Caccia di selezione con l'arco nel senese

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Caccia di selezione con l'arco nel Senese Testimonianze e impressioni di alcuni cacciatori che hanno praticato la caccia di selezione con l'arco nei territori della provincia di Siena. Per tutti una grande emozione e il sapore di una caccia vera, dove cacciatore e selvatico si giocano la partita alla pari a cura di Emilio Petricci

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n lato che mi è sempre piaciuto della caccia è il legame che si instaura tra gli appassionati e se questo è vero per tutto il mondo venatorio in generale, figuriamoci poi per le specializzazioni come la caccia con l’arco. Da quando, in provincia di Siena, nel 2006, abbiamo cominciato a praticare la caccia di selezione con l’arco a cervidi e bovidi, mi è capitato, visto che sono l’autore del progetto, di conoscere tante persone che mi hanno cercato per ap-

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profittare di questa nuova oppurtunità o anche solo per avere informazioni. Con quelli che sono riusciti a praticare la caccia di selezione con l’arco in uno dei tre ATC senesi si è stabilito un bel rapporto di amicizia e ogni tanto mi chiamano per raccontarmi le loro impressioni, i loro dubbi e le loro speranze; alcuni mi hanno anche scritto per raccontarmi dei loro abbattimenti. Recentemente ho incontrato un gruppo di arcieri/cacciatori lombardi, a caccia di ungulati a Bagnolo, in Toscana (in

un’azienda con la “A” maiuscola); tra questi nuovi amici c’era Gianni, un poliziotto milanese di orgini baresi che, tra una chiacchierata e l’altra, mi ha dato l’idea di condividere con i lettori di Sentieri di Caccia i racconti, le lettere, le testimonianze che avevo ricevuto, così da dar voce ad amici che vivono la nostra stessa avventura, che sta dando nuova dignità a una caccia, sicuramente di nicchia, ma pur sempre una splendida caccia che regala emozioni a non finire. E allora eccoli qui!

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Caccia con l’arco Romolo Rughetti

E’ un grande appassionato arciere e fu uno tra i primi a seguire Sebastiano e me nell’alternare l’arco alla carbina. Ha 44 anni, è nato a Montecchio (Tr), vive a Chianciano Terme e di professione fa l’armiere; ha preso la prima licenza a 33 anni e pratica prevalentemente la caccia alla regina con i suoi insuperabili cani, è selecontrollore ed è iscritto nel distretto Val D’Asso nell’ATC Siena 19. E’ anche un bravo conduttore di cani da traccia, quindi un cacciatore a tutto tondo, uno di quelli che ha fatto della sua grande passione una ragione di vita. Questa la lettera che mi inviò quando fece il suo primo abbattimento con l’arco. Carissimo Emilio, ora che abbiamo riposto i nostri attrezzi, possiamo dedicare un po’ di tempo a raccontarci le nostre emozioni e io, che ho avuto la fortuna di poter fare il mio primo abbattimento con l’arco, vorrei renderti partecipe della mia esperienza. Devo essere sincero, non ne ho ancora parlato con nessuno per la paura di essere preso in giro, perché mi rendo conto che non tutti possono comprendere che cosa si prova a cacciare

con un arco in mano. Sono ritornato con la mente a quello che la storia ci ha sempre raccontato per riuscire ad arrivare davvero vicino ai “miei” astuti caprioli e quindi sconfiggere il loro olfatto, la vista e l’udito. Scritto in questo modo sembra facile, ma così non è e quindi mi sono dovuto calare nel ruolo di “animale che arriva, pianta che aspetta, predatore che colpisce”. Caspita, ho la pelle d’oca nel ripensare a tutti i sacrifici fatti per riuscire a fare più uscite possibili, a tutte quelle considerazioni fatte tra me e me nell’arco delle giornate spese a capire come, perché e quando poter agire in modo corretto per insidiare quel folletto. Lo sai, io sono un armiere e quindi ho a che fare con armi di tutti i tipi, calibri precisissimi e tesi che, nel tempo, ci hanno portato a vedere il capriolo come un appuntamento con un bersaglio. Torno al racconto del mio primo abbattimento, e tralasciando la cronaca delle varie uscite, arrivo subito alla sera dell’incontro. Ero in ginocchio da almeno due ore dietro a una ginestra, immobile, aspettando con vento buono e fiducioso, quando nel bosco intravedo un’ombra che si avvicina. Era la femmina adulta

