Storie intorno al Sile
Raccontate da
Giorgio Pezzin Edizione 04 - Ampliata - Marzo 2014
Hayao Myazaki ĂŠ un autore di fumetti e cartoni animati giapponese che che ci ha raccontato, tra le altre, questa bellissima fiaba...
Una fiaba nella quale, secondo le credenze animistiche orientali, ogni elemento della natura (piante, boschi, montagne, fiumi) Ê governato da uno spirito, che ha comportamenti quasi umani e quindi può essere amichevole o avverso. Qui, per esempio, lo spirito di un fiume assume le sembianze di un drago.
Ebbene, se esiste uno Spirito del Sile, questo si mostra particolarmente bonario e favorevole perchĂŠ il Sile non nasce come un torrente impetuoso, selvaggio e quindi potenzialmente pericoloso...
... Ma sgorga lentamente dal terreno, come un vero Dono della Terra. Acqua limpida, fresca e cristallina, immediatamente a disposizione delle piante, degli animali e dell’uomo.
Il “fontanasso� della Coa Longa
La fiaba finisce qui, perchĂŠ la nostra civiltĂ non ha coltivato la poesia, ma la scienza e questa ci spiega che la copertura glaciale delle Alpi Venete, con la formazione di vastissime morene e la successiva frantumazione delle rocce da parte degli agenti atmosferici, ha provocato la formazione di enormi strati di ghiaia, anche di 600 metri, giunti fin quasi al mare.
In effetti la morfologia fisica del Veneto è molto varia, dal massiccio della Marmolada, a 3400 metri, alla pianura litoranea in soli 120 km. Un ambiente per molti versi unico al mondo.
Avvicinandosi al mare la pianura si confonde con alcune delle zone anfibie pi첫 interessanti ed estese d'Italia. In passato queste erano comprese in un'unica grande laguna che andava dalla Romagna sino al Friuli.
Sezione della pianura con schema stratigrafico fino alla formazione dei depositi di ghiaie, sabbie, argille e limi. (Da archeoveneto.it - Regione del Veneto).
I “fiumi sassosi” sono una caratteristica della pianura veneto-friulana: greti in gran parte praticabili sui quali l’acqua scorre prevalentemente in profondità su ghiaie di centinaia di metri di spessore. Panoramica del Cellina Meduna
Tratto del Piave
L’acqua che penetra in profondità nello strato di ghiaia, risale in superficie quando incontra gli strati impermeabili del fondo valle, creando risorgive che generano i fiumi di pianura come il Sile, lo Zero e altri...
Mappa del 1500 che mostra la quantitĂ di polle risorgive che creano i vari fiumi della pianura. Il Sile e tutti i suoi affluenti, soprattutto, e poi lo Zero e molti altri, sono tutti fiumi di risorgiva.
Correnti fluidoglaciali del Piave e del Brenta nel Quaternario. I fiumi non erano stabili nei loro alvei ma cambiavano continuamente praticamente in ogni stagione, creando una multitudine di letti fluviali che hanno sparso ghiaie, sabbie e limi su tutto il litorale.
Esempio di “paleoalvei” nella zona del Sile, località Ca’Tron. Si vedono nella foto aerea di sinistra le tracce sul terreno e, a destra, l’interpretazione con l’identificazione di un grosso alveo antico con altri minori. Tutta la pianura era piena di centinaia questi diversi percorsi dei fiumi, che si sono poi stabilizzati nei secoli sia naturalmente (erosione dei fiumi con corrente più forte e creazione di percorsi preferenziali) sia per l’opera dell’uomo.
Conoidi di influenza dei vari fiumi nella pianura. Il fiume Sile riceve acqua prevalentemente dal Piave attraverso l’Unità di Nervesa (1), di Montebelluna (2).
Le sorgenti del Sile sono in localitĂ Casacorba, tra Treviso e Castelfranco, che una volta era ricco di acquitrini. Tombinature e colture hanno reso quasi irriconoscibili le sorgenti, i fontanassi, tra rovi e macchie di pioppi. Ecco la zona ripresa da Google Maps con indicato il Parco del Fiume Sile.
Carta idrografica del bacino del Sile disegnata da Daniele De Mitri
Il “fontanasso” di Casacorba
Il modo in cui nasce, dona al Sile delle caratteristiche del tutto particolari: 1 - E’ il più lungo fiume di risorgiva d’Europa (96 km) ed è navigabile per un lungo tratto. 2 - Ha una portata d’acqua molto costante, essendo influenzato solo marginalmente dalle precipitazioni e dall’apporto degli affluenti. Quindi non ha mai subito piene molto disastrose, favorendo l’abitazione lungo il suo corso. 3 - E’ dotato di una discreta corrente che lo ha reso utile come fornitore di energia, senza impedire la navigazione nei due sensi. La zona in cui scorre, infine, è una importante zona di passaggio e di migrazione, e il margine della zona più fertile d’Italia, il che lo ha reso testimone di un’ampia serie di avvenimenti. Vediamo dunque quali sono le storie che ci potrebbe raccontare il Sile, prima fra tutte la Storia con la “S” maiuscola...
IL VENETO
La regione dove scorre il Sile deriva il suo nome dal popolo dei veneti, che vi giunsero già in epoca preistorica, cacciandone i preesistenti abitanti, gli euganei; per tale motivo il nome tradizionale è quello di Venezia Euganea, per distinguerla dalla Venezia Giulia e dalla Venezia Tridentina, l'attuale Trentino. La morfologia fisica del Veneto è molto varia, dal massiccio della Marmolada, a 3400 metri, alla pianura litoranea in soli 120 km. Avvicinandosi al mare la pianura si confonde con alcune delle zone anfibie più interessanti ed estese d'Italia.
Italia centrale intorno all‘800 a.C. I discendenti dei gruppi celtici a nord delle Alpi avrebbero dominato gran parte dell’Europa centrale. I protoitalici e protoillirici avrebbero dato origine agli italici e ai popoli greci.
I celti, originari dell’alto Danubio, avevano soppiantato gli Sciti espandendosi in ogni direzione. Nel 390 a.C. i Galli Senoni, guidati da Brenno, occuparono anche Roma. Fu poi cacciato da Furio Camillo.
Guerrieri celti, 200-500 a.C.
Abitazioni celtiche 200-500 a.C. e, in basso, “casoniâ€? lagunari relativamente recenti. La tecnica costruttiva non è cambiata di molto.
Abitazioni celtiche - Interno - 200-500 a.C.
L’italia Romana, dal 500 al 264 a.C. Cacciati gli Etruschi, sottomessi i Latini e battuti i Sanniti, nel 264 tutta la penisola era unita sotto Roma.
In questo periodo il potere di Roma è ancora poco organizzato e la penisola continua ad essere percorsa facilmente dagli eserciti dei popoli vicini. I Galli Senoni, una popolazione celtica che abitava probabilmente la Borgogna, scese a Sud e occupò la Romagna e le Marche scacciando gli Umbri (la zona che allora veniva chiamata Gallia Cisalpina).
I romani intervennero e scoppiò una guerra che portò i Galli Senoni ad occupare e saccheggiare la stessa capitale, nel 390. E’ di allora l’episodio di Brenno che pronunciò la famosa frase: “Guai ai vinti”. Brenno fu prima comprato dai romani con un adeguato tributo e poi cacciato da Furio Camillo che riuscì a riorganizzare l’esercito romano. L’episodio è ricordato in questo quadro di Paul Jamin intitolato, appunto, “Le Brenn et sa part de butin”, cioé Brenno e la sua parte di bottino. Secondo voi quale parte scelse Brenno?...
Per evitare incursioni nei suoi territori Roma si riorganizzò occupando ben presto la Gallia Cisalpina e costruendovi basi strategiche che le consentirono di spostare le frontiere della repubblica sui confini naturali delle Alpi. Aquileia e Piacentia furono alcune delle colonie nate per consolidare il potere romano in questi nuovi territori. Territori della Gallia Cisalpina
Pianta di Aquileia tra il 2° e il 5° secolo a.C. Si vede in rosso il perimetro del “castrum” romano che ne costituì il primo nucleo. Aquileia fu a lungo la base logistica per supportare le spedizioni militari nell’area danubiana.
Aquileia, in particolare, aveva il compito di sbarrare la strada ai Carni e agli Istri che arrivavano da nordest. I primi coloni furono 3000 veterani provenienti dal Sannio (attuale Campania settentrionale, Puglia e Molise) cui seguirono gruppi di Veneti. Mediolanum, invece, era la capitale dei Galli Insubri e fu semplicemente conquistata. I latini meridionali si trasferirono in massa e popolarono quindi la pianura, scacciando i Galli che furono confinati in alcune aree subalpine.
