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onMAPS a project by MAPS - Museum of Art in Public Space. concept: DZT design: uzinaliquida cover photo: Stefano Romano All the texts and images are property of the authors and are used with their permission. No part of the material in this publication may be reproduced, without the permission of the authors. Please visit us at: www.the-maps.org Or follow us on Facebook / Twitter Contact: mail@the-maps.org Š DyZeroTre / MAPS - Museum of Art in Public Space, 2015



onMAPS is collaborative project developed as a digital magazine focused on public space realized through contributions of artists, architects, urban planners, writers, thinkers. The magazine is a collection of artworks, photographs, documentation of actions, projects, frames, drawings, illustrations and texts written in the language chosen by the author. A starting point to open a discussion on what it means in general, to work / act / react / in a common space, on how to redefine what we consider public, what public space offers the community and how community access it. About MAPS - Museum of Art in Public Space MAPS - Museum of Art in Public Space is a artist’s run platform founded in 2014 with the aim of promoting contemporary art research that has as its theater, public space in all its forms and derivations. A museum exploded in the city, which allows invited artists to compete each time with different zones, each representing historical and contemporary connotations of city’s iconography. MAPS is a museum that overwhelms / engages / transforms through the production of exhibitions / video screenings / conferences whose focus is always the discussion and dialogue with an area of the city and its social or territorial issues. Because the encounter with art can have the thrill of an uprising, or vice versa art is an uprising because it contains the emotion of people and places met.






Study for a monument DZT collective

Photo, 2014 (on going series) Study for a monument it’s a possibility offered to people to perform their personal idea of a monument. Basically it’s a performance we cyclically set in different situations. A stepladder become the pedestal for people to perform their ideas, in a time when, through the death of the “-isms”, it’s impossible to even think to the solemn idea of monument.

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Trickle Down - Crime Scene Pleurad Xhafa

Photo, 2015 (series) Trickle down - crime scene, is a photo series that focuses on the poorest layer of society; “the homeless�. While the homeless are sleeping, placing a number on each of them, turns these photos into a crime scene in which a judge must condamn the economic theory.

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Public or not public? This is the question di Fabiola Naldi

Credo sia il momento di ristabilire alcune “coordinate” basilari per muoversi, per quanto sia possibile, entro il complesso e disarticolato panorama dell’intervento artistico sviluppato in un luogo o in uno spazio pubblico. Parto perciò dalla prima considerazione di riflettere, sebbene in modo quasi didattico, sul fatto che, dopo oltre un secolo di sconfinamento dai classici dispositivi artistici, il concetto di pubblico è esploso proprio fuori dai canoni prestabiliti: vale a dire che c’è molto altro fuori dal concetto di monumento inteso come soggetto e oggetto commissionato in onore e volontà di una precisa situazione (sia essa storica, sociale, antropologica, artistica). Procedo ancora per piccoli passi aggiungendo, sempre in maniera didascalica, che buona parte delle produzioni contemporanee sono intrinsecamente pubbliche nella misura in cui il fruitore, lo spettatore, il cittadino diviene codificatore e facilitatore dello stesso intervento. Ancora, avanzo un’altra “banale” riflessione circa la possibilità (che è nell’attualità dei fatti) di aggiungere all’extra artistico consolidato dalle precedenti Avanguardie la tanto compiaciuta esplosione dell’arte urbana. E’ impossibile in questo contesto una, seppur breve, introduzione storica ad un fenomeno che nasce con tutte le caratteristiche di una pervasiva Avanguardia in grado di ramificarsi ed estendersi oltre le iniziali credenziali interne. Certo, c’è stato un tempo tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta in cui un manipolo di personaggi provenienti da diversi ambiti (graffiti, fotografia, grafica) abbandonarono la bomboletta per riportare sulla superficie della città altre modalità espressive, altri contenuti, altri impegni che non sempre sono presenti nella “vecchia” disciplina del Writing. Sono questi i casi, con scarti di pochi anni, di personaggi come, fra i molti, Blek Le Rat, Andrè, Bansky, Obey, Miss Van, JR, Honet. Molto velocemente, e grazie alle operazioni mediatiche di Bansky, un approccio illegale, vandalico, socialmente impegnato, si espande a macchia d’olio su buona parte dell’Occidente, aprendo al nuovo millennio come una pratica estetica in grado di far saltare tutti i 18

