L'eneide il mito di roma

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"La relazione con i poemi piÚ antichi emerge dal continuo rimando a motivi omerici. Virgilio non può essere letto senza Omero." Eva Cantarella

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INDICE

LIBRO I - 1.1 Un libro per introdurre - 1.2 L'inizio di tutto - 1.2.1 Commento al testo - 1.2.2 Perchè Enea e non Romolo? - 1.2.3 Approfondimento: LA PIETAS - 1.3 Enea, eroe amato dagli dei - 1.3.1 Commento al testo - 1.3.2 Approfondimento: GLI ORACOLI - 1.4 Le origini dell'Urbe - 1.4.1 Commento al testo - 1.4.2 Approfondimento: LA LUPA CAPITOLINA

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- L'ENEIDE (Introduzione generale)

- 1.4.3 Il Lupercale - 1.5 Un futuro prospero - 1.5.1 Commento al testo - 1.5.2 Approfondimento: LA PAX AUGUSTA - 1.6 Nasce l'amore - 1.6.1 Commento al testo - 1.6.2 Approfondimento: LA XENIA

LIBRO II - 2.1 Il libro dei ricordi - 2.1.1 Approfondimento: LA CADUTA DI TROIA NEL TEATRO (LES TROYENS) - 2.2 Un duro ricordo

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- 2.3 L'inganno del cavallo - 2.3.1 Commento al testo - 2.3.2 Approfondimento: LA CADUTA DI TROIA NELLA POP CULTURE - 2.4 L'uomo che cercò di salvare Troia - 2.4.1 Commento al testo - 2.5 La morte del sacerdote - 2.5.1 Commento al testo - 2.5.2 Approfondimento: LAOCOONTE NELL'ARTE TRA CLASSICISMO E DISSACRAZIONE

LIBRO IV - 3.1 Il libro di Didone - 3.2 Fiamma o cenere? - 3.2.1 Commento al testo

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- 2.2.1 Commento al testo

- 3.2.2 Approfondimento: FUROR O PUDOR? - 3.3 Una rete per due cuori - 3.3.1 Commento al testo - 3.3.2 Approfondimento: EROINE D'AMORE - 3.3.3 Dido & Eneas - 3.4 "Scongiura col ferro il dolore" - 3.4.1 Commento al testo - 3.4.2 Approfondimento: PAROLA ALLE AMANTI - 3.4.3 Ancora oggi

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Monumento a Virgilio - Mantova, Piazza virgiliana

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L'ENEIDE “Nescio quid maius nascitur Iliade" Così il poeta Properzio, parlando ai poeti latini e greci nell’elegia III (vv 34,66), definisce l’opera che il suo collega Virgilio (70-19 a.C.) sta scrivendo, affermando che “sta per nascere un qualcosa di più grande dell’Iliade”: questa è la massima esaltazione, quasi a mo’ di profezia, dell’opera che diverrà emblema della letteratura latina. “L’Eneide” è il perfetto equilibrio tra mito e storia, il rapporto tra queste due componenti è determinato dall’uso che il poeta fa del mito, poiché esso, oltre a spiegare le origini della città di Roma, fornisce anche un modello religioso, etico e politico per la comunità. Ma per arrivare a tutto questo, Virgilio ha dovuto compiere delle scelte, alcune delle quali forzate dallo stesso Augusto tramite Mecenate, come afferma lo studioso William Y. Sellar¹. La situazione di controversia interiore del Mantovano, che ha inizio nell’estate del 29 a.C. insieme al travaglio dell’opera, è descritta in modo esemplare da Hermann Broch: 1) W. Y. SELLAR, The Roman poets of the Augustan Age, New York 1965, pp 23. Egli ritiene che i letterati dell’età augustea non avessero alcuna libertà e che i loro scritti fossero totalmente subordinati al volere di Ottaviano

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Così giaceva, lui, il poeta dell'Eneide, lui, Publio Virgilio Marone, giaceva con diminuita coscienza, quasi umiliato per la sua impotenza, quasi esasperato per il suo destino, fissando la ricurva, perlacea conchiglia del cielo² Virgilio comincia la stesura de “L’Eneide” facendo una ricerca storiografica accuratissima; bisogna però pensare che al tempo non esisteva una netta distinzione tra storia e mito. L’idea che il figlio di Anchise fosse capostipite di una nova progenies³ arriva direttamente da Omero: ἤδη γὰρ Πριάμου γενεὴν ἔχθηρε Κρονίων· νῦν δὲ δὴ Αἰνείαο βίη Τρώεσσιν ἀνάξει καὶ παίδων παῖδες, τοί κεν μετόπισθε γένωνται.⁴

2) HERMANN BROCH , La morte di Virgilio, Feltrinelli 1993. Nel libro sono narrate le ultime 18 ore di vita del grande poeta ( ndr. l’autore incomincia a scrivere il testo, in prosa e poesia, durante la prigionia in campo di concentramento) 3) P.V. MARONE, Ecloga IV,7 4) Traduzione : “Già il Cronide ha preso ad odiare la stirpe di Priamo, ora la forza di Enea regnerà sui Troiani, e i figli dei figli e quelli che dopo verranno” (Iliade XX,307309) a cura di Rosa Calzecchi Onesti

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Questa idea è ripresa non solo nell’inno omerico Ad Afrodite (VII secolo a.C.) ma anche da stupende decorazioni vascolari di manufatti del VI secolo a.C. come per esempio l’Hydra 1717 Monaco (a lato) dove possiamo vedere l’eroe mentre fugge dalla città in fiamme insieme al padre Anchise e al figlio Iulo. La prima scelta compiuta dal poeta mantovano riguarda il periodo storico in cui inserire la vicenda: gli autori greci ritenevano che Roma fosse stata fondata da Enea stesso dopo essere fuggito da Troia (circa nel 1180 a.C.); datazione, questa, inconciliabile con la più certa data degli anni 50 dell’VIII secolo a.C. (tradizionalmente 753 a.C.). Nel primo libro, come vedremo, Virgilio, basandosi sulla leggenda di Albalonga, cittadina governata dalla gens Iulia (avi di Cesare e Augusto celebri già dal V secolo a.C.), riesce a colmare un abisso cronologico di quattro secoli tra Enea e i due gemelli della Rea Silvia. Il commentatore virgiliano Servio Mario Onorato afferma che alcuni autori antichi risolsero la vexata quaestio in questo modo:

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Naevius et Ennius Aeneae ex filia nepotem Romulum conditorem urbis tradunt.⁵ L’unione dei due miti eziologici, Enea e i gemelli, è già presente nel III secolo, soprattutto dopo che Pirro, il re dell’Epiro che riteneva Achille suo avo, giunse nella nostra penisola per combattere contro i popoli italici, alleati di Roma, in quanto discendenti di Enea. Nevio, esponente della letteratura arcaica latina, nell’opera di carattere epico storico “Bellum Poenicum” narra della fondazione di Roma da parte di un nipote abiatico di Enea: questa è una delle mosse propagandistiche che sottolinea l’antico conflitto con il popolo Cartaginese, un’altra grande potenza mediterranea. In conclusione, il compito di Virgilio è quello di dare un’unica origine mitica a Roma: infatti “l’Eneide” è la storia di una missione voluta dal Fato che rende possibile la fondazione di Roma e l’avvento di Augusto, attraverso il mezzo di un epica nazionalista, in cui il popolo romano si possa rispecchiare.

5) Traduzione: “Nevio ed Ennio tramandano che Romolo, fondatore della città, era nipote di Enea per parte della figlia di lui.” (Commentarii in Vergilii Aeneidos libros, I,273)

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A cura di Lucrezia Cagnola, Edoardo D'Odorico, Eleonora Fiorentino, Matteo Gatti, Davide Gronchi e Carlotta Iaia.

ENEIDE, LIBRO I

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1.1

IL LIBRO PER INTRODURRE

Il primo libro dell’Eneide funge da proemio a tutta l’opera e, a differenza degli altri libri, non presenta una struttura in sé conclusa. Infatti contiene molteplici inizi e anticipazioni delle vicende narrate in seguito, ma è privo di conclusioni. Tra i vari episodi contenuti nel libro, vi sono il colloquio tra Giove e Venere ai versi 227-296, che rappresenta la prima profezia dell'opera, e la narrazione del primo incontro tra Enea e Didone ai versi 748756, che sarà l'inizio di una lunga e tragica storia d'amore .

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Karel Skréta, Didone e Enea, 1670 ca, olio su tela - Praga, Galleria Nàrody

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Il primo libro comincia con un celeberrimo proemio, che analizzeremo nelle pagine successive e che mostra giĂ da subito l'obiettivo di Virgilio: dopo essere stato l'autore di canti pastorali e di un poema rurale, ora il Mantovano mira a diventare l'autore di un poema epico, il primo che esalti Roma, come l'Iliade e l'Odissea avevano esaltato la Grecia. E quasi come sďŹ da, dopo il proemio la narrazione inizia proprio alla maniera di Omero, in medias res.

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Phillipe-Laurent Roland, Omero, 1812, marmo bianco - Parigi, Museo del Louvre

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L'INIZIO DI TUTTO (Aen, I, vv 1-33)

1.2

Il proemio dell’Eneide enuncia i grandi temi che si toccheranno nel corso del poema quali la concezione dolorosa della vita e della storia, l’avversione per la guerra, la predestinazione del potere di Roma sul mondo. La struttura riprende quella dei proemi omerici con una novità: la propositio prima dell’invocatio, particolarità che verrà ripresa da Ariosto e Tasso nel Rinascimento.

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rma virumque cano, Troiae qui primus ab oris Italiam, fato profugus, Laviniaque venit litora, multum ille et terris iactatus et alta vi superum saevae memorem Iunonis ob iram; multa quoque et bello passus, dum conderet urbem, inferretque deos Latio, genus unde Latinum, Albanique patres, atque altae moenia Romae.

1) Nel primo verso vengono enunciati i temi essenziali del poema che rieccheggiano i temi dei poemi omerici: Arma, metonimia per la guerra, che rieccheggia l'Iliade e virum, l'eroe, che richiama l'Odissea

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Iscrizione pompeiana con incipit del proemio dell'Eneide reale e ironizzato

Canto le armi e l’eroe che per primo per volere del Fato giunse esule in Italia dalle spiagge di Troia e sui litorali lavinii, lui molto sballottato sia per terra che per mare dalla forza degli dei a causa dell’ira sempre viva della crudele Giunone e, dopo aver anche sofferto molto in guerra, pur di fondare una città e portare gli dei nel Lazio, da dove la stirpe Latina avrebbe avuto origine e i padri albani e le alte mura di Roma

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Musa, mihi causas memora, quo numine laeso, quidve dolens, regina deum tot volvere casus insignem pietate virum, tot adire labores impulerit. Tantaene animis caelestibus irae? Urbs antiqua(1) fuit, Tyrii tenuere coloni(2), Karthago, Italiam(3) contra Tiberinaque longe ostia, dives opum studiisque asperrima belli(4), quam Iuno fertur terris magis omnibus unam posthabita coluisse Samo; hic illius arma, hic currus fuit; hoc regnum dea gentibus esse, si qua Fata sinant, iam tum tenditque fovetque.

Hera di Samo, VI secolo a.C. Parigi, Museo del Louvre

1) Evoca la gloria di una città di antiche tradizioni (rispetto dovuto ad un nemico degno di onore) 2) Fondatori di Cartagine provenienti da Tiro, città della Fenicia 3) Contrapposizione sia geografica che bellica delle due potenze 4) “temibilissima per attitudine alla guerra”; esaltazione romana

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O Musa, ricordami le cause, per quale offesa alla volontà divina o dolendosi di che cosa la regina degli dei costrinse ad affrontare tutte le sventure un uomo insigne per la devozione verso gli dei, a sopportare tutte le fatiche. Di così grandi accessi di collera sono capaci gli dei celesti? Ci fu un’antica città fondata dai coloni Tirii, Cartagine, situata di fronte all’Italia e alle remote foci del Tevere, ricca di beni e molto temibile per l’abilità di guerra; e si dice che questa sola fu cara a Giunone più di tutte le terre, anteponendola persino a Samo (5): qui le sue armi, qui il carro ci fu; la dea già da allora aspira e prepara il suo piano perché questa città domini sui popoli, se in qualche modo il Fato lo permette.

5) Malgrado a Samo sorgesse l'Heraion, il maggiore santuario dedicato a Giunone

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Heraion di Samo, VII secolo a.C. - Grecia, isola di Samo

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Progeniem sed enim Troiano a sanguine duci 20 audierat, Tyrias olim quae verteret arces; hinc populum late regem belloque superbum(1) venturum excidio Libyae: sic volvere Parcas. Id metuens, veterisque memor Saturnia belli, prima quod ad Troiam pro caris gesserat Argis 25 necdum etiam causae irarum (2) saevique dolores exciderant animo: manet alta mente repostum iudicium Paridis spretaeque iniuria formae, et genus invisum, et rapti Ganymedis honores. Juan de Juanes, Il giudizio di Paride, XVI secolo - Udine, Galleria d’Arte Antica dei Civici Musei

1) Bello superbum: anticipa la sconfitta cartaginese 2) Giunone ostacola Enea scatenando una tempesta. La dea infatti è adirata per tre motivi: 1 perché ha perso la gara di bellezza contro la madre di Enea, 2 perché la sua città favorita, Cartagine, è destinata ad essere distrutta dalla stirpe nata da Enea 3 perché Ganimede era stato scelto da Zeus come coppiere al posto di Ebe, la figlia di Zeus e Giunone. Si reca da Eolo e gli chiede di liberare i venti che egli tiene in una caverna, in modo da travolgere le navi troiane. In cambio Giunone offre ad Eolo la più bella delle ninfe, Deiopea, ed Eolo accetta lo scambio.

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Ma appunto aveva sentito che una stirpe di sangue troiano si formava, destinata ad abbattere un giorno le rocche tirie (di Cartagine); da questo sarebbe venuto un popolo di vasti possedimenti e arrogante in guerra per la rovina della Libia: così filavano le Parche. La Saturnia, temendo ciò e memore dell’antica guerra, perché in passato l’aveva mossa a Troia per la cara Argo: e non aveva ancora dimenticato le cause dell’ira e gli atroci dolori; rimane nascosto nel cuore il giudizio di Paride e l’oltraggio della sua bellezza disprezzata e l’odiosa stirpe e gli onori di Ganimede rapito:

Raimondi Marcantonio, Giudizio di Paride, 1515/1516, bulino - Menaggio, villa Mylius-Vigoni

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Fratelli (forse Annibale) Carracci, Approdo di Enea in Italia, Storie di Enea, 1580 circa Bologna, Palazzo Fava

His accensa super, iactatos aequore toto 30 Troas, reliquias Danaum atque immitis Achilli, arcebat longe Latio, multosque per annos errabant, acti Fatis, maria omnia circum. Tantae molis erat Romanam condere gentem!

1) L’Ira di Giunone è la causa che impedisce ai Troiani di raggiungere il Lazio (come narrato nei vv 29-33)

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Sala dell'Eneide - Sala Baganza (PR), Rocca di Sanvitale

InďŹ ammata per questo, sballottati nell’ampia distesa del mare, teneva i Troiani, sopravvissuti ai Danai e allo spietato Achille lontano dal Lazio e per molti anni erravano in giro per tutti i mari, spinti dal Fato. Tanto faticoso era fondare la gente romana.

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1.2.1

COMMENTO AL TESTO

Il proemio è costituito da versi che mettono in luce i vari elementi che caratterizzano l’opera e ne delineano la trama. Virgilio mette in evidenza le fatiche che Enea affronta per arrivare alla fondazione di Lavinio. La visione storica del poeta è tragica a causa del ricordo delle guerre civili appena terminate. Infatti, secondo Virgilio, anche il raggiungimento di una pax augusta, vista come l’età dell’oro, è un lungo cammino macchiato di sangue. Il proemio consta di 3 sezioni: l’argomento dell’opera (vv.1-7), l’invocazione alla Musa (vv.8-11) e gli antefatti (vv.12-33). E la sua funzione è fondamentale perché permette all’autore di anticipare i contenuti della sua opera e consente al lettore di entrare subito nel contesto della storia.