Ricostruzione in 3D di Aquileia sulla base dei rilievi archeologici
Altino era frequentata stabilmente già dall’età del bronzo (15-13° secolo a.C.) ma un vero e proprio centro abitato fu fondato dai paleoveneti. Dalla fine del 6° secolo a.C. Altino era un porto già importante per i traffici dell’alto Adriatico verso l’interno.
Resti del decumano (asse est-ovest) che attraversava il quartiere nord orientale della città, con tracce delle antiche banchine del porto.
Nel 2° secolo a.C. Altino seguì le sorti di tutta la Venetia e fu pacificamente assoggettata a Roma. Il processo di romanizzazione iniziò nel 131 con la costruzione della via Annia. Nel 49-52 ad Altino fu concesso il diritto Romano e fu creata municipio.
La costruzione di altre strade come la Claudia Augusta e le vie che la collegavano direttamente a Treviso e Oderzo contribuì a trasformarla in un importante centro commerciale. La Tabula Peuntigeriana della metà del 4° secolo la mostra come una città murata con torri. Il centro abitato si innalzava su una rete di canali superati da ponti e traghetti, in modo del tutto simile alla futura Venezia.
La Tavola (Tabula) Peutingeriana è una copia del XII-XIII secolo di un'antica carta romana che mostrava le vie militari dell'Impero. Porta il nome dell'umanista e antichista Konrad Peutinger che la ereditò dal suo amico Konrad Celtes, bibliotecario dell'imperatore Massimiliano I. Peutinger avrebbe voluto pubblicare la carta, ma morì prima di riuscirci. La Tavola è composta da 11 pergamene riunite in una striscia di 680 x 33 centimetri. Mostra 200.000 km di strade, ma anche la posizione di città, mari, fiumi, foreste, catene montuose.
Non è una proiezione cartografica, quindi il formato non permette una rappresentazione realistica dei paesaggi né delle distanze, ma non era questa l'intenzione di chi l'aveva concepita. La carta va piuttosto considerata come una rappresentazione simbolica, una sorta di diagramma come quello di una metropolitana, che permetteva di muoversi facilmente da un punto ad un altro e di conoscere le distanze fra le tappe, ma non voleva offrire una rappresentazione fedele della realtà. La Tabula è probabilmente basata sulla carta del mondo preparata da Marco Vipsanio Agrippa (64 a.C. - 12 a.C.). Si pensa che la sua redazione fosse finalizzata ad illustrare il cursus publicus (cioè la rete viaria pubblica sulla quale si svolgeva il traffico dell'impero, dotata di stazioni di posta e servizi a distanze regolari, che era stata riordinata da Augusto). Dopo la morte dell'imperatore, la carta fu incisa nel marmo e posta sotto laPorticus Vipsaniæ, non lontano dall'Ara Pacis, lungo la Via Flaminia. La Tabula mostra tutto l’Impero Romano, il Vicino Oriente e l’India. Vi è menzionata anche la Cina. Vi sono indicate circa 555 città e altre 3.500 particolarità geografiche, come i fari e i santuari importanti, spesso illustrati da una piccola figura. Le città sono rappresentate da due case, le città sede dell'Impero - Roma, Costantinopoli, Antiochia - sono segnalate da un medaglione. Vi sono inoltre indicate le distanze, sia pure con minore o maggior precisione.
Ecco come sono indicate Altino e Aquileia nella tavola. Venezia ancora non esiste.
Ancora pi첫 in dettaglio: Esistono Concordia (Sagittaria) e Opitergio (Oderzo)
Resti del decumano che attraversava il quartiere nord orientale della città, con tracce delle antiche banchine del porto.
LA VIA ANNIA Stesa nel 131 a.C. per iniziativa del pretore Tito Annio Rufo cui deve il nome - anche se alcuni studiosi ipotizzano che sia da attribuirsi al console Tito Annio Lusco e che risalga al 153 a.C. – la Via Annia si configura come una delle più importanti arterie stradali del Veneto in epoca romana. Concepita come prolungamento della via Popillia (Rimini - Adria), collega infatti Adria ad Aquileia passando per Padova – fondamentale punto di snodo – quindi per Altino e per Concordia. Controllava le vie di accesso dal Nord-Est, rifornendo opportunamente la base logistica di Aquileia.
Il suo tracciato segue, in questo tratto, l’andamento del litorale adriatico che delimita il golfo di Venezia, sia pure con la tendenza a mantenersi più arretrato rispetto all’effettiva linea di costa. La Via Annia rappresenta dunque, unitamente alla via Postumia costruita nel 148 a.C. per unire Aquileia a Genova, un’infrastruttura viaria di eccezionale rilevanza, di certo finalizzata al controllo del territorio, ma anche al collegamento del Veneto con il resto del mondo romano e, conseguentemente, alla promozione e all’incremento degli scambi culturali commerciali tra i territori collegati. Da Altino partiva anche la via Claudia Augusta, grande strada militare romana che portava al Danubio.
CURIOSITA’ Metodi di indagine del Territorio Osservando il suolo dall’alto ed elaborando poi le immagini si possono leggere tracce di attività umana anche molti secoli dopo. L’interpretazione delle tracce si basa su si sistemi raffinati che possono dare molte indicazioni. Da “La tenuta di Ca’Tron - CIERRE Edizioni
Ecco alcuni esempi di tracce aeree e relative interpretazioni (zona di Ca’Tron) Da “La tenuta di Ca’Tron - CIERRE Edizioni
Veduta da deltaplano. Si vede la traccia della via Annia dove la fascia chiara indica la sede della strada (con ghiaia di sottofondo) e le due tracce scure ai lati che indicano i fossati di scolo. Da “La tenuta di Ca’Tron - CIERRE Edizioni
Sezione della via Annia secondo le indagini archeologiche condotte da J. Marcello a sud di Altino. I famosi massi poligonali delle strade romane erano riservati ai tratti vicino le città o più trafficati. La maggior parte delle strade erano “glaree” cioè costruite su strati di ghiaia di varia calibratura: grossa nel sottofondo e più sottile in superficie. Da “La tenuta di Ca’Tron - CIERRE Edizioni
Da queste tracce si è potuto conoscere il percorso della via Annia con varie ramificazioni locali e identificare la posizione di diversi ponti romani che superavano il Sile e i corsi d’acqua adiacenti. Da “La tenuta di Ca’Tron - CIERRE Edizioni
Palificata di fondazione di un ponte romano nella zona di Ca’Tron. Si tratta della stessa tecnologia che sarà usata nella fondazione di Venezia, e che ha quindi origini molto antiche. Da “La tenuta di Ca’Tron - CIERRE Edizioni
Ricostruzione ideale di ALTINO. Per Altino dunque passavano la VIA ANNIA, che univa Padova (Padua) ad Aquileia; La VIA CLAUDIA AUGUSTA che la univa a Oderzo (Opitergium) e Treviso (Tarvisium) e che proseguiva verso la Germania, incrociando la VIA POSTUMIA (Genova - Piacenza Aquileia). Insieme ad Aquileia era una base logistica per le operazioni militari verso l’europa orientale.
Grazie alle sue STRADE l’esercito di Roma, ma anche la gente comune e soprattutto le merci, potevano raggiungere velocemente e in ogni stagione le città, i mercati, le piazzeforti...
Senza le strade sarebbe stato ben diverso. Si sarebbe dovuto andare a piedi, portando ben poco e soprattutto soggetti alle avversità del clima e del luogo. Ai tempi dei romani esistevano già le cartine stradali, gli itineraria, scritti a mano in migliaia di copie e pubblicati da veri e propri Editori, che servivano ai viaggiatori per programmare il viaggio, indicando le stazioni di posta, le mutationes (cambi di cavalli), le tabernae e, spesso, anche le specialità del luogo.
Ecco alcuni esempi di mezzi di trasporto dell’epoca, ricostruiti in base a bassorilievi originali...
Ricostruzione di una diligenza romana. Reconstruction of a Roman carriage as shown in the Rรถmisch-Germanisches Museum, Cologne, Germany. Foto By Nicolas von Kospoth
Senza le strade romane come si sarebbe potuto percorrere un territorio come questo...
... O questo, come doveva essere quello della pianura padana a quei tempi?
Struttura di una strada romana
"Stabilito con cura il tracciato da seguire, si scavava il terreno fino a trovare un fondo solido e lo si rafforzava adeguatamente. DopodichĂŠ su questo si sovrapponevano quattro strati di materiale: il primo detto "statumen" era composto di sassi mescolati con argilla, il secondo,"rudus", di pietre e frammenti di mattoni e sabbia legati da calce, il terzo, "nucleus", di pietrisco con frammenti di mattoni fortemente battuti, l'ultimo, "summum dorsum", di massi poligonali di pietra dura (basalto), ben levigati e ben combacianti. Al centro, per permettere lo scolo delle acque, la strada era leggermente arcuata". (Vitruvio, De Architectura, VII, I).