confini artistici grazie a una “apparente” libertà comunicativa, espressiva e sociologica. Arrivo quindi all’oggi, cosciente di aver lasciato il lettore nelle mani di altre ricerche per connettere i vari punti, ma ancora una volta la sede mi permette di lavorare sull’attualità e meno sullo storico. Con poco più di 20 anni di storia alle spalle la fetta di arte urbana che vede coinvolta la Street Art (sia essa declinata in Poster Art, Stencil Art, Drawing Art, Sticker Art) sta prendendo il sopravvento entro i termini di occupazione di territorio. Per essere più chiara, ciò che sta sempre più avvenendo è una massiccia espansione fisica di una considerevole quantità di micro e macro progetti legati alla riqualificazione di superfici urbane che necessitano di un rinnovato abbellimento esteriore in grado di supportare la nuova, quanto preoccupante, teoria internazionale della gentrification. Nonostante il termine possa apparire come qualcosa di misteriosamente oscuro e pericoloso, in alcuni casi, le operazioni urbanistiche e antropologiche realizzate per città come Parigi, Londra, Berlino, Lisbona sono in parte risultate propositive per il riassetto sociale di aree estreme o periferiche. Questo con qualche ritardo sta accadendo anche in Italia e qui la situazione si fa più complessa. Lo scenario in cui sempre più si sta intervenendo sul territorio nazionale è molto più articolato e strutturato di quanto non sia già accaduto per i casi citati: le aree immediatamente periferiche su cui si sta intervenendo non sono solo semplici luoghi sedimentati da un’architettura residenziale. Molte delle aree dove si è iniziato a lavorare sono “cuori” storici e antropologici di città millenarie che, nel tempo, hanno a loro volta sedimentato storia, cultura e tradizione. Ancora, le superfici su cui spesso si opera sono a loro volta testimonianze architettoniche di un passato artistico molto importante lasciate però “deperire” sotto la stretta maglia della complessità economica in cui si trova il nostro Paese. Torna allora molto comodo intervenire solo sulla superficie apparente, in una sorta di “abbellimento” istantaneo prono alle esigenze delle amministrazioni locali. A dire il vero i casi in cui que-


sta iniziale esigenza pubblica ha poi prodotto testimonianze e operazioni di alto livello sono accadute e sono tutt’oggi visibili in città come Torino, Bologna, Roma, Campobasso (solo per citarne alcune). Ma l’ultima tendenza non premia la ricerca, la volontà curatoriale, le scelte artistiche operanti con forza in questo panorama urbano sempre più allargato; accade invece una sorta di speculazione estetica che mira a “buttare” sempre più colore sulle facciate senza argomentare, ricercare, operare scientificamente in un ambito così ampio quale è quello dell’arte urbana. C’è inoltre da aggiungere che improvvisamente gli autori “muralisti” sono esplosi numericamente quasi a dire che basta essere in grado di dipingere per potere realizzare un’impresa di tale portata. Si tiene ovviamente ferma la posizione che l’operatore culturale attuale sia in grado di “piegare” i dispositivi a proprio piacimento ed esigenza, sottolineando con forza quanto voluto dalle Avanguardie del Novecento; ciò nonostante l’intervento in esterno non è direttamente proporzionale alla dimensione.

agendo solo sulla dimensione, sull’impatto visivo e sull’apparente attività partecipativa produce, ora più che mai, una serie di precedenti reattivi solo alla crescita di questa grande Avanguardia. Il rischio quindi potrebbe essere che nell’intento (così come accadde per il Writing istituzionalizzato nella prima metà degli anni Ottanta) di supportare, promuovere, ampliare le discipline si proceda invece a un’operazione contraria nella quale l’arduo lavoro portato avanti in più di dieci anni di lavoro pubblico venga rovinato da una sorta di analfabetismo visivo e culturale di ritorno.

La realtà attuale vede quindi un impoverimento culturale a favore di un arricchimento quantitativo atto a cavalcare “l’onda anomala” del compiacimento visivo, dello spauracchio partecipativo, del progetto trasversale pronto, solo in apparenza, a evidenziare le nuove proposte visive. Tali progetti si intersecano con il territorio, parlano agli abitanti (almeno questo è quello che sembra) ma vengono a mancare caratteristiche fondamentali non solo legate all’arte pubblica (come la riflessione sul site specific o context specific) ma a tutto il processo intenzionale e concettuale presente storicamente all’interno di questa porzione di produzione estetica. Pensare che questi interventi debbano restare nel sottobosco dell’underground estetico o solo a realizzazione di quelle associazioni culturali che operano direttamente sul territorio (e che spesso non hanno nessun rapporto scientifico con gli autori che agiscono da tempo all’interno della disciplina) dichiarerebbe un oltranzismo estetico che la stessa storia dell’arte ha tentato di cancellare; ma, allo stesso modo, ritenere di potere indistintamente operare sul territorio murale 19


