx) 10.6 bn $

USA

Dominican Republic 55 t

Ecuador 233 t

Ivory Coast 1.550 t

Ghana 1.025 t

Cameroon 253 t

Export Import

4.7 m tons / y

Coffee: sensory notes

crema’s colour

cre ma ’s c

dy bo

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9

en

8

cy

7 6 5

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e rs cy isten

4 3 2 1 0

e balanc

aromas i nt e

Japan Meiji Co Ltd 9.8 bn $

astr ing en

cy

a em cr

nsit y

Tertiary aromas are developed by the seasoning phase, that is the rest period of the finished product.

But if for the wine primary, secondary and tertiary fragrances are very distinct and almost always identified in the subsequent stages of treatment, for chocolate they are the evolution of one anothers, and they are evaluated in the whole process.

Guatemalan coffee

The wonder of diversity

Brasilian coffee

The properties of cocoa, came from the various phases, from processing to maturing that contributing to the different aromatic notes. Primary fragrances, indicate the aromas of the original cocoa, secondary fragrances, define the aromas that develop during the fermentation, toasting and conching phases.

e

al qu

sw

ity

acid

bitte r

Singapore

m a’ s

et

ar o

Malaysia

Indian coffee

Ethiopian coffee Indonesia 350 t

The variety of coffee from Ethiopia is one of the best in the world. This kind of coffee has got an incredible amount of properties and sensations.

In part they come from the type of processing: dry or washed.

Dry processing in many parts of Ethiopia is an ancient practice in which small quantities of coffee are processed.

These, are rarely expropriated, and are toasted and drunk at the place of origin, or locally sold. The result is Harrar, a wild, fruity, sweet coffee with a slight fermented note. From the washed technique the coffee, called Yirgacheffe, is more traditional and it reaches a kind of extravagant, extraordinary citrine and floral scent, and it

can certainly be considered one of the most distinctive coffee in the world. The organoleptic and sensory properties of coffee are fundamental characteristics in order to produce and taste an element of a thousand facets.

The intensity goes from 1, lower value, to 9 maximum value of the property. This is a comparison from particular different kind of coffee.

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In chiusura, invece, una CTA che invita il fruitore a continuare l’esperienza sul sito web, e nei social.

“Ti è piaciuto? seguici sul sito web feedmagazine.org /social @feedfoodmagazine ti stiamo aspettando!”

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[wait on] L’ultima parte del magazine, corona l’argomento rappresentando una sintesi fondamentale ed essenziale.

Basandosi sempre sull’idea della stratificazione, il piatto viene destruttato e i suoi elementi vengono rappresentati in termini grafici e fotografici.

Ci saranno inoltre delle suggestioni di locali che seguono la filosofia di feed e un abbinamento conclusivo per il fine pasto.

L’ ultima parte del magazine, il manifesto del servire, è solo un arrivederci al prossimo numero. “il piacere della carta, una lenta e attenta lettura, ti fanno sentire come a casa, un bel posto in cui tornare”.

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sezione

consigli per la conservazione

anno / numero

icon / senso stimolato

abbinamento + consigli di degustazione

200

2018 / YEAR 1 - NUMBER 0

Taste it in the temple of «wild» mixing, Wood*ing Wild Food Lab

PUT IN THE FRIDGE 4°C, 2H

[wait on]

enjoy #feedtiramisù

N 45° 29’ 17” E 09° 11’ 23”

201

digital | promozione Su Instagram è stata prevista una campagna di promozione del progetto. Inizialmente si avrà una fase di engage e hyper per l’utente attraverso dei teaser e tramite pubblicazioni audio visuali coinvolgendi sia per l’utente che per i suoi sensi.

L’argomento del numero, non verrà svelato fino alla fine, nel giorno in cui avverrà il lancio del magazine.

I post costituiranno un unico e infinito flusso poichè legati tra loro attraverso un segno grafico.

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cambio di lettura

| introduzione al nuovo tema il cous cous

il primo senso ad intervenire

l’abbinamento giusto

il sapore principale

il primo gesto|

| la vista

| il negroni

| il caffè

rompere le uova

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digital | i teaser

I cinque sensi rappresentano il segno grafico presente in tutti i video.

Teaser 1 I cinque sensi, l’occhio chiuso, evocativo.

CTA “Something boiling in the pot, wanna taste it?”.

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Teaser 2 I cinque sensi, l’occhio chiuso, evocativo.

“A seeing, smelling, tasting, hearing, touching explosion, deep in the food!”.

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Teaser 3 I cinque sensi, l’occhio chiuso, evocativo.

“We can’t wait to share with you the zero issue of feed. It’s not about recipes, it’s not about only food. It’s an immersion.

April is near..

Join us! Follow the smell!”.

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What is - presentazione del progetto il giorno del lancio del magazine I cinque sensi, l’occhio chiuso, evocativo.

Parole chiave che introducono al tema. “culture, aestheticism, passion, mood, flavour, sensation feed your feelings, feed yourself, now!”.

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sito web Il sito web feedmagazine.org, è un collettore di informazioni ed evocatore di sensi. É integrata la sezione e-commerce in cui è possibile acquistare i numeri di feed magazine.

All’apertura, una grande gif accoglie l’utente, e successivamente apparirà la landing con la copertina del magazine e l’editoriale, da qui si più accedere allo shop online e al catalogo con le altre copertine.

