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Rivista mensile, giugno 2009 • n. 6 anno XXXIII • Sped. in abb. post. Art. 2, Comma 20/c, Legge 662/96 • Filiale di Padova • ISSN 1127-0667

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Carnet Marcia di

B 2009

“Lo Scout sorride e canta anche nelle difficoltà”

SCOUT D’EUROPA


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SOMMARIO SCOUT D’EUROPA

Con uno scatto... a risposta dalla Pattuglia Foto

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By Tullia e Giorgio Perché cantare?

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Treppiedi, una proposta Non spegniamo le nostre torce Abruzzo: essere pronti ed essere preparati

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Rivista mensile Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici della Federazione dello Scautismo Europeo Anno XXXIII • n. 6, giugno 2009 Carnet di Marcia per Scolte e Rovers Direttore Responsabile Solideo Saracco Direttori Michela Bertoni, Pietro Antonucci

Vita da Rover, vita da Scolta Io lo so che non sono solo anche quando sono solo

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Abruzzese Forte e Gentile

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Notizie dalla Base Scout FSE di Villa S. Angelo 14 Qualche pensiero sul canto

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Lettera di Don Gaetano, Parroco di Fossa

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È tornata alla casa del Padre Roberta Giuliani 18 Dossier Stati vegetativi • Seconda parte Vita e morte, tra scienza medica, concezioni di vita, aspetti giuridici. La complessità e la delicatezza della posta in gioco

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Cadendo da cavallo... infuocando il mondo Nella potenza del risorto

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Sale in zucca Cercando la colonna sonora

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Cucù e Ciarlatani Pace e bene

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L’altracopertina Riflettendo sul canto...

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REDAZIONE DI CDM Coordinamento redazionale Tullia Di Addario, Giorgio Sclip Responsabili rubriche L’ALTRACOPERTINA: Giorgio Sclip APERTAMENTE: Francesco e Laura Licenziato, Martino Piovesan ed Elena Pillepich CADENDO DA CAVALLO... INFUOCANDO IL MONDO: Don Fabio Gollinucci e fra Basito CORNER... L’ANGOLO DELLO SPORT: Carla Palermo, Tina Di Bari e Demetrio Gajo SALE IN ZUCCA: Monica D’Atti e Aldo De Menech SENTIERI D’EUROPA: Massimiliano Pastore e Massimiliano Pietrantoni TIPS & TRICKS: Marco Lucidi TREPPIEDI, UNA PROPOSTA: Commissari di Branca In redazione anche Enrico De Micheli, Elena Bratti, Micaela Moro, Gipo Montesanto, Serena Adinolfi, Don Paolo La Terra Hanno collaborato in questo numero: Clemente Brunetti, Tullia Di Addario, Giorgio Sclip, Pietro Antonucci, Aldo De Menech, Francesco Brunori, Davide, Elena Pillepich, Cathy Baglioni, Carla, Claudia, Roberta, Federica, Lorenza, Juri Viviana Elena, Enrico Pezzoli, Don Fabio Gollinucci, Monica D’Atti Progetto grafico Ellerregrafica

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ingraziamo tutti coloro che ci hanno scritto e che ancora non vedono pubblicato su questo numero il loro contributo! Tranquilli, sarete sul prossimo numero!!

Direzione, Redazione e Amministrazione Via Anicia 10 • 00153 Roma redazionecdm@libero.it Aut. del Tribunale di Roma n. 17404 del 29/09/1978 • Sped. in abb. post. Art. 2 Comma 20/c, Legge 662/96 • Fil. di Padova ISSN 1127-0667 Stampa ADLE Edizioni • Padova Manoscritti e foto, anche se non pubblicati, non si restituiscono, salvo diverso accordo precedente con la Direzione.Tutti i collaboratori hanno la responsabilità e conservano la proprietà delle loro opere. La riproduzione di scritti comparsi in questa rivista è concessa a condizione che ne venga citata la fonte.

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Chiuso in Redazione il 26 maggio 2009


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Con uno scatto... a risposta dalla Pattuglia Foto

“Qualcuno ha detto la musica è fratellanza buona speranza allora buona speranza... Se c’è un silenzio da rompere e un muro d’ostilità ti porto dove c’è musica qualcosa succederà prendi questa libertà che ti porta dove va. Via dove c’è musica c’è ancora fantasia...”

Foto di Clemente Brunetti

Dove c’è musica (Eros Ramazzotti)

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by Tullia e Giorgio

Perché cantare? “F

ratello guarda, nel cuore del bosco, su una radura, fra i pini, tu scorgi qualcosa: sono ombre nere attorno al chiarore d’un fuoco, sono volti riverberati dalla luce rossa della fiamma… Ferma il tuo passo che fa scricchiolare i tralci secchi e spezza i fuscelli caduti ed ascolta: dal cerchio si innalza un canto: ed il vento lo porta a morire tra le ombre, lontano. Un canto che parla di tanta speranza e di tanta attesa, che intreccia i ricordi di un ieri giocondo con la mestizia d’un oggi di ombra. Sono canti nati tra il verde del bosco e sanno di resina, sulle vette splendenti dei monti e sanno di luce, o sulle strade polverose d’Italia e c’è il ritmo di un passo di giovinezze in cammino. Sono canti sorti quando moriva la brace ed il buio si faceva più cupo: li abbiamo cantati così, più adagio, con voce velata: pensando ai fratelli dispersi o perduti lungo la strada, ai fratelli caduti lontano, invocando la mamma... ed era preghiera. Sono canti sgorgati improvvisi, senz’ordine. Forse puoi trovarvi l’eco di altre canzoni: accettali così come sono e, aldilà delle note e delle parole, sappi scorgere l’animo di chi un giorno li ripeteva mentre attorno v’era tanta tristezza. Ora te li offriamo perché li possa cantare pur tu nella libera e gioconda vita che hai scelto: la vita Scout, fratello, che altri ti hanno preparato tenendo accesa la fiamma, questa tua vita Scout che è tra i più bei doni di Dio: perché sa di letizia e di bontà: perché pur essa è un canto di gioia”. Queste parole di Mons. Andrea Ghetti, meglio noto come Baden, scritte quale introduzione a “Canti di Mezzanotte” (Milano 1947), lasciano chiaramente intravedere come il canto rappresenti un aspetto importante e profondo per chi ambisca a vivere una Vita “piena ed abbondante”.

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Un aspetto talmente importante che perfino la nostra legge ne fa un richiamo specifico: “lo Scout sorride e canta anche nelle difficoltà”. Ci avete mai pensato? Perché la richiesta di un impegno su questo specifico aspetto? Perché questo “stile di vita” può contribuire a dare fiducia a quelli che dubitano, a quelli che si scoraggiano, a quelli che esitano nel momento della scelta, a quelli che pensano che il gioco non valga la candela… Il nostro “cantare” può diventare Suo prezioso strumento per indicare, a chi ci sta intorno, una modalità per affrontare la Strada in salita che si presenta davanti. Sorridere e cantare anche nelle difficoltà significa vivere l’esperienza della difficoltà e della fatica dando senso e speranza anche a esperienze buie della vita, senza farsi dominare da esse, riconoscendo a Lui un progetto “superiore” alle nostre vicende. Se l’uomo è più grande delle realtà che lo circonda, esso è chiamato, per vocazione, a affrontare la Strada con coraggio e perseveranza nella convinzione che solo “la Strada” in salita è capace di regalarci una qualche autentica soddisfazione. Saper cantare con il cuore, dal cuore, è un modo di realizzare le nostre piccole/grandi vicende, inserendole in un quadro più ampio, sapendo che niente è definitivo nell’esistenza, ma tutto è orientato a conquiste nuove che ci aiutano a guardare con gratuità quello che ci circonda. Con la sapienza di chi sa che ogni cosa è importante e vi è, per l’uomo, la possibilità di realizzarsi al di là delle singole difficoltà. Con la speranza e la certezza che Dio è il vincitore in ogni avvenimento della vita, leggendo negli avvenimenti una presenza, una presenza di qualcuno più grande. San Paolo canterà questa vittoria che sente già nel suo