The Demonstrators Network Nomadic Architecture

Stefanos Chandelis,Nikos Kazeros Athens, Eleni Tzirtzilaki

Action, Monastiraki Square, Athens, 24/10/2015 With residence auctions approaching, unemployment, poverty and insecurity rising, with their vision having been discredited, the number of demonstrators increases in the city of Athens. They became more numerous, no one stays at home, they came out onto the streets. The police are chasing them. The center of the city is a war zone. The demonstrators wear masks to protect themselves from chemicals, run to escape but also, in symbolic terms, struggle to breathe and they find refuge to the ancient Agora. At the eminently public place of the Athenian Democracy. Agora (market) –the word derives from the ancient Greek word “ageiro” meaning gather-. Their escape is a symbolic gesture, a last effort to call Democracy. The demonstrator places her body inside the Ancient Agora, comes out of the Agora, is headed to a squaresymbol, the Monastiraki Square. At the Ancient Agora and by the river Eridanus she reads: The demonstrators came here to seek silence they left the barricades their steps in old dirty army boots stained with the city’s dirt with the blood of those injured who are the unemployed, the poor of the city those who lose their homes because of the auctions they were led here 20

here are the birds the butterflies Democracy is here uprising is here the city is outside a black bird the sound of the train AGORA the war expands up to here shattered people, men and women the flight of the birds now the city like a cheap calico fabric fades away and its people, its rubbish the girls in black from the block of flats run to hide among the statues, the bay laurel trees and the plane trees The stray dog Loukanikos was there among the tourists when the demonstrators entered the temples, they found a shelter behind the statues the city alone the city poor speechless demonstrates broken days broken poems they got there to the place of old times of Democracy their faces love and great despair hidden in the black their breaths taken away then and now then her skin was in pain among the bay laurel trees they were walking and at those black birds whose name she forgot


among the ancient ruins she was now today Electra this afternoon the tourists left chased by the stray dogs the demonstrators and Loukanikos, the stray dog, stayed in the Agora that night they slept among the ancient ruins Agora was a labyrinth then our bodies wrapped In the labyrinth tight hugs kisses voices we fall in love our steps in old dirty army boots are lost again as they are headed to the square. Poema, Eleni Tzirtzilaki

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Playground Bora Baboรงi

Drawing, 2014 (series)

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Making a Whole Giancarlo Norese

Photos (diptych), Fresco in Crotta d’Adda, Italy, 2008

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Αρχαία Αγορά -Μοναστιρακι Network Nomadic Architecture Δράση στον Δημόσιο Χώρο: Νικος Καζέρος,Ελένη Τζιρτζιλάκη, Στέφανος Χανδέλης nomadikiarxitektoniki.net 24-10-2015 το απόγευμα ,διαδρομή Αρχαία Αγορά Μοναστηράκι

Με τους πλειστηριασμούς κατοικιών που πλησιάζουν,με την ανεργία τη φτώχεια και την επισφάλεια να αυξάνονται, με τα οράματα τους να εχουν απαξιωθεί οι διαδηλωτές πληθαίνουν στην πόλη της Αθηνας γίνονται πολλές-πολλοί, κανείς δεν μένει σπίτι του,βγαίνουν στους δρόμους.Η αστυνομία τους κυνηγάει.Το κεντρο είναι πόλεμος.Οι διαδηλωτές φορούν μασκες για να προστατευτούν απο τα χημικά,τρέχουν για να ξεφύγουν αλλά και σε συμβολικό επίπεδο για να βρουν ανάσα, κλεινονται στην αρχαία Αγορά. Στον κατ εξοχήν δημόσιο τόπο της Αθηναικής Δημοκρατιας. Αγορά-αγείρω-συγκεντρώνω.Η φυγή τους εκει είναι μια συμβολική κίνηση μια ύστατη πράξη καλέσματος της Δημοκρατίας. Η διαδηλώτρια τοποθετει το σώμα της μέσα στην Αρχαία Αγορά βγαίνει απο την αγορά κατευθύνεται σε μια πλατεία σύμβολο στη πλατεία στο Μοναστηράκι. Στην Αρχαία Αγορά και δίπλα στο ποτάμι Ηριδανός διαβάζει : Οι διαδηλωτες ήλθαν εδω ν αναζητήσουν τη σιωπή άφησαν τα οδοφράγματα τα βήματά τους μέσα σε άρβηλα παλιά λερωμένα απο τη βρώμικη πόλη απο το αίμα αυτών που χτυπήθηκαν που είναι οι άνεργοι, οι φτωχοί της πόλης αυτοι που χανουν το σπίτι τους στους πλειστηριασμούς τους οδήγησαν εδω εδω τα πουλιά οι πεταλούδες εδω η Δημοκρατία εδω η εξέγερση η πόλη έξω ενα μαύρο πουλί ο ήχος του τρένου ΑΓΟΡΑ ο πόλεμος φτάνει ως εδω εκείνες θρυμματισμένες εκείνοι θρυμματισμένοι το πέταγμα των πουλιών τώρα η πόλη 48