che aspettavo e che conduceva nel prato il piccolo femmina che dovevo prelevare. Escono nel prato a distanza di pochi minuti l’una dall’altra. Sono a circa 90 metri da me e pian piano si avvicinano brucando l’erba. Il mio respiro diventava sempre più incontrollabile. Ignare del pericolo, continuano a ridurre la distanza tra me e loro. Il tutto per venti minuti di vera agonia. Nel frattempo dal bosco esce una femmina da sola, che avevo già notato in altre uscite, alla quale mancava la madre e la fortuna (mia) ha voluto che si unisse alle due che erano oramai a circa 40 metri di distanza. Quando arriva a 25 metri di distanza noto che è molto più piccola dell’altra a seguito della femmina adulta e decido che è lei il mio obiettivo. Trattengo il fiato mentre carico l’arco e rimango in attesa che si metta di fianco nella finestra fra le ginestre. Mi assalgono tutti i dubbi possibili “ora finisce che fa buio… sono veramente certo della distanza... sarò in linea con il centro della visette... il braccio ce la farà a stare fermo mentre sgancio…” . L’animale mi avverte e mentre faccio i miei calcoli, alza la testa e comincia a fissarmi. I nostri sguardi sono fissi l’uno dentro l’altro. Sgancio la freccia e il capriolo emette un suono sordo di stupore mentre si accascia al suolo a dieci metri di distanza ed esala i suoi ultimi respiri. E’ finita. Mi assale un turbinio di emozioni. Ho predato come un animale prederebbe, io di fronte a lui, guardandolo consapevolmente negli occhi, superando la sua diffidenza e assumendomi le mie responsabilità. Io ho stabilito il mio limite in questo momento! Quando è possibile e se deve essere, voglio affrontare faccia a faccia la mia preda. Con sincero affetto, Romolo.

Ivan Lumini

Ivan è uno degli ultimi arrivati a Siena. Un trentanovenne rampante impegnato a 360 gradi nella caccia. E’ nato a Firenze e vive a Carmignano, in provincia di Prato. Ha il porto d’armi da quando aveva 21 anni e da allora pratica un po’ tutte le cacce: codaiolo accanito, è la disperazione di fagiani e beccacce, ama i tordi Sentieri di Caccia

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al passo e alla scaccia, e non disdegna per niente una bella canizza sul cinghiale; da poco è anche selecontrollore. Mi ha contattato dopo aver appreso, visitando il sito www.cacciaconlarco.it, che a Siena si poteva praticare la selezione con l’arco e visto che è anche un valente arciere della Compagnia Arcieri del Rovo di Lastra a Signa (Fi) voleva avere notizie circa questa possibilità, che avrebbe unito entrambe le sue passioni. Ecco ciò che mi ha scritto sulla sua prima esperienza di caccia con l’arco. Quando mi sono iscritto al Distretto Montalcino Ovest, ho scoperto che ero l’unico selecontrollore dei 50 del distretto che praticava la caccia con l’arco. Alla prima riunione degli iscritti, il capo-distretto, che ringrazio per la disponibilità, ha citato il mio caso al pubblico presente, in quanto il regolamento del distretto doveva essere adeguato per permettermi di cacciare con questo ancestrale mezzo. Devo dire che mi sono sentito sotto esame, con tutti i cacciatori che mi guardavano con occhi strani e sguardo perplesso; probabilmente stavano pensando: “cosa penserà mai di pigliare questo qui con l’arco…”. Arrivato il giorno dell’apertura, con amici e parenti che mi consigliavano di prendere la carabina, sono partito per Montalcino con il mio arco. Ho un compound Bear Element da 70 libbre, diciamo un arco moderno e tecnologico che di ancestrale in effetti ha poco, ma è pur sempre un arco. Ho deciso di optare per l’appostamento alla cessa dove avevo visto un buon movimento di caprioli e soprattutto dove c’era maggiore possibilità di vedere anche qualche daino. L’emozione era davvero tanta: poter cacciare 94