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cuore: “Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di Colui che ci ha amato”. Saper cantare dal cuore dice allora qualcosa di più profondo della vita umana e cioè che la vita ha un senso e questo senso non è il caos, il fallimento, la difficoltà, il dolore, ma la realizzazione. La speranza è il cammino dell’uomo alla luce di un progetto del sapersi seguiti da un Dio, il Padre, da un intercessore, il Figlio, e dall’amore creativo del nostro futuro, lo Spirito. Sperare è dunque confidare, senza rassegnarsi mai, è il rimanere creativi, giovani e ottimisti. Questo è il senso del nostro saper cantare sulla Strada; non ragazzi e ragazze

disimpegnati, dunque, ma educati all’impegno vero, decisi a rifiutare ogni chiusura che limita l’orizzonte umano, prendendo sul serio gli impegni della nostra storia. Cantare con il cuore significa ringraziare in modo ammirato il dono di Dio e l’opera delle sue mani, svelando al fratello che anche la sofferenza diventa un mistero di crescita che scandalizza l’uomo, ma rivela al credente l’imprevedibilità dell’intervento di Dio che entra misteriosamente nella nostra storia. Cantiamo dunque, cantiamo con il cuore; cantiamo per noi e per chi ci sta. Buona Strada. GIORGIO e TULLIA

by Tullia e Giorgio Carnet di Marcia B•2009

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treppiedi una proposta Strada

Servizio

Non spegniamo le nostre torce

Comunità

PIETRO ANTONUCCI

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l momento della scrittura di questo piccolo contributo, sono passati pochi giorni dal terremoto dell’Aquila e febbrili e concitati sono stati questi giorni. Tutte le pagine dei giornali e le ore di trasmissione televisive danno giustamente spazio alle notizie ed alla cronaca delle terre terremotate, facendoci partecipi di una sofferenza grande e, al tempo stesso, lasciandoci attoniti di fronte a tanta catastrofe. La televisione ha questa forza: quella di proiettare nelle nostre case altre case, altre vite, altre persone, a volte anche esagerando, a volte anche senza alcun rispetto per le persone coinvolte, che finiscono strumentalizzate sull’altare dell’orrido spettacolo. Non so voi ma ho assistito veramente a forme di giornalismo a dir poco inopportune. Quando della tragedia di una persona si fa spettacolo, credo si arrivi ad una

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logica comunicativa vergognosa. Purtroppo molti specialisti ritengono tutto questo parte del normale approccio comunicativo dei nostri tempi, che risulta essere una risposta a ciò che la gente più chiede, ciò che la gente preferisce; quindi, nel pieno rispetto delle regole di marketing, la televisione ci dà quello che vogliamo vedere… Mi rifiuto di pensarla in questo modo e non voglio neanche disperdere la nostra attenzione su come i media decidano di coinvolgere la gente su tragedie di questa entità, la sola cosa che ci deve stare a cuore in questo momento è cercare di fare del nostro meglio per aiutare. In questi giorni sono molte le adesioni che la nostra segreteria ha registrato da parte di RYS, Capi, Rover e Scolte: questo ci dà una grande speranza per il possibile sostegno che la nostra Associazione può dare a quella terra, a quelle persone così intimamente


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devastate. Tutto questo succede oggi, a 7 gg. dal sisma, appena usciti dalla settimana Santa. Quando questo numero di CDM arriverà nelle vostre case, probabilmente i riflettori sull’Aquila si saranno spenti progressivamente perché la gente non regge, vuole vedere altro, insegnano i massmediologi. Ricordo di aver vissuto per due volte queste situazioni: la prima da Rover in Irpinia, la seconda in Umbria da Capo. In tutte e due le occasioni la nostra/mia partecipazione fu lontana dai giorni del sisma e la cosa che si leggeva negli occhi della gente, quando ci vedeva arrivare con una tenda da montare vicino i ruderi della casa, era la sorpresa, la gioia di non essere stati abbandonati come oramai pensavano. Il nostro aiuto servirà proprio ora che leggete e ancora per molto tempo; Cerchiamo quindi di non spegnere la nostra attenzione, il nostro volere essere di

aiuto, il nostro spirito di servizio. So benissimo che non sarà facile essere tutti lì fisicamente, ma possiamo e dobbiamo fare molto, anche a casa, anche nelle nostre sedi… possiamo raccogliere per LORO, possiamo lavorare per LORO, possiamo pregare per LORO. Facciamolo insieme, cercheremo, anche a livello associativo, di dare un coordinamento, anche grazie ai fratelli Scout del luogo. Vi prego di continuare a mandare le vostre disponibilità, e soprattutto di non abbassare la nostra sensibilità nei confronti di questo dramma, se i riflettori si saranno spenti, terremo accese noi le nostre piccole torce, cercando di portare nel nostro piccolo e per il nostro piccolo il nostro aiuto. Sarà anche il giusto modo per dare torto a quanti avranno voluto spegnere… È IMPORTANTE ! Buona Strada.

treppiedi una proposta Carnet di Marcia B•2009

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treppiedi una proposta

Abruzzo: essere pronti ed essere preparati MICHELA BERTONI

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ai come in questi giorni le persone che hanno prestato servizio in Abruzzo hanno compreso appieno il significato di queste due espressioni. “Essere pronti” ha significato non solo partire dalle proprie case rinunciando a ferie, lezioni universitarie, tempo da passare con la propria famiglia. “Essere pronti” ha significato mettersi a disposizione in maniera piena, “ubbidendo prontamente” a richieste di servizio diverse da quelle che magari ci si aspettava in partenza (servendo in cambusa presso il campo base piuttosto che nelle tendopoli, o facendo animazione con i bambini piuttosto che prestare le proprie braccia a lavori pesanti, ad

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esempio). Sono consapevole che molti di voi sono pronti a rinunciare al campo mobile o alla Route, magari già progettati e per cui avete già fatto autofinanziamento negli scorsi mesi, e questo vi fa certamente onore. Il Servizio è vivere la Carità ed essa non è rinunciare al superfluo, ma donare qualche cosa a cui si tiene. Mi sono chiesta se la stessa disponibilità l’avremmo avuta di fronte alla richiesta di servizio ad altre comunità, realtà magari più vicine a noi che quotidianamente, e non solo in occasione di una tragedia come questa, operano al servizio dei più fragili. Cerchiamo insomma di fare del nostro meglio in Abruzzo ma anche lontano da lì, con lo stesso sorriso e


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quali sono i nostri spazi e quali i loro e il compito affidatoci è anche quello di non soffocarli con il nostro slancio. “Essere preparati” significa anche sostenere uno sforzo fisico, dormire poche ore cercando di non cancellare dal nostro viso un dolce sorriso e il buon umore. “Essere preparati” ha avuto un significato particolare per me, è stato affrontare una paura (quella del terremoto in sé che avevo vissuto nel mio Friuli) e far sì che questa non si trasformasse in un limite. Non sono cose che si improvvisano! A tutto si arriva, ma progressivamente, proprio per diventare buoni cittadini, attraverso quella Strada che i vostri Capi Clan e Capo Fuoco vi propongono senza sosta.

treppiedi una proposta

la stessa energia. E se non sarete chiamati ad andare lì, Dio metterà sulla vostra Strada la possibilità di servire in altri luoghi ed in altri tempi, e comunque non mancate di pregare per tutti coloro che già lo fanno. C’è poi l’essere preparati, e questo non è un dettaglio. La “scuola” che ci forma a questo è il percorso da Rover e da Scolta. “Essere preparati” significa essere in grado di fare qualcosa di utile, avvicinarsi nel modo giusto alle persone, bambini, adulti o anziani. Fa parte di noi , è naturale che le nostre attività siano sempre ben organizzate, calibrate nei tempi, ordinate e ci può sembrare strano quando ci viene chiesto di stare accanto alle persone in modo “normale”, solo e semplicemente umano perché è della normalità che essi avevano ed hanno bisogno. Difficile a volte comprendere

Buona Strada. Carnet di Marcia B•2009

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Vita da Rover, Vita da Scolta