Bartolomeo Cesi, I Troiani riprendono il mare, XVI secolo - Bologna, Palazzo Fava

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Non a caso, la prima parola che troviamo è arma, chiaro riferimento alla guerra (tema che occuperà tutta la seconda parte dell’Eneide) e la seconda virum, “uomo”, riferimento invece alla figura di Enea, protagonista assoluto di tutto il poema. La parola virum si ritrova anche all’inizio del proemio dell’Odissea, opera alla quale Virgilio si ispira, mentre arma all'inizio dell'Iliade. In questo modo Virgilio richiama anche la divisione del poema stesso: i primi sei libri si legano all'Odissea con il tema del viaggio; gli ultimi sei invece si legano all'Iliade con il tema della guerra per una donna. Al termine della sezione (vv. 1-7), in cui troviamo l’argomentazione dell’opera, compare la tradizionale invocazione alla Musa (vv. 8-11). Nel porre in secondo piano l’ispirazione divina del poema, Virgilio si separa dalla tradizione omerica (nelle opere omeriche l’invocazione occupa sempre i primi versi), ma segue la poesia epica ellenistica, che pone al centro l’opera del poeta (in questo caso evidenziata dal verbo cano, canto).

Fronte di sarcofago con le muse, 250 ca, marmo - Roma, Musei Vaticani

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La frase arma virumque cano troverà poi un eco in molti proemi di opere successive. Tra questi, quello de l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto nei versi le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, / le cortesie, l'audaci imprese io canto o quello de la Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso nel verso canto l'armi pietose e 'l capitano. Nell’ultima sezione del proemio, Virgilio riporta gli antefatti della storia: Cartagine viene fondata dai Fenici di Tiro, sotto la protezione di Giunone che spera che diventi la dominatrice di tutti i mari, ma le Parche hanno rivelato che dal sangue Troiano discenderà una stirpe destinata ad abbatterla.

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Giunone Cesi, età ellenistica, marmo - Roma, Musei Capitolini

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Già in questo premio emergono alcuni aspetti originali di Virgilio: le caratteristiche morali e psicologiche dell’eroe troiano, non più aggressivo o feroce come Achille il protagonista dell’Iliade, né astuto e sagace come Odisseo il protagonista dell'Odissea, ma dotato di pietas (un insieme di devozione religiosa, amore per la patria, rispetto verso la famiglia e capacità di anteporre il bene comune al proprio interesse personale); poi il tema della predestinazione (fato profugus, v.2) e della finalità del travagliato viaggio (dum conderet urbem/inferretque deos Latio vv. 4-5), fondamentale per la nascita di una nuova e superiore civiltà.

Achille trascina il corpo senza vita di Ettore attorno a Troia, fine XIX secolo, affresco Corfù, palazzo dell'Achilleion

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1.2.2

PERCHÈ ENEA E NON ROMOLO?

Virgilio non intendeva attuare una celebrazione di stampo rievocativo del mito delle origini di Roma, ma di quello della stirpe dell'imperatore Augusto (autocelebrazione, Monumentum Ancyranum (1)). Inoltre il mito di Romolo non corrispondeva all'ideale di divinizzazione di sè proposto da Ottaviano: Romolo infatti recava in sè la macchia del fratricidio che ricordava troppo l'omicidio di Antonio da parte di Augusto (analogia Romolo/OttavianoRemo/Antonio)

Dettaglio del Monumentum Ancyranum Ancira

1) Monumentum Ancyranum (Res gestae divi Augusti): resoconto redatto dallo stesso Augusto prima della sua morte riguardante le opere che compì durante la sua carriera politica. Il testo ci è giunto inciso in latino e greco sulle pareti del tempio di Augusto e della dea Roma (Monumentum Ancyranum) ad Ancìra, l'odierna Ankara.

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1.2.3

LA PIETAS

All’interno del I libro si parla anche del concetto di Pietas. Essa esprime il rispetto e i doveri dell'individuo nei confronti dei propri familiari (Cicerone la definisce "voluntas grata in parentes") e verso gli dei ("iustitia adversus deos") e poichè si esprime all'interno dei legami di sangue, ha non solo carattere razionale ed etico, ma anche sentimentale e affettivo. Enea infatti è pius, come viene definito più volte nel libro, sia nella sfera umana che divina (vedi, ad esempio, l'episodio del suo sacrificio ai Penati), nei confronti di famiglia e compagni e nell'accoglienza dell'azione a lui assegnata dal Fato.

Ara Pacis, dettaglio del sacrificio di Enea ai Penati - Roma

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Nella letteratura la Pietas come divinità venne menzionata per la prima volta da Plauto ed era talmente importante come figura che nel 181 a.C. le venne dedicato un tempio a Roma (distrutto da Cesare per l'edificazione del teatro). Di essa volle dar prova Ottaviano perseguendo e sconfiggendo gli assassini di Cesare, suo padre adottivo. Tuttavia Augusto non è esaltato nell'Eneide in quanto vendicatore di Cesare perchè il collegamento sarebbe stato in contraddizione con il ruolo di pacificatore in veste del quale si proponeva. Ottaviano viene proposto come pius in quanto protettore del popolo: il modello è quello del pater familias che nei confronti dei sudditi diventa pater patriae. L'attributo viene ufficialmente conferito ad Augusto quando nel 27 a.C. il senato gli dona lo scudo onorifico che presentava le qualità del buon imperatore: clementia, iustitia, virtus e pietas, appunto.

Monete del tempo di Augusto su cui compare la Pietas

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Jean-Baptiste Roman, Niso e Eurialo, 1827, marmo - Parigi, Museo del Louvre

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Dal punto di vista del cittadino invece la pietas costituisce la devozione nei confronti dell'imperatore che diventa così figura divinizzata. Virgilio, nel corso dell'opera, modifica i valori tradizionali aggiornandoli ai più moderni humanitas e misericordia. È il caso della madre di Eurialo, che nel IX libro, dopo aver visto la testa recisa del figlio, prega i Rutuli di essere uccisa a sua volta. Così la pietas esce dagli ambiti familiare e religioso per trasformarsi in empatia e rispetto davanti alla sofferenza di un altro essere umano.

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ENEA, EROE AMATO DAGLI DEI (Aen, I, vv. 257-260)

1.3

Parla Giove, il padre degli dei, a Venere per predire ad un eroe il fortunato destino che lo aspetta in Italia. Si tratta di Enea, figlio di Venere, l’uomo che darà origine alla grandiosa stirpe di Roma.

260

arce(1) metu, Cytherea: manent immota tuorum fata tibi(2); cernes(3) urbem et promissa Lavini moenia(4), sublimemque feres(5) ad sidera caeli magnanimum Aenean; neque me sententia vertit(6).

1) Parco, is, peperci e raramente parsi, parsum, parcitum, ĕre 2) In questi versi, oltre ad una allitterazione della t, ci sono varie figure retoriche: l’enjambement e l’iperbato 3) Cerno, is, crevi, cretum, ĕre 4) Urbem et.. moenia è un’endiadi 5) Fero, fers, tuli, latum, ferre 6) Verto, is, verti, versum,ĕre

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Non avere paura, o Citerea, immutato è il destino dei tuoi; tu vedrai la città e le mura promesse di Lavinio, alzerai il magnanimo Enea sino alle stelle del cielo; non ho cambiato parere.

Sandro Botticelli, Nascita di Venere (dettaglio), 14821485, olio su tela - Firenze, Galleria degli UďŹƒzi

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1.3.1

COMMENTO AL TESTO

Venere è preoccupata per la sorte del figlio Enea e dei Troiani sopravvissuti alla furia greca perchè la loro sofferenza sembra non avere fine. E’ Giove a rassicurarla, predicendole gli arcana fatorum di Enea, ovvero gli arcani decreti del fato di Enea: lui e la sua stirpe sono destinati a fondare una potentissima civiltà che si svilupperà nel corso dei secoli fino a formare quella Romana. Dalle prime parole di Giove si percepisce la volontà di Virgilio di esaltare la figura di Ottaviano, della gens Iulia e di Roma, uno scopo che permane nell’intera opera. Enea infatti, l’eroe che fonderà la grandiosa città di Roma, è destinato ad essere innalzato fino ad sidera caeli.

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Afrodite di Cnido, copia in marmo Roma, Museo nazionale

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1.3.2

GLI ORACOLI

Il volere degli dei era dispensato in vario modo: con segni sulle viscere delle vittime sacrificali, con i movimenti della statua del dio durante la processione, con i movimenti degli oggetti gettati in una fonte, attraverso lo stormire delle fronde di un albero sacro, oppure attraverso la bocca di un essere umano, come nel caso degli oracoli. Un aspetto caratteristico, non solo della religione greca, ma anche della società greca fu la grandissima diffusione di quest’ultimi.

Tempio di Delfi - Grecia, Delfi

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Santuari di consultazione oracolare sorgevano ovunque, alcuni di importanza locale, altri noti e visitati da folle di pellegrini. L’oracolo più noto era la Sibilla Delfica, o più esattamente la Pizia del tempio di Apollo a Delfi, da cui deriva l'oracolo di Delfi.

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Prima della consultazione era costume sacrificare una capra e versare una generosa offerta in denaro al santuario, la cui entità condizionava anche la priorità di ammissione al cospetto della Pizia. Finalmente soddisfatti tutti i requisiti, il supplice veniva condotto nell'adyton, la camera inaccessibile del tempio dove avrebbe ottenuto il vaticinio, di solito espresso in termini allusivi, poco comprensibili nell'immediato.

Kondros, Egeo consulta la pizia, kylix Berlino

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È stato spesso supposto che la Pizia emettesse i suoi vaticini in uno stato di alterazione mentale, allucinazione o trance, indotta aspirando i vapori che fuoriuscivano da una fessura nel suolo o masticando vegetali allucinogeni come l'alloro.

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Una famosa raccolta di responsi oracolari scritti in lingua greca erano i Libri sibillini. La religione romana tramanda di come la Sibilla Cumana avesse offerto nove libri al re Tarquinio il Superbo, che però considerò il prezzo di questi ultimi troppo esoso. La Sibilla allora bruciò tre di questi libri e offrì di nuovo i sei rimasti al re. Il re Tarquinio rifiutò ancora e la Sibilla ne bruciò altri tre. Riformulò quindi la proposta a Tarquinio, che questa volta accettò, però al prezzo iniziale dei nove volumi. Guercino, La Sibilla Cumana con un putto, 1651, olio su tela - Londra, National Gallery

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

1.4

LE ORIGINI DELL'URBE (Aen, I, vv. 261-285)

Giove inizia a raccontare ciò che ha deciso per Enea. Prosegue poi rivelando il destino del figlio Ascanio e arriva a predire ciò che succederà trecento anni dopo questi eventi: la nascita di due gemelli che daranno vita alla grandiosa Urbe, Romolo e Remo, figli di Marte e discendenti lontani di Enea.

265

ic (tibi fabor(1) enim, quando haec te cura remordet, longius et volvens fatorum arcana movebo) bellum ingens gere(2) Italia, populosque feroces contundet, moresque viris et moenia ponet(3), tertia dum Latio regnantem viderit(4) aestas, ternaque transierint Rutulis hiberna subactis(5).

1) Fabor è il futuro poco usato di fari, adatto perciò alla solennità della profezia 2) Gĕro, gĕris, gessi, gestum, gĕrĕre 3) Pōno, pōnis, posui, positum, pōnĕre 4) Vĭdĕor, vĭdēris, visus sum, vĭdēri 5) Sŭbĭgo, sŭbĭgis, subegi, subactum, sŭbĭgĕre

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

Federico Barozzi, Enea fugge mentre Troia brucia, 1598, olio su tela - Roma, Galleria Borghese

L’eroe (te lo dirò perchè sei preoccupata svelandoti i segreti del lontano futuro) combatterà in Italia una grande guerra, domando popoli fieri darà alla sua gente leggi e salde mura, finchè la terza estate l’avrà visto regnare sul Lazio, finchè tre freddi inverni saranno trascorsi dalla vittoria sui Rutuli.

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L'Eneide: il mito di Roma

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At puer Ascanius, cui nunc cognomen Iulo additur,— Ilus erat, dum res stetit Ilia regno,(6)— triginta magnos volvendis(7) mensibus orbis imperio explebit(8), regnumque ab sede Lavini transferet, et longam multa vi muniet Albam(9)

6) Iulo era l’eponimo della famiglia Giulia, la gens Iulia. Qui è identificato con il figlio di Enea e Creusa, mentre altri lo ritenevano distinto. Per dimostrare l’origine troiana di Iulo si aggiunge una spiegazione etimologica: il cognome Iulus derivava dal nome Ilo, mitico re di Troia. 7) Volvo, volvis, volvi, volutum, volvĕre

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

Bottega dei Fontana, Enea e Ascanio, 1550 ca, maiolica Urbino

Ma Ascanio, che adesso si chiama anche Iulo, (era Ilo finchè il trono di Ilio durava) compirà nel volgere dei mesi trenta anni di regno, trasferirà la capitale ad Alba Longa che fortificherà con potenti muraglie.

8) Explĕo, exples, explevi, expletum, explēre 9) Alba Longa, fondata da Ascanio dopo i trent’anni di regno a Lavinio. La fondazione è in grande rilievo insieme alla lunga durata del suo regno, ben trecento anni.

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Nicolas Colombel, Marte e Rea Silvia, 1694, olio su tela - Parigi, Ecole Nationale supèrieure des beaux-arts

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Hic iam ter centum(10) totos regnabitur annos gente sub Hectorea, donec regina sacerdos(11), Marte gravis, geminam partu dabit Ilia prolem. Inde lupae fulvo nutricis tegmine laetus Romulus excipiet(12) gentem, et Mavortia condet(13) moenia, Romanosque suo de nomine dicet(14).

10) E’ il periodo dei re albani che l’antica tradizione aveva ignorato, supponendo che Rea Silvia fosse direttamente la figlia di Enea. Virgilio invece si attiene ad una tradizione più recente che aveva dovuto provvedere alla sistemazione della cronologia: infatti tra la distruzione di Troia e la nascita di Roma c’erano circa tre secoli vuoti da riempire. Problema risolto, appunto, con l’inserimento dei re albani.

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7/3/2018

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Peter Paul Rubens, Marte e Rea Silvia, 1617-1620, olio su tela Liechtenstein, Liechtenstein Museum

Là per trecento anni governeranno gli Ettoridi, fin quando la regale sacerdotessa Rea Silvia per opera di Marte partorirà due gemelli. Allora Romolo lieto di cingersi i fianchi di una pelle di lupa, sua nutrice, riunendo la propria gente, alzerà le mura sacre a Marte; chiamerà gli abitanti romani dal suo nome.

11) Rea Silvia, detta anche Ila, era la figlia del re di Alba Longa Numitore, che fu costretta a diventare vestale dallo zio usurpatore Amulio. Sarebbe poi diventata la madre di Romolo e Remo, dopo essere stata sedotta da Marte. 12) Excĭpĭo, excĭpis, excepi, exceptum, excĭpĕre 13) Condo, condis, condidi, conditum, condĕre 14) Dīco, dīcis, dixi, dictum, dīcĕre

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285

His ego nec metas rerum nec tempora pono; imperium sine fine dedi. Quin aspera Iuno(15), quae mare nunc terrasque metu caelumque fatigat, consilia in melius referet(16), mecumque fovebit Romanos rerum dominos gentemque togatam(17): sic placitum(18). Veniet lustris labentibus(19) aetas, cum domus Assaraci Phthiam clarasque Mycenas servitio premet, ac victis dominabitur Argis(20).