i cervidi con l’arco nelle stupende colline senesi... mi sembrava davvero un sogno. Parcheggiata l’auto e compilato il libretto delle uscite mi aspettava una camminata di quaranta minuti per arrivare alla zona di caccia; d’altra parte sono l’ultimo arrivato al distretto e i posti “comodi” erano già tutti esauriti! Sono arrivato molto presto all’appostamento, per cercare di disturbare il meno possibile la selvaggina. Nei giorni precedenti avevo sistemato una paratoia a terra già esistente, fatta probabilmente dai cinghialai della zona per la caccia in battuta, che si affacciava su alcuni trottoi interessanti e mi dava modo di vedere bene la cessa parafuoco. L’avevo sistemata con un po’ di frascame trovato sul posto, senza fare grandi cose, anche perché ero alla mia prima uscita e quindi prevedevo anche la possibilità di scoprire che il posto non fosse dei migliori. L’attesa nella notte stellata era già un regalo. Alle prime luci dell’alba si cominciavano a sentire i rumori del bosco, il mio cuore sobbalzava a ogni fruscio. L’arco sempre in mano per timore di perdere l’attimo giusto; sono troppo agitato, devo calmarmi se non voglio sciupare un’occasione che potrebbe essere anche l’unica della stagione. Un piccolo rumore davanti a me, forse è solo una foglia che cade, crack… sento un rametto che si rompe

e il cuore comincia a sobbalzare e a battere come un tamburo. Mi muovo al rallentatore, ma sento i passi veloci nel trottoio che sbuca a pochi metri, mi blocco, non posso muovermi, ormai è troppo tardi, l’animale è già vicino. Si ferma, tra me e lui solo 6/7 metri di macchia, intravedo il rosso del mantello, è un capriolo, è il maschio che avevo già visto nelle uscite di ricognizione. Ho il cuore in gola, non posso tendere l’arco, resto immobile, ma il suo olfatto non lo inganna e con un balzo scatta indietro abbaiando nel folto del bosco. Espiro l’aria che trattenevo non so da quanto e cerco di controllare il battito del cuore che sembra impazzito. Che emozione, come prima uscita basterebbe questo incontro. Il capriolo è arrivato con passo veloce e ci siamo trovati davvero troppo vicini; d’altra parte è questo il bello della caccia con l’arco: gli incontri sono ravvicinati, a volte molto, molto ravvicinati. Il sole sorge e piano piano il caldo si fa insopportabile; è il primo di agosto. L’ora non è più quella giusta, mi allontano e raggiungo un amico che si trova in un appostamento alcune centinaia di metri più in alto. Cerchiamo un posto all’ombra nel bosco, dove riposare un po’ in attesa dell’uscita serale. L’auto è troppo lontana per tornarci. Le ore sono lunghe da passare sotto l’afa, ma la voglia di ri-