σαν φτηνό τσίτι ξεθωριάζει και οι άνθρωποι τα σκουπήδια της τα μαυροφορεμένα κορίτσια απο τις πολυκατοικίες έτρεξαν να κρυφτούν ανάμεσα στ αγάλματα στις δάφνες και στους πλατάνους ο αδέσποτος Λουκάνικος ηταν εκει ανάμεσα στους τουρίστες όταν οι διαδηλωτές μπήκαν στους ναούς προφυλάχθηκαν πίσω απο τα αγάλματα. η πόλη μόνη η πόλη φτωχή άφωνη εξεγείρεται σπασμένες ημέρες σπασμένα ποιήματα πήγαν εκεί στον τόπο του άλλοτε της Δημοκρατίας τα πρόσωπά τους έρωτας και σκληρή απελπισία κρυμμένα του μαύρου ήτανε οι αναπνοές τους κομμένες και τότε και τώρα τότε το δέρμα της πονούσε ανάμεσα στις πικροδάφνες περπατούσανε και σ εκείνα τα μαυριδερά πουλιά που ξεχνούσε τ ονομα τους ανάμεσα στ αρχαία τωρα ήτανε. σήμερα Ηλέκτρα σήμερα το απόγευμα οι τουρίστες έφυγαν κυνηγημένοι απο τα αδέσποτα στην Αγορα μείναν οι διαδηλωτές και ο αδέσποτος Λουκάνικος εκείνη τη νύχτα ανάμεσα στα αρχαία θραύσματα κοιμήθηκαν η Αγορά ήταν λαβύρνθος τα κορμιά μας τοτε τυλίγονται


στον λαβύρινθο αγκαλιές σφιχτές φιλιά φωνές ερωτευόμαστε τα βήματά μας μέσα σ άρβηλα παλιά λερωμένα χάνονται ξανά καθώς κατευθύνονται στη πλατεία. Το ποιήμα γράφτηκε από την Ελένη Τζιρτζιλάκη

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Estratto dell’intervista di Marta Gracia a Stefano Romano sul progetto 1.60insurgent space (Tirana 2005/2006)

Marta Gracia (MG): La prima domanda è molto semplice…come, quando, dove è perché nasce l’idea di 1.60insurgent space? Stefano Romano (SR): Nasce più o meno a settembre, ottobre del 2004 a Tirana, per una serie di motivi. Primo perché mi ero accorto che in Albania si considerava arte solo quello che veniva presentato ed esposto nella Galleria Nazionale. Invece a me sembrava molto più interessante quello che succedeva in città perché era tutto in continua trasformazione: c’erano palazzi case abusive, che venivano distrutte, locali abusivi che venivano chiusi e altri venivano aperti al loro posto… Una serie di rovine che si riabilitavano giorno dopo giorno. E quindi mi era molto più interessante poter utilizzare questi spazi che mi sembrava avessero molte più cose da dire rispetto al “white cube” classico della galleria. Cioè erano degli spazi che in più avevano delle storie dentro. Però non volevo appropiarmene trasformando uno spazio come per esempio una palestra in uno spazio per l’arte contemporanea, ma volevo avere la possibilità di usare solo per un giorno spazi diversi della città per mostrare il loro potenziale creativo e poi lasciare che tornassero alla loro vita, al loro decadimento… E così a gennaio 2005 parte il progetto 1.60insurgent space con una prima mostra. MG: Che cosa qualifica uno spazio come “insorgente”? e che cosa qualifica uno spazio come “istituzionale” dal punto di vista di 1.60insurgent space? SR: Il termine “insurgent” è mutuato dall’architetto Giancarlo Paba che lo descrive in un suo testo in un’accezione positiva; come non avesse a che fare con un’idea di rivoluzione violenta, distruttiva, ma al contrario utilizzandolo nella descrizione di concetti che io ritengo molto importanti per lo sviluppo della cultura. Il termine era propositivo e positivo. Lui definiva questi spazi insorgenti come degli spazi che potevano trasformare la realtà attraverso delle pratiche collaborative. Per me questi concetti sono fondamentali: quello di proposizione e di trasformazione della realtà attraverso la collaborazione. 50