Naturalmente non sempre le condizioni del suolo consentivano di seguire una simile procedura che interessava essenzialmente la viabilità urbana e gli attraversamenti stradali più importanti. Le regioni ricche di corsi d'acque e di vaste aree paludose come era la parte litoranea della Venetia a valle dei terreni di resorgiva, andava trattata in maniera particolare. Se gli antichi romani, laddove era necessario far passare una strada, non esitavano a scavare gallerie, livellare terreni, gettare ponti, nei tratti acquitrinosi drenavano il terreno, lo costipavano con detriti e materiale vario, piantavano solide palizzate e tavolati su cui la strada trovava un fondo stabile e sicuro. Nei terreni soggetti a frequenti allagamenti, come erano qiuelli del litorale marino o lagunare veneto solcato da fiumi privi di arginature ed esposto alle mareggiate, il tracciato stradale era caratterizzato da un terrapieno di altezza sufficiente a garantire la percorribilità in qualsiasi stagione. Questo terrapieno, già di per sé valido argine contro le piene, costituiva per tutto il tratto innalzato lungo tutto il margine lagunare e per buona parte di quello costiero, uno spartiacque artificiale tra entroterra e mare. Nei luoghi dove sistematici si svolsero gli scavi per portare in luce il lungo sepolcreto lungo la via Annia a NE di Altino, la base del terrapieno costituito da argilla venne misurata in ben 26 metri (9 passi romani), essendo questa la distanza tra i margini interni dei due fossati. Nei punti dove la via era più soggetta ad erosioni ad opera delle acque, il suo sottofondo stradale era costituito da palafitte come si constatò nel corso degli scavi effettuati nel centro abitato di Altino dove si misero in luce alcune sezioni glareate di strada (De Bon, La Via Claudia Augusta Altinate). I toponimi come Levà, Levada e simili, stanno ad indicare, per questa come per tutte le altre antiche strade costruite dai romani, un percorso in sopraelevato rispetto al piano di campagna e sono una preziosa spia per i ricercatori. I toponimi come Quarto, Quinto, Sesto, ecc. indicano posizioni di antichi miliari. (Da “Viabilità nella Venetia ed Istria” Di Bruno Dotto) Miliario di Padova, zona Camin, con l'indicazione del III miglio. La colonna miliaria, in marmo africano bianco con venature rosse, fu acquistata nel 1919 dal museo civico di Padova da un laboratorio di pietre della Stanga. Sembra accertata la provenienza da Camin, dove corrispondeva il 3° miglio da Padova. Databile tra il 293 ed il 305 d.C.
I romani costruirono circa 2500 ponti, in tutte le parti d’europa, e molti sono in piedi ancora oggi, come il ponte di Alcantara in Spagna, costruito dai romani sul fiume Tago nel 104 dopo Cristo, in onore di Traiano ( Al-Kantara, in arabo, significa appunto “il ponte�). E lungo 204 metri e alto 64 sull’arcata principale. A parte la ricostruzione di qualche arco distrutto in qualcuna delle molte guerre a cui ha assistito, la struttura principale resiste in queste condizioni da 2000 anni! E a chi si chiede se non sia stato costruito esageratamente robusto...
... Eccolo durante una delle terrificanti piene del fiume, prima che fosse costruita, a monte, la grande diga di un impianto idroelettrico. Su questo ponte esiste una targa dell’ingegnere romano Caius Julius Lacer che lo costruì e che scrisse: “Pontem perfeci mansurum in saecula” . (Ho costruito un ponte che durerà nei secoli).
La costruzione di oltre 2500 ponti in tutto l’impero fu resa possibile ai romani dalla scoperta del “cemento”. Dalla scoperta cioé che la pulvis puteolana (polvere vulcanica proveniente da Pozzuoli), aggiunta alla malta di calce, sabbia, ghiaia e acqua, induriva anche sott’acqua. Un altro successo derivò dal perfezionamento dell’arco etrusco.
Ma com’erano i romani che costruivano queste grandi opere? Eccone alcune foto scattate per strada... o meglio, alcuni bassorilievi originali che li ritraevano. Questi, per esempio, erano legionari impegnati nella costruzione di una strada come questa ...
... E questa è la ricostruzione fatta dagli artistiarcheologi. Quasi una foto, ai giorni nostri.
Ecco altre foto. Gli abiti erano adatti al clima di ogni parte dell’impero. L’altezza media maschile era di 1,60 m. la vita media era di 40 anni per gli uomini e 29 per le donne, visto che il 50 % di loro moriva di parto.
Altino, era una vera città . Ecco alcune foto di com’erano probabilmente le sue strade...
... e quelle dei negozi e dei laboratori che si aprivano lungo di esse dove si trattavano i prodotti provenienti dal nord dell’impero come l’ambra, le pellicce, lo stagno...
Oltre alle botteghe c’erano le “tabernae”e le “popinae” dove si chiacchierava, si giocava o si gustavano “cicchetti” e specialità tipiche del luogo. Il vino caldo speziato sostituiva il caffé (che sarebbe arrivato dall’Etiopia solo nel 1600 grazie ai veneziani).
Probabilmente Altino era circondata da mura con delle porte fortificate molto simili a quelle di Aquileia. (Ricostruzione in 3D)
(Ricostruzione in 3D)
E cosĂŹ dovevano essere le banchine del suo porto (Ricostruzione in 3D)
Altre viste del porto (Ricostruzione in 3D)
Ricostruzione in 3D della basilica costantiniana di Aquileia, sulla base delle risultanze archeologiche. (A cura della Regione Friuli)
Ricostruzione in 3D di una domus in Aquileia, sulla base delle risultanze archeologiche. (A cura della Regione Friuli)
Ricostruzione in 3D del foro di Aquileia, sulla base delle risultanze archeologiche. (A cura della Regione Friuli)
Ricostruzione in 3D del foro di Aquileia (Ipotetica per quanto riguarda l’elevazione) (A cura della Regione Friuli)
Lungo le strade, nella campagna circostante, c’erano le “villae”, fattorie organizzate per gestire il lavoro nei campi. Una delle attività più lucrose era la produzione e il commercio del vino.
Le “villae” rifornivano le città, dove c’erano quartieri densamente popolati, e anche palazzi sontuosi dove la classe dirigente organizzava feste e banchetti per gestire il commercio e la politica.
Le strade furono il piÚ grande monumento costruito dai romani e la tecnologia che consentÏ loro di gestire un impero sempre piÚ vasto , intervenendo in modo massiccio e in tempi rapidi in ogni parte per sventare ogni minaccia. E le strade erano costruite dagli stessi soldati, che ormai erano ottimamente organizzati e costituivano una macchina da guerra imbattibile. Grazie alle strade, all’esercito e alla sua economia, Roma era diventata quella che oggi si chiamerebbe una Superpotenza.
Supportata da un esercito potentissimo, fatto di professionisti che restavano sotto le armi per 25 anni e voi venivano pensionati ottenendo terre e proprietà nei territori conquistati, la civiltà romana si estese in gran parte dell’Europa. Oltre che dai popoli sottomessi o alleati, Roma otteneva tributi e risorse da molti popoli vicini. Grazie alle strade, ad una organizzazione sociale accurata, ad un corpus di leggi unico, il commercio divenne florido portando i cittadini romani ad un livello di vita mai visto prima.
Ben protetta e a contatto con le culture di tutto il mondo antico, la civiltĂ romana divenne molto sofisticata: le donne seguivano la moda, le case erano decorate dai migliori artisti...
Le famiglie pi첫 ricche vivevano in un lusso estremo, con gioielli dal design unico e prezzi altissimi... proprio come oggi!
Ricostruzione ipotetica in 3D dello stadio di Aquileia, sulla base delle risultanze archeologiche. (A cura della Regione Friuli)
Immaginate dunque quanto un simile modo di vivere potesse attrarre i popoli vicini. Ecco una tribÚ di GOTI attraversare il Danubio per entrare nell’impero e chiedere asilo. La storia si ripete...
Le grandi invasioni germaniche e slave dell’Europa
Nel 376, 405 e 455 si verificarono invasioni di massa che i romani non riuscirono nÊ a fermare nÊ ad assimilare, come avevano fatto in precedenza. L’impero di occidente si dissolse mentre quello bizantino d’Oriente sarebbe sopravvissuto ancora per 800 anni.
Inizialmente i romani riuscirono ad assorbire le popolazioni germaniche, integrandole e arruolandole nelle proprie legioni...
Di fatto usando i barbari per combattere altri barbari...
Molti di loro si integrarono acquisendo in parte gli usi dei romani e partecipando all’abbondanza...
Alcuni divennero imperatori, ma benchÊ fossero abili guerrieri la disciplina e le tattiche dell’esercito romano dei tempi migliori degradarono irrimediabilmente e persero molto della loro efficacia...