Io lo so che non sono solo anche quando sono solo

È

il 19 aprile quando “sbarchiamo” in quel di Villa Sant’Angelo convinti di rimboccarci subito le maniche e di renderci operativi. Qualcuno di noi, partito con la convinzione che avrebbe scavato tra le macerie, così come aveva visto fare alla televisione, si era portato anche i guanti, qualcuno era convinto che il suo compito sarebbe stato quello di distribuire i viveri alla popolazione, qualcuno invece era partito per appagare la propria curiosità e vedere con i propri occhi cosa era successo, qualcun altro per fare le foto, qualcuno perché… c’era anche l’amico, qualcuno invece perché l’amico era da tanto che non lo vedeva e si erano dati appuntamento lì, qualcuno perché... non lo sapeva ancora, certo è che ognuno di noi era partito con motivazioni diverse. Questa esperienza era, da parte di ognuno di noi, cercata e voluta, ma, come spesso accade, “gli uomini fanno i progetti e il Signore li cambia”, li trasforma in qualche cosa di più grande, ed è così che di lì a poco ci troviamo, tutti noi con l’adrenalina a mille, ad assistere pazientemente e con una calma quasi irreale bambini, giovani ed anziani che vivono ormai da più di una settimana all’interno della tendopoli, tendopoli che ha tolto loro il senso della famiglia e della quotidianità, dal momento che si è dovuto riunire più persone all’interno di una stessa tenda per ovvi motivi. Il tempo meteo non aiuta, in questa settimana il sole non è stato presente se non per periodi talmente brevi che le mamme non riescono a far asciugare neppure i vestitini dei bambini e così giocano e vivono sempre con gli stessi vestiti resi sporchi dal passare dei giorni. Tra le tende sono state scavate delle canalette per far defluire l’acqua che, copiosa, rischia di allagare il Campo. Nonostante tutto, qui nella tendopoli la popolazione Abruzzese non demorde e manifesta a noi, che li stiamo ad ascoltare, la volontà di riprendersi, di ricominciare da quel poco che gli è rimasto per ritornare alla normalità, concetto questo che ad oggi ha un significato diverso rispetto a quello 10

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comunemente usato. C’è tra noi chi normalmente fa fatica, un po per timidezza un po’ per carattere a salutare il suo vicino di casa, non per cattiveria, ma perché “non è portato”, mentre qui si trova senza nessuna fatica o forzatura ad ascoltare, anche per ore, un anziana che fino a qualche minuto prima non era per lui che un estranea, ed ora invece così familiare. I bambini giocano, e di giochi non ne mancano, la generosità degli italiani si è manifestata in modo pieno, all’interno dei Campi ci sono intere tende sature di giochi, di tutti i tipi,


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dai giochi di società alle bambole alla Play Station, ma appare evidente fin dai primi momenti che quello di cui i bambini hanno bisogno è il contatto umano, sono curiosi quanto noi di conoscerci e di poterci “addomesticare” (Vedi il Piccolo Principe nel suo rapporto con la volpe), non è certo questo un servizio che si può improvvisare e tanto meno un servizio che si possa svolgere in un fine settimana, ognuno di noi è diverso dall’altro e ci vuole del tempo per farsi addomesticare, questo i bambini lo sanno ed è per questo che non perdono tempo in frasi di circostanza, manifestandosi pienamente nella loro semplicità. È già il 26, ed è ora di partire, ognuno per le proprie abitazioni e la propria quotidianità, il dispiacere di dover andare e lasciare questi luoghi è grande, ma in questi pochi ultimi momenti che ci separano dal nostro partire riamane in noi una preoccupazione che

dobbiamo assolutamente placare; raccomandare a chi prende il nostro posto, nelle varie tendopoli, le situazioni cha abbiamo avuto modo di conoscere; Paolino tende ad isolarsi e a non giocare con gli altri, questo perché ha solo 5 anni e i più grandi lo snobbano, Jasmin 12 anni non parla volentieri della sua famiglia, perché è extracomunitaria, marocchina, e la gente fa fatica ad accettarla, di Carlo 8 anni dicono abbia in questi giorni preso i pidocchi, e probabilmente è vero, ma la mamma non vuole ammetterlo, Roberto 9 anni è sempre sporco, non perché i vestitini non si asciugano per via della pioggia, ma perché quelli che ha indosso sono gli unici che gli sono rimasti…. Ecco, questo è il nostro servizio, e la spilla che abbiamo cucita vicino al cuore assume un nuovo significato.

Aldo De Menech

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Abruzzese Forte e Gentile Montesilvano, 16-19.04.2009

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Vita da Rover, Vita da Scolta

on si tratta di un semplice modo di dire e in quattro giorni ho avuto modo di capire quanto “forte e gentile” non sia solamente uno stereotipo appiccicato al popolo abruzzese. Vi racconto una storia di dignità, di fierezza e di grande solidarietà. 06/04/2009 ore 3.32 un terremoto di magnitudo 5.8 scuote L’Aquila. Davanti la Tv ho visto i VV.FF. e i volontari scavare tra le macerie, ho visto salire inesorabilmente il

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numero delle vittime e ho provato un enorme senso di pietà nei confronti di chi in un solo minuto ha perso tutto quello che ha costruito in una vita, o ancor peggio ha perso un familiare, un amico sotto le macerie. Poi tutto è cambiato, perchè quando gli Aquilani smettono di essere solamente un popolo, ma assumono il volto ed il nome delle persone che per quattro giorni hai conosciuto, hai aiutato e con cui hai passato del tempo, il punto di vista cambia notevolmente. Che cosa abbiamo fatto a Montesilvano per quattro giorni? Quasi niente,


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dignità con cui queste persone tentano di ricostruire la loro vita, ho visto gli abitanti di Montesilvano, gli Scout, le parrocchie, la caritas e i gruppi famiglie impiegare tutte le loro forze nel tentativo di alleviare le sofferenze di questa povera gente. È con tristezza che domenica sera sono tornato a casa, nella mia casa per nulla scalfita, dalla mia famiglia e dai miei amici. La quotidianità presto assorbirà la mia tristezza, ma non potrò facilmente dimenticare la grande riconoscenza che ho letto negli occhi di ogni persona che ho incontrato e con cui ho passato qualche minuto. Sono grato ad ognuno di loro per quel che han fatto per me. Voglio soprattutto ringraziare Chiara, non solo per la stupenda accoglienza che ci ha riservato, ma soprattutto per il magnifico esempio di persona che è in grado di annullare le proprie esigenze, che sceglie di sacrificare tempo, denaro e lavoro per aiutare nel momento del bisogno e che arriva a svuotare la propria casa per soddisfare questa o quell’altra necessità altrui.

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spostato qualche pacco, giocato con qualche bambino, quattro chiacchiere con le persone nella lussuosa hall del grandhotel Montesilvano. Il nostro ruolo non era quello di salvare la vita a qualcuno, ma cercavamo di stare il più vicino possibile alle persone che ne avevano bisogno. Ascoltavamo i racconti di chi aveva voglia di parlare, giocavamo coi bambini che sapevano di trovarci sempre nella stanzetta dei giochi, aiutavamo le persone a trovare qualche capo di vestiario, un pezzo di sapone o una carrozzina. Ho incrociato la strada di molte vite, ognuna delle quali mi ha trasferito una piccola parte della sua sofferenza: ho parlato con Giuseppina (90 anni) che mi ha raccontato in lacrime di quei momenti di panico, condividendo con me le preoccupazioni per il futuro; ho giocato con Claudia (3 anni) che, con una triste dolcezza mi ha chiesto di disegnarle una casa raccontandomi che la sua “si è rotta”, ho visto i suoi genitori sforzarsi di non mostrarle le loro preoccupazioni; ho aiutato Anna, Linda, Teresa a trovare un po’ di sapone per lavarsi l’unico cambio con cui sono uscite di casa; ho giocato con Robert (8 anni e mezzo) che ogni mattina ci aspettava nella stanzetta dei giochi da un’ora prima del nostro arrivo. Ho visto un cartello scritto dalla direzione del Grandhotel che chiedeva ai terremotati di avvisare ogni volta che qualcuno non sarebbe stato presente ad un pasto. In questo cartello la parola ‘terremotati’ era cancellata e a penna era stato scritto sopra ‘aquilani’. Sopra ogni altra cosa ho visto la grande forza e la

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Notizie dalla Base Scout FSE di Villa S. Angelo

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ostruzioni in pietra abbattute, edifici lesionati, tetti crollati, apparentemente sono state queste le prime immagini che ci si presentavano arrivando in auto da Pescara; l’incontro con giornalisti ovunque a scattare foto nella città, le persone in fila per prendere la colazione alle 7:00 del mattino ed il via vai di volontari presso la tendopoli in Piazza D’Armi. A dire il vero, queste prime immagini non mi sono sembrate diverse da quelle che da due giorni si vedevano in Tv per raccontarci del terremoto a L’Aquila, ma non era tutto, ed ecco il primo incontro con un capo della nostra associazione che, con le lacrime agli occhi, ci raccontava la sua esperienza, dei familiari portati a Pescara, della morte di due amici del

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figlio, delle salme presso la camera mortuaria allestita a pochi passi presso la Scuola della Guardia di Finanza e l’invito a portare il nostro aiuto alla popolazione che nei paesi attorno aveva perso tutto e dormiva in macchina con pochi vestiti e senza coperte; un secondo incontro con alcuni abitanti di un paese vicino con i volti terrorizzati e la richiesta di poche cose, il saluto Scout di un esploratore che nel riconoscerci dalle nostre uniformi si avvicina per chiederci con preoccupazione se sapevamo quali erano le condizioni degli Scout aquilani e non riusciva a contattare il proprio capo riparto ed alcuni Scout del proprio gruppo; l’incontro con un anziana donna che, dopo i primi rifiuti, ha accettato di dormire in maniera