In 1.60insurgent space la collaborazione avveniva attraverso la partecipazione di tutte le persone che ruotavano intorno il progetto (lo staff), il luogo che noi sceglievamo per fare una mostra (quindi tutto lo sforzo di cercare il luogo adatto, ecc, ecc.) e l’artista che decidevamo di invitare, per via della sua ricerca, a pensare un progetto per quel luogo. Quindi tutti questi intrecci alla fine riuscivano a trasformare quello spazio, quella realtà in qualcosa di propositivo, di positivo, una nuova visione dello spazio, una nuova percezione di quello spazio. Uno spazio istituzionale dal punto di vista di uno spazio “insurgent” era uno spazio senza alcuna storia da raccontare. Cioè uno spazio che aveva perso quella potenza narrativa che ha la realtà, forse perché troppo chiuso su sè stesso forse perché la pulizia, la perfezione del “white cube” lascia fuori la vita stessa, la narrazione stessa, cose che a me interessavano particolarmente. MG: Che relazione c’era tra gli spazi insorgenti e gli spazi istituzionali a Tirana nel momento in cui si svolgeva 1.60insurgent space? SR: Quando 1.60insurgent space è iniziato non c’era nessuna relazione tra spazi così detti insorgenti e spazi istituzionali a Tirana… nel senso che di spazi istituzionali in quel momento c’era solo la Galleria Nazionale. Non c’erano neanche delle gallerie o altri spazi che poi piano piano negli anni hanno cominciato ad aprire. Quindi nessuno aveva idea di che cosa volesse dire uno spazio insorgente. Quando è iniziato 1.60insurgent space si è creata una relazione con la Galleria Nazionale perché all’epoca il curatore era Edi Muka che si è subito interessato al progetto dandoci uno appoggio logistico, quindi se ci servivano videocamere o attrezzature, ecc, la Galleria Nazionale collaborava con noi. Questo spazio insorgente, aveva costruito una relazione con uno spazio istituzionale perché lo spazio istituzionale era l’unico spazio esistente, tutto si faceva lì…quindi la Galleria Nazionale doveva avere delle entità multipli: doveva


essere la Galleria Nazionale, doveva essere lo spazio per i giovani artisti, doveva essere anche uno spazio di riflessione ma anche uno spazio di protesta, era tutto lì. Invece 1.60insurgent space ha contribuito ad allargare la possibilità di fare altrove. MG: Che relazione c’è in questo momento tra gli spazi insorgenti e gli spazi istituzionali a Tirana? che cosa è cambiato?

[...] Barcellona - Tirana, Ottobre 2015 L’intervista è stata realizzata via skype in italiano; la versione integrale verrà pubblicata all’interno del catalogo del progetto 1.60insurgent space.

SR: 1.60insurgent space è stato pionieristico come progetto, sicuramente il primo iniziato in Albania in questo senso e oggi ci sono tanti altri che in qualche modo sono figli di quello che è stato 1.60insurgent space. Parlare di relazioni tra questi spazi è molto difficile per la realtà albanese. Nella realtà albanese le istituzioni non comunicano tra di loro quindi è difficile pensare che ci puo essere una relazione tra un’istituzione e uno spazio che non si considera tale ma uno spazio alternativo. Relazione non è probabilmente la parola esatta ma sicuramente adesso c’è molta più vitalità culturale, ci sono molte più alternative. Tanti scelgono oggi di utilizzare spazi in disuso, per esempio vecchie fabbriche che cercano di essere riadattate per spazi espositivi, e questo ha creato un fermento che inevitabilmente si riflette anche sugli spazi istituzionali. Però in qualche modo non c’è ancora un equilibrio. Cioè lo spazio istituzionale ha ancora un grande vantaggio rispetto agli altri, almeno agli occhi di chi organizza e per il pubblico locale. MG: Quindi non sono cambiati gli spazi istituzionali in questi anni? SR: Purtroppo no, nel senso che quelli più importanti (torniamo alla Galleria) sono guidati attraverso cariche politiche, hanno un budget legato allo Stato e quindi è difficile che, per la situazione globale che ha l’Albania, possano proporre chi sa cosa. Ci sono dei tentativi degli sforzi che lasciano il tempo che trovano anche per via della mancanza di collaborazione col resto della vita culturale albanese. Secondo me ci sono degli spazi alternativi molto più interessanti. 51