15) Giunone divenne più favorevole alla discendenza troiana durante la II guerra punica 16) Rĕfĕro, rĕfĕrs, retuli, relatum, rĕfĕrre 17) I Romani sono gentem togatam. La toga era simbolo di vita civile, perciò qui sono rappresentati i due aspetti di Roma: la potenza in guerra e la funzione di progresso con la pace.

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

Al loro dominio non pongo limiti di spazio nè di tempo: ho promesso un impero infinito. E la stessa crudele Giunone, che ora sconvolge mare, terre e cielo, muterà l’avviso in meglio e con me favorirà i Romani vestiti di toga e dominatori del mondo. Così mi piace. Verrà un’epoca col volgere degli anni in cui la casata di Assaracco asservirà Micene e Ftia, dominerà vittoriosa su Argo.

18) Questa formula era propria delle deliberazioni politiche romane e riassume la volontà di Giove. 19) Lābor, lābĕris, lapsus sum, lābi 20) La conquista della Grecia da parte dei Romani si presenta come vendetta dei discendenti di Troia su coloro che l’avevano distrutta

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

1.4.1

COMMENTO AL TESTO

Virgilio attraverso le parole di Giove ripercorre la storia di Roma a partire dalle sue origini mitiche. Enea, figlio di Venere, fonderà la città di Lavinio dando al suo popolo esule leggi e mura salde (mores viris et moenia). Prenderà poi il suo posto il figlio Ascanio che sposterà la capitale nella nuova città di Alba Longa dove trecento anni dopo nasceranno Romolo e Remo, i mitici fondatori di Roma. E proprio da loro discenderanno i Romani a cui Giove promette già un regno infinito e che diventeranno i dominatori del mondo. Andando ad indagare la storia romana fin dalle sue origini, Virgilio sottolinea due aspetti fondamentali per elevare la sua città: innanzitutto la discendenza dai Greci, grazie a cui il popolo romano può non sentirsi culturalmente inferiore a quello greco; poi il fatto che Roma non fosse nata per caso, ma per volere del fato e degli dei.

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Pietro da Cortona, Faustolo tiene in braccio i due gemelli, 1643 ca, olio su tela - Parigi, Museo del Louvre

https://youtu.be/NgCGOQ4hDs4

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L'Eneide: il mito di Roma

1.4.2

LA LUPA CAPITOLINA

La Lupa capitolina è una scultura di bronzo, custodita ai Musei Capitolini. Viene tradizionalmente considerata di fattura etrusca e si ritiene che si trovi a Roma sin dall'antichità. Secondo studi più recenti, invece, si tratterebbe di un bronzo di epoca medievale, supposizioni che sono state confermate dai test al carbonio condotti dall'università del Salento nel 2006. Rappresenta una lupa che allatta una coppia di piccoli gemelli, che rappresentano i leggendari fondatori della città, Romolo e Remo. Queste ultime due figure furono aggiunte nel tardo XV secolo, forse da Antonio del Pollaiolo, in accordo con la storia di Romolo e Remo. Secondo le fonti antiche, ne sarebbero esistite due, una nel Lupercale, l'altra nel Campidoglio.

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L'Eneide: il mito di Roma

Lupa capitolina - Roma, Musei Capitolini

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

Le prime notizie sicure su questa statua risalgono al X secolo, quando si trovava incatenata sulla facciata o all'interno del palazzo del Laterano. La Lupa era conservata con altri monumenti, come l'iscrizione bronzea della lex de imperio Vespasiani, che venivano esposti come cimeli per attestare la continuitĂ tra Impero romano e papato, tra antichitĂ e medioevo. La statua venne poi ospitata ďŹ no al 1471 nella chiesa di San Teodoro, che si trova tra il Palatino ed il Campidoglio. In quell'anno fu donata da Sisto IV della Rovere al popolo romano e da allora si trova nei Musei Capitolini, nella Sala della Lupa.

Cortile dei conservatori - Roma, Musei Capitolini

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

1.4.3

IL LUPERCALE

Il Lupercale era una grotta, poi trasformata in santuario, dove i Romani veneravano il dio Luperco (identificato prima come Marte, poi come Fauno, infine come Pan). Era ubicata ai piedi del Palatino e si narra che in questo luogo furono allattati dalla lupa Romolo e Remo prima che il pastore Faustolo li trovasse.

Retro dell'Altare di Marte e Venere, 98-117 d.C., marmo - Roma, Palazzo Massimo alle Terme

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Questa leggendaria grotta è stata probabilmente trovata nel 2007 dall'archeologa Irene Iacopi che sotto le rovine della Casa di Augusto ha rinvenuto una cavità di 9 metri di altezza decorata con mosaici e un'aquila bianca. Non tutti gli esperti però sono d'accordo nell'associarla al famoso Lupercale.

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

UN FUTURO PROSPERO (Aen, I, vv. 286-296)

1.5

E si arriva infine alla descrizione di un futuro lontanissimo, ma che tocca da vicino chi legge il poema. Si tratta infatti di eventi molto recenti alla storia romana, che riguardano Giulio Cesare e il suo diretto erede, il celeberrimo Ottaviano.

290

ascetur(1) pulchra Troianus origine Caesar, imperium oceano, famam qui terminet astris,— Iulius, a magno demissum(2) nomen Iulo(3). Hunc tu olim caelo(4), spoliis Orientis onustum, accipies(5) secura; vocabitur hic quoque votis(6).

1) Nascor, nascĕris, natus sum, nasci 2) Demitto, is, demisi, demissum, ĕre 3) Il culmine dell’imperium promesso da Giove è indicato in Ottaviano che porta come il padre adottivo il nome Iulus

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

Karl Theodor von Piloty, Assassinio di Cesare, 1865, olio su tela Germania, Lower Saxony State Museum

Da grande stirpe troiana nascerà Giulio Cesare, da Iulo viene il suo nome, che spingerà i confini dell’impero all’oceano, la fama fino alle stelle. Un giorno tu, serena, riceverai in Olimpo il grande eroe glorioso delle spoglie d’Oriente, anche lui sarà dio, venerato dagli uomini.

4) Allude all’apoteosi di Augusto, che non era ancora ufficiale, ma andava affermandosi. 5) Accipio, is, accepi, acceptum, ĕre 6) Virgilio insiste proprio sulle preghiere, cioè sul culto di cui anche il Principe doveva essere oggetto

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L'Eneide: il mito di Roma

295

Aspera(7) tum positis mitescent(8) saecula bellis; cana Fides, et Vesta, Remo cum fratre Quirinus(9), iura dabunt; dirae ferro et compagibus artis claudentur(10) Belli portae(11); Furor impius intus, saeva sedens(12) super arma, et centum vinctus aenis post tergum nodis, fremet(13) horridus ore cruento.

7) Sono i tempi feroci delle guerre civili. Il merito di Augusto consiste per l’appunto in questo: il ritorno alla pace interna, durante cui vengono ripristinate le leggi sotto gli auspici dell’antica Fede (simbolo della lealtà e del rispetto fra gli uomini) e di Vesta (simboo dell’affetto del focolare domestico). 8) Mītesco, mītescis, mītescĕre 9) La pace che è tornata tra i due fratelli richiama anche la pace nata tra i cittadini a seguito della Pax Augusta.

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

Allora cessate le guerre, il secolo feroce diverrà mite, Vesta la Fede canuta, Quirino e il fratello Remo daranno pacifiche leggi; le porte della guerra saranno chiuse con il ferro e con stretti legami; là dentro l’empio Furore, seduto su un mucchio d’armi, le mani dietro la schiena legate con ceppi di bronzo, fremerà d’ira impotente digrignando terribilmente la bocca sanguinosa.

10) Claudo, claudis, clausi, clausum, claudĕre 11) Le porte del tempio di Giano venivano chiuse in tempo di pace e aperte in tempo di guerra. 12) Sĕdĕo, sĕdes, sedi, sessum, sĕdēre 13) Frĕmo, frĕmis, fremui, fremitum, frĕmĕre

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

1.5.1

COMMENTO AL TESTO

Virgilio si sposta ora sulla situazione attuale: cita innanzitutto Giulio Cesare, discendente di Iulo da cui prende anche lo stesso nome (Iulus, a magno demissum nomen Iulo). Cesare è destinato addirittura a diventare dio, eletto in cielo alla sua morte. Grazie a lui infatti l’impero romano si estende ulteriormente, ampliando i suoi già enormi territori. Ma anche Cesare è destinato ad essere superato da un altro uomo che renderà l’impero stabile e prospero e soprattutto metterà fine alle guerre civili. Busto di Giulio Cesare, 44-30 a.C. ca., marmo bianco lunense- Roma, Musei Vaticani

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

E’ Ottaviano Augusto, il suo figlio adottivo, con cui, secondo Virgilio, Roma raggiungerà la gloria promessa da Giove. Virgilio in realtà non nomina Ottaviano nel testo (in tutto il tema infatti lo chiamerà per nome solo tre volte) e utilizza una metafora molto complessa per definire la pace. Il poeta presenta il Furore imbavagliato e legato in una stanza, finalmente inoffensivo. Entrano in azione invece la Fede, Vesta e Romolo e Remo per dare nuove leggi alla nuova pacifica società.

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Augusto loricato o Augusto di Prima Porta, I secolo d.C., marmo bianco - Roma, Musei Vaticani

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7/3/2018

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1.5.2

LA PAX AUGUSTA

Il raggiungimento di una pace stabile e duratura era un obiettivo fondamentale della politica di Augusto per ottenere il consenso della popolazione. Infatti il secolo precedente era stato dilaniato da continue guerre civili che avevano sconvolto Roma e l’impero. Il popolo chiedeva perciò un ritorno all’antica concordia. L'attività militare di Roma divenne quindi un’opera di pacificazione e civilizzazione dei popoli dell’impero. Questo periodo inizia nel 29 a.C., quando Augusto dichiarò la fine della grande guerra civile romana del I secolo a.C., e finì nel 180, quando morì l'imperatore Marco Aurelio. Prende il nome di Pax Augusta, che deriva dal fatto che il sistema legale sotto Augusto pacificò le regioni che avevano sofferto per le dispute tra capi rivali.

Moneta celebrativa della vittoria di Augusto in Armenia

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

Per celebrare questa impresa, l’imperatore ordinò nell'11 a.C. di collocare a Roma una statua in onore della pace e nel 9 a.C.di erigere nel Campo Marzio l'Ara Pacis Augustae, un tempio con rappresentazioni che esaltano la tranquillità del periodo. Durante la Pax Augusta, molti artisti cominciarono a parlare di un ritorno all’età dell'oro, intesa come assenza di indigenza, di avidità, di frode, di necessità di lavoro (perché la terra produce spontaneamente ciò di cui l'uomo ha bisogno e nei fiumi scorrono latte e miele).

Ara pacis - Roma

https://youtu.be/56YocvkGI6c

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7/3/2018

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NASCE L'AMORE (Aen, I, vv. 748-756)

1.6

Siamo nella reggia di Cartagine, dove Enea è approdato dopo tante perenigrazioni. Qui è già iniziato il banchetto per festeggiare gli ospiti che Didone ha accolto con tanta generosità. Ma per la regina sarà l’inizio di un nuovo capitolo della sua vita perchè Amore ha deciso di colpirla.

750

755

ec non et vario noctem sermone trahebat(1) infelix Dido, longumque bibebat(2) amorem, multa super Priamo rogitans, super Hectore multa; nunc quibus Aurorae venisset(3) filius armis, nunc quales Diomedis equi, nunc quantus Achilles(4). 'Immo age, et a prima dic, hospes, origine nobis insidias,' inquit(5), 'Danaum, casusque tuorum(6), erroresque tuos; nam te iam septima portat omnibus errantem terris et fluctibus aestas.'.

1) Trăho, trăhis, traxi, tractum, trăhĕre 2) Bĭbo, bĭbis, bibi, bibitum, bĭbĕre 3) Vĕnĭo, vĕnis, veni, ventum, vĕnīre 4) La richiesta di tanti particolari (le armi di Memnone, il figlio dell’Aurora; i cavalli di Diomede; le armi di Achille) mostra la voglia di Didone di prolungare il più possibile la conversazione.

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L'Eneide: il mito di Roma

L’infelice Didone trascorreva la notte parlando con Enea, bevendo l’amoroso veleno. Lo interrogava su Priamo ed Ettore, sulle armi del figlio dell’Aurora, sugli agili cavalli di Diomede, sulla forza di Achille. ‘Ti prego, ospite’ dice ‘raccontaci dall’inizio le insidie dei Greci, le sventure dei tuoi e il tuo lungo viaggio: è già la settima estate che il destino ti spinge per ogni terra e mare.’

5) Inquăm, verbo intransitivo difettivo 6) L’insidia del cavallo di legno ordita dai Greci e la caduta di Troia saranno poi argomento del libro successivo.

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

1.6.1

COMMENTO AL TESTO

Siamo nella reggia della regina Didone, a Cartagine, dove sta avendo luogo un grande banchetto in onore degli ospiti appena accolti. Enea è sbarcato sulle coste di questa terra prospera da poco, ma ha già conquistato il cuore della sovrana, che per volere di Venere è destinata ad innamorarsi perdutamente dell’eroe. E’ per intervento della dea infatti che sta bevendo un “veleno d’amore”. Le continue domande che Didone pone ad Enea mostrano chiaramente il suo tentativo di non far cadere la conversazione.

E la scena richiama fortemente il passo dell’Odissea in cui a Odisseo, accolto nella reggia feaca, viene chiesto di raccontare le sue avventure. Da questo emerge un obiettivo importante della letteratura del I secolo d.C: il tentativo di superare i grandi autori greci.

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1.6.2

LA XENIA

La xenia (ξενία) riassume il concetto dell'ospitalità e dei rapporti tra ospite e ospitante nel mondo greco antico, di cui era un elemento fondante. La xenia si reggeva su un sistema di prescrizioni e consuetudini non scritte che si possono riassumere in tre regole di base: • il rispetto del padrone di casa verso l'ospite • il rispetto dell'ospite verso il padrone di casa • la consegna di un "regalo d'addio" all'ospite da parte del padrone di casa. Il padrone di casa doveva essere ospitale e fornire all'ospite cibo e bevande, la possibilità di lavare il corpo e indossare vesti pulite. Ciò era molto importante soprattutto nei tempi antichi, quando si pensava che gli dei potessero assumere sembianze umane: se il padrone di casa avesse trattato male un ospite dietro le cui vesti si celasse un dio, avrebbe potuto incorrere nella collera divina. Il dono d'addio dimostrava che il padrone di casa era stato onorato di accogliere l'ospite. Dal canto suo, l'ospite doveva essere gentile e non invadente.

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L'Eneide: il mito di Roma

Il dio greco Zeus veniva a volte indicato con l'epiteto di Xenios a indicare, fra gli altri suoi attributi, anche quello di protettore dei viandanti e garante della xenia. Questo dimostra l’importanza, anche sacrale, che veniva attribuita all’ospitalità. Tra i vari esempi, possiamo ricordare l’accoglienza ricevuta da Odisseo nella reggia feaca dove il re Alcinoo e la sua corte l’hanno ospitato dopo il naufragio. In particolare, durante il banchetto in suo onore, ad Odisseo viene chiesto di raccontare le sue avventure dopo la partenza da Troia, scena che viene evidentemente ripresa da Virgilio per scrivere questi ultimi versi.

Francesco Hayez, Ulisse alla corte di Alcinoo, 1814-1816, olio su tela Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte

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7/3/2018

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a cura di Dorotea Prestinari, Federico Candian, Giulia Monti, Michela Formis, Marzia Sanna e Paolo Magnani

ENEIDE, LIBRO II

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7/3/2018

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2.1

IL LIBRO DEI RICORDI

"Conticuere omnes intentique ora tenebant" ("tutti tacquero e tenevano attento lo sguardo"). Così inizia il libro II dell'Eneide: gli invitati al banchetto di Didone attendono con silenzio e trepidazione l'inizio del discorso di Enea, il tragico racconto della caduta di Troia e la disperata fuga dei sopravvissuti. Nel secondo libro dell'Eneide viene evidenziato il percorso che Enea affronta per conoscere e accettare il suo destino. Questo cammino di consapevolezza inizia quando l'eroe si sveglia durante l'assedio; inizialmente il suo desiderio è quello di salvare la città o perire con lei.