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più dignitosa, nelle tende montate da noi, abbandonando il proprio orgoglio; eccoli evidenti i veri danni provocati dal terremoto: collettiva paura e rassegnazione di chi ha perso quasi tutto. A metà pomeriggio le prime tende erano montate, i bagni posizionati e già numerose persone erano attive nell’aiutarci durante la preparazione della cena: per molti degli sfollati infatti era il primo pasto caldo dopo tre giorni. Dopo pochi giorni eravamo presso la base Scout FSE nei pressi del paese di Villa Sant’ Angelo a pochi km dall’epicentro del terremoto, insieme ad altri 60 Capi, Rover e Scolte della nostra Associazione. Ogni mattina, dopo esserci “nutriti dell’ amore del Signore”, come amava ripetere Don Sergio, con la Santa Messa, iniziava il nostro semplice lavoro presso i campi gestiti dalla Protezione Civile (Villa Sant’Angelo, San Demetrio, Fossa, Sant’Eusanio), che se nei primi giorni consisteva essenzialmente nel montare tende,

distribuire pasti, lavare pentole, caricare e scaricare viveri e vestiti, nei giorni seguenti sempre più abbiamo organizzato ed animato i momenti di svago dei bambini, passato il tempo con gli anziani ascoltando i tanti racconti, dialogando e giocando, cercato di coinvolgere gli adolescenti ed abitanti del posto, offrendo loro caffè caldo ed ogni altra cosa avessimo ad ogni ora del giorno, dialogando con loro, giocando anche a rugby ed organizzando momenti di festa. Ogni sera infine, ci ritrovavamo tutti al campo per stare assieme, conoscerci e rallegrare con canti e ban sia noi Scout che buona parte dei bambini, adolescenti e adulti coinvolti. Di una cosa sono certo, il nostro servizio ha regalato e continuerà a regalare, finché il Signore vorrà, un pizzico di felicità e speranza a tanti, soprattutto a noi stessi. Buona strada!

Davide RYS

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Preghiera

Qualche pensiero sul canto

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bello pensare alle nostre comunità di Fuoco o di Clan come ad un coro a più voci dove il suono risulta più maestoso e rotondo solo a patto che ognuno si ascolti e si rispetti, permettendo ad ogni singola voce di affiorare con la giusta intensità. Ti ricordi quando appena entrata/o in riparto guardavi i capi mentre suonavano la chitarra durante le attività e, soprattutto durante i campi estivi e, come riuscivano a “creare atmosfera”? E come riuscivano a “creare gruppo” con la voglia di stare insieme e di divertirsi? Probabilmente da lì ti è venuta la voglia di imparare a suonare la chitarra o di imparare dei canti nuovi. Hai scoperto nel canto la gioia di stare con gli altri, la gioia di sentirti parte del creato che “canta” con te la sinfonia del mondo. E forse il canto ti ha avvicinato anche a Dio cantando le sue lodi. Rileggendo le Sacre Scritture, puoi notare come spesso siano attraversate dalla voce di Dio che comunica con l’uomo. Il Vangelo di Giovanni inizia così: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”. Il Verbo per manifestarsi ha usato il suono della voce, solo in seguito è divenuta scrittura. Cercando e leggendo si scopre che il popolo cristiano è sempre stato indubbiamente “un popolo che canta”e che, anche Carnet di Marcia B•2009

in questo modo, vuole esprimere la sua fede e la sua preghiera mettendo in pratica ciò che trova nella Bibbia: “La Parola di Cristo abiti in voi abbondantemente; istruitevi ed esortatevi gli uni gli altri con ogni sapienza; cantate di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali” (Colossesi 3,16). E ti accorgi allora che anche “la scelta” dei canti che utilizziamo per le nostre attività, per la Messa, per il Bivacco, per introdurre un argomento, non è mai casuale. Proprio come le parole che si vogliono dire, il canto, potendo essere assimilato ad un linguaggio, vuole trasmettere dei messaggi dando però più incisività alle parole. Questa grandiosa caratteristica deriva dal fatto che è un linguaggio che parla a tutte e tre le sfere umane: corpo, anima e spirito. Le parole sinfonia e armonia sono generalmente legate alla musica, ma anche quando un gruppo di persone sta bene insieme si dice che “c’è armonia”. Tu ti dai da fare perché possa affiorare l’armonia nei posti dove sei presente: in famiglia, a scuola, con gli amici, dagli Scout? Sei capace di rendere i tuoi gesti e soprattutto le tue parole portatrici di armonia? E per concludere questa piccola riflessione sul canto ti lascio una preghiera di Sant’Agostino che ben si addice alle nostre comunità di Fuoco e di Clan, forse sarà

Canta con la voce e con il cuore, con la bocca e con la vita, canta senza stonature, la verità del cuore. Canta come cantano i viandanti: non per cullare l’inerzia, ma per sostenere lo sforzo. Canta e cammina! Se cammini, avanza nel bene, avanza nella fede retta, avanza nella vita pura. Canta senza smarrirti, senza indietreggiare, senza fermarti. Canta e cammina!

Sant’Agostino un’occasione per iniziare la prossima riunione o la prossima uscita con essa e concluderla con un bel canto (magari a più voci) in armonia!

Elena Pillepich


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Lettera di Don Gaetano, Parroco di Fossa, tratta da Facebook nella bacheca del gruppo “Campo Base FSE Villa Sant’Angelo” Carissimi, nell’andare se ne vanno nel pianto, portando la sementa da gettare. Ma nel tornare vengono con giubilo, portando i loro covoni. Con voi, carissimi ragazzi, siamo stati incoraggiati a non temere il nostro andare nel pianto, portano la sementa che il Signore vuole che noi seminiamo nell’amato paese e Parrocchia di Fossa. Dobbiamo farcela, sappiamo che la responsabilità è grande perchè siamo chiamati a vigilare per non

essere sorpresi nel sonno come è successo con il terremoto. Dobbiamo vigilare per non sbagliare. Ce la faremo, ragazzi. La vostra gioia ed il nostro entusiasmo ci è stato di grande aiuto. Forza ragazzi andate avanti nella fede, speranza e carità. Noi vi diciamo di non avere paura della vostra vita, dei vostri peccati e dei vostri difetti. Il Signore vi ama e vi usa cosi come siete. Davvero siete le sentinelle del nostro mattino che deve ancora venire, ma che abbiamo già

assaporato con la vostra solidarietà. Grazie di cuore ragazzi. Che il Signore possa benedire voi e i vostri genitori che hanno avuto la premura di lasciarvi venire a noi in questo nostro momento tanto difficile, ma carico di carità, fede e speranza. Con affetto fraterno

don Gaetano Parroco di Fossa

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È tornata alla casa del Padre Roberta Giuliani

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Vita da Rover, Vita da Scolta

abato 29 novembre 2008 tutti ci siamo svegliati un po’ più poveri. È tornata alla casa del Padre Roberta Giuliani. Roby è una Capo del Gruppo B.P. Jesi 1, è stata Guida, Scolta e ha prestato servizio in Riparto come capo e come Incaricata regionale e poi in Fuoco. Lo Scoutismo è stato per lei un valore essenziale. Tutta la bellezza, la purezza, l’entusiasmo, la vitalità che caratterizzano Guidismo e Scoltismo sono stati suoi punti cardinali. Per tre anni ha combattuto con forza, saggezza e speranza contro il male dei nostri tempi, poi il Signore ha deciso di chiamarla a sé. Lascia un immenso vuoto tra noi capi, ma

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soprattutto nella sua famiglia, nel piccolo Matteo, nel marito Gabriele, e in tutti suoi cari. L’abbiamo ricordata in una veglia fatta non “pensando a” ma “con” Roberta. Non abbiamo fatto altro che raccogliere dai nostri carnet pezzi di vita, di strada vissuta assieme e ne è uscito un ritratto vero, sentito e concreto della nostra sorella. Bontà, felicità, dono di sé, “estote parati” sono la testimonianza più preziosa che Roberta lascia a tutti noi. Molte sono le capo che vogliono raccontare la “grandezza” di Roberta, ma è stato un pezzetto di una sua lettera ritrovata tra gli appunti il dono di Natale più inaspettato, ma anche il più vero… “Il ‘miglior sogno’ per ogni Capo (sia giovane che adulto) dovrebbe essere quello di vivere la quotidianità fatta di imprevisti e di piccole e grandi gioie (famiglia in primo luogo, lavoro, amici...) con la stessa serenità con cui si sta tutti insieme intorno ad un fuoco da campo e con la stessa tenacia e la stessa grinta con cui da Rover e da Scolta si affrontano le salite più impervie e i sentieri più faticosi… e si raggiunge finalmente la vetta!” Con affetto. Buona Strada Roby!

