Eco 7

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SIA – Saccenti Ingegneria Ambientale: gestione e valutazione dei danni da inquinamento, progettazione con modellazione grafica del plume di inquinamento, progettazione ed esecuzione elaborati ai sensi del D.Lgs. 152/06, gestione dei rifiuti. Alcune Referenze: UGF Assicurazioni spa, AXA Assicurazioni, Assicuratrice Edile spa, Augusta Assicurazioni spa, Assicurazioni Generali spa, Fata Assicurazioni spa, Assitalia spa, Toro spa, P.C.A. broker, AON broker, Federtrasporti, APOGEO broker.

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LA RISPOSTA ALLE VOSTRE

gennaio - febbraio 2010 anno III numero 7

PeVmedia.com

SACCENTI INGEGNERIA AMBIENTALE

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Real Estate e brownfields: opportunità e prospettive per il recupero di aree dismesse

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gennaio - febbraio 2010


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on la pubblicazione della Gazzetta Ufficiale del 13 gennaio scorso è ufficialmente partito il conto alla rovescia per adeguarsi al Sistri, il nuovissimo Sistema informatizzato di controllo della tracciabilità dei rifiuti. Si tratta di una vera propria corsa contro il tempo: 180 e 210 i giorni messi a disposizione, in funzione del numero di dipendenti, per le oltre 600mila aziende operanti nella filiera dei rifiuti, le quali dovranno adeguarsi a questo sistema che promette di seguire in itinere la movimentazione del rifiuto, in ambito nazionale, dal produttore al centro di destino. Il principio è semplice e si basa sull’informatizzazione del processo di gestione dei rifiuti pericolosi che manderà in pensione entro fine anno FIR e MUD. In pratica, è sufficiente iscriversi e dotarsi di una chiavetta ad un costo variabile tra 100 e 700 euro, per ogni unità locale e per ciascun mezzo di proprietà dell’azienda; un sistema satellitare permetterà di seguire il rifiuto in tutte le fasi che vanno dalla produzione, alla movimentazione, al recupero/smaltimento. Il Ministero stima di riuscire ad abbattere del 50% i costi legati agli adempimenti cartacei che verranno sostituti dalle nuove procedure informatiche, il tutto a vantaggio della trasparenza ed efficienza delle operazioni. Il sistema, che verrà gestito dal Comando dei Carabinieri per la tutela dell’ambiente, promette vita difficile alle ecomafie e all’illegalità grazie al monitoraggio in tempo reale dei flussi di trasporto, rendendo tempestivo il controllo degli illeciti. Quindi sulla carta, o meglio sui pc, Sistri promette una vera rivoluzione, unita a riduzione dei costi, semplificazione delle procedure e rapidità dei controlli. Ma… sarà tutto vero? Sono ancora molte le perplessità e i dubbi legati sia alle tempistiche, sia alle modalità operative del sistema, che richiede un’interconnessione tra Associazioni di categoria, Enti pubblici ed imprese, oltre alla conformità tra una serie di normative relative al trasporto di merci pericolose. Non facciamo previsioni e lasciamo agli esperti e agli operatori del settore i giudizi positivi o negativi sul Sistri, auspicando tuttavia che i buoni propositi che ne hanno portato all’emanazione non vengano disattesi, e facciano fare all’Italia un balzo in avanti per superare le difficoltà gestionali del settore rifiuti. Si spera infine che il rodaggio del sistema sia il più possibile veloce e lineare e non richieda nel prossimo futuro le solite “manutenzioni non programmate” che troppo spesso si sono rese necessarie per colmare lacune legislative o interpretative. Massimo Viarenghi

SISTRI METTE I RIFIUTI SULL A RETTA VIA

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TITOLO

7 sommario

gennaio / febbraio 2010

ECO TECNOLOGIE PER L’AMBIENTE BONIFICHE E RIFIUTI

www.ecoera .it

RUBRICHE ecoNews

13 La Commissione Europea ha presentato una proposta di revisione della direttiva RAEE: l’ANIE mette in luce i punti critici

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Vetrina

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convegni

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Libri

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STORIA DI COPERTINA MERCATO IMMOBILIARE E BONIFICHE: TRA PASSATO, PRESENTE E SVILUPPI FUTURI di Massimo Viarenghi

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ATTUALITÁ

23 Digestione dei rifiuti urbani, con l’approccio integrato aerobico-anaerobico l’Italia si avvia finalmente a seguire l’Europa

65 applicazione di tecnologie marine e soluzioni ad impatto zero per affrontare le Emergenze ambientali in alta montagna

LA PROPOSTA DI REVISIONE DELLA DIRETTIVA RAEE di Daniela Capaccioli e Pier Paolo Kamidis SONO PASSATI 18 ANNI DALLA MESSA AL BANDO DELL’AMIANTO: A CHE PUNTO SIAMO? di Elena Donà 21 MINUTI: RINNOVARE LE IDEE PER RINNOVARSI di Maria Beatrice Celino

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LA DIGESTIONE ANAEROBICA DEI RIFIUTI URBANI: UN MERCATO IN CRESCITA di Alberto Confalonieri

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OPPORTUNITà economiche e criticità ambientali nella rigenerazione urbana di Marina Dragotto e FedericoVanetti

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IL SALONE DELLE BONIFICHE DI FERRARA TIRA LE SOMME SULL’EDIZIONE 2009 di Daniele Cazzuffi, Silvia Paparella e Ilaria Pietrini

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FABBRICA DELLE IDEE IL COMPATTATORE DOMESTICO: UNA SOLUZIONE AL PROBLEMA DEI RIFIUTI di Ennio Forte e Francesco Del Vecchio

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THE BIG EYE

84 Dispositivi di Protezione Individuale: valutare accuratamente i rischi e proteggere i lavoratori nei cantieri di bonifica

4

Anno 3 - Numero 7

AD AMBURGO I RIFIUTI DIVENTANO UN’IMPORTANTE RISORSA ENERGETICA di Tina Corleto

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REPORT L’AMIANTO NEL MONDO E IN ITALIA: QUALI LE AZIONI DA INTRAPRENDERE?

di Federica Paglietti

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Anno 3 - Numero 7 Gennaio - Febbraio 2010 Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore editoriale: Tina Corleto Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin

SPECIALE CARATTERIZZAZIONE: un primo passo importante nell'iter di bonifica di Vera Rocca e Maeva Brunero Bronzin

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PANORAMA AZIENDE RENERWASTE: LA SOLUZIONE PER IMPIANTI OBSOLETI E DISCARICHE ESAURITE di Maria Beatrice Celino

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WORK IN PROGRESS MASSIMA PROTEZIONE NELLA RIMOZIONE DELL’AMIANTO IN UN CANTIERE DI ANCONA di Alfio Bazzichi

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continua con la demolizione la storia dello stabilimento STOPPANI di Fabrizio Amadei e Paolo Bongiorni

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LA GRANDE RIQUALIFICAZIONE DELLE FABBRICHE EX STAYER di Andrea Terziano INTERVENTO DI DEMOLIZIONE DEL TETTO GALLEGGIANTE DI UN SERBATOIO DA 130.000 MC di Ivan Poroli

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PROGETTI E TECNOLOGIE Inquinamento da idrocarburi in alta montagna di Carlo Alberto Saccenti

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SCOPRIRE L’ORIGINE DI UNA CONTAMINAZIONE DA URANIO CON METODI DIRECT PUSH di Wes Mc Call

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NORMATIVA

Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7802164 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - C.so Francia, 128 - 10143 Torino Abbonamenti: Italia annuo € 30,00 - estero annuo € 50,00 copia singola € 6,00 - arretrati € 10,00 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it

Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:

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SITI CONTAMINATI: IL CONSIGLIO DI STATO chiarisce l'ENNESIMA QUESTIONE INTERPRETATIVA di Andrea Quaranta

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L’UTILIZZO DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE NEL SETTORE DELLE BONIFICHE di Filippo Bonfatti

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DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone 127 10095 Grugliasco (TO) Tel. 011 7802164 Fax 011 4047946 e-mail: info@deaedizioni.it www.deaedizioni.it

Organo Ufficiale dell'Associazione Studi Ambientali

ASSOCIAZIONe STUDI AMBIENTALI L'ACCORDO DI PROGRAMMA PER IL RECUPERO DEGLI INERTI 88 GREEN ENERGY ECONOMY ACT IN CANADA

Comitato Scientifico: Daniele Cazzuffi (Cesi spa – Remtech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Roma) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino)

Stampa: Tipografica Derthona - s.s. per Genova, 3/I - 15057 Tortona (AL)

L’ANALISI DEL CICLO DI VITA PER DETERMINARE L’IMPATTO AMBIENTALE di Michela Gallo

RISCHI DA INTERFERENZE E DUVRI NELLA RACCOLTA E NEL TRATTAMENTO DEGLI RSU di Paolo Fioretti e Biagio Principe

Collaboratori: Fabrizio Amadei, Alfio Bazzichi, Sergio Bellagamba, Filippo Bonfatti, Paolo Bongiorni, Daniela Capaccioli, Claudia Cattaneo, Daniele Cazzuffi, Maria Beatrice Celino, Alberto Confalonieri, Fiorenzo Damiani, Paolo De Simone, Adriana Del Borghi, Francesco Del Vecchio, Vincenzo Di Molfetta, Elena Donà, Marina Dragotto, Paolo Fioretti, Ennio Forte, Michela Gallo, Francesca Gennari, Pier Paolo Kamidis, Sergio Malinconico, Alessandro Marinaccio, Wes Mc Call, Anna Montefinese, Federica Paglietti, Silvia Paparella, Ilaria Pietrini, Ivan Poroli, Biagio Principe, Andrea Quaranta, Vera Rocca, Carlo Alberto Saccenti, Fabrizio Sallusti, Carlo Strazza, Andrea Terziano, Federico Vanetti.

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L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75. Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione bimestrale Poste Italiane Spa – Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 – registrata presso il Tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n. 56. Ai sensi del D.Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.


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GLI SCI IN FORNO?

UNA COSTOSISSIMA POLVERIERA DI RIFIUTI

Non è un’impresa facile frantumare un paio di sci dopo tutti gli studi messi a punto per costruirli in modo da resistere agli shock più violenti. L’azienda francese Tri-Vallées, però, ha deciso di provarci lo stesso, riuscendo ad estrarre le parti metalliche – destinate alla fusione – dal materiale plastico, che viene invece venduto ai cementifici come combustibile per i forni. Il responsabile della Direzione Ricerca e Sviluppo della TriVallées, Gautier Mestrallet ha dichiarato: "Questi materiali bruciano bene e sviluppano un calore notevole, i cementifici sono interessati all'offerta, perchè 3 tonnellate di questi rifiuti equivalgono a una tonnellata di petrolio". Per il momento l’intero procedimento di riciclo è ancora in fase di sperimentazione, ma nel 2009 sono già state trattate 190 tonnellate di sci. L’obiettivo per Tri-Vallées è chiudere il 2010 a quota 250 tonnellate, e nel frattempo cerca di ottimizzare il trasporto del materiale, che presenta non poche difficoltà.

1,3 miliardi di euro all’anno è il costo della mancata costruzione di termovalorizzatori in Italia: sono i risultati relativi al settore dei rifiuti urbani elaborati dallo Studio 2009 dell’Osservatorio, che denuncia il pesante immobilismo che sembrerebbe impedire qualunque tentativo di innovazione tecnologica. Un immobilismo che l’Italia non potrebbe permettersi, visti gli elevatissimi costi in cui si traduce. I dati riportati dall’ISPRA non sono affatto incoraggianti: con il 47% di rifiuti solidi urbani smaltito in discariche a capacità residua limitata, fotografano una realtà decisamente preoccupante, che rischia di far esplodere parecchie situazioni a rischio, come già è accaduto in Campania. Secondo il report dell’Osservatorio, per poter gestire la situazione tra il 2009 e il 2024 bisognerebbe arrivare a costruire almeno 100 termovalorizzatori, per una capacità totale di 20 milioni di tonnellate all’anno. Tutto questo ipotizzando che il livello di raccolta differenziata si assesti intorno al 65%, come indica la normativa, un dato ancora molto lontano dalla realtà. (Fonte: Il velino, agenzia stampa quotidiana nazionale)

E’ DI NUOVO GUERRA PER IL RIGASSIFICATORE DI BRINDISI «Il rigassificatore di Brindisi si farà». Il parere favorevole è arrivato dalla Commissione nazionale VIA – Valutazione d’Impatto Ambientale – nominata dal ministro Stefania Prestigiacomo, dopo che soltanto un anno fa la Commissione VIA regionale era arrivata a conclusioni opposte, a causa dell’eccessiva vicinanza di altri impianti fortemente inquinanti e ad alto rischio incidenti. Il piano di lavoro era stato avviato dal governo Berlusconi nel 2003 (ma senza la VIA) e poi bloccato dal governo Prodi, tra molte incertezze e tentennamenti. Il rigassificatore consentirebbe all’Italia di acquistare metano anche da Paesi non collegati tramite i condotti, poiché il gas potrebbe essere trasportato facilmente allo stato liquido. Resta da valutare con molta attenzione se la scelta di costruire l’impianto a Brindisi possa dirsi realmente opportuna: il progetto è sempre stato fortemente osteggiato dagli enti amministrativi e dai cittadini di Brindisi, un po’ per i problemi di compatibilità ambientale, un po’ per il coinvolgimento di interessi che hanno ben poco a che vedere con l’ambiente. Brindisi Lng infatti, il consorzio proprietario del progetto, fa parte del colosso inglese British Gas, a cui il governo Berlusconi aveva assicurato l’approvazione fin dall’inizio, e che in questi anni ha sempre fatto forti pressioni per la realizzazione dell’impianto. A febbraio 2007 l’arresto dei tre funzionari della British Gas e dell’ex sindaco di Brindisi Antonino con l’accusa di corruzione e falso in bilancio sembrava aver messo un punto alla questione. Il via libera del Ministero ha però riaperto lo scontro, che si annuncia molto aspro.

Bertolaso: "Ora gli amministratori locali non hanno più alibi. Saranno gli elettori a giudicarli"

L’emergenza rifiuti in Campania è finita per decreto il 31 dicembre 2009: ora la gestione dei rifiuti torna sotto la competenza degli enti locali, Regione e Provincia, sorrette ancora per un anno da due unità operative della Protezione Civile. Bertolaso ha commentato: “Ora ci sono sei discariche a norma, sette impianti attivi ed un termovalorizzatore che funziona come un orologio svizzero, non inquina e produce reddito”. Le perplessità però sono ancora molte, soprattutto sull’orologio svizzero, e non tutti sono d’accordo sull’adeguatezza degli impianti. Michele Buonuomo, presidente della sezione campana di Legambiente ha dichiarato a Lucia Venturi di Greenreport: “L'emergenza non è finita: alcune province, come Salerno, sono più avanti perché raccolgono l'eredità di consorzi di bacino che hanno lavorato bene. Altre come Napoli e Caserta, sconteranno i ritardi accumulati e si troveranno con pesanti eredità sociali e ambientali, in termini di migliaia di lavoratori in esubero e un sistema ancora tutto da impostare. Ciò che rimane è una serie di discariche e impianti non risolutivi, come quello di Acerra o quelli di trito vagliatura, che aspettano ancora di vedere partire il revamping previsto. Si rischia oltretutto che a queste discariche se ne aggiungano altre, mentre non è stato fatto niente per gli impianti necessari a sostenere il ciclo della gestione dei rifiuti nonostante le norme regionali dessero alle province il potere di farlo. Il paradosso è che i comuni più virtuosi, che pure esistono, sono i più penalizzati da questa situazione e lo saranno anche in futuro».

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Sarzana: 15.000 metri cubi di rifiuti abusivi nell’area dell’Alberone

L A NUOVA ISO 9004 SCOMMETTE SULL A SOSTENIBILITA’

Nella zona dell’Alberone, ramo morto del fiume Magra, sono stati scaricati abusivamente 15.000 metri cubi di rifiuti. La polizia provinciale di La Spezia ha recentemente individuato il principale responsabile del reato, il titolare di un’azienda individuale di edilizia che da mesi si sbarazzava in questo modo di macerie e laterizi, arrivando ad innalzare di cinque metri il livello del ramo morto. Gli inquirenti sono alla ricerca di nuovi probabili indagati: appare infatti poco plausibile che i più di mille viaggi via camion necessari a trasportare una simile quantità di materiale siano stati compiuti tutti da un’unica persona. Per velocizzare il ripristino dell’area – già da parecchio tempo oggetto delle proteste degli ambientalisti – l’ufficio tecnico del Comune di Sarzana ha emesso un’ordinanza con la quale si obbliga il responsabile del reato a ripulire l’area entro trenta giorni. Per il momento però, l’area resta sotto sequestro, per verificare che fra i rifiuti scaricati non vi sia materiale pericoloso.

Nel 2000 l’ISO (International Organization for Standardization) pubblicava la norma ISO 9004, una guida di grande utilità per le organizzazioni decise a migliorare il proprio sistema di gestione. Dopo nove anni arriva la nuova versione – pubblicata nel novembre scorso – che porta con sé diverse novità, ed è fondata sul concetto di sostenibilità, intesa come “capacità di un'organizzazione o di un'attività di mantenere e sviluppare le proprie prestazioni nel lungo periodo". L’approccio di un’azienda che voglia consolidarsi nel tempo non può in nessun modo prescindere dal dialogo e dalla soddisfazione di tutte le parti, cercando di trovare compromessi adeguati fra necessità che sono spesso contrastanti. Profitto ed etica del lavoro non vanno sempre di pari passo, ma puntare solo al guadagno immediato, senza curarsi degli effetti collaterali, significa mettere il piede in fallo, ed è un errore che si paga molto caro.

RAEE E CO 2 : IL SONDAGGIO DI ECODOM 994.800 tonnellate di CO2 in meno in atmosfera nel 2009, grazie al riciclo dei RAEE, i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Ecodom, il Consorzio Italiano di Recupero e Riciclaggio Elettrodomestici, ha raccolto per nove mesi in tutta Italia quintali e quintali di frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie, forni, condizionatori, per un totale di 55.880 tonnellate di rifiuti, che sono stati poi trattati in appositi impianti di selezione, impedendo così il rilascio in atmosfera di CO2 e di gas dannosi per l’ozono. Ecodom ha inoltre analizzato i dati relativi alla raccolta dei RAEE regione per regione, segnalando la quantità di rifiuti conferiti agli impianti ed il conseguente risparmio energetico. Il primo posto della classifica è occupato dalla Lombardia, con 9.831 tonnellate di RAEE riciclati, che hanno consentito un risparmio energetico di 19.091.067 kWh, evitando di liberare in atmosfera 172.488 tonnellate di anidride carbonica. Seguono Piemonte ed Emilia-Romagna, che hanno destinato agli impianti di smaltimento rispettivamente 7.243 e 6.849 tonnellate di rifiuti, traducibili in circa 14.700.000 kWh di energia risparmiata.

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ARRIVA IL SISTRI Chiavetta token USB e black box faranno presto piazza pulita di formulari, MUD e registri cartacei: il SISTRI, sistema informatico per la tracciabilità dei rifiuti è la soluzione pensata dal Ministero dell’Ambiente per semplificare e sveltire il flusso dei rifiuti speciali in Italia, compiendo allo stesso tempo una sorta di operazione trasparenza. Il Decreto (17 dicembre 2009) è fondato sul D. Lgs 152/2006, che già prevedeva la realizzazione di un sistema integrato in funzione della sicurezza nazionale e della prevenzione dello smaltimento illecito da parte della criminalità organizzata. Il SISTRI si configura dunque come una completa informatizzazione del sistema di gestione, che consentirà di verificare in tempo reale i dati inseriti nel software, e seguire il percorso dei rifiuti grazie a un GPS. I produttori, i trasportatori e tutti gli intermediari dovranno iscriversi al sistema e dotarsi della chiavetta USB presso le Camere di Commercio. I trasportatori dovranno inoltre montare su ogni mezzo la black box (GPS) che consentirà di non perdere mai di vista l’effettivo tracciato dei rifiuti, dal produttore all’impianto di smaltimento. Durante questa prima fase il decreto individua una categoria di soggetti obbligati ad iscriversi (imprese ed enti produttori di rifiuti pericolosi, o coinvolti nella gestione dei rifiuti della Regione Campania, commercianti e intermediari di rifiuti senza detenzione e altre sottocategorie speciali) e una per cui l’iscrizione è su base volontaria (imprese produttrici di rifiuti speciali non pericolosi). Il sistema sarà operativo entro centottanta giorni dall’entrata in vigore del Decreto.



storia d i co pertina

MERCATO IMMOBILIARE E BONIFICHE: TRA PASSATO, PRESENTE E SVILUPPI FUTURI Il punto di vista di uno dei principali operatori immobiliari Italiani evidenzia criticità ed evoluzioni future nei processi di gestione ed acquisizione delle aree dismesse di Massimo Viarenghi

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ttivo in Italia, Germania e Polonia, Pirelli RE (Gruppo Pirelli & C. S.p.a.) è uno dei principali player nel settore immobiliare in Europa. L’azienda gestisce patrimoni immobiliari di elevato profilo qualitativo, attraverso partnership con primari investitori internazionali, per un totale di 15,1 miliardi di euro. Abbiamo incontrato l’ing. Emilio Biffi, Consigliere e Chief Technical Officer di Pirelli & C. Real Estate S.p.a., nonché Presidente del Consiglio di Amministrazione di Pirelli & C. Ambiente Site Remediation S.p.a., che ci ha illustrato il complesso connubio tra riqualificazione del territorio, bonifiche e sviluppo immobiliare delle aree dismesse, frutto dell’esperienza pluriennale maturata nei settori industriali del Gruppo Pirelli. Quali sono state le motivazioni del Gruppo che hanno portato alla nascita di Pirelli Site Remediation? Pirelli & C. Ambiente Site Remediation S.p.a. opera con successo dal 1997 nel settore della riqualificazione e della gestione dei processi ambientali, offrendo una vasta gamma di soluzioni nel campo delle bonifiche di siti contaminati, integrando le conoscenze tecnico-specialistiche del settore della "soil remediation" con le esigenze del processo globale

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di riqualificazione urbanistica e del territorio. In realtà Pirelli Site Remediation è figlia di un’attività che noi svolgiamo come gruppo immobiliare già dalla fine degli anni ottanta, inizio anni novanta, quando all’interno della società era stato individuato un pool di tecnici con lo specifico compito di occuparsi degli aspetti ambientali, che al tempo rappresentavano tematiche assolutamente nuove e ancora poco conosciute. I primi incarichi riguardavano l’individuazione di tutte le passività ambientali degli immobili del gruppo industriale, sia esistenti che dismessi: un’attività che ci ha visti coinvolti forse più in ambito internazionale che nazionale, con diversi anni di anticipo rispetto alla legislazione italiana. Oggi Pirelli Site Remediation è diventata una realtà indipendente, con commesse riferibili sia all’attività immobiliare del gruppo industriale, sia a clienti esterni. Si può quindi dire che, in assenza di normative specifiche, i tecnici del Gruppo Pirelli abbiano gestito le problematiche ambientali come dei pionieri? Esattamente. Per citare una delle nostre prime esperienze oltre oceano, alla fine degli anni ottanta affrontammo la boni-


fica dell’area di uno stabilimento dismesso di Little Rock, Stati Uniti, che presentava un grosso problema ambientale di interramento di rifiuti; si tratta di un’attività che purtroppo ai tempi era abbastanza frequente, soprattutto nei Paesi che potevano contare su un’ampia disponibilità di spazi. L’interesse per l’acquisizione dell’area ci spinse ad affrontare ed infine a risolvere un problema che oggi sarebbe considerato ormai di routine, ma vent’anni fa poneva non poche difficoltà a livello gestionale ed organizzativo. Negli anni successivi abbiamo affrontato e risolto diverse situazioni critiche, fino ad arrivare al boom degli interventi verso la fine degli anni novanta, con l’emanazione della prima normativa in campo di bonifiche ambientali, il D.M. 471/99. Fra i casi di quegli anni, spicca quello dell’ex area industriale Bicocca, avviato nel 1989: 810mila mq su cui sono stati realizzati nuovi spazi verdi, residenze, servizi e social housing, il primo grande intervento di riqualificazione urbana di Milano. All’inizio le attività di bonifica procedevano di pari passo con la dismissione di parti dello stabilimento, che arretrava dal centro verso la periferia. Si procedeva in modo abbastanza inquadrato, demolendo, indagando e, dove necessario, sanificando o meglio bonificando in modo importante, perché la normativa prevedeva per le bonifiche esclusivamente il raggiungimento dei limiti tabellari riportati nel D.M. 471/99. Le aree dimesse, i cosiddetti brownfields, stanno assumendo negli anni un valore sempre più strategico in quanto sono state inglobate nel tessuto urbano; è corretto? Direi che per quanto riguarda le città industriali del nord Italia, Milano, Torino, Genova o Venezia, i brownfields sono stati generati da grandi o piccole aree industriali che, per motivi di dislocazione o di obsolescenza delle strutture, si sono trasferiti o hanno cessato le attività, lasciando vuoti urbani ed aree che in funzione della loro vetustà venivano via via inglobate nella città che si espandeva. Nel nord Italia questo fenomeno non è ancora esaurito, ma certamente ha già avuto un grande effetto nelle aree di maggior estensione.

Rimangono ora una miriade di aree più piccole delle quali si sa abbastanza poco, anche in termini quantitativi. Al Centro e al Sud invece, in particolare da Roma in giù, ci sono ancora numerose aree dismesse, che rappresentano il grosso dei siti di interesse nazionale. A Napoli, per esempio, ci sono due grandissimi poli industriali dislocati in due aree ben definite: quella del petrolchimico, alle spalle del porto industriale, e l’area di Bagnoli. Qui le piccole aree industriali, quelle potenzialmente integrabili nel tessuto urbano delle città, sono numericamente inferiori a quelle che si sono sviluppate al Nord. Se è vero che il recupero dei brownfields ha già raggiunto il suo culmine, quali saranno le tendenze del mercato delle bonifiche delle grosse aree? Per diverse ragioni, ma soprattutto sotto la spinta del trasferimento dei patrimoni statali ai Comuni, oggi stanno entrando sul mercato le aree militari e, in parte, le aree ferroviarie, che sicuramente rappresentano nuclei importantissimi nelle città italiane. Ferrovie dello Stato sta realizzando accordi di programma praticamente in tutta Italia per la trasformazione di una parte delle proprie aree – sebbene ancora non così consistente come auspicabile – con l’impegno di reinvestire nelle strutture ferroviarie della città: a Milano ad esempio si stanno impegnando per la costruzione di un secondo passante. Cedendo queste aree, lo Stato acquisisce liquidità che sarà utilizzata per investire nelle strutture e nelle infrastrutture della città o delle immediate vicinanze. Ho citato l’Esercito, che con la vendita del proprio patrimonio demaniale mira ad incrementare le

proprie entrate in cassa e, allo stesso tempo, con la riqualificazione degli immobili, a garantirsi nuove residenze per i militari che, essendo diventati professionisti, non vivono più in caserma. A Milano e a Bologna questi processi sono abbastanza evoluti, ma nel resto dell’Italia la situazione è ancora ad uno stato pressoché embrionale, soprattutto alla luce del trasferimento che si intende fare, con una parte della finanziaria, dal demanio dello Stato a quello comunale. La normativa ambientale in materia di bonifiche presenta ancora parecchie criticità sull’iter autorizzativo e sulle tempistiche. Ciò influisce sulle operazioni di recupero? I costi e i tempi di bonifica devono poter essere stimati con certezza per la corretta valutazione dell’investimento immobiliare: è evidente che una bonifica va eseguita in tempi brevi per poter avviare le successive attività di riqualificazione. Purtroppo sotto questo aspetto abbiamo verificato in anni di esperienza diverse mancanze da parte della pubblica amministrazione. Per esempio, una bonifica su un’area di 3-4 ettari, del valore di 400.000 €, che richiederebbe un intervento di circa 180 giorni, (tra indagini, progetto ed esecuzione) ha un tempo autorizzativo che può

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variare tra 8 e 15 mesi e che ovviamente non è compatibile con le necessità di uno sviluppatore immobiliare. La tipologia di bonifica, le modalità di controllo, la verifica progettuale sono funzione dell'ubicazione dell’intervento; non esiste infatti un’omogeneità di valutazione sull’intero territorio nazionale, ogni singolo Comune, Provincia e ARPA hanno parametri di valutazione spesso molto differenti. Inoltre, la normativa non accenna ad alcuna modalità di liberatoria per le edificazioni al termine delle attività di risanamento se non a seguito dell’ottenimento del Certificato di Avvenuta Bonifica, e questo comporta inevitabilmente tempi di attesa molto lunghi. Le bonifiche dovrebbero essere oggetto di una sola competenza o di un solo responsabile del procedimento. Personalmente ritengo che le attuali strutture matriciali con diverse competenze e ruoli siano destinate al fallimento; auspico, invece, una struttura piramidale, che sarebbe l’unica in grado di risolvere in tempi brevi le problematiche che emergono in ciascun provvedimento. Il consumo del territorio italiano cresce con un ritmo di 250.000 ettari l’anno. Per ridurre la cementificazione del nostro Paese, ritiene concretamente perseguibili i piani di sviluppo a consumo zero di nuovo territorio? Direi che sostanzialmente, nelle grandi città del Nord, gli spazi che verranno lasciati liberi dalle attività precedenti (industriali, terziarie, militari, ferroviarie, ecc.) sono ampiamente sufficienti a soddisfare la domanda e perfettamente idonei ad essere riutilizzati. Non ritengo affatto necessario utilizzare nuovo territorio. Il consumo di territorio deve essere pensato in modo molto oculato, questo non vuol dire necessariamente vietare qualunque tipo di espansione urbanistica, ma sicuramente cercare di contrastare l’abbandono dei centri storici e il decentramento verso periferie sovente scadenti sia a livello architettonico che urbanistico. Questa tendenza purtroppo ha caratterizzato i piani regolatori degli anni 60-80 portando alla creazione di aree degradate, poste ai margini delle città, come uno specchio del fallimento del gigantismo edilizio.

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Ogni Amministrazione ha il diritto-dovere di pianificare e, nel pianificare, ha il dovere di utilizzare al meglio il proprio territorio, favorendo ed incentivando il recupero delle parti storiche della città e limitando l’utilizzo di territorio nuovo, che non crea necessariamente condizioni di vita migliori. Il recupero degli immobili esistenti dovrebbe inoltre prevedere una parziale o totale esenzione dagli oneri di urbanizzazione; su questo nodo tuttavia i Comuni dimostrano davvero poca apertura. Recuperando infrastrutture già esistenti si riduce la pressione sugli oneri di urbanizzazione, creando economie di scala che il Comune può mettere a disposizione per lo sviluppo effettivo delle localizzazioni. Un’ultima domanda: in relazione alle aree dimesse, quale ritiene sia il futuro del mercato delle bonifiche? Come è ovvio, questo mercato è strettamente connesso all’andamento di quello immobiliare che, come tutti sappiamo, in questo momento non gode di ottima salute. Va detto però che gli alti e bassi ci sono sempre stati: siamo reduci da un ciclo di sviluppo perfino eccessivo e dunque dobbiamo aspettarci una ripresa abbastanza lenta. Ai problemi ciclici propri di qualunque attività, qui si aggiunge il problema rilevantissimo del credito, che oggi ha subito una drastica contrazione. Premesso questo, voglio di nuovo ricordare che l’obiettivo della pubblica amministrazione dovrebbe essere quello di non consumare nuovo territorio edificabile, perché in Italia è limitato. In un futuro prossimo si renderà indispensabile il riutilizzo delle aree industriali minori e di quelle statali, tutte occasioni di lavoro molto importanti per chi opera nel settore ambientale.

Qualche problema di riutilizzo potranno crearlo le aree industriali di piccole dimensioni, che spesso in fase produttiva sono state scarsamente controllate dal punto di vista ambientale e possono celare situazioni di contaminazione complesse. Investire in queste aree ovviamente genera costi aggiuntivi che difficilmente possono essere preliminarmente quantificati e, in molti casi, risultano superiori alle aspettative originarie; i conseguenti oneri aggiuntivi a carico dello sviluppatore possono far sì che questi sia portato ad orientare il proprio investimento verso un greenfield. Tuttavia, ci sono importanti aperture che incentivano il riutilizzo di queste aree: mi riferisco ad una recente legge della Regione Lombardia che, a determinate condizioni, consente ai privati di scomputare dagli oneri di urbanizzazione secondaria parte dei costi di bonifica. A livello pubblico invece la situazione è più complessa, soprattutto per le riqualificazioni che prevedono la demolizione del costruito: gli immobili di provenienza statale che hanno più di cinquant’anni sono di fatto tutti vincolati, seguendo una sorta di principio per cui si tenta di evitare qualunque tipo di trasformazione. Questa legge, che considera le strutture come beni da tutelare in funzione del periodo di costruzione e non dell’effettivo pregio architettonico, pone un grosso limite all’utilizzo delle aree pubbliche. Purtroppo sotto questo punto di vista non ci sono aperture di alcun tipo; lo stesso Piano Casa riguarda solo trasformazioni di zone residenziali, ma le grandi aree dismesse hanno dimensioni che rendono difficile se non impossibile il loro inserimento in un contesto esclusivamente residenziale.


attualità

LA PROPOSTA DI REVISIONE DELLA DIRETTIVA RAEE La posizione dell’Associazione Nazionale delle Industrie Elettrotecniche ed Elettroniche tra criticità, problematiche, aspetti istituzionali e ricadute sul mercato nazionale ed europeo di Daniela Capaccioli * e Pier Paolo Kamidis**

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a Commissione Europea, secondo quanto previsto dall’articolo 17 comma 5 della Direttiva 2002/96/CE sui rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), il 3 dicembre 2008 ha presentato una proposta di revisione della medesima al Parlamento Europeo ed al Consiglio. Nel documento di valutazione degli impatti redatto a supporto della proposta di revisione, la Commissione fotografa lo stato dell’arte della gestione dell’electronic waste in ambito comunitario, evidenziandone le criticità, dovute in buona parte a fattori esterni al sistema (ed in particolare alla situazione economica globale), ed in parte ad una serie di difficoltà e lentezze ingenerate dal testo della Direttiva attualmente in vigore.