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Pompeo Girolamo Batoni, Fuga di Enea, XVIII sec., olio su tela - Torino, Galleria Sabauda

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7/3/2018

L'Eneide: il mito di Roma

Ben presto però, Enea capisce che il suo destino non è quello di morire con la città, ma di allontanarsi da essa. La successiva rivelazione di Venere perciò non fa altro che confermare le sue ipotesi: le parole della dea non rassicurano Enea che ancora non concepisce la possibilità di abbandonare Troia senza sentirsi un vigliacco; eppure, non potendosi tirare indietro, raduna la sua famiglia e i Penati, seguendo la profezia fattagli dallo spirito di Ettore, secondo la quale sarebbe stato il fondatore di una nuova Troia.

Carlo Urbino, Venere ed Enea, 1585, affresco - Sabbioneta, Palazzo del Giardino

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Gruppo dei Carracci, Enea e l'ombra di Creusa (Fregio di Enea), 1595 ca. - Bologna, palazzo Fava

L'ultimo avvenimento che ostacola il cammino di Enea è la scomparsa di Creusa. La morte della moglie crea nell'uomo un senso di grande smarrimento a tal punto che per smuovere l'eroe è necessario l'intervento dello spirito stesso di Creusa, la quale rinnova la profezia con toni duri e decisi. Solo con l'apparizione della moglie Enea decide di accettare il suo fato e obbedire all'ordine divino, non avendolo però ancora compreso a pieno. Il racconto, all’interno della struttura del poema, non va inteso esclusivamente come un “ekphrasis” (ossia un racconto nel racconto) tipico dell’età ellenistica, ma possiede una grande e notevole importanza a livello di narrazione, in quanto serve a inquadrare la fine della città di Troia nel mito della fondazione di Roma.

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2.1.1

LA CADUTA DI TROIA NEL TEATRO: "LES TROYENS" DI HECTOR BERLIOZ

Composta tra 1856 e 1858, “Les Troyens” deve essere in un primo momento scissa in due parti, “La prise de Troie” (corrispondente ai primi due atti dei quattro della versione tuttora rappresentata) e “Les Troyens a Carthage”(corrispondente al terzo e quarto atto), a causa della difficoltà nella sua rappresentazione (in particolare presentavano un problema i mezzi scenici utilizzati all’interno dell’opera, come ad esempio il cavallo).

Les Troyens, ricostruzione scenica del palazzo di Didone, XIX secolo

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L’opera ha come protagonista maschile Enea (tenore), mentre vi sono due diverse protagoniste femminili: Cassandra nel primo e secondo atto, Didone nel terzo e nel quarto (quest’ultimo, in particolare, è detto l’atto di Didone, dove la regina di Cartagine commette il suicidio dopo aver pronunciato un’invettiva contro Roma). I ruoli di Cassandra e Didone, entrambi interpretati da un soprano, spesso vengono ricoperti dalla stessa cantante.

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L'Eneide: il mito di Roma

Con una situazione narrata del secondo libro si apre il primo atto dell’opera: i Troiani gioiscono della fine della guerra dopo dieci anni (ha ha! Après dix ans). Dopo un duetto di Cassandra che si oppone all’ingresso del cavallo nella rocca, perché ha previsto la caduta della città, con il fidanzato Corebo (personaggio che viene introdotto solo dopo nel testo virgiliano) seguita dall’ingresso- assente nell’Eneide- di Andromaca e Astianatte, figure dolorose Copertina della partizione di Les nel mezzo della celebrazione gioiosa, Troyens viene introdotto il personaggio di Sinone (Un traître, un espion!), che, come all’interno del testo virgiliano, convince i Troiani ad abbattere una porzione delle mura per permettere l’ingresso del cavallo, sostenendo che permetterà ai Troiani di sconfiggere gli Argivi grazie alla protezione di Atena. L’episodio della morte di Laocoonte viene raccontato da Enea nella sua prima, più celebre aria (du peuple et des soldats). Successivamente, la vicenda dell’opera dapprima segue fedelmente quella del testo virgiliano: Enea ha un colloquio con l’ombra di Ettore, che lo esorta a fuggire (Ah!... fuis, fils de Vénus!), e con il sacerdote Panto, che riferisce l’incendio del palazzo di Priamo.

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L'Eneide: il mito di Roma

Seguendo il testo virgiliano, dopo il colloquio con Panteo, Enea esorta un gruppo di guerrieri ad uccidere più nemici possibile, senza però sperare di salvarsi. I soldati di Enea, insieme ad Ascanio, giungono al palazzo di Priamo, dove le figlie e le nuore del sovrano occupano l’altare. E’ Cassandra (e non Creusa come racconta Virgilio) a predire l’avvenire di Enea e il suo arrivo in Italia, mentre racconta alle donne come la caduta della rocca sia imminente. Berlioz inoltre, discostandosi dal testo virgiliano, riserva una grossa parte al coro delle figlie di Priamo, che chiudono l’atto sfidando i soldati Greci e pregando gli dei perché Enea arrivi in Italia.

Teatro dell'Opera di Parigi, così come doveva apparire all'epoca della prima rappresentazione di Les Troyens

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L'Eneide: il mito di Roma

UN DURO RICORDO (Aen, II, vv. 1-9)

2.2

Sotto l'attento sguardo dei suoi ascoltatori, l'Eroe inizia il racconto del suo faticoso viaggio fino a Cartagine. Certo si tratta di un racconto che gli rinnova un dolore indicibile, ma se la regina ha un così grande desiderio di conoscere le sventure dei Troiani, Enea racconterà tutto, non senza abbandonarsi a profuse esclamazioni di rimpianto.

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onticuere(1) omnes intentique ora(2) tenebant. Inde toro pater Aeneas(3) sic orsus ab alto: Infandum, regina, iubes renovare dolorem, Troianas ut(4) opes et lamentabile regnum eruerint Danai, quaeque ipse miserrima vidi et quorum pars magna fui. quis talia fando Myrmidonum Dolopumve aut duri(5) miles Ulixi(6) temperet a lacrimis? et iam nox umida caelo praecipitat suadentque cadentia sidera somnos.

1) Conticuerunt, forma arcaica del perfetto indicativo di conticescere, sta a rappresentare l’attenzione dei commensali al racconto 2) “volto,occhi”, al posto del classico “bocca” 3) Nominativo di forma greca, legato all’aggettivo pater in forma onorifica per sottolineare la sua figura di progenitore dei Romani 4) Anastrofe

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L'Eneide: il mito di Roma

Tacquero tutti e tenevano attento lo sguardo. Allora dall'alto giaciglio il padre Enea cominciò: «Mi chiedi, o regina, di rinnovare un dolore indicibile, Il modo tenuto dai Danai nel distruggere la potenza troiana, Il regno sventurato, tristissimi fatti dei quali Fui testimone e protagonista. Chi mai a raccontarli, Mirmidone o Dolope o soldato del duro Ulisse, Frenerebbe le lacrime? E già l’umida notte discende Dal cielo e le stelle al tramonto conciliano il sonno.

5) Ulisse nella tradizione epica greca è in genere definito “astuto” o “accorto”. Qui invece l’attributo durus fa riferimento alla sua spietatezza in guerra 6) Genitivo di forma arcaica, accompagnato dall’aggettivo duri, esprime la spietatezza di Ulisse nei confronti degli assediati

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L'Eneide: il mito di Roma

2.2.1

COMMENTO AL TESTO

"Conticuere omnes intentique ora tenebant" (tacquero tutti e tenevano attento lo sguardo), con questa significativa frase che esprime tutta la attonita e silenziosa attesa dei Troiani, incomincia il racconto in flashback di Enea, molto simile a quello di Ulisse alla corte di Alcinoo. Nel racconto emerge fin da subito il dolore dei vinti nel ricordare le tragiche vicende di Troia che però l'eroe affronta dopo le preghiere insistenti di Didone. Questi stessi stessi vengono ripresi da Dante nel XXXIII canto dell'Inferno, dove il conte Ugolino si sostituisce al virgiliano Enea (tu vuo' ch'io rinovelli/ disperato dolor ).

François de Troy, Il banchetto di Didone ed Enea, 1704

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Jean-Baptiste Carpeaux, Ugolino e i suoi ďŹ gli, 1865-1867, marmo - New York, Metropolitan Museum of Art

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L'INGANNO DEL CAVALLO (Aen, II, vv. 11-39)

2.3

Enea riesce a trasportare l'ascoltatore con la sola forza delle parole proprio nel campo di addestramento acheo che descrive minuziosamente partendo dal possente cavallo. Continua narrando le indecisioni dei troiani sul da farsi con dono esiziale per la vergine Minerva.

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t breviter Troiae supremum audire laborem, quamquam animus meminisse horret luctuque refugit, incipiam(1). fracti bello fatisque repulsi(2) ductores Danaum tot iam labentibus annis instar montis equum divina Palladis arte aedificant, sectaque intexunt abiete costas; votum pro reditu simulant; ea fama vagatur. huc delecta virum(3) sortiti corpora furtim includunt caeco lateri(4) penitusque cavernas ingentis(7) uterumque armato milite(6) complent.

1) E' notevole la collocazione del verbo ad inizio del verso, dopo la proposizione concessiva del verso precedente, che aveva posto in grande evidenza le difficoltà di ordine psicologico nelle quali si trova Enea 2) Il chiasmo esprime in maniera molto efficace la situazione estremamente difficile nella quale si trovano i condottieri dei Greci a causa sia del perpetuarsi del conflitto sia dell’ostilità del fato

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Ma se desideri tanto di conoscere le nostre vicende E di udire brevemente l'estremo travaglio di Troia, Sebbene l'animo inorridisca al ricordo e sempre si sia abbandonato al pianto, Comincerò. Stremati dalla guerra e respinti dai fati, I capi dei danai, trascorsi ormai tanti anni, Per Divina arte di Pallade costruiscono un cavallo A misura di Monte e ne intessono i fianchi di abete; Simulano un voto per il ritorno, la fama si sparge. Qui rinchiudono di frodo nel fianco oscuro prescelti corpi e di eroi designati a sorte, e le vaste Profonde caverne del ventre riempiono d’uomini armati. 3) Lett: “corpi scelti di uomini” 4) Dativo con valore locativo 5) L’enjambement serve a sottolineare l’enorme grandezza delle cavità del cavallo 6) Singolare collettivo; è ablativo di mezzo

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Est in conspectu Tenedos, notissima fama insula, dives opum Priami dum regna manebant, nunc tantum sinus et statio male fida carinis: huc se provecti deserto in litore condunt; nos abiisse rati et vento petiisse Mycenas. ergo omnis longo soluit se Teucria(1) luctu; panduntur portae, iuvat ire et Dorica castra desertosque(2) videre locos litusque relictum: hic Dolopum manus, hic saevus tendebat Achilles; classibus hic locus, hic(3) acie certare(4) solebant.

1) Probabilmente è un attributo riferito a terra sottinteso. E’ notevole il fatto che il termine è un hapax legomenon (cioè compare qui soltanto nel poema). 2) et...desertosque...litusque: il polisindeto serve a sottolineare la gioia piena di curiosità con cui i Troiani visitano i luoghi finalmente abbandonati dai nemici 3) hic...hic...hic....hic: l’anafora dello stesso avverbio di stato in luogo riprende quel sentimento di gioia mista a curiosità, che era già stato espresso in maniera efficace dal polisindeto del v. 28 4) La locuzione vale propriamente “combattere in ordine di battaglia”

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Davanti è Tenedo in vista, famosa isola, Florida e ricca durante il regno di Priamo, Ora soltanto una baia, una sosta malďŹ da alle navi; Qui, spintisi al largo, si celano nella Riva deserta. Pensammo che fossero partiti con il vento diretti a Micene. Allora tutta la Teucria si scioglie da un lungo dolore. Si aprono le porte; piace il andare, e il dorico Campo e i luoghi deserti vedere e la libera spiaggia. Qui la schiera dei dolopi, qui di Achille crudele la tenda, La otta, qui usavano combattere schierati.

Mura della Troia del XII secolo a.C., riportate alla luce dalla campagna di scavi condotta da Schliemann nel XIX secolo

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Pars stupet(1) innuptae donum exitiale Minervae et molem mirantur equi; primusque Thymoetes duci intra muros hortatur et arce locari, sive dolo seu iam Troiae sic fata ferebant. at Capys, et quorum melior sententia menti, aut pelago Danaum insidias suspectaque dona praecipitare iubent subiectisque urere ammis, aut terebrare cavas uteri et temptare latebras. scinditur incertum studia in contraria vulgus(2).

1) Il verbo qui è adoperato transitivamente con il complemento oggetto donum 2) Il popolo incerto si divide in due opposte posizioni

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Parte al dono esiziale per la vergine Minerva stupisce, E ammirano la mole del cavallo; e per primo Timete Esorta a introdurlo tra le mura e a collocarlo sulla Rocca, Si trattasse di inganno, o già comportasse così Il destino di Troia. Ma Capi e quelli che hanno in mente Un migliore pensiero, vogliono che si getta in mare il tranello Dei danai, il dono sospetto, ossia arda appiccandovi fiamme, O si forino le cavità del ventre si esplorino i nascondigli. Il popolo incerto si divide in opposti pareri.

Giovanni Domenico Tiepolo, La processione del Cavallo di Troia in città, 1773, olio su tela - Londra, National Gallery

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2.3.1

COMMENTO AL TESTO

Ricostruzione del Cavallo di Troia per il film Troy -Turchia, Canakkale

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Enea comincia il racconto descrivendo dettagliatamente il cavallo di legno e il luogo, poi procede con il racconto della ricognizione del l'accampamento acheo nella quale esprime tutta la gioia dei Troiani causata dalla liberazione dall'angoscia provocata dal pericolo acheo per lunghi dieci anni. Infine si distinguono le due posizioni sul cavallo di Troia: la prima proposta è proprio quella di portarlo all'interno della città, da parte di Timete, alla quale si oppongono alcuni capi troiani e Laocoonte. Virgilio enfatizza da una parte le manifestazioni di gioia dei Troiani nell'essere consapevoli di aver finalmente cessato di soffrire, ma dall'altra contrappone alla gioia la dura realtà: quella dei Teucri è una liberazione passeggera dal nemico, che se ne sta acquattato nell'ombra pronto a colpire al momento opportuno.

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2.3.2

LA CADUTA DI TROIA NELLA POP CULTURE

Se c'è qualcosa del libro II dell'Eneide che è sopravvissuto fino ai giorni nostri, non dovremmo limitarci tanto a citare il solo testo poetico, appannaggio di chi il latino lo sa o lo studia, quanto l'impatto culturale che ha avuto e che ancora ha quell'eco di una guerra lontana nel tempo ma che a distanza di millenni ancora affascina e intriga. In effetti, è solo attraverso Virgilio che è sopravvissuto un racconto dettagliato dell'ingloriosa fine di Troia, dell'inganno del Cavallo e dell'incendio della città, della morte Laocoonte, di Priamo e, naturalmente, della fuga di Enea.

G. Trautmann, Troia in fiamme, XVIII secolo - Karlsruhe, Collezione privata

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L'Eneide: il mito di Roma

Quale impronta ha lasciato questa narrazione epica nel nostro tempo, cosa è rimasto nell'immaginario collettivo? Come rovine di un'antica città sparsi per uno spiazzo, qua e là affiorano reminiscenze di una vecchia storia che persiste stabile nella memoria occidentale. The Fall of Troy ("la caduta di Troia") è il nome di una band musicale americana formatasi in ambito giovanile nel 2002, ma il post-hardcore col poema virgiliano c'entra poco: legati alla vicenda troiana solo per il nome, resta comunque il fatto che lo sentivano quanto meno orecchiabile e abbastanza intrigante da poterlo assumere quale titolo del loro primo album e quale appellativo per la loro band.