... CosÏ quando arrivarono orde di invasori nomadi che non erano interessati a vivere nei territori occupati ma solo a saccheggiarli, l’impero in breve si dissolse.
E qui, sul Sile, com’era?
Abbiamo giĂ detto che in epoca antica la temperatura media era piĂš alta tanto che la Groenlandia era verde e fertile (GreenLand) da poter essere colonizzata dai vichinghi...
Di conseguenza anche il livello del mare era piĂš alto, di almeno un metro e mezzo, tanto che gran parte della costa del Veneto , da Rimini al Friuli, doveva essere una unica, enorme palude, alimentata dal Po, dai numerosi fiumi che la percorrevano e dalle risorgive pedemontane. Anche per questo Altino era un porto molto attivo...
Se poi pensiamo che i fiumi non avevano gli argini che regolano cosĂŹ bene il loro corso, possiamo immaginare che le case degli abitanti della zona dovevano sorgere su complesse palafitte per proteggersi dalle frequenti alluvioni...
La palafitta isolata si evolse in file serrate di pali destinati a consolidare il terreno tra di essi fino a costituire la base di ampie piattaforme sopraelevate...
... Riprendendo e ricollegandosi infine alla tecnologia romana altamente sviluppata che consentĂŹ, piĂš tardi, di costruire una realtĂ complessa come Venezia.
Schema della fondazione di un palazzo veneziano. Una piattaforma di 20x40 metri poteva richiedere circa 3200 pali.
Per tutta Venezia alcuni parlano di 200.000 pali, ma altri ne ipotizzano milioni.
Infatti ne servivano molti anche per le “fondamentaâ€? cioĂŠ le rive dei canali e le spallette dei ponti e per tutto il resto.
Immaginate quindi quanto lavoro è stato necessario nel corso dei secoli, per cambiare il paesaggio da cosÏ...
... a cosĂŹ!
Una curiosità... Il termine veneziano “marangone” deriverebbe dal nome dell’uccello tuffatore smergo, o cormorano, chiamato in Italia già nel Trecento, marangone, appunto. Per quanto riguarda la semantica, la ricerca ha ipotizzato una sequenza di sviluppo che parte dal nome dell'uccello tuffatore, per passare prima al nome del «palombaro» che si tuffa in mare per effettuare operazioni subacquee, poi a quello di chi effettua riparazioni alle parti subacquee della nave, e infine a quella di qualunque lavoro in legno, anche in casa: come si diceva in veneziano, marangoni de nave, marangoni de case. Il contesto ipotizzato è dunque quello del successo della marineria della repubblica di Venezia, che chiamava marangoni le persone addette ai lavori subacquei nell'Arsenale, e conobbe una corporazione dei marangoni che riuniva tutti i lavoratori del legno.
Al contesto veneziano tradizionale, la TC contrappone quello della grande tradizione palafitticola del Nord-Est italico, nel Bronzo antico e medio (che a mio parere costituisce anche l'antefatto della costruzione stessa di Venezia). L'ipotesi si basa sull'osservazione che i villaggi palafitticoli del Bronzo antico e medio, concentrati nel Nord-Est italico, risultano composti nella maggior parte non solo di una parte asciutta, costruita sulla sponda dei laghi con travi, tronchi a reticolo e pali infissi, ma anche di una «parte poggiante su acqua [...] formata da un solaio sostenuto da una fondazione complessa di pali con plinti, longheroni e coppie di travi», e da altre forme di bonifica a «cassonatura» [Cardarelli 1992, 375]. Per poter costruire e riparare queste complesse strutture subacquee occorreva certamente una falegnameria e carpenteria estremamente specializzata, necessariamente subacquea (???). Gli archeologi hanno notato infatti le «imponenti e sofisticate opere strutturali venute in luce nelle «palafitte» e negli altri insediamenti di riva, soprattutto perilacustri», e la «straordinaria perizia tecnica» e la «sorprendente varietà di esperienze e conoscenze» che in esse si manifestano [Peroni 1996, 104]. Il marangone , nel senso di falegname, com’è detto a Venezia, sarebbe quindi derivato non tanto da falegname di nave, ma da falegname di palafitta, capace quindi di tuffarsi per riparare case costruite sull’acqua.
Nella terraferma, relativamente più all’asciutto, si costruiva invece così...
... Con il fiume che, faceva da strada, da riserva di acqua dolce e Nella terraferma, relativamente piÚ all’asciutto, si costruiva invece cosÏ... da fonte preziosissima di molte altre cose.
Come tutte le città del mondo che legano la loro importanza ad un fiume, anche Treviso non sarebbe com'è senza il suo Sile, che entra da ponente nella città antica, ne segna il limite meridionale e ne determina l'impianto e la forma. Sile e Cagnani (nome antichissimo di incerta etimologia, forse deformazione di "canali") hanno caratterizzato il sito e la storia per lo stretto rapporto che c'è fra l'ambiente e le funzioni della città primitiva: difesa dagli uomini e dagli animali feroci in epoca preistorica; acquedotto e fognatura; causa di clima umido ma anche temperato; base di alimentazione (pesci ma anche molluschi e crostacei); forza motrice per la terraferma e Venezia (energia per mulini, folli da panno, macine da ghiande, opifici, concerie, fornaci); infine, via di navigazione dal centro di Treviso alla laguna, a Venezia e al mare.
Altimetria e idrografia naturali hanno condizionato la storia urbanistica di Treviso. Prima dell'intervento degli uomini era questo un arcipelago di isole in acque limpide e un dislivello di almeno 9 metri fra il punto più alto e il punto più basso della città rendeva vorticoso il fluire del Botteniga e dei Cagnani, frenato nel 1500 dalle chiuse di Fra Giocondo. Sono ancora cinque gli sbarramenti: nel Cagnano orientale, al Ponte di Pietra, a monte e a valle della Pescheria, al ponte Dante; ad ogni sbarramento corrisponde un balzo d'acqua, quattro dei quali con ruote di mulino.
Treviso - Primo insediamento anteriore al 1500 a.C.
Treviso rinascimentale Per tre secoli, fino ai primi anni del 1800, Treviso subisce trasformazioni strutturali poco significative, come dimostrano il Catasto Napoleonico del 1811 e quello austriaco del 1848; le ultime sono posteriori ai devastanti bombardamenti del 1944-1945.
Il Sile è l'elemento che più caratterizza l'evoluzione storica, economica e architettonica della città, ma è soprattutto il simbolo del complesso rapporto di Treviso con Venezia. Infatti uno strettissimo intreccio di commerci, di difesa e di politica, di comunicazione, di energia ha legato Treviso a Venezia prima ancora della pace del 1339 che sancisce la sua adesione alla Serenissima: Treviso ha il grano e i mulini, Venezia il monopolio del sale; Treviso coltiva, Venezia commercia; Venezia comanda e Treviso obbedisce. Gli antichi rapporti si sono ora perduti e sopravvivono soltanto nelle tradizioni e nell'architettura: il Leone marciano è dovunque, gli stilemi del gotico veneziano sono diffusi.
La tipica città dell’entroterra, quindi, nell’epoca delle invasioni barbariche e del disordine sociale conseguenti alla caduta dell’Impero Romano, assume un aspetto come questo, uno stretto gruppo di case circondato da alte mura...
Castelfranco, oggi.
... come Castelfranco, Treviso, Cittadella, Montagnana.
Cittadella, oggi.
L’invasione degli Ungari, nel quinto secolo, particolarmente devastante, sancisce la nascita di Venezia e tutte le attività lungo il Sile si spostano in funzione di questa nuova realtà. Da allora l’intervento di Venezia sul territorio è continuo e massiccio, plasmando la laguna e l’entroterra al suo servizio grazie al dominio di una tecnologia che non è certo nata tra gli isolotti, ma che deriva dalla tradizione romana. E ancora una volta il Sile offre tutte le sue risorse...
Questa immagine mostra bene la funzione difensiva di una laguna come quella di Venezia...
... e questa, al tempo stesso, mostra quale sia stato l’intervento dell’uomo sulla natura per assicurarsi un ambiente vivibile.
Un esempio imponente per quei tempi ĂŠ il Taglio del Sile, un canale che ha deviato il Sile sul corso del Piave, a sua volta deviato piĂš a Nord.
Sile
Piave
In una mappa successiva del 1600 si vede il taglio del Sile concluso. In questo modo si voleva spostare dalla laguna l’apporto di sedimenti del fiume che minacciava di interrarla trasformandola in una palude malsana e troppo carica di insetti. Purtroppo l’opera non risolse del tutto il problema, portandone altri. La maggiore lunghezza del corso del fiume, infatti, rallentò il flusso della corrente creando interramenti e inondazioni nell’ultimo tratto che causarono danni ai terreni coltivabili.
