Sogno tra terra e stelle

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MARCO MARCOZZI Sogno tra terra e stelle

In copertina: Albert Bierstadt, senza titolo (olio su tela)


Marco Marcozzi marcomarcozzi@email.it marcomarcozzi.altervista.org

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MARCO MARCOZZI

Sogno tra terra e stelle

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I

Io desolate spiagge sconfinate passavo scorgendo dell’infinito mare l’orizzonte dove son nate d’immortali eroi la storia e il mito. Lì lontane navi ricordavano delle loro imprese la tal grandezza che sentivo del cuor dolore invano per i suoi moti ch’ebbe in giovinezza. Non so come arrivai a quelle rive, tanta angoscia e tanta sofferenza m’affliggono e l’animo mio rivive, ma ciò m’ha portato alla Conoscenza. Tanto ardua è questa dolorosa via che questa null’omo può camminare: nullo che non abbia degna compagnia, che sappia alla Vera Via accompagnare. Or voglio raccontarti la ricerca di questo solitario stato penoso che ogni uomo saggio desidera e cerca, ma per quel rende solo e pensoso.

Vissi anch’io tra l’altra comune gente, in mezzo a loro passai miei giorni, come loro un tempo volsi la mente a quei che sono solo aspetti adorni. Qui nacqui da retto e giusto padre, da amorevole madre generato fui, e subito tra quelli che in squadre per comprendere sono fui fermato. Lì con molto studio 4


appresi scienza che accresce la facoltà d’intelletto, ma che non forma vera coscienza, né trovavo quell’impegno perfetto. Conobbi Dio e, con Lui, il suo amore, che sempre caldo ogni uomo avvolge, e pensai sempre con grande stupore a Lui per l’attenzione che ci volge. Non ero orbo fanatico credente, non pregavo come altri oranti, non seguivo quell’uso lì presente, non mi mischiavo con tutti i tanti. Eppure sempre l’Essere Supremo era della mia vita conduttore, amore infinito ed estremo intelletto muovono alto fattore. Dio è ancor presente nella vita mia, ma or lo sento così lontano, che spesso mi chiedo dov’è finita la grazia divina e la sua mano. Anche la patria, come la mia casa, era centro di grande importanza, ma essa stessa è stata invasa da presunzione e da tracotanza. Ho cercato di cambiarla, portarla ad essere migliore per noi tutti, ma così, anche solo a pensarla, non ha mai portato dei veri frutti. Ogni speranza era ormai persa; per restare, e patria restaurare, non vedevo soluzione diversa che abbandonarla e dimenticare. Non ho più città né casa natia: esse non hanno per me importanza, non lor fanno parte della vita mia, così lì lascio anche ogni speranza.

Dopo questo segno iniziò il viaggio che m’ha portato per tutta la terra, ma non per questo divenni più saggio, non più d’un vile omuncolo che erra. Così raggiunsi, dal centro del mondo, tutti gli estremi più sconosciuti, ma scoprii, con lacrime, che in fondo ci sono solo uomini scaduti. Essi sono sì 5


uguali tra loro, non importa costume e tradizione, ma solo guadagno d’avido oro e ogni genere di perdizione. Attenti sempre sol nell’apparire e non nel voler essere diversi, per poi tra la gran folla scomparire, quindi essere quasi come persi. Non delle altre cose di poco conto ti parlerò adesso, amico mio, perché sono le parti del racconto dove ero perso nell’animo mio. Dirò poi tra l’altro di quei problemi che affliggono gli uomini sinceri, che sono i sentimenti estremi che bruciano il cuore e i pensieri.

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II

La storia su pietre e carta scrivono, senza riguardo del vinto o del fatto, le persone stolte, e perfino credono che l’uomo sia soltanto il suo atto. Così nel tempo scompare il ricordo delle sensazioni, dei sentimenti d’ogni uomo e rimane al bordo dei ricordi degli amici presenti. Con la loro scomparsa s’esaurisce anche l’individuo e così muore, come fa ogni giorno che finisce ma non ritorna a portare calore. Io ero così, lasciato al bordo, in vero, mi allontanavo dal centro marcio e da ogni orecchio sordo per cercare delle cose il dentro. Allora non possedevo null’altro che il mio selvaggio spirito errante e la voglia angosciante di altro oltre a quel mondo così scadente. Solo e in balia del fato andavo senza curarmi del cibo, del vino o delle vesti che con me portavo: solo per monti come rude ovino.