VALLEY OF SNAKES Armando Lulaj

3D render, 2015 Overall object dimensions: 98m2 Linear object length: 80m Object installation length: 34m Bunker diameter: 2m Body diameter: 1.3m Render/Design: Cristian Romano Six Quotes by Armando Lulaj 1- I can’t stand artists. I’ve never, ever liked artists. Going now to know someone at the other side of the valley. 2- In Albania, there needs to be a change in the artist’s role. The worst thing for me is seing artists in the role of the court composer and bridesmaid. You see established artists doing this today and the young generation is following in their steps. So I tell myself why not be a killinjoy and see what happens. 3- I have seen a broken tree trying to generate new leaves. Though it was generating new leaves, it was always broken. This new genration of artists in Albania il like a broken tree. Impossible to save it. 4- I do things whose meaning I don’t know, but I know there is something hidden to be explored. I always wait for the best interpretation to come. 5- The audience is getting worse year after year. They can jump on my dick for years as I can put up with them. What I can’t stand is that they can’t give me an orgasm. They aren’t fun. Too conservative to understand art. 6- This new contemporary is like pushing the average to the edge. 52


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Publike/ Kolektive/ E përbashkët Eri Çobo /DZT

Diskutohet gjithmonë e më shumë sot në Europën Perëndimore, kriza e hapësirës publike, e lidhur në mënyrë të pandashme me krizën politike, ekonomike të kudondodhur. Edhe pse në një tjetër dimension edhe në shoqërinë shqiptare hapësira publike po përjeton krizën e vet, që nuk përngjet aspak me atë të qyteteve europiane, pasi nëse në Milano apo Rotterdam sot diskutohet mbi cilësinë e përdormit dhe aksesit në hapësirat publike, në qytetet tona ndihet nevoja jo vetëm e përcaktimit të dimesionit territorial dhe social të saj, por edhe e edukimit qytetar mbi të mirat publike. Personalisht i atribuoj termit “hapësirë publike” një domethënie shumë më të gjerë sesa ajo gjeometrike që lidhet ngushtësisht me projektimin arkitektonik: sigurisht, është hapësirë publike sheshi, rruga, parku, por janë gjithashtu hapësirë publike edhe standartet urbanistike, janë hapësirë publike politikat e strehimit të një vendi; janë hapësirë publike ofrimi i shërbimeve për të gjithë banorët: që nga arsimi, shëndetsia, punësimi, e deri tek kultura; është hapësirë publike mundësia e çdo qytetari për të marrë pjesë në jetën e qytetit dhe institucionet e tij. Për të kuptuar formën dhe rolin që sot merr hapësira publike në Shqipëri, dhe për të vlerësuar impaktin e publikut/komunitetit në të dhe anasjelltas, duhet të kthehemi pas e të analizojmë shoqërinë shqiptare dhe mënyrën e të jetuarit të territorit; por nuk është qëllimi në vetvete analiza historike e sistemeve politike në vend, edhe pse është i rëndësishëm ndikimi i i tyre i drejtpërdjetë në zhvillimet urbane, por ajo çfarë vlen të analizohet dhe merret në studim është perceptimi i shoqërisë mbi çka është publike/ kolektive/ e përbashkët; ky tekst reflekton mbi krizën e dimensionit publik të hapësirës në Shqipëri. “Qyteti dhe territori i përkasin në mënyrë të paevitueshme eksperiencës së përditshme të të gjithëve […] ajo çfarë kemi para syve, është arkivi i pafund i shenjave, materialeve të lëna në territor nga vet ne dhe nga paraardhësit tanë, është rezultati i grumbullimit të këtyre vendimeve” (B.Secchi), pra mund të pohojmë 56