Ecco il taglio del Sile com’è oggi.
Taglio del Sile
Piave
Dunque, ancora una volta il Sile mise le sue risorse a disposizione della nuova realtĂ .
Ma quali erano, esattamente?
L’acqua dolce, prima di tutto, risorsa fondamentale per vivere... e per lavare, visto che, come tutti sanno, non si può lavare con l’acqua di mare.
Lavandaie sulla fossa esterna alle mura in una foto di Aldo Nascimben (Da: “Quella mia Treviso”)
Lavandaie sul Cagnan alla Pescheria, presso il ponte di San Parisio. Cartolina spedita nel 1914.
(Da Il Sile di Camillo Pavan)
Panni stesi in riva al Sile a San Martino. Era evidentemente una lavanderia industriale. (1921)
(Da Il Sile di Camillo Pavan)
Cavalleggeri della caserma cittadina, utilizzano l’acqua della fossa esterna delle mura, vicino alla stazione ferroviaria (1913)
A Venezia l’unica acqua dolce disponibile veniva dalla pioggia che riempiva i pozzi nei campielli, dopo essere stata ingegnosamente filtrata. L’acqua dolce del Sile e degli altri fiumi vicini era dunque indispensabile.
2° risorsa: La pesca Nella foto una “peschiera” che, a valle del salto d’acqua dei mulini, serviva alla cattura delle anguille.
(Da Il Sile di Camillo Pavan)
Si pescava da sempre, ovviamente e con vari mezzi. La preda piÚ pregiata era l’anguilla. (Da Il Sile di Camillo Pavan)
3° risorsa: L’energia La corrente abbastanza veloce del Sile e la sua portata costante hanno favorito la costruzione di molti mulini, soprattutto a Treviso, ma anche lungo il suo corso. Prima dell’avvento del vapore, i mulini sono stati l’unica fonte di energia non umana o animale a disposizione dell’uomo.
(Da Il Sile di Camillo Pavan)
Questo disegno mostra un tipico mulino come quelli di Quinto, per esempio. Le ruote potevano essere multiple e azionare diversi assi per lavorazioni diverse...
Ecco una panoramica di un mulino analogo dove le ruote azionano pulegge che possono a loro volta azionare mole ma anche torni, magli, carrucole...
E questa è una macina di mulino, alla faccia di qualsiasi regola antinfortunistica. (Archivio Storico di Treviso)
Soprattutto sul Po e sull’Adige, ma forse anche sul Sile, esistevano anche Mulini Natanti, cioÊ costruiti su chiatte ancorate che sfruttavano la corrente.
Questo schizzo mostra la tecnologia di questo tipo di mulini. A Venezia c’erano probabilmente mulini di questo tipo che sfruttavano la corrente di marea e mulini a vento, dei quali però non hanno quasi notizie. Mulini molto più efficienti erano quindi tutti costruiti sul Sile e su altri fiumi vicini. Nell’epoca d’oro, sul Sile si potevano contare più di 800 ruote installate.
Saline di Trapani- Museo del sale. Mulino
I mulini a vento di Venezia probabilmente erano come questi: Mulini di Consuegra, Spagna
Con l’avvento del vapore si costruirono mulini a più piani e di tipo “industriale”che aumentarono grandemente la produzione e la capacità di stoccaggio.
Un esempio ĂŠ il Mulino Stucky, costruito nel 1895 dallo svizzero Giovanni Stucky. Una delle piĂš grandi architetture industriali in stile neogotico in Europa.
Nel 1210 il vescovo Tisone vende i mulini a valle del ponte San Martino al comune di Treviso che li cede in affitto a privati... nel 1515 la Repubblica vende i mulini con 16 ruote da grano al nobiluomo Almorò Pisani...
(Da Il Sile di Camillo Pavan)
Il ponte San Martino a Treviso in una ricostruzione dell’antico mulino a piÚ ruote. In basso a destra una foto antecedente il 1886 dello Studio Fotografico Giovanni Ferretto (FAST- Treviso)
Nel 1886, su progetto dell’Ing. Marini, inizia la trasformazione dei mulini in centrale idroelettrica...
(Da Il Sile di Camillo Pavan)
Un altro grande mulino famoso: quello della Anonima Cereali, succeduta alla Nicola Vianello e F.lli. In zona c’era in precedenza un mulino per “mola da guar feri”, poi trasformato per il grano, prima ad acqua e poi con due motori diesel.
(Da Il Sile di Camillo Pavan)
4° risorsa: L’argilla Le zone limitrofe sedimentarie e il fiume come via di trasporto del legname e dei prodotti finiti (mattoni) favoriscono la creazione di numerose fornaci che continuano la loro attività fino ai giorni nostri. Praticamente tutta Venezia é fatta di mattoni...
La fornace Gregorj di San Antonino nel 1919 circa. (Da Il Sile di Camillo Pavan)
Un’altra fornace fa da sfondo alla vita lungo il Sile a Canton, tra S.Elena e Casale sul Sile. Il fiume era davvero l’arteria che irrorava di vita e risorse tutte le comunità che si affacciavano su di esso.
Fare le pietre era un lavoro durissimo e, fino alle impastatrici a motore degli anni 50, interamente manuale. Trovato il terreno giusto, ricco di argilla, si faceva “la descuerta”, cioé si toglieva lo strato di terreno superficiale, da rimettere in seguito per continuare le coltivazioni. Rimossa l’argilla (caricandola su dei carrelli a rotaia) la si ammucchiava sul “monte” dove restava a lungo a maturare (questo lavoro si faceva in inverno). In estate la “tera da piere” veniva prelevata dal “monte” e se ne faceva un “paston de malta” rovistandola con una zappa di ferro e dal manico non più lungo di un metro, finché diventava “morbida come el buro” eliminando ogni traccia di caranto che altrimenti, nel forno, sarebbe scoppiato.
(Da Il Sile di Camillo Pavan)
Poi la si portava “al banco�, in pratica un piano rialzato dove si modellava a mano l’argilla premendola in uno stampo. A questo punto un altro membro della famiglia, di solito una donna provvedeva a distendere le pietre sull’aia, a spina di pesce, dove dovevano asciugare. Solo quando le pietre erano asciutte passava il capo fornace per contarle e determinare il compenso che spettava al fornaciaio. Il banco era un attrezzo che, nella famiglia, passava di padre in figlio...
(Da Il Sile di Camillo Pavan)
Ogni anno alla fine della stagione, il padrone radunava gli operai per una festa all’interno della fornace, su tavole approntate per l’occasione. Il rapporto era di tipo paternalistico, col padrone che provvedeva spesso anche alle case dei suoi operai; che d’altra parte dovevano essere sempre pronti al lavoro perché la fornace non si spegneva mai e si dovevano proteggere le pietre con le “risse” in caso di pioggia. La fornace insomma era una “fabbrica totale” alle cui esigenze ci si rassegnava per avere “il copo” cioé un tetto sopra la testa.
(Da Il Sile di Camillo Pavan)
Ma scoppiavano anche scontri e scioperi duri, con battaglie tra scioperanti e crumiri. Le cose erano diverse infatti tra l’operaio comune, che viveva solo del proprio lavoro, e il classico lavorante trevigiano che aveva sempre “il campetto” da lavorare nei ritagli di tempo.
5° risorsa: LA GHIAIA DEL SILE Gli scavi di ghiaia nel Sile iniziarono nei primi dell‘800 quando le amministrazioni napoleonica e austriaca, subentrate alla Serenissima, imposero alle autorità locali la costruzione e la manutenzione di tutta la rete stradale, non solo quella “regia” ma anche quella intercomunale. (Il massimo sforzo si ebbe negli anni 1830-1848 durante i quali fu costruita, tra le altre, la “Nuova Trevigiana”). Servivano enormi quantità di ghiaia e il Sile ne divenne la miniera. Scavando troppo di causò un abbassamento del livello dell’acqua perdendo la possibilità di navigare nel tronco urbano del Sile. Anche i mulini ebbero gravi danni, dalla lobby dei cavatori.
(Da Il Sile di Camillo Pavan)
L’operazione di scavo era effettuata con un attrezzo detto “baiòn” che era manovrato da bordo di una zattera da tre cavatori. La ghiaia era poi caricata su un battello che la trasportava a riva. Da qui partiva a bordo di carretti tirati da cavalli. Un cavatore lavorava circa 8 metri cubi di ghiaia al dì. (Da Il Sile di Camillo Pavan)
Qui si vede bene l’uso del “baiòn” o “bailòn” e si può immaginare la fatica nel manovrarlo. In questo caso si sta estraendo sabbia.
(Da “Navigazione fluviale e vie d’acqua” Museo della navigazione fluviale)
Naturalmente c’era una barca quasi per ogni funzione. L’uso del “bailòn” si faceva sulla “burcela” usata anche per trasporti di entità limitata. Il manico del bailòn era di circa 8 metri.