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Tim Ward, cantante dei The Fall of Troy, nel 2007

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Orlando Bloom nei panni di Paride mentre si accinge ad uccidere Achille durante l'ultima notte di Troia

https://www.youtube.com/watch? v=4vWmWQaSGUM

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Americana è anche la prima grande trasposizione cinematografica della fine di Troia (al 1912 risale però la prima pellicola sull'argomento, opera del visionario Giovanni Pastrone): l'epilogo del film Troy (Warner Bros Pictures, 2004) rappresenta, a discapito del grande successo nel pubblico, una poco fedele e ridicola ricostruzione delle ultime ore della città. Viene subito in mente il piccolo cammeo riservato ad Enea, presentato sì assieme al vecchio padre Anchise e al piccolo Ascanio, ma liquidato in modo imbarazzante nel giro di pochi secondi (per vedere la scena, link a lato). Quel che forse si salva è forse il Cavallo, ricostruito a grandezza naturale (per un cavallo di legno che contenga soldati, s’intende) e con dovizia di particolari, tanto fatto bene da non essere smontato dopo il film ma posto come attrazione turistica sul litorale di Canakkale, in Turchia.

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Schema di fuzionamento di un Trojan (Horse)

Il Cavallo descritto da Virgilio non ha solo fatto fortuna nel cinema, ma anche sfortuna nell’informatica: Trojan (Horse) è il nome dato dai tecnici a quei virus che si nascondono dentro programmi apparentemente innocui ma, una volta entrati nel sistema, si rivelano potentissimi malware capaci di causare gravissimi danni.

Altri “Cavalli di Troia” si trovano nelle camere da letto, dove da più di 100 anni la ditta Trojan si occupa di proteggere la “città” con mura impenetrabili. Non solo epica quindi, ma neanche diretti riferimenti nominali: lo stratagemma di Ulisse e la caduta della rocca di Priamo sono diventati topici, a prescindere che si tratti di letteratura latina, greca o meno. Perciò, non dobbiamo stupirci che la serie tv Vikings abbia costruito l’assedio e la presa della città di Parigi dell’anno 845 proprio secondo lo schema virgiliano, sostituendo il Cavallo con una bara ma mantenendo intatto il riferimento (link sotto).

https://www.youtube.com/watch? v=C2fm7Unf9r8

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L'Eneide: il mito di Roma

E non dobbiamo nemmeno stupirci di trovare un Virgilio che ha a che fare con materia normanna: secondo una ipotesi dell'ingegnere Felice Vinci, certamente fantasiosa, ma quantomeno plausibile, la guerra Troiana non sarebbe altro che la rivisitazione greca di un avvenimento accaduto nel profondo nord tra tribù celtiche durante l’età del bronzo. Enea stesso sarebbe scappato poi nell'attuale Finlandia, nominata dai Romani Aeningia, "Terra di Enea". Fantasia, certo, frutto della voglia di creare commistione tra culture, ma di sicuro più interessante della nuovissima serie BBC Troy: fall of a city (“Troia: la caduta di una città"), un (brutto) sceneggiato di 8 episodi che narra l’Iliade ed il II libro

Collocazione europea dell'Aeningia, ipotetica "terra di Enea"

https://www.youtube.com/watch? v=EKcNWFSwKJU

dell’Eneide visti dalla parte dei vinti Troiani (sotto link al trailer). Uscita con la puntata pilota agli inizi di febbraio 2018, da promettente si è rivelata un flop, nonostante i milioni di dollari di budget e un cast di prim’ordine. Quel che ne possiamo ricavare è però la persistenza nella memoria occidentale della vicenda della caduta di Troia.

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L'UOMO CHE CERCO' DI SALVARE TROIA (Aen, II, vv. 39-56)

2.4

Timeo danaos, et dona ferentis ("Ho timore dei danai, anche se recano doni"): questa famosissima frase pronunciata da Laocoonte esprime bene la celata presenza di un pericolo greco incombente. I Troiani ignorano però l'ammonimento del sacerdote, abbandonando inconsciamente la città alla balia del nemico.

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rimus(1) ibi ante omnis magna comitante caterva Laocoon ardens summa decurrit ab arce(2), et procul 'o miseri, quae tanta insania, cives? creditis avectos hostis? aut ulla putatis dona carere dolis Danaum? sic notus Ulixes? aut hoc inclusi ligno occultantur Achivi, aut haec in nostros fabricata est machina muros, inspectura domos venturaque(3) desuper urbi, aut aliquis latet error; equo ne credite, Teucri. quidquid id est, timeo Danaos et dona ferentis.'

1) L’aggettivo ha funzione predicativa 2) summa...ab arce: ablativo di moto da luogo. In latino si dice “dalla somma rocca”; noi diciamo “dalla sommità della rocca” 3) inspectura...venturaque: participi futuri con valore finale

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L'affresco del Cavallo di Troia,XVII secolo, incisione Bologna, Palazzo Fava

Per primo accorre, davanti a tutti, dall'alto Della rocca Laocoonte adirato. Seguito da una grande turba; E di lungi: “ Sciagurati cittadini, quale così grande follia? Credete partiti i nemici? O stimate alcun dono Dei danai privo di inganni? Così conoscete Ulisse? O chiusi in questo legno si tengono nascosti Achei, O questa macchina fabbricata a danno delle nostre mura, Per spiare le case e sorprendere dall'alto la città, O cela un'altra insidia: Troiani, non credete al cavallo. Di' qualunque cosa si tratti, ho timore dei danai, Anche se recano doni”.

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Sic fatus ualidis ingentem viribus hastam in latus inque feri curvam compagibus alvum contorsit. stetit illa tremens, uteroque recusso insonuere cavae gemitumque dedere cavernae. et, si fata deum, si mens non laeva fuisset, impulerat ferro Argolicas foedare latebras, Troiaque nunc staret, Priamique arx alta maneres.

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Disse, e avventò con vigore Gagliardo la grande asta al fianco della fiera ed al ventre Dalle curve giunture. Quella si infisse vibrando e dall'alvo Percosso risuonarono le cavità e diedero un gemito le caverne. E se i fati degli Dei, se la nostra mente non era funesta, Egli ci aveva sospinti a violare il nascondiglio argolico con il ferro; Oggi Troia si ergerebbe, e tu, alta rocca di Priamo, ti ergeresti ancora»

Mura dell'acropoli di Troia, con il particolare del corridoio che corre attorno al perimetro, XII sec. a.C.

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2.4.1

COMMENTO AL TESTO

Laocoonte si presenta fin da subito come una figura autorevole, come si vede dal suo arrivo dall'alto e dal tono della voce imponente. All'inizio del suo discorso accusa il suo popolo di credulità rimproverandoli di aver pensato che il cavallo fosse un dono agli dei e di non aver considerato tutte le insidie che avrebbe potuto contenere. Manifesta questa sua rabbia conficcando una lancia nel ventre del cavallo che vibra, rivelando di essere cavo; la cosa però non desta alcun sospetto tra i Troiani.

Affresco del Laocoonte - Pompei, Casa del Menandro

Sono questi versi pieni di rimpianto per non aver ascoltato le severe ma giuste ammonizioni del sacerdote, e hanno il loro culmine nell'apostrofe finale alla città di Troia: Troiaque nunc staret, Priamique arx alta maneres ("Troia ci sarebbe ancora, e tu, alta rocca di Priamo, saresti in piedi").

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El Greco, Laocoonte, c. 1610-1614

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2.5

LA MORTE DEL SACERDOTE (Aen, II, vv.199-239)

L'essere stato avverso al progetto degli dei è da pagarsi a caro prezzo: il racconto di Enea continua con la morte violenta di Laocoonte e dei suoi figli, avvinti da due grandi serpenti. il tragico avvenimento inquieta molto i Troiani che giungono ad una conclusione, ancora una volta, rovinosa.

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ic aliud maius miseris multoque tremendum obicitur magis atque improvida pectora(1) turbat. Laocoon, ductus Neptuno sorte sacerdos, sollemnis(2) taurum ingentem mactabat ad aras(3). ecce autem(4) gemini a Tenedo tranquilla per alta(5) (horresco referens(6)) immensis orbibus angues incumbunt pelago pariterque ad litora tendunt; pectora quorum inter fluctus arrecta iubaeque sanguineae superant undas, pars cetera pontum pone legit sinuatque immensa volumine terga(7).

1) Gli animi dei Troiani, troppo ingenui o accecati dagli dèi, rimarranno sorpresi da un evento eccezionale voluto dagli dèi. 2) Sollemnes, riferito ad aras 3) Sollemnis... aras: si noti la sapiente collocazione delle parole all’inizio e alla fine del verso.

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Qui un nuovo avvenimento, più grande e molto più orrendo, si offre agli sventurati, e turba i cuori sorpresi. Laocoonte, sacerdote tratto a sorte da Nettuno, immolava un grande toro presso le are solenni. Ma ecco da Tenedo in coppia per le profonde acque tranquille -inorridisco a raccontarlo- due serpenti con immense volute Incombono sul mare , a parimenti si dirigono alla riva; i petti erti tra i flutti e le creste sanguigne sovrastano le onde; tutta l’altra parte sfiora il mare da tergo e incurva in spire gli enormi dorsi, 4) Anastrofe che indica la tranquillità del mare, in totale contrapposizione con la paura e le forti emozioni che suscitano i due serpenti, che usciranno proprio dalle acque 5) La locuzione serve ad introdurre ex abrupto un argomento nuovo e inaspettato che attrae l’animo di chi ascolta 6) La frase, utilizzata per iniziare a raccontare la vicenda vera e propria, anticipano il terrore che tutti i Troiani proveranno alla vista dei due mostri marini 7) Pectora...terga: si insiste sul carattere raccapricciante e terribile di questa visione prodigiosa che lascia tutti gli astanti attoniti. Soltanto il petto e le creste si ergono sull’acqua; il resto del corpo si muove in mezzo all’acqua con enormi e numerose spire

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Fit sonitus spumante salo; iamque arva tenebant ardentisque oculos suffecti sanguine et igni sibila lambebant linguis vibrantibus ora(1). diffugimus visu exsangues. illi agmine certo Laocoonta petunt(2); et primum parva duorum corpora natorum(3) serpens amplexus uterque implicat et miseros morsu depascitur artus; post ipsum auxilio subeuntem ac tela ferentem corripiunt spirisque ligant ingentibus; et iam bis medium amplexi, bis collo squamea circum terga(4) dati(5) superant capite et cervicibus altis.

1) Tutta quanta la descrizione della scena tende a suscitare un grande senso di orrore. Per raggiungere tale scopo Virgilio tenta di stimolare nel lettore sensazioni di diversa natura, che pertengono sia alla vista sia all’udito 2) Si noti il costrutto aliquem/aliquid petere (“dirigersi contro qualcuno o qualcosa”). Laocoonta è un accusativo di forma greca.

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scroscia il gorgo schiumante. E già approdavano, e iniettati di sangue e di fuoco gli occhi che ardevano, lambivano con lingue vibrate le bocche sibilanti. Fuggiamo esangui a quella vista. I serpenti con marcia sicura si dirigono su Laocoonte; e prima l’uno e l’altro serpente avvinghiano i piccoli corpi dei due figli e li serrano, e a morsi si pascono delle misere membra; poi afferrano e stringono in grandi spire lui che sopraggiunge in aiuto e brandisce le armi; avvintolo due volte alla vita, e attortisi al collo due volte con le terga squamose, sovrastano con il capo e con l’alte cervici

3) Si noti la collocazione alternata dei termini: parva duorum corpora natorum 4) Squamea...terga: accusativo di relazione alla greca 5) Circum...dati: circumdati, si tratta di una tmesi

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Ille simul manibus tendit divellere nodos perfusus sanie vittas atroque veneno(1), clamores simul horrendos ad sidera tollit: qualis mugitus(2), fugit cum saucius aram taurus et incertam excussit cervice securim. at gemini lapsu delubra ad summa dracones effugiunt saevaeque petunt Tritonidis arcem, sub pedibusque deae clipeique sub orbe teguntur(3). tum vero tremefacta novus per pectora cunctis insinuat pavor, et scelus expendisse merentem Laocoonta ferunt, sacrum qui cuspide robur laeserit et tergo sceleratam intorserit hastam.

1) Sanie...atroque veneno: ablativi strumentali 2) La locuzione può essere intesa in due modi: a) qualis mugitus (sott: est) e in questo caso nome e aggettivo sono nominativi singolari; b) qualis mugitus=quales mugitus e in questo caso nome e aggettivo sono accusativi plurali dipendenti da un verbo sottinteso (“emette”), predicato di taurus

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Egli si sforza di svellere i nodi con la forza delle mani , cosparso le bende di sangue corrotto e di nero veleno, e leva orrendi clamori alle stelle: quali i muggiti d’un toro ferito che fugge dall’ara, e scuote via dal collo la scure malcerta. Strisciando in coppia i due draghi fuggono verso l’alto santuario e muovono verso la rocca della crudele Tritonide; si acquattano ai piedi della dea e sotto il cerchio dello scudo. Allora a tutti s’insinua nei petti tremanti Un nuovo timore, e dicono che Laocoonte ha pagato giustamente il delitto, poiché ha violato con la punta il legno sacro, e avventato al fianco la lancia delittuosa.

3) Il massacro di Laocoonte e dei suoi figli è finito; i due serpenti, portata a termine la terribile azione, si dirigono verso il tempio di Pallade, detta Tritonide. Non è chiaro perché la dea venga indicata con questo termine.

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2.5.1

COMMENTO AL TESTO

Enea descrive la morte di Laocoonte: impegnato a sacrificare un toro in onore di Nettuno, viene sorpreso e ucciso da due enormi serpenti marini insieme ai suoi due figli. Dopo aver compiuto il misfatto i due mostri si recano sul santuario di Minerva suscitando lo sgomento di tutti i cittadini. Fin dai primissimi versi viene rimarcato il carattere orribile e terrificante di questo assassinio mediante l’uso di aggettivi comparativi, l’allitterazione della “M” e con due termini molto forti a fine verso, quali tremendum e turbat (vv.199-200). Un altro elemento che va a riprendere questo carattere orrendo e tragico viene comunicato attraverso l’espressione horrendos clamores al verso 222, la quale indica le sensazione che suscitano le urla di Laocoonte avvinghiato dai serpenti. Enea fornisce anche una descrizione molto dettagliata dei due serpenti tra i versi 204 e 210, sottolineando quanto l’abbiano colpito. Dopodichè racconta l’azione dei due serpenti i quali, agendo quasi contemporaneamente (vv. 214 serpens uterque), prima avvolgono e stritolano i due figli poi attaccano Laocoonte che era Complesso statuario del Laocoonte, corso in loro aiuto brandendo le armi e lo particolare del serpente che morde uccidono stritolandolo. il sacerdote https://app.bookcreator.com/books

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Questo episodio concentra in sé numerosi temi importanti, quali il “ribaltamento” che subisce Laocoonte, passando da essere colui che sacrifica il toro in onore di Nettuno ad essere la vittima dei due serpenti marini, tanto che Virgilio lo descrive nella similitudine ai versi 223 e 224 proprio come un toro ferito che fugge dall’ara emettendo lamenti; poi vi è il tema della profanazione della sacralità del sacerdote, perché Enea nel suo racconto sottolinea ai versi 221 e 222 che le bende sacre di Laocoonte vengono cosparse e macchiate di sangue e nero veleno. E’ anche presente il tema dell’inevitabilità del fato, perciò il sacerdote viene interpretato come vittima innocente dell’ira divina, inevitabilità evidenziata al verso 212 dal termine agmine certo che rappresenta l’avanzata sicura e quasi predestinata dei due serpenti, simbolo della punizione divina. Infine, in questo episodio sono presenti tre diversi punti di vista riguardanti la morte di Laocoonte:

Complesso statuario del Laocoonte, particolare del volto del sacerdote

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quello dei Troiani, che la interpretano come una punizione divina a causa dell’empietà dimostrata dal sacerdote nel gettare una lancia contro il cavallo di legno, dono sacro voluto dagli dei; il punto di vista di Enea, il quale vede la morte di Laocoonte e la fine della sua città provocate dalla volontà divina e dal destino, dunque inevitabili; quello del lettore, che la interpreta come il sacrificio di una persona innocente.