Di città in città così vagando vedevo gli occhi persi di persone che avevano smarrito, conformando l’essere loro, la loro espressione. Uguali e indistinti cercavano tra i deserti palazzi il tesoro che i 7


governanti inventavano per giustificare il loro lavoro. Avidi e spietati alla ricerca di qualcosa che non c’è veramente: fama, ricchezze e gloria ognun cerca e a nient’altro rivolge la mente. Questa era la mia casa, il mio paese e la mia patria, ovvero tristezza per qualcosa di effimero e palese che non era la via della saggezza. Quindi avevo decisione diversa dal partire da così fatta terra? Malattia che ovunque imperversa, che chiude le menti e il cuore serra.

Lasciavo freddo e arido deserto per andare nel mondo sconosciuto, lasciavo quella che era casa per erto sentiero che avevo già conosciuto. Bianche città costeggiavo sapendo che avrei lì trovato solo simili vizi e così andavo patendo dove il potere non stende i suoi fili. Sol la bellezza delle cose morte non mi teneva più lì attaccato, nel vivo cercavo, grazie alla sorte, il bello vero che tanto ho sperato. Forse non esiste il buono o il vero, ma sono sicuro che esiste quello che sia autentico, giusto e uguale, che tutti possano chiamare bello. Dio potrebbe essere la mia ricerca ma non sono sicuro che Egli sia ciò che la mente veramente cerca, però è forse per il cuore la via. l dio dei comuni è dettatore dispotico e arbitrario di leggi, vendicatore e esaminatore del male che come uomo sorreggi. Dio è giusto e misericordioso, creatore e conoscitore del mondo, verità piena e in potenza glorioso: racchiude anche il bello nel profondo?

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Io mortale non posso conoscerlo eppure cerco e ragiono su questo, giacché penso che non posso estorcerlo dal presente, nel buio non vuoto resto. Può il bello essere legge esatta, non opinione del mero piacere perché è armonia e cosa fatta che verità in sé può contenere. Forse ero anch’io stolto nel cercare cosa fosse di Dio e cosa non fosse, l’armonia anche tentavo di trovare e che cosa la perfezione fosse. Finché pensavo a cose così fatte il buio mi teneva stretto il capo, le idee venivano dal viaggio distratte e mi ritrovavo punto e a capo.

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III

Non erano d’un addio le lacrime né di commozione per la partenza; era purificazione sublime quell’acqua, per me come penitenza. Ero arrivato in terra straniera, non era lontana casa, pioveva una pioggia lieve di primavera, non distante già casa decadeva. Non pensavo più a Dio ma al mondo e a questo mio viaggio senza meta che mi porta a vagare errabondo per cercare la speranza concreta. Io per la notte cercavo riparo, non tanto per riparare la testa, ma perché il sole come un faro usciva tra le nubi di tempesta. Il paese era vuoto, spoglio di vita, spento, buio, nulla che indicasse la via ma infondo alla salita una luce sembrava mi chiamasse. Una sola voce alta si levava da quella locanda illuminata, entrando dolce aria si respirava; la mente d’ogni cura liberata.

Forte parlava parendo ispirato, mosso in animo da non so che moto di uguaglianza avrebbe parlato, portato in me pensiero ignoto. Puoi credere che costui infiammava gli animi con poche parole e a 10


me vividamente mostrava quella che è nel mondo umana prole?

- Fratelli, figli della stessa terra, condividiamo oggi e sempre il pane frutto del lavoro e non della guerra, viviamo il tempo che ci rimane. C’è tra voi chi ancora si domanda perché dividere col diverso ma questo la ragione comanda che tutti manda nello stesso verso. Non vedo tra voi gialli, rossi, neri, razze o importanti differenze, sono uguali i fondamenti veri e c’accomunano più coincidenze. Il destino c’ha concesso ricchezze diverse e condizioni dissimili ma abbiamo uguali debolezze e nella fine saremo simili.Questo discorso mi aprì le porte d’una concezione assai diversa e un’inquietudine prese forte la mia mente dal buio ormai tersa. Ma allora perché tra noi combattiamo? Uccidiamo per Dio o forse ideali? Combattere: ma non giustifichiamo quelle che sono 11


le intenzioni reali. Vediamo negli altri solo differenze e poi abbiamo paura di vedere i nostri timori e le ingerenze verso quello che vogliamo avere. Amico mio, mi piangeva il cuore nel lasciare quel luogo sì lucente ma il Sole era ad Oriente e ulteriore partenza mi si mostrava imminente.