La proposta di revisione viene presentata dalla Commissione in risposta a due esigenze distinte ed allo stesso tempo strettamente dipendenti: da un lato la necessità di una legislazione più efficiente, in considerazione sia dell’eccesso di burocrazia e di oneri amministrativi per i soggetti obbligati, sia delle possibilità di rendere più esplicito e diretto il testo normativo; dall’altro l’esigenza di un sistema più efficiente, che riesca ad operare in modo opportuno e puntuale in tutti gli Stati Membri. Il primo dato interessante fornito dalla Commissione è quello relativo alla raccolta separata; mentre per altre tipologie di rifiuti (anche gli stessi rifiuti domestici), la differenziazione della raccolta ha subito un incremento lento ed incerto, per i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche si registrano tendenze opposte: l’85% dei RAEE verrebbe raccolto in modo differenziato. La singolarità di questo dato risponde diretta-

mente all’appetibilità dei RAEE, soprattutto in considerazione dell’aumento del costo delle materie prime; le problematiche emergerebbero però in sede di trattamento dei rifiuti: se i RAEE non venissero smaltiti con la dovuta attenzione per l’ambiente, ne potrebbero derivare rischi considerevoli, quali il rilascio di metalli pesanti e di sostanze ozono-lesive, come sottolineato dalla Commissione. Al fine di migliorare sia l’efficacia del testo normativo che l’efficienza del sistema attuativo, la Commissione Europea ha sottoposto al Parlamento ed al Consiglio la proposta di revisione della Direttiva RAEE, riscritta secondo nuovi criteri, in linea con le strategie comunitarie generali, come il trattato di Lisbona, lo sviluppo sostenibile, il pacchetto energia e clima, il sesto programma di azione a favore dell’ambiente e la politica integrata dei prodotti.

Cosa cambia? Per quanto riguarda l’ambito di applicazione della Direttiva, la Commissione istituisce una dipendenza dalla Direttiva 2002/95/CE sulla restrizione all’uso di alcune sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (Direttiva RoHS), spostando gli allegati IA e IB (in cui sono elencate le 10 categorie di AEE) dal testo della RAEE al testo della RoHS; sarebbero così esclusi dall’ambito di applicazione della RAEE gli apparecchi che non vengono immessi

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attualità

di rendere conto della propria attività in tutti gli altri Stati Membri; viene inoltre sancita la necessità di un’inter-operabilità dei registri a livello europeo.

Il punto di vista di ANIE

sul mercato come singole unità funzionali e commerciali, le lampade ad incandescenza e i dispositivi medici impiantati e infettati; si dice infine che i RAEE dovrebbero essere classificati in base alla loro provenienza (domestici o non domestici). Le definizioni vengono fornite in conformità alla nuova direttiva quadro in materia di rifiuti 2008/98/CE. Sembra opportuno in questa sede soffermarsi sul concetto di “riuso”, definito come qualsiasi operazione mediante la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono impiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti; la “preparazione per il riuso” invece verrebbe definita come quella serie di operazioni mediante le quali prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati; anche la definizione di “produttore” presenta un’importante innovazione: al terzo punto si dice che è produttore colui che è stabilito nella Comunità ed immette nel mercato comunitario AEE provenienti da un Paese terzo nell’ambito di un’attività professionale. Le modifiche più importanti nel testo della Commissione sono quelle relative al tasso di raccolta separata ed al finanziamento dei costi di gestione dei RAEE provenienti dai nuclei

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domestici. Si impone agli Stati Membri di garantire che i produttori raggiungano un tasso di raccolta separata dei RAEE pari al 65% entro il 31/12/2012; il valore è stato calcolato in base al peso dei RAEE raccolti in un dato anno, come percentuale del peso medio delle apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato nei due anni precedenti in un dato Stato Membro. Vengono inoltre fissati gli obiettivi di recupero e di preparazione per il riutilizzo per ciascuna delle 10 categorie. Per quanto riguarda il finanziamento dei RAEE dai nuclei domestici, gli Stati Membri dovrebbero incoraggiare provvedimenti che facciano ricadere sui produttori la piena responsabilità del finanziamento dei costi derivanti dalla gestione dei RAEE, relativamente a ciascuna fase del loro ciclo di vita, vale a dire anche della raccolta dalla casa privata. La Commissione lascia la possibilità ai produttori di indicare agli utenti, al momento della vendita di nuovi prodotti, i costi derivanti dalla gestione dei RAEE. Gli Stati Membri dovrebbero redigere un registro di produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche al fine di verificare il compimento degli obblighi finanziari su di loro ricadenti; nel registro, i produttori inseriranno tutte le informazioni pertinenti, anche al fine

ANIE, Federazione Nazionale delle Industrie Elettrotecniche ed Elettroniche, in linea con l’industria europea del settore, ha seguito l’iter legislativo a livello comunitario sin dall’origine della problematica dell’electronic waste; dalla pubblicazione della proposta di revisione, ANIE ha prontamente definito un documento di posizione in merito. In primo luogo ANIE riconosce gli argomenti della Commissione nell’ambito della gestione dei RAEE ed in particolare in relazione ad alcune tematiche come: • evitare trattamenti impropri dei RAEE all’interno del territorio comunitario ed esportazioni illegali verso l’esterno; • ridurre il peso amministrativo ed i costi senza diminuire il livello di protezione ambientale; • meglio armonizzare e chiarire la Direttiva (registro, relazioni, ambito di applicazione); • far convogliare tutti i RAEE raccolti e trattati all’interno dei flussi ufficiali; • assicurare una gestione efficiente di materie prime seconde e di risorse. Tuttavia l’industria elettronica ed elettrotecnica europea lamenta l’assenza di trasparenza nel procedimento della Commissione: nonostante la consultazione di alcuni stakeholder, anteriore all’estate del 2008, la Commissione non ha discusso con essi le scelte effettuate per la proposta finale. Inoltre, non vengono forniti né dati oggettivamente riscontrabili, né una relazione sull’implementazione, e nemmeno i propri studi preparatori a sostegno della proposta finale, con i quali si motiverebbe l’esigenza di modifiche fondamentali al testo della Direttiva, come per esempio nell’ambito del finanziamento o della raccolta. I produttori di AEE sono totalmente impegnati nel raggiungimento degli obiettivi della Direttiva attualmente in vigore, essendosi fatti carico seriamente delle proprie responsabilità ed avendo guidato un’implementazione efficiente della Direttiva stessa, atteggiamento che intendono portare avanti anche negli sviluppi fu-


turi; inoltre, in più di un’occasione i produttori hanno esternato la loro ferma intenzione a trattare il 100% dei RAEE di loro competenza secondo quanto prescritto dalla Direttiva RAEE. ANIE non concorda con le soluzioni proposte dalla Commissione nel testo degli emendamenti, ritenendo che queste non risolvano le problematiche individuate per il sistema RAEE. In primo luogo, la proposta di incoraggiare i produttori a finanziare tutti i costi che si verificano per le strutture di raccolta non risulta appropriata né in termini di implementazione, né dal punto di vista legale; ANIE ritiene oltretutto che tale proposta non costituisca una soluzione per fronteggiare i trattamenti impropri all’interno dell’Unione Europea e nemmeno le spedizioni transfrontaliere di RAEE all’esterno dell’UE, le cosiddette perdite. Ciò risulta evidente per diverse ragioni; innanzitutto il sistema è costituito da una pluralità di soggetti sui quali il produttore di AEE non ha alcuna influenza, né diretta né indiretta. Il consumatore è libero di scegliere se restituire i RAEE o se tenerli per qualsiasi altra finalità; i consumatori sono anche liberi di scegliere il soggetto cui consegnare ciascuno dei loro RAEE (sia esso una municipalizzata, uno smaltitore, ecc.). La grande distribuzione, i piccoli commercianti, le municipalizzate, i manutentori sono tutti soggetti che operano ugualmente la raccolta di RAEE, e come tali sono liberi di scegliere a chi consegnare o vendere come apparecchiature usate i propri rifiuti, non avendo per contro alcun obbligo di effettuare una relazione sulle loro attività di raccolta. Attualmente le autorità, nonostante gli effettivi poteri di attuazione, non sono riu-

scite a rendere i soggetti diversi dai produttori responsabili di restituire nei flussi ufficiali o riferire sui RAEE in loro possesso, come non sono riuscite a controllare efficacemente i porti comunitari di esportazione. I consumatori, inoltre, pagano le municipalizzate per la raccolta dei propri rifiuti domestici mediante le tasse locali, che verosimilmente non diminuirebbero, decurtandole del costo della raccolta dei RAEE. L’attuazione pratica della Direttiva risulta essere un processo complesso che non può rivolgersi esclusivamente ai produttori, ma che coinvolge molti altri attori, ciascuno dei quali ha la propria responsabilità negli effetti della gestione dei RAEE - si considerino i produttori, gli importatori, la distribuzione, i piccoli commercianti, i manutentori, le municipalizzate, i riciclatori, i sistemi collettivi, le autorità di controllo ed infine i consumatori. I produttori pertanto non possono accettare una proposta che costituisce a tutti gli effetti un assegno in bianco per il finanziamento dei costi che si presentano alle strutture di raccolta. La proposta secondo cui i produttori debbano essere responsabili in futuro del raggiungimento di un nuovo tasso di raccolta del 65% basato sui volumi di vendita è del tutto impraticabile; attualmente le stesse autorità nazionali, nonostante i loro poteri di esecuzione, sono ben lontane dal raggiungere una tale percentuale. In assenza di regole per soggetti diversi dai produttori (in particolare distribuzione, manutenzione ed altri soggetti che effettuano la raccolta), non si capisce come questi ultimi possano fare più di quanto riescano a fare attualmente le autorità. Non

esistono, inoltre, misure di salvaguardia per i produttori, al fine di evitare speculazioni sui prezzi in un contesto in cui su di essi ricada l’obbligo di raggiungere un tale tasso di raccolta, senza avere alcun controllo sui costi associati. Infine, un tasso di raccolta calcolato sulla base dei volumi di vendita di nuovi prodotti trascura le reali condizioni del mercato, in ragione di benefici ambientali, auspicati, ma non garantiti. ANIE accoglie la proposta di un miglioramento della gestione dei registri nazionali mediante dati e procedure di comunicazione armonizzate in tutta l’Unione Europea. Tuttavia tale proposta può essere efficace solo nel caso in cui l’ambito di applicazione della Direttiva venga completamente armonizzato a livello comunitario, circostanza non contemplata dalla proposta in questione, che continua a considerare il campo di applicazione basato sull’art. 175 del Trattato. Uno spostamento degli allegati dalla Direttiva RAEE nella Direttiva RoHS non risolverebbe tale situazione; ANIE sostiene la necessità di un ambito di applicazione totalmente armonizzato che sia definito all’interno della medesima Direttiva RAEE, senza che si venga a creare una sovrapposizione, a causa di rimandi interni o di riferimenti, con la Direttiva RoHS. Alcuni provvedimenti nella proposta sembrano trascurare il fatto che l’implementazione della Direttiva sia di competenza degli Stati Membri: la legislazione può essere efficace soltanto se i suoi provvedimenti sono ben definiti, applicabili e di immediata esecuzione. In conclusione, ANIE lamenta il fatto che la Commissione non abbia ritenuto opportuno presentare una proposta che riconoscesse gli enormi sforzi dell’industria per istituire uno schema efficiente di gestione dei RAEE in tempi record e che riflettesse oggettivamente tale gestione come un processo al quale partecipa una pluralità di soggetti, che può funzionare a beneficio dell’ambiente, del consumatore e dell’industria soltanto se assegna sia i giusti obiettivi che i giusti strumenti. Con l’attuale proposta non sembra essere contemplata nessuna di queste due condizioni. * Responsabile Servizio Centrale Ambiente ANIE ** Assistente Servizio Centrale Ambiente ANIE

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attualità

SONO PASSATI 18 ANNI DALLA MESSA AL BANDO dELL’AMIANTO: A CHE PUNTO SIAMO? Opinioni e riflessioni su evoluzione normativa, attività di bonifica e nuove iniziative legate alla rimozione di questo minerale attraverso le parole del presidente di Assoamianto di Elena Donà

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’amianto o asbesto è un minerale naturale a struttura fibrosa che presenta una buona resistenza al fuoco e al calore, all’azione di agenti chimici e biologici, all’abrasione e all’usura; è caratterizzato inoltre da una notevole resistenza meccanica, un’alta flessibilità, si lega facilmente con materiali da costruzione e ha buone proprietà fonoassorbenti e termoisolanti. Per queste ottime proprietà tecnologiche ed anche perché era economico, nel passato è stato utilizzato un po’ dappertutto: nell'industria, in edilizia, nei prodotti di uso domestico e nei mezzi di trasporto.

Asbestos, self-portrait http://www.theartofasbestos.com

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I primi sospetti sulla sua pericolosità comparvero già alla fine del diciannovesimo secolo, ma fu soltanto nel 1955 che l’epidemiologo inglese Richard Doll riuscì a dimostrare la correlazione fra i tumori polmonari e l’esposizione all’amianto. Gli studi proseguirono in diversi Paesi fino alla fine degli anni ottanta, confermandone la pericolosità mortale. Già nel 1976 la Commissione europea avrebbe avuto la possibilità di bandire l’uso dell’amianto, ma non si riuscì a trovare un accordo fra tutti gli Stati membri. Il primo Paese dell’attuale UE che ne proibì l’utilizzo fu la Danimarca, nel 1986. L’Italia ci arrivò nel 1992. Sei anni dopo nasceva Assoamianto, associazione apartitica e senza fini di lucro che da più di dieci anni si occupa di far conoscere in tutta Italia e all’estero le conseguenze ambientali e la pericolosità del materiale, ormai tristemente note a tutti. In questi anni Assoamianto ha fornito un supporto costante agli operatori di settore, occupandosi della loro formazione, monitorando la situazione sul territorio, promuovendo iniziative di bonifica contro il degrado ambientale e collaborando con gli Enti Pubblici, ma soprattutto preoccupandosi dell’informazione e della sensibilizzazione dei normali cittadini, vittime degli stessi rischi e spesso della di-

sinformazione. Fornire loro risposte chiare e facilmente accessibili è uno dei nodi centrali per Assoamianto. Abbiamo intervistato il presidente dell’Associazione, l’ing. Sergio Clarelli. Come nasce Assoamianto? Per iniziativa di chi e per rispondere a quali esigenze? Assoamianto nasce nel 1998, undici anni fa, dall’iniziativa di un nutrito gruppo di imprenditori e consulenti. Siamo stati tra i primi coordinatori amianto abilitati in Italia, ai sensi dell’art. 10 della legge 257 del 1992, a seguito del conseguimento di titoli di abilitazione per coordinatori dirigenti le attività di bonifica e smaltimento dell'amianto. L’Associazione fin da subito ha avuto lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e gli operatori economici sulle conseguenze ambientali e sanitarie derivanti dall’uso e dalla presenza di amianto nelle strutture edilizie e non. Promuoviamo iniziative di salvaguardia della salute pubblica ed in particolare di bonifica di situazioni compromesse di degrado ambientale contribuendo alla formazione di operatori in grado di realizzare interventi di eliminazione o controllo dell’amianto. Infine l’Associazione collabora attivamente con Enti Pubblici monitorando anche la situazione ambientale del territorio al fine di fornire un quadro aggiornato della presenza di amianto.


Sono passati 18 anni dall’entrata in vigore della legge che ha vietato l’impiego dell’amianto nel nostro paese. Sicuramente la sensibilità sul tema è cambiata: quali sono state le evoluzioni della normativa e in che direzione si sta andando? Si sta andando verso un approfondimento sempre maggiore, nella direzione di una reale tutela e protezione dei lavoratori. Possiamo dire con certezza che il rischio amianto è in Italia il rischio più normato in assoluto, fra leggi nazionali e normative regionali. Da questo punto di vista l’Italia è ai primi posti in Europa; inoltre proprio le direttive europee recepite nel corso degli anni hanno reso le norme sempre più stringenti. Per esempio con il D.Lgs. n. 257/06 – ora abrogato dal nuovo Testo Unico sulla sicurezza – era stato ristretto ancora di più il limite di esposizione alle fibre di amianto disperse: si era passati dal limite stabilito dal D.Lgs. n. 277/91 (in vigore fino al 25 settembre 2006) di 0,6 fibre/cm3 per il crisotilo e 0,2 fibre/cm3 per tutte le altre varietà di amianto, sia isolate sia in miscela, comprese le miscele contenenti crisotilo, ad un unico limite introdotto dal D.Lgs. n. 257/2006, di 0,1 fibre/cm3, che noi riteniamo ancora alto, ma che comunque rappresenta il limite europeo, comune a tutti gli altri Paesi dell’Unione e conforme alla Direttiva europea n. 18 del 2003. Altre modifiche sostanziali sono state introdotte quest'anno, con il Decreto correttivo al Testo Unico sulla Sicurezza, D.Lgs. n. 106/2009, il quale ha reintrodotto un aspetto molto importante in merito alla possibilità delle ASL di fornire prescrizioni ai Piani di Lavoro, redatti dalle imprese di bonifica. Infatti, precedentemente, il D.Lgs. n. 277/91

dava la possibilità all’ASL competente per territorio, una volta ricevuto il Piano di Lavoro da parte dell’impresa, di segnalare eventuali prescrizioni entro 90 giorni. Successivamente, con il D.Lgs. n. 257/06, questa possibilità era stata soppressa: le imprese di bonifica consegnavano il Piano di Lavoro all’ASL e trascorsi 30 giorni (invece dei precedenti 90 giorni) potevano dare inizio ai lavori, senza attendersi di ricevere alcuna comunicazione da parte dell’ASL. Come abbiamo scritto e ripetuto più volte nei nostri convegni in giro per l’Italia, questa era una situazione che andava ovviamente a sfavore della tutela ambientale e del personale addetto, perché trascorso il suddetto termine l’impresa era comunque autorizzata a iniziare i lavori anche nel caso in cui ci fossero incongruenze nel Piano di Lavoro. Ritengo personalmente che un’impresa di bonifica, seria e professionale, si senta molto più garantita se riceve un parere da parte dell’ASL, qualora necessario. Con il decreto correttivo ora è stata ridata la possibilità alle ASL di emettere eventuali prescrizioni. Pertanto, attualmente, trascorsi 30 giorni dalla consegna del Piano di Lavoro, qualora queste prescrizioni non siano state rilasciate, l’impresa può iniziare i lavori di bonifica, ritenendo che, di fatto, il Piano di Lavoro consegnato sia adeguato. Un’altra novità importante, da noi auspicata da sempre, riguarda la deroga dei tempi per gli interventi d’urgenza. Fino all’agosto di quest’anno, nei casi urgenti poteva capitare che qualche ASL si attenesse rigidamente al decreto ed impedisse l’inizio dei lavori prima dei trenta giorni: il nuovo decreto stabilisce fi-

nalmente che nei casi di urgenza venga meno il suddetto termine dei trenta giorni. Sul piano della formazione dei soggetti esposti, siano essi lavoratori coinvolti nelle attività di bonifica o persone comuni, esposte agli stessi rischi in caso di presenza di materiali contenti amianto, la vostra Associazione prevede attività specifiche, campagne di sensibilizzazione rivolte a tutta la popolazione? Da undici anni Assoamianto è l’unica organizzazione italiana privata ad aver organizzato seminari e convegni in tutta Italia: ad oggi abbiamo realizzato e/o partecipato a quasi cinquanta incontri, l’ultimo dei quali, la Conferenza europea sulle bonifiche da amianto, si è tenuto a Ferrara nell’ambito della fiera RemTech 2009. Inoltre, abbiamo patrocinato e contribuito all’organizzazione della Conferenza mondiale sull’amianto WAC 2009, che si è svolta a Taormina. Dal 1999 portiamo avanti quest’attività di formazione e divulgazione e ci tengo a sottolineare che i nostri incontri sono assolutamente gratuiti e aperti a tutti, sia agli operatori di settore sia ai privati cittadini che spesso affollano i nostri seminari. L’amianto, pur non essendo più impiegato nella produzione, è un rischio che tocca sia gli ambienti di lavoro atipici, cantieri di bonifica e discariche, sia gli ambienti di vita quotidiani, interessando quindi tutta la collettività. La nostra Associazione ha dato davvero un grandissimo contributo su queste tematiche, ha fatto tanto, muovendosi sul territorio, parlando con le persone ed avvalendosi della collaborazione e delle competenze di molti esperti istituzionali. Le attività di vigilanza e controllo da parte degli Enti Pubblici sono fondamenta-

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attualità

li in un settore nel quale si possono avere così gravi ripercussioni sulla salute. Sulla base dell’esperienza concreta da lei maturata, ritiene che la sorveglianza sia reale, capillare, o servirebbe un controllo maggiore, una presenza più consistente da parte delle autorità? Innanzitutto dobbiamo indicare un anno fondamentale per le imprese che si occupano di bonifica amianto: il 2004. Infatti, a partire dal 15 giugno di quell’anno, con l’istituzione della categoria 10 dell’Albo Gestori Ambientali, “bonifica dei beni contenenti amianto”, è stata introdotta una nuova figura, quella dell’impresa di bonifica qualificata per questo settore. L’impresa ha dovuto sostenere una sorta di esame per l’iscrizione a questo Albo dovendo fornire garanzie tecniche e finanziarie, dimostrando di avere dotazioni tecniche nonché di aver fornito un’adeguata formazione al proprio personale. Prima purtroppo, in assenza dell’Albo, era facile trovare imprese che eseguivano i lavori di bonifica a prezzi irrisori e come sempre questo non è mai indice di sicurezza e qualità. Con l’obbligo d’iscrizione all’Albo le garanzie, anche per chi deve vigilare, sono senz’altro maggiori. Oggi l’unico organo preposto al controllo e alla vigilanza è l’ASL competente per territorio e più specificamente il servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro (S.Pre.S.A.L.). L’Arpa invece fornisce un supporto tecnico alle ASL effettuando monitoraggi e a svolgendo servizi di consulenza. Nel complesso direi che gli enti pubblici hanno un ruolo importante che viene svolto in modo ottimale lavorando con dedizione e senso di responsabilità. è evidente che l’efficienza dell’ente dipende dalla formazione dei propri tecnici che cercano di svolgere il loro compito nel modo migliore; è chiaro che talvolta ci possono essere delle carenze ma ciò è dovuto al fatto che un Ente è formato da persone e queste hanno ovviamente sensibilità, preparazione e competenze diverse. A livello nazionale ci sono delle linee guida che impediscano che uno stesso tipo di bonifica da amianto progettato con lo stesso Piano di Lavoro, venga accettato da un organo competente e bocciato da un altro magari nella stessa Provincia?

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Ovviamente sì, il dispositivo legislativo con cogenza di legge che detta le tecniche di bonifica da amianto friabile e da amianto compatto è uno solo a livello nazionale ed è il decreto del Ministero della Sanità del 6 settembre 1994. Per contro però ci sono varie tipologie di amianto e il decreto ha considerato soltanto i casi più comuni come ad esempio le coperture in cemento amianto e l’amianto in matrice friabile (floccato, coibentazioni di tubazioni). Le canne fumarie ad esempio non sono state contemplate, i pavimenti vinilici nemmeno, e quindi può capitare che per queste tipologie due organi di controllo e vigilanza decidano in modo diverso. In assenza di norme si recita a soggetto, pur rispettando sempre i criteri base e le protezioni essenziali. Per approfondire il caso di un pavimento vinilico, c’è chi lo omologa all’amianto friabile, e non ha senso, e chi lo tratta come una semplice copertura, e anche questo è sbagliato perché si tratta di un ambiente indoor, dove se avviene un rilascio di fibre queste restano all’interno dell’edificio. Noi cerchiamo di dare il nostro contributo anche in questo, stabilendo procedure operative da adottare in assenza di norme. Nonostante queste lacune, ovviamente dettate dalla vastità della materia, sottolineo nuo-

vamente che la normativa italiana è estremamente all’avanguardia in Europa. La Francia; ad esempio ha vietato l’amianto solo dal ‘97, la Spagna dal 2002. Diciamo che Italia, Inghilterra e Germania sono i Paesi con le normative più consolidate, anche se ormai le direttive europee hanno obbligato tutti gli Stati ad adeguarsi agli standard. In questi diciotto anni sono stati fatti sicuramente grandi passi avanti, ma resta ancora molto da fare. Quali sono le urgenze e le situazioni maggiormente critiche che necessitano di un intervento immediato? Senza dubbio negli anni è aumentata nella comunità la consapevolezza e la corretta percezione dei pericoli collegati all’amianto, una percezione che consente ad esempio di distinguere la differenza tra amianto in matrice compatta ed in matrice friabile: si parla di amianto compatto quando le fibre del minerale sono fortemente legate in una matrice stabile e solida (come il cemento-amianto o il vinil-amianto) mentre si parla di amianto friabile quando i materiali che lo contengono possono essere facilmente sbriciolati o ridotti in polvere con la semplice pressione manuale; i manufatti realizzati con amianto legato in una matrice friabile e poco stabile sono estremamente pericolosi in quanto hanno una forte


tendenza a liberare le fibre nell'aria. Trovarsi a contatto con un materiale contenente amianto non significa automaticamente né patologia né pericolosità, se il manufatto è in buono stato. In questi casi spesso non conviene nemmeno bonificarlo, perché si rischia di arrecare più danni che benefici. Nel complesso direi che in questi diciotto anni sono senz’altro diminuite le situazioni di degrado presenti sul territorio grazie ai numerosi interventi di bonifica realizzati, sia in ambito pubblico sia in ambito privato. In quest’ultimo caso purtroppo molto spesso sono stati i cittadini ad accollarsi il costo dell’intera bonifica, perché se è vero che sono previsti contributi erogati dagli enti pubblici, si tratta sempre di iniziative isolate e limitate nel tempo. Noi riteniamo invece che, visto che in passato l’amianto era considerato un ottimo materiale isolante, il cui utilizzo veniva ampiamente sponsorizzato, non sia giusto che ora la spesa

per la sua bonifica ricada interamente sui privati e che sarebbe invece necessario dare un contributo economico per supportare i cittadini su scala nazionale. Ci può parlare delle nuove tecnologie in ambito di attività di bonifica da materiali contenenti amianto? Le tecniche di bonifica sono ormai conosciute e ben standardizzare per la maggior parte degli interventi; ritengo invece sia di primaria importanza continuare ad investire nella ricerca di tecniche di smaltimento alternative alla discarica tradizionale nonché, nella soluzione della problematica dell’inertizzazione dell’amianto. Il D.M. 248/04 “Regolamento relativo alla determinazione e disciplina delle attività di recupero dei prodotti e beni di amianto e contenenti amianto” ha aperto alcune possibilità di recupero dei rifiuti contaminati definendo i trattamenti e i processi che conducono alla totale trasformazione cristallochimica dell’amianto.

Nonostante esistano diversi progetti e diverse proposte operative, ad oggi l’implementazione di questi nuovi impianti stenta a partire in quanto ritengo che manchi un codice procedurale specifico per la realizzazione e la gestione di questi impianti. Quindi si può prevedere in futuro una drastica riduzione del conferimento in discarica dei materiali contenenti amianto? La discarica è diventata obsoleta. Le discariche italiane si sono riempite nel tempo, con tutte le problematiche che ne conseguono. Certamente anche un impianto presenta le sue criticità che possono però essere tenute sotto controllo con una progettazione attenta ed una gestione idonea. Nel complesso direi che è questo il settore su cui bisogna lavorare di più, perché la bonifica ormai è abbastanza normata. Manca invece la normativa specifica e prescrittiva che detti regole ben precise per la gestione e la trasformazione cristallochimica dell’amianto.


attualità

21MINUTI: RINNOVARE LE IDEE PER RINNOVARSI Tre giorni di confronto con menti eccellenti e vite straordinarie per stimolare la creatività e la forza di volontà di chi con esse si confronta quotidianamente di Maria Beatrice Celino

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ono stati tre giorni di grandi emozioni quelli offerti al Palazzo del Ghiaccio di Milano dal convegno 21minuti – I saperi dell’eccellenza. L’evento, patrocinato dal Ministero della Gioventù e dalla Comunità Europea per l’anno europeo della Creatività e Innovazione (European Year of Creativity and Innovation - EYCI), è stato organizzato da InformaAzione s.r.l., società che da oltre dieci anni opera nel campo della formazione con sistemi e metodi innovativi. 21minuti è stata l’occasione per incontrare 21 tra le menti più appassionate e creative del terzo millennio. Temi centrali dell’incontro, l’eccellenza, l’innovazione, la creatività e la sostenibilità, tutti elementi indispensabili per compiere il grande salto nel mercato che verrà. Patrizio Paoletti, chairman dell’evento, da sempre impegnato nei temi della comunicazione e dello sviluppo dell’uomo, ci ha saputo guidare alla scoperta di cosa vuol dire eccellere, che cosa significa sapere ed essere in grado di creare sviluppo per sé e per la propria economia, illustrando come attraverso la capacità di dettagliare sia possibile individuare i processi. Attraverso il sistema RADRO, da lui ideato, ha presentato un processo nel quale il sapere va Riconosciuto, Acquisito, Diffe-

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renziato, Raggruppato ed infine Organizzato. Questo modello di sviluppo pone l’accento sull’importanza della sequenza dei passaggi che portano a quell’unica combinazione di elementi che permette l’ottenimento di un preciso risultato: il sapere. Se per esempio differenziamo il sapere prima di acquisirlo, interviene inevitabilmente il pregiudizio e tutti i passaggi successivi verranno compromessi. Parliamo di un sapere non inteso come essere istruiti (dimensione pedagogica), bensì come indispensabile capacità di raggiungere ciò che ci occorre. Non c’è quindi eccellenza se non c’è sapere, le due cose rappresentano un binomio inscindibile. La prima edizione di 21minuti ha mosso i suoi passi in un momento storico ed economico non a caso complesso. Le continue sollecitazioni degli eventi e dei mercati hanno prodotto come reazione l’incapacità di scegliere e quindi di decidere portando molti a fermarsi. Ma restare fermi - afferma Paoletti - è più di una paralisi, è un regredire e svilirsi fino al momento in cui non si riesce nemmeno più ad immaginare una ripresa possibile. Per interrompere ed invertire un tale processo, ciò che già sappiamo, ciò di cui già disponiamo, non è più sufficiente; occorre uscire dalle soli-

te modalità, dai soliti solchi, occorrono nuove idee, processi eccellenti in grado di essere realmente economici, occorre rinnovare il sapere potendo accedere a saperi nuovi. Per questo motivo 21minuti ha rappresentato un bacino di estrema ricchezza, rendendo fruibili saperi estremamente diversi tra loro. Nel tempo messo a disposizione di ogni relatore (21 minuti), questi testimoni di eccellenza non hanno raccontato i propri successi ma le chiavi che hanno permesso loro di realizzarli, perché dalla comprensione delle cause, prima ancora degli effetti, è possibile sapere quali sono i comportamenti che hanno generato il risultato. Semplicità, padronanza, disponibilità sono solo alcuni degli elementi che rendono questi uomini e donne eccellenti simili tra loro da un lato, ma dall’altro anche così diversi, per le realtà da cui provengono, per le difficoltà incontrate nel corso delle loro vite, per i campi nei quali si sono realizzati. In ognuno di loro c’è una parte di noi che con volontà e passione possiamo ritrovare. www.21min.org


Le imprese dei settori Ambiente, Energia e Qualità a 21minuti Luca Cairoli – Camoter Commerciale Qual è il ruolo di un evento come 21minuti in questo momento storico? In questo momento storico dove la difficoltà sembra prevalere, 21minuti ci mette a diretto contatto con visioni più ampie e realtà d’eccellenza che si sono sviluppate, spesso, anche a fronte di condizioni di difficoltà. Credo che di questi tempi sia estremamente importante riferirci ad esperienze simili che portano con sé linfa e rinnovamento all’insegna della “possibilità” piuttosto che del “limite”. Cosa ha scoperto in queste tre giornate e quali azioni concrete porterà domani nella sua attività imprenditoriale o nella sua vita privata? Direi di aver riscoperto l’importanza dell’andare sempre all’origine delle cose, di fare una cosa alla volta, nella costanza del lavoro, di rinnovare le scelte. Queste chiavi di successo sono emerse attraverso le parole di vari relatori, anche se in modo diverso. Mi riferisco, per esempio, all’esperienza di Bunker Roi nel suo fare le cose con le mani, a quella di Tegla Loroupe che dice aver lavorato tutto il tempo, mai dimentica delle proprie origini, del proprio territorio, alla testimonianza di Davide Oldani nell’accuratezza della scelta e della lavorazione degli elementi. In estrema sintesi direi che le riflessioni su profondità e costanza sono quelle che più mi hanno arricchito in questi tre giorni.