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2.5.2

LAOCOONTE NELL'ARTE TRA CLASSICISMO E DISSACRAZIONE

Gruppo del Laocoonte, copia in marmo Roma, Musei Vaticani

Secondo il mito Laocoonte, sacerdote di Apollo, fu uno dei pochi che diffidando del cavallo di legno lasciato dai Greci sotto le mura di Troia, cercò di dissuadere i Troiani dal portarlo dentro la città. Due serpenti venuti dal mare lo aggredirono e lo stritolarono, insieme ai suoi due figli. Proprio questo episodio è raffigurato nel celeberrimo gruppo marmoreo del "Laocoònte".

L’originale in marmo è attribuito ad uno scultore greco del primo secolo d.C. e fin dall'anno del suo ritrovamento nel 1506 l'opera, posta nel Cortile del Belvedere dei Palazzi Vaticani, era diventata per i pittori rinascimentali l'esempio più alto della sfida dell'arte alla natura. Nella scultura sono messi in risalto e si intrecciano espressioni, realismo, azioni ed emozioni. Laocoonte mantiene i segni della compostezza sul viso, nel corpo e nella posa, mentre i figli nascondono meno la loro disperazione. https://app.bookcreator.com/books

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Pio VI lo cedette ai Francesi in conseguenza del Trattato di Tolentino (1797) e il marmo giunse a Parigi nel luglio del 1798 insieme ad altri celebrati pezzi, tra cui l’Apollo del Belvedere. All’epoca del suo rinvenimento, Francesco da Sangallo riconobbe il gruppo come quello citato da Plinio (opera di Agesandro, Polidoro e Atenodoro di Rodi, posto nel Palazzo di Tito). Grazie all’autorità dello stesso, il gruppo scultoreo acquistò fama pari all’Apollo del Belvedere. "Il Laocoonte è la statua del più alto patimento, e ci dà l'immagine d'un uomo che, per opporsi ad esso, tenta di raccogliere tutte le forze dello spirito; ...nel dolore e nel patimento di Laocoonte, fattosi sensibile in ogni muscolo e in ogni tendine, si manifesta il contegno di un uomo grande, il quale lottando coi tormenti, si sforza di soffocarne il tumulto, e di reprimerli dentro di sé" Winckelmann, Il bello dell'arte. Scritti sull'arte antica

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Hubert Robert, The finding of the Laocoon, 1773, olio su tela - Richmond, Virginia Museum of Fine Arts

Il complesso statuario ha acquisito fama tale che è stato ripreso e reinterpretato in vario modo nel corso dei secoli. Nell’Ottocento il tema viene ripreso. In particolare nel dipinto del pittore francese Hubert Robert, relativo al suo ritrovamento, il gruppo marmoreo piccolo a destra, è colpito da un fascio di luce.

Ancora nell’Ottocento il tema è ripreso da Francesco Hayez (1812), con Laocoonte e i figli strangolati da due serpenti. L'opera venne eseguita per il Concorso di pittura del 1811 in cui vennero proclamati vincitori a parimerito all'Esposizione dell'anno Francesco Hayez, Laocoonte e i due figli strangolati da un serpente, 1818 - Milano, seguente i giovani pittori Hayez e de Accademia di Belle Arti di Brera Antoni. Il dipinto è caratterizzato per l'impianto corale della scena diverso dallo schema isolato della tipica rappresentazione del Laocoonte. Venne lodato per la resa del panneggio, dei costumi, della testa del protagonista e dei serpenti.

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Nel Novecento assistiamo invece ad un rovesciamento parodistico del modello: Dalì propone un Laocoonte tormentato da fastidiose mosche. Sempre nel Novecento Arman propone Il Laocoonte CORSTRICTOR (1999) che raffigura un torso di Laocoonte in bronzo blu, "strozzato " da un corno che qui rimpiazza il serpente.Il titolo dell''opera è un gioco di parole che associa lo strumento musicale ("COR" in francese) al termine "CONSCRICTOR", generalmente riferito ad un boa che soffoca la preda nelle sue spire. L'opera, anche così ricreata, mantiene intatta tutta la sua forza espressiva. Mentre sembra riconosciuto dalla critica che la ripresa dei Classici nell’Ottocento fosse per emularne la bellezza e l’armonia, queste opere, riprese nel Novecento sicuramente per la loro riconoscibilità (si tratta infatti di statue classiche universalmente conosciute ed ammirate sin dal momento della loro scoperta) sono solo il pretesto per manifestare nuove idee, smitizzandone l’origine fino alla parodia ed alla mutilazione. https://app.bookcreator.com/books

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a cura di Beatrice Casiroli, Caterina Lanzani, Federico Dallara, Gabriele Gorla, Giulia Galleani e Rebecca Berrone

ENEIDE, LIBRO IV

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3.1

IL LIBRO DI DIDONE

Il IV libro dell’Eneide è incentrato sulla figura della regina Didone e sulla sua travolgente passione verso l’esule troiano che ha risvegliato in lei il furor dell’amore, spentosi dopo la morte del marito Sicheo. Prima di Virgilio già Gneo Nevio, nell’opera epico-storica “Bellum Poenicum”, aveva accennato alla loro storia d’amore a fini eziologici: come nell’Eneide così anche nell’autore arcaico l’abbandono di Enea e la successiva maledizione di Didone rappresentano le cause ab origine dell’ostilità tra Romani e Cartaginesi, culminante nelle Guerre Puniche (264-146 a.C.).

La caccia di Didone, IV secolo d.C. , mosaico - Inghilterra, villa di Low Ham

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Anche Macrobio (390-430 d.C.), grande esegeta virgiliano, parla dell’opera neviana mettendola a confronto proprio con l’Eneide. Qui ne riportiamo un frammento : In principio [primo] Aeneidos tempestas describitur et Venus apud Iovem queritur de periculis filii et Iuppiter eam de futurorum prosperitate solatur. hic locus totus sumptus a Naevio est ex primo libro Belli Punici. Illic enim aeque Venus Troianis tempestate laborantibus cum Iove queritur et secuntur verba Iovis filiam consolantis [consolantibus] spe futurorum. (1)

(1) Traduz. “Nel primo (libro) dell’Eneide viene descritta una tempesta: Venere si lamenta con Giove dei pericoli che corre suo figlio e Giove la consola parlandole delle sue future fortune. Questo passo è interamente preso dal primo libro de La guerra Punica di Nevio. Anche lì, infatti, ugualmente Venere si lamenta con Giove della tempesta da cui sono travagliati i Troiani e seguono le parole di Giove che consola la figlia con la speranza del futuro.” (Saturnalia 6,2,31)

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Nei brani seguenti è racchiusa la vicenda di Didone che, su consiglio della sorella Anna, lascia emergere dal suo cuore l’amore per Enea, abbandonando il pudor della vedovanza; Giunone e Venere sono promotrici della loro unione, incuranti però del volere del Fato. Sarà così necessario l’intervento di Giove, attraverso Mercurio, per richiamare l’eroe alla sua missione. Come in una tragedia, l’eroina disperata e abbandonata sceglierà il più atroce dei destini. La struggente figura di una donna vinta dall’amore. Un eroe chiamato a più grandi imprese. Sono loro a rendere questo il più emotivo dei libri dell’Eneide.

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Christophe Cochet, Il suicidio di Didone , 1630 ca., marmo - Parigi, Museo del Louvre

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FIAMMA O CENERE? (Aen, IV, vv.1-30)

3.2

Due sorelle: una, regina divisa fra passione presente e fedeltà passata, l’altra, consigliera saggia e razionale. Vediamo i primi trenta versi del IV libro in cui parlerà soltanto la prima delle due, descrivendo il suo travaglio interiore per aver riconosciuto i veteris vestigia flammae (segni dell’antica fiamma d’amore).

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t regina gravi iamdudum saucia cura vulnus alit (1a) venis et caeco carpitur (1b) igni. multa viri virtus animo multusque recursat(2) gentis honos; haerent infixi (3) pectore vultus verbaque nec placidam membris dat cura quietem.(4) postera Phoebea (5) lustrabat lampade terras umentemque Aurora (6) polo dimoverat umbram, cum sic unanimam adloquitur male sana sororem: 'Anna soror, quae me suspensam insomnia terrent! quis novus hic nostris successit sedibus hospes, quem sese ore ferens, quam (7) forti pectore et armis!

1) Indic. pres. da alo,is ,alui, altrum/alitu, ere / Indic. pres. da carpo,is, carpsi, ptum, ĕre ; anastrofe caeco(...) igni 2) Indic. pres. frequentativo da recurro, is, curri, cursum, ĕre 3) Indic. pres. da haereo, es, haesi, haesum, ēre / Indic. perf. da infigo, is, fixi, fixum, ere 4) Anastrofe placidam (...) quietem https://app.bookcreator.com/books

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Bottega Carracci, Didone accoglie Enea, 1584, affresco - Palazzo Fava-Ghisileri, Bologna

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Ma la regina, tormentata già da tempo da un profondo affanno, nutre una ferita nelle vene ed è consumata da un cieco fuoco. Le ritornano in mente lo splendido valore dell’eroe, la grande gloria della stirpe: rimangono impressi nel cuore il suo volto e le sue parole, nè l’affanno concede alle membra una placida quiete. Il giorno seguente l’Aurora illuminava la terra con la luce di Febo e aveva allontanato dal cielo l’umida ombra, quando, già turbata, parla alla concorde sorella: <<Anna, sorella, che sogni mi tengono sveglia e mi angosciano! Che ospite straordinario è giunto nel nostro palazzo, quale mostrandosi in volto, quanto dal forte petto e dalle forte armi!

5) Uno degli appellativi di Apollo, “splendente”, riferito sia alla sua bellezza che al legame con il Sole 6) Hysteron proteron 7) Il poliptoto con anafora quae, quis, quem rivela l’ammirazione nei confronti di Enea, l’unico, dopo Sicheo, in grado di farle rivivere un tale sentimento.

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credo equidem, nec vana fides, genus esse deorum. degeneres animos timor arguit. heu, quibus ille iactatus fatis! quae bella exhausta canebat(9)! si mihi non animo fixum immotumque sederet (10) ne cui me vinclo vellem sociare iugali, postquam primus amor deceptam morte fefellit(11); si (12) non pertaesum thalami taedaeque fuisset, huic uni forsan potui (13a) succumbere (13b) culpae. Anna (fatebor (14) enim) miseri post fata Sychaei coniugis et sparsos fraterna caede penatis solus(15a) hic inflexit(15b) sensus animumque labantem impulit(16a) . agnosco (16b) veteris vestigia flammae.

9) Part. perf da exaurio, is, hausi, haustum, ire/ Indic. imperf. da cano, is, cecini, cantum, ĕre 10) Cong. imperf. da sedeo, es, sedi, sessum, ēre / fixum immotumque: endiadi per rafforzare il verbo 11) Indic. perf. da fallo, is, fefelli, falsum, ere 12) Anafora con protasi del periodo ipotetico dell’impossibilità 13) potui sta per potuissem (indicativo : reale possibilità nel passato)/Inf. pres. da succumbo, is, cubui, cubitum, ere 14) Indic. fut. da fateor, ēris, fassus sum, ēri 15) Con val. avverbiale / Indic. perf da inflecto, is, flexi, flexum, ere 16) Indic. perf. da impello, is, puli, pulsum, ere / Indic. pres. da adgnosco, is, gnovi, gnitum, ere

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Credo davvero - e non è fede vana - che sia di stirpe divina. Il timore biasima gli animi ignobili. Ahi, da quali destini è stato trasportato! Quali guerre compiute cantava! Se non mi risiedesse nell’animo l'irremovibile decisione di non volermi legare a nessuno con vincolo matrimoniale, dopo che il primo amore ingannò me delusa con la morte, se non avessi in odio il talamo e le fiaccole nuziali, forse per questo solo potrei soccombere al peccato. Anna, lo confesserò, dopo la morte del povero marito Sicheo e dopo che la casa fu insanguinata dalla fraterna strage, egli soltanto ha smosso i miei sensi e mi ha smosso l’animo così da renderlo vacillante. Riconosco i segni dell’antica fiamma.

Sir Nathaniel DanceHolland, L' incontro di Didone ed Enea, 1766, olio su tela - Londra, Tate Gallery

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sed mihi vel tellus optem prius ima dehiscat vel pater omnipotens adigat (17) me fulmine ad umbras (18), pallentis umbras (18) Erebo noctemque profundam, (19) ante, pudor, quam te violo aut tua iura resolvo. ille meos, primus qui me sibi iunxit, amores abstulit; ille habeat (20a) secum servetque (20b) sepulcro.' sic effata sinum(21) lacrimis implevit obortis.

17) Cong. pres. da abigo, is, egi, actum, ere 18) Epanafora, V. vuole indicare l’inferno con l’oscurità infernale 19) sed mihi (....) profundam: adynaton 20) Cong. pres. (val. desiderativo ed esortativo) x 2 21) Termine di controversa interpretazione: per alcuni è il lembo della veste di Anna o di Didone stessa, per altri è il seno di una delle due, per altri ancora (dopo Servio) sono gli <<occhi>> sgorganti.

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Ma vorrei che prima la terra mi si aprisse davanti 25 o il padre onnipotente mi spingesse con il fulmine tra le ombre, le pallide ombre dell’Erebo e una notte profonda, prima che ti violi, o Pudore, o sciolga i tuoi giuramenti. Quello che per primo mi congiunse a sè, tutto l’amore si portò via. Egli lo abbia con sè e lo conservi nel sepolcro>>. 30 Scoppiò in pianto e le lacrime le corsero giù per il petto.

3.2.1

COMMENTO AL TESTO

Se chiedessimo “cos’è l’amore?” a Didone, ci risponderebbe che è tormento, vulnus venis (ferita nelle vene), caeco ignis (cieco fuoco), che carpitur (divora) l’anima … ma non solo: è anche angoscia, follia, instabilità, passione e dolore allo stesso tempo.

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Didone trascorre tutta la notte insonne, a rigirarsi nel letto per cercare di prendere sonno, ma invano, perché il pensiero del valoroso Enea le occupa tutta la mente. I sentimenti sono tanto forti, intensi e travolgenti da indurla a confidarsi con la sorella Anna, una volta sopraggiunta l’Aurora. Il monologo rievoca l’amore per il defunto marito Sicheo e ricalca il modello letterario della tragedia greca, in particolare Euripide. Per tentare di sopprimere l’irrefrenabile desiderio di cedere all’amore per Enea, la regina richiama alla mente il giuramento di fedeltà fatto alle ceneri del defunto Sicheo. La celeberrima espressione adgnosco veteris vestigia flammae, ripresa anche da Dante (Pg. XXX, vv. 48) di fronte a Beatrice, è un chiaro segnale della presa di coscienza dei propri sentimenti: l’unica soluzione per Didone é invocare il Pudor per riconfermare il patto di fedeltá coniugale.