Cathy Baglioni, Capogruppo Jesi 1

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ai non è facile, è da quando me lo hai chiesto che ci penso continuamente, con tutto il cuore, ma come si fa?! Mi spieghi come posso raccontare di Robi? Come faccio con l’uso delle sole parole a tentare di far capire cosa è stata Robi per tutti noi, che con lei abbiamo condiviso un bel pezzetto di Strada? Cosa mi resta di lei? Tanto, ma qui mi viene di raccontare del suo “MUUUUUUAAAAAAA”, mitica espressione con cui era solita accogliere le piccole gioie quotidiane, mitica espressione che secondo me rappresenta la sua capacità di stupore e Carnet di Marcia B•2009


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di meraviglia! È già, un cuore limpido, colmo di stupore e di meraviglia di fronte allo splendore della vita. Ora quella vita ci guarda da un’altra dimensione. A noi che abbiamo avuto la fortuna di conoscerti, oltre a tanti bei momenti e ricordi, rimane il piccolo Matteo che ieri mi raccontava che ha appena perso un dentino, ed altri gli “grullano”, vorrebbe nasconderli, per farli trovare alla fatina che gli lasci il bacio della mamma, alla quale portare tanto Amore. Ma tu, da dove ti trovi, aiutaci a prenderci cura di lui.

Carla

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Claudia, Daino Misterioso

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quando nelle varie Route noi Scolte stanche, doloranti per le vesciche, arrabbiate se non c’era l’acqua o abbattute se non si trovava il sentiero, ci rivolgevamo a te magari in modi non sempre

gentili, tu che facevi? Sempre sorridente, con la risposta pronta eri lì a tranquillizzarci, a sostenerci, a portare un po’ del peso del nostro zaino, quando il tuo era già carico di tutto, anche della chitarra che molto gioiosamente suonavi. Eri sempre ironica e pronta a prenderti in giro, ma se dovevi riprendere qualcuna, avevi i modi corretti per ognuna di noi, quella parola, quello sguardo, quel sorriso che tutte aspettavamo. (Ricordo una delle tante attività che abbiamo fatto insieme e che mi è rimasta nel cuore, quel capitolo tratto dal libro “Il Piccolo Principe” che si intitola “Creare legami”. L’episodio riporta il dialogo tra il piccolo principe e una volpe che vuole essere addomesticata in modo da avere un amico speciale in più. La volpe spiega che addomesticare, è una cosa da molto dimenticata, vuol dire creare dei legami. “Se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”. (...) “Se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò il rumore di passi che sarà diverso

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e nostre lunghe chiacchierate, te le ricordi? Appuntamento fisso dopo la riunione di Fuoco. Argomento portante? Sempre e solo io, e ovviamente i miei sfoghi da adolescente (…) Non frequentavamo gli stessi posti nè le stesse persone, ci univa solo l’attività Scout e anche qui in ruoli diversi, eri la mia Capo, prima in Riparto poi in Fuoco. Comprensiva, aperta ed attenta ai nostri problemi, ai miei problemi… mi hai permesso di partecipare ad un’esperienza tanto intensa quanto rara come l’Eurojam. In Fuoco, giovane donna come te, da educatrice sei diventata una spalla AMICA sulla quale mi sono appoggiata e tu hai saputo alleviare le mie “sofferenze” lungo la Strada, quelle del fisico e quelle dell’animo. Mi sono messa a nudo più volte con te e tu in mille modi mi hai sempre consolato… Tu AGIVI… Ricordo le volte in cui, intravedendo una smorfia di paura e dolore sul mio viso, hai fatto marcia indietro per raggiungermi, per non lasciarmi sola e mi hai preso per mano… mettevi in pratica in quei momenti uno dei tanti insegnamenti di BP: quello “di camminare o di fare non da soli, ma insieme” e allo stesso tempo m’insegnavi che dovevo tener duro e affrontare la Strada in salita con un sorriso sulle labbra. Roby, grazie per avermi teso la mano!

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da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica”. (...) “Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato…”. Io credo che tu, Roby, abbia fatto di questo il senso della tua vita). Un abbraccio forte

Roberta, Gabbiamo disponibile

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oby “donna di carattere” ha fatto sua la scelta di servizio come sposa e mamma; e poi come operatrice nella UISP, impegnata nel sociale. Era la sua risposta alla chiamata di Dio nel servizio al prossimo. Sfogliando il materiale delle varie attività preparate insieme, ho ritrovato alcuni suoi pensieri: “La mia gioia più grande è che tu sia felice!”. Ricordo che, quando mi capitò di essere dispiaciuta, delusa e arrabbiata del fatto che alcune guide avevano deciso di lasciare il riparto, lei in tutta tranquillità mi disse: “L’importante è seminare, seminare con amore e senza la pretesa di raccoglierne i frutti; anche se ora lasciano ... sicuramente abbiamo trasmesso loro qualcosa. Sai, nella UISP mi capita spesso di incontrare alcune delle nostre ex Guide. Sono loro a ricordarsi di me, anche dopo diversi anni e sono brave educatrici...”. “Abbi cura di tutte loro ... Buona Strada!” E’ questo il suo pensiero, ancora rivolto alle sue Scolte, quando ha lasciato il Fuoco. “Non puoi scegliere come morire. O quando. Puoi solo decidere come vivere. Ora.” “L’ora di fare il bene ... è subito!” Grazie Roby.

Federica

È

perché si è sempre comportata da sorella maggiore che la considero così. Le sensazioni ed i sentimenti dei tanti momenti condivisi, dei tanti tratti di strada in cui lei era lì per me, sono l’essenza di ciò che sono ora. Ora sono sempre quella ragazza che si sentiva amata da Roby. Ma sono cresciuta, ho 28 anni, sono una donna, ho una famiglia, cerco di vivere appieno ogni singolo giorno perché so che il domani ancora non ci è stato dato, e tu Roby ce lo hai insegnato con la tua vita e con la tua morte; vivo il dolore per la tua perdita e vivo nella Speranza che tu mi hai

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trasmesso. I frutti del tuo lavoro siamo tutte noi, Guide e Scolte cresciute con le tue mani sulla chitarra, con la tua voce mutata in canto, con la tua Fede sincera, con il tuo amore puro. La tua morte, semina ancora qualcosa: nel dolore prendo coscienza della tua perdita, nella Fede vivo tutto lo stupore di sentirti viva. Ci hai donato te stessa, il tuo tempo prezioso, ci hai trasmesso il Suo Amore che continua ad operare in noi. Tutte queste cose la Morte non ce le può togliere. (…) Tra tutte le sue qualità vorrei ricordarne la bontà: una bontà fatta non solo di dolcezza, calma, amorevolezza, umanità, sorrisi, ma soprattutto di ricerca del prossimo da aiutare, di favori inaspettati, di buone azioni che solo chi, come lei, ha una grande Fede, compie senza aspettarsi nulla. Quando penso a lei, mi viene in mente la parabola dei talenti: il Signore ha dato a Roberta moltissimi talenti e lei nella sua vita, seppur troppo breve, li ha saputi far fruttare... tutti.

Claudia

E

ra istruttivo e coinvolgente starti ad ascoltare, ma era molto più eloquente osservare il tuo vivere. Ciao sorella maggiore.

Lorenza

G

razie Roby per aver camminato con noi ed essere stata presente nei momenti più importi della nostra coppia. Quando ci siamo fidanzati sei stata una delle prime persone con cui abbiamo voluto condividere i nostri sentimenti. Trovammo una scusa per venire a casa tua e farti questa sorpresa! Tu rispondesti in ordine con stupore, sorriso, gioia ed infine il tuo caloroso abbraccio. Il giorno del nostro matrimonio hai fatto di tutto per essere presente, ricordiamo che rinviasti di qualche giorno il ciclo di chemioterapia. Per noi la tua presenza è stato un dono di Dio, una benedizione averti avuto al nostro fianco nel giorno della nostra consacrazione. Sei stata vicino a noi anche quando abbiamo realizzato il nostro grande sogno di diventare genitori. Quando è nata la piccola Elena, abbiamo potuto condividere con te le nostre emozioni, il


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tuo sorriso per il lieto evento, anche se in un STORIA DEL “Cper ORPUS DOMINI momento difficile te, è e sarà sempre la” forza per vivere la vita. Vorremmo far crescere la nostra bambina con gli stessi valori con il quale hai aiutato tante ragazze a divenire “madre, sorella, amica, sposa, donna”. La tua mamma il giorno che ci hai lasciato mi ha detto: “Il Signore ha preso il fiore più bello. Così come facciamo noi quando arriviamo in un prato di fiori, raccogliamo per primi i fiori più belli!”. Un abbraccio che non avrà mai fine.

