MCG_03_2020

Page 147

amarcord

enzo bosso Del suo sorriso sentiremo tutti la mancanza

è

stata la mia sfida più importante e sono felicissimo di esserci riuscito”, ci aveva detto, commosso e ancora trafelato al termine di un’esecuzione che sentiamo ancora viva nella nostra memoria. La sfida era quella di dirigere l’Ottava Sinfonia di Schubert, la D. 759 meglio nota come “Incompiuta”. Traghettarne da un capo all’altro le ombre, tra le mille anse di struggente bellezza e di drammatica resa che il compositore aveva disseminato in soli due movimenti e che Ezio Bosso conosceva bene, così a fondo da sentire dentro di sé di poter affrontare la traversata. Era stato tre anni fa, in un’afosa tarda serata di fine maggio, nella Mantova neo-rinascimentale del Chamber Music Festival. Chissà in quanti eravamo ad ascoltare il suo Schubert poetico ed ingenuo, nell’incanto di Piazza S. Barbara: centinaia e centinaia, assiepati in ogni anfratto. Addetti ai lavori (tra cui, con tanto di gadgets e cartelle stampa, un contingente intero del suo staff), irriducibili appassionati, curiosi, ma anche tanti volti nuovi, probabilmente al loro battesimo con i luoghi “sacri” della musica. Oggi che se ne è andato – a soli 48 anni, strangolato da una malattia che sulla lunga distanza ha avuto la meglio sul corpo, non potendone domare lo spirito – sono in tanti a riconoscere a Bosso l’onore delle armi: una capacità singolare di conciliare nel cono di luce di una personalità dalla contagiosa gioia di vivere gli opposti, di far sedere allo stesso tavolo anime e visioni antipodiche della musica e probabilmente della vita. Innumerevoli i messaggi giunti da tutto il mondo da artisti, colleghi, personaggi del mondo dello spettacolo. “Sei in ogni nota suonata”, la commovente dichiarazione d’amore della sua Orche-

n. 3 Giugno-Luglio 2020

di Elide Bergamaschi

Bosso sapeva quanto breve possa essere la vita, e quanta ebbrezza vada esaltata in ogni sua goccia

Enzo Bosso

stra Filarmonica da lui fondata”. Il Presidente Mattarella ne ha voluto ricordare in un messaggio l’”indomabile carica umana”. Tanti commenti anche da coloro che con malcelata sufficienza ne avevano fino a ieri commentato apparizioni ed interpretazioni. Bosso era troppo arguto per non esserne consapevole, per non capire che molto, se non tutto, di sé – a partire proprio da quelle stigmate che ne inchiodavano tangibilmente il nome allo stereotipo martire dell’arte – era

pasto da condividere boccone per boccone con il pubblico tutto, da quello dei fans a quello dei leoni da tastiera. Sapeva di non poter essere libero di essere “solo” un musicista come tanti altri chiamato ad esibirsi, a piacere o a fallire, ma di doversi piuttosto prestare – ancor prima di aver impugnato la bacchetta, di aver accarezzato una tastiera – ad uno sguardo particolare, esposto tanto alla pietistica benevolenza quanto alla spocchiosa sufficienza. Lo sapeva e probabilmente aveva giocato d’anticipo, cavalcando lui stesso quei canali che lo avrebbero portato, frainteso o meno, a dare senso alla sua vita: suonare, portare la sua musica come messaggio di una bellezza che davvero salverà il mondo. Probabilmente lo sentiva di avere il fiato corto. Come quello Schubert morto poco più che trentenne che lui aveva disegnato con gesto singolare ma con commovente tensione poetica, Bosso sapeva quanto breve possa essere la vita, e quanta ebbrezza vada esaltata in ogni sua goccia. Come un’ultima cena laica in cui tutto è condivisione, testamento, nel presagio del congedo ormai prossimo. Raffaele Pe lo aveva citato solo un mese fa, quando lo avevamo raggiunto telefonicamente per chiedergli come stesse vivendo questo tempo attanagliato dal Covid 19. Oggi, il controtenore trattiene a stento lacrime di dolore e di incredulità. “Con Ezio ci eravamo sentiti una settimana fa. Mi era parso in forma e propositivo come sempre. Non vedeva l’ora di cominciare con il nostro progetto: lo Stabat Mater di Vivaldi, da portare con me e con La Lira di Orfei nei luoghi segnati dalla morte e dal silenzio di questi mesi surreali. Bergamo, Lodi, la sua amata Mantova. Il suo grande merito è stato quello di incarnare, nel dolore lancinante della malattia, la responsabilità di portare la musica alle grandi platee, alle masse, senza svilirla né svenderla. Una lezione di umiltà, di onestà, di abnegazione, di gentilezza. Ora che non c’è più, il testimone del suo prezioso lavoro passa a noi, insieme alla responsabilità di continuarne l’opera”.

147


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.
MCG_03_2020 by MCG Magazine - Issuu