Gianluca Fontana – Risolve.net Qual è il ruolo di un evento come 21minuti in questo momento storico? Siamo inseriti in un contesto sociale che, per mezzo soprattutto dei media, tende a comunicare messaggi fortemente contrastanti tra loro. Si passa dal recepire la totale impossibilità di poter realizzare ciò che si desidera fino a pensare che “arrivare” sia estremamente facile. Qui a 21minuti viene spiegato chiaramente cos’è raggiungere il successo, cosa significa cercare e raggiungere l’eccellenza, e viene mostrato, attraverso testimoni diversissimi tra loro, che per tutti è possibile arrivare, ma anche il prezzo che si paga. Così nasce uno stato di consapevolezza verso la possibilità di scegliere ciò che si vuole per la propria vita. Cosa ha scoperto in queste tre giornate e quali azioni concrete porterà domani nella sua attività imprenditoriale o nella sua vita privata? Nel corso di queste tre giornate sono emersi due elementi. Uno è la necessità di una specializzazione per fare bene le cose. L’altro è che ci sono delle regole, delle leggi, che sono valide in tutti i campi. Da qui il vantaggio di confrontarsi con gli altri e di svolgere un lavoro sempre più globale. Io ho pensato molto in questa direzione nel realizzare la mia azienda, dove professionisti che hanno raggiunto una forte specializzazione possono – lavorando assieme ma senza spersonalizzarsi – creare un plusvalore per il cliente. L’idea è quella di creare una rete per poter dare risposte ai clienti anche in campi diversi e quindi continuare ad imparare.

Fabio Guizzardi – Progetto Qualità e Ambiente Qual è il ruolo di un evento come 21minuti in questo momento storico? Oggi l’eccellenza dovrebbe rappresentare per le aziende un punto cardine fondamentale per poter fare la differenza in un mercato sempre più complesso. Qui a 21minuti si parla di eccellenza e nella mia azienda, che si occupa di consulenza per la certificazione di qualità, la ricerca dell’eccellenza è al primo posto. Ritengo che questo sia indispensabile sia per la mia impresa che per i servizi che eroghiamo, perché i nostri clienti sono coloro che ci permettono di svilupparci ed il nostro sviluppo, a sua volta, permette loro di fare altrettanto, innescando un circolo virtuoso. Cosa ha scoperto in queste tre giornate e quali azioni concrete porterà domani nella sua attività imprenditoriale o nella sua vita privata? In questi 3 giorni abbiamo potuto ascoltare le esperienze di personaggi attivi in vari campi, (politica, sport, impresa, musica, umanitario, ecc.); ho trovato molti punti comuni tra di loro, il primo che mi viene in mente è la necessità di compiere sforzi, inteso non come fare fatica, bensì come mezzo per ottenere dei risultati. Se non si fa nulla non si ha nulla. Se si fa qualcosa e ci si impegna, si ottengono dei risultati, quindi lo sforzo è inteso come un trampolino di lancio. Dopo dodici anni di attività mi porto a casa la gioia e la volontà di compiere sforzi e di non cadere nel tranello di dirmi che sono arrivato, che ho già fatto tanto e di accontentarmi di ciò che ho raggiunto; anzi, colgo l’occasione per un rilancio. Certamente questi momenti di riflessione rappresentano un nuovo punto di partenza, perché la mia azienda ha dei valori e in questi giorni con la mia socia, che è qui con me, ci siamo domandati se i valori che ci hanno accompagnato in questi anni siano ancora gli stessi o se sia il caso di ripensarli. Faremo quindi decantare questo evento per una settimana e poi ci incontreremo per consolidarli, cambiarne l’ordine o modificarli.

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attualità I relatori Erno Rubik - Designer e scultore ungherese, il suo famoso cubo è il giocattolo più venduto della storia (300 milioni di pezzi). Mario Cucinella - Uno degli architetti italiani più impegnati in tema di efficienza energetica, ha parlato dell’importanza della bellezza, della tecnologia, dei dettagli e del valore sociale e politico del suo lavoro, introducendo il tema delle politiche ambientali, delle emissioni di CO2 e del nuovo stile di vita realizzabile attraverso la Casa 100K a basso impatto ambientale e a costi sostenibili. Rita El Khayat - Con costanza e determinazione si impegna da tutta la vita nella ricerca dell’eccellenza, è la protagonista di importanti miglioramenti della condizione femminile in Marocco. Davide Oldani - Il cuoco del momento che, attraverso il giusto mix di semplicità e passione, oltre ad un’attenta analisi, costante qualità, innovazione, riduzione dei margini e razionalizzazione dei costi, è riuscito a realizzare la “cucina pop”. Nel suo ristorante è possibile degustare piatti di altissimo livello a prezzi accessibili. Tara Gandhi - Il suo rifiuto della violenza, la ricerca della spiritualità, della semplicità e del coraggio, sono valori che, oggi come ieri, hanno la grande capacità di cambiare il corso della vita. Raj Patel - Un brillante economista e sociologo inglese che con le sue prese di posizione un po’ forti ha affrontato la questione del cibo nel mondo. Michael Gazzaniga - Neuroscienziato statunitense, uno dei massimi studiosi del cervello, che ha avuto l’impertinenza di formulare domande scomode in ambito filosofico, bioetico e giuridico.

Giovanni Bignami - Astrofisico, membro dell’Accademia dei Lincei, è uno scienziato aperto, non dogmatico, interessato a fare in modo che i benefici della ricerca si estendano alla società. Nives Meroi - Alpinista italiana, che ha conquistato undici volte gli ottomila senza uso di bombole di ossigeno, ha parlato delle leggi dell’economia e del rispetto per le regole. Giacomo Rizzolatti – Neuroscienziato, che ha legato il proprio nome alla scoperta dei neuroni specchio. Shlomo Ben-Ami - Storico israeliano, grande esperto del conflitto mediorientale. Letizia Giuliani - Prima ballerina del Maggio Fiorentino. Mario Brunello - Violoncellista di fama mondiale. Tegla Loroupe - Leggendaria maratoneta kenyota. Claudio Gubitosi - Il padre del Giffoni Film Festival, un appuntamento divenuto di risonanza internazionale. Julio Velasco - Leggenda dello sport. Pier Mario Vello - L’umanista proiettato nel mondo dell’economia, segretario generale della Fondazione Cariplo. Gilead Sher - Avvocato israeliano e autorevole negoziatore internazionale, è stato Capo di Gabinetto del governo di Barak in Israele. Erin Gruwell - Professoressa americana della California State University. Sanjit Bunker Roy - Uno dei più visionari imprenditori sociali fondatore del Barefoot College.


LA DIGESTIONE ANAEROBICA DEI RIFIUTI URBANI: UN MERCATO IN CRESCITA Seguendo le esperienze maturate in Europa, si osserva oggi in Italia un deciso incremento delle iniziative che utilizzano questo processo biologico di Alberto Confalonieri*

L

a domanda di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani, in costante crescita grazie al progressivo sviluppo sul territorio nazionale delle raccolte differenziate, è stata fino ad oggi soddisfatta principalmente da tecnologie di tipo aerobico; secondo i dati pubblicati dall’ISPRA relativi alla gestione dei rifiuti urbani nel 2007, nei 220 impianti di compostaggio allora operativi sono stati recuperati 3,2 milioni di tonnellate di rifiuti organici (FORSU, verde, fanghi e altre matrici). Accanto a questi, però, si sta progressivamente affermando un approccio – quello anaerobico – ancora relativamente modesto per i numeri in gioco in Italia (200.000 tonnellate gestite nel 2007, seppur con forte

tendenza all’aumento) ma già affermato in altri Paesi europei. Vediamo di cosa si tratta.

L a digestione anaerobica dei rifiuti: lo stato dell’arte in Europa

Sulla scorta delle esperienze acquisite nel trattamento industriale dei fanghi di depurazione, la digestione anaerobica dei rifiuti urbani in Europa affonda le proprie radici agli inizi degli anni ’80, con i primi impianti pilota realizzati in Belgio e in Francia, cui è seguita, soprattutto a partire dalla metà degli anni ’90, una costante crescita delle installazioni e delle capacità di trattamento. Oggi, pur lontano dai consolidati sistemi basati su compostaggio e biostabiliz-

zazione, il trattamento anaerobico dei rifiuti urbani rappresenta una realtà diffusa e localmente prevalente nell’Europa centro-settentrionale e nei Paesi che hanno potuto usufruire di consistenti contributi economici dall’UE per muoversi con decisione su questa strada, come la Spagna. La Scuola Agraria del Parco di Monza ha aggiornato le informazioni disponibili alla fine del 2008 mediante un censimento degli impianti di digestione anaerobica dei rifiuti urbani condotto nell’ambito di una collaborazione biennale con il Dipartimento Ambiente, Salute e Sicurezza dell’Università dell’Insubria. Il progetto è stato finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

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attualità

I VANTAGGI DELL’ACCOPPIAMENTO AEROBICO – ANAEROBICO L’accoppiamento dei processi di digestione anaerobica e compostaggio nel trattamento dei rifiuti solidi organici ha ottenuto in questi ultimi anni sempre maggiore attenzione da parte degli operatori del settore. I principali elementi di confronto tra i due approcci presi separatamente possono essere così sintetizzati: • la digestione anaerobica produce energia rinnovabile (biogas) a fronte del compostaggio, aerobico ed esoergonico, che consuma energia; • gli impianti anaerobici sono in grado di trattare tutte le tipologie di rifiuti organici indipendentemente dalla loro umidità, a differenza del compostaggio che richiede un certo tenore di sostanza secca nella miscela di partenza; • la digestione anaerobica opera in reattori chiusi, senza rilascio di emissioni gassose maleodoranti in atmosfera, come può invece avvenire durante la fase di ossidazione accelerata del processo di compostaggio; • nella digestione anaerobica si ha acqua di processo in eccesso, che necessita di uno specifico trattamento, mentre nel compostaggio le eventuali acque di percolazione possono essere ricircolate come agente umidificante sui cumuli in fase termofila; • gli impianti di digestione anaerobica richiedono investimenti iniziali maggiori (400-800 Euro/t anno) rispetto a quelli di compostaggio (200-400 Euro/t anno); • a causa delle sue caratteristiche chimico-fisiche, il digestato – la matrice semi-solida o semi-liquida in uscita dal reattore anaerobico al termine del processo di digestione – presenta problemi di gestione superiori e possibilità di impiego limitate rispetto al compost. L’integrazione dei due processi si esplicita nel far seguire al processo anaerobico una fase aerobica, semplificata nei tempi, a carico del digestato opportunamente disidratato e miscelato con strutturante ligno-cellulosico. Questa integrazione porta notevoli vantaggi al sistema complessivo di recupero, in quanto: • migliora nettamente il bilancio energetico dell’impianto, che produce in fase anaerobica un surplus di energia rispetto al fabbisogno complessivo; • i problemi olfattivi cagionati dal trattamento di matrici ad elevata putrescibilità vengono ridotti e gestiti a costi inferiori; le fasi maggiormente odorigene sono confinate in reattori chiusi e le “arie esauste” sono rappresentate dal biogas, che viene direttamente avviato alla linea di valorizzazione energetica e non disperso in atmosfera. Il digestato è un materiale semi-stabilizzato, pertanto il controllo degli impatti odorigeni durante il post-compostaggio aerobico risulta più agevole; • l’impegno di spazi a parità di rifiuto trattato è inferiore, grazie alla maggior compattezza dell’impiantistica anaerobica e alla riduzione dei tempi necessari per il finissaggio aerobico del digestato.

L’elaborazione complessiva dei dati acquisiti ha portato a valutare a fine 2008 la presenza, in 15 Paesi europei, di 180 impianti di digestione anaerobica di rifiuto urbano, 167 dei quali con capacità di trattamento superiori a 3.000 t/a e con quantità di rifiuto urbano (RSU o FORSU) trattate maggiore del 10% delle matrici organiche totali digerite. Sono 141 gli impianti deputati al trattamento di oltre 4 milioni di tonnellate di FORSU, di cui circa 2,3 milioni di tonnellate “in purezza” e poco meno di 2 milioni di tonnellate in co-digestione, con altri scarti organici. Rilevante è anche il dato relativo agli impianti di trattamento meccanico-biologico anaerobico di RSU indifferenziato (2,8 milioni di tonnellate), sul quale però è bene sottolineare l’elevata percentuale di scarto prodotto prima dell’avvio a digestione (tipicamente nell’ordine del 40-60%). Minoritaria è invece la quota di FORSU trattata in co-digestione con RSU (circa 470.000 t/a su un totale di 5 impianti), probabilmente ascrivibile a situazioni in evolu-

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zione dal punto di vista dello sviluppo locale di sistemi di raccolta differenziata delle frazioni organiche, che crescono e sostituiscono progressivamente le matrici indifferenziate. Dal punto di vista tecnologico, si rileva in generale una maggior quota di impianti ad umido rispetto a quelli a secco, evidente soprattutto nella gestione di matrici derivanti da raccolta differenziata. Non si osservano decisi orientamenti rispetto al regime termico, in parte anche in ragione della carenza di dati sugli impianti ad umido. Relativamente ai dati combinati, si nota infine una prevalenza di impianti wet-mesofili o dry-termofili, sia nel trattamento dei rifiuti indifferenziati che nel trattamento di matrici selezionate. Gli impianti monofasici, infine, rappresentano circa l’88% del totale, dimostrando da parte degli operatori una maggiore propensione al contenimento dei costi complessivi rispetto alla ricerca di massimizzazione delle rese energetiche. La resa di produzione di biogas, e di conseguenza di generazione di energia, riflette una

combinazione di diverse scelte tecnologiche e processistiche (regime termico, contenuto di solidi totali, tempi di ritenzione, numero di fasi, ecc.), nonché delle tipologie di rifiuti o miscele avviate a trattamento. Un sostanziale filtraggio dei dati disponibili ha consentito di pervenire ad un campione omogeneo per completezza di informazioni di 36 impianti alimentati con rifiuti provenienti da raccolte differenziate (FORSU). Sul campione selezionato si osserva un’elevata dispersione dei dati, con rese medie di produzione di biogas di 67 Nm3/ton di rifiuto trattato. Elaborando i dati rispetto ai soli impianti termofili, le rese medie salgono a circa 79 Nm3/ton; considerando invece i soli impianti a secco, la resa media è pari a 86 Nm3/ton. Sul trattamento di RSU indifferenziato, la quasi totalità dei dati disponibili è relativa a rese di produzione riferite alla frazione organica effettivamente avviata a digestione e si colloca intorno a 127 Nm3/ton. Ipotizzando che tale frazione rappresenti approssimativamente, il 40-60% del rifiuto in ingresso agli impianti, la


PRINCIPI E VARIABILI DEL PROCESSO ANAEROBICO La digestione anaerobica è un processo biologico, condotto in assenza di ossigeno, che porta alla riduzione della sostanza organica biodegradabile con produzione di un gas, il cosiddetto biogas, composto essenzialmente da metano (in percentuali comprese generalmente tra il 50 e l’80% in volume) ed anidride carbonica, impiegato per la produzione di energia – elettrica o termica – o di metano, per autotrazione o per cessione alle reti di distribuzione. La digestione anaerobica genera altresì un importante flusso di rifiuto residuante dal processo biologico, detto digestato, utilizzabile come ammendante in agricoltura dopo un’eventuale maturazione aerobica. Nel corso degli anni, studi e applicazioni della digestione anaerobica su diverse tipologie di biomasse hanno condotto alla ramificazione dell’offerta tecnologica. La principale distinzione per approccio impiantistico si basa sul tenore di sostanza secca del substrato alimentato dal reattore. Sotto questo aspetto, le tecniche di digestione possono essere suddivise in due gruppi principali: • digestione a umido (wet), quando il substrato in digestione ha un contenuto di sostanza secca inferiore al 10%; Digestore affiancato dall'edificio per il post trattamento di centrifugazione del digestato • digestione a secco (dry), quando il substrato in digestione ha un contenuto di sostanza secca superiore al 20%. Processi con valori intermedi di sostanza secca sono meno comuni e vengono in genere definiti a semisecco (semi-dry). I primi traggono origine dall’applicazione della digestione anaerobica nel campo della depurazione dei reflui civili e industriali e si rivolgono principalmente a rifiuti organici con bassa contaminazione – pertanto facilmente depurabili e fluidificabili. I processi di digestione a secco sono stati sviluppati specificatamente per l’applicazione sui rifiuti che si presentano in origine allo stato solido e con elevati indici di contaminazione da plastiche e altri materiali non biodegradabili, quali RSU e FORSU; in estrema sintesi, sono stati sviluppati per evitare rilevanti interventi di trattamento dei rifiuti preliminarmente al trattamento biologico vero e proprio. Una seconda distinzione fa riferimento al regime termico al quale viene condotto il processo biologico. All’interno del reattore anaerobico possono essere stabilite condizioni di psicrofilia (20°C), mesofilia (3537°C), termofilia (55°C) o estrema termofilia (65-70°C). Poco utilizzate le condizioni estreme, i processi industriali si concentrano sui regimi mesofili e termofili. I primi presentano generalmente vantaggi Esempio di impianto di pretrattamento del rifiuto di un impianto di digestione ad umido nei costi e nella robustezza del processo. I reattori operanti in termofilia invece, sono generalmente caratterizzati da rese di produzione di biogas più elevate, ma anche da un maggiore impegno gestionale per il mantenimento degli equilibri operativi. Il tipo di caricamento dei reattori operato definisce inoltre processi in batch, dove le matrici vengono introdotte in un’unica soluzione nel reattore, e processi in continuo, dove invece il reattore viene periodicamente (quotidianamente, o con frequenze maggiori) alimentato con una quota di matrice a cui corrisponde lo scarico di un’analoga quantità di digestato. Ad una maggiore economia e semplicità gestionale dei processi in batch, si contrappone una maggiore resa produttiva nei reattori alimentati in continuo, in cui la resa di produzione di biogas viene mantenuta approssimativamente costante e vicina al picco durante l’attività dell’impianto. Un’ultima chiave dicotomica fa riferimento infine al numero di reattori impiegati in serie per lo svolgimento del processo anaerobico. La catena di reazioni che portano alla produzione di biogas dalla sostanza organica genera metaboliti potenzialmente interferenti con il processo complessivo. Nasce da questa considerazione l’opportunità di realizzare, in luogo di un unico reattore ove si svolga l’intera catena di reazioni (processi monostadio), una separazione fisica tra le prime fasi del processo e la fase metanigena (processi bistadio o multistadio). È intuitivo comprendere che processi monostadio presentano costi di investimento e spazi occupati generalmente inferiori, mentre i processi bistadio consentono cinetiche di processo migliorate e rese di processo superiori.

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attualità

Numero di Paesi ospitanti impianti

15

Impianti operativi

180

di cui autorizzati a trattare oltre 3.000 t/a e che trattino rifiuto

urbano (RSU o FORSU) per almeno il 10% della capacità complessiva

167

Capacità complessiva impianti di digestione RSU [t/a]

2.803.500

Capacità comple ssiva impianti di digestione FORSU [t/a]

2.267.700

Capacità complessiva impianti di co-digestione FORSU + altre matrici [t/a]

1.968.400

Capacità complessiva impianti di co-digestione

RSU + FORSU + altre matrici [t/a]

473.400

resa specifica di produzione si attesta quindi intorno a 51-76 Nm3/ton di rifiuto trattato.

L a situazione in Italia Il nostro Paese, come accennato in apertura, ha iniziato a muoversi in modo deciso verso l’approccio integrato anaerobico/aerobico sono negli ultimi anni. Rispetto ad un esiguo

numero di impianti “storici”, alcuni dei quali convertiti dal trattamento dei rifiuti indifferenziati a quello della FORSU (Bassano del Grappa e Villacidro, per citarne alcuni), si osserva oggi un deciso incremento delle iniziative avviate o in corso di definizione. Ad oggi risultano operativi una dozzina di impianti con significative capacità di trattamen-

Località

Capacità autorizzata

Montello (BG)

165.000

Voghera (PV)

27.000

Villanova del Sillaro (LO)

31.500

Pinerolo (TO)

81.000

Villacidro (CA)

39.600

Viareggio (LU)

1.500

Badia (BZ)

600

Campo di Trens (BZ)

600

Rodendo (BZ)

150

Lana (BZ)

17.000

Bassano del Grappa (VI)

61.600

Cesena (FC)

30.000

Este (PD)

235.000

Camposampiero (PD)

53.500

Lozzo Atesino (PD)

60.000

Treviso

3.000*

*riferito alla sola FORSU; l’impianto tratta principalmente fanghi di depurazione

Impianti di digestione anaerobica operativi in Italia (dati ISPRA e Scuola Agraria del Parco di Monza)

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Anno 3 - Numero 7

to, ed almeno altrettanti sono in fase di autorizzazione e realizzazione. Vale la pena di rilevare che, dai dati forniti dai gestori degli impianti, le rese energetiche del rifiuto organico nazionale appaiono decisamente superiori al dato medio europeo. Tra gli altri fattori vogliamo qui sottolineare che, a differenza di altri Paesi nei quali la digestione anaerobica ha preso piede, i sistemi di raccolta differenziata italiani tendono ad una separazione degli scarti di cucina, a maggiore contenuto di sostanza organica putrescibile, dai rifiuti verdi derivanti dalla manutenzione di giardini, caratterizzati da rese di trasformazione anaerobica generalmente trascurabili. Seguendo la logica dell’integrazione degli approcci, sono proprio le aziende oggi operative nel settore del compostaggio le principali interessate all’implementazione di tecnologie anaerobiche, spinte dagli incentivi economici per la produzione di energie rinnovabili, dalla possibilità di aumentare le proprie capacità di trattamento, di ridurre gli impatti ambientali complessivi e, di conseguenza, le cause di attriti con la comunità circostante. Nella possibilità di integrazione anaerobico/ aerobico sono stati rimarcati finora gli aspetti premianti della digestione rispetto al solo compostaggio. Vale la pena di concludere rimarcando alcuni aspetti che rendono, se non indispensabile, estremamente opportuno il post-trattamento aerobico del digestato prodotto nella fase anaerobica. La possibilità di un utilizzo diretto in agricoltura del digestato va attentamente considerata alla luce delle caratteristiche di questo rifiuto. Fisicamente assimilabile ad un fango (generalmente un rifiuto semi-solido o semi-liquido), necessita infatti di adeguate strutture di contenimento e stoccaggio preliminarmente allo spandimento, che ne rendono problematica la gestione soprattutto in situazioni o periodi in cui l’attività di fertilizzazione non sia consentita o possibile. Se dal punto di vista delle caratteristiche agronomiche gli si riconosce un’elevata dotazione di azoto a pronta cessione, sono tuttavia da considerare le problematiche ambientali derivanti dall’applicazione di digestato in pieno campo, alla luce delle prescrizioni contenute nella Direttiva nitrati, che impone limiti annuali di carico di azoto per


Wet

Semi-Dry

Dry

n.d.

TOT

(1)

(2)

(1)

(2)

(1)

(2)

(1)

(2)

(1)

(2)

Mesofilo

37

13

0

0

10

7

0

0

47

20

Mesofilo/Termofilo

0

1

0

0

0

0

0

0

0

1

Termofilo

16

1

2

0

36

10

2

0

56

11

Mesofilo+Termofilo

8

1

0

0

0

0

0

0

8

1

n.d.

24

6

0

0

5

0

0

1

29

7

TOT

85

22

2

0

51

17

2

1

140

40

(1) impianti alimentati con FORSU (+ altre matrici) (2) impianti alimentati con RSU (+ altre matrici, compresa FORSU)

Impianti alimentati con FORSU o RSU + altre biomasse

unità di superficie nelle cosiddette aree vulnerabili. Il digestato, opportunamente condizionato (tramite centrifugazione per allontanare la fase liquida ed aumentare il tenore di sostanza secca) e miscelato con strutturante ligno-cellulosico, attraverso un processo semplificato di compostaggio condotto in ambiente confinato, può conseguire i seguenti risultati:

• allontanamento ammoniaca in eccesso; • igienizzazione grazie allo sviluppo di calore del processo aerobico; • riduzione sostanziale umidità in eccesso; • il raggiungimento degli standard qualitativi dell’ammendante compostato ai sensi della normativa sui fertilizzanti (D. Lgs 217/06);

Tale pratica, che richiama di fatto una breve fase di maturazione di 4-6 settimane, semplifica notevolmente la gestione del prodotto, ampliandone potenzialmente il mercato di applicazione a settori quali giardinaggio e la vivaistica in vaso ed in terra. *Scuola Agraria del Parco di Monza

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AT T UA L I Tà

Opportunità economiche e criticità ambientali nella rigenerazione urbana Il Convegno di Milano ha evidenziato le problematiche urbanistiche e ambientali dei piani di sviluppo proponendo le possibili soluzioni su temi connessi ai progetti di riqualificazione di Marina Dragotto* e Federico Vanetti**

I

l 2 dicembre 2009 AUDIS, in collaborazione con lo Studio DLA Piper e con la società TRS, ha organizzato a Milano un convegno sul rapporto tra le opportunità date dalla rigenerazione di aree industriali dismesse ed il complesso problema delle bonifiche. Il panel dei relatori (operatori privati, enti pubblici e consulenti del settore) ha permesso di trattare i temi urbanistici e ambientali che interessano un progetto di riqualificazione, mettendo in evidenza le criticità che possono condizionare un progetto di sviluppo e le possibili soluzioni. La forte partecipazione registrata ha evidenziato la centralità del tema trattato, particolarmente sensibile e attuale. Per introdurre il taglio che gli organizzatori hanno voluto dare al Convegno, Marina Dragotto – coordinatrice di AUDIS – ha sottolineato alcuni temi che, secondo l’esperienza maturata

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Anno 3 - Numero 7

dall’associazione, sono ancora oggi alla base di tante difficoltà registrate nei progetti di riqualificazione delle aree dismesse. Pur rilevando una maggiore consapevolezza e preparazione da parte degli enti pubblici (in termini di procedure) e dei soggetti privati (in termini di programmazione economico-finanziaria) e una maggiore capacità di mettere in relazione la programmazione urbanistica (destinazioni d’uso) e le condizioni reali dei suoli (tempi e costi di bonifica), molti restano i problemi in campo, tra cui: • gli enti preposti alla guida e al controllo dei progetti di bonifica - comuni, province, arpa, soprintendenze e ministero non lavorano in modo coordinato tra loro, nonostante l’esistenza delle Conferenze dei Servizi;

• più che le complicazioni delle legge italiana, risulta “fatale” l’assenza di obiettivi condivisi sul piano politico (come il recupero dell'uso di uno particolare area) e progettuale (dotarla di definite destinazioni d’uso); • gli enti intermedi (province e arpa) non hanno ancora assunto procedure in linea con le direttive ministeriali e omogenee sul territorio italiano; ne derivano forti incertezze nelle procedure che si traducono in pesanti ritardi nella realizzazione degli interventi urbanistici e architettonici con gravi rischi per l’equilibrio economico e finanziario del progetto; • l’approccio al tema delle bonifiche tenuto dalla maggior parte dei soggetti attuatori (pubblici o privati che siano) crea ostacoli non facili da superare; la necessità di attuare gli interventi ambientali preliminari


è vista ancora come una complicazione e un costo che sarebbe meglio evitare, un atteggiamento che tende a far sottovalutare il tema con due pesanti conseguenze: • non viene dato il giusto ruolo al tema della bonifica (analisi puntuale), con evidenti danni alla tenuta del progetto in corso d’opera; • non ci si attrezza con strutture tecniche davvero in grado di affrontare tutti gli aspetti analitici, progettuali e le eventuali variazioni in corso d’opera, creando con ciò una barriera nei rapporti tra soggetti attuatori (pubblici o privati) e gli enti responsabili della bonifica spinti ad accentuare lo spirito di controllo e la diffidenza nei confronti dei soggetti attuatori; • i Piani economico-finanziari per la redazione dei quali non si è ancora affermata una prassi che li leghi alla programmazione delle opere fin dalle prime fasi di lavoro: non sembra infatti esserci ancora una sufficiente e diffusa consapevolezza della relazione che corre tra i tempi burocratici di ogni variazione sul fronte urbanistico e ambientale e la tenuta delle operazioni finanziarie, necessariamente calcolate su tempi rigidi. In definitiva si può dire che la critica ricorrente alla legge italiana vada in parte smontata perché, nel nostro sistema a democrazia diffusa, è difficile pensare a sistemi realmente semplificati in termini di “numero di soggetti coinvolti” e quindi di procedure. AUDIS ritiene che, senza bisogno di pensare per l’ennesima volta alla riscrittura della legge nazionale, andrebbe spostata l’attenzione di tutti su ridefinizione e maggiore strutturazione dei rapporti di collaborazione tra enti pubblici e tra pubblico e privato e condivise le procedure da attuare prima, durante e dopo i progetti di bonifica. Nel reagire alla sintesi di AUDIS i relatori hanno offerto un’interessante varietà di punti di vista. Riservando agli aspetti tecnici di bonifica, curati da TRS, e al punto di vista di un operatore privato di grande esperienza come Pirelli RE, due approfondimenti che verranno trattati in numeri successivi della rivista, riportiamo

di seguito una breve sintesi degli interventi che si sono alternati durante la giornata sugli aspetti procedurali e legali della rigenerazione delle aree dismesse. Due interventi basati su casi specifici in corso di realizzazione (area di Porta Nuova a Milano, presentata da Manfredi Catella, CEO di Hines e le grandi stazioni FS, presentate da Carlo De Vito, Amministratore Delegato di FS Sistemi Urbani), hanno sottolineato il ruolo potenziale delle aree dismesse nel recuperare i ritardi competitivi delle città italiane e la necessità di realizzare esperienze positive che possano fungere da esempio per tutto il territorio nazionale. In particolare Manfredi Catella, riassumendo l’esperienza di Hines nelle aree di GaribaldiRepubblica, ha evidenziato come le operazioni di rigenerazione urbana richiedano competenze di alto livello per poter controllare allo stesso tempo i temi di: proprietà, finanza, progetto (ambientale, urbanistico, architettonico, infrastrutturale) e gestione. Carlo De Vito ha rilevato il particolare vantaggio delle grandi stazioni ferroviarie italiane, collocate in aree centrali di grande pregio e appartenenti ad un’unica proprietà che agisce destinando il plusvalore creato dalla valorizzazione di queste aree ad investimenti pubblici. Gli interventi sugli aspetti legali della rigenerazione delle aree dismesse, curati dalla Studio Legale DLA Piper, si sono concentrati su tre particolari aspetti: il rapporto con i Piani urbanistici, gli incentivi attivabili e i contratti di appalto per le bonifiche. Sul primo punto, Guido A. Inzaghi - socio e responsabile del Dipartimento di Town Planning di DLA Piper - ha evidenziato che la "pia-

nificazione delle aree dismesse costituisce il momento di incontro tra urbanistica, ecologia ed economia". Con particolare riferimento al PGT di Milano, recentemente adottato, le nuove linee guida dell’urbanistica (o governo del territorio) consistono, infatti, nella conservazione delle aree vergini (greenfields), nel recupero delle aree dismesse (brownfields) e nella densificazione delle aree urbane (la “città compatta” opposta all’urban-sprawl). Atteso che il recupero dei brownfields è spesso il presupposto per il conseguimento di tali obiettivi, i costi di bonifica devono essere necessariamente compensati dal riconoscimento di destinazioni d’uso e indici edilizi adeguati a remunerare la riqualificazione dei siti dismessi. In questo contesto - ha concluso Inzaghi - il PGT, nel Documento di Piano, deve fornire la disciplina edilizia delle aree dismesse solo in linea di massima, rinviando alla successiva fase della pianificazione di dettaglio la definizione puntuale e definitiva dei parametri edilizi da riconoscere ai brownfields, attraverso accurate analisi tecniche che, caso per caso, valutino la sostenibilità economica dei costi di bonifica. Sul secondo aspetto Federico Vanetti, partendo dal presupposto che il ripristino ambientale di un sito dismesso rappresenti spesso un disincentivo al recupero dello stesso, si è concentrato sull'individuazione di possibili strumenti giuridici che possano controbilanciare il rischio bonifiche e fungere, quindi, da incentivi per il recupero dei brownfields. In particolare, è stata passata in rassegna la recente Legge regionale lombarda n. 30/09,