Le note della vita Hai mai provato a pensare A cosa mai vorran dire Queste strane parole: “la vita è un canto che bisogna cantare!” hai mai provato a far musica con quello che sei e le note… le note chi le ha fatte lo sai? Rit: e puoi scoprire che è Dio che ha I diritti d’autore di questa grande Canzone d’amore. è Lui che bisogna ascoltare per poi Poterla cantare. La la la …. Hai mai provato a pensare Che spesso il nostro dolore È dovuto ad un errore Errore di interpretazione. Non puoi stare a guardare la vita Che se ne va, se non ami La vita silenzio sarà. Rit Hai mai provato a quanto più serve sentire Delle belle parole se dette in una canzone No non basta dar tutto Devi dare col cuore se sorridi Sorridi anche dentro di te Rit e hai mai provato a pensare Che puoi essere autore di una nuova Canzone d’amore. La la la …. E puoi scoprire che è Dio che ha i diritti D’Autore della più grande canzone d’amore È Lui che bisogna ascoltare per poi Poterla imparare. La la la…

“Quel sssss del xxxx di xxxx...”

Juri, Viviana, Elena

“L

a vita è un canto che bisogna cantare!” Quanto musica Roby hai creato nella tua vita, nei tuoi gesti, nelle tue parole, una musica che ci ha sempre donato gioia, serenità e amore. Mi piace ricordati con questa canzone che tu ci hai insegnato.

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DOSSIER

Stati vegetativi • seconda parte

Continua il dossier che ha preso avvio nel numero precedente sul complesso problema del rapporto vita-morte nel delicato caso di stato vegetativo.

Vita e morte, tra scienza medica, concezioni di vita, aspetti giuridici. La complessità e la delicatezza della posta in gioco A cura di ENRICO PEZZOLI • Associazione Scienza e Vita, sezione di Bergamo

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a vicenda di Eluana ha aperto moltissimi fronti di discussione, tutti legati uno con l’altro. Per capire la complessità delle questioni vi proponiamo alcuni punti di riflessione e discussione, partendo da 3 filoni: 1. aspetti medici • 2. aspetti antropologici • 3. aspetti giuridici 1. Aspetti medici Il primo approfondimento è necessariamente sul fronte medico: cos’è lo stato vegetativo? Le persone in questa situazione sono malati terminali? Idratazione e alimentazione artificiali sono accanimento terapeutico oppure no? E cos’è l’accanimento terapeutico? È

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importante esplicitare con precisione il significato di questi termini (leggere i chiarimenti nel “botta e risposta”): avendo padronanza di linguaggio possiamo comunicare tra di noi, discutere anche con chi la pensa in modo differente, confrontarci. Se invece non conosciamo i termini aggiungiamo confusione a confusione. Vedete già da queste poche righe come pochi di noi sanno con certezza come rispondere… Capite quindi quanto imprudenti e meschini siano certi sondaggi, dove in modo banale ci viene chiesto di esprimere pareri su cose così delicate… ATTENTI!


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Stati vegetativi

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DOSSIER

2. Concezione della vita: questione antropologica Con “antropologia” si intende la scienza che studia l’uomo dal punto di vista sociale, culturale, fisico e i suoi comportamenti nella società. È una parola composita che viene dal greco ànthropos (=“uomo”) e lògos (nel senso di “studio“). Da questo approccio emerge il significato che si attribuisce alla vita, alla sua origine e al suo destino, e la vicenda dei malati in stato vegetativo ci obbliga a porci queste domande. In questi mesi abbiamo di certo sentito affermazioni come quella che segue: “Che vita è mai questa, senza capire e senza comunicare…? Non si ha più dignità…”. Vedete che siamo arrivati in modo diretto proprio al concetto di “qualità della vita” e della dignità del malato, due termini che vengono spesso confusi tra loro. Una cosa è la qualità della vita, che è chiaramente maggiore in una persona nel pieno delle sue forze, che comunica in modo libero, cammina, ride, corre… Un’altra cosa è la dignità: in filosofia, con il termine dignità umana si usa riferirsi al valore intrinseco e inestimabile di ogni essere umano: tutti gli uomini, senza distinzioni di età, stato di salute, sesso, razza, religione, nazionalità, ecc. meritano un rispetto incondizionato, sul quale nessuna “ragion di Stato”, nessun “interesse superiore” della “Scienza”, la “Razza”, o la “Società”, può imporsi. Ogni uomo è un fine in se stesso, possiede un valore non relativo (com’è, per esempio, un prezzo), ma intrinseco. Da questa definizione capiamo che il termine dignità è usato in modo distorto: è palese che una

persona in stato vegetativo viva una grande sofferenza, ma non perde la sua dignità come essere umano. Ciò che viene decisamente abbassata è la sua qualità di vita. Ecco quindi il fronte più delicato, quello appunto di come concepiamo la vita: • riconosco nei malati come Eluana la profonda dignità di un essere umano, indipendentemente dallo stato in cui vivono? (e quindi me ne faccio carico…) • oppure considero il suo stato di vita non più degno? Ma esistono forse vite più o meno degne di essere vissute? Se guardiamo all’uomo non più nella sua interezza, ma misurando la sua dignità dalla qualità della sua vita, finiamo nel tunnel di una visione detta “riduzionista” (riduttiva, che non considera l’uomo nella sua totale complessità). In questo modo corriamo il rischio di fare gravi errori. Per esempio la filosofia nazionalsocialista aveva la visione riduttiva dell’uomo legata alla sua razza… sappiamo cosa successe. Allo stesso modo, il comunismo guardava all’uomo per la classe sociale alla quale apparteneva, con le conseguenze che conosciamo. In questo caso, definendo la dignità di una persona in base alla qualità della sua vita, arriviamo in ultima analisi a dire che un malato in stato vegetativo non ha più la sua dignità, che la sua vita non ha più valore e che farlo morire è un atto buono. E avanti di questo passo affermiamo che in fondo la disabilità porta sofferenza, e allora è meglio “sopprimerla”… E poi il malato di alzhaimer, il drogato non più recuperabile, i feti malformati… Questi aspetti sono il cuore della questione.

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DOSSIER

Stati vegetativi • seconda parte

3. Questione giuridica Facciamo un altro passo avanti: da un modo di approcciarci alla vita – secondo una precisa visione antropologica – arriviamo a definire le regole del vivere comune, ed eccoci quindi al terzo aspetto su cui riflettiamo: le normative e le leggi. • un sano sistema giuridico è ordinato alla difesa del più debole o all’eliminazione di ciò che diventa ostacolo all’affermazione del più forte? • la sofferenza legata a malattie “incurabili” viene presa in carico (con la fraterna solidarietà e, dal punto di vista medico, con tutto ciò che può migliorare la qualità della vita, se non altro le cure palliative) • oppure, non essendoci più ragionevole possibilità di recupero di una vita “normale”, eliminiamo certe “debolezze scomode”? • Fino a che punto è valido il concetto di autodeterminazione? Fino a che punto posso decidere di me stesso – e degli altri – ? • Con quale documento decido di me stesso? Forse su una dichiarazione fatta anni fa (“dichiarazioni anticipate di trattamento” meglio conosciute col termine improprio di “testamento biologico”)? Ma una persona è in continuo cambiamento e il mio parere di oggi può essere diverso da quello di domani, venendomi a trovare in altre condizioni di vita… • E poi comunque, fin dove posso essere arbitro di me stesso? Costruisco un modello di società individualista oppure solidale? Una società dove “io” sono al centro, oppure dove “io” trovo me stesso nella relazione con l’altro, nella responsabilità reciproca, in un atteggiamento di “prossimità”? Posso decidere di me stesso prescindendo dai miei legami (padre, madre,

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marito, moglie, ecc.) e dalle mie responsabilità? Due gli articoli della Costituzione Italiana che sono di riferimento: Articolo n. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Articolo n. 32: “La Repubblica Italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Altri riferimenti importanti li troviamo nel Codice di Deontologia Medica, appena rinnovato nel dicembre 2006: Articolo 16: accanimento diagnostico-terapeutico – Il medico, anche tenendo conto delle volontà del paziente laddove espresse, deve astenersi dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondamentalmente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita. Articolo 17: eutanasia – Il medico, anche su richiesta del malato, non deve effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocarne la morte.