La ghiaia presente nell’alveo del Sile risale all’ultima glaciazione ed è stata portata dai conoidi di deiezione del Piave, come tutto il materiale ghiaioso che ricopre l’alta pianura trevigiana. Da allora, essendo il Sile un fiume di risorgiva, non ha più ricevuto apporti di ghiaia che quindi é tutta “ghiaia fossile”. L’asporto di ghiaia è proseguito come in una miniera finché la vena non si é esaurita o il costo ambientale non è diventato troppo alto per essere sostenibile. (Nella foto le cave da Casier verso Lughignano - Da “La Piarda del Sile” di Camillo Pavan - Foto collezione Bruno Gandin)
(Da Il Sile di Camillo Pavan)
Idem verso Treviso. Si notano le draghe all’opera e il movimento dei burci per il trasporto. (Da “La Piarda del Sile” di Camillo Pavan - Foto collezione Bruno Gandin)
La draga della ditta Rizzetto, nel 1913
6° Risorsa: La navigazione. Innanzitutto come via per unire il mare con l’interno del territorio. Sembra incredibile, ma il Sile si poteva navigare anche a vela almeno fino a Portegrandi. Per discenderlo, invece, si sfruttava la corrente.
Molti sono i tipi di imbarcazioni che risalivano il Sile, o navigavano in laguna o sui fiumi vicini, come il Po. Eccone alcune illustrate nel “Museo della navigazione fluviale� di Battaglia Terme...
Modello di Burcio Sig. Tozzato
La pi첫 importante e famosa di tutte era il BURCIO. Il burcio era una imbarcazione da carico in legno a fondo piatto che poteva arrivare a 35 metri di lunghezza, 6-7 di larghezza, un pescaggio di 2 metri e un peso a pieno carico di 300 tonnellate, quindi come 6 TIR.
Il burcio era governato da tre uomini: Il Paròn (il capitano che teneva il timone), il MarinÊro (marinaio che si occupava delle manovre) e il MorÊ (il mozzo) che puliva e cucinava.
Spesso il burcio era l’abitazione di tutta la famiglia
Una immagine che dice tutto sulle differenze sociali di chi utilizzava il burchio. Il paròn poteva possedere decine o centinaia di burci. Era in tutto e per tutto un Armatore che trattava importanti contratti di trasporto con le imprese e fabbriche della regione.
Come dicevamo, quando era possibile anche le imbarcazioni fluviali navigavano a a vela (anni 30).
Ma c’erano altri modi per navigare: ecco la manovra di un lungo burcio da carico con le pertiche (che si chiamava “parare�)
(La stessa foto colorata successivamente)
Quando il burcio era molto carico, o la corrente molto forte, il traino del barcaro non bastava più, si doveva ricorrere agli animali. Nel tratto Silea - Treviso - (Ponte della Gobba) il percorso, in cui venivano affrontati con difficoltà difficili vòlti (curve) e la corrente diventava era ancor più forte, si doveva ricorrere a 12 buoi per trainare il burcio.
A queste impegnative situazioni, sovrintendeva il Comandaresso, il cui delicato compito consisteva nell'organizzare i proprietari dei buoi, garantendo loro le medesime possibilità di intervento solitamente comprese nell'arco del mese.
Il traino dei barconi lungo le “restere” (tratti di riva) di chiamava “attiraglio”.
Se non era possibile usare i “cavalcanti” si usava il sistema della “sengia” (cinghia). Notare come il cavo di traino non sia collegato allo scafo, ma alla sommità di un’antenna a prua della barca.
Sistemazione del cavo di traino. L’albero serviva a tenere alte le funi di traino rispetto alla via alzaia ed era a prua in modo che la barca sentisse bene l’influsso del timone. Questa varca, in particolare,, é una “panciana”, usata soprattutto per il trasporto di materiali pesanti (legna, pietre, sassi da calce...) La particolare forma e disposizione del timone aveva lo scopo di tenerlo il più lontano possibile dalla riva, dove poteva toccare il fondo.
Dopo la guerra molti burci furono dotati di eliche e motore, magari ricavati da residuati bellici.
Un altro burchio a motore, con barca di servizio al traino. Il timoniere agisce su una passerella rialzata di fortuna per controllare la rotta.
In tempi recenti, sul Po o su specchi d’acqua di adeguate dimensioni, intervenivano anche i rimorchiatori, a spinta o a trazione...
L’epoca dei barcari é stata molto complessa e fonte di importantissimo progresso tecnico. Il sistema di trasporto fluviale, infatti, non comprende solo le barche ma anche l’ingegneria del territorio, lo scavo di canali come il famoso Canale Battaglia, di circa 14 km. costruito tra il 1189 e il 1201 da Venezia per arrivare ai Colli Euganei e sfruttare le loro cave di trachite...
... e la gestione delle “conche” che erano sistemi di chiuse a livello variabile, per superare i dislivelli dei corsi d’acqua. Ecco un modello di una conca esposto al Museo della navigazione fluviale di Battaglia Terme.
Fino all’epoca recente le vie d’acqua erano le strade principali di una regione e quindi tenute in gran conto. Ecco una mappa medievale che illustra quelle intorno a Venezia nel 18° secolo.
Una conca nella realtà con un burcio che la sta utilizzando per superare un dislivello. Sotto, una conca in costruzione. Per i mezzi dell’epoca era un’opera molto importante e una ulteriore fonte di lavoro.
Una conca nella realtà con un burcio che la sta utilizzando per superare un dislivello. Sotto, una conca in costruzione. Per i mezzi dell’epoca era un’opera molto importante e una ulteriore fonte di lavoro.
Altro lavoro veniva dalla manutenzione dei canali, e dallo scavo di nuovi per le bonifiche di cui Venezia ĂŠ stata autoritĂ indiscussa per secoli, riconosciuta in tutta Europa...
Conseguente all’attività della Navigazione era quella della Cantieristica. I vari burchi, peate e imbarcazioni varie dovevano essere costruiti e poi manutenzionati e anche questa era una fonte di lavoro importante per molti...
Questi barconi da carico potevano arrivare a 30 metri di lunghezza e 6,70 di larghezza con un peso a pieno carico di 300 tonnellate. Quelli più piccoli risalivano il fiume a vela, quando il vento di scirocco era a favore, e lo discendevano con la corrente. Oppure erano trainati lungo le rive (alzaie) da cavalli o buoi messi a disposizione dai contadini che gestivano le “restere”, o dai barcari stessi, che li governavano anche con lunghe pertiche. Più avanti vennero dotati di motore. I più grandi navigavano lungo il Po, spinti da appositi battelli spingitori. - Foto fonte 02
Struttura interna di un burchio e, sotto, di altre imbarcazioni per la navigazione fluviale, o costiera.
Da ricerche sul web su “Barcari” e “Battaglia terme”
Per costruire Burci e altri battelli si usavano vari legni di cui la quercia (rovere) e il larice erano importantissimi e provenivano dalle montagne vicine.
Ecco una immagine del Montello visto dal satellite. L’importanza del Montello per la repubblica di Venezia era enorme, tanto che era tutto recintato e interdetto ai piÚ, pena la morte per chi avesse tagliato legna senza autorizzazione. Era un unico enorme querceto (roveri e farnie) che servivano per i pali di fondazione, l’Arsenale di Venezia e le sue galee, e poi per la costruzione di tutte le altre imbarcazioni. Da http://it.wikipedia.org/wiki/Montello_(colle)
Nonostante l’aura romantica che possono avere oggi i ricordi di allora, il lavoro dei “badilanti”, dei “cariolanti” e di tutti gli altri attori della navigazione fluviale era duro e difficile, mentre le barche non arrivavano dappertutto...
... Niente di strano quindi che, quando il progresso rese disponibile nuovi mezzi di trasporto, le cose cambiassero in fretta.
In breve utilizzare le vie d’acqua non fu più conveniente e gli armatori cambiarono mestiere. I burci vennero abbandonati dov’erano, o dove non potevano dare troppo fastidio perché demolirli sarebbe stata una spesa non sopportabile per gente già in grande difficoltà...
Burci (barconi da carico) abbandonati lungo le rive com’erano prima del 1979
Piano piano, diventarono dei relitti...
Il cimitero dei burci a Silea, com’è oggi
Burcio abbandonato
Un altro burcio semidistrutto
E non solo il Sile rimase vuoto e silenzioso, come molte delle vecchie case e fattorie che costellavano le sue rive e dovevano anche a lui la loro antica ricchezza...
Villa Mantovani, a Lughignano, prima del 1979 - Fonte 02
A Casier solo il porto é rimasto intatto, mentre è scomparsa ogni traccia dell’antico monastero dei santi Pietro, Paolo e Teonisto, sulle cui rovine sembra sia state eretta la chiesa parrocchiale... Il Porto di Casier, ieri e oggi
Sembra che già nel 790 a Dosson esistesse una fornace per la produzione di laterizi. Attività importante ancora oggi...