Nella sezione materiali, è possibile trovare articoli selezionati e non convenzionali sul tema e su quegli argomenti che sono stati ritenuti validi e in linea con le idee di feed.

L’icona dell’occhio chiuso riporta direttamente ad instagram, il canale principale, la lingua alla sezione materiali e l’orecchio, richiamo all’udito, riporta alla playlist musicale scelta per l’utente e sempre aggiornata.

210

HOME - intro gif HOME monthly

CATALOGUE

SHOP

EDITORIAL

MATERIAL selected

selected one

more news

link al canale principale: instagram

link alla sezione material

link alla playlist @feedmusic

211

Gif iniziale, landing page

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Dopo la gif, appare il magazine e successivamente le icone mobili che riportano alla playlist musicale (l’orecchio) e al mondo audio visuale di Instagram (l’occhio), e ai materiali (la lingua).

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Le ultime copertine pubblicate presenti in basso sulla landing page. Nel catalogo è possibile trovare le altre.

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La sezione informativa del n°0, il tiramisÚ

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La sezione informativa sul tema che richiama il colore del n°0

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Il dettaglio dell’articolo sul cacao

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6.3 | proposta di sostenibilità L’Associazione Culturale Le associazioni culturali nascono in primo luogo da gruppi di persone che condividono ideali o interessi comuni intorno ad uno specifico tema; esse operano ad esempio nel campo della cultura, o hanno finalità solidaristiche, sociali e assistenziali.

Insieme ad altre forme associative, con le quali condividono obiettivi comuni di promozione sociale e di presenza attiva sul territorio, vanno a far parte del cosiddetto Terzo Settore.

La motivazione costituisce un aspetto fondamentale quando si costituisce una associazione. È importante che il gruppo di persone (soci fondatori) che danno vita all’associazione siano fortemente motivate al raggiungimento dello scopo sociale.

In un’associazione, oltre alla motivazione, è strategico costruire un gruppo di persone, dove ognuno svolga un ruolo ben preciso e possa “metterci del suo” per raggiungere il proprio obiettivo.

La buona organizzazione è alla base del successo dell’associazione. Tutte le attività devono essere svolte con efficienza e devono essere registrate per costruire uno storico utile all’esperienza e alle future iniziative.

Costituirsi come ente permette alle associazioni di organizzare e realizzare varie iniziative, affiancandosi con altre associazioni, con enti pubblici e privati (ad esempio rispondendo ad Avvisi Pubblici e/o Bandi), e di partecipare a manifestazioni o eventi. Ogni persona che aderisce in maniera volontaria a un’associazione si impegna a contribuire in prima persona al raggiungimento degli obiettivi prefissati, attraverso la propria attività/tempo o anche con contributi di tipo economico.

Per costituire un’Associazione occorre predisporre un Atto Costitutivo e uno Statuto (a norma con il D. Lgs. 460/97).

Occorre indicare una sede e una denominazione.

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Sono necessari almeno 2/3 (meglio 3), soci fondatori, una prima attribuzione di cariche (Presidente, Vice e Segretario, eventuali Consiglieri), e una elenco di scopi (che si potranno così formalizzare nell’oggetto sociale, conforme alle richieste normative e su misura per le attività che intenderete proporre). Si può optare per la stesura di un atto privato da registrare all’Agenzia delle Entrate (con una riduzione dei costi, ossia 200,00 euro di tassa di registrazione + una marca da bollo da 16,00 euro ogni 100 righe (duplice copia degli atti), senza necessità di ricorrere obbligatoriamente al Notaio.

Il costo complessivo di costituzione pertanto si aggira intorno ai 280-300 euro.

Successivamente occorrerà, entro 60 giorni inviare il modello EAS all’Agenzia Entrate, che secondo l’art. 30 del D.L. 185/2008, in cui in sostanza si stabilisce che i benefici fiscali connessi alla detassazione delle prestazioni effettuate a favore degli associati sono legati a tale prerequisito.

A seguito di breve premessa si indicano gli elementi che caratterizzeranno l’Associazione Culturale Feed.

L’Associazione non persegue scopi di lucro, è apartitica e aconfessionale; persegue obiettivi culturali, e nello specifico si dedica alla realizzazione di Feed, un magazine dedicato al cibo e alla sensorialità, alla cultura che ne deriva e che ruota attorno al tema food con atteggiamento del tutto trasversale con la primaria finalità di promuovere e produrre food culture con ogni mezzo a ciò congeniale.

L’associazione sarà un punto di incontro altresì pluralistico e nel suo insieme si propone di “far cultura” inteso come partecipazione, formazione, dialogo, verifica, confronto, dibattito, responsabilità, presa di coscienza, convivenza sul tema di riferimento.

Feed sarà il volto associativo, e attraverso il progetto i soggetti coinvolti si ritroveranno proiettati in una dimensione che oltre a parlare di cibo propriamente detto, si riferirà a

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tutte le sfumature che ruotano intorno al tema con il vecchio sapore della carta stampata.

Il numero zero verrà interamente sostenuto e realizzato dai soci fondatori e promosso attraverso i canali convenzionali, mezzo stampa e digitale.

Feed si rivolge ad un pubblico più che mai pluriculturale ed eterogeneo del quale l’inglese è la lingua universale.

Successivamente verrà promossa una campagna di crowdfunding per portare avanti le idee di Feed.

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bibliografia

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ultimo accesso 03/04/2018

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