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Stati vegetativi

approfondire, infine, sempre dal punto di vista giuridico, l’Atto di Indirizzo del Ministro Sacconi su stati vegetativi, nutrizione e idratazione; tale atto richiama quanto espresso dal Comitato Nazionale di Bioetica (organismo istituzionale dello stato italiano da non confondere con la consulta di bioetica) nella seduta plenaria del 30 settembre 2005, nonché la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, sottoscritta dall’Italia. In questi documenti si riconoscono l’alimentazione e l’idratazione – anche artificiali – come trattamenti ordinari per il sostentamento e l’accudimento di base, e quindi non considerabili come accanimento terapeutico. Per questo tale trattamento non può essere sospeso, se non nel caso in cui si verifichi l’incapacità di assimilazione dell’organismo o uno stato di intolleranza. L’Atto di Indirizzo può essere scaricato, insieme ad altri approfondimenti, dal sito del Ministero della Salute www.ministerosalute.it.

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Per certi aspetti quindi possiamo affermare che non ci sia un vuoto legislativo riguardo a queste questioni: un giusto equilibrio nell’applicazione di questi articoli dovrebbe garantire ad ogni persona di non divenire né oggetto di accanimento terapeutico, né condotta all’eutanasia. La vicenda di Eluana, però, per i noti atti della magistratura, ha fatto emergere l’urgenza di esplicitare certe “regole” attraverso una legge ad “hoc” per evitare pericolose derive. In Parlamento sono depositati alcuni progetti di legge: più di 10. La maggior parte di essi – purtroppo – contiene norme che in modo esplicito avviano verso una prospettiva eutanasica, con l’introduzione del cosiddetto Testamento Biologico in modo più o meno articolato. Altri invece sono progetti di leggi definite in modo più appropriato “di fine vita”, escludendo i termini “dichiarazioni anticipate” o “testamento biologico”, comunemente percepiti come sinonimo di “testamento di morte”. In questi testi si vogliono creare i presupposti che impediscano da un lato l’accanimento terapeutico e dall’altro l’eutanasia. È opportuno

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cadendo da cavallo... infuocando il mondo

Nella potenza del risorto DON FABIO GOLLINUCCI

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anno dedicato alla celebrazione millenaria dell’apostolo Paolo ci dà l’opportunità, attraverso le sue lettere, di entrare maggiormente in contatto con i cristiani della prima ora. Questo mi sembra proprio quello di cui abbiamo bisogno oggi: un

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percorso di ritorno all’essenziale della fede. Recuperare lo Spirito della Chiesa degli Atti degli Apostoli è uno degli antidoti alla deriva moralista e legalista che influenza anche noi cosiddetti “praticanti” e che non raramente ci rende tristi e troppo poco testimoni credibili


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Maria, Vergine del mattino Non permettere che il lamento prevalga sullo stupore, che lo sconforto sovrasti l’operosità, che lo scetticismo schiacci l’entusiasmo. Donaci la gioia di intuire, pur tra le tante foschie dell’aurora, le speranze del giorno nuovo. E infondici la sicurezza di chi già vede l’oriente incendiarsi ai primi raggi del sole. (+ Tonino Bello) scegliere Cristo sopra e prima di tutto il resto? Morire a se stessi e alla propria via di salvezza per fare spazio a Cristo: questo è l’ordine giusto per cambiare veramente e per liberare tutta la potenza d’amore che si sprigiona dalla croce di Gesù. Solo da questa conversione personale nasce la capacità di raccontare il proprio incontro con Cristo, come un atto “di cuore” veramente spirituale che a questo punto può avvenire davvero all’interno di qualsiasi cultura e lingua. In San Paolo e nella sua opera missionaria è possibile riconoscere che il centro del suo mondo spirituale è sempre la certezza che “il vangelo è potenza di Dio” (Rm 1,16): l’evento della morte e risurrezione di Cristo è percepibile non solo nel contenuto annunciato ma anche nella vita stessa di chi lo annuncia: questo conferma nell’ascoltatore che l’opera di Dio non è solo un’ipotesi possibile ma una realtà già in atto. Noi cristiani non abbiamo da convincere nessuno; tanto meno abbiamo da vendere qualcosa! È solamente l’abbondanza di vita e la bellezza d’amore riversati in noi che premono dal di dentro per poter uscire con la stessa forza comunicativa con cui sono entrati. Mi vengono in mente quelle situazioni di Strada, quando percepisco che la condivisione profonda di un momento o l’occasione di un incontro o la gioia di un servizio non possono esaurirsi nel semplice “effetto immediato”, ma rimandano ad un di più che spesso non riesco a esplicitare a me stesso e nemmeno a condividere con l’altro. E allora realizzo che le cose di Dio sono solamente di Dio e solo nella potenza del suo Spirito nascono e crescono in me, figlio e poi si diffondono come dono ai fratelli. Dalla potenza del Signore risorto, risorge anche la mia vita in modo nuovo e imprevisto. Ed ecco che mi ritrovo missionario…

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cadendo da cavallo... infuocando il mondo

della gioia del Signore Risorto. Infatti, non sono pochi (anche per questa ragione) che hanno pensato bene di andarsene! Certo non possiamo e non dobbiamo idealizzare quelle prime comunità che fin dall’inizio (ce lo racconta lo stesso Paolo) affrontarono difficoltà non di poco conto per vivere la novità evangelica. Possiamo invece conoscere attraverso la loro esperienza quali siano state le dinamiche di vita e di trasmissione della fede al tempo in cui i discepoli erano ancora molto vicini all’esperienza diretta di Gesù. Scrivendo ai fratelli di Corinto, Paolo mette subito in evidenza che per essere cristiani è necessaria una scelta radicale: “Mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1Cor 1,21-22). Ma quanti si rendono conto che diventare cristiani significa porre in secondo piano le proprie idee e la propria cultura per

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sale in zucca

Cercando la colonna sonora MONICA D’ATTI

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se alla fine tutto il nostro ascoltare, e cercare canzoni sempre nuove, poi tornare su quelle che conosciamo da sempre e poi provare a sentire le ultime uscite non sia in fondo altro che il desiderio, più o meno conscio, di cercare la nota definitiva, il canto perfetto o cercare di formare la colonna sonora portante della nostra vita? Le canzoni ci fanno compagnia, colorano la nostra giornata. Si ascolta musica lavorando, studiando, andando in auto o nella tranquillità di un momento che ci regaliamo. Ci sono canzoni che raccontano al cuore, ci parlano per dirci ciò che proprio in quel momento avevamo bisogno di sentire; si collegano a un momento importante, a un giorno di festa, a una vacanza, a un’amicizia o un amore. C’è un canto che forse mai dimenticheremo perché è il primo che abbiamo sentito entrando nel gruppo Scout (voi vi ricordate quale è stato? Io sì) o ha accompagnato uno dei campi più belli. Ci sono canzoni di cantautori che hanno fatto la storia della nostra musica e che ci fanno capire che

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stiamo crescendo, che ci sono problemi più grossi da affrontare. Canzoni intramontabili che passano le generazioni e le interrogano tutte; a ciascuno chiedono: tu che risposta dai? Ci sono canzoni che durano il tempo di un’estate ma quell’estate l’accompagnano, con leggerezza, rimanendo nel tempo legate a quell’attimo. Le canzoni estive dei miei 15/16 anni non le ho mai scordate. Mi basta ascoltarle per tornare in quei luoghi, in quei momenti, con quegli amici. Ma credo vi proporrò un gioco. Perché non provate a comporre la vostra personale colonna sonora, una compilation che racconta di voi e dei vostri pensieri? Roba da