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AT T UA L I Tà

che ha espressamente qualificato gli interventi di bonifica quali opere di urbanizzazione secondaria, fornendo altresì diverse indicazioni sulla possibilità di scomputare integralmente o in quota parte i relativi costi dagli oneri di urbanizzazione (scomputo minimo del 50% per i siti di interesse nazionale). Lo strumento dello scomputo, ha sostenuto, può sicuramente fungere in molti casi quale elemento di bilanciamento degli interessi pubblici e privati e, quindi, quale soluzione per rendere possibile il recupero di un sito dismesso anche nel caso di bonifiche particolarmente onerose. Francesco Sanna si è concentrato sugli aspetti contrattuali privatistici che ineriscono al rapporto di bonifica, ed in particolare al contratto di bonifica concluso tra il committente - e cioè, nella maggioranza dei casi, il proprietario del sito - e l'appaltatore. Dopo una breve disamina del contratto di appalto in generale come fattispecie tipica e di come esso venga declinato nel caso di un appalto di lavori di bonifica, sono state passate brevemente in rassegna le particolarità del contratto di appalto di bonifica, sia in termini di contenuto delle clausole che in relazione alle specificità inerenti il profilo soggettivo dell'appaltatore, alla luce delle prestazioni che è tenuto a garantire in tale ambito. Particolare attenzione, in relazione a tale tema, è stata dedicata alla figura del "produttore dei rifiuti" sulla base della disciplina legislativa vigente ed a come tale ruolo si inserisca nella dinamica del rapporto tra committente ed appaltatore e nella ripartizione dei rischi tipica del contratto di appalto. Elemento centrale dell'intervento è stato il tema delle varianti ai lavori di bonifica e di come esse incidano sia sul prezzo contrattuale - in dipendenza della natura del contratto, a forfait o a misura, e dell'oggetto dello stesso - sia sulla tempistica di realizzazione dei lavori di bonifica fino all'emissione del certificato di collaudo, soprattutto laddove le varianti debbano preventivamente essere assentite dalla pubblica amministrazione. Dal punto di vista degli enti pubblici coinvolti nella bonifica dei siti dismessi e del rapporto con i progetti di riqualificazione urbana, sono intervenuti il Comune e la Provincia di Milano, ARPA e Regione Lombardia. Per il Comune di Milano Annalisa Gussoni ha

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Anno 3 - Numero 7

Gli interventi Coordinatrice dei lavori: Marina Dragotto, Responsabile Coordinamento AUDIS Il rapporto tra progettazione urbanistica e bonifiche - Roberto D'Agostino, Presidente AUDIS Recupero di un'area dismessa: Porta Nuova - Manfredi Catella, Amministratore Delegato HINES Il PGT e le aree dismesse - Guido A. Inzaghi, Partner DLA Piper Future riforme legislative a livello europeo e nazionale - Laura D'Aprile, Responsabile Settore siti contaminati ISPRA L'esperienza FS Sistemi Urbani - Carlo De Vito, Amministratore Delegato FS Sistemi Urbani L'incidenza dei costi di bonifica sullo sviluppo dell'area dismessa - Marcello Carboni, Business Development Area Bonifiche TRS Servizi Ambiente s.r.l. Incentivi per il recupero dei brownfields: possibilità di scomputare i costi di bonifica dagli oneri di urbanizzazione - Federico Vanetti, Associate DLA Piper L’analisi di rischio come strumento per contenere i costi: pro e contro - Andrea Campi, Coordinatore Area Progettazione Ricerca e Sviluppo, TRS Servizi Ambiente s.r.l. La procedura di approvazione dei piani scavo e connessioni con le bonifiche - Annalisa Gussoni e Alba De Salvia, Comune di Milano Il punto di vista del privato: criticità per il recupero delle aree dismesse - Emilio Biffi, Chief Technical Officer Pirelli RE Collaudo e certificato di avvenuta bonifica - Paolo Perfumi, Responsabile U. O. Bonifiche, dip. di Milano ARPA Lombardia I contratti di appalto delle bonifiche e le varianti ai progetti di bonifica - Francesco Sanna, Partner DLA Piper La normativa regionale in materia di bonifiche e riqualificazione delle aree dismesse - Nicola Di Nuzzo, Direzione generale Qualità ambientale Regione Lombardia

TAVOL A ROTONDA La rigenerazione urbana e le bonifiche come materia di primario interesse collettivo: responsabilità pubbliche e private nella loro attuazione. • Moderatrice: Evelina Marchesini, Vice Capo Redattore Il Sole 24 Ore • Alessandro Arvalli, Responsabile del Portafoglio Sviluppo Beni Stabili • Emilio Biffi, Vice Presidente AUDIS • Rosanna Cantore, Responsabile servizio siti contaminati della Provincia di Milano • Gianni Ferrario, Direttore Struttura Azioni per la qualità dell'ambiente – Regione Lombardia • Marco Lupo, Direttore Generale del Ministero dell'Ambiente • Francesco Marzari, Direttore Affari Legali EXPO 2015 S.p.a. • Carlo Maria Giorgio Masseroli, Assessore allo Sviluppo del Territorio

riassunto il difficile tema della gestione delle terre e rocce da scavo e dei terreni contaminati. Distinguendo le prime, che afferiscono al procedimento edilizio, dalle seconde, che attengono alla bonifica, è stata ripercorsa l'evoluzione normativa che ha disciplinato la materia (dalla legge Lunardi all'ultima modifica dell'art. 186 D. Lgs. 152/06). È stato dunque considerato il caso specifico di Milano, città in cui l'amministrazione comunale ha sempre tentato di fornire agli operatori indicazioni

sulla corretta gestione dei materiali di risulta. Recentemente, infatti, è stato stipulato un accordo con ARPA con cui si è voluto fornire uno strumento di coordinamento per la valutazione dei c.d. piani scavo, ossia dei progetti che hanno per oggetto lo scavo edilizio e le eventuali modalità di reimpiego delle terre e rocce da scavo. Tale accordo dovrebbe facilitare gli operatori privati tanto nella fase di redazione del piano scavi, quanto nella gestione della procedura


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per la sua valutazione, che deve necessariamente essere coordinata con il procedimento amministrativo volto al rilascio del titolo edilizio. Rossana Cantore, responsabile del servizio bonifiche siti contaminati della Provincia di Milano, e Paolo Perfumi, responsabile U.O. bonifiche del Dipartimento di Milano di ARPA Lombardia, hanno evidenziato come il ruolo della Provincia sia quello di effettuare gli opportuni controlli in collaborazione con i tecnici Arpa, e di rilasciare la certificazione di avvenuta bonifica che attesti la conformità al progetto approvato su relazione tecnica di quest’ultima. Agendo in un contesto legislativo che basa i progetti di bonifica sull’analisi di rischio sito specifica, è di particolare importanza conoscere nel dettaglio l’uso che verrà fatto in futuro dell’area. L’applicazione dell’analisi di rischio, inoltre, può portare vantaggi (interventi di bonifica meno costosi), ma ha anche seri svantaggi, costituiti da possibili ritardi per la non condivisione con gli Enti di controllo dei parametri per la definizione del modello concettuale e costi maggiori in fase di caratterizzazione dovuti alla necessità di indagini di maggiore dettaglio. Pur avendo affinato tutte le procedure al fine di facilitare le attività degli operatori, sottolineano, il rapporto tra la mole di lavoro richiesta per il buon funzionamento degli uffici di entrambi gli enti, specie per un territorio come quello milanese, e il poco personale dedicato, rende i tempi di rilascio delle certificazioni più lunghi di quanto sarebbe auspicabile. Per parte sua la Regione Lombardia, rappresentata da Nicola Di Nuzzo della Direzione generale Qualità ambientale, ha sottolineato le difficoltà e le opportunità date dalla traduzione delle leggi statali in norme applicabili sul territorio, coordinando, allo stesso tempo, tutti i soggetti coinvolti nelle operazioni di bonifica e il rapporto con i progetti di valorizzazione urbanistica delle aree. Per svolgere al meglio il suo ruolo, la Regione Lombardia ha privilegiato in questi anni alcuni metodi di lavoro: • il confronto continuo con tutti gli enti locali in fase di redazione delle norme per cercare di risolvere davvero i problemi che man mano emergono; • le Conferenze dei Servizi, nel corso delle quali tutti i nodi procedurali vengono necessariamente al pettine; • la centralità del Comune come ente coordinatore di tutte le operazioni, fino alla possibilità di intervenire in sostituzione del privato inadempiente (L.R. 26/2003) attraverso finanziamenti regionali. La tavola rotonda che ha chiuso la giornata di lavoro, pur non avendo potuto risolvere tutti i problemi esistenti tra le parti intervenute, ha costituito un importante momento di confronto nel corso del quale i soggetti invitati e il pubblico in sala hanno potuto affrontare alcune reciproche e profonde incomprensioni. E' un esercizio impegnativo e difficile, ma che costituisce, secondo AUDIS e i soci che hanno organizzato il convegno (TRS Servizi Ambiente e DLA Piper), l’unico modo per mettere a fuoco le innovazioni di cui le aree dismesse da bonificare hanno bisogno per una loro piena rigenerazione.

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attualità

IL SALONE DELLE BONIFICHE DI FERRARA TIRA LE SOMME SULL’EDIZIONE 2009 Tra novità e conferme ecco i risultati della terza edizione di RemTech Expo 2009, il Salone nazionale sulle Bonifiche dei Siti Contaminati e sulla Riqualificazione del Territorio di Daniele Cazzuffi*, Silvia Paparella** e Ilaria Pietrini***

R

emTech a Ferrara è divenuto un appuntamento fisso per professionisti, aziende, imprese e Università, tutti coloro che si occupano di bonifiche di siti contaminati e più in generale di interventi di difesa del territorio. La terza edizione di RemTech Expo – Salone sulle Bonifiche dei Siti Contaminati e sulla Riqualificazione del Territorio (www.remtechexpo.com), svoltasi presso il Centro fieristico e congressuale della città estense dal 23 al 25 settembre 2009, si è infatti definitivamente riconfermata come il principale evento italiano dedicato al settore delle bonifiche, della riqualificazione e della tutela dell’ ambiente. L’edizione del 2009 è stata particolarmente ricca, sia dal punto di vista congressuale che dal punto di vista fieristico: merito anche di una perfetta sinergia tra Comitato Scientifico e Comitato di Indirizzo da una parte, e staff organizzativo di Ferrara Fiere Congressi dall’altra, sinergia che ha consentito di creare nel tempo una rete di relazioni estremamente proficua tra il mondo delle imprese, l’università, la ricerca e le istituzioni pubbliche. Gli espositori sono stati oltre 110, provenienti principalmente dai variegati settori merceologici di caratterizzazione, analisi, monitoraggio, bonifica, demolizioni, dragaggi, vecchie di-

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scariche, geosintetici, gestione dell’amianto, gestione dei rifiuti, riqualificazione, danno e assicurazioni, consulenza e progettazione, servizi e comunicazione ambientale. I visitatori sono stati più di 2.500, facendo così registrare un incremento percentuale del 30% rispetto al 2008. Forte è stata la presenza di esponenti delle pubbliche amministrazioni e del settore privato, in particolare dell’ambiente petrolifero. Tre le novità di questa edizione spiccano: l’istituzione dei Premi di Laurea RemTech 2009, a dimostrazione dell’attenzione degli organizzatori nei confronti delle nuove generazioni e della ricerca, la costituzione del Comitato di Indirizzo, con il compito di affiancare il Comitato Scientifico nella fase di progettazione e programmazione della manifestazione, e infine il rafforzamento della vocazione internazionale di RemTech, con la realizzazione di un Simposio aperto a rappresentanze provenienti da tutto il mondo. All’ampliata e rinnovata area espositiva, sono state affiancate ben quattro tipologie di eventi congressuali. I Convegni Nazionali e il Simposio Internazionale, che hanno costituito la parte ufficiale del programma

congressuale, sono stati definiti e coordinati dal Comitato Scientifico, affiancato dal nuovo Comitato di Indirizzo; le altre due tipologie di eventi sono state rappresentate dagli Incontri Tecnici, che hanno visto il coinvolgimento delle aziende espositrici, e dagli Eventi Speciali, a cura delle principali associazioni di riferimento del settore. La sessione congressuale ufficiale nazionale è stata inaugurata dal convegno di apertura sui “Recenti miglioramenti del quadro normativo in funzione di una nuova politica per l’ambiente”. Il convegno, coordinato da Daniele Cazzuffi (Ismes, Divisione Ambiente e Territorio di CESI S.p.a. Milano) e da Vincenzo Francani (Politecnico di Milano), ha annoverato relatori d’eccezione, tra cui Lino Zanichelli, Assessore all’Ambiente della Regione Emilia Romagna, Aldo Fumagalli, Presidente della Commissione Sviluppo Sostenibile di Confindustria e Sergio Polito, Amministratore Delegato di Syndial.


Al termine del convegno di apertura ha avuto luogo la cerimonia di consegna dei Premi di Laurea RemTech 2009, consegnati a giovani laureati di diverse università italiane per le migliori tesi di laurea magistrale afferenti la bonifica dei siti contaminati; i premi sono stati consegnati dai rappresentanti delle sei Associazioni che hanno sponsorizzato il progetto: Andis, Federchimica, Unione Petrolifera, Assoreca, Consiglio Nazionale dei Chimici e Federambiente. I Convegni Nazionali sono stati decisamente affollati, a testimonianza dell’ottimo lavoro svolto dal Comitato Scientifico e dal Comitato di Indirizzo, che hanno saputo individuare tematiche di grande interesse e attualità per gli operatori del settore: come esempi puramente indicativi, citiamo gli aspetti normativi, le tecniche innovative di caratterizzazione, le principali tecnologie di bonifica degli acquiferi, la questione del rischio ambientale, i dragaggi ed i ripascimenti costieri, le demolizioni ed il riutilizzo delle macerie, le terre e rocce da scavo, la riqualificazione e la pianificazione territoriale. Gli Incontri Tecnici sono stati una trentina. Ad alto contenuto tecnologico, sono stati organizzati delle aziende espositrici, che hanno così offerto al pubblico la possibilità di approfondire le tematiche inerenti i sistemi innovativi di caratterizzazione e di bonifica, la gestione dei prodotti derivanti da tale attività e la presentazione di casi applicativi. Gli Eventi Speciali, organizzati dalle associazioni di categoria, hanno coronato le tre giornate di RemTech con una serie di incontri seguiti da un folto numero di rappresentanze pubbliche e private ed hanno dato vita a momenti di vivace dibattito e confronto. Si è trattato in particolare di Assoamianto, AssoArpa (in collaborazione con Ministero Ambiente, UPI ed ANCI), Assoreca-Ala, AUDIS e Associazione Geologi Ferrara assieme a GeoProCiv, con il patrocinio dell’Ordine Geologi Emilia Romagna. Altri Eventi Speciali, direttamente coordinati da Ferrara Fiere Congressi, hanno contribuito alla definizione del panorama congressuale, con il convegno “Danno Ambientale, Bonifiche e Soluzioni Assicurative” e con la “Tavola rotonda L. 69/2009: spazi di concertazione

possibile - Ministeri, Industria, Sindacati, Ricerca e Ambientalisti, idee a confronto”. Per quanto riguarda l’aspetto internazionale, durante le tre giornate della manifestazione l’area riservata alle Delegazioni Straniere ha visto il susseguirsi di numerosi appuntamenti ed incontri bilaterali con gli espositori di RemTech Expo. I rappresentanti delle quattro delegazioni - Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania ed Ungheria - quasi tutti ministeriali, hanno dato vita, assieme agli operatori, a momenti dedicati allo sviluppo di solidi e concreti rapporti di collaborazione e relazioni d’affari, già sfociati in alcuni casi in rapporti professionali bilaterali. Il progetto è stato realizzato, come nella precedente edizione, in collaborazione con la Regione Emilia Romagna. Questo rilievo alla dimensione internazionale è stato confermato a livello congressuale dalla novità del Simposio, organizzato per la prima volta nell’ambito di RemTech, dedicato ad acque sotterranee, terreni e sedimenti contaminati e suddiviso in tre sessioni orali ed una sessione poster. In particolare, il Simposio è stato incentrato sulle tecnologie, sia consolidate che innovative, di bonifica di queste matrici e sul riutilizzo dei sedimenti sottoposti a bonifica. Ogni sessione orale è stata introdotta da una o due keynote lecture di esperti internazionali, che hanno illustrato la situazione in Europa e negli USA. In particolare, la sessione “Contaminated sediments”, svoltasi il 23 settembre, è stata introdotta da Kevin Gardner della New Hampshire University (USA) e da Jos Brils di Deltares (Olanda). Herb Ward della Rice University (USA), Luca Marmo dell’Environmental Directorate General della Commissione Europea (Belgio) e Frank Swartjes del RIVM (National Institute for Public Health and the Environment, Olanda) sono stati i keynote lecturers rispettivamente nelle sessioni “Remediation technologies for soils and groundwater” e “Remediation technologies, soil reclamation and risk assessment” del 24 settembre. La sessione poster ha visto l’esposizione di 21 lavori e di un momento dedicato alla discussione degli stessi in presenza degli autori.

Il Simposio è stato coordinato dal Comitato Scientifico Internazionale e ha visto la partecipazione di esponenti universitari e del mondo delle imprese di 11 nazioni diverse: Algeria, Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Kazakistan, Olanda, Portogallo, Repubblica Slovacca e USA. Gli atti del simposio sono stati raccolti in un CD Rom di più di 330 pagine, pubblicato da DEA Edizioni. I 42 articoli contenuti negli atti sono relativi agli interventi orali e ai poster presentati durante il simposio, e sono suddivisi per argomento in base alle tre sessioni svolte. Infine, ci piace ricordare che lo Stabilimento Petrolchimico di Ferrara – importante realtà industriale su scala nazionale ed internazionale – ha ospitato, nella seconda giornata, alcuni degli espositori di RemTech all’interno del perimetro produttivo, per una visita nel cuore di una delle più importanti sedi di interventi di bonifica sul territorio nazionale. Un’edizione riuscita, che è stata ricca di incontri, di scambi commerciali, di condivisione di informazioni, conoscenze e buone prassi. Il Comitato Scientifico ed il Comitato di Indirizzo sono già al lavoro per la prossima edizione di RemTech Expo 2010, che si svolgerà dal 21 al 23 settembre 2010 presso il Centro fieristico e congressuale di Ferrara. Ogni contributo di nuove idee e proposte sarà sicuramente ben accetto! * Ismes – Divisione Ambiente e Territorio di CESI SpA ** Ferrara Fiere Congressi *** Politecnico di Milano

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fabbrica d elle id ee

IL COMPATTATORE DOMESTICO: UNA SOLUZIONE AL PROBLEMA DEI RIFIUTI IMMAGINARE UN NUOVO CICLO DIFFERENZIATO DEGLI RSU, ELIMINANDO I DISAGI DELLA RACCOLTA TRADIZIONALE ED IMPARANDO A CONSIDERARE IL RIFIUTO COME UNA RISORSA di Ennio Forte e Francesco Del Vecchio*

I

rifiuti sono un problema. E continuano ad essere un problema. Non solo in Italia, ma in tutto il mondo, perfino nella organizzata e pratica America. Il problema si può gestire, si può minimizzare ma non si può eliminare. Il mondo dei rifiuti è variegato e complesso, non si può immaginare di affrontarlo in maniera univoca, con un’unica ricetta valida per tutti i contesti. Ogni specifica tipologia, ogni singolo segmento deve essere gestito in maniera diversa. Anche il mondo dei rifiuti domestici - i cosiddetti rifiuti solidi urbani - richiede un approccio specifico. Oggi il ciclo degli RSU presenta larghissimi margini di inefficienza, dalla sua produzione fra le mura delle abitazioni private alla fase finale dello smaltimento. E’ inefficiente e poco economico, sia in termini monetari, sia in termini di costi sociali per la collettività. Si pensi soltanto ai costosissimi camion compattatori che per operare sono spesso costretti a bloccare le strade, causando congestione del traffico e inquinamento acustico. L’attuale ciclo dei rifiuti, quasi mai ottimizzato, comporta inevitabilmente cassonetti stracolmi, circondati da sacchetti di spazzatura maleodorante che spesso non sono nemmeno

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della stessa tipologia del contenitore destinato a raccoglierli. L’impressione che i cittadini ricavano da tutto ciò è che il ciclo degli RSU sia un sistema caotico e farraginoso; un sistema che viene “rifiutato” dal cittadino per le forme sgradevoli in cui si presenta, e che va ripensato,

sia in termini logistici che in termini tecnologici. E’ necessario innanzitutto rendere il ciclo degli RSU user friendly: il cittadino deve essere condotto a considerare la gestione dei rifiuti in modo più naturale, più semplice, come lo è la fruizione degli altri servizi di rete: acqua, energia elettrica, gas, ecc. Bisogna rendere il sistema meno impattante sulla città e sul cittadino, che dovrà essere educato a considerare il rifiuto per ciò che in realtà è: una risorsa. Non quindi qualcosa di immondo di cui disfarsi al più presto, ma un bene da gestire e da cui trarre un profitto.

Finalità dell’idea Sulla base di queste considerazioni e con l’intento di riprogettare in chiave di sistema l’intero ciclo degli RSU, è nata l’idea di un “compattatore domestico dei rifiuti in regime di raccolta differenziata e filiera logistica del rifiuto” (brevettato). Il progetto propone un nuovo metodo per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti domestici – di singole abitazioni o comunità – in regime di raccolta differenziata. L’idea è applicabile a tutti i tipi di RSU ad eccezione di vetro e carta. Gli obiettivi principali del programma sono: • realizzare un apparecchio che sia utilizzabile a livello condominiale, di singola abi-


tazione o di comunità (residence, alberghi, ospedali, convitti e simili); permettere un primo trattamento dei rifiuti che riduca la soggezione giornaliera allo smaltimento presso i cassonetti, nonché il disagio prodotto dai cattivi odori e dal trasporto nei tradizionali sacchetti; realizzare un oggetto che costituisca un anello del ciclo di smaltimento in grado di superare i disagi provocati dall’attuale sistema basato sui cassonetti e sul passaggio dei camion per la raccolta; ridurre gli RSU suddivisi nelle diverse tipologie in piccole unità compattate, di facile trasporto e stivaggio, senza fuoriuscita di cattivi odori, e che possano essere efficacemente conferite al sistema di raccolta a domicilio o presso gli appositi centri, secondo le diverse filiere del riciclo (plastica, organico, metallo); eliminare il tradizionale e maleodorante cassonetto posto in prossimità delle abitazioni, nonché il disagio provocato dal viavai di camion per la raccolta; pervenire alla graduale scomparsa delle discariche, che non sono altro che un trasferimento dei problemi altrove e verso il futuro; ottenere una filiera del rifiuto pulita, differenziata all’origine, gestibile nella modularità, nella continuità e nella complementarietà dall’inizio alla fine; favorire il riutilizzo dei materiali da parte dell’industria fornendo materie prime – plastica, metallo e organico – in una modalità che ne favorisca l’inserimento in tutte le fasi del ciclo produttivo, approvvigionamento, stoccaggio e lavorazione, essendo il compattatore modulare, trasportabile, asciutto e senza odori.

Attualmente esistono apparecchiature domestiche in grado di realizzare solo alcune delle funzioni che il compattatore proposto unisce invece nella stessa macchina e che sono valide per tutte le principali categorie di rifiuti riciclabili. Esistono in commercio dei compattatori-trituratori, i quali però funzionano soltanto per una tipologia limitata di RSU; inoltre, il sistema della triturazione, con il successivo smaltimento nel circuito delle acque grigie o nere, non fa altro che trasferire il problema a livello dei depuratori, che non sono progettati per il trattamento di tali prodotti. Vi sono poi apparecchi domestici che disidratano il cosiddetto “umido”, ma non sono ovviamente utilizzabili per gli altri RSU. Il grande e decisivo vantaggio del compattatore proposto rispetto alle versioni esistenti in commercio è che esso è concepito in funzione di una logistica del rifiuto differenziato e riciclabile. La possibilità di compat-

tare e disidratare tutte le principali tipologie di rifiuto riciclabile e il confezionamento in cubetti facilmente trasportabili e stivabili, senza odori, fanno della macchina proposta un anello fondamentale nel ciclo degli RSU. Il sistema è efficiente e pratico, ma soprattutto è capace di generare valore per tutti, “produttori domestici” compresi.

Descrizione del compattatore domestico Il compattatore domestico non ha particolari vincoli costruttivi che ne condizionino forma e aspetto. Tutta la tecnologia di cui è costituito può essere racchiusa in una scatola a forma di parallelepipedo. Per dare un’idea visiva, può essere paragonato ad una lavastoviglie o ad una lavatrice. In effetti, dal punto di vista dell’utente, il compattatore non è altro che un elettrodomestico che si aggiunge – nella forma e nelle dimensioni – a quelli che normalmente già utilizza. L’apparecchio può essere prodotto in scale differenti a seconda della destinazione di impiego: singole abitazioni – in misure diverse per venire incontro alle esigenze di single, piccole famiglie o famiglie numerose – condo-

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fabbrica d elle id ee

mini, alberghi, ecc. Potrà essere collocato in ambienti separati, come ripostigli, sgabuzzini, box, o essere integrato nell’arredamento di una cucina, grazie alla sua estetica gradevole e alla sua adattabilità. Il compattatore tratta separatamente i rifiuti umidi organici, la plastica, il metallo (prevalentemente alluminio e latta) e i rifiuti indifferenziati, e per ogni tipologia di rifiuto è previsto uno specifico scomparto. La macchina è provvista al suo interno di un’apparecchiatura per la disidratazione e di una pressa telescopica scorrevole per gli otto diversi scomparti – quattro anteriori e quattro posteriori – rispettivamente per ogni tipologia di rifiuto. Gli scomparti anteriori sono suddivisi in due sezioni sovrapposte, dove si svolgono le operazioni di disidratazione (in alto) e di trasferimento al vano posteriore di pressatura (al centro), mediante nastro trasportatore. Gli scomparti posteriori in cui si svolge la compattazione non hanno suddivisioni. Sono dei “pozzetti”, alti quasi come il com-

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pattatore, ad esclusione della parte alta, che presenta invece un unico vano comune ai quattro scomparti, avente lo scopo di far scorrere la pressa longitudinalmente tra gli scomparti stessi. La parte bassa del pozzetto è costituita da un cestello le cui pareti sono in linea con quelle della parte fissa superiore dello stesso. Il cestello – in cui avviene la pressatura progressiva dei rifiuti – occupa anche la parte anteriore bassa della macchina, che costituisce un secondo vano utile sia per depositare un cubetto già pressato, sia per consentire una facile estrazione del cestello stesso, per il prelievo dei cubetti. Il tutto viene comandato da un programma robotizzato sequenziale, dotato di spie e sensori, con vincoli in grado di impedire eventuali errori nel ciclo di trattamento, nella collocazione dei rifiuti negli scomparti e rischi per l’incolumità delle persone (ad esempio il nastro trasportatore non si aziona se gli sportelli non sono chiusi).

Sistema di raccolta e smaltimento I cubetti verranno poi depositati su appositi scaffali a rotelle e collocati in strada al posto degli attuali cassonetti. L’operazione potrà essere svolta dagli stessi proprietari dell’abitazione di provenienza o da personale specializzato, che preleverà i cubetti a domicilio. Gli scaffali preposti al contenimento avranno scomparti separati per ciascuna tipologia di rifiuto. Un sistema semplificato per piccoli centri urbani potrebbe prevedere l’uso di pallet da alloggiare su trailers ribassati e dotati di fork lift per la presa. In tal caso verranno impiegati sistemi meccanici anche per il posizionamento degli scaffali sui trailers.

Il processo di compattazione Fase 1 Il rifiuto viene immesso in uno dei quattro scomparti anteriori alti, quello specifico per la tipologia cui appartiene. Qui viene immediatamente disidratato, allo scopo di evitare decomposizioni organiche e produzione di cattivi odori. Per i rifiuti umidi non c’è bisogno di nessun accorgimento. I rifiuti di plastica e di metallo devono invece essere lasciati aperti o stappati e non devono essere compressi, allo scopo di favorire la disidratazione. Il prodotto liquido derivante dalla disidratazione potrà essere raccolto in un contenitore che verrà subito svuotato, oppure essere smaltito insieme alle acque grigie tramite apposita connessione con tubo di plastica flessibile. Mentre i fluidi acquosi possono essere disidratati direttamente, i fluidi oleosi – per esempio i residui di scatolame – saranno prima scissi mediante additivi chimici e solo successivamente disidratati. Fase 2 Tramite l’apertura di una sorta di botola, i rifiuti vengono trasferiti nel vano sottostante e di lì convogliati verso il corrispondente scomparto posteriore di ampia capacità. Fase 3 Una volta riempito lo scomparto, i rifiuti vengono pressati dalla pressa telescopica che li riduce in pani di forma cubica all’interno del vano posteriore del cestello, che costituisce anche la parte inferiore del pozzetto di pressatura. Fase 4 Il cubo viene prelevato mediante estrazione del cestello e conferito all’apposita filiera nella fase di raccolta.


Il totale costo logistico della intera filiera del rifiuto potrebbe risultare di molto inferiore a quello delle alternative attualmente disponibili, anche in riferimento alle diseconomie esterne. I cubetti verranno prelevati mediante bracci meccanici da appositi veicoli dotati di scomparti distinti per tipologia di rifiuto. Verranno poi stoccati in piattaforma ecologica e quindi distribuiti alle filiere del riutilizzo a seconda della tipologia.

Aspetti economici Il bilancio complessivo costi-ricavi del sistema proposto dovrà ovviamente risultare migliore di quello che si ha con il sistema attuale. Il compattatore ha dei costi necessariamente più alti rispetto al metodo basato sui cassonetti, e perciò dovrà essere compensato, conferendo un valore ai rifiuti, dal quale sarà possibile ottenere un ricavo in termini economici. Ciò premesso, si propongono alcune riflessioni con specifico riferimento a questi aspetti: Lato costi

Poniamoci dal punto di vista dell’azienda di raccolta e smaltimento. Nella situazione attuale, tale azienda ha bisogno di determinati fattori produttivi: a parte la manodopera, necessita essenzialmente di camion compattatori (molto costosi) e cassonetti. Il costo di tali fattori è interamente a carico dell’azienda. Con la soluzione proposta però, i carissimi camion compattatori verrebbero eliminati, così come i cassonetti, sostituiti dai compattatori domestici, dalle scaffalature di primo stoccaggio dei pani a livello condominiale o di comunità, dai camioncini di raccolta, e infine dai magazzini di stoccaggio centralizzato, dove saranno conservati i pani in attesa del conferimento ai consorzi. I costi della raccolta (scaffalature, camioncini e magazzino) ricadrebbero sicuramente ancora sull’azienda, ma per il compattatore la questione è più complessa. Anche se dovesse costare a regime come un normale elettrodomestico (considerando un compattatore per ogni famiglia o unità assimilata, ad un costo unitario di non meno di 800-1000 euro), il costo complessivo per un intero centro abitato sarebbe molto elevato, e difficilmente sostenibile dall’azienda senza incentivi e finanziamenti statali. Si possono però immaginare alcune ipotesi:

• Acquisto del “compadom” da parte delle aziende di raccolta e smaltimento e suo conferimento in comodato gratuito alle famiglie, le quali continuano a pagare la tassa rifiuti, che, tra l’altro, servirebbe anche a finanziare l’acquisto del nostro “elettrodomestico”. • Acquisto da parte delle famiglie, con formule di finanziamento rateizzato e sconti sulla tassa rifiuti compatibili da un lato con la convenienza per le famiglie e dall’altro lato con le necessità di finanziamento degli altri fattori produttivi da parte dell’azienda di smaltimento (scaffalature, camioncini, magazzini di stoccaggio). • Soluzione intermedia tra le prime due, con introduzione di formule di leasing. Più in generale, l'utente dovrebbe essere incentivato, così come avviene per le fonti energetiche rinnovabili. Sarebbe necessaria un’accorta azione di marketing per evidenziare i vantaggi garantiti dal compattatore: l’eliminazione dei cattivi odori, della "schiavitù" giornaliera delle buste da buttare nel cassonetto, sostituite da un cubetto di circa 20 cm di lato facilmente trasportabile, ecc. Lato ricavi

E’ importante sottolineare che le tasse rifiuti e tutti i costi appena elencati dovranno tener

conto del valore commerciale dei rifiuti stessi. suddivisi per tipologia omogenea (plastica, metallo, organico), e questo valore dovrà andare a beneficio di tutti gli attori del sistema sulla base di opportuni criteri di ripartizione della rendita. In altre parole, il rifiuto prodotto e compattato in regime di raccolta differenziata diventa una materia prima che ha un suo mercato e che pertanto ha un suo valore ed un suo prezzo specifico (quello della plastica, quello dell’alluminio, ecc.). Si potrebbe allora immaginare di staccare delle cedole al momento del ritiro a domicilio, cedole che costituiranno dei titoli di credito a favore del soggetto che conferisce il rifiuto. I titoli potranno essere utilizzati nei modi più differenti: per ottenere il rimborso del prezzo d’acquisto del compattatore, sconti sul pagamento della sosta, sull’acquisto di beni “ecologici”, ecc. Nel momento in cui l’intero ciclo del differenziato a domicilio potrà realizzarsi secondo le modalità illustrate, i vantaggi in termini di sistema ed economie di scala aumenteranno ancora notevolmente e renderanno evidenti i limiti della raccolta tramite automezzi e cassonetti, che oggi – a torto – appare ancora vantaggiosa. * Università degli Studi di Napoli

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the big eye

AD AMBURGO I RIFIUTI DIVENTANO UN’IMPORTANTE RISORSA ENERGETICA Anticipando il divieto nazionale di smaltimento in discarica del 2005, già da vent’anni gli inceneritori della seconda metropoli tedesca illuminano e riscaldano la città di Tina Corleto

S

e l’Italia è attualmente impegnata nell’incessante ricerca delle migliori tecnologie in fatto di raccolta differenziata, riciclo e smaltimento dei rifiuti – con l’innegabile spauracchio che si verifichi un’emergenza in qualche parte del territorio nazionale, sulla scia degli eventi occorsi a Napoli qualche tempo fa – la Germania dichiara invece la propria disponibilità ad accogliere all’interno dei confini di Stato gli scarti civili provenienti da qualsiasi parte d’Europa. E' indiscutibile che al giorno d’oggi, un indice per valutare il grado di benessere e di ricchezza di una civiltà sia la quantità di rifiuti da essa generata: maggiore è la quantità di rifiuti urbani, maggiore è il tasso di ricchezza della società. La produzione di rifiuti ha attualmente raggiunto quantitativi davvero elevati nei Paesi nord-occidentali; tra il 1990 e il 1995, il totale prodotto in Europa è aumentato circa del 10% e si prevede che intorno al 2020 possa aumentare del 45% rispetto al 1995. Secondo il “Panorama mondiale dei rifiuti

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2009”, il primo studio sistematico sulla produzione, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti a livello internazionale, che è stato presentato all’Università Bocconi di Milano lo scorso novembre, il primato nella produzione dei rifiuti urbani spetta agli Stati Uniti con 226 milioni di tonnellate l'anno, seguiti a ruota dall'Europa con oltre 225 milioni di tonnellate. La Cina, pur contando su una popolazione più che doppia, si attesta sui 148 milioni di tonnellate. Oltre agli ingenti quantitativi procapite generati, l’evoluzione tecnologica degli ultimi anni ha aggravato la questione rifiuti anche dal punto di vista della qualità merceologica degli scarti prodotti e, dunque, dello smaltimento ottimale degli stessi. Di fronte a tale problematica, la Germania ha già da tempo trovato la propria soluzione, trasformando in una fonte di ricchezza ciò che in altri Paesi è considerato soltanto materia di cui disfarsi. Per la legge tedesca il deposito dei rifiuti urbani in discarica è vietato dal giugno del 2005. Ancor prima di tale data, Amburgo aveva già deciso di investire sulla termovalorizzazione e oggi – previa separazione delle frazioni non adatte o non ammesse al trattamento termico – i rifiuti urbani vengono smal-

titi da quattro inceneritori, producendo al tempo stesso energia per la fredda città del Nord. È noto da letteratura che l'incenerimento dei rifiuti produce scorie solide pari a circa il 1012% in volume e 15-20% in peso dei rifiuti introdotti, oltre a ceneri per il 5%. La maggior parte della massa immessa nei forni viene infatti combusta ottenendo dei fumi che vengono opportunamente pretrattati prima di essere emessi dal camino. Le scorie devono invece essere smaltite in discarica. All’interno di tali sistemi, il calore sviluppato durante la combustione dei rifiuti viene recuperato e utilizzato per generare vapore, poi impiegato nella produzione di energia elettrica o come vettore di calore.