A CASALE SUL SILE resta, unica importante testimone del passato, la famosa Torre dei Carraresi. Il paese è citato la prima volta in un documento del 1101 compilato a Casale Silerii. Un primo nucleo di Casale sul Sile sorse nel medioevo attorno al castello, a pianta quadrata e provvisto di una torre, che i da Camino, signori di Treviso, utilizzarono durante la lotta contro i Veneziani. Il fortilizio si trovava in posizione strategica: sulla riva destra del Sile, poteva controllarne i traffici.
La funzione strategica e difensiva dell'edificio era potenziata anche da una galleria sotterranea di attraversamento del fiume adiacente, sicuramente - per i tempi - di azzardata e ardua fattibilità , in seguito sprofondata, e di cui si può ancora osservare l'imboccatura diroccata alla base della torre. Sul retro della stessa sono invece visibili le segrete, ove sventurati fuorilegge e 'nemici' veneziani venivano imprigionati. I Carraresi ampliarono il castello casalese aggiungendovi una seconda torre, quella tuttora esistente, mentre quella originaria cadde.
In un affresco di una villa di Casale sul Sile si trova una immagine antica della chiesa e del castello, come doveva essere con tutte le sue torri e le mura, in seguito abbattute.
I
Anche a Casale il vecchio porto Ê stato ben conservato. Rimane pochissimo invece delle altre attività , come la fornace di Lughignano. Quella qui sotto è la Fornace Sile, a Musestre.
Navigando lungo il Sile, al quartum miliarum ab Altinum (Quarto D’Altino), si incontra la foce di un fiume ora abbandonato: é il Musestre, che porta a Roncade, la cui storia é emblematica per capire quello che é venuto dopo...
La storia di Roncade come città si intreccia principalmente con la costruzione del Castello/Villa Giustiniani, tuttora esistente, ottimamente conservato e abitato dai discendenti della casata originaria. Nell’antichità Roncade non era un centro abitato vero e proprio, mentre era più importante Musestre, in quando posto sul confine tra il regno Longobardo e poi Franco e quello Veneto/Bizantino. Il fiume Musestre, affluente del Sile, ne era il confine naturale e a Musestre esisteva un castello che ne sanciva l’importanza militare, affidato a feudatari direttamente imparentati con Carlo Magno. In seguito passò ai signori di Treviso, conti di Collalto e poi ancora a a Venezia, in seguito alla conquista, nel 14° secolo, di tutto l’entroterra. (Vista attuale, da Google Street view)
La chiesa di Musestre sorge sopra il tracciato della via imperiale Claudia Augusta,che collegava Altino alla Germania. La facciata della chiesa é rivolta verso il fiume Musestre che costituiva la principale via di transito verso l’entroterra. La zona, infatti, era coperta da estesissimi boschi. Una comunità di boscaioli, impegnati a strappare al bosco terre coltivabili, esisteva ancora a Ca’Tron nella prima metà del novecento. In antichità il fiume Musestre era più largo dell’attuale e quindi meglio navigabile fino alla zona di Roncade.
Dell’antico castello di Musestre, costruito dai signori di Treviso per proteggere il confine con Venezia, esistono solo i resti rimaneggiati di una delle torri angolari. Forse proprio al castello di Musestre, anch’esso a pianta quadrata e con torri angolari, si ispirò il progettista della villa/castello Giustinian di Roncade.
Mappa ad acquerello del 1536 che mostra il castello di Roncade e le costruzioni intorno al mulino che apparteneva alla moglie del Giustiniani, Agnesina Badoer, che lo portò in dote insieme ai vasti terreni circostanti. Girolamo Giustinian, invece, era un patrizio veneziano, Procuratore di San Marco, seconda carica della Repubblica dopo il doge. Il castello fu probabilmente ultimato nel 1511. (Disegno del perito Nicolò Dal Cortivo, nel 1536 - Biblioteca Comunale di Treviso)
La villa (di progettista ignoto, ma precursore delle strutture del Palladio - come è stato evidenziato anche in una mostra sul Palladio allestita alla National Gallery di Washington nel 1981) non è solo la residenza di campagna di un patrizio veneziano, ma è dotata di ampie barchesse su tutto il perimetro destinate alla gestione dei fondi agricoli della proprietà . Con le strutture del vicino centro abitato, il mulino, le botteghe del fabbro, il fornaio, il veterinario, nate insieme alla villa stessa, voleva prefigurarsi come fulcro di un sistema di servizi verso la campagna circostante, e punto focale dei traffici da Venezia a Treviso...
In questa vecchia litografia si vede il Musestre che era una importante via di comunicazione con Venezia, attraverso il Sile. In effetti vi era un regolare servizio giornaliero di andata e ritorno per Venezia per merci e persone. Quello antistante il castello era appunto il “pra delle barcheâ€?. Il mulino e l’osteria, organizzate dalla Badoer, erano importanti punti di riferimento per tutti. Inoltre i Giustinian avevano costruito le case lungo la via principale per darle in affitto ad altri veneziani e creare attivitĂ artigiane o professionali collaterali.
Foto aerea di Roncade nel 1949. Si vede come il castello e i fabbricati più antichi siano ancora gli elementi più importanti del paese senza espansioni significative. Il progetto di Giustinian di creare un una vera città di servizi si è realizzato solo in parte, in quanto la zona, troppo vicina a Venezia e a Treviso e in concorrenza con l’asse viario costituito dal Terraglio, è rimasta in gran parte rurale con la popolazione sparsa nei poderi del territorio.
Tuttavia lo spirito imprenditoriale della Badoer e il DNA originario di Roncade come centro di servizi, piuttosto che agricolo, incoraggiò lo sviluppo di altre iniziative imprenditoriali. Tra tutte spicca quella di Carlo Menon che fu un precursore dell’industria dei trasporti in Italia realizzando un’auto nel 1897 e addirittura un aereo prima dei fratelli Wrigth, oltre a moto e biciclette. Menon fu anche in contatto con Giovanni Agnelli che, nei primi del novecento, gli propose una società per costruire automobili. Menon rifiutò e fu così che la Fiat nacque a Torino, invece che sui campi di Ca’Tron.
Carta intestata della distilleria Perinotto, che aveva il laboratorio in centro a Roncade, che mostra le dimensioni della fabbrica e della cantina.
E poi l’esposizione in via Roma delle macchine agricole dell’Officina Fratelli Vianello.
Come spesso é poi accaduto in Veneto, molti operai di Menon “si misero in proprio” iniziando altre attività che svilupparono ampiamente la zona. Tra questi Michele Archiutti di Biancade, che divenne costruttore di biciclette. I figli di Archiutti hanno poi fondato Veneta Cucine. Un altro capofabbrica di Menon, Attilio Vianello chiamato Ugo, è partito con una fabbrica di attrezzi agricoli, per arrivare con il nipote Bruno alla Texa SpA, azienda leader nel mondo nella diagnostica per auto. Fantastiche energie che hanno portato il Veneto e tutto il Nord-Est ai primi posti nel mondo per sviluppo e benessere, ma ricordate che...
Avevamo lasciato il Sile con le sue ultime vicende fatte di rovina e di abbandono...
... Ma non ĂŠ stata solo una storia di ingratitudine e di indifferenza!
... Ma proprio nel corso degli ultimi decenni le sue rive sono state violentate da una speculazione selvaggia. Un incomprensibile agglomerato di capannoni che , se possono essere in parte giustificati nella zona del vecchio porto di Fiera, vicino Treviso...
... Non sono assolutamente accettabili lungo il corso dove ci sono aree che avrebbero potuto piuttosto ospitare insediamenti residenziali o alberghieri destinati alla valorizzazione del territorio. (Zona lungo la provinciale CasaleTreviso, vicino Casier)
Un altro esempio di scelte urbanistiche incomprensibili che hanno destinato le attivitĂ industriali piĂš disparate e spesso fallimentari (molti capannoni sono chiusi e in stato di abbandono) proprio lungo quella che doveva essere una fascia di rispetto del fiume. (Zona del supermercato Aliper e grande officina meccanica a Casale sul Sile). Solo i capannoni in basso a destra sono quelli di un cantiere navale.
Altro esempio lungo la strada da Lugugnano a Casier. Molti capannoni sono chiusi o in stato di abbandono. Eppure il tratto del fiume e le sue rive offrono angoli molto suggestivi che avrebbero potuto valorizzare moltissimo i terreni circostanti.