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Caccia con l’arco provarci è ancora tanta. Alle quattro del pomeriggio non reggo più e sono di nuovo all’appostamento. Tutto tace per alcune ore, fino al momento magico del far della sera, dove il bosco si anima di movimento. Sento rompere d’impeto giù nel fitto; non può essere un capriolo, troppo baccano, forse un cinghiale. Passano pochi minuti, si sta facendo scuro, ma si vede ancora bene. Intravedo un movimento in fondo a uno slargo laterale della cessa, penso sia un capriolo, prendo il binocolo, no, è un daino che sale su a passo lento, ogni tanto si ferma e ascolta. E’ un piccolo, sarà una ventina di chili, guardo ancora con il binocolo per vedere se noto la femmina adulta, ma niente da fare, è solo. Continua ad avvicinarsi, penso in fretta, intanto mi sistemo, non so che fare, mi ero detto di aspettare febbraio per il piccolo che mi hanno assegnato, ma forse è l’occasione buona, che magari non ricapita. Penso ancora, intanto si avvicina, è a una quarantina di metri, si ferma ancora, ascolta, ma non è molto sospettoso, è giovane e tante astuzie deve ancora impararle. Che fare? Sono due giorni che non dormo, l’adrenalina scorre, il cuore è a mille, è difficile pensare… Il daino riparte nella mia direzione, passa dietro a dei ginepri, è il momento giusto per tendere l’arco. Si ferma di colpo e gira la testa verso di me, ha sentito qualcosa, è a una ventina di metri, sono immobile e ben mimetizzato, l’arco teso, il vento è giusto, è tutto perfetto… Passano alcuni interminabili secondi, poi uno, due passi e il piccolo cervide si scopre, non penso a nulla, sono nel nulla e la freccia parte da sola. Il daino schizza via come un fulmine e sparisce nel bosco con un gran fracasso di rami che si rompono. Dopo lo sgancio ho sentito il rumore sordo della freccia sull’animale. E’ preso bene, mi trema un ginocchio che non riesco a fermare. Butto fuori tutta l’aria che ho in corpo e respiro; non so se essere felice, la preoccupazione del recupero mi assale. Aspetto in silenzio, ma ho una gran fretta di andare a vedere; si fa buio, devo aspettare ancora… mamma mia quante emozioni in una sola giornata. Non resisto più, sono passati venti minuti e nel bosco è già molto scuro. Vado sull’an-

schuss, le tracce evidenti mi rincuorano, il sangue sembra di quello buono. Seguo la passata nel fitto con la pila, la perdo, mi affanno, poi di nuovo tracce e dopo una quarantina di metri intravedo il daino riverso su un lato. Mi inginocchio su di lui, stanco dall’emozione. Cerco di calmarmi, vorrei piangere; chiudo gli occhi e penso “viva Maria!” Un miglior inizio per questa nuova avventura non potevo immaginarmela. Ringrazio colui che ha contribuito a tutto questo e che ormai reputo un amico; grazie per tutto questo Emilio. Un grazie speciale anche a mia moglie Lisa, che sopporta e comprende questa mia grande passione per la caccia. Il daino era un bel maschietto di 18 chili. Ivan.

Antonio Bondi

Antonio è un ragazzone grande e grosso, ma buono più del pane. E’ nato a Rosia, in provincia di Siena, e vive a Colle Val d’Elsa. Un giorno mi si presentato con un compuond in mano, nel campo di tiro della mia compagnia, per chiedermi se gli insegnavo a tirare con l’arco perché aveva intenzione di andarci a caccia. Sono rimasto sorpreso quando ho scoperto che non era un cacciatore e che non conosceva minimamente il mondo della caccia; l'unica attività similare che svolgeva è la pesca subacquea, ma come candidamente mi ha confessato, si era innamorato dell’arco e del suo uso venatorio e ci voleva provare seriamente. Ha fatto il corso di tiro con l’arco ed è diventato un ottimo arciere, poi non si è lasciato intimidire dalle tante difficoltà e nel giro di due anni ha conseguito la licenza di caccia e il brevetto di selecontrollore. Ecco come racconta la sua prima cattura. Ore 19,20, da un po’ sono appollaiato sul mio treestand, su uno dei pochi alberi rimasti su un lato di una tagliata molto ripida; il lato opposto, quello dove ricomincia il bosco, da dove arrivano “loro”, è a circa 40 metri. Mi godo il bosco, i rumori, i colori incendiati dalla luce del

