14 | Novembre 2011
Fratel Giancarlo
a cura di Alessandra Borghi
Fratello dell’Opera Don Calabria Nato a Gonzaga (MN) nel 1949, fratel Giancarlo Conato decide presto di diventare Religioso Fratello dell’Opera Don Calabria, non sacerdote: gli impegni e i voti sono gli stessi, ma non celebra la messa e non amministra i sacramenti. Parte per la Romania il 10 ottobre 1997, su proposta del suo superiore dell’Istituto Don Calabria di Verona. L’attività inizia a Tamaseni, insieme al confratello don Manuel Oliveira. Nel luglio 1998 la comunità si
trasferisce definitivamente a Ràcàciuni, in provincia di Bacàu, nella regione della Moldavia rumena. La Fondazione Cattolica S. Giovanni Calabria si propone, secondo lo spirito del suo fondatore, di aiutare bambini e ragazzi, poveri e ammalati, attraverso le dovute cure, un’assistenza morale e sociale, un’istruzione, una formazione anche professionale per una vita vissuta con dignità e ispirata a sentimenti di solidarietà.
Essere missionario nel lontano Bangladesh Oltre i Monti Carpazi, nella parte nord-orientale della Romania, opera da oltre un decennio il missionario Giancarlo Conato. Il suo impegno, qui, è quello di servire la Comunità di Ràcàciuni come “amico” dei giovani, responsabile insieme alle famiglie della loro formazione umana. Ma i tanti anni di governo comunista sono ancora una remora che fatica a scomparire e che rende più difficile il suo lavoro. I tempi di Ceausescu e delle proteste contro la miseria innescata dalla sua politica fallimentare hanno scalfito in modo indelebile la vita dei rumeni. Così si pronunciava la Sig.ra Ceausescu, ufficialmente nota come “La Migliore Madre che La Romania Potesse Avere”: «I vermi non sono mai sazi, per quanto si dia loro da mangiare». Quando Fratel Giancarlo giunse a Ràcàciuni per la prima volta, la situazione era disperata e di quella che sarebbe diventata la sua “Casa” non c’era quasi nulla. «La “prima pietra” fu posata nel 1991, dopo la caduta del governo di Ceausescu. Ma i lavori della chiesa si protrassero per alcuni inverni. Durante le celebrazioni il vento portava sempre con sé un po’ di neve, tra il disappunto degli adulti e il divertimento dei bambini; la temperatura non superava mai i 10° sotto lo zero». Com’è cambiato da allora il grado di povertà della comunità di Ràcàciuni? «Da un lato, in meglio: una maggiore disponibilità economica, il lavoro di tanti all’estero, gli interventi da parte dello Stato, un desiderio crescente di riscattarsi dalla vita passata. Tutto questo è alla base di numerosi cambiamenti, diciamo così, “esteriori”. Dall’altro, però, è cresciuto il dislivello tra chi ha un lavoro e uno stipendio garantito, e la gente povera, sempre più povera. La maggior parte della popolazione “ràcàciumena” lavora nel settore agricolo, ai limiti della sopravvivenza. Soltanto un numero esiguo trova impiego nelle industrie della città di Bàcau e il tasso di disoccupazione è del 35%». “Crisi economica”, è ormai l’eco di un’epidemia internazionale. Quali le ripercussioni in Romania? «Tra le più forti. In diverse parti del Paese è aumentata la percentuale delle persone in cassa integrazione; non si accordano più soldi per gli interventi sociali e le entrate familiari sono diminuite sensibilmente. Il numero dei bambini poveri rumeni e il tasso di abbandono scolastico nelle zone ru-