se marrëdheniet që kanë ndërvepruar në periudha të ndryshme midis formës së hapësirës dhe përdorimit që i është bërë asaj, janë pasqyrë e marrëdhënieve shoqërore e kulturore të një vendi. Nuk mund të analizohet hapësira publike e shkëputur nga qyteti si një stukturë urbane dhe sociale, pa të cilën ajo nuk mund të ekzistojë. Për Herbert Gans “Hapësira publike e propozuar nga projektuesit është veçse një ambjent potencial; sistemi shoqëror dhe kultura e njerëzve që do ta përdorin, përcaktojnë deri në ç’pikë ajo hapësirë do të jetë një ambjent efektiv”, dhe nëse do ti referoheshim përkufizimit të hapësirës publike sipas ligjit aktual të Planifikimit dhe Zhvillimit të Territorit nr.107/2014 neni 4/1, e përcakton atë deri diku sipas modelit tradicional, por njëkohësisht vë në diskutim atë çfarë ky model ofronte: “hapësira e jashtme, trotuari, rruga, sheshi, lulishtja, parku e të tjera të ngjashme, në shërbim të komunitetit, ku menaxhimi mund të jetë publik dhe/ose privat. Hapësira publike përfshin rrugkalime publike dhe mjedise që janë të hapura për publikun ose në shërbim të përdorimit publik, pavarësisht nga regjimi juridik i tokës dhe përtej përcaktimeve të pronës publike”. Rikonfirmohet si “publik” çdo territor që përdoret nga publiku, edhe pse mund të jetë pronë private, çka mbetet ende e vështirë për t’u perceptuar në mentalitetin shqiptar. Garantimi i cilësisë së jetesës urbane sot në qytetet tona, teorikisht përcaktohet në planet territorial përmes llogaritjeve të hapësirave publike për ndërtimin e infrastrukturave në raport me popullësinë e pritshme, sipas standarteve të posaçme; praktikisht realizimi i këtyre hapësirave shoqëroret me proçese të gjata shpronësimi për interes publik, që shpesh evitohen për shkak të kostove të larta në kurriz të publikes. Përtej terminologjisë së instrumentave ligjor, vlen të theksohet që aktualisht në Shqipëri kriza e hapësirës publike nis nga mungesa e perceptimit të saj si “e mirë e përbashkët”, shkaktuar kjo edhe nga korrelacioni që është ndërtuar midis hapërsirës si territor dhe pronësisë prublike/private. Arsyet strukturore që kanë çuar në një të tillë krizë


lidhen drejtpërdrejtë me dominimin e të drejtave të pronësisë private mbi çdo tjetër të drejtë, që është dhe baza e sistemit legjislativ sot në vend, që në këto vite të tejzgjatura tranzicioni tenton të theksohet përtej çdo limiti, duke e konceptuar të drejtën për të ndërtuar të lidhur në mënyrë të pandashme me pronën. Është e njohur çfarë ndodhte me territorin para viteve ’90, për të qënë korrekte me referencat e mësipërme ligjore vlen të citoj Kushtetutën e Republikës Popullore Socialiste të Shqipërisë (RPSSH) – e Miratuar nga Kuvendi Popullor më 28.12.1976 neni 16 dhe 18: “Ekonomia e RPSSH është ekonomi socialiste, që mbështetet në pronën socialiste mbi mjetet e prodhimit. Në RPSSH nuk ka klasa shfrytëzuese, janë zhdukur dhe ndalohen prona private e shfrytëzimi i njeriut prej njeriut. Prona shtetërore i përket gjithë popullit dhe është forma me e lartë e pronës socialiste. Janë pronë vetëm e shtetit: toka dhe pasuritë e nëntokës, minierat, pyjet, kullotat, ujërat, burimet natyrore të energjisë, uzinat, fabrikat, SMT, bankat, rrugët e komunikacionit dhe mjetet e transportit hekurudhor, ujor e ajror, postat, telegrafet, telefonat stacionet e radios dhe të TV, kinematografia. Pronë e shtetit është edhe çdo pasuri tjetër që krijohet në sektorin shtetëror ose që shteti fiton sipas ligjit.” Duke lexuar sot “prona shtetërore i përket gjithë popullit”, kujtoj propagandën dhe ideologjinë totalitare të atëhershme, ku gjithçka ishte e shtetit, shteti ishte populli, e populli ishte askush! Më është dukur gjithmonë intresant fakti se si hapësira publike, para viteve ’90, përkufizohej “pronë e përbashkët”: përdorej termi “pronë” që nënkupton: përvetësimin e të mirave materiale; dhe “e përbashkët” që lidhet përkatësinë e sendeve, përdorimin dhe shfrytëzimin nga i gjithë populli. Pashmangshmërisht hapësira lidhej me posedimin, edhe pse të drejta reale mbi të, qytetarët nuk kanë patur kurrë. Edhe vet qyteti konsiderohej si “pronë e përbashkët” ku “shteti” përcaktonte funksionet dhe hapësirat përkatëse, në mënyrë që të garantohej “mirëqënia socialiste”. “E drejta mbi qytetin – shkruan Henri Lefebvre në 1968 – praqitet si forma më e lartë e të drejtave, si e drejta e lirisë, e individualizimit në shoqërizim, e strehimit dhe vendbanimit. E drejta mbi

