non volere è potere

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Dello spettacolo

Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico. In verità che cosa potrebbe essere più razionale della soppressione dell’individualità nel coso della meccanizzazione di attività socialmente necessarie ma faticose.

Herbert Marcuse

«Lo spettacolo è l’erede di tutta la debolezza del progetto filosofico occidentale, che fu pure una comprensione dell’attività, dominata dalle categorie del vedere; così come si fonda sull’incessante spiegamento della razionalità tecnica precisa che è uscita da questo pensiero. Esso non realizza la filosofia, filosofizza la realtà» (Debord 1967, p. 58). E ancora: «L’alienazione dello spettatore a beneficio dell’oggetto contemplato… si esprime così: più egli contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la sua propria esistenza e il suo proprio desiderio. L’esteriorità dello spettacolo in rapporto all’uomo agente si manifesta in ciò che i suoi gesti non sono più suoi, ma di un altro che glieli rappresenta. È la ragione per cui lo spettatore non si sente a casa propria da nessuna parte, perché lo spettacolo è dappertutto» (Debord 1967, p. 63). Ciò che lo spettacolo mostra è il mondo della merce. Ciò che la merce produce e di cui si nutre è la categoria del quantitativo sottomessa al qualitativo. La trasfigurazione del lavoro umano in lavoro-merce risulta uno degli aspetti e delle conseguenze dell’indipendenza della merce che esercita il suo dominio incondizionato sull’economia. Lo spettacolo è il palesarsi della dittatura della merce che non “agisce”

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