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3.2.2

Evelyn De Morgan, Medea ,1889, olio su tela - UK, Compton, The De Morgan Foundation,

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FUROR O PUDOR? Come già accennato, Didone è divisa fra pudor e furor . Ma cosa sono realmente? Il pudor è la sua dimensione razionale che spinge la vedova a rimanere fedele al marito, il furor, invece, è la sua dimensione irrazionale che spinge la giovane ad abbandonarsi a un nuovo amore. Nessuno può sottrarsi a un tale impulso, nemmeno Didone, che non è la prima a caderne vittima: infatti, già con Euripide, nell’Ippolito (428 a.C.), vediamo il furor che si impossessa del cuore di Fedra e la spinge a desiderare ardentemente il figliastro Ippolito. E come non comprendere la forza così potente del furor presente in un’altra opera dello stesso autore, la Medea (431 a.C.), che porta la protagonista al gesto più folle in assoluto, l’uccisione dei propri figli? Di fronte a queste donne capiamo che i tentativi di opporsi alle proprie passioni, di reprimerle e di cancellarle, sono vani: “la passione dell’animo è più forte in me della ragione” (Medea, vv. 1079-1080).

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3.3

UNA RETE PER DUE CUORI (Aen, IV, vv.117-172) La reggia di Cartagine brulica di cavalieri, il cielo si tinge dei colori della rosea Aurora, l’Olimpo dà il suo responso. In questa atmosfera serena si prepara, insieme ai cacciatori, una tempesta che darà l’occasione propizia ai due amanti per celebrare, al riparo di una grotta, il loro furtivum amorem.

<< … venatum Aeneas unaque miserrima Dido in nemus ire parant, ubi primos crastinus ortus extulerit Titan (1) radiisque retexerit(2) orbem. 120 his ego nigrantem commixta grandine nimbum (3), dum trepidant alae saltusque indagine cingunt, desuper infundam et tonitru caelum omne ciebo(4). diffugient comites et nocte tegentur opaca: speluncam Dido dux et Troianus (5) eandem 125 devenient. adero et, tua si mihi certa voluntas, conubio(6) iungam stabili propriamque dicabo. hic hymenaeus (7) erit.>>. Non adversata petenti adnuit (8a) atque dolis risit Cytherea (8b) repertis. 1) Titano Iperione, che sposa la sorella Basilea, è padre del sole e della luna 2) Indic. fut. ant. da retego, is, texi, tectum, ere 3) Nigrantem… nimbum è un iperbato, utilizzato anche in seguito nel brano con le stesse parole 4) Indic. fut da cieo, es, civi, citum, ire

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particolare del Corridoio della Grande caccia , IV secolo a.C., mosaico Piazza Armerina, Villa del Casale

<< (...) Enea e Didone, disperatamente innamorata, insieme si apprestano ad andare a caccia nei boschi non appena domani il sole nascente si sarà alzato e avrà rivelato il mondo coi raggi. 120 Io rovescerò su loro dall’alto un nero acquazzone misto di grandine, mentre le schiere di battitori si affannano a porre le reti sui passi montani, e farò risuonare tutto il cielo di tuoni. I compagni fuggiranno qua e là e saranno avvolti dalla tenebra: la regina Didone e il comandante Troiano ripareranno nella stessa 125 spelonca. Sarò presente e, se la tua volontà è decisa, (la) unirò (a lui) in un vincolo indissolubile e (la) proclamerò sua. Ci sarà un Imeneo>>. Senza opporsi poiché glielo chiedeva lei (Giunone) Venere annuì e sorrise degli inganni scoperti. 5) Dido … Troianus nella traduzione è stata utilizzata un’endiadi per sottolineare il fatto che siano entrambi duces 6) Un’unione nuziale di cui Giunone è la pronuba 7) Un canto nuziale greco eseguito mentre la sposa veniva accompagnata nella nuova casa 8) Indic. fut. da adnuo, is, nui, ere / Appellativo di Venere perché è nata dalla spuma del mare presso l’isola Citerea https://app.bookcreator.com/books

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Oceanum interea surgens Aurora reliquit (9). 130 it portis iubare (10) exorto delecta iuventus, retia rara, plagae, lato venabula ferro, Massylique ruunt (11) equites et odora canum vis. reginam thalamo cunctantem ad limina primi Poenorum exspectant, ostroque insignis et auro 135 stat sonipes ac frena ferox spumantia mandit. tandem progreditur magna stipante caterva Sidoniam picto chlamydem circumdata limbo; cui pharetra ex auro, crines nodantur (12) in aurum, aurea (13a) purpuream subnectit (13b) fibula vestem. 140 nec non et Phrygii comites et laetus Iulus incedunt. ipse ante alios pulcherrimus omnis infert se socium Aeneas atque agmina iungit.

9) Immagine di stampo epico-arcaico 10) La iuba è l’aureola luminosa 11) Indic. pres. da ruo, is, rui, rutum, ruere 12) Indic. pres. da nodo, as avi, atum, are 13) L’oro viene ripetuto per tre volte, creando un’anafora che sottolinea la nobiltà della regina ma anche la sua bellezza/ Indic. pres da subnecto, is, nexui, nexum, ere

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Intanto l’Aurora sorgendo lasciava il mare. 130 La scelta gioventù sotto il sole esce dalle porte; (son pronte) reti a larghe maglie, lacci, giavellotti dall’ampia punta, e accorrono i cavalieri Massili e le mute dei bei cani dal buon fiuto. Alle soglie i principi Cartaginesi stanno ad aspettare la regina ancora nel talamo e un destriero rifulgente di porpora 135 e d’oro attende e morde impaziente il freno spumoso. Infine scortata da un folto corteo lei avanza coperta da un mantello Sidonio dal lembo ricamato. Ha la faretra d’oro, i capelli annodati con un fermaglio d’oro, e una fibbia d’oro allaccia la veste purpurea. 140 E avanzano anche i compagni Frigi e lieto Iulo. Proprio lui, Enea, bellissimo fra tutti, si unisce agli altri come compagno e unisce le schiere.

Alessandro Cesati, Medaglia raffigurante Didone, metà XVI secolo, metallo a sbalzo Washington, National Gallery of Art

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qualis ubi hibernam Lyciam Xanthique (14) fluenta deserit (15a) ac Delum maternam invisit (15b) Apollo 145 instauratque choros, mixtique altaria circum Cretesque Dryopesque (16) fremunt pictique Agathyrsi (17); ipse iugis Cynthi (18) graditur mollique fluentem fronde premit crinem fingens (19) atque implicat auro, tela sonant umeris: haud illo segnior ibat 150 Aeneas, tantum egregio decus enitet ore. postquam altos ventum in montis atque invia lustra, ecce ferae saxi deiectae vertice caprae decurrere iugis; alia de parte patentis transmittunt cursu campos atque agmina cervi 155 pulverulenta fuga glomerant montisque relinquunt.

14) La Licia è una storica città dell’Asia Minore (oggi è una provincia turca dal nome di Adalia) dove Apollo era venerato, mentre lo Xanto è il fiume che scorre nei suoi pressi 15) Indic. pres. da desero, is, serui, sertum, ere / Indic. pres. da inviso, is, si, sum, ere 16) Proveniente dalla Doride, vicino al Parnaso

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Somigliante ad Apollo quando lascia l’invernale Licia e il corso del Xanto e torna a vedere la materna Delo e rinnova le danze, e misti intorno agli altari fremono i Cretesi e i Driopi e i dipinti Agatirsi; lui avanza per i gioghi del Cinto e raccoglie la fluente chioma adornandola di pieghevole fronda e cerchiandola d’oro; i dardi gli risuonano sulle spalle; non meno animoso veniva Enea; altrettanta beltà risplende nel nobile volto. Come arrivarono agli alti monti e ai covi irraggiungibili ecco capre selvagge precipitatesi giù dal vertice della rupe attraversare di corsa le balze; e d’altra parte i cervi percorrono di corsa gli aperti campi e fuggendo in frotte s’agglomerano levando la polvere e lasciano i monti.

17) Popolazione tracica che abitava a nord della Scizia (le attuali regioni di Banato e Transilvania) 18) Riferito ad Apollo che nasce ai piedi del monte Cinto presso Delo 19) Corona d’alloro/ Part. pres. da fingo, is, finxi, finctum, ere

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at puer Ascanius mediis in vallibus acri gaudet (20) equo iamque hos cursu, iam praeterit illos, spumantemque dari pecora inter inertia votis optat aprum, aut fulvum descendere monte leonem. Interea magno misceri (21) murmure caelum incipit, insequitur commixta grandine nimbus, et Tyrii (22) comites passim et Troiana iuventus Dardaniusque (23) nepos Veneris diversa per agros tecta metu petiere; ruunt (24) de montibus amnes. speluncam Dido dux et Troianus eandem deveniunt. prima et Tellus et pronuba Iuno dant signum; fulsere (25) ignes et conscius aether conubiis summoque ulularunt vertice Nymphae (26).

20) Indic. pres. da gaudeo, es, gavisus sum, ēre 21) Inf. pres da misceo, es, xui, mixtum, ēre 22) Il popolo fenicio dei Tirii, fondatori di Cartagine 23) Il capostipite dei re troiani

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Ma il giovane Ascanio si diverte sul focoso cavallo in mezzo alle valli, e al galoppo oltrepassa ora questi ora quelli, e agogna che gli si offra tra l’imbelle armento uno schiumoso cinghiale o che un fulvo leone scenda dal monte. Intanto il cielo comincia ad essere sconvolto da un gran rimbombo, segue un nembo misto di grandine; e i Tirii cacciatori e i giovani Troiani e il Dardanio nipote di Venere intimoriti qua e là cercarono differente asilo per i campi; i torrenti si precipitano dai monti. La regina Didone e il comandante Troiano riparano alla stessa spelonca. Prima la terra e la pronuba Giunone danno il segnale;il cielo consapevole risplendette di lampi sul connubio e sulla sommità del monte gridarono le ninfe.

24) Indic. pres. da ruo, is, rui, rutum, ruere 25) sta per fulserunt; Indic. perf. da fulgeo, es, si, ēre 26) Ninfe Oreadi

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ille dies primus leti primusque malorum 170 causa fuit; neque enim specie famave movetur nec iam furtivum Dido meditatur (27) amorem: coniugium vocat, hoc praetexit nomine culpam.

Innamoramento di Enea e Didone, IV secolo d.C., mosaico - Inghilterra, villa di Low Ham

27) Indic. pres. da meditor, aris, atus sum, ari

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170

3.3.1

Quello fu il primo giorno di morte e la prima causa di tanti mali; Didone infatti non è mossa né dell’apparenza né della fama, né medita ormai un amore furtivo; lo chiama nodo nuziale, con tal nome nasconde la sua colpa.

COMMENTO AL TESTO

Una battuta di caccia. Una tempesta. Non c’è più scampo per i due amanti: Giunone e Venere hanno ormai concordato il loro Imeneo. I comites, compagni che vi parteciperanno, vengono presentati in un’enumerazione con tono ascendente, prima citando la delecta iuventus (gioventù scelta), i Massyli equites (cavalieri massili) e i Poenorum primi (principi Fenici), poi presentando la regina Dido incorniciata dall’oro del fermaglio e della fibbia, i Phrygii comites (compagni Frigi) e Iulus.

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Alla fine compare proprio lo splendido figlio di Venere, paragonato al dio Apollo e per nulla inferiore a lui in bellezza. All’improvviso un acquazzone si abbatte sui cacciatori, costringendoli a trovare un rifugio: per volere del Fato, Didone ed Enea riparano nella stessa grotta dove, finalmente, si abbandoneranno alla passione. La loro unione è accompagnata da presagi sinistri: infatti il passo si conclude con il tragico annuncio della sventura che si abbatterà su Didone (Dies primus laeti primusque malorum).

Andrea Appiani, Venere allaccia il cinto a Giunone, 1810 ca. , olio su tela - collezione privata

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3.3.2

EROINE D'AMORE

Oggettività epica e soggettività tragica si alternano all’interno dell’opera, e questo libro ne è l’apice: un’unità quasi a sé stante all’interno del poema epico. Già Apollonio Rodio nelle “Argonautiche”, un poema epico di età ellenistica, aveva incentrato il terzo dei quattro libri sulla figura di Medea, sospendendo la narrazione della conquista del Vello d’oro da parte di Giasone. Medea, la maga della Colchide, è rappresentata da Apollonio come una fanciulla che scopre l’amore e diventa donna: ancora è lontana dalla sanguinaria eroina euripidea che, abbandonata da Giasone, ucciderà i figli in un atto di vendetta estrema. A collegare le due figure (quella di Apollonio e quella di Euripide) è un’immagine fortemente evocativa: nell’uccidere il fratello Absirto per amore di Giasone, una goccia di sangue macchia il candore dell’abito di Medea.

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A. F. A. Sandys, Medea, 1866-1868, olio su tavola - Birmingham Museum and Art Gallery

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La Didone virgiliana richiama anche la figura di Arianna di Catullo: nella descrizione della coperta del talamo nuziale di Peleo e Teti si inserisce, con tecnica ecfrastica, la storia dell’eroina abbandonata da Teseo. Soprattutto nel lessico del carme 64 è evidente la ripresa: il furor, la disperazione (maesta), le vane promesse (blanda promissa), la fuga improvvisa dell’amante (cedentem, immemor, fugiens) accomunano le due miserae amanti.

Evelyn de Morgan, Arianna a Nasso, 1877, olio su tela - UK, Compton, The De Morgan Foundation,

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3.3.3

DIDO AND AENEAS

Quest’opera, rappresentata per la prima volta l'11 aprile del 1689 in occasione del matrimonio tra Guglielmo III d’Orange e Maria II Stuart, è l’emblema del melodramma britannico. Fu composta dal musicista Henry Purcell, divenuto celebre proprio per quest’opera, per la scuola di giovani gentildonne di Josias Priest, un celebre coreografo e danzatore. Purcell seppe calibrare le caratteristiche dell’opera in base alle capacità artistiche delle allieve di Priest: infatti l’opera si presenta estremamente concentrata (dura circa un’ora), con l’assenza di grandi difficoltà esecutive, ma al tempo stesso ricca di scene d’effetto e numeri di danza. Dido and Aeneas rappresenta senza dubbio un momento di straordinaria importanza, ed è infatti (insieme alle grandi composizioni di Monteverdi) una delle pochissime opere seicentesche oggi regolarmente eseguite. La vicenda ricalca il IV libro dell’Eneide, suddividendolo in 3 atti: Didone accoglie Enea (atto I); la caccia fatale e il memento della missione ad Enea (atto II); la partenza di Enea e la morte di Didone (atto III) .

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La scelta del tema non è per nulla casuale ed infatti gli studiosi sostengono che tutto ciò abbia un significato politico e allegorico: le streghe, che compongono il coro e sostituiscono le divinità dell’opera a cui è ispirato il dramma, raffigurerebbero le trame della curia cattolica contro la monarchia anglicana, e Dido avrebbe il valore di un monito alla corona britannica a mantenere unità e armonia per evitare la distruzione, politica e religiosa, del regno. La riuscita drammaturgica è basata su un delicatissimo gioco tra simmetria e asimmetria: ogni scena è costruita sullo stesso schema musicale, su una simile alternanza di recitativo, aria, coro, danza. Ma il compositore mette in evidenza il procedere del dramma cambiando nel corso dell’opera il peso dei diversi elementi e dei personaggi stessi.