veprën (aktivitetit pjesëmarrës) dhe e drejta e përdorimit (që është krejt ndryshe nga e drejta mbi pronën) nënkuptohen në të drejtën mbi qytetin.”. Sigurisht që në një sistem diktatorial nuk mund të flitej për të drejta, ndaj dhe mungesa e mosnjohja e tyre, u reflektua në reagimin e shoqërisë pas viteve ’90, rebelimi ndaj diktaturës, mohimi i gjithçkaje që kishte të bënte me të shkuarën, përballja traumatike do të thoja, me ndryshimin e sistemit të pronësisë të territoreve, ku “prona e përbashkëta” u kthye në prona e askujt! Hapësira e qytetit, në mënyrë të veçantë ajo publike/ kolektive, konsiderohet si një indikator i rëndëshishëm i transformimeve sociale. Nga njëra anë mjaftë studiues, në periudha të ndryshme, kanë konceptualizuar në mënyrë shpesh herë të sofistikuar hapësirën urbane të jetës në publik si hapësirë publike, kolektive dhe të hapur (Cerasi, 1976; Morandi, 1996). Nga ana tjetër duke u përqendruar në termin “hapësirë”; një sërë reflektimesh kanë evidentuar rolin e dijes dhe të eksperiencës “së përbashkët” në lidhje me zgjidhjet urbanistike. Përdorimi kolektiv i hapësirës është prezantuar gjithmonë si një bashkësi përdorimesh kolektive të shumëllojshme. Është vendi “i aftë të mbajë evente të ndryshme të paparashikueshme, spontane ose jo, ku njerëz me sjellje dhe intreresa të ndryshme marrin pjesë çdo ditë në mënyrë të natyrshme në aktivitetet kolektive. Në të kundërt nuk mund të konsiderohen kolektive hapesirat monofunksionale (Chermayeff, Tzonis, 1968). Në fakt hapësira publike është elementi fizik qendror i prodhuar nga një sistem shoqëror, ekonomik e kulturor që transformohet në territor dhe në kohë. Pati një moment në ndryshimin e sistemeve politike në Shqipëri, ku sheshet dhe rrugët u bënë arenë politike, vend i prezencës, shfaqjes, ndërveprimit, aksionit dhe reflektimit politik. Janë pjesë e historisë tonë tanimë protestat në sheshin Skënderbej, hapësirë që sot ka humbur totalisht rolin si vend i takimit fizik dhe politik, si rezultat i një krize më të përgjithshme të së mirës publike dhe qëllimeve të përbashkëta, si pasojë, nga ana tjetër, e vendimeve politike dhe ndryshimeve 57


sociale që lidhen me logjikën e re të konsumit dhe individualizmit. Qasja që kemi sot në të gjitha nivelet, qoftë si vendimmarrës, projektues, apo dhe si qytetarë ndaj hapësirës publike është produkt konfuz i këtij forma mentis. Arsyet ideologjike të krizës së karakterizon dimensionin publik të hapësirës lidhen me degradimin e njeriut publik, individualizmin si esenca e sistemit kapitalist. Sot shohim se si hapësirës publike i korrespondojnë përgjithësisht vetëm dimensioni i prezencës dhe dukjes, ashtu siç qartësisht mungon dimensioni politik dhe i veprimit. Edhe pse takimi dhe shkëmbimi që mund të ndodhin në këto hapësira ende konsiderohen themelore për formimin e tolerancës dhe aftësinë për të bashkëjetuar me njëri-tjetrin, dimensioni i shfaqjes politike, formimit dhe edukimit qytetar, duket se tashmë është zhvendosur në hapësira të tjera komunikimi duke bërë kështu që hapësira publike ta humb rolin e arenës për diskutim dhe veprim politik. Rimerret koncepti hapësirës publike në blog-e, rrjete virtuale, në Facebook/Twitter çdokush prezanton idetë e tij lirshëm, si në një shesh (pamvarësisht se përbën një debat më vete përdorimi i këryre portaleve), praktikisht është një hapsirë e aksesueshme nga kushdo, por qartësisht mungon përgjegjshmëria kolektive e shprehjes. Për ta mbyllur aty ku nisi, tek kriza e publikes në hapësirë: fjala “krizë” vjen nga greqishtja κρίσις dhe do të thotë “të vendosësh”. Pra kriza është një moment ku imponohet zgjedhja; është një moment përballje; kriza mund të jetë fatale, por mund të jetë edhe pjellore. Mendoj se kriza që sot shoqëron debatin mbi hapsirën publike duhet parë si një mundësi për ta rimenduar atë, çka detyrimisht nënkupton dhe të ripërcaktosh linjën që ndan çfarë është publike me çfarë është private, në kërkim të mbivendosjeve dhe të zonave hibride, ka ardhur momenti të diskutohet jo vetëm mbi dimensionin arkitektonik të hapësirës por dhe dimensioni social e kulturor i saj.

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