Sugli alberi e le rocce lasciavo il verde muschio dietro le mie spalle, il bel bosco camminando passavo e s’apriva davanti dolce valle. Non vagavo più da una terra straniera all’altra e non guardavo ai confini: non m’accorsi d’essere alla scogliera dell’altro mare e ai porti vicini. Quasi piccolo era diventato il mondo, come tutto conosciuto lo vedevo ma non avevo provato che tutti ti presterebbero aiuto. Mi iniziavo a sentire vicino al diverso, all’essere un estraneo preferivo essere intestino, guardavo le città da conterraneo. Il viaggio aveva forse portato tutto questo, forse l’aveva fatto quel bel discorso che avevo ascoltato, tanto che volli stringere un patto. Io avrei cercato la fratellanza tra gli uomini che abitano il mondo; avrei cercato in Dio la speranza della bellezza che sia a tutto tondo.

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IV

Il grano d’oro era ormai riposto, sull’albero la mela già arrossiva, sotto la stessa pianta m’ero posto e chiara volta stellata s’apriva. Il clima su quell’altura era mite ancora ma il vento di Settentrione dal mar soffiava ma non fra la vite che dà bel frutto più a Meridione. E il corpo stanco dal lungo viaggio sentiva il bisogno di riposare, la mente persa sulla riva spiaggio del sogno e lì la lascio vagare.

Era bianco come pallido latte il luogo dove m’ero trasportato, non vi si trovavano cose fatte o distinte dall’ambiente guardato. Dal mio volere si modellavano le forme intorno e il colore, luce e ombre si separavano, riuscivo anche a sentire l’odore. Tutto era fermo ed immobile, silenzioso e senza vita vera, non v’era vento o brezza sottile, era fissa luce e ombra nera. Dall’immobile silenzio veniva una voce che lo spazio permeava, così la mente mia tutta riempiva e il pensiero, a suo volere, guidava.

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- So che l’animo tuo è tormentato, giovane viaggiatore senza meta, perché per terre e genti hai viaggiato e più la mente tua non si allieta. Vedi anche tu che il tuo furore crea creta con forme ma senza vita, quindi vira il viaggio e placa l’ardore, considera la ricerca finita. Consideri Dio eterna bellezza e non riesci a trovarne il motivo: guarda all’universo nell’interezza del suo essere e vedilo vivo. C’è forse qualcosa di più perfetto di questo universo che noi viviamo? Qualcosa che possa essere detto bello più di quello che noi vediamo? Le cose dell’uomo non sono sempre assimilabili a questo canone, mentre nella natura da sempre si prende per bellezza ispirazione. Potresti creare qualsiasi cosa che, come vedi, ha forma e materia ma tu l’hai messa solo in posa perché impotente in questa materia. 14


Non conosci l’essenza della vita e, purtroppo per te, non puoi saperla, impenetrabile e infinita, perché da morto non puoi trattenerla. Da Dio viene il respiro vitale del mondo e dell’universo stesso, quindi di Lui è la bellezza reale, nonché il giusto e il vero stesso. L’uomo non può conoscere a pieno gli evidenti segreti del mondo perché alla conoscenza c’è un freno, altrimenti essa girerebbe in tondo. Adesso cerca una conoscenza che ti avvicini alla natura e poi studia qualsiasi altra scienza che ti dia coscienza matura. Pratica le arti e sperimenta quali siano le vie della bellezza: del mondo esse sono le fondamenta che danno stabilità e fermezza. Ricorda bene che il bello è fine, leggero ed essenziale, sia pieno, vitale prosecutore di un fine che non può essere solo terreno. – 15


Dal fondo dei miei occhi non sapevo se quel che vedevo fosse un sogno o fosse tutto vero, ma sapevo che avevo chiarito un mio bisogno. Avevo bisogno di conoscere, se non direttamente Dio, almeno quello che mi circonda e posso vedere, se anche il mio sapere non sarà pieno. CosÏ il corso del Sole luminoso, alzatomi da terra, io seguivo fin dove lotta il giglio odoroso con il narciso d’oro attrattivo.