sole che sta calando, tutto questo è più che sufficiente a farmi sentire fortunato. Ma la fortuna stasera ha proprio deciso di fare gli straordinari... Senza fare il benché minimo rumore e in anticipo rispetto all´ora in cui me l’aspettavo, la giovane donzella irrompe sulla scena senza indugi, trovandomi decisamente impreparato: l´arco ancora pigramente appeso a un mozzicone di ramo, io ancora seduto a godermi il panorama, una botta d´adrenalina arriva a dirmi che è l’ora di muoversi. La “tipa” è a circa 35 metri. Allungo al rallentatore una mano per prendere l´arco e inizio ad alzarmi in piedi sul treestand, lentamente. La giovane donzella alza la testa e guarda verso di me, io divento di marmo, immobile, facendo tutti gli scongiuri possibili. Fortunatamente il vento gli sta raccontando quello che succede da un’altra parte, si tranquillizza e rimette la testa giù a guadagnarsi la cena. E’ a 30 metri. Ho la testa che galleggia in questa situazione per me del tutto nuova, i pochi neuroni rimasti lucidi, che annaspano in superficie, si sforzano: faccio tutti i conti del caso, aspetto che sia più vicina, 29, 28 poi 27, forse 26 metri, così a occhio. Poi cambia strada, inizia a muoversi parallelamente a me, non sembra che abbia voglia di venire più vicina, comunque è sufficiente, è il capo giusto, è messa perfettamente di fianco, si può fare... Tendo l´arco, inizio a mirare e sgancio. Rimango appeso lì, tra il rumore della frustata della corda e il rumore sordo e umido che... non è il rumore di una freccia che colpisce il terreno. Poi il finimondo: l’animale scatta, corre verso il bosco, la seguo con l´orecchio nel fitto fin dove posso (stavolta si sente eccome!), poi più nulla. Ancora venti minuti lassù, poi scendo e mi avvicino al punto dove, ottimisticamente, dovrebbe essere stata colpita: tracce evidenti, sangue rosso chiaro e abbondantissime testimoniano che tutto è andato come doveva andare e mi sforzo Sentieri di Caccia

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di non sorridere per scaramanzia. Mi infilo nella macchia, le tracce continuano abbondanti, ma non fanno molta strada: a circa trenta metri da dove era stata colpita, la trovo riversa su un tappeto di foglie, ormai spenta. Col foro di entrata della punta malamente allargato dal movimento della zampa nella corsa. Maldestra foto col cellulare, fascetta auricolare e un sospirone... Sono felicissimo! Ritroverò uscendo dal bosco la freccia che, dopo aver passato la cassa toracica della capriola, si è fatta ancora un po’ di metri finendo poi per piantarsi su una radice. Questa è in assoluto la mia primissima preda, la mia prima vera stagione venatoria. L’inverno scorso, essendo il mio primo anno di porto d’armi, l’ho passato a fare compagnia, arco in mano, agli amici con il fucile che mi accompagnavano. Conosco ancora poco il mondo della caccia, mi ci sono avvicinato grazie all’arco, nel quale ho visto un modo più puro, vero e leale di confrontarsi con la natura rispetto al fucile (che non ho neppure). Vengo dal mondo della pescasub, ambiente dove da tempo ci si sta sforzando di “autoeducarsi” a un prelievo di qualità più che di quantità. Le soddisfazioni aumentano e l’opinione pubblica gradisce. Ecco, questa forse è la grande opportunità che la caccia con l’arco sta offrendo al mondo venatorio e che rischia di non essere compresa e sfruttata. Inoltre con l’arco c’è la possibilità di rinfrescare la compagine dei cacciatori che è sempre più vecchia, avvicinando giovani come me alla caccia. Approfitto dell’occasione per ringraziare il presidente del mio distretto Montemaggio Est, che, quando ha saputo che usavo l’arco anziché la carabina, mi ha portato subito in un paio di zone che secondo lui erano ideali per quel tipo di caccia (lo erano, grazie Adriano!), e naturalmente ringrazio tutti i colleghi cacciatori che, dopo un po’ di battutine sul “novello Robin Hood”, hanno cominciato a incuriosirsi, a fare domande sull’attrezzatura e su come si pratica questa caccia; e a qualcuno è scappato anche un timido “mi piacerebbe vederti”. Insomma, 96