L’incredibile varietà paesaggistica e ambientale della parte nord-est della laguna. Il Sile può essere ancora una naturale e affascinante via di comunicazione turistica tra Venezia, Treviso e poi la fascia pedemontana. Un luogo unico al mondo, ricchissimo di natura, storia, arte e cultura che può attirare un turismo di altissima qualità. (Da Google maps).
Treviso Il Sile
La Laguna Le spiagge
Venezia
Quindi, quale futuro?
Innanzitutto dovrà essere un futuro di BELLEZZA! Ricordate che, anche grazie alle nuove tecnologie, tutto il mondo ci guarda... Immagine di Casier da Google street view. Chiunque da casa sua, può valutare se vale la pena venire in vacanza da noi. Pensate che dovremmo vergognarci? E pensate invece se fossimo virtuosi e Street View percorresse il Sile in battello, da Treviso a Venezia passando per la laguna...
E quindi: Escursionismo, come richiamo turistico e strumento di cura del corpo e dello spirito...
Turismo, nazionale e internazionale (approfittando della vicina Venezia). Ma si può fare molto meglio di quello che già facciamo, confidando nell’iniziativa di pochi. Dobbiamo pensare in Grande!
Occorre tener presente che l’Italia deve confrontarsi con il resto dell’Europa dove ci sono bellezze altrettanto interessanti. Questo, per esempio, è il Canal du Midi, in Provenza...
Il Canal du Midi, o Canal des Deux Mers, é un canale artificiale lungo circa 240 km. che si trova nella Francia meridionale, tra le città di Tolosa e di Sète, porto sul Mediterraneo, che si collega al fiume Garonna. Attraverso questo canale é quindi possibile navigare ininterrottamente da Bordeaux a Sète, ovvero tra il Mediterraneo e l’Atlantico. Costruito grazie all’opera di Paul Riquet, esattore in pensione di Luigi XIV, e all’ingegno dell’ingegnere italiano Francesco Andreossi, da tutti poi dimenticato. Artefice del canale fu Luigi XIV, ma i 42000 alberi furono piantati nel 1830 per stabilizzare le rive.
A sinistra, ritratto di Paul Riquet. Aveva già 58 anni, quando decise di occuparsi della costruzione del canale (quando l’età media nella Francia di quel periodo era di 490 anni) e consumò tutte le sue sostanze nell’esecuzione dell’opera, quando il re Luigi XIV smise di pagarlo per problemi alle finanze del regno. Morì pochi mesi prima dell’inaugurazione del canale
A destra ritratto di Francois Andreossy, o Francesco Andreossi, che alcuni vogliono francese, nato a Parigi, ma formatosi nelle università italiane. Altri invece (National Geographic) dicono che fosse italiano, residente in Francia, e notato dal Piquet di cui divenne il prezioso braccio destro. Fu suo il progetto di una condotta in galleria per portare l’acqua alla zona del canale dalle montagne vicine, che risolse il problema dell’alimentazione del canale nella stagione secca.
Oggi è diventato un percorso turistico eccezionale, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, e da cui potremmo imparare qualcosa...
Potremmo avere anche noi un’attrazione come questa? Certo! Anzi molto di piÚ...
Pensate se avessimo un percorso integrato e senza interruzioni, comodo e agevole dall’auto, alla barca, alla bicicletta, che unisse Treviso a Venezia, attraverso il corso del Sile e poi la Laguna.
Villa Almerico Capra , La Rotonda
Senza contare le escursioni possibili in tutto il territorio circostante, di cui il Sile e i comuni che vi si affacciano potrebbero essere fulcro e punto di partenza. Villa Barbaro, a Maser
Semplice godimento della bellezza della natura, che ci ĂŠ data in prestito e va conservata per chi verrĂ dopo di noi.
Un’occasione grandiosa per la promozione e vendita di prodotti tipici...
Foto tratte dal sito del Parco del Sile www.parcosile.it
Sviluppo della ristorazione e attività alberghiere (di dimensione adeguata e in stile tradizionale) avvantaggiate dall’operare in un ambiente decongestionato, ma vicino a grandi città d’arte come Venezia, Padova, Treviso...
Insomma un TRIONFO di storia, ambiente, opere d’arte, buona tavola, accoglienza... una offerta che non avrebbe pari al mondo e di cui il Sile sarebbe grande protagonista!
E inoltre lungo il Sile potrebbe nascere: Un Polo tecnologico, di studio e sede di attività di recupero ambientale In un raggio di 50 km esistono le Università di Venezia, Treviso e Padova e moltissimi musei che potrebbero incrementare attività di ricerca e studio, certamente meglio sostenute da un ambiente sano e vivibile.
La sede di BIG ROCK, una importante scuola di animazione 3D che ha collegamenti con la Pixar e analoghe realtà creative in tutto il mondo. Usa una casa colonica restaurata, vicino a Quarto D’Altino
La sede di H-Farm, lungo il Sile vicino Quarto D’Altino. E’ sede di numerose Start-Up altamente tecnologiche.
La nuova sede della Apple, il famosissimo Campus 2 voluto da Jobs, con 1,5 Km di circonferenza e 500 mt. di diametro, assolutamente biocompatibile. Milioni di dollari pesi per creare artificialmente un ambiente naturale gradevole per far lavorare al meglio i suoi tecnici e impiegati.... noi ce l’abbiamo già !
E poi cantieristica da diporto e storica...
Educazione e attivitĂ sportive e di aggregazione...
Foto tratte dal sito del Parco del Sile
Semplice godimento della bellezza della natura, che ci é data in prestito e va conservata per chi verrà dopo di noi.
Il Sile, inoltre, é un polmone verde e un elemento di equilibrio idrografico e climatico del territorio, indispensabili all’uomo. Foto tratte dal sito del Parco del Sile
Vogliamo davvero cancellare o trascurare uno spettacolo come questo? Foto tratta dal sito del Parco del Sile
Bibliografia e Crediti Fotografici Fonte 02 - “Il Sile - Vita tra terra e acque da Treviso a Venezia”. Neri Pozza Editore - 1979 - Foto di Giancarlo Gardin - Disponibilità: Biblioteca Comunale di Casale sul Sile. Le foto seguenti sono tratte dal libro e poi alcune sono state modificate dall’autore.
Burcio abbandonato. Potevano arrivare a 30 metri di lunghezza e 3000 tonnellate di peso.
Burci (barconi da carico) abbandonati lungo le rive del Sile
Il Sile a Treviso Vista dall’elicottero (Prima del 1979)
Un barcone da carico, a motore, in navigazione.
Veduta aerea di villa Mantovani, a Lughignano
SILE - Alla scoperta del fiume Scritto e pubblicato da CAMILLO PAVAN nel 1989 Disponibile presso la Biblioteca di Quarto D’Altino
VENEZIA COME Di Giorgio Gianighian e Paola Pavarini Illustraz. di Giorgio Del Pedros Gambier & Keller Editori 2010 Disponibile presso Biblioteca di Quarto D’Altino
IL NOSTRO SILE Di Giorgio Garatti Disponibile presso Biblioteca di Casale sul Sile
L’ULTIMO DEI BARCARI Di Riccardo Cappellozzo Disponibile presso Museo della Navigazione Fluviale di Battaglia Terme
SILE La piarda di Casier Di Camillo Pavan Edito da Navigazione Stevanato 2005 Disponibile presso Biblioteca di Quarto D’Altino * Piarda = banchina, porto fluviale
I MULINI IN ITALIA Di Vittorio Galliazzo con i disegni di Francesco Corni e Loreno Confortini
NAVIGAZIONE FLUVIALE E VIE D’ACQUA Edizione del Museo della navigazione fluviale di Battaglia Terme.
LA TENUTA DI CA’TRON Autori diversi. CIERRE Edizioni (Biblioteca di Roncade)
NAVIGARE NEL TEMPO DEL FIUME Volumetti illustrativi disponibile presso il Museo della Navigazione Fluviale di Battaglia Terme.
Alcune foto personali
Molte foto del Sile attuale sono state tratte dal sito del Parco del Sile
Infine molte informazioni sono state tratte dal Museo della Navigazione Fluviale di Battaglia Terme che raccoglie notizie, foto, plastici e reperti vari dell’epoca dei barcari.
Molte altre immagini sono state trovate su varie fonti del web come Wikipedia o altro, cercando voci come Roma, Altino, Fiume Sile, Venezia, ecc.
I disegni relativi ai soldati antichi sono di Angus Mc Bride e tratti dalla serie Osprey Man At Arms, una serie volumetti di documentazione storica diffusi soprattutto fra i modellisti e i collezionisti. Molte immagini sono comunque disponibili anche sul web.
Alcune immagini sono state tratte da un fumetto disegnato da Marini e pubblicato da Dargaud. Come spesso accade i migliori autori di fumetti sono ottimamente documentati.
Anche se non ĂŠ tutto, per oggi ĂŠ abbastanza.
Grazie dell’attenzione e arrivederci alla prossima!