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V

Di nuovo sorgeva da Oriente il Sole, solo ed assorto ancora viaggiando giungevo a spiagge vuote e le viole lasciavo dietro, il mare guardando. Son per chi sa guardare sponde rosse di sangue antico come anche nuovo, coperte da corpi fuor delle fosse anche se adesso più non li trovo. L’onda riporta dal mare il sangue dei morti sulla marea di iracondi ardori; ogni goccia nel mare langue perdendosi negli oceani profondi. Gli eserciti del mondo sono stati dispiegati su queste fredde sponde, in ogni epoca si sono affrontati e tutto questo assai mi confonde. Quale perversa mente ideò la guerra reputandola un’arte? Quale animo spietato tentò di conquistare questa e quella parte? Era questo eco di una viva guerra, negli altri viaggi ne ho udita la voce, che ogni speranza giammai sotterra per quanto possa essere feroce. Come è possibile alzare la mano per offendere, ferire, uccidere un nemico che è un essere umano simile a me e la vita distruggere? Possa essere qualsiasi il motivo di contesa, non credo possibile trovarne uno reale e vivo che non possa considerare vile. 17


Un gioco come un altro la guerra, con i suoi costi e le sue regole, ma questa i nostri ideali afferra anche se sono semplici favole. Fino a quando saremo disposti a seguire qualcuno a noi esterno e di restare dove siamo posti, lì resteremo per un tempo eterno. Se uno considera disumano, per sé oltraggioso, uccidere un qualsiasi altro essere umano, al farlo preferisce soccombere.

Piena di oscurità e pericolo era della nostra terra la notte, vessata dalla paura che un solo uomo possa condurre altre lotte. La paura di altra violenza guida gli uomini a preparare guerra contro il popolo di cui non si fida e ogni volta l’ascia dissotterra. E’ allora nell’uomo la violenza o nell’insita sua malvagità? Non credo faccia molta differenza finché questo in lui non cambierà. Ogni volta è giustizia che si invoca quando alla guerra ci si prepara o la libertà le passioni infuoca e dietro di essa ci si ripara.

Libertà e giustizia si chiamano anche le armi di ogni altro uomo che il diverso sempre lotta invano gettando della discordia il pomo. Combattere il fascino della lotta comporta cercare una estetica nuova nella pace ormai ridotta a feticcio di una falsa etica. Un'etica che la guerra ripudia e di quella condanna i valori, ma ugualmente guadagno ne studia e all'armi sembra venda dei fiori. 18


E io avrei dovuto ricercare tra così fatta gente fratellanza? Non la potevo tra quelli trovare, sicuramente più in lontananza. Ci sono in altre terre, in questa e perfino nella mia terra natia persone in cui l'umanità resta, che possa altrui indicare la via? Fugge da me lontano quel pensiero, l'eco della selvaggia distruzione che spoglia l'uomo dall'essere vero, fuggo veloce la persecuzione. E per poco a nuoto non passavo l'impetuoso, violento, tempestoso mare che incessantemente cercavo per lasciar quel luogo così penoso.

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VI

Si fuggono la guerra e le violenze, e si cerca riparo dalla morte, ma l'ingiustizia opprime le esistenze anche in una civiltà cosi forte. E spesso nemmeno se ne accorgono masse di inermi persone, indotte a volere solo ciò che colgono in strada, che sono menti corrotte. Chi sia un cittadino ci chiediamo e sempre una figura perfetta in qualunque società ricerchiamo, ma questa maschera è troppo stretta. Del cittadino vogliono i diritti e le libertà inalienabili, ma rimangono immobili e zitti davanti ai doveri sostenibili.

E col sangue qui su questa isola hanno ottenuto da molti secoli di esser salvi e, chiunque non viola la legge, dall’esser chiuso in vincoli. E con sgarbo qui su questa isola mi ritrovai a pensare a quale destino siamo chiamati una sola volta qui in questa vita mortale. A quale destino se ognuno cerca con ogni mezzo oltre il benessere che ha per diritto e non ricerca legami fraterni da intessere. Come cittadini, come popolo, solo tante lamentele 20


portiamo e della differenza che un singolo può fare spesso ci dimentichiamo.

Eppure è libero ogni essere umano fin dal giorno in cui nasce, ed è libero di poter essere tutto ciò che nella vita gli riesce. Ma considerando le attitudini del singolo, possiamo ritenere che sono uguali tutti i cittadini per responsabilità e dovere Sì, in teoria: ma chi più sa dovrebbe forse rendere migliore il mondo e con le proprie qualità potrebbe risollevare la terra dal fondo. Però questo in una democrazia sarebbe un’enorme pretesa, sarebbe eleggere un’aristocrazia, ma non come è comunemente intesa. Quindi meglio collaborare insieme per ricercare il bene comune ora che siamo in difficoltà estreme, ora che il disinteresse è un fiume.