Le Amministrazioni amburghesi hanno cominciato a bruciare rifiuti nelle centrali dal 1989, ottenendo energia in grado di riscaldare le

case di almeno 18mila famiglie e immettendo elettricità nella rete urbana per illuminare la metropoli tedesca. Secondo quanto riferito dalla società Stadtreinigung Hamburg, gli inceneritori forniscono ogni anno circa 1 miliardo e 300 milioni di kilowattora, bruciando 21mila tonnellate di rifiuti a settimana, stoccate in appositi bunker. L’esempio di Amburgo potrebbe essere visto non tanto come la soluzione ideale ai problemi di tutti i Paesi europei – troppo diversificati fra loro – ma piuttosto come un’alternativa valida basata sulle esigenze di uno Stato tecnologicamente evoluto che, di fronte a problemi specifici (anche di natura meteoclimatica), ha saputo dare una destinazione definitiva ai propri rifiuti in modo tecnicamenTasso d’incenerimento te ed economicamente sostenibile. (fonte: OCSE, Environmental Data, compendium 2006/2007) La crisi finanziaria ed economica che

ha investito il mondo lo scorso anno ha provocato negli ultimi mesi uno scossone sui mercati delle materie prime che, a seconda dei casi, hanno perso dalla metà ai due terzi del loro valore rispetto ai massimi raggiunti nella primavera 2008. Lo smaltimento dei rifiuti sarà una delle grandi sfide per l’ingegneria urbana dei prossimi decenni. Non si tratta solo di trovare una destinazione definitiva a prodotti di cui ci si vuole disfare: da quei rifiuti si può ricavare energia, compost, cellulosa… tutte materie “secondarie” che possono sostituire le materie “prime” di cui potremmo essere carenti negli anni futuri. Ciascun Paese dovrebbe compiere – nel rispetto della normativa nazionale – la propria scelta tecnologica (magari basata su una combinazione di riciclaggio, trattamento termico o compostaggio), valutando le specifiche problematiche relative alla fattibilità economica, alla logistica dei trasporti, all’economicità del trattamento e all’effettiva possibilità di monitorare le emissioni che ne derivano.

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L’AMIANTO NEL MONDO E IN ITALIA: QUALI LE AZIONI DA INTRAPRENDERE? Dalla Conferenza Mondiale sull’Amianto un confronto internazionale sulle maggiori problematiche legate alla tutela della salute e degli ambienti di lavoro di F. Paglietti, V. Di Molfetta, S. Malinconico, F. Gennari, P. De Simone, F. Sallusti, F. Damiani, S. Bellagamba e A. Marinaccio*

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’amianto è una problematica estremamente complessa con risvolti prioritariamente sanitari ma anche di tipo tecnico-scientifico, economico, ambientale, di sicurezza e legale. Al fine di affrontare univocamente tutti i vari aspetti sopra citati è stata organizzata dall’ISPESL la Conferenza Mondiale sull’Amianto (WAC2009) dal 1 al 3 Ottobre 2009 a Taormina. La Conferenza, il cui programma ha previsto 70 relazioni orali e la presentazione di 40 poster scientifici, ha riscosso un grande interesse testimoniato dall’adesione di 430 partecipanti, di cui molti stranieri, e dalla presenza di Politici, Autorità ed Istituzioni italiane ed internazionali, ricercatori, bonificatori, medici, sindacati e associazioni esposti. Il confronto sul tema, partendo da approcci scientifici e metodologici differenti, ha permesso di evidenziare le situazioni di maggior rischio su scala mondiale. Nel presente lavoro si riporta la sintesi di quanto emerso su scala internazionale e nazionale, sullo stato dell’arte e sulle azioni da intraprendere ai fini della tutela della salute e degli ambienti di lavoro e di vita.

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L’amianto nel mondo La Conferenza ha permesso di evidenziare che ad oggi i sei principali Paesi produttori di amianto e di manufatti contenenti amianto nel mondo sono: la Russia, la Cina, il Kazakistan, il Brasile, il Canada e lo Zimbawe. Il maggior consumo di amianto e di manufatti contenenti amianto avviene principalmente in sei Paesi asiatici: la Cina, l’India, la Thailandia, l’Iran, il Vietnam e l’Indonesia. Si stima conseguentemente che i rischi principali legati all’esposizione a questo agente cancerogeno siano concentrati nelle zone più popolate dell’Asia oltre che nei Paesi dell’ex Unione Sovietica. In particolare, su un consumo mondiale annuo di manufatti contenenti amianto stimato in circa 2 milioni di tonnellate, l’Asia ne consumerebbe circa la metà, mentre i paesi dell’ex Unione Sovietica circa 1 milione di tonnellate. Negli ultimi 10 anni la maggior parte dei Paesi industrializzati ha drasticamente ridotto il consumo di manufatti contenenti amianto. Ciò è vero anche in Paesi come il Canada, in cui la produzione è quasi interamente esportata all’estero e che utilizza nel proprio territorio l’amianto ed i manufatti contenenti amianto solo in maniera marginale. Anche in Asia comunque i Paesi più sviluppati come il Giappone o la Corea del Sud tendono ad eliminare l’amianto dalla loro produzione ed utilizzo. Il risultato di tutto ciò è l’ulteriore incremento del divario tra Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, soprattutto dal punto di vista della tutela degli ambienti di lavoro e di vita. In tal modo si alimentano altresì le ineguaglianze sociali: negli anni a venire infatti sarà possibile osservare un incremento degli indici di mortalità determinati da patologie asbesto-correlate in particolar modo nei Paesi in via di sviluppo e nelle classi sociali più deboli. L’impatto sanitario determinato dall’impiego dell’amianto in numerose attività produttive è stato valutato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) in circa 100.000 morti l’anno nel mondo, con possibili incrementi sostanziali negli anni a venire per i Paesi asiatici.

ternazionale, risulta opportuno ricordare che a distanza di molti anni dall’introduzione della Legge 257 del 27 Marzo 1992 che stabiliva la “cessazione dell’impiego dell’amianto”, ed in particolare il divieto di estrazione, importazione, esportazione, commercializzazione, produzione di amianto, di prodotti di amianto e di prodotti contenenti amianto, sono ancora presenti sul territorio Distribuzione delle tipologie di esposizione ad amianto nazionale circa 2,5 miliardi di metri quadri di coperture in cemen- poi decrescere rapidamente fino al bando del to-amianto (Eternit), pari a circa 32 milioni di 1992. Le importazioni italiane di amianto greztonnellate. A queste vanno aggiunte molte zo sono state pure molto consistenti mantetonnellate di amianto friabile, per un totale di nendosi superiori alle 50.000 tonnellate/anno circa 8 milioni di metri cubi di amianto puro. fino al 1991. Ancor oggi vi sono in Italia numerosi siti con- Anche in ragione di questi consumi elevati, taminati da amianto, sia di tipo industriale che in Italia è attivo un sistema di sorveglianza epidemiologica dei mesoteliomi molto arnon, pubblici e privati. E’ dunque opportuno ricordare che l’Italia è ticolato. Presso l’ISPESL opera il Registro stata fino alla fine degli anni ’80 il secondo Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM) seconmaggiore produttore europeo di amianto in do quanto disposto dal DPCM 308/2002. fibra dopo l’unione Sovietica ed il maggiore La struttura del ReNaM è regionale. Presso della Comunità Europea. Dal dopoguerra al ciascuna Regione un Centro Operativo Rebando del 1992 sono state prodotte 3.748.550 gionale (COR) rileva tutti i casi di mesoteliotonnellate di amianto grezzo. Il periodo tra il ma presso le strutture sanitarie presenti sul 1976 ed il 1980 è quello di picco nei livelli di territorio, che diagnosticano e trattano i casi. produzione con più di 160.000 tonnellate/anno Ogni soggetto ammalato viene intervistato prodotte. Fino al 1987 la produzione non è mai per identificare quando, come e perché è vescesa sotto le 100.000 tonnellate/anno per nuto in contatto con l’amianto.

L’amianto in Italia Sebbene la normativa italiana in materia sia tra le più restrittive su scala europea ed in-

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L’archivio del Registro Nazionale contiene a gennaio 2009 informazioni relative a 9.166 casi di mesotelioma maligno rilevati in ragione di un sistema di ricerca attiva e di analisi standardizzata delle storie professionali, residenziali e familiari dei soggetti ammalati. Fino a 45 anni la malattia è rarissima (solo il 2,7% del totale dei casi registrati). L’età media alla diagnosi è di 68,3 anni. Il tasso standardizzato per mesotelioma maligno (certo, probabile e possibile) risulta pari a 3,42 (per 100.000 residenti) negli uomini e 1,09 nelle donne per la pleura. La malattia si presenta generalmente dopo molti anni (30-40 anni) dall’inizio dell’esposizione. Complessivamente, considerando oltre al gettito di casi di mesotelioma, anche i tumori del polmone e della laringe indotti da esposizione ad amianto e i decessi per asbestosi, è possibile dimensionare il fenomeno dei decessi per malattie asbesto-correlate intorno alle 3.000-4.000 unità ogni anno nel nostro Paese.

Nell’insieme dei casi rilevati, il 69,8% presenta un’esposizione professionale, il 4,5% familiare, il 4,7% ambientale, l’1,4% per un’attività extralavorativa di svago o hobby. Per il 19,5% dei casi l’esposizione è improbabile o ignota. I settori di attività maggiormente coinvolti sono l’edilizia (15% del totale della casistica), l’industria pesante ed in particolare la metalmeccanica (7%), metallurgia (4,1%) e le attività di fabbricazione di prodotti in metallo (5,5%), i cantieri navali (11,3%), l’industria del cemento-amianto (263 occasioni di esposizione pari al 4,8%), l’industria tessile (6,5%), rotabili ferroviari (4%) e il settore della difesa militare (4%). Sono significative le consistenti casistiche occorse per un’esposizione nei settori dei trasporti sia terrestri (3,5%) che marittimi (2,4%) e della movimentazione merci nei porti (2,1%). La presenza di materiale di coibentazione in amianto nei luoghi di lavoro è poi responsabile dei casi di mesotelioma insorti in conseguenza di un’esposizione ne-

gli zuccherifici (1,3%) e nelle altre industrie alimentari (2%), nell’industria chimica e delle materie plastiche (3,4%), del vetro (1,3%), della carta (0,7%), della gomma (1,2%), estrazione e raffinerie di petrolio (1,3%) e della produzione di energia elettrica e gas (1,6%). Sebbene il bando dell’amianto risalga al 1992, le previsioni inducono a ritenere che una diminuzione dei casi di malattie asbesto-correlate potrà verificarsi solo dopo il 2015-2018, periodo nel quale è previsto il picco massimo di decessi correlati ad esposizioni del passato (periodo di latenza della malattia di 30-40 anni). Per prevenire invece esposizioni future il D.P.R. 08/08/94 stabiliva che le Regioni e le Province autonome predisponessero un censimento puntuale dell’amianto sul territorio di propria competenza e predisponessero un conseguente piano di bonifica e gestione dei rifiuti. Solo alcune Regioni hanno presentato detti piani che risultano altresì fortemente lacunosi.

Sintesi delle principali problematiche emerse dalla Conferenza Mondiale sull’Amianto (WAC 2009) • Necessità di un bando mondiale sull’amianto: l’estrazione e la lavorazione dell’amianto da parte della Russia, della Cina, del Kazakistan, del Brasile, del Canada e dello Zimbawe, producono alti rischi per i lavoratori e per gli ambienti di vita. Il maggior consumo di amianto e di manufatti contenenti amianto avviene principalmente nei Paesi asiatici. Tenendo conto della libera circolazione delle merci vi è un serio pericolo di inconsapevoli importazioni di prodotti contaminati. In molti Paesi, principalmente quelli più industrializzati, la produzione è quasi interamente esportata all’estero e l’utilizzo nel proprio territorio di amianto e di manufatti contenenti amianto è ridotto al minimo. Il risultato di tutto ciò è l’ulteriore incremento del divario tra Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, soprattutto dal punto di vista della tutela degli ambienti di lavoro e di vita. • Necessità di avviare programmi di screening medici per gli esposti ed ex-esposti ad amianto: la prevenzione ridurrebbe di molto i costi di gestione, da parte dello Stato, rispetto all’intervento a malattia conclamata (sia come giorni lavorativi/ produttivi persi che come costi sanitari). Detta modalità di intervento, inoltre, inciderebbe positivamente sulla qualità della vita del malato. • Necessità di un tavolo internazionale di confronto permanente, gestito da organizzazioni internazionali (ONU, ILO o WHO), con rappresentanti dei Ministeri del Lavoro, Salute, Politiche Sociali, Ambiente, Attività Produttive, Istituti di Ricerca, Assicurazioni sul Lavoro e Associazioni delle vittime. Attività primaria di tale Tavolo saranno le seguenti tematiche: • omogenizzazione delle leggi internazionali;

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Pertanto, tenuto conto che con il passare degli anni lo stato di degrado dei materiali comporta un notevole incremento del rilascio di fibre pericolose nell’ambiente, al fine di evitare esposizioni indebite di lavoratori o della popolazione, il Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) ha emanato numerosi Decreti atti a censire e bonificare i siti contaminati da amianto di rilevanza nazionale. In particolare sono previsti fondi per la bonifica di siti contaminati di rilevanza nazionale che hanno consentito di completare in massima parte la loro perimetrazione; ne sono stati individuati 57 (più del 2% del territorio nazionale), di cui 9 principalmente contaminati da amianto, mentre nei restanti 48 l’amianto è un contaminante secondario, ma comunque quasi sempre presente. I 9 SIN contaminati principalmente da amianto sono: • Broni – Fibronit • Priolo – Eternit Siciliana

• Casale Monferrato – Eternit, Fibronit • Balangero – Cava Monte S. Vittore • Napoli Bagnoli – Eternit • Tito – exLiquichimica • Bari – Fibronit • Biancavilla – Cave Monte Calvario • Emarese – Cave di Pietra Inoltre al fine di individuare in tempi brevi le aree di rilevante estensione contaminate da amianto è stata approvata la Legge n. 93 del 23/03/2001 che all’Art. 20 prevede fondi per realizzare una mappatura completa della presenza di amianto sul territorio nazionale e degli interventi di bonifica urgente. Pertanto il Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio ha predisposto il relativo Decreto applicativo di tale Legge, il D.M. n. 101 del 18/03/2003 il cui obiettivo è quello di realizzare una mappa dei rischi maggiori connessi all’amianto e di avviare quanto prima i relativi interventi di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica definitiva. Detto decreto ha previsto

standardizzazione di criteri internazionali sulle metodiche analitiche e sui valori limite da adottare; • organizzazione di una “World Asbestos Conference” ogni 3 anni, itinerante, per comparare ed armonizzare i dati internazionali sugli aspetti medici, epidemiologici, analitici, di mappatura, di bonifica, di gestione dei rifiuti, legali ed assicurativi. • Necessità di un tavolo italiano di confronto permanente tra esponenti del Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero delle Attività Produttive, ISPESL, INAIL, IPSEMA, Associazioni vittime dell’amianto, ecc, (dati e approcci discordanti) con i seguenti obiettivi primari: • revisione/integrazione della normativa italiana; • realizzazione di una conferenza Stato-Regioni annuale per confrontarsi ed uniformarsi sui dati della mappatura; • confronto sulle tutele per i lavoratori esposti attualmente ed ex-esposti. • Necessità di individuare il fabbisogno di siti per lo smaltimento finale di rifiuti contenenti amianto; necessità di localizzare ed autorizzare, nel più breve tempo possibile, i siti da attrezzare a discariche. La probabile futura chiusura delle frontiere all’import/export dei rifiuti all’estero (da alcuni Paesi già attuata: Austria, Svizzera, ecc.) potrebbe creare una situazione di collasso della gestione di detti rifiuti. • Necessità di risorse economiche per la bonifica dei siti contaminati naturalmente o da attività antropica. Il primo caso richiede fondi per il controllo e la bonifica di siti contaminati naturalmente, per i quali non vi è un responsabile diretto al quale attribuire i costi del ripristino ambientale, necessario a tutelare la salute di cittadini inconsapevoli. Il secondo caso, molto più diffuso,

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• • • • •

richiede fondi necessari per identificare i responsabili della contaminazione e perseguirli per vie legali. Necessità di un ampliamento dell’elenco dei minerali riconosciuti come amianto: esistono altri minerali con lo stesso grado di rischio. Ciò al fine di poter classificare come aree contaminate anche zone con presenza di questi minerali asbestiformi ed avviare le opportune bonifiche ed opere di risanamento ambientale. Necessità di una standardizzazione di metodologie analitiche in merito a: • analisi di rischio; • valore limite di esposizione in ambienti di vita, non di lavoro; • valore limite per gli ambienti lavorativi outdoor; • valore limite per il contenuto di amianto nelle acque, nei suoli e nei sedimenti; al fine di stabilire quando e come intervenire con lavori di bonifica. Necessità di standardizzare una metodica di campionamento ed analisi dei materiali di risulta dei processi di inertizzazione dei rifiuti contenenti amianto. Il rischio è che in assenza di una procedura analitica codificata vengano reimmessi sul mercato prodotti (vetro, mattoni, inerti, ecc.) non completamente privi di amianto (fibre relitto). Necessità di stabilire regole internazionali in merito alla bonifica delle navi. Necessità di stabilire regole internazionali in merito alla bonifica del comparto militare. Necessità di sensibilizzare maggiormente il mondo politico. Necessità di una maggiore attività di prevenzione; . Necessità di tutelare gli ambienti di vita in cui sono esposti i giovani, in quanto maggiormente a rischio.

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Principali tematiche affrontate e sintesi delle problematiche emerse

Settori maggiormente interessati dall’esposizione a fibre di amianto

un ulteriore finanziamento di importo complessivo pari a 8.934.967 €, atto alla realizzazione di una mappatura completa della presenza di amianto sul territorio nazionale e degli interventi di bonifica urgente. Esso stabilisce inoltre di destinare il 50% dei fondi disponibili alle attività di mappatura da realizzarsi a cura delle Regioni, e di destinare il restante 50% al finanziamento degli interventi di particolare urgenza. In particolare l’Art. 4 comma 1 stabilisce che il MATT, su indicazione delle Regioni e dei Comuni interessati, individua e finanzia gli interventi di bonifica di particolare urgenza. Pertanto il MATT ha provveduto a realizzare un primo elenco degli interventi segnalati, ed ha successivamente proceduto, con il D.M. n. 994/RiBo/D/B del 02/12/2003, ad individuare gli interventi di bonifica di particolare urgenza. Successivamente il MATT ha trasferito con proprio Decreto n. 524/QDV/DI/G/SP del 21/06/04, a titolo di anticipo, il 70% della quota assegnata per la realizzazione degli interventi di bonifica di particolare urgenza e ha inoltre proceduto con proprio Decreto n. 771/ RiBo/DI/G/SP del 12/06/03 all’attribuzione del 50% dei fondi disponibili per la realizzazione della mappatura delle aree contaminate da amianto come previsto dall’Art. 4, comma 4 del D.M. n. 101. Pertanto è attualmente in corso, con la collaborazione delle Regioni, la mappatura dei siti ad estensione rilevante contaminati da amianto, che ha portato ad oggi all’individuazione di circa 27.800 siti.

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Poiché mancano ancora i dati di Valle d’Aosta, Province Autonome di Trento e Bolzano, Calabria e Sicilia, e per alcune Regioni essi risultano ancora incompleti, si ritiene che il numero sia molto sottostimato e che negli anni a venire si potrebbero raggiungere i 100.000 siti contaminati da amianto. Si stima di poter avere un quadro d’insieme delle situazioni di maggior rischio in Italia per la fine del 2010. A fronte di tali situazioni di rischio mappate non vi sono fondi disponibili per le bonifiche. * ISPESL - Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro

I principali temi trattati nell’ambito della Conferenza WAC2009 sono stati: • stato dell’arte della situazione internazionale in tema di utilizzo e dismissione dell’amianto; • definizione di procedure/protocolli avanzati in merito alle indagini epidemiologiche; • miglioramento delle conoscenze mediche sulle malattie killer asbesto-correlate e definizione di protocolli di sorveglianza sanitaria; • evoluzione degli aspetti legali ed assicurativi e stato dell’arte sull’associazionismo delle vittime dell’amianto; • definizione di protocolli di monitoraggio e bonifiche per ambienti indoor e outdoor; • proposte di metodi avanzati per la determinazione dell’amianto nei suoli; • procedure aggiornate di valutazione del rischio per la presenza di amianto nelle acque; • strumenti portatili per le analisi in campo; • mappatura e valutazione del rischio in siti contaminati naturalmente da amianto; • criteri per l’analisi del rischio amianto in siti contaminati da attività antropica e per stabilire la priorità degli interventi di bonifica; • tecniche aggiornate di decontaminazione di veicoli, di mezzi ferroviari e di mezzi navali; • tecniche aggiornate sulla gestione dei rifiuti; • trattamenti di inertizzazione dell’amianto: stato attuativo nei diversi Paesi.


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CARATTERIZZAZIONE: un PRIMO PASSO importante nell’ITER DI BONIFICA Modalità operative e dati tecnici per la selezione delle tecnologie applicabili nell’investigazione di terreni e acque di falda contaminati di Vera Rocca* e Maeva Brunero Bronzin

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l D. Lgs 152/2006, il cosiddetto Testo Unico Ambientale, definisce la caratterizzazione come “l’insieme delle attività che permettono di ricostruire i fenomeni di contaminazione a carico delle matrici ambientali, in modo da ottenere le informazioni di base su cui prendere decisioni realizzabili e sostenibili per la messa in sicurezza e/o bonifica del sito”. E’ evidente quindi come la normativa dia un peso importante a questa prima fase in grado di condizionare il corretto svolgimento dell’iter di bonifica. Per la corretta ricostruzione dei fenomeni di contaminazione dei terreni e delle acque, durante la fase di caratterizzazione vengono generalmente realizzate indagini dirette delle matrici ambientali volte ad acquisire campioni di terreni ed acque di falda da sottoporre ad analisi chimiche.

Le modalità di esecuzione adottate durante le fasi di investigazione sono di primaria importanza affinché risultati ottenuti siano rappresentativi dello stato reale del sito. Di seguito viene proposta una rassegna dei metodi di perforazione e di campionamento maggiormente impiegati con alcune precisazioni specifiche per il settore ambientale.

SISTEMI DI PERFORAZIONE I principali sistemi di perforazione si distinguono in: Perforazione a rotazione: • a circolazione diretta (a fango o ad aria o mista aria-fango); • a circolazione inversa (a fango o ad aria o mista aria-fango). Perforazione a percussione:

• a circolazione inversa con acqua; • a secco con tubazioni di lavoro; • a secco, con infissione a pressione di colonna di rivestimento definitiva. Perforazione a sistema misto: • rotopercussione. Perforazione a rotazione

Nel sistema a rotazione la perforazione viene eseguita per mezzo di uno scalpello, sottoposto ad un peso, che ruotando sul fondo del foro, frantuma la formazione in detriti. Nella perforazione a rotazione è importante la circolazione di un fluido (fango, acqua od aria compressa). Si può perforare qualsiasi tipo di terreno e la profondità di perforazione ed il diametro dei fori dipendono dal tipo e dalla potenza d’impianto. La perforazione a rotazione, può essere di due tipi: a circolazione diretta e a circolazione inversa e può essere ulteriormente distinta in base al fluido di circolazione, a fango/acqua o ad aria. Perforazione a rotazione con circolazione diretta di fango La perforazione a rotazione con circolazione diretta è il sistema più diffuso; quella con circolazione inversa (a fango o ad aria) può essere considerata una variazione della prima. L'avanzamento avviene per rotazione di uno scalpello, oppure un carotiere, situato all’estremità della batteria di aste. Il moto ro-

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tatorio viene impresso alle aste, e quindi allo scalpello, mediante una testa motrice che è collegata alle aste di perforazione. Lo scalpello riduce il materiale di formazione in detriti, i quali sono trasportati in superficie dal fango di perforazione. Il ciclo del fango è il seguente: esso viene aspirato da una pompa e, passando attraverso la testa motrice, viene immesso in pressione all'interno della batteria di perforazione per fuoriuscire dai fori dello scalpello, assolvendo al duplice scopo di trasportare i detriti e di raffreddare e pulire lo scalpello. Il fango risale attraverso l’intercapedine esistente tra le pareti del foro e le aste, trasportando i detriti in superficie nella dedicata vasca di decantazione, dove si depositano. Il fango stramazza poi in una seconda vasca che alimenta la pompa, ripetendo il ciclo. Negli impianti di perforazione per pozzi profondi il fango, prima di essere immesso nella vasca di sedimentazione, passa attraverso un vibrovaglio che trattiene i detriti di dimensione maggiore della sua maglia. Nel caso in cui sia necessario prelevare campioni integri del terreno (carote) si ricorre all’impiego di un carotiere come utensile di perforazione. Perforazione a rotazione con circolazione inversa di fango Nella perforazione a circolazione inversa il ciclo del fango si inverte. Con questo metodo si possono perforare pozzi di grande diametro, i quali richiederebbero, nel caso di circolazio-

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ne diretta, notevoli portate di fango e, conseguentemente, grosse pompe per poter avere una velocità ascensionale del fango idonea per il trasporto dei detriti in superficie. Nel caso della circolazione inversa la velocità di risalita del fango è funzione solo del diametro delle aste e non dipende da quello del foro perforato. La profondità di un pozzo perforato a circolazione inversa è limitata dall'azione aspirante della pompa, quindi non si perforano pozzi oltre i 140 - 150 m. Ciò dipende dal fatto che oltre queste profondità la perdita di carico idraulico all'interno delle aste diventa maggiore dell'altezza di aspirazione della pompa. Questa limitazione viene parzialmente superata immettendo nelle aste dell'aria, attraverso un ugello diffusore posto al di sopra dello scalpello. Per questa operazione occorrono delle aste appropriate. L'immissione dell'aria tramite un diffusore fa diminuire la densità del fango contenuto all'interno della batteria e conseguentemente la pompa può aspirare una colonna di fango maggiore. Perforazione a rotazione e circolazione diretta ad aria L’utilizzo dell’aria come fluido di perforazione è limitato nei pozzi profondi a causa dell'enorme quantità di fluido che occorrerebbe e, conseguentemente, della disponibilità di compressori troppo grossi ed ingombranti. Lo scopo del fango di perforazione è di trascinare in superficie i detriti prodotti e sostenere le

pareti del pozzo da eventuali cedimenti. Nel caso di terreni compatti, dove non esistono problemi di collassi della parete, lo scopo del fluido è solo quello del trasporto dei detriti in superficie. L'aria, usata come fluido di perforazione, è fornita da un appropriato compressore, il quale sostituisce la pompa del fango. Essa passa nella batteria di aste, fuoriesce dallo scalpello e rifluisce in superficie attraverso l'intercapedine foro-aste, trasportando i detriti. Tale metodo è chiamato "perforazione ad aria a secco". In genere l'aria e le polveri sono scaricate lontano dal luogo di lavoro per mezzo di un convogliatore oppure le polveri sono separate dall'aria utilizzando un opportuno collettore-separatore di polveri. Perforando ad aria una formazione bagnata i detriti tendono ad agglomerarsi tra loro formando grossi noduli che possono depositarsi sullo scalpello, con possibili problemi di presa della batteria. Per evitare tali inconvenienti, la perforazione ad aria viene eseguita immettendo, nel flusso che fuoriesce dallo scalpello, un liquido chimico, detto schiumogeno, che tende a formare della schiuma, impastando e separando in tal modo i detriti. Tale sistema è chiamato "perforazione ad aria con schiumogeno". La miscela aria-schiuma-acqua trasporta facilmente i detriti in superficie. Lo schiumogeno viene immesso nella condotta di alimentazione dell'aria per mezzo di una pompa dosatrice. Nella perforazione di terreni molto duri e compatti si può far uso di un attrezzo che frantuma il materiale con un sistema a "rotopercussione". L'attrezzo, chiamato "martello fondo-foro” lavora come un normale martello pneumatico, con la sola differenza che il moto di percussione è impresso solo all'utensile e non alle aste. Tale sistema è chiamato "perforazione ad aria con martello fondo-foro". La batteria di aste lavora solo a rotazione e non risente dei ripetuti colpi di percussione sullo scalpello. Gli scalpelli usati nel martello fondoforo hanno il tagliente a croce, con inserti di carburo di tungsteno. Perforazione a rotazione a circolazione inversa a fango ed aria Nella perforazione a circolazione inversa a fango ed aria si fa uso di un compressore e di una batteria di aste a doppia parete; l'aria compressa viene immessa nell’intercapedine


foro-aste. Tale metodo sfrutta la variazione di densità tra la colonna d'acqua che si trova nell'intercapedine foro-aste e la colonna di acqua, mista ad aria, più leggera, all'interno della batteria di aste. Il suddetto squilibrio crea all'interno delle aste, un innalzamento del fluido con sua fuoriuscita e conseguente richiamo, dallo spazio anulare foro-aste, di altra acqua che dallo scalpello penetra all'interno della batteria, trasportando anche i detriti. La profondità raggiungibile dipende dalla potenza del compressore, mentre la velocità di risalita dell'acqua mista a detriti è funzione della sua portata e del diametro interno delle aste. La risalita dell'acqua mista a detriti avviene sempre per aspirazione, prodotta dalla differenza di densità delle due suddette colonne.