rali del Paese è triplicato». Questo accresce il valore dei progetti sociali dell’Opera Don Calabria. Come insegna il vostro statuto, il problema da affrontare con maggiore urgenza è quello educativo, di tanti giovani altrimenti destinati all’emarginazione. Cosa significa, in Romania, essere poveri, ma sopratutto essere con i poveri? «Parliamo di povertà a tre livelli: economico, spirituale, culturale. In questi anni ho cercato di prendermene cura realizzando un Centro Diurno per bambini tra i 7 e i 14 anni, con problemi scolari e sociali. Per chi, provenendo da famiglie particolarmente povere, non può frequentare la scuola, è nato il progetto delle Adozioni a Distanza. G.R.E.F., invece, è una specie di grest estivo, aperto a tutti». Ha gli occhi pieni di luce, Fratel Gian-
carlo, quando parla dei suoi bambini. Ama questa terra, la sua gente. La speranza è quella di poter restare ancora a lungo, per realizzare almeno altri due progetti che porta nel cuore: «Garantire un pranzo giornaliero ai bambini del Centro che, spesso, rientrati a casa, non trovano nulla da mangiare; e realizzare una piccola biblioteca che dia loro la possibilità di consultare materiale didattico e libri di lettura». La tua missione si prefigge degli obiettivi a carattere sociale e “socializzante” molto alti nei confronti dei giovani. In questa terra, comunicare significa parlare rumeno; professare la propria fede essere, generalmente, ortodossi. Non deve essere stato facile per te guadagnare la fiducia delle famiglie. «La lingua è stata senz’altro la prima difficoltà. Il rumeno è una lingua neolatina ma, a quasi 50 anni di età, la capacità di apprendimento e di inserimento non è stata facile. Oggi il mio rapporto con la gente è ottimo. Ne ho avuto prova, per la prima vol-
Fratel Giancarlo non sa fino a quando durerà la sua missione: è un religioso con voto di obbedienza, farà il missionario fino a quando ce ne sarà bisogno
Fratel Giancarlo offre servizio presso la comunità di Ràcàciuni come “amico” dei giovani
ta, rientrato qui dopo una breve pausa in Italia: ad aspettarmi una simpatica accoglienza, sia da parte del villaggio, che delle autorità. Parla da sé il fatto di aver ottenuto la cittadinanza di onore a Ràcàciuni. E dopo tutti questi anni, posso dire di sentirmi un po’ rumeno anche io!». Un tema caldo è quello della “malavita rumena”. C’è, forse, da parte di tutti noi, un’ostilità di fondo nei confronti di una missione come la tua, in un Paese generalmente percepito come una minaccia per il quieto vivere. Come senti di poter parlare della Romania a chi non vi ha mai messo piede? «Mi pare, in tutta coscienza, di dover sfatare l’immagine che in Italia ci siano così tanti rumeni e far chiarezza quando si parla di loro; spesso sotto il nome di rumeni finiscono gli zingari con nazionalità rumena. Il comportamento di questi due gruppi che vivono e lavorano nel nostro Paese non è lo stesso e non è giusto confonderli. È un po’ come il giudizio dato all’estero di noi italiani: italiano-mafioso. Il popolo rumeno non è un popolo violento o di malaffare; la malavita rumena è quella “normale” di ogni nazione. Infine, credo si sia dimenticato troppo in fretta che anche noi siamo stati un popolo di emigranti e che, spesso, abbiamo assunto comportamenti riprovevoli in terra straniera». Fratel Giancarlo non sa fino a quando durerà la sua missione: è un religioso con voto di obbedienza, farà il missionario fino a quando ce ne sarà bisogno. Per chi resta in Italia, forse, non è facile persuadersi delle sue parole. Che si voglia o no guardare con meno sospetto a questo popolo, di certo non si può rimproverare un bambino di essere un “criminale” se, per primo, il mondo ha commesso nei suoi confronti il più grave di tutti i crimini: la negazione di un’istruzione, di uno spazio ricreativo o peggio ancora di una famiglia. Ai suoi ragazzi fratel Giancarlo guarda ancora con fiducia. Per loro parte un progetto educativo, da loro può nascere un’educazione alla diversità. SEGRETERIA IN ITALIA Istituto Don Calabria Procura Missioni S. Zeno in Monte, 23 37129 Verona Tel. 045.8052911