E proprio su un fiume navigo per lasciare la grande città vuota, e così viaggiando abbandonavo la mente a destinazione ignota. Ormai spossato dal lungo vagare, nel tragitto poca voglia mi era rimasta per continuare a pensare, preferivo guardare la primavera. Da lì si scorgeva poco la riva e l’apprestarsi della sera fresca stringeva le capacità visive, la luna sull’acqua gettava l’esca. Lei era lì, bella come mai prima, pallida, splendendo ancora il sole alle spalle della torre, in cima, e aveva uno sguardo incantevole. Di guardarla quasi mi vergognavo perché forse l’avevo ignorata tutto il tempo mentre invano tentavo la ricerca così tanto 21


agognata. E nell’acqua continuava a specchiarsi, scorreva fresco e il fecondo fiume, mentre erano molto meno riarsi i miei pensieri che erano piume. Qui non seppi distinguere dal vero il sogno e non saprò se ci sono mai stato in quella terra davvero, mentre perdevo dell’acqua il suono.

All’alba era verde tutt’intorno, la primavera regnava sovrana su ogni albero di frutti adorno e sui fiori della distesa piana. D’un tratto tracce di esseri umani: c’era un giardino di straordinaria bellezza su quei colli non lontani, c’era il suo dolce profumo nell’aria.

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VII

In un attimo sentivo passare d’improvviso la fresca primavera, arrivare quindi poco a poco il calore torrido dell’estate sui flutti marini di blu profondi; e sentivo scorrere il mio tempo nel momento parimenti sospeso tra la mia primavera e l’estate matura dell’incessante ricerca che mi spingeva da solo a viaggiare verso un fine che non conoscevo: che ora quasi stento a comprendere.

E allora con nell’animo un nuovo canto partivo, forse mai fermato, provando a seguire la primavera per non lasciarla sfuggire, scappare, così mai più poterla rivedere, dovendomi abbandonare all’estate che già incalzava velocemente. Quindi ho cercato un luogo arido e torrido durante tutto l’anno, dove l’estate è solo apparente e dove ho potuto sperimentare quella nuova e continua ricerca di avere una perenne primavera, di fuggire la consapevolezza. Sbarcato nel deserto, attraversavo un rigagnolo scuro di acqua bianca, bianca d’oblio era quell’acqua di Lete, e già dimenticavo il passato 23


ad occhi asciutti guardando il deserto mentre dimenticavo anche l’Eterno e ogni desiderio di conoscerlo o almeno in parte comprenderlo.

Ascoltava la carne la mia mente e ne cercava la soddisfazione poco curandosi del sentimento, d’una affezione o del godimento compiuto del corpo e dell’anima: carne alla carne, piacere al piacere. Di voluttà pregna era la conquista con un cenno fatta, un labile sguardo di ghiaccio in quell’arsura fatale, e ancora più grande era il piacere di conquistar gli animi con facili parole strappate da qualche libro dove gli uomini amavano ancora oltre alla sensualità carnale. Ora ti racconterò di lacrime versate in riva al mare sperando che il ritorno non fosse più amaro della partenza per un breve viaggio: rotta d’amore, era partita piano, lasciandomi a poco a poco andando e sperava che le dolci parole non fossero soltanto il nostro addio, ma la promessa di una caldo amore; invece partendo la dimenticai.

Nel deserto senza rimorso andavo cercando di nuova carne l’aspetto. Ma più correvo incontro al sole e più diventava insignificante solo la nuova passione carnale: finché dopo il deserto, si mostrava verde e rigoglioso una ricca terra.

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VIII

In me si era accesa la passione mai provata di poter rimanere in quella prosperità lì presente, godere fino in fondo la bellezza dello scorrere inesorabile e lento del grande fiume dorato, prezioso, nella valle generoso. E mi aveva promesso un futuro luminoso e una vita felice la vista di quella tranquillità; un semplice spirito di lavoro si faceva strada, la costruzione di una vita di ricerca statica e ferma sempre nello stesso luogo: un senso di pienezza mi invadeva quasi avessi trovato certezze nel vedermi nel prossimo futuro quieto nelle fatiche del lavoro, felice tra le gioie familiari.

Così avrei abbandonato il viaggio. Non era ancora stanco di viaggiare, eppure vedevo nella mia casa uno spiraglio di luce sicura dopo i raggi infuocati del deserto e un punto di riposo tranquillo. Avrei smesso di pensare, sentire la necessità vuota di capire gli ingranaggi che muovono il mondo.