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I contrasti si fanno sempre più accentuati e ravvicinati, il rapporto tra luce e ombra, tra inganno e verità si fa sempre più coinvolgente e sfocia nella sublime aria conclusiva e nella morte di Didone. Proprio da quest’ultimo atto è tratta il noto brano de “Il lamento di Didone” (incipit “When I am laid in earth"), ripreso e rivisitato in chiave moderna dal pianista Stefano Bollani. E’ proprio su questo lavoro di Purcell che Sasha Waltz, la più importante esponente della danza tedesca dopo Pina Bausch, realizzò uno spettacolo meraviglioso. Infatti la coreografa pensava che la musica di quest’opera, mentre veniva suonata, esigesse un palcoscenico ricco di danze e proprio per questo pensò di unire la musica barocca con il teatro danza contemporaneo. L’opera coreografica “Dido&Aeneas”,realizzata nel 2005, si capisce essere un capolavoro artistico sin dalla prima scena dove Enea e Didone sfoggiano un pas de deux acquatico che permette ai corpi dei due amanti di intrecciarsi e volteggiare uno a fianco all’altro. Ecco qui di seguito il trailer di quello che fu uno spettacolo importante, anteprima del RomaEuropa Festival: https://vimeo.com/16405819

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"SCONGIURA COL FERRO IL DOLORE" (Aen IV, vv. 365-387; 522552)

3.4

L’ultimo atto di una tragedia greca, è proprio questo che Virgilio vuole rappresentare con la fine del IV libro. Il sentimento amoroso, tipicamente femminile, e una prontezza di spirito, tipicamente maschile, prendono piede nella regina: solo attraverso un gesto estremo manterrà la sua dignità, liberandosi dei sentimenti amorosi per Enea. 365

370

'nec tibi diva parens generis nec Dardanus(1) auctor, perfide, sed duris genuit (2) te cautibus horrens Caucasus Hyrcanaeque(3) admorunt ubera tigres. nam quid dissimulo aut quae me ad maiora reservo? num(4a) fletu ingemuit (4b) nostro? num lumina flexit(4c)? num lacrimas victus dedit aut miseratus amantem est? quae (5a) quibus (5b)anteferam? iam iam nec maxima Iuno nec Saturnius haec oculis pater aspicit aequis. nusquam tuta fides. eiectum litore, egentem excepi et regni demens in parte locavi.

1) Dardano, figlio di Giove ed Elettra, mitico capostipite dei re di Troia 2) Indic. perf. da gigno, is, genui, genitum, ere 3) Il Caucaso è la catena montuosa asiatica tra il Mar Nero ed il Mar Caspio; l’Ircania è la vasta regione oltre la Media e la Persia: si tratta due iperbolici riferimenti ai margini incivili del mondo

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Montalto, Didone abbandonata, 1640 ca., olio su tela Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco

365

370

“Nè fu tua madre una dea, nè Dardano autore della tua stirpe, o impostore, ma ti generò il frastagliato Caucaso da dure rupi, e (ti) allattarono tigri Ircane. Ma che cosa fingo, o a quali maggior cose mi riservo? Forse gemette al mio pianto? Forse tremò lo sguardo? Forse, vinto, versò lacrime o ebbe pietà dell’amante? Che cosa anteporrò a che cosa? Ormai nè la massima Giunone, né il padre Saturno guarda a ciò con occhi imparziali. In nessun luogo c’è fede sicura. Gettato sul lido, miserabile lo raccolsi e, da pazza, lo misi a parte del regno.

4) Presuppone una risposta negativa/ Indic. perf. da ingemisco, is, ingemui, ere/ Indic. perf da flecto, is, flexi, flectum, ere 5) pron. interrogativo/ pron. relativo

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375

amissam classem, socios a morte reduxi (heu furiis incensa feror!): nunc augur Apollo, nunc Lyciae sortes, nunc et Iove missus ab ipso interpres divum fert horrida iussa per auras. scilicet is superis labor est, ea cura quietos 380 sollicitat. neque te teneo neque dicta refello (6): i, sequere Italiam ventis, pete regna per undas. spero equidem mediis, si quid pia numina possunt, supplicia hausurum scopulis et nomine Dido saepe vocaturum. sequar atris ignibus absens 385 et, cum frigida mors anima seduxerit artus, omnibus umbra locis adero. dabis, improbe, poenas. audiam et haec Manis (7) veniet mihi fama sub imos.'

6) Indic. pres. da refello, is felli, fellere 7) I Mani, nella religione romana, erano le anime dei defunti, talvolta identificate con le divinità dell’oltretomba

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375 La flotta perduta, i compagni, sottrassi alla morte. Ahi, arsa da tutte le furie mi sento travolgere! Ora l’augure Apollo ora i responsi Licii, ora inviato dallo stesso Giove anche il messaggero degli dei gli porta per i cieli ordini orribili. Ah certo, è quello l’impegno lassù, tale pensiero turba 380 i tranquilli. Nè ti trattengo nè ribatto le tue parole: va’, insegui l’Italia con i venti, cerca un regno attraverso le onde. spero bene che tu, se i pii numi possono qualcosa, tra gli scogli sconterai la tua pena e spesso chiamerai per nome Didone. Lontana ti seguirò con torbide fiaccole, 385 e, quando la fredda morte separerà l’anima dalle membra, in ogni luogo sarò presente come uno spettro. Pagherai il fio, malvagio; lo sentirò, e questa notizia verrà a me fin negli abissi d’oltretomba!”

Niccolò dell'Arca (prob. allievo), Suicidio di Didone, seconda metà del XV secolo , marmo - Firenze, Museo Bardini

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(...) Nox erat et placidum carpebant (8) fessa soporem corpora per terras, silvaeque et saeva quierant(9) aequora, cum medio volvuntur (10) sidera lapsu, 525 cum tacet (11) omnis ager, pecudes pictaeque volucres, quaeque lacus late liquidos quaeque aspera dumis rura (12) tenent, somno positae sub nocte silenti. [lenibant curas et corda oblita laborum.] at non infelix animi Phoenissa (13), neque umquam 530 solvitur (14) in somnos oculisve aut pectore noctem accipit: ingeminant curae rursus (15) que resurgens saevit amor magnoque irarum fluctuat aestu.

8) Indic. imperf. da carpo, is, carpsi, carptum, ere 9) sta per quieverant, Indic. perf da quiesco, is, quievi, quietum, quiescere 10) Indic. pres. da volvo, is, volvi, volutum ,ere 11) Indic. pres. da taceo, es, tacui, tacitum, ēre 12) lacus liquidos …..aspera rura: chiasmo 13) altro modo per nominare Didone 14) qui con accezione di “abbandonarsi” 15) pleonastico con resurgens: part. pres. da resurgo, is, surexi, surrectum, ere

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(...) Era notte, e un sereno sopore coglieva per tutta la terra i corpi stanchi, e le selve e i selvaggi mari si erano calmati, quando nel mezzo dell’orbita scorrono gli astri, 525 quando tace ogni campana, gli animali e i variopinti uccelli, quanti occupano in largo le limpide lagune, quanti abitano le piane irte di cespugli, adagiati nel sonno durante la notte quieta. (lenivano le pene e i cuori dimentichi di sofferenza). Ma non la Fenicia, infelice nell’anima, né mai 530 si abbandona nel sonno, o con gli occhi o nel profondo accoglie la notte: crescono gli affanni e nuovamente affiorando imperversa l’amore e fluttua nel grande vampe delle passioni.

Claude Lorrain, L'addio di Enea a Didone, 16751676, olio su tela Amburgo, Hamburger Kunsthalle

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sic adeo insistit secumque ita corde volutat (16): 'en, quid ago (17a)? rursusne (17b) procos inrisa priores 535 experiar (18a), Nomadumque (18b) petam conubia supplex, quos(19a) ego sim totiens iam dedignata (19b) maritos? Iliacas igitur classis atque ultima Teucrum iussa sequar? quiane (20) auxilio iuvat ante levatos et bene apud memores veteris stat gratia facti? 540 quis me autem, fac velle, sinet ratibusve superbis invisam accipiet? nescis(21) heu, perdita, necdum Laomedonteae(22) sentis periuria gentis?

16) Indic. pres. da voluto, as, avi, atum, are ; intensivo di volvo (vedi nota 10) 17) Uso dell’indicativo deliberativo invece del congiuntivo dubitativo per rafforzare l’espressione / introduce una prop.interrogativa con valore dubitativo 18) Indic. fut. da experior, eris, expertus sum, experiri / Allusione a re Iarba, re dei Getuli 19) Prop. relativa con valore avversativo/ Cong. perf. da dedignor, aris, atus sum, ari 20) Introduce una prop. causale ed interrogat. retorica 21) Indic. pres. da nescio, is, ivi, itum, ire 22) Padre di Priamo, famoso per non aver pagato Apollo e Poseidone dopo che essi avevano edificato la sua città (Troia)

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Tanto più così persiste e si volge in cuor suo : <<Che faccio ora? Per essere a mia volta derisa, ritenterò 535 i pretendenti e in ginocchio chiederò nozze ai Nomadi, quei mariti che già tante volte io invece ho disdegnato? Seguirò allora la flotta dei Troiani e gli ultimi ordini dei Teucri? Perché fa piacere a chi prima s’è giovato del mio soccorso e sta ben salda nella loro memoria la riconoscenza per l’antico gesto! 540 Chi poi, anche se io volessi, me lo consentirà o m’accoglierà mal vista sulle superbe navi? Ahi, non sai tu, disgraziata, né ancora conosci gli spergiuri della stirpe di Laomedonte?

Pietro Metastasio, Didone abbandonata , 1783, acquaforte Napoli, Biblioteca Nazionale

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Agostino Cayot, La morte di Didone, 1711, marmo - Parigi, Museo del Louvre

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quid tum (23a)? sola fuga nautas comitabor(23b) ovantis? an Tyriis omnique manu stipata meorum 545 inferar et, quos Sidonia(24a) vix urbe revelli (24b), rursus agam pelago et ventis dare vela iubebo? quin morere ut merita es, ferroque averte dolorem. tu (25) lacrimis evicta meis, tu prima furentem his, germana, malis oneras atque obicis hosti. 550 non licuit (26) thalami expertem sine crimine vitam degere more ferae, talis nec tangere curas; non servata fides cineri promissa Sychaeo (27).'

23) Interrogativa ellittica (senza predicato) / Indic. fut. da comitor, aris, comitatus, sum, ari 24)Tiro era colonia di Sidone / Inf. pres. da revello, is, velli, vulsum, ere 25) Anafora 26) Indic. perf. da licet, licuit, licere 27) aggettivo, sta per Sychaei Andrea Mantegna, Didone, 1495 ca., tempera a colla e oro su tela - Montreal Museum of Fine Arts

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545

550

E poi? Da sola mi accompagnerei ai gioiosi naviganti, oppure adunate dai Tirii tutte le schiere dei miei, le trarrei con me e chi strappai dalla cittĂ Sidonia li spingerei di nuovo sul mare, o ordinargli di dar vela ai venti? Muori, muori come meriti e scongiura col ferro il dolore. Tu, sconďŹ tta dalle mie lacrime, o sorella, tu per prima fai cadere questi mali sulla mia follia e mi ori al nemico. Non mi fu concesso di passare la vita senza colpa, come un essere selvaggio, e non provare queste pene. Non fu serbata la fede promessa alle ceneri di Sicheo.

Orazio Fidani, Morte di Didone, 1640, olio su tela - Bissone, Museo Tencalla

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3.4.1

COMMENTO AL TESTO

Nel terzo passo la storia d’amore tra Enea e Didone diventa una tragedia, come era già stato preannunciato nei precedenti versi. La regina abbandonata si rende conto di non essere mai stata amata da Enea, o quantomeno non al pari del suo amore: pur essendo stato raccolto naufrago dal lido insieme ai suoi compagni e accolto come prevedono i vincoli di ospitalità, e anche qualcosa di più, l’eroe sa solo portare come giustificazione alla sua partenza gli ordini celesti e la missione ineluttabile. Questo fa scaturire un getto di furia dal cuore di Didone che diventa una maledizione verso Enea, al quale augura di pagare il fio tra gli scogli per la pena che le ha inferto (supplicia hausurum scopulis) e di invocare spesso il suo nome (nomine Dido saepe vocaturum).

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Circa centocinquanta versi dopo ritroviamo una diversa inquadratura della stessa scena: infatti viene descritta la notte, e il <<sopore>> che coglie i corpi stanchi degli uomini, le selve e i mari, nonché l’apparizione delle stelle e il silenzio di campane e uccelli. La congiunzione at contrappone alla descrizione della calma l’evoluzione del sentimento furioso dell’amante, ora diventato disperazione. La regina non vuole certo concedersi a uno dei suoi tanti pretendenti, come non avrebbe mai voluto fare Penelope con Antinoo, ma nemmeno sa dove poter trovare ospitalità; tutto ciò la porta alla rassegnazione e alla terribile decisione di morire. Quin morere ut merita es. Così la protagonista prende coscienza delle proprie colpe. Ad una donna a cui non è stato concesso di non provare alcun sentimento, dominata dai rimorsi per la sua infedeltà verso il marito e per l’abbandono da parte dell’uomo che le ha rubato, oltre che il lutto e il pudore, anche il cuore, non rimane altro che il suicidio.

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3.4.2

PAROLA ALLE AMANTI

Nelle Heroides, una raccolta di epistole scritte da Ovidio tra il 25 e il 16 a.C., le eroine dell’epica classica scrivono ai loro uomini attraverso la mano del poeta. Tra queste si trova anche un’immaginaria lettera scritta da Didone ad Enea appena prima del suicidio. La regina è disperata per il tradimento dell’amato, che l’ha abbandonata prediligendo la sua fatale missione, e a tratti si rivolge a lui con toni molto forti, a tratti con la malinconia di una donna abbandonata. Enea fa parte dei traditori d’amore, e soprattutto per questi è pericoloso avventurarsi per mare in quanto la Dea dell’amore è nata proprio da lì. Venere, però, era stata una delle garanzie, insieme al padre Anchise e al figlio Ascanio, che avevano permesso ad Elissa di fidarsi di Enea, la quale, tuttavia, era stata comunque tradita da un uomo che presto avrebbe trovato un’altra donna da amare e da tradire. https://app.bookcreator.com/books

Diego Mexìa de Fernangil, traduzione seicentesca (1608) delle Heroides - prima pagina

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Anton von Werner, Ovidio, 1905, stampa illustrazione del volume Abriß der Weltliteratur (Cenni sulla letteratura mondiale)

Prima di compiere l’atto fatale la regina chiede ad Enea di rimanere con lei, anche se sa che ciò non potrà mai accadere, domandandogli di restare con la possibile madre di un fratello per Iulo, ma in cuor suo è già pronta a ferirsi la seconda volta, dopo essere stata colpita dalle frecce dell’Amore, con una spada. Si tratta di parole diverse da quelle presenti nell’Eneide, più umane e meno solenni, ma capaci di mettere in risalto la potenza dell’amore vero, un sentimento capace di far provare emozioni forti sia in bene che in male, ma di spingere anche a gesti estremi.

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3.4.3

ANCORA OGGI

La Prof.ssa Anna Spata, Docente di Materie Letterarie e Latino presso il Liceo Scientifico Statale “Pietro Paleocapa” di Rovigo, mostra quanto la figura di Didone sia estremamente attuale: << Ma com’è possibile che anche ai giorni nostri una donna tutta d’un pezzo, bella, intelligente come lei, possa perdere la testa per un uomo fino alla propria autodistruzione? E soprattutto, con tutti i pretendenti che aveva, re e principi, perchè proprio Enea? Okay, può essere eroe, ma arriva alla reggia proprio in condizioni pessime: affamato, senza progetti, con un passato pieno di disgrazie… e che caratteraccio! Indecisione allo stato puro! Ha proprio perso la testa per l’uomo sbagliato, la nostra Didone.. capita a molte, purtroppo, ed è inutile chiedersi il motivo, nessuno è immune al furor: ti rapisce la razionalità quando meno te lo aspetti ed è subito scompiglio.>> (1)

1) ANNA SPATA, “Le competenze dell’intelligenza del cuore. L’‘amore perduto’ per immagini, suoni, lettura silente e voce recitante” In “La letteratura degli italiani 4. I letterati e la scena” - Atti del XVI Congresso Nazionale Adi, Sassari-Alghero, 19-22 settembre 2012, a cura di G. Baldassarri, V. Di Iasio, P. Pecci, E. Pietrobon e F. Tomasi, Roma, Adi editore, 2014

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L'Eneide: il mito di Roma

A cura della CLASSE IV BC Liceo classico Pietro Verri, Lodi Sotto la supervisione della professoressa Maria Letizia Mangiavini

Anno scolastico 2017/2018

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