Perforazioni ambientali E’ necessario però precisare che i metodi di perforazione generalmente impiegati in campo geotecnico, petrolifero, edile, ecc. non sempre si adattano alle applicazioni nel settore ambientale dove l’obiettivo fondamentale è la ricostruzione stratigrafica ed il prelievo di campioni di terreno rappresentativi. La selezione della tecnica di perforazione idonea a perseguimento di tale scopo deve inoltre tenere in considerazione una serie di fattori sito specifici quali geologia ed idrogeologia dell’area, accessibilità per i mezzi, matrice da

campionare nonché, evidentemente, fattori di tipo economico e/o di disponibilità delle attrezzature necessarie. Di fondamentale importanza per garantire la rappresentatività del campione, evitando inoltre di causare fenomeni di cross-contamination, è l’esecuzione a secco della perforazione; è evidente però che talvolta non è possibile prescindere dall’utilizzo fluidi pertanto in questi casi è richiesto l’impiego di acqua, di qualità nota ed in quantitativi che impattino nel minor modo possibile sulle matrici da campionare. Sulla base di quanto detto sinora le tecniche di perforazione maggiormente impiegate nel settore ambientale sono la perforazione a rotazione a carotaggio continuo e la perforazione a percussione direct push. In aggiunta a queste, ogni qualvolta si debbano installare di piezometri ma non sia necessario né ricostruire la stratigrafia, né prelevare campioni di terreno, è possibile optare per metodi di perforazione a distruzione di nucleo, più veloci ed economici. Perforazione a carotaggio continuo

La perforazione a carotaggio continuo viene eseguita mediante un carotiere, un tubo di acciaio munito all’estremità di una corona tagliente, che ruotando provoca l’avanzamento nel foro facendo in modo che il terreno attra-

versato penetri all’interno del carotiere stesso. I carotieri hanno dimensioni variabili ma quelli impiegati più di frequente sono da 101 mm di diametro e possono essere semplici o doppi: nei carotieri semplici il terreno entra a contatto con l’eventuale fluido di perforazione, nei carotieri doppi invece anche se si impiegano liquidi questi circolano nell’intercapedine tra le pareti del carotiere non venendo a contatto con il terreno. Va però precisato che nella perforazione a secco possono essere impiegati unicamente i carotieri semplici. Questo metodo di perforazione presenta indubbi vantaggi legati alla rappresentatività del campione, avendo per contro alcuni svantaggi tra cui il surriscaldamento del terreno che può causare la volatilizzazione di alcuni contaminanti e l’impossibilità di perforare con diametri superiori a 178 mm. Perforazione a percussione

La perforazione a percussione viene eseguita a secco ed il funzionamento si basa sulla presenza di un martello battente in grado di infiggere in profondità la batteria di aste collegate ad un campionatore. In alternativa la spinta può essere fornita da un sistema oleodinamico. Nel caso dei sistemi direct-push, essendo possibile il campionamento di terreni, acque di falda e gas interstiziali, il campionatore varia in base alla matrice indagata. Nel prelievo di campioni di terreno il campionatore potrà essere di tipo chiuso, in questo caso l’estrazione della carota avviene grazie ad un pistone, oppure aperto, dove la carota si estrae attraverso un’apertura laterale. Con diametri di perforazione inferiori a 2” è possibile inoltre avere un carotiere al cui interno è posizionata una fustella in materiale plastico trasparente che consente di racchiudere direttamente la carota di terreno preservandola dal

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STRUMENTAZIONE PER CAMPIONAMENTO ACQUE Bailer – I bailers sono costituiti da un tubo legato ad un cavo utilizzato per immergere manualmente il campionatore all’interno del pozzo, e sono dotati di una valvola sferica di fondo. I tre materiali più comunemente utilizzati per i bailers sono PVC, Teflon, e acciaio inox. Questo metodo manuale di spurgo e campionamento è più adatto per pozzi poco profondi e di piccolo diametro. Pompa sommersa - Le pompe sommerse sono costruite in vari materiali, da ABS ad acciaio inox, e sono disponibili ad alimentazione elettrica o con predisposizione per l'attacco alla batteria dell'auto. Tali caratteristiche le rendono più o meno idonee al campionamento di acque nel caso di presenza di contaminanti organici e inorganici. E' inoltre necessario tener conto che il movimento delle giranti crea un rimescolamento all'interno del piezometro. Pompa Bladder - Le pompe Bladder sono pompe volumetriche a immersione costruite in acciaio inossidabile e Teflon in modo tale da minimizzare l’interferenza con il campione. Il campione non entra in contatto con il gas compresso o con le parti meccaniche della pompa. Potendo essere utilizzate a diverse pressioni e portate, il campione prelevato risulta essere in ogni caso di elevata qualità. Pompe aspiranti - Esistono diversi tipi di pompe ad aspirazione, (centrifuga, peristaltica e a diaframma). Le più impiegate sono le peristaltiche. Sono utili per il campionamento in pozzi caratterizzati da piccolo diametro. Esistono pompe in grado di permettere una regolazione della portata in modo che questa si adatti alle diverse esigenze delle fasi di spurgo o di campionamento, anche a portate bassissime. Pompe inerziali - Le pompe inerziali sono adeguate sia per le operazioni di spurgo sia per quelle di campionamento, anche in pozzi di monitoraggio di piccolo diametro. Possono essere costruite in diversi materiali, sono economiche e di facile utilizzo. Rappresentano il sistema più appropriato di spurgo quando i pozzi sono troppo profondi o troppo stretti (o inaccessibili); in queste condizioni infatti non si giustifica l’impiego di un pompa automatica (ovvero, sommergibile). Le pompe inerziali possono essere anche utilizzate per il campionamento, tuttavia la pratica più comune consiste nello spurgare con queste pompe e campionare con un bailer. Pompe “air-lift” - Il sistema di sollevamento air-lift utilizza aria compressa che si mescola con l'acqua nel pozzo. Questa miscela aria/acqua è spinta fuori dalla sommità del pozzo essendo più leggera dell'acqua presente nel pozzo. A causa dell’aerazione del campione non è consigliabile il suo utilizzo ai fini del campionamento.

contatto con le pareti del campionatore prima e con l’aria dopo ma permettendo comunque l’ispezione visiva del campione. In sintesi i metodi a percussione hanno il vantaggio di ottenere rapidamente campioni di qualità elevata ed una buona ricostruzione della successione litostratigrafica; inoltre consentono di operare agevolmente in spazi ristretti e sono generalmente associati a costi ridotti rispetto alle modalità di sondaggio tradizionale. D’altro canto vengono evidenziati di seguito alcuni svantaggi legati all’avanzamento a percussione: la profondità di perforazione è limitata a 20-30 metri; vi sono difficoltà di avanzamento in presenza di ciottoli o in terreni molto consistenti ed i campioni sono difficilmente riproducibili.

IL CAMPIONAMENTO DELLE ACQUE Per la verifica della qualità delle acque di falda o anche solo per l’acquisizione dei dati idrogeologici, l’esecuzione di perforazioni a carotaggio continuo o a distruzione di nucleo può talvolta essere associata con l’installazione di piezometri di monitoraggio. I piezometri sono costituiti da una tubazione, in parte cieca ed in parte fessurata realizzata in materiali che possono essere distinti in acciaio, fluoropolimeri e materiali termoplastici. Le tubazioni maggiormente impiegate e più

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facilmente reperibili sono quelle in PVC alimentare, disponibili in varie misure, economiche e di facile installazione. Per il corretto funzionamento del tratto filtrante l’intercapedine tra la tubazione e la parete del foro deve essere riempita con ghiaietto, con funzione drenante in corrispondenza del filtro, bentonite, dove la tubazione è cieca, e cemento, per sigillare il tratto in superficie. Completata l’installazione del piezometro, prima di procedere con il campionamento, il pozzo deve essere spurgato in modo da rimuovere l'acqua stagnante, e quindi campionare solamente acqua fresca proveniente dall’acquifero. La funzione dello spurgo è quella di creare un moto alternato dell'acqua attraverso i filtri, in grado di rimuovere ed eliminare il materiale a grana più minuta, che deve essere allontanato. L'eventuale processo di assestamento comporta la necessaria ricarica del dreno per evitare di compromettere la funzionalità dell'opera. Al termine delle operazioni di spurgo si deve provvedere alle operazioni di pulizia del fondo del foro. La durata dell'operazione di spurgo deve essere commisurata sia alla natura dei terreni attraversati sia agli accorgimenti adottati in sede di costruzione del pozzo. Essa deve essere protratta fino a quando non si rilevi più un significativo trascinamento di elementi fini. I metodi utilizzabili comprendono: aria compressa; pistonaggio;

lavaggio e pompaggio. Gli strumenti più comunemente utilizzati per le operazioni di spurgo e campionamento sono: bailers, pompe sommerse, pompe “bladder”, pompe aspiranti, pompe inerziali, e pompe “air-lift”. Le operazioni di pistonaggio devono essere condotte con molta cautela, evitando azioni che possano provocare, per instabilità, lo sfiancamento della colonna, specie in corrispondenza dei filtri. Una volta che lo spurgo è stato completato si può procedere al campionamento. Occorre prestare particolare attenzione nella scelta del dispositivo di campionamento, poiché alcune tipologie potrebbero compromettere la rappresentatività del campione. Il campionamento dovrebbe avvenire in una progressione dal meno al più contaminato, qualora questa informazione sia nota, mentre le attrezzature per il campionamento e lo spurgo dovrebbero essere costituite preferibilmente da acciaio inossidabile, teflon, o vetro. * Politecnico di Torino


systems for environmental projects

SostenibilitĂ per una nuova economia Fiera di Padova, 21-24 aprile 2010


pan orama a z ien d e

RENERWASTE: LA SOLUZIONE PER IMPIANTI OBSOLETI E DISCARICHE ESAURITE La nuova nata in casa Ladurner offre soluzioni tecniche e finanziarie per massimizzare la produttività di impianti di trattamento rifiuti e vecchie discariche di Maria Beatrice Celino

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n Italia sono molti gli impianti di trattamento aerobico che utilizzano tecnologie ormai obsolete e poco produttive e, analogamente, sono presenti discariche ormai esaurite che potrebbero essere utilizzare per la generazione di nuova energia. Nasce da questi semplici concetti l’idea di Renerwaste, la nuova società del gruppo Ladurner che mira ad individuare partner indu-

Ing. Simone Paoli, Direttore Commerciale di Renerwaste S.p.a.

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striali proprietari di impianti di compostaggio autorizzati, proponendo loro la riconversione industriale e la messa a reddito con produzione di energia verde. In occasione della conferenza stampa di presentazione del progetto, che si è tenuta presso la nuova sede di Bolzano, abbiamo intervistato l’ing. Simone Paoli che ci ha illustrato gli obiettivi della società. Renerwaste è una vera e propria iniziativa imprenditoriale che coinvolge più contesti, può parlarci dell’idea? Con Renerwaste il gruppo Ladurner mette a frutto 20 anni di esperienze nel campo ambientale, fondendo in un unico progetto industriale il know-how tecnologico, commerciale e finanziario delle sue società. Partendo dall’attuale contesto ambientale e normativo, la nostra società mira a diventare il punto di riferimento per la gestione dei rifiuti umidi raccolti e prodotti in Italia, garantendo affidabilità, sicurezza e redditività dei progetti che saranno condotti sotto la sua direzione. Operativamente vogliamo investire nel revamping di impianti esistenti e sviluppare nuove iniziative in tempi ragionevoli, realizzando e gestendo le nuove opere con il contributo fondamentale dei partner locali, al fine di rendere redditizie attività oggi non sempre soddisfacenti ed evitando, grazie alle tecnologie impiegate, ogni problema ambientale e gestionale.

Renerwaste infatti non è solo una proposta tecnologica, ma un sistema industriale, un concreto passo avanti nella chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti. Questo progetto ha tra i suoi scopi principali quello di “riqualificare” impianti esistenti; quali saranno le trasformazioni e come le realizzerete? Il progetto Renerwaste interverrà principalmente su strutture esistenti, in difficoltà dal punto di vista ambientale e gestionale. In Italia esistono molti impianti di compostaggio oramai datati a causa delle strutture e delle tecnologie impiegate, con problematiche varie che ne limitano la potenzialità e di conseguenza la redditività. Noi investiremo nel revamping di questi impianti, implementan++do nelle strutture esistenti nuove linee di trattamento della FORSU, dei fanghi e dei rifiuti umidi in generale, con tecnologie di digestione anaerobica che consentano di recuperare energia elettrica. Il revamping inoltre riguarderà anche le strutture esistenti ed i sistemi di trattamento aria e liquidi, ottimizzandole e potenziandole in base alla più che decennale esperienza del gruppo Ladurner nella gestione di impianti di trattamento rifiuti ed acque. Vorrei precisare che la tipologia di tecnologia da impiegare sarà valutata di volta in volta dall’ufficio tecnico di Renerwaste, sulla base delle esperienze già maturate e, come sempre nella filosofia Ladur-


ner, in base alle migliori tecnologie disponibili sul mercato. A puro titolo esemplificativo vorrei citare la tecnologia Wet Oxidation per il trattamento dei fanghi di depurazione, che consente di ottenere energia e un materiale inerte, riutilizzabile in vari modi senza dover ricorrere a discariche, il tutto in spazi assai limitati. Questa tecnologia, integrata con le tradizionali opportunità per la FORSU, ci consentirà, creando dei veri e propri poli impiantistici, di rispondere ad una domanda crescente del mercato per il trattamento di queste tipologie di materiali. Quali sono gli obiettivi che vi siete posti? Renerwaste ha obiettivi ambiziosi, ma molto concreti. Vogliamo diventare il primo produttore italiano di energia da biogas da rifiuti investendo, nei progetti che andremo a sviluppare, circa 300 milioni di Euro. Molto attuali sono anche gli obiettivi ed i contributi in tema di contenimento delle emissioni: grazie all’energia verde che si svilupperà nei nostri impianti, potranno essere evitate emissioni pari a circa 52.000 t di CO2 e sarà fornita energia elettrica sufficiente per una città di 70.000 abitanti. Ad oggi possiamo contare su una buona base di progetti in fase di realizzazione e di start-up, che contiamo di espandere già nel corso del prossimo anno. Inoltre abbiamo la prospettiva, altrettanto ambiziosa e concreta, di intraprendere attività e progetti anche in Europa. Quali vantaggi ne ricaveranno i vostri partner? Renerwaste si propone per risolvere un problema e trasformarlo in un’opportunità per tutti: per chi ha già investito in un impianto ed ora è in difficoltà, per chi vorrebbe migliorare le proprie strutture ma non ha le risorse per farlo, senza dimenticare le comunità limitrofe agli impianti stessi, e più in generale il pubblico interesse a vedere correttamente impiegate le risorse che vengono recuperate grazie all’implementazione delle raccolte differenziate in tutta Italia. Entrare a far parte del progetto Renerwaste vuol dire garantirsi il supporto e l’esperienza di un gruppo industriale strutturato e presente sul mercato a livello nazionale, con la possibilità di sfruttare tutte le sinergie che ne derivano. Per i possibili partner quindi la nostra società è soprattutto un’occasione di sviluppo e di crescita, da saper cogliere insieme.

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MASSIMA PROTEZIONE NELLA RIMOZIONE dell'AMIANTO in un CANTIERE DI ANCONA Superare i requisiti minimi di legge e predisporre una ridondanza nei sistemi di protezione: questi i criteri progettuali adottati per l’intervento di bonifica del palazzo della Provincia di Alfio Bazzichi*

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l palazzo della Provincia di Ancona, oggetto dell’intervento di bonifica da amianto, è un edificio a pianta rettangolare, lungo 45 m e largo circa 22 m, ubicato nel cuore della città. Presenta un piano interrato e sette piani fuori terra, mentre il solaio di copertura dell’ultimo piano risulta a quota 25 m circa sopra il piano strada (Figura 1).

La struttura portante del piano interrato ed i pilastri del piano terra sono in cemento armato, diversamente dalla struttura portante degli altri piani, dal primo alla copertura, che è realizzata in profili metallici (colonne, travi principali e secondarie), con solai in lamiera grecata e sovrastante getto di calcestruzzo armato. Tutte le parti metalliche dell’edificio – struttura

Figura 1. Vista aerea del palazzo della Provincia oggetto di intervento

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portante ed intradosso in lamiera dei solai – erano state completamente rivestite di amianto spruzzato, per renderle resistenti al fuoco. I pilastri e le travi metalliche erano poi state ricoperte con carter metallici ed i solai controsoffittati, affinché la protezione antincendio non fosse a vista. I controsoffitti erano stati realizzati per la quasi totalità con doghe metalliche sormontate da un materassino di lana minerale (Figura 2). L’intervento di bonifica elaborato da Cosint S.c.r.l., ad oggi in corso di esecuzione, ha l’obiettivo di garantire la maggiore protezione possibile verso l’ambiente esterno contro la propagazione di fibre di amianto, oltre alla tutela dell’integrità fisica e della salute dei lavoratori. Per conseguire questo risultato, l’impostazione progettuale è stata basata sui seguenti aspetti: • realizzazione di un “guscio”, esterno ai confinamenti statici-dinamici propri di ogni intervento su amianto friabile, a salvaguardia delle attività di cantiere ed a maggiore garanzia di protezione del personale non direttamente coinvolto, nonché delle persone esterne al cantiere; • mantenimento in essere degli infissi perimetrali durante l’esecuzione della bonifica interna di ciascun piano, in quanto costi-


tuiscono una sicurezza aggiuntiva contro possibili danneggiamenti del confinamento; gli infissi perimetrali di un piano saranno rimossi solo dopo aver completato la bonifica interna del piano interessato, così da limitare le zone residuali contaminate sulle quali intervenire, che saranno rimosse sempre operando esclusivamente all’interno di un confinamento dedicato.

Impostazione dell’intervento A servizio del lavoro sono stati installati una gru a torre e due ponteggi di tipo multidirezionale attorno all’edificio, dal piano campagna fino alla sommità dello stabile. I due ponteggi costituiranno la struttura di sostegno del futuro “guscio” (o “area controllata”) e del confinamento per l’esecuzione della bonifica delle pareti perimetrali (curtain-wall) dell’edificio. L’intervento di bonifica delle realtà contaminate da amianto è stato previsto nelle seguenti fasi principali: • allestimento area controllata N.1, perimetrale all’edificio (1° confinamento statico o guscio); • allestimento-confinamento dell’interno dei vari piani, realizzato in modo sequenziale; • bonifica – sempre sequenziale – dell’interno di ogni piano; • allestimento area controllata N.2, perimetrale all’edificio (allargamento del confinamento statico o 2° guscio); • allestimento confinamento perimetrale di ogni piano; • bonifica perimetrale sequenziale di ogni piano. L’intervento è stato impostato con sequenza di bonifica dall’alto verso il basso, così da ridurre il rischio di contaminazione dei piani già bonificati. La figura 3 illustra schematicamente le fasi di bonifica.

Allestimento e bonifica interna del piano Al fine di allestire il confinamento statico del piano, devono essere prima rimosse tutte le pareti divisorie interne. Questa operazione – che non comporta disturbo di amianto – deve essere comunque condotta esclusivamente dopo aver realizzato il primo guscio ester-

Figura 2. Particolare dei rivestimenti strutturali in amianto spruzzato

no al piano. Successivamente si andranno a stendere i teli in polietilene a pavimento ed a parete, attestandoli sul carter delle travi perimetrali. Dopo aver rimosso i controsoffitti, il confinamento sarà sigillato, quindi si effettuerà la prova di tenuta e si metterà in depressione; ciascun cantiere di bonifica interna di piano sarà poi diviso in quattro settori, al fine di limitare l’area di lavoro dove progressivamente si provvederà a rimuovere l’amianto e ridurre il rischio di dispersione di fibre verso l’esterno, in caso di perdita di tenuta accidentale del confinamento (Figura 4). Si tiene ad evidenziare che aver allestito il confinamento interno mantenendo le pareti perimetrali offre una maggiore garanzia contro le potenziali rotture del confinamento medesimo e le eventuali perdite di tenuta, nonché contro i possibili danni causati dagli agenti atmosferici. Un ulteriore grado di protezione, che riguarda sia l’ambiente esterno che i lavoratori non addetti alla bonifica, sarà aggiunto operando la rimozione del materiale contaminato avendo già predisposto almeno tre piani di guscio esterno completi (quello corrispondente al piano di intervento ed i due sottostanti), e solo dopo aver confinato staticamente il piano sottostante a quello in bonifica, senza che vi siano ancora state eseguite lavorazioni (“piano cuscinetto”).

Le procedure di rimozione e gestione del materiale contaminato dall’amianto saranno quelle usuali per simili interventi, secondo quanto previsto dalla normativa e dalla buona tecnica. Dopo aver ottenuto la restituibilità di un cantiere di bonifica di piano, si procederà a rimuovere i teli interni - ma non il guscio esterno, che rimarrà in essere e sarà impiegato per la bonifica delle pareti perimetrali.

Allestimento e bonifica perimetrale del piano Per bonificare le pareti perimetrali dell’edificio sarà allestito un cantiere di bonifica specifico, utilizzando l’area controllata N. 1 (1° guscio), che verrà trasformata in cantiere di bonifica (confinamento statico-dinamico). Questa soluzione consente di evitare che i ponteggisti possano essere esposti al rischio di inalazione delle fibre di amianto, in quanto si troveranno sempre ad operare all’esterno degli ambienti confinati. Inoltre, sarà possibile rimuovere le finestrature perimetrali mantenendo sempre un doppio ambiente confinato – quello a filo del ponteggio più interno e quello a filo del ponteggio più esterno. Una volta restituito anche il cantiere di bonifica del perimetro, saranno rimossi i corrispondenti teli di confinamento, ma non il confinamento

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più esterno, realizzato a filo del secondo ponteggio, che sarà mantenuto fino al termine dei lavori, per una maggiore protezione dei cantieri sottostanti e al fine di impedire la dispersione di polveri e particelle durante le attività di verniciatura finale condotte a piani soprastanti, richieste dal committente.

Monitoraggi ed informazione costante Prima e durante l’esecuzione dei lavori, verranno effettuati monitoraggi per determinare la concentrazione di fibre di amianto presenti all’interno e nelle aree circostanti i cantieri di bonifica, allo scopo di rilevare un’eventuale contaminazione in atto. Al fine di ottenere prontezza di risposta, sarà installato un laboratorio di cantiere per la lettura delle membrane MOCF. Prima dell’inizio dei lavori verrà condotto un monitoraggio ambientale sui quattro lati dell’edificio, eseguito con analisi al SEM. L’insieme di tutti i valori disponibili – mediati tra loro – sarà considerato come Valore di Fondo Ambientale (VFA). Ogni dieci giorni sarà ripetuto un monitoraggio ambientale con analisi al SEM, da effettuarsi all’esterno del cantiere sui tre lati transitabili dell’edificio, che verrà poi confrontato con il VFA; in caso di superamento, saranno attivate tutte le procedure di emergenza previste. Saranno periodicamente eseguiti anche i monitoraggi sulle acque di scarico delle docce delle UDP (unità decontaminazione personale) e delle vasche lavaggio UDM (unità decontaminazione materiali), filtrate con filtri assoluti. L’accesso ai singoli cantieri di bonifica avverrà tramite UDP. Al fine di migliorare la protezione dei lavoratori, Cosint ha impostato l’accesso

Figura 4. Confinamento statico di un piano tipo con suddivisione in settori

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Fase 1: allestimento cantiere interno di bonifica – 1° guscio esterno al piano realizzato

Fase 2: bonifica di piano interno – segue allestimento ai piani sottostanti (a meno di un piano cuscinetto); segue allestimento 1° guscio

Fase 3: bonifica di piano perimetrale (2° guscio esterno realizzato al piano), bonifica piano interno sottostante (1° guscio esterno realizzato al piano); segue allestimento ai piani sottostanti (a meno di un piano cuscinetto), segue allestimento 1° guscio esterno ai piani e 2° guscio

Fase 4: l’intervento prosegue scendendo di piano in piano, fino a completamento della bonifica

Figura 3. Schematizzazione delle fasi di bonifica

alle singole aree di lavoro come illustrato nel diagramma di flusso di figura 5. Inoltre, Cosint ha stabilito durante i lavori una convenzione con ISPESL al fine di effettuare dei corsi di formazione specifici per i lavoratori, in particolare: • un corso di aggiornamento maestranze a cura ISPESL (iniziale e periodico); • un corso di aggiornamento per tecnico di laboratorio; • la predisposizione di uno specifico Sistema di Informazione Territoriale (SIT) da collegare la sito della Provincia di Ancona. Per sensibilizzare e tranquillizzare la cittadi-

nanza in merito alle procedure adottate in corso di esecuzione, verrà altresì allestito un box informativo e si provvederà alla distribuzione periodica di depliant sullo stato di avanzamento dei lavori.

Protezione prima di tutto Cosint ha impostato l’intervento di bonifica del Palazzo della Provincia di Ancona superando i requisiti minimi di legge e offrendo una maggiore garanzia di tutela della salute pubblica e dei lavoratori; questo atteggiamento si fonda sulla convinzione che attuare


Dall’ingresso in cantiere si potrà andare:

UFFICI

SPOGLIATOIO GENERALE dove si procederà alla vestizione con i seguenti DPI • tuta colorata (non bianca), • mascherina P3, • calzature antinfortunistiche, • elmetto, • guanti. Gli addetti al montaggio ponteggi indosseranno anche imbracature di sicurezza.

Accesso a tutte le AREE DI CANTIERE ad esclusione dei cantieri di bonifica

La mascherina P3 è data in dotazione e dovrà essere utilizzata: • in caso di emergenza, • per accesso ad aree di deposito (big-bags, carter e doghe), • per accesso alle aree controllate. UDP dove si procederà alla vestizione con i seguenti DPI: • tuta in tyvek con cuciture rivestite (colore bianco), • maschera pienofacciale elettroventilata con filtro P3 o equipollente, • stivali antinfortunistici con suola dielettrica, • guanti in polietilene a perdere con sovrastanti guanti antitaglio (nelle lavorazioni di smontaggio parti meccaniche) oppure guanti dielettrici (nella demolizione cavi elettrici).

una ridondanza del livello di protezione – sia dell’ambiente che dei lavoratori - consente di assorbire potenziali anomalie del processo che, se non contrastate efficacemente e nel minor tempo possibile, potrebbero causare un fermo lavori con pesanti ricadute sulla gestione della bonifica, ben più gravi dell’evento stesso. Per conseguire questo risultato Cosint ha investito su uno studio attento di tutte le problematiche dell’intervento e sulla cura dei dettagli esecutivi; contestualmente è stata attuata una formazione continua delle maestranze e si è provveduto all’informazione della popolazione, oltre alla verifica costante delle procedure di lavoro e dei monitoraggi di controllo, in grado di dare risposte in tempi minimi.

Accesso ai CANTIERI DI BONIFICA

Il cantiere in breve Committente: Provincia di Ancona Importo lavori: € 3.470.000,00 circa Impresa: COSINT S.c.r.l. Consegna lavori: settembre 2009 Durata lavori: 420 giorni Oggetto appalto: BONIFICA DA AMIANTO PRESSO IL PALAZZO DELLA PROVINCIA DI ANCONA Descrizione Intervento: L’edificio oggetto dell’intervento di bonifica, ha pianta rettangolare di circa 1000 mq, con sette piani fuori terra e un piano interrato. La struttura portante dal primo al settimo piano è realizzata in carpenteria metallica ed è stata completamente rivestita di amianto spruzzato, per renderla resistente al fuoco. L’intervento è stato impostato con sequenza di bonifica dall’alto verso il basso, così da evitare l’aumento del rischio di contaminazione dei piani già bonificati. Fasi operative: • Realizzazione di un guscio, esterno ai confinamenti statici-dinamici; • Suddivisione della bonifica di ciascun piano dell’edificio in due step: bonifica interna del piano, con mantenimento in essere delle pareti perimetrali, e successiva bonifica perimetrale di ciascun piano.

* CO.S.INT S.c.r.l

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CONTINUA CON LA DEMOLIZIONE LA STORIA DELLO STABILIMENTO STOPPANI Tra problematiche di sicurezza e salvaguardia ambientale si è concluso con successo l’intervento di demolizione del lato sud dello stabilimento di Cogoleto di Fabrizio Amadei* e Paolo Bongiorni **

L

a Luigi Stoppani S.p.a venne fondata all’inizio del secolo scorso dall’industriale milanese Luigi Stoppani, in seguito al rilevamento di un vecchio stabilimento industriale di Cogoleto, in provincia di Genova. L’azienda si occupava di nichelature e cromature, lavorazione di sali e composti di metalli pesanti, ed era entrata a far parte della multinazionale Stoppani Group, che conta filiali in Argentina, Brasile, Cina, Russia, Spagna, Uruguay e Stati Uniti.

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L’azienda è stata protagonista di diversi problemi ambientali: sostanze tossiche e rifiuti pericolosi non trattati hanno causato ingenti danni alle aree circostanti lo stabilimento, inquinando suolo, sottosuolo e sedimenti. Le indagini hanno fatto emergere che le acque di falda contenevano livelli di cromo esavalente superiori alle quantità limite previste dalla legge. Le conseguenze della contaminazione sono state estremamente gravi, e hanno colpito l’intera catena alimentare

dell’ecosistema, fauna marina compresa. L’area dello stabilimento è stata inserita nell’elenco dei siti da bonificare nel 2001, e lo stabilimento è stato dismesso l’anno successivo. Bicromato di sodio, acido cromico e Salcromo (solfato basico di cromo) sono stati prodotti ancora fino al febbraio 2003, mentre le operazioni di messa in sicurezza sono cominciate nel 2004. Nell’ambito di queste attività sono iniziate le opere di rimozione dell'amianto che prevedevano la suddivisione dello Stabili-


mento in 7 lotti, contraddistinti dalle lettere da A a G e dal lotto Forno a Piatto situato all’interno dell’edificio B. A seguito dell’interruzione dei lavori, avvenuta nell’agosto 2005, nel corso dei primi mesi del 2007 si sono svolte nello stabilimento attività di demolizione parziale su porzioni di impianti e strutture.

Da un punto di vista operativo, le problematiche legate alla demolizione dei suddetti reparti erano correlabili essenzialmente alla presenza del Cr- all’interno delle strutture murarie dei fabbricati sottoforma di incrostazioni più o meno compenetrate con il laterizio, la malta e il c.a. Le incrostazioni e gli accumuli localizzati erano talmente estesi e intimamente connessi con opere murarie ed impiantistica da rendere necessaria l’applicazione di specifiche procedure e l’utilizzo di attrezzature dedicate, in modo da poter gestire la demolizione, il condizionamento e lo smaltimento dei materiali di risulta senza generare rischi aggiuntivi legati alla trasmissione di agenti inquinanti all’esterno del cantiere e senza esporre a contaminazione il personale addetto ai lavori.

Le problematiche da risolvere erano essenzialmente due: in primo luogo la necessità di smaltire i materiali provenienti dalla demolizione presso un impianto adeguato e con modalità sicure e poi l’applicazione di modalità operative e protocolli finalizzati ad evitare la generazione di polvere o quanto meno a garantirne un efficace abbattimento durante tutte le fasi di lavoro. Nel primo caso è stato individuato un impianto dotato delle opportune caratteristiche che fosse in grado di accettare il materiale confezionato in big-bag. Il confezionamento in big-bag si è reso necessario a causa dell’elevata concentrazione di contaminante nelle macerie e, visti i quantitativi, si è optato per il trasporto via nave e via

IL LOTTO A2 OVVERO L A PARTE SUD DELLO STABILIMENTO

Uno degli interventi eseguiti negli ultimi mesi è quello che interessa la parte sud dello stabilimento, quella cioè prospiciente il litorale. Nell’ottobre del 2008 l’R.T.I. Riccoboni S.p.a. (Capogruppo), F.lli BARALDI S.p.a. e Grassano S.p.a. (Mandanti) è risultata aggiudicataria dell’appalto relativo alla “Demolizione, selezione, trasporto e smaltimento strutture area sud dell’ex stabilimento Stoppani”. I lavori, cominciati il 4 novembre 2008 sono terminati nel giugno del 2009 dopo febbrile attività in un contesto complesso sia in termini di sicurezza che di salvaguardia ambientale. La parte sud dello stabilimento Stoppani, era adibita ad attività sia produttive che logistiche; in detta area si trovavano i seguenti reparti: • edificio A adibito a deposito e definito “Magazzino Imballi”; • edificio B adibito ad attività produttiva mediante il “Forno a Piatto”; • edificio C utilizzato come Officina meccanica; • edificio D adibito a deposito e definito “Magazzino Vela”; • edificio E adibito ad attività produttiva e definito “nuove esperienze”.

I NUMERI DELL’INTERVENTO Totale ore lavorate

11.941

Totale ore di formazione di cantiere

180

Totale campionamenti ambientali effettuati

426

Totale campionamenti personali effettuati

202

Totale analisi mediche effettuate in attuazione del protocollo sanitario

223

Totale tute Tyvek Categoria III Tipo 4/5/6

980

Totale mascherine di protezione tipo 3M 9332 FFP3 con valvolina

765

Infortuni e giorni di infortunio per singolo evento

0 (zero)

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intermodale (treno-gomma) con partenza dal cantiere e diretto verso impianti esteri secondo le procedure autorizzative previste dal regolamento CE n. 1013/06. Viste le modalità di carico di alcune tipologie di rifiuti il trasferimento al porto di Savona degli oltre mille big-bag è avvenuto in meno di 48 ore per sfruttare appieno la finestra d’imbarco dedicata a questa tipologia di materiali. Il condizionamento dei rifiuti da avviare allo smaltimento è avvenuto in ambiente confinato mediante un sistema di triturazione e di insacco pneumatico asservito da sistemi di captazione e filtrazione delle polveri. Per fare fronte all’inevitabile emissione di polvere durante la fase di demolizione, sono stati predisposti dei sistemi attivi basati sul principio di creare una zona controllata con il fine di portare a terra le polveri generando nel contempo uno strato umido che impediva a queste ultime di risollevarsi durante il passaggio dei mezzi pesanti, evitando l’insorgere del fenomeno del ruscellamento, causa di lisciviazione dei detriti e della conseguente migrazione del contaminante. Si è reso quindi necessario innescare e massimizzare i fenomeni di Rainout e Washout creando gocce d’acqua di dimensioni opportune e trasferendole in prossimità della zona generatrice di polvere mediante la ventola intubata. Detti sistemi posizionati in modo opportuno in base a diversi parametri, tra cui direzione e velocità del vento, hanno permesso di operare senza la produzione di polvere o quanto meno evitando la trasmissione della stessa al esterno del cantiere.