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Quiete perpetua, morte apparente. Di notte vidi muoversi le stelle nel loro armonico ruotare lento; così scorreva liquido il tempo. Lento il lavoro un poco distante mi portava a viaggiare, ritornando ogni sera al consueto mio porto. Scoprii vicina la grotta celeste d’una statua divina in bellezza distesa addormentata su di un letto bianco di marmo, candido colore illuminava la pelle spogliata del pallido calore di una carne animata da umane passioni; correvo quando ormai spuntava l’alba, volevo baciarla, come il mare quando dolce arriva sulla spiaggia, e non ne avevo mai il coraggio. Lì immobile ferma e sicura mi intimoriva solo nel guardarla, ma ogni giorno tornavo gioioso per poter stare un attimo insieme a quella meravigliosa figura. Spossato dalle fatiche, sdraiato ai suoi piedi mi sorprese il sonno e mi svegliai solo a notte fonda, accarezzato da un dolce tocco. Volsi gli occhi increduli in alto, ma mi sembrava ancora un sogno: era lì una creatura divina, viveva quella bellissima statua, e gli occhi di chiarore cristallino mi mostravano la volta stellata. Un inebriante profumo fiorito accompagnava i baci d’ambrosia, i sensi ubriacati di piacere descrivevano attorno un mondo che non avrei potuto immaginare nemmeno nei miei più fervidi sogni. Era magico vivere la notte come una vita inesplorata tutta tesa ad amare la statua. E non voleva altro che l’amassi: l’immortalità era la promessa, il prezzo da pagare la mia morte. E 26


sarebbe stato amore eterno finendo la vita in un abbraccio mortale non avrei vissuto altro che quel logorante amore fatale.

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IX

Germogli di una stirpe mortale fioriamo solo per poi appassire, viviamo per imparare a morire. Ma non avevo ancora imparato; senza più fiato correvo e correvo ancora cercando molto lontano un riparo per riuscire a fuggire. Fuggire la morte e quello sfiorire lento di questo mio corpo mortale: immortali quando si vive, spenti e mai vissuti quando ormai morti, un segno o un’impronta nel marmo lavorato dalla Storia lasciamo usando ingegno, forza e amore così da rimanere indelebili finché ci sarà nella nostra stirpe memoria e nel sangue futuro.

Gocce di pianto scendono dal cielo raccontando meravigliose storie di uomini morti solo per amore, di un coraggio che non avevo avuto; eppure quelli non sono uomini: eroi di un tempo che non ci appartiene, hanno costruito la loro esistenza cercando un bene che va al di là delle soglie egoistiche del proprio io, hanno donato la vita libera di creatori instancabili di poesia.

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E torno indietro da essere umano; nel profondo animo combattuto dopo aver viaggiato facendo niente di quell’universo che ho vissuto. Forse non sapevo ancora amare fuggendo le promesse della mia dea, o già avevo compreso l’inganno celato nelle sue dolci parole: un vorace mostro succhiava vita da ogni mio tenero bacio amante o un demone benigno ne donava? Non posso saperlo e non mi interessa, ma so soltanto di essere scomparso vorticando in un vuoto baratro freddo d’oblio, cercando dove amore mi stesse finalmente aspettando: non l’amore per una bella donna mi attendeva sulla porta di casa, ma un amore che abbraccia ogni cosa e riunisce in un’unica azione: amare. E amare sopra ogni cosa diventa sinonimo di vivere quando si apprezza la diversità, la bellezza del bene e la verità non disvelata alla mente umana, il mistero profondo che nasconde Dio: poesia, nostra unica parola.

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X

E non ha senso parlare pensare cose che non possiamo conoscere finchĂŠ siamo dentro una realtĂ opaca: non esistono sfingi nĂŠ misteri divini e mistici, arte bellezza amore, bene e veritĂ da conoscere oltre il mondo. 30


Dio nella fede l'esistenza permea l'arte di spontanea bellezza è arte in quel gioco di verità e bene universale dove amore non è amore quando diventa parola fuori dal luogo dove nasce, quando entra nella logica e si cerca razionale. A nessuno importa sentirmi parlare di cose senza senso, la logica diffama 31


disprezza scorrendo veloce i pensieri enigmatici nel profondo nascosti celati nella nebbia dell'anima ardenti incompresi e mai chiari, fiore dell'arte poesia è silenzio vuoto respiro fermento di vita.

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