La vista dal treestand in attesa della capriola

magari nessuno di loro abbandonerà mai l’amata 270, ma a una proposta indecente di rinunciare a due capi presi con la carabina per uno preso con l’arco sono convinto che qualcuno alzerebbe la mano. Un grazie veramente di cuore a Emilio, che mi ha avviato a questo affascinante mondo e ad Antonella, per la pazienza di sopportare tutti i risvolti che questa mia nuova bellissima malattia ha portato in casa. Antonio.

Mauro Olmucci

Ho conosciuto Mauro nel 2007, durante una mia lezione sull’uso dell’arco nell’ambito di un corso per selecontrollori che svolgevo per conto dell’amministrazione provinciale di Siena. Mauro non faceva parte di quel gruppo (in quanto già selecontrollore), ma aveva chiesto e ottenuto dall’organizzazione di poterci essere perché interessato alla caccia con l’arco. E’ nato a Certaldo (Fi) 68 anni fa ed è pensionato; ha preso la sua prima licenza a 26 anni e dopo 42 anni di attività è ancora malato fino al midollo di mal di caccia. E le cacce le ha praticate un po’ tutte, poi è approdato anche alla caccia di selezione che pratica nell’ATC Siena 17 nel distretto Val d’Elsa

Nord. Arciere del Gruppo Arcieri Certaldesi, tira con un arco tradizionale e, con la modestia che lo contraddistingue, mi ha raccontato la sua cattura. Ciao Emilio, ti scrivo per raccontarti dell’abbattimento del mio primo capriolo con l’arco. Sono felice come un ragazzetto al primo appuntamento amoroso, che emozione... Una mattina di fine agosto mi trovavo in una postazione di un collega del mio gruppo. Avevo da abbattere un maschio adulto. Dopo due uscite, alle sette del mattino, mentre col binocolo controllavo il bordo del bosco, vidi uscire un maschio adulto, che però non venne mai a tiro dalla carabina a causa di un avvallamento del terreno. Decisi allora di fare un sopralluogo della zona per vedere dove mettermi per cacciarlo con l’arco. Individuato il posto, decisi di mettermi dietro una macchia al bordo del bosco, vicino a un fosso molto nascosto che entrava in piaggia. La sera del giorno dopo andai presto sul posto per preparare l’appostamento, facendo un’apertura nella macchia per poter tirare senza essere visto e misi dei segnali per le distanze; calcolai 22 metri. L’attesa fu

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molto lunga, volevo andare via, erano già le otto, però poi decisi di rimanere altri cinque minuti. Appave all’improvviso, come fanno sem-

pre; era a una trentina di metri, si mosse piano piano, avvicinandosi sempre più. L’emozione fu grande, molti pensieri mi passarono nella testa in quel momento:

tira con tranquillità... stai calmo... mi ripetevo dentro di me; a dirlo così è facile, ma poi, quando si è lì, è tutta un’altra storia; venti metri sembrano pochi, ma quando a quella distanza c’è un animale bellissimo, sfuggente, che si muove in un mondo dove noi umani ormai siamo quasi degli estranei il discorso cambia, e di molto... Quando scoccai la freccia il capriolo era a venti metri e lo vidi come un flash. Sul posto, in terra non vidi niente... era quasi buio. Corsi alla macchina a prendere una torcia per vedere meglio e subito trovai molto sangue. Seguii la traccia fino al bosco e appena dentro, trovai la freccia. Mi convinsi che non poteva essere molto lontano e infatti, dopo pochi passi, lo trovai in un tappeto di giunchiglie. Quel momento non te lo so descrivere; ancora oggi, quando ci penso, mi viene un groppo in gola. Le cacce sono belle tutte e, tu lo sai, io non rinuncio a nessuna, ma quella con l’arco dà quel qualcosa che è impossibile da raccontare... Grazie di tutto. Mauro.

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