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sale in zucca

sale in zucca, però. Non musica senza senso. Non musica fatta tanto per mettere insieme note e senza significato, o dolcezza, o messaggi. Musica che racconta, che parla alle persone, che ha detto a voi, che può dire ai vostri amici. Cantautori, cantanti leggeri o stranieri, canti Scout, canti tradizionali, musica classica. In tutti i generi c’è qualcosa che può averci colpito e fatto pensare. Qualcosa che ci ha preso di più, in modo più importante e ci ha indotto a una riflessione. Non è un lavoro semplice comporre una colonna sonora. Perché per scegliere bisogna vagliare tante cose. Non vuol dire prendere l’ultimo cd ascoltato o l’autore più noto. Bisogna ascoltare tutto, o comunque tanto. Poi pensare, valutare, lasciarsi interrogare e rispondere; e infine scegliere. Solo alla fine si avrà il succo, il distillato. Poi la potrete raccontare in una serata, a una riunione di Clan o Fuoco, perché ogni ricerca della mente è importante e vale la pena

che sia condivisa. Oppure potrete risentirla nei momenti strani, quando volete tornare con voi stessi e basta, senza nessuno intorno. E se non sarete riusciti a fare sintesi e a fare la compilation perfetta forse però avrete ascoltato e pensato tanto e questa è una cosa buona comunque. Forse sarete anche andati oltre, oltre quella soglia dove non serve più ascoltare musica perché l’avrete dentro. Non serve più ascoltare canzoni perché la vostra “musica” sarà più piena: saranno i vostri pensieri ad accompagnare la giornata e non importa che abbiano sempre le note. La cosa fondamentale è che questi pensieri possano seguirvi nella vita e vi servano da colonna sonora, o meglio da colonna portante. Allora ascolterete qualche canzone, ogni tanto; un po’ di musica per rilassarvi, ma voi sarete già oltre. Poi un giorno il Signore ci farà ascoltare, a ciascuno di noi, la canzone perfetta… ma questa è un’altra storia. E finisco con quello che poteva essere il sottotitolo di questo articolo: “Dimmi cosa ascolti e ti dirò chi sei e dove vuoi andare nella tua vita”.

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Cucù e Ciarlatani

Pace e bene D

opo aver ospitato San Paolo in Cucù e Ciarlatani, credo dobbiamo rendere merito ad un altro comunicatore eccezionale, parlo di San Francesco. In questi giorni si sta chiudendo proprio il Capitolo mondiale sul Santo di Assisi e la stessa città è popolata da questi fraticelli (così amava definirli Francesco) che in saio si aggirano per le stradine medievali dispensando sorrisi e Pace e Bene. Il messaggio di San Francesco ha davvero una forza enorme, la forza della verità e la forza della libertà. Pensiamo un secondo allo scenario sociale che ci viene più

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Carnet di Marcia B•2009

volte descritto: un mondo difficile, figlio della caduta delle ideologie storiche, dei giovani assorbiti da una società consumistica e dai ritmi frenetici, forse davvero incapaci di nuovi punti di riferimento in grado di riempire un vuoto sembra esistenziale. Il messaggio francescano è davvero dirompente: la semplicità, la ricerca del nulla, l’unica strada per renderci davvero liberi è quella di spogliarci di tutti i “fronzoli” che la società ama costruire e ritrovare una semplicità vera, autentica. Molti vedono nel Santo di Assisi una capacità di comunicazione tecnicamente chiamata riflessa. Cerco di spiegarmi: San Francesco amava sottolineare come fosse importante più che parlare ascoltare, pare sia attribuito a lui il concetto: Se il buon Dio ci ha dato due


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esempio, abbandonano ogni bene e lo seguono nella scelta di vita, primo fra tutti Bernardo da Quintavalle. Francesco, resosi cosciente della sua responsabilità e dovendo indicare i principi della sua regola di vita, apre per tre volte il Vangelo, traendone questi insegnamenti: “Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che hai, e dallo ai poveri” (Mt 19,21) “Non prendete niente per il viaggio” (Lc 9,3) “Se uno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24) Non sarebbe male conoscere meglio la vita di Francesco, credo infatti che la sua vita riesca a tracciare un modo diverso di comunicare, fatto di umiltà e silenzio, di ascolto capace di riflettere e far riflettere, forse profondamente distonico rispetto al tempo, ma incredibilmente attuale ed efficace. Vale davvero la pena approfondire le nostre regole di Comunità, la nostra Carta di Clan e di Fuoco con la Regola francescana e trovare da essa l’ispirazione. Buon lavoro, Buona Strada e, come ci insegnano i Francescani, Pace e bene. PIETRO RYS

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Cucù e Ciarlatani

orecchie e una sola bocca il motivo è chiaro! Ascoltare 2 Parlare 1. Quindi riflessa perché comunica maggiormente ascoltando e non parlando. Quella dell’ascolto è davvero una capacità molto rara. Ascolto non solo dell’altro, ma anche del Creato, della potenza della Natura, ascolto del proprio Io alla ricerca della Voce Suprema, della Chiamata, ascolto di Dio. Oggi più che mai avvertiamo l’importanza e l’attualità dell’esempio di questo Santo, già moderno e rivoluzionario per il suo tempo, e ancora oggi all’avanguardia per la propria capacità di comunicazione, per la propria spiritualità, specchio vivente del Vangelo vissuto nella vita di tutti i giorni. Francesco, dopo essersi spogliato dei suoi averi, dopo aver abbandonato la casa paterna, dopo essere stato picchiato e trattato come un vagabondo, una mattina assiste alla Messa e ode questo brano del Vangelo: “Non vogliate portare né oro, né argento, né moneta nelle vostre cinture, non sacca da viaggio, né due vesti, né calzari, né bastone” (Mt 10,9-10). Francesco toglie i calzari, butta il bastone, la bisaccia, il denaro e la cinghia. Cosa ha ascoltato Francesco? Semplicemente il Vangelo, semplicemente il Cristo. Lo fa ancora quando attorno a lui si costruisce una piccola comunità, grazie a quello che definiremmo Leadership, (dall’inglese To Lead cioè guidare); alcuni appunto riconoscono la sua guida la sua testimonianza il suo “silente”

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C

ome è nobile chi, col cuore triste, vuol cantare ugualmente un canto felice, tra cuori felici. (K. Gibran)

L

a vera musica del tempo non è l’orologio, ma la speranza e l’attesa. “Mozart ti fa credere in Dio, poiché non può essere che un tale fenomeno arrivi in questo mondo e poi se ne vada dopo 36 anni lasciando dietro si sé un tale illimitato numero di capolavori insuperati”. (G. Solti)

L

a musica è la voce di tutta l’umanità, di qualsiasi tempo e luogo. Alla sua presenza noi siamo uno. (C. Gray)

È

l’ALTRACOPERTINA

Riflettendo sul canto...

L

a musica è la voce che ci dice che la razza umana è più grande di quanto lei stessa sappia. (M.C. Garretty)

L L

a musica è la voce di ogni dolore, di ogni gioia. Non ha bisogno di traduzione. (H. Exley)

a musica è la stenografia dell’emozione. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato. (L. Tolstoj)

C

hi non sa ridere non è una persona seria. (F. Chopin)

Carnet di Marcia B•2009

“ ”

Mia forza e mio canto è il Signore, egli mi ha salvato. È il mio Dio e lo voglio lodare, è il Dio di mio padre e lo voglio esaltare!

cosa buona che si preghi sempre con il cuore, è anche cosa buona che con il suono della voce si glorifichi Dio cantando inni spirituali. Non vale nulla cantare con la sola voce senza l’intenzione del cuore. Come diamo importanza alle preghiere, così dobbiamo godere della passione per i canti. Il canto serve molto a consolare i cuori tristi, a rendere più graditi a Dio i nostri pensieri, ad addolcire i tipi difficili, ad entusiasmare gli svogliati, a provocare pentimento nei peccatori. Infatti, sebbene i cuori dei carnali siano duri, non appena interviene la dolcezza di un canto, il loro animo rimane piegato a sentimenti di pietà. Certamente il cristiano dev’essere mosso non tanto dalla melodia della voce, quanto dalle parole divine che vengono proferite. Tuttavia, non so per quale motivo, la melodia prodotta da una persona che canta accresce spesso la compunzione del cuore. Si incontrano molti i quali, commossi per la soavità del canto, piangono i propri crimini, e vengono piegati tanto più a versare lacrime quanto più soave è la dolcezza della voce della persona che canta. (Sant’Isidoro di Siviglia) 32

di Giorgio Sclip

(Esodo 15,1-21)

E

pitaffio. Non aveva tempo di buttare giù una riga. Non aveva tempo di dar il suo voto. Non aveva tempo di cantare una canzone. Non aveva tempo di raddrizzare un torto. Non aveva tempo di amare o di donare. Non aveva tempo di vivere davvero. D’ora in poi avrà tempo a non finire. Oggi è morto il mio amico “sempre occupato”. (Anonimo)

C D

hi canta prega due volte. (Sant’Agostino)

ove le parole finiscono, inizia la musica. (H. Heine)

L

a gioia non è nelle cose, è in noi. (R. Wagner)


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