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Durante tutte le operazioni di demolizione e nel trattamento dei materiali derivanti, l’ambiente circostante è stato costantemente monitorato con centraline di analisi dell’aria. E’ stata anche individuata la soglia di allarme per l'immediata interruzione di tutte le lavorazioni effettuate in quota che producevano polverosità: detta soglia fissata in 12 m/s (43 km/h) innescava le procedure di seguito elencate: • comunicazione tramite sms del superamento della soglia (dato medio dei rilevamenti degli ultimi 10 minuti) direttamente ai capi cantiere delle Imprese operanti; • verifica e monitoraggio sul rispetto della prescrizione a cura del Coordinatore della Sicurezza (CSE) e della Committente tramite consultazione in remoto dei dati rilevati; DESCRIZIONE

QUANTITA' (kg)

Salcromo

19.920

Accoppiamenti flangiati

2.160

Detriti

4.839.550

Plastica

3.180

Vetroresina

360

Poliuretano

11.740

Legno

51.300

Vetro

140

Trasformatori

5.140

Acque di decontaminazione

2.570

DPI esausti

90

Quantità e tipologie di rifiuti smaltiti


• ripresa delle lavorazioni solo dopo 20 min dal nuovo invio di sms che comunicava la fine del superamento della soglia di allarme. Anche per le strutture metalliche si è provveduto alla decontaminazione mediante trattamento delle stesse con soluzione riducente in modo da trasformare il cromo esavalente in cromo trivalente. Il personale addetto ai lavori e di conseguenza esposto al rischio di contaminazione, è stato sottoposto a un rigido protocollo sanitario comprendente tra l’altro accertamenti settimanali sulle urine (cromurie), riportati nella letteratura medica come significativi indicatori dei livelli di esposizione personale agli agenti inquinanti. I risultati degli accertamenti, in forma anonima ed aggregata per valore, venivano trasmessi settimanalmente all’Autorità competente ed alla Committente. I DPI utilizzati erano tutti quelli appartenenti alla terza categoria e l’accesso e l’uscita dall’area di cantiere avvenivano tramite

la cabina di decontaminazione a tre stadi. Tutto il sistema di regimazione delle acque meteoriche era organizzato in modo da convogliare le acque di lisciviazione verso l’impianto di trattamento presente nella parte nord dello stabilimento. A demolizione terminata e una volta concluse

le operazioni di carico e trasporto a smaltimento dei materiali, tutta l’area è stata impermeabilizzata mediante un telo in HDPE sovrastato da un manto bituminoso. *F.lli Baraldi S.p.a. ** Riccoboni S.p.a.


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LA GRANDE RIQUALIFICAZIONE DELLE FABBRICHE EX STAYER Sono state da poco completate le operazioni di bonifica e demolizione dei vecchi stabilimenti della fabbrica ferrarese per lasciare spazio ad un nuovo centro produttivo di Andrea Terziano

A

Ferrara è in atto un importante progetto di riqualificazione urbana di un’area situata in via Bologna, in prossimità del quartiere fieristico. Dalle ceneri dell’ex Stayer, la grande azienda produttrice di utensili elettrici chiusa nel 2004, sorgeranno un nuovo centro di bricolage e un direzionale con uffici e negozi. Il progetto – realizzato dall’ingegner Franco Mantero per conto dell’impresa M.F. dei Fratelli Matteucci – ha previsto un’estesa opera di demolizione dei capannoni della vecchia fabbrica, che complessivamente occupavano circa 18.000 mq su un’area complessiva di

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oltre 25.000, per lasciare spazio a nuovi insediamenti produttivi. L’operazione è stata divisa in tre lotti. Nel primo – il più importante – di 16.000 mq, verso via Bologna, sorgerà un grande punto vendita della Bricoman (una società francese specializzata in bricolage), che occuperà un’area di 5.000 mq, e sarà affiancato da una zona parcheggio da 300 posti auto. Diviso dal primo per mezzo di una strada parallela a via Bologna, nel secondo lotto, su una superficie di circa 4000 mq, sorgerà un fabbricato di tre piani, pronto ad ospitare uffici e al piano terra negozi. Nel terzo lotto infine sarà effettuato

soltanto un intervento di manutenzione di un edificio già esistente ed utilizzato dalla Stayer, per adeguarlo a scopi abitativi. Le operazioni di bonifica e di demolizione sono state affidate ad un’impresa che ha sede proprio a Ferrara: Ecoinerti s.r.l., un’importante realtà imprenditoriale specializzata in scavi selettivi, recupero, trattamento e lavorazione di inerti riciclabili, demolizioni speciali e bonifiche ambientali. I lavori di demolizione sono terminati il mese scorso e hanno impegnato gli operatori di Ecoinerti per circa quattro mesi: un arco di tempo che si è reso necessario poiché, in ag-


giunta alle ordinarie attività di strip out e demolizione, si è proceduto alla bonifica di oltre 9.200 mq di amianto in lastre. Il Geom. Matteo Pancaldi, responsabile del cantiere e figlio del titolare dell’impresa ferrarese, ci ha illustrato le fasi principali del cantiere iniziate con la rimozione preventiva di tutti i rifiuti presenti all’interno dei fabbricati: neon, canalette per impianti elettrici, guaine di cavi elettrici spelati abusivamente, lastre di policarbonato, controsoffitti e pareti in cartongesso, apparecchi elettronici e mobilio per uffici, pavimenti in linoleum privo di amianto e porte in legno. Queste operazioni di svuotamento (o strip out) consentono di asportare preliminarmente tutti i rifiuti non pericolosi o riciclabili presenti all’interno delle strutture, in modo da rendere più agevoli le successive operazioni. Le attività sono proseguite con la bonifica di tutte le lastre di copertura in cemento amianto dei capannoni e delle lane minerali, utilizzate come coibentazioni delle coperture. Tutti i materiali, rimossi secondo le procedure presentate nel piano di lavoro approvato dagli enti competenti, sono stati conferiti negli appositi centri di smaltimento autorizzati. Al termine delle operazioni di bonifica, eliminate tutte le passività ambientali presenti nelle strutture, sono stati trasportati in cantiere due escavatori cingolati Hitachi Zaxis 28 e Fiat-Hitachi ex 285, per fare piazza pulita su tutta l’area. Le strutture della vecchia fabbrica comprendevano capannoni in elementi prefabbricati, capannoni in latero cemento con pilastri e travi fatte in opera, piccole strutture in carpenteria metallica adibite allo stoccaggio dei materiali e infine le palazzine che ospitavano gli uffici, con struttura portante composta da pilastri fatti in opera e solai in latero cemento, con tamponamenti in mattoni forati. Tutte le strutture avevano un’altezza modesta, inferiore a 12 m, pertanto la demolizione è stata realizzata completamente con i due escavatori portati in cantiere e attrezzati con pinze e frantumatori. Si è operato in sequenza, iniziando dalla messa a terra del capannone costruito con elementi prefabbricati e proseguendo con quello costituito da solai in latero cemento, grosse travi e pilastri fatti in opera.

In seguito sono state abbattute le strutture inferiori in ferro e latero cemento, mentre l’ultima fase riguardante le demolizioni fuori terra ha visto l’abbattimento delle palazzine che erano sede degli uffici. Le macerie, deferrizzate in cantiere e ridotte di volume, sono state trasportate nel centro autorizzato di riciclaggio di proprietà di Ecoinerti. Le demolizioni si sono concluse con la rimozione dei pavimenti in cls, dei plinti e delle travi di fondazione, anch’essi destinati al centro di riciclaggio. L’area è stata restituita nei tempi previsti all’impresa committente, che nel mese di marzo inizierà i lavori di costruzione per offrire alla città di Ferrara un nuovo polo di riarredo urbano e ai suoi cittadini un’opportunità significativa di occupazione e sviluppo.

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INTERVENTO DI DEMOLIZIONE DEL TETTO GALLEGGIANTE DI UN SERBATOIO DA 130.000 MC Accorgimenti tecnici e sinergie tra le operazioni di bonifica e demolizione hanno consentito di completare un importante intervento garantendo elevati standard di sicurezza e di tutela ambientale di Ivan Poroli*

N

ell’estate del 2009 la società Montalbetti S.p.a. è stata chiamata ad affrontare un’importante sfida rappresentata da un lavoro di demolizione e bonifica in condizioni particolarmente critiche. Una tra le più importanti raffinerie italiane aveva richiesto il servizio di bonifica e demolizione del tetto galleggiante di un serbatoio di grosse dimensioni: un’operazione che sulla carta poteva sembrare banale, ma una volta visionato il cantiere sono apparse subito ben chiare le difficoltà da affrontare. Si trattava di un serbatoio del tipo a tetto galleggiante della capacità complessiva di 130.000 mc, una struttura metallica di dimensioni imponenti, circa 93 m di diametro per 22 m di altezza. Il tetto galleggiante era realizzato in carpenteria metallica e composto da cassoni dell’altezza di circa 80-100 cm, a tenuta stagna disposti a raggiera. I cassoni con la loro tenuta hanno il compito di far galleggiare il tetto sul prodotto seguendo l’andamento del livello in funzione del riempimento del serbatoio stesso. Svuotando il serbatoio il tetto si abbassa al suo interno fino ad appoggiare su una serie di sostegni simili a puntelli (chiamati puntoni) che lo mantengono ad un'altezza di circa 2 m dal fondo per permettere le operazioni di manutenzione e di pulizia.

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Il serbatoio in esame era originariamente destinato a contenere petrolio grezzo, ma nel corso della sua vita operativa, è stato “declassato” ed adibito a contenere slop e residui di sentina. Durante il sopralluogo in cantiere abbiamo potuto immediatamente constatare che a

causa dell’elevato potere corrosivo del materiale contenuto (soprattutto il petrolio grezzo ricco di zolfo), molti cassoni avevano perso la loro caratteristica di tenuta stagna ed avevano “imbarcato” prodotto. Nella fase di svuotamento del serbatoio, il tetto galleggiante,


gravato dal peso del prodotto contenuto nei cassoni, aveva subito uno sbilanciamento e, una volta raggiunta la quota di appoggio sui puntoni, a causa del peso eccessivo, si era verificato un cedimento dei puntoni stessi che sfondando il tetto dal basso verso l’alto lo hanno fatto adagiare praticamente a diretto contatto con il fondo. La situazione che si presentava era quella di una struttura le cui condizioni statiche non potevano permettere l’accessibilità in quanto il tetto galleggiante era stato classificato pericolante a causa del precario stato delle lamiere e degli appoggi. In quelle condizioni non era possibile attuare nessun intervento di bonifica se non tramite la demolizione del tetto galleggiante. La demolizione del tetto si rendeva necessaria per poter accedere sia ai cassoni contaminati dal prodotto, sia all’intercapedine di pochi centimetri compresa tra fondo e tetto galleggiante, per rimuovere il prodotto residuo e ripulire fondo e pareti. Il prodotto contenuto nel serbatoio era costituito da una frazione sufficientemente liquida da poter essere pompata e da una frazione semisolida di difficile gestione. Le lamiere imbrattate dal prodotto dovevano essere poi accuratamente lavate con acqua ad alta pressione per poter garantire l’eliminazione dei residui di contaminazione. L’intervento era quindi da effettuarsi in stretta collaborazione con una società specializzata nelle bonifiche, mettendo a disposizione at-

trezzature all’avanguardia e creando i giusti automatismi e le sinergie necessarie al raggiungimento dell’obiettivo, garantendo inoltrecondizioni di sicurezza e ambientali al massimo livello. Nella fase di progettazione dell’intervento si sono analizzate le principali criticità che si possono così riassumere: • gestione del prodotto da rimuovere in termini quantitativi e qualitativi; • mitigazione degli effetti sull’ambiente esterno (abbattimento delle emissioni odorose); • difficile ambiente operativo per il personale; • gestione del rischio di formazione di atmosfere esplosive; • riduzione dei tempi di intervento; • gestione dei rischi di sovrapposizione delle lavorazioni. In stretta collaborazione con la società di bonifiche abbiamo messo a punto una serie di procedure e di apprestamenti tecnico-operativi necessari alla gestione delle criticità emerse in fase progettuale. La scelta della tecnica di demolizione è caduta su quella di tipo meccanico, eseguita con escavatore speciale allestito con cesoia oleodinamica: tale tecnica è stata giudicata come il miglior compromesso tra velocità di intervento e garanzia di sicurezza per gli operatori (con l’aggiunta di specifiche misure di prevenzione e protezione). Prima di procedere alle attività di demolizione,

la società incaricata delle bonifiche ha provveduto a realizzare, sulla sommità del serbatoio, una struttura pensile costituita da tubi flessibili e ugelli nebulizzatori, con il compito di disperdere sostanze anti-odoranti per limitare le emissioni olfattive generate dalla movimentazione del prodotto. Nella seconda fase, attraverso le valvole di fondo e dai boccaporti accessibili, si è proceduto ad un primo drenaggio dell’acqua presente all’interno del serbatoio, il cui accumulo si era generato a causa delle consistenti precipitazioni meteoriche verificatesi nel periodo di esecuzione dei lavori. In seconda battuta si è anche proceduto all’estrazione della frazione più liquida e quindi facilmente pompabile del prodotto installando un sistema di pompe e filtri in diversi punti accessibili del serbatoio. Per potere garantire l’accessibilità all’interno del serbatoio dei mezzi da demolizione (escavatore allestito con cesoia oleodinamica) e per l’evacuazione dei rottami metallici, si è dovuta realizzare una apertura di dimensioni 4 x 4 m mediante taglio a freddo. L’apertura è stata collocata alla quota di circa 40 cm dal fondo per garantire un adeguato “battente” al prodotto che altrimenti sarebbe fuoriuscito dal serbatoio. L’accessibilità per l’escavatore è stata successivamente migliorata con la realizzazione di una rampa in materiale inerte opportunamente dimensionata e rinforzata. L’uso della tecnica del taglio ad acqua si è rivelata fondamentale in quanto, soprattutto in questa fase del lavoro, risultava opportuno annullare qualsiasi fonte di innesco, dal momento che i dati sulle condizioni di esplosività all’interno del serbatoio non erano facilmente rilevabili a causa dell'impossibilità di accesso in sicurezza al tetto galleggiante. Una volta creata l’adeguata apertura si sono potuti accertare in maniera precisa i dati sulle condizioni di esplosività presenti sia all’interno dei primi cassoni, sia nella piccola intercapedine tra tetto galleggiante e fondo. I dati forniti dagli strumenti di misura si sono rivelati incoraggianti: l’evaporazione delle frazioni più leggere del prodotto nel corso degli anni, il successivo impiego del serbatoio per l’accumulo di prodotti pesanti e il contributo delle precipitazioni meteoriche hanno quasi

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annullato del tutto la presenza di vapori sulla superficie del prodotto alla temperatura di esercizio del serbatoio (temperatura ambiente). Per controllare comunque il rischio di innesco e per monitorare la situazione si è optato per adottare i seguenti sistemi di protezione: • sui cingoli dell’escavatore sono stati montati dei sovra-pattini in gomma per ridurre la possibilità di attrito da sfregamento sulla lamiera del fondo del serbatoio e il conseguente aumento della temperatura o la formazione di scintille; • in prossimità dell’utensile (cesoia oleodinamica) è stato montato un “naso” tarato in maniera specifica per i vapori derivanti dal prodotto contenuto nel serbatoio il quale, oltre a rilevare in continuo la percentuale di vapore di prodotto nell’aria, nel caso di raggiungimento di concentrazioni vicine alla soglia di esplosività, inviava un segnale acustico e luminoso con immediato spegnimento dell’escavatore e scollegamento fisico della batteria; • un display alfanumerico collocato all’interno della cabina dell’escavatore e collegato al “naso” provvedeva a fornire all’operatore continue informazioni circa la percentuale di gas presente in prossimità dell’area di lavoro dell’utensile; • un ulteriore presidio installato per scon-

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giurare atmosfere esplosive e possibilità di incendio, era costituito da lance opportunamente collocate in prossimità dell’area di lavoro per irrorare continuamente di acqua la zona operativa dell’utensile dell’escavatore; • inoltre per condizioni di emergenza estrema era stato predisposto un sistema di dispersione dello schiumogeno sul tetto del serbatoio. I lavori di demolizione del tetto galleggiante sono iniziati in data 01/10/09 con l’eliminazione dei primi cassoni in prossimità dell’apertura del mantello. Con continuità ed in stretta collaborazione con la società di bonifiche si è proceduto all’asportazione della parte semisolida del prodotto, alla demolizione del tetto e al lavaggio dei rottami metallici con lance ad alta pressione. Durante tutto lo svolgimento dei lavori, grazie all’abilità degli operatori, si è potuto procedere con costanza e regolarità alla demolizione garantendo tra l’altro una pezzatura del materiale demolito adatta al successivo processo di lavaggio effettuato, al di fuori del serbatoio, in un'apposita vasca opportunamente allestita. Per poter garantire continuità alle varie lavorazioni è stato necessario coordinare in maniera precisa e sinergica tutte le attività, compresa quella di bonifica e lavaggio dei rottami deri-

vanti dalla demolizione. Per questo si è reso opportuno stabilire sia il livello dimensionale che la conformazione dei rottami metallici, per permettere un’agevole movimentazione e l’accessibilità a tutte le superfici su cui effettuare il lavaggio ad alta pressione. La presenza della frazione pesante e non pompabile se non con un pre-trattamento del materiale ha reso difficoltosi gli spostamenti dell’escavatore all’interno del serbatoio, in quanto in alcuni punti il materiale raggiungeva il metro di altezza coprendo i cingoli. Solo con l’azione congiunta di demolizione e di spostamento del materiale con mini pale gommate si è potuto procedere con continuità sul fronte di demolizione rendendo accessibili le porzioni di tetto galleggiante da demolire. Nell’arco di 45 giorni solari si è completamente conclusa la fase di demolizione meccanica, mentre la fase di bonifica e lavaggio dei rottami metallici è proseguita per ulteriori 20 giorni. La rapidità di esecuzione, il basso impatto ambientale e gli adeguati livelli di sicurezza mantenuti durante tutto lo svolgimento dei lavori hanno dimostrato la validità del progetto e l’elevato livello tecnico e professionale degli operatori che hanno partecipato all’intervento. * Montalbetti S.p.a.


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INQUINAMENTO DA IDROCARBURI IN ALTA MONTAGNA Tecnologie di bonifica applicate a terreni e acque contaminate in seguito ad un evento accidentale di Carlo Alberto Saccenti*

N

el mese di settembre 2009 si è verificato un sinistro stradale che ha causato un evento potenzialmente in grado di contaminare le matrici ambientali. Un autoarticolato che trasportava idrocarburi misti (gasolio e benzina) si è rovesciato su una strada statale di alta montagna, provocando la fuoriuscita di ca 18.000 l di prodotto. Il liquido ha impattato dapprima la scarpata a monte della strada e poco dopo, per effetto della

gravità, anche la pavimentazione stradale, la canaletta di scarico acque meteoriche sottostrada, la cunetta stradale di raccolta acque meteoriche, i canali di scolo a cielo aperto delle acque reflue della strada, il sottostante torrente montano, fino a impattare le acque del vicino lago. E’ fondamentale sottolineare che è stato possibile contenere il danno ambientale grazie a due fattori di sostanziale importanza: la pre-

senza del sottostante bacino idrico contenuto da diga e la tempestività con cui il trasportatore ha attivato la ditta di pronto intervento ambientale, coordinata dalla Direzione Lavori, che è giunta sul luogo due ore dopo l’accaduto. Come è facile immaginare, la situazione che si è presentata davanti agli occhi dei tecnici intervenuti per attuare la messa in sicurezza d’emergenza, era preoccupante; oltre alle normali operazioni di travaso della merce e ripristino del transito veicolare, si poneva il problema di come raggiungere le sponde del lago con mezzi meccanici. Si è pertanto deciso, con il benestare del Sindaco, di realizzare una pista che permettesse il passaggio dei mezzi di aspirazione. Una volta raggiunte le sponde del lago, gli operatori si sono accorti che l’acqua appariva di colore giallo, fatto ricollegabile alla notevole presenza in galleggiamento del gasolio riversato. Dapprima si è provato ad effettuare un’aspirazione superficiale mediante botti a depressione, un metodo considerato però poco efficace già in partenza, a causa delle dimensioni del lago. Nel frattempo, si è cercato di contenere la notevole presenza di materiale ligneo in galleggiamento mediante l’installazione di barriere di contenimento di grandi dimensioni (diam. 40 cm). Dopo circa quattro ore di aspirazione, la Direzione Lavori ha proposto agli Enti di controllo presenti sul luogo di adottare una tecnica di aspirazione applicata in ambito tipicamente marino e pressoché inutilizzata in monta-

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gna: skimmer galleggiante rotativo a lavoro in continuo. Per poter utilizzare questa attrezzatura specialistica, ci si è rivolti alla Crismani Group di Trieste, ditta specializzata nel recupero in mare dei contaminanti, la quale ha prontamente messo a disposizione il macchinario richiesto. Lo skimmer in questione è dotato di due rulli rotanti idraulicamente, mantenuti al livello della linea di galleggiamento da appositi elementi plastici; i rulli effettuano una scrematura in continuo del surnatante, raccogliendolo tramite la superficie porosa di cui sono ricoperti e, successivamente, sgrondandolo per mezzo di un pettine sarchiante all’interno un piccolo serbatoio di accumulo, in cui è in atto – sempre in continuo – l’aspirazione da riva mediante botti a depressione. Tale metodologia permette di raccogliere in maniera selettiva la sola porzione surnatante, più viscosa rispetto all’acqua; inoltre, poiché gli skimmer sono stati progettati per la raccolta di prodotti in galleggiamento con viscosità notevoli (oli pesanti, petrolio, ecc.), i tecnici Crismani hanno provveduto ad installare sui rulli apposite spazzole di raccolta a maglia lunga, in modo tale da permettere una più agevole asportazione del gasolio. Tale tecnica adottata come test si è rivelata di essenziale importanza poiché il sistema è assolutamente automatico e di conseguenza “instancabile” e ha consentito così di mettere in sicurezza le acque del lago in soli tre giorni. Inoltre, si sottolinea che il prodotto aspirato dal sistema skimmer e stoccato in cisterna si è rivelato essere all’85% composto da prodotto puro, su una massa complessiva di 14.000 litri. Ciò ha permesso di ridurre al minimo i dispendiosi smaltimenti di acque solo

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minimamente contaminate, riducendo di conseguenza anche i relativi oneri economici. Risolto il problema della contaminazione delle acque del lago, si è dovuta valutare l’ipotesi di contenimento del liquido infiltratosi all’interno del rilevato stradale, per scongiurare il continuo rilascio nel vicino torrente a livello del greto. Il terrapieno che forma il rilevato (35 x 20 x 24 m) è composto da detriti che, provenienti dalle opere in galleria (smarino), poggiano sulla parete semiverticale del pendio roccioso. Per superare le difficoltà legate all’ubicazione del sito, non essendo possibile utilizzare le normali tecniche di contenimento dei liquidi infiltratisi nei terreni, la Direzione Lavori, supportata dall’esperienza geotecnica del geologo dell’impresa di pronto intervento

e in accordo con gli Enti di controllo, ha maturato la decisione di effettuare un drenaggio dell’intero rilevato, trattando successivamente le acque raccolte. Tale metodologia, che si basa sulla sola spinta gravitazionale, permette di raccogliere, alla base del rilevato, tutti i liquidi che lo attraversano, evitando in tal modo che possano andare ad impattare il corpo idrico superficiale; i liquidi, una volta captati con un sistema drenante, vengono fatti confluire, mediante apposita tubazione in PEAD, verso un gruppo di disoleazione con filtraggio su letto di carboni attivi, posto a quota altimetrica inferiore, per essere poi scaricati all’interno dello stesso corpo idrico superficiale. Questa tecnica è stata utilizzata durante i lavori di messa in


sicurezza d’emergenza, permettendo così di eseguire il trattamento delle acque senza le necessarie attese richieste dalla normativa durante la fase di bonifica di un sito. Una volta concordata con le Autorità preposte l’esecuzione dell’intervento, le operazioni hanno avuto il seguente decorso: • realizzazione di guado intubato del torrente; • realizzazione pista su argine per posizionamento sonda perforatrice; • allestimento area di cantiere per posa tubazioni drenanti; • predisposizione base di appoggio impermeabilizzata per la sonda per recupero detriti; • esecuzione alla base della scarpata di n. 44 perforazioni suborizzontali con pendenza del 10% e lunghezza 15 m; • raccolta e successivo smaltimento dei detriti provenienti dalle perforazioni; • immediato inserimento di tubazione drenante rivestita già dotata di valvola a sfera; • sigillatura teste dreni con materiale collante a presa immediata; • installazione impianto disoleante posizionato su vasca di contenimento in acciaio; • installazione gruppo di filtraggio; • posizionamento tubazioni di collegamento dreno – impianto; • opere di collegamento idrico dei singoli dreni alla linea principale; • esecuzione di protezione in pietra del collettore; • rimozione guado e ripristino del corso idrico superficiale; • apertura valvole sui singoli dreni. I dreni sono costituiti da tubazioni in PE fessurate nel solo arco superiore e ricoperte di tessuto non tessuto; per far sì che la fessurazione nascosta dal tessuto venisse posizionata nella sola parte superiore durante l’avvitamento delle singole barre da 3 m, il produttore delle tubazioni – create ad hoc per l’intervento – ha posizionato i filetti di serraggio in modo tale che l’avvitatura avvenisse come richiesto. I 44 dreni, aventi diametro di 2”, sono stati posizionati con un interasse di 1,20 m, a profondità di 15 m dal profilo della scarpata. Avvicinandosi la stagione invernale, le possibilità che le tubazioni fuori terra si otturassero a causa del gelo erano piuttosto alte; pertanto si è deciso in un secondo tempo di effettuare la totale coibentazione di tutte le linee a rischio gelo, disoleatore e gruppo filtrante compresi. Detto impianto di messa in sicurezza d’emergenza del rilevato è stato installato a 35 giorni dall’evento accidentale e funziona per la sola gravità, senza utilizzo di alcun sistema di pompaggio, garantendo così l’impatto zero. A distanza di circa tre mesi dall’incidente, terminati i lavori di messa in sicurezza grazie alla sinergia tra Direzione Lavori, progettisti ed imprese intervenute, agevolati anche dalla disponibilità mostrata dal sindaco e dagli Enti locali, è stato possibile giungere all’approvazione del Piano di Caratterizzazione del sito e allo svincolo di alcune delle aree impattate (tra cui il lago) mediante autocertificazione. * Direttore Lavori - SIA sas

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L’ANALISI DEL CICLO DI VITA PER DETERMINARE L’IMPATTO AMBIENTALE analisi e confronto dei risultati relativi a sei casi studio sul territorio italiano riguardanti le modalità di smaltimento in discarica, impianto di compostaggio e termovalorizzatore di M. Gallo*, A. Del Borghi*, C. Strazza* e C. Cattaneo**

L

’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment, LCA) rappresenta uno strumento di gestione ambientale volto ad identificare in maniera quantitativa gli impatti ambientali di un prodotto, processo o attività lungo il suo arco di vita. In particolare la LCA può essere applicata all’erogazione di servizi, come la gestione dei rifiuti, in qualità di supporto decisionale in processi di progettazione, ottimizzazione ed individuazione di tecnologie pulite, e per definire strategie sostenibili nell’applicazione di sistemi integrati. Esperienze pregresse di LCA nel settore rifiuti risalgono già agli anni 90, quando le analisi vennero impiegate per comparare opzioni tecnologiche differenti (termovalorizzazione/discarica, discarica/riciclaggio, ecc.) e per valutare quantitativamente scenari di smaltimento. La metodologia LCA nel settore dello smaltimento rifiuti non è tuttavia di applicazione immediata poiché, per ottenere risultati oggettivi e comparabili, necessita di specifiche scelte

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metodologiche, riguardanti i confini di sistema, l’allocazione di flussi di energia e materia, ecc. La finalità dello studio descritto di seguito è quella di presentare i risultati della valutazione, tramite metodologia LCA, dei potenziali impatti ambientali associati al trattamento di rifiuti solidi urbani in discarica, in un impianto di compostaggio e in uno di recupero energetico, sulla base di regole di calcolo comuni, armonizzate ed approvate a livello internazionale. I dati specifici relativi ai sei impianti sono stati raccolti durante una campagna di otto anni, dal 2000 al 2007. Gli impianti esaminati costituiscono le principali discariche della Liguria (circa il 70% del totale dei rifiuti urbani prodotti nella Regione) e gli impianti del sistema di gestione integrata dei rifiuti della Versilia (circa il 60% del totale dei rifiuti urbani della provincia di Lucca). Nel presente lavoro, la comparabilità dei risultati dei sei studi LCA è garantita dall’applicazione di regole di calcolo comuni ed armonizzate a livello internazionale (Product Category Rules - PCR) all’interno del sistema EPD®.

A questo scopo gli studi LCA condotti per i 6 casi studio sono stati realizzati in accordo agli standard ISO 14040 (ISO, 2006a) ed alle regole specifiche definite nel sistema di etichettatura ecologica di tipo III, ISO 14025 (ISO, 2006b), quale il sistema internazionale EPD® (Dichiarazione Ambientale di Prodotto, GPI 2008).

Il sistema internazionale EPD ® Una Dichiarazione Ambientale di Prodotto (EPD) costituisce un’informazione ambientale quantitativa delle performance di un prodotto o servizio, basata sull’approccio LCA. Le EPD, realizzate nell’ambito del sistema internazionale (GPI, 2008), garantiscono la comparabilità dei risultati grazie alla presenza di regole di calcolo comuni ed armonizzate, dette Product Category Rules (PCR). Nell’ottica di comparare diversi sistemi di smaltimento rifiuti, sono stati pertanto utilizzati i PCR 2008:2 “Solid Waste Disposal Services”, registrati nel sistema internazionale (www.environdec.com).


In accordo ai PCR, l’unità funzionale, alla quale sono rapportati i risultati ottenuti, è costituita dal trattamento di 1 t di RSU, mentre i confini del sistema analizzato per i 6 casi studio includono le fasi di: raccolta e trasporto rifiuti all’impianto/discarica; trattamento (copertura, fermentazione, compattazione, ecc.); gestione del percolato e del biogas; selezione della frazione secco/umido; produzione di biostabilizzato e CDR (Combustibile Derivato da Rifiuti); produzione energia da rifiuto; trasporto e trattamento delle emissioni residue (percolato, biogas, polveri); costruzione dell’impianto/discarica. Nei confini di sistema è stata inclusa anche la generazione di 1kWh, quale unità funzionale, per gli impianti di produzione di energia elettrica.

Descrizione dei Casi Studio Ai fini dello studio sono stati considerati i seguenti 6 impianti: • Caso I. Discarica di Val Bosca situata a circa 1,5 km ad est di La Spezia, caratterizzata da circa 400.000 t di rifiuto disposte tra il 1998 e il 2002. I rifiuti sono sottoposti ad un pretrattamento aerobico di biostabilizzazione, il percolato è trattato in un impianto di ultrafiltrazione ad osmosi inversa, il biogas è inviato al recupero energetico. • Caso II. Discarica di Collette Ozotto situata a Bussana di Sanremo, con circa 1.300.000 t di rifiuto conferite tra il 1975 e il 2005. La frazione organica è biostabilizzata in biocelle (compostaggio aerobico), la frazione secca è disposta nella discarica, il percolato è inviato all’impianto di depurazione e il biogas al recupero energetico. • Caso III. Discarica del Boscaccio a Savona, con circa 900.000 t di rifiuto conferite tra il 1992 e il 2005. Non vi sono pretrattamenti del rifiuto, il percolato è riciclato sul corpo di discarica e l’eccesso viene mandato in fognatura, mentre il biogas è inviato al recupero energetico. • Caso IV. Discarica di Scarpino situata a Genova e costruita nel 1968, dove la parte originaria risulta chiusa dal 1995 ed è soggetta riqualificazione ambientale dal 1990. Nella parte ancora attiva sono stati

Categoria

Unità

Caso I

Caso II

Caso III

Caso IV

Caso V

Caso VI

GWP 100

kg CO2

485,76

382,39

971,62

1.102,31

111,13

156,84

AP

kmol H

121,82

71,85

60,96

41,22

0,03

0,09

POCP

kg C2H4

0,52

0,10

0,18

0,34

0,14

0,20

EP

kg O

17,82

ODP

kg CFC11

d'impatto

+

2

10,21

7,86•10

-6

4,52•10

10,33 -8

3,90•10

87,98 -8

5,43•10

2,81 -8

1,46•10

8,35 -4

3,27•10-7

Tabella 1. Risultati relativi ai potenziali impatti ambientali

conferite più di 4.000.000 t di rifiuto tra il 1995 e il 2005. Non ci sono pretrattamenti e il biogas è inviato al recupero energetico. Al tempo dello studio l’adduzione del percolato all’impianto di trattamento risultava in costruzione. • Caso V. Impianto di selezione e compostaggio di Massarosa, in Provincia di Lucca, progettato ad integrazione del termovalorizzatore di Falascaia. L’impianto, operante su due linee, può ricevere 140.000 t di rifiuto l’anno. La selezione genera una frazione secca per produrre CDR, una frazione umida da inviare a trattamento biologico e residui da conferire in discarica. • Caso VI. Il termovalorizzatore, situato a Falascaia in Provincia di Lucca, usa il CDR dell’impianto di Massarosa per produrre energia elettrica con una capacità massima di 5,7 MW. La tecnologia di combustione è a letto fluido, operante su due linee. La similare composizione merceologica del rifiuto (data dall’omogeneità geografica dell’area), l’ampiezza spaziale di indagine (distribuita lungo le coste della Liguria e della Toscana) e le differenti tecnologie di gestione degli impianti, permettono di considerare i sei casi studio come altamente rappresentativi per una comparazione basata sulla metodologia LCA.

INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI II risultati della LCA sono espressi come potenziali impatti ambientali e come consumo di risorse. I primi sono suddivisi nelle seguenti categorie: riscaldamento globale (Global Warming Potential, GWP100), acidificazione (Acidification Potential, AP), assottigliamen-

to dello strato di ozono stratosferico (Ozone Depletion Potential, ODP), formazione di ossidanti fotochimici (Photochemical Ozone Creation Potential, POCP) ed eutrofizzazione (Eutrophication Potential, EP); mentre il consumo di risorse si può suddividere in produzione di rifiuti, consumo d’acqua, uso di risorse (Non Rinnovabili con e senza contenuto d’energia, Rinnovabili con e senza contenuto d’energia).

Emissioni Inquinanti I risultati relativi allo smaltimento di 1 t di rifiuto sono riassunti in Tabella 1. Riguardo l’acidificazione AP, l’impatto risulta similare in tutte le discariche. Solo il Caso III evidenzia differenze dovute al riciclaggio del percolato sul corpo di discarica ed all’alta produzione di biogas. Il contributo alla categoria POCP è dato dalle emissioni di idrocarburi originate dalle macchine compattatrici e dal trasporto del percolato agli impianti di trattamento, oltre che dalla produzione stessa del diesel. L’eutrofizzazione EP è significativa solo nel caso delle discariche, con un impatto dovuto alla produzione di percolato comparabile nei Casi I, II e III, nonostante l’avviamento a diversi tipi di trattamento: ultrafiltrazione ad osmosi inversa, impianto di depurazione acque e riciclaggio sul corpo di discarica. L’assenza di trattamenti sul percolato nel Caso IV genera alti valori di eutrofizzazione. Riguar do al contributo alla distruzione della fascia d’ozono ODP, questo è causato dalle emissioni di CFC, derivanti dalla produzione di HDPE per la copertura di discarica e dalla produzione di LDPE, quale reagente nel trattamento del percolato (Caso I). Di particolare interesse è l’analisi dei contributi al potenziale di riscaldamento globale (GWP100 - kg CO2 eq/t MSW), per i sei casi studio considerati.

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pro getti e tecn o lo gie

Nel calcolo del GWP100 è stato incluso il contributo della CO2 di origine biologica. La produzione del biogas è stata calcolata per 30 anni a partire dalla chiusura della discarica, in funzione della composizione del rifiuto e dell’efficienza di captazione del biogas. I Casi I e II evidenziano un contributo dovuto ai pretrattamenti sul rifiuto, che originano un’emissione di CO2 fossile dovuta al consumo di diesel da parte dei macchinari di compattazione. In particolare alti valori di GWP100 sono riscontrati nel Caso III per l’alto contenuto organico del rifiuto, mentre nel Caso IV sono causati dall’apporto biologico del periodo 1968 – 1997, relativo alla parte originaria della discarica, ad oggi chiusa. Il Caso V, l’impianto di compostaggio, rivela il valore minore di GWP100, dovuto alla sola CO2 emessa durante la fermentazione organica del rifiuto. Il Caso VI, il termovalorizzatore, presenta un valore pari a 156 kg CO2eq, ma se si considerano gli impatti evitati dovuti alla generazione di energia elettrica da CDR, sulla base del mix energetico italiano, questo valore decresce fino a 5 kg CO2eq.

Consumo di risorse La Tabella 2 mostra il consumo di risorse rinnovabili e non rinnovabili, di elettricità, di acqua e la produzione di rifiuti che hanno origine dal trattamento di 1 t di rifiuto nei sei impianti considerati. Il consumo netto di energia elettrica rappresenta la quantità di elettricità (diretta) consumata negli impianti. Tale quantità è proporzionale al consumo di risorse con contenuto energetico evidenziato per i 6 casi studio. I risultati relativi al consumo di risorse non rinnovabili senza contenuto d’energia (materie prime), sono comparabili nei Casi I, II e IV (Figura 1). Nel Caso III il consumo di risorse è

Figura 1. Risultati relativi al consumo di risorse non rinnovabili senza contenuto d’energia (consumo di materie prime espresso in kg/t RSU)

CONCLUSIONI Attualmente la richiesta di informazioni ambientali, quali le etichette ecologiche di tipo III basate sulla LCA, è in continuo aumento da parte di policy makers e parti interessate in generale. Applicando la metodologia LCA ai maggiori impianti di trattamento localizzati in Liguria e Versilia, questa si è dimostrata uno strumento di gestione ambientale affidabile sia per comunicare informazioni attraverso l’etichettatura ecologica di tipo III (EPD), sia per individuare differenti scenari di smaltimento che possono incrementare ed ottimizzare le performance ambientali del settore dello smaltimento dei rifiuti urbani. Grazie alla LCA non solo è stato possibile quantificare gli impatti ambientali, ma anche ottenere dati utili alla pianificazione territoriale di strategie da parte dei decisori pubblici e privati, e all’identificazione di processi alternativi migliorativi. L’analisi dei sei casi studio, basata sul sistema internazionale EPD®, ha dimostrato la possibilità di effettuare un confronto dei risultati della LCA, grazie all’esistenza di specifici requisiti comuni, i PCR. Dall’analisi dei risultati è emerso che non è possible determinare in assoluto “il” migliore sistema di trattamento dei rifiuti da un punto di vista ambientale, ma è invece possibile identificare il servizio meno impattan-

Figura 2. Risultati relativi al consumo di risorse non rinnovabili con contenuto d’energia (consumo di fonti energetiche espresso in MJ/t RSU)

te verso ciascuna categoria. Tuttavia, volendo considerare le categorie nella loro globalità, due casi presentano risultati notevolmente più bassi rispetto agli altri quattro, ed il sistema di gestione integrata dei rifiuti presenta in generale il minor impatto ambientale. Per concludere, l’opzione migliore deve essere determinata caso per caso; i risultati degli studi LCA sono fortemente dipendenti dai confini del sistema, dalla modellizzazione e dal contesto economico nel quale si opera. * CE.Si.S.P. (Centro per lo Sviluppo della Sostenibilità dei Prodotti), Università di Genova ** Dipartimento di Ingegneria Chimica e di Processo “G. B. Bonino”, Università di Genova

Consumo di Risorse

u.m.

Caso I

Caso II

Caso III

Caso IV

Caso V

Caso VI

Non rinnovabili senza contenuto d’energia

kg

284,95

328,78

925,57

570,07

0,67

112,48

Non rinnovabili con contenuto d’energia

MJ

585,09

713,15

701,76

1.252,62

726,16

1.891,53

Rinnovabili con contenuto d’energia

MJ

10.271,3

7.202,7

8.031,2

9.430,4

8.433,2

123,0

Consumo d’acqua

kg

993,62

767,68

211,49

260,58

139,63

1,70

Consumo netto elettricità

MJ

9,05

49,51

205,34

62,77

135,87

456,45

Produzione rifiuti

kg

162,50

10,10

74,80

55,79

59,98

80,22

Tabella 2. Risultati relativi al consumo di risorse

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elevato a causa del quantitativo di terriccio utilizzato per le coperture parziali della discarica. I risultati relativi al consumo di risorse non rinnovabili con contenuto d’energia (fonti energetiche), delle quali il petrolio rappresenta la maggior fonte, sono comparabili per tutti i casi studio, fatta eccezione per il termovalorizzatore (Caso VI) che evidenzia un alto consumo di petrolio, gas naturale e carbone, dovuto al consumo di energia elettrica nella rete (Figura 2).

Anno 3 - Numero 7



pro getti e tecn o lo gie

Scoprire l’origine di una contaminazione da uranio con metodi direct push Ricostruzioni stratigrafiche e piezometri di monitoraggio a supporto di uno studio che ha consentito di restituire l’acqua potabile ad una comunità del Nebraska di Wes Mc Call*

Q

ualche anno fa, il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti (United States Department of Health and Human Services, DHHS) cominciò ad eseguire monitoraggi qualitativi su tutti i pozzi utilizzati per l’approvvigionamento idrico del Nebraska, per assicurarsi che questi fossero a norma con il nuovo regolamento sulla quantità di uranio accettabile definita dall’U.S. EPA (United States Environmental Protection Agency).

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La nuova direttiva stabiliva infatti una concentrazione massima di contaminazione da uranio nell’acqua potabile (MCL) di 30 µg/l. Tom Christopherson – program manager degli standard per l’acqua potabile del DHHS – si accorse subito che tutti i pozzi idropotabili della piccola comunità rurale di Clarks, nel Nebraska centrale, erano contaminati da uranio con concentrazioni comprese fra i 100 e i 200 µg/l. Vennero così installati due pozzi pilota a circa 2,5 km a nordest della città, ed entrambi mostrarono concentrazioni di uranio inferiori al limite di rilevabilità. Si decise allora di costruire due nuovi pozzi accanto a quelli sperimentali, ed i primi campionamenti rivelarono che l’acqua pompata conteneva una quantità di uranio pari a circa 30 µg/l. Dopo una prima sperimentazione eseguita dalla University of Nebraska di Lincoln, divenne evidente che un programma di pompaggio a bassa velocità non sarebbe stato in grado di risolvere il problema. Tom Christopherson decise di affidare alla Geoprobe Systems® il compito di eseguire una dimostrazione sul campo dei metodi direct push e di collaborare con il DHHS, nel tentativo di scoprire la causa di una così alta concentrazione di uranio nella zona.

Uno sguardo sotto la superficie: stratigrafie HPT e piezometri

Guidata dal geologo Wes Mc Call, la squadra di ingegneri di Geoprobe® Research and Development ha trasferito nella cittadina di Clarks tutta l’attrezzatura per eseguire un’indagine sul sito, durata quattro giorni. Utilizzando l’Hydraulic Profiling Tool, sono stati ricostruiti cinque HPT Logs nel campo pozzi dell’area. Grazie alla sonda Geoprobe® e al nuovo sistema HPT è stato possibile raccogliere informazioni sulla litostratigrafia locale, fino ad una profondità di circa 40 m da p.c. Il primo log (HPT1) è stato ricostruito vicino al pozzo sud di Clarks, il South PWS (Figura 1). I rilievi HPT hanno permesso di raccogliere parecchie informazioni sul sottosuolo aiutando a organizzare l’installazione dei piezometri durante le fasi successive del progetto. Le stratigrafie hanno rivelato la presenza di diversi strati di sabbia a grana fine con intercalazioni di sabbia a grana grossolana. Per poter proseguire l’indagine, una seconda squadra di operatori ha installato alcuni pozzi di monitoraggio con metodi direct push. I piezometri – con diametro interno di 0,75” – sono stati installati adiacenti alla postazione HPT1, andando a comporre il Gruppo A.


Un secondo set di piezometri (Gruppo B) è stato poi installato accanto alla postazione HPT2. Nell’esecuzione di tali indagini è stata utilizzata la nuova sonda Geoprobe® Model 8040 DT riuscendo a raggiungere in meno di un’ora i 40 m di profondità da p.c., con un piezometro dal diametro esterno di 2,25”. Per lo sviluppo iniziale dei pozzi, sono state utilizzate una tubazione in PE da 1,5” e valvole di controllo al fondo del tubo. L’attuatore elettrico Geoprobe® a 12 volt ha alimentato il sistema di valvole di controllo per approfondire i pozzi fino a 40 m di profondità da p.c. Da ogni pozzo sono stati spurgati dai 20 agli 80 litri di acqua di falda. Dopo lo sviluppo iniziale, una volta diminuita in modo significativo la torbidità dell’acqua, sono state installate pompe meccaniche di tipo bladder, per ottenere un campionamento a basso flusso. Gli attuatori elettrici hanno alimentato anche le pompe bladder a una portata compresa fra i 150 e i 300 ml/minuto. Il flusso è stato diretto dalle pompe attraverso

una piccola cella equipaggiata con una sonda multi-parametrica YSI556 per monitorare gli indici di qualità dell’acqua (ossigeno disciolto, potenziale redox, pH, conducibilità e temperatura). La torbidità è stata controllata periodicamente mediante torbidimetro Cole Parmer, ed è risultata sotto i 10 NTU in tutti i pozzi prima del campionamento. Il personale del DHHS ha raccolto campioni per la determinazione di diversi cationi, anioni, elementi in traccia – uranio compreso – da ciascuno dei piezometri installati. Dal momento che in uno dei pozzi di monitoraggio da 4” era stata rilevata in un precedente prelievo un’elevata quantità di uranio, entrambi i pozzi sono stati campionati per la ricerca di tutti gli analiti, uranio compreso, utilizzando pompe bladder ed attuatori elettrici.

L’analisi dei campioni

I campioni estratti dai nove piezometri realizzati con metodo direct push e dai due pozzi di prova da 4” sono stati raccolti dal personale del DHHS e sottoposti ad analisi presso il Laboratorio di Stato del Nebraska. Relativamente alle analisi chimiche dei pozzi del Gruppo A, è risultato che quelli installati vicino al South PWS mostravano che i valori di conducibilità, le concentrazioni di sodio (Na), solfati (SO4), selenio (Se) e uranio (U) diminuivano con la profondità. I risultati per il pozzo di prova Sud apparivano invece anomali. Nonostante il pozzo fosse stato monitorato in profondità, la falda risultava avere una composizione chimica molto simile a quella dei pozzi superficiali realizzati con sistema direct push (A4 e A3) e non risultava conforme ai risultati otFigura 1. Schema del sito di Clarks con indicazione dei pozzi di approvvi- tenuti dai pozzi profondi gionamento idrico, delle postazioni HPT e dei pozzi di monitoraggio installati direct push (A1 e A2) modurante il progetto nitorati a profondità ana-

Figura 2. Diagramma del log HPT1: i picchi nella stratigrafia indicano un aumento della pressione idrica nella sonda HPT dovuta ai materiali fini nella formazione, mentre i livelli di pressione più bassa indicano la presenza di sabbia e ghiaia nella formazione

loghe. Basandosi sulle informazioni dei log dei pozzi, ci si è resi conto che il ghiaietto dell’intercapedine del vecchio pozzo di prova si stava comportando come un conduttore e permetteva alle acque di falda superficiali di raggiungere i livelli di acquifero più profondi, in particolar modo quando le pompe del pozzo PWS erano attivate. I dati indicavano che i livelli di uranio nel pozzo di prova Sud erano di 168 μg/l, tale valore, circa cinque volte superiore ad ogni altro va-

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pro getti e tecn o lo gie

L’importanza dell’attrezzatura

Figura 3. Diagramma indicante come le finestrature dei piezometri siano state definite sulla base dei risultati dei log HPT

lore riscontrato nei pozzi del vicino gruppo A, rappresentava un dato decisamente anomalo e non in equilibrio con i pozzi A1 e A2, che monitorati alla stessa profondità non avevano rivelato la presenza di uranio. Così come già era avvenuto per i pozzi del gruppo A, i risultati emersi dai pozzi del gruppo B mostravano che la conducibilità, il sodio, i solfati ed il selenio tendevano a diminuire con la profondità. Le concentrazioni di uranio però, erano sensibilmente più alte nei pozzi B4 e B3, fino a 376 μg/l. Da tali risultati si poteva quindi dedurre che quei due punti nell’acquifero fossero le probabili cause della presenza di uranio osservata nel pozzo sperimentale Sud e dei pozzi PWS. Studiando le informazioni sulla costruzione del pozzo Sud PWS, gli esperti hanno potuto vedere che il tratto filtrante si estendeva approssimativamente a 18 m da p.c. e che quindi tale tratto intersecava la zona B3 della falda, dove erano presenti alte concentrazioni di uranio. Era quindi evidente che sia il tratto filtrante dei primi pozzi di prova che quello dei pozzi PWS permettevano il movimento delle acque sotterranee dalle zone superficiali fino ai nuovi pozzi idropotabili.

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Anno 3 - Numero 7

E’ importante sottolineare che tutte le attività di indagine sul campo descritte in questa sede, compresa la realizzazione dei nove piezometri installati a profondità di circa 35-40 m da p.c., si sono svolte in meno di una settimana. Questo è stato un ottimo campo di prova per testare le capacità della sonda 8040 DT in quanto le installazioni sono state estremamente rapide ed agevoli mettendo inoltre in luce come questo progetto si sia rivelato un’ottima applicazione dei metodi direct push nella ricostruzione delle stratigrafie. I logs ottenuti con l’unità HPT si sono rivelati densi di informazioni, mostrando la presenza di zone di argilla e sabbia fine che le precedenti investigazioni – realizzate con perforazioni tradizionali – non erano state in grado di rilevare. Sapendo esattamente dove posizionare i piezometri per ottenere una buona rappresentazione multi-livello della distribuzione dell’uranio, si sono ottenuti da tutti i punti di monitoraggio degli ottimi campioni per le analisi. Basandosi sulle conoscenze geologiche acquisite si è potuto accertare che la contaminazione non era causata dall’attività umana, ma dalla naturale presenza di uranio nei sedimenti della falda. Si tratta di un fatto piuttosto comune: la quantità di uranio presente nei terreni potrebbe avere una concentrazione 10 o 100 volte maggiore di quella presente nell’acqua rilevata presso la comunità del Nebraska. In definitiva, l’uranio presente nei sedimenti della falda del sottosuolo di Clarks arriva dalle rocce sedimentarie della zona più a est del Wyoming e dai graniti delle

Montagne Rocciose. I fiumi, erodendo rocce sedimentarie e graniti, trasportano le sabbie, l’argilla e la ghiaia lungo il Platte River trasportando insieme alle sabbie anche l’uranio. Il fattore critico non è rappresentato dalla presenza dell’uranio in sé, ma dall’esposizione ad esso, che nel caso di terreni contaminati risulta di minima entità, nel caso in esame invece, la modesta quantità di uranio contenuta nei sedimenti della falda si stava dissolvendo parzialmente nelle acque sotterranee, a causa della loro composizione chimica. L’uranio disciolto veniva quindi pompato dai pozzi ad uso idropotabile, fino ad arrivare al rubinetto


di casa esponendo così i residenti di Clarks alla contaminazione. Il problema più grave in realtà, per quanto riguarda l’uranio, non è il suo decadimento radioattivo all’interno del corpo umano, ma gli effetti che ha sui reni poiché essendo un metallo pesante è in grado di causare gravi danni agli organi interni.

L’ultimo passo

Figura 4. Risultati dei monitoraggi eseguiti sulle acque dei piezometri multilivello

In questi anni la comunità di Clarks sta seguendo una procedura che prevede il progressivo abbandono dei pozzi di prova che erano stati installati, e sta valutando

misure correttive affinché i nuovi pozzi PWS possano produrre acque conformi al limite dei 30 μg/l di uranio. Questo progetto ha mostrato che se da un lato si ha una maggiore familiarità con le indagini che hanno per oggetto agenti contaminanti creati dall’uomo, come la benzina o il TCE, notevoli problemi possono essere causati da sostanze normalmente presenti in natura, quali l’uranio o l’arsenico. Il progetto condotto ha inoltre reso evidente come gli stessi metodi direct push, utilizzati dall’industria per le indagini su contaminanti “classici”, possano risultare preziosi anche per rilevare la presenza e la distribuzione degli analiti naturali. E’ facile immaginare che il progetto e la realizzazione del pozzo PWS sarebbero stati concepiti in modo molto diverso se i dati raccolti grazie ai pozzi direct push fossero stati disponibili prima di cominciarne la costruzione. * Geoprobe Environmental Technologies s.a.


n o rmativa

Rischi da interferenze e DUVRI nella raccolta e nel trattamento degli RSU Analisi delle soluzioni possibili nell’applicazione del duvri nella gestione degli rsu, utilizzando modalità e procedure semplici ed efficaci a tutela della sicurezza degli operatori di Paolo Fioretti* e Biagio Principe**

L

a collaborazione tra più imprese all’interno di uno stesso ambiente di lavoro costituisce la prassi non solo del sistema produttivo, ma anche nella gestione degli affari privati. La Legislazione ha sistematizzato, storicamente, alcuni ambiti particolari nei quali la presenza contemporanea di lavoratori di aziende diverse potesse costituire un fattore di rischio per la salute e la sicurezza. Nota a tutti è la disciplina sui cantieri temporanei e mobili, che ordina responsabilità e

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rapporti fra gli appaltatori e la committenza – nonché fra un appaltatore e l’altro – recependo Direttive Europee nel Titolo IV del Testo Unico. Per quanto riguardava altri ambiti produttivi, il corpus normativo precedentemente in vigore, principalmente costituito dal D. Lgs. 626/04, presentava elementi che generalizzavano la problematica, richiedendo un semplice e imprecisato “scambio di informazioni” tra i soggetti, senza indicare chiare responsabilità di gestione e finalità operative, e oltretutto senza individuare nelle “interferenze” e nel-

la loro gestione gli aspetti veramente critici. L’articolo 26 del D. Lgs. 81/08, anche dopo le integrazioni con il D. Lgs. 106/09, impone alle stazioni appaltanti la realizzazione del documento unico di valutazione dei rischi da interferenze (DUVRI), da adeguarsi in funzione dell’evoluzione dei lavori, dei servizi e delle forniture, la cui stima dei costi della sicurezza non deve essere assoggettata a ribasso in sede di gara d’appalto. Ai fini della redazione del documento, è definita “interferenza” una sovrapposizione di attività lavorative tra diversi lavoratori che rispondono a datori di lavoro diversi. La sovrapposizione può essere sia di contiguità fisica sia di spazio, nonché di contiguità produttiva. In tutti questi casi appare evidente che i lavoratori possono essere tra di loro coordinati, ai fini della loro sicurezza, solo se i datori di lavoro stessi hanno coordinato le proprie attività. La valutazione dell’interferenza può essere effettuata per categorie di attività, ovvero per singoli servizi e forniture. È possibile considerare interferenti i seguenti rischi: • generati dalla sovrapposizione di più attività svolte da operatori dipendenti da appaltatori diversi; • immessi nel luogo di lavoro del commit-


tente dalle lavorazioni dell’appaltatore; • esistenti nel luogo di lavoro del committente, ove è previsto che debba operare l’appaltatore, ed ulteriori rispetto a quelli specifici dell’attività propria dell’appaltatore; • derivanti da modalità di esecuzione particolari richieste esplicitamente dal committente (che comportino pericoli aggiuntivi rispetto a quelli specifici dell’attività appaltata). Il DUVRI è realizzato per: • somministrare agli affidatari dei lavori informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività (art. 26 comma 1 lett. b del D. Lgs. n. 81/08); • soddisfare l’obbligo per il datore di lavoro committente di promuovere la cooperazione ed il coordinamento tra committente ed appaltatore per la valutazione dei rischi dovuti alle “interferenze” e indicare le misure adottate per l’eliminazione o la riduzione mediante appositi provvedimenti (art. 26 comma 3 del D. Lgs. n. 81/08); • fornire gli strumenti per valutare i costi della sicurezza necessari per l’eliminazione dei rischi da interferenze, oltre a quelli propri connessi allo specifico appalto (art. 26 comma 5 del D. Lgs. n. 81/08). Nel Documento non devono essere indicate le misure per eliminare i rischi propri derivanti dall’attività delle singole imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi, bensì solo i rischi derivanti dalle interferenze presenti durante lo svolgimento della prestazione. La recente normativa (D. Lgs. 106/09) ha introdotto alcune precisazioni circa la redazione del DUVRI, in particolare: • non deve essere effettuato nei casi di forniture di materiali o attrezzature, nonché di lavori o servizi la cui durata non sia superiore ai due giorni, sempre che essi non comportino rischi derivanti dalla presenza di agenti cancerogeni, biologici, atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari indicati nell’allegato XI (D. Lgs. 81/08 art. 26 comma 3-bis); • il documento è realizzato dal soggetto che affida il contratto; nei casi in cui il contratto

sia affidato dai soggetti di cui all’articolo 3, comma 34, del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 o in tutti i casi in cui il datore di lavoro non coincide con il committente, e contiene una valutazione ricognitiva dei rischi standard relativi alla tipologia della prestazione che potrebbero potenzialmente derivare dall’esecuzione del contratto. Il soggetto presso il quale deve essere eseguito il contratto, prima dell’inizio dell’esecuzione, integra il predetto documento riferendolo ai rischi specifici da interferenza presenti nei luoghi in cui sarà espletato l’appalto; l’integrazione, sottoscritta per accettazione dall’esecutore, integra gli atti contrattuali. Oltre ad apportare semplificazioni importanti per casi di scarsa o ridotta rischiosità, il secondo punto inserisce la possibilità contrattuale di rivedere quanto pattuito in funzione dell’effettivo stato dei luoghi, rendendo sempre e più il Documento uno strumento di lavoro, esposto, al contempo, alla necessità di revisioni ed impatti sui prezzi.

L a raccolta degli RSU L’attività di raccolta dei rifiuti solidi urbani può prevedere l’impiego di addetti che operano sia manualmente sia tramite l’ausilio di mezzi

meccanici. L’espletamento dei servizi di igiene urbana è ormai diventato un complesso di attività diversificate per natura e modalità esecutive, ma anche a seconda degli ambiti territoriali cui è destinato. Infatti, la raccolta differenziata integrata all’interno di un territorio comunale può comprendere i servizi di raccolta della frazione secca (indifferenziata) e umida, dei rifiuti cimiteriali, dei rifiuti abbandonati, lo spazzamento delle strade, la pulizia del verde pubblico, la raccolta degli sfalci, dei mercati giornalieri e infine la bonifica di discariche abusive. Tali situazioni comportano rischi da interferenza variabili e distinti. Quando l’attività di raccolta è svolta manualmente, i rischi interferenziali sono riconducibili a: • inciampo e scivolamento in strada e su marciapiedi, condizioni incidentali che sono legate alle condizioni di manutenzione del manto stradale, ai fenomeni atmosferici, all’illuminamento dei luoghi in cui avviene la raccolta; • rumore dovuto all’utilizzo di macchinari in prossimità, quali compattatori o aspiratori, decespugliatori e, non trascurabile, alla presenza di traffico veicolare; • contatto ed inalazione di agenti chimici dovuto sia all’uso diretto sia alla presenza

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n o rmativa

sulle strade, nell’atmosfera, o in sversamenti accidentali e/o scarichi abusivi; • investimento da parte di altri veicoli stradali legati alle condizioni del traffico nei momenti e nei luoghi della raccolta e degli eventuali ostacoli alla visione che impediscono di rilevare tempestivamente i pericoli; • agenti biologici, presenti nel materiale raccolto, in concentrazioni e qualità dipendenti dalla sua natura e dallo stato di conservazione. La raccolta effettuata con mezzi meccanici può, invece, esporre ai rischi interferenziali di seguito elencati: • rumore dovuto all’utilizzo dei macchinari stessi; • contatto ed inalazione durante l’uso di preparati chimici; • investimento da parte di altri veicoli stradali; • sversamenti accidentali; • collisione con autovetture in transito. Individuati i rischi da interferenza, all’interno del documento occorre indicare le misure di prevenzione e protezione, accertate ed applicabili, che devono essere considerate anche norma di coordinamento per il personale di ditte esterne nel rispetto dei propri piani di sicurezza.

Il trattamento degli RSU In genere all’interno degli stabilimenti di trattamento dei rifiuti ubicati in aree specifiche del territorio comunale, anche di dimensioni molto grandi, sono presenti più aziende che operano contemporaneamente nello stesso luogo; lo spazio degli stabilimenti è quindi condiviso sia da automezzi di vario tipo che accedono all’area, sia da persone autorizzate – personale aziendale e di controllo, o visitatori – che si muovono a piedi. Gli impianti, per la loro complessità ed estensione, nonché per la pericolosità di processi, macchinari ed emissioni, costituiscono una fonte di rischio da non omettere, nel considerare le operazioni del personale esterno. Le situazioni di rischio interferenti sono le seguenti: • traffico veicolare prodotto da: • automezzi aziendali pesanti e leggeri

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che conferiscono i rifiuti raccolti a piattaforme di deposito e successivo invio a trattamento/smaltimento/recupero; • macchine operatrici (gru, pale meccaniche, carrelli elevatori, spazzatrici, ecc.) destinate alla manipolazione e trasferimento da un mezzo all’altro o da un mezzo a una struttura impiantistica o alla pulizia delle aree interessate; • automezzi e macchine operatrici di ditte esterne che effettuano stabilmente lavori o servizi; • mezzi che conferiscono RSU; • autovetture aziendali e/o private preventivamente autorizzate all’accesso; • vie di transito (viabilità interna di stabilimento) che, per quanto possibile, regolano e separano i flussi veicolari, ma che possono incrociarsi tra loro e che comunque sono distribuite nell’area su cui insistono gli impianti; • traffico pedonale presente sia per esigenze organizzative proprie delle operazioni sia generato occasionalmente dalla necessità di intervenire per rimuovere o risolvere situazioni di intralcio, malfunzionamento, pericolo;

• macchine e attrezzature, materiali e sostanze: • macchine e mezzi aziendali in fermata o sosta; • attrezzature di lavoro aziendali o di terzi; • materiali depositati temporaneamente; • processi produttivi: non è nello scopo di questa trattazione descrivere esaustivamente tutti i processi principali (scarico, trasferimento, selezione, compattamento, imballaggio, carico per lo smaltimento finale, ma anche combustione, processi ausiliari per l’eliminazione di emissioni, odori, polveri, recupero energetico, ecc.), ma sono facilmente intuibile la dimensione e l’intensità dei pericoli che possono derivarne. Gli interventi da prevedere devono tendere ad eliminare o a ridurre al minimo i rischi da interferenza, effettuando la segregazione di aree e percorsi, attuando un’attenta programmazione temporale delle attività, un’accurata segnaletica e l’adozione obbligatoria di DPI nelle zone o nelle operazioni a rischio.

Le responsabilità È opportuno rimarcare preliminarmente,


come ribadito nel Testo Unico revisionato dal D. Lgs. 106, che l’approntamento del DUVRI è onere del Datore di Lavoro sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo. Lo scenario in cui si svolgono le operazioni di raccolta degli RSU è molto complesso: occorre tenere presente che l’ambiente di lavoro è caratterizzato da differenti disponibilità giuridiche dei luoghi interessati (strade, ma anche pertinenze di condomini, insediamenti produttivi, ed altre situazioni). Parte degli attori che operano nel contesto è costituita dai responsabili delle organizzazioni che dispongono delle aree, carrabili o meno, cui accede il personale di servizio; a titolo di esempio nelle città le aree da considerare luoghi di lavoro consistono in piazze e strade ma anche parcheggi, aree verdi, ecc. Infine il ruolo dei sindaci – in qualità di datori di lavoro – degli amministratori di condominio, dei singoli privati, comporta la polverizzazione di una massa di informazioni da comunicare e disposizioni particolari cui assolvere. Tutto ciò induce a generare complessità nell’applicazione della normativa e nell’articolazione del Documento. Occorre osservare che le imprese considerano già alcuni di questi rischi, di fatto interferenti, tra quelli inseriti nella Valutazione dei Rischi; questo modo di procedere, però, risulta spesso insufficiente, in quanto potrebbero essere trascurati i rischi interferenti generati dall’impresa stessa – non necessariamente solo quelli “Professionali” – cui la Comunità rimane esposta. Queste riflessioni non possono che richiedere un ripensamento sui vantaggi operativi attesi dalla stesura di questa tipologia di documento. Le insufficienze normative sono state parzialmente colmate dal Legislatore, adottando strumenti ed identificando responsabilità di attuazione, ma soprattutto stabilendo principi, piuttosto che modalità operative specifiche, valide per tutti i settori. I datori di lavoro, come definiti dalla Legge, possono difficilmente redigere un documento, che andrebbe preparato addirittura prima di affidare un appalto e che contenga tutte le informazioni necessarie alla prevenzione di incidenti

I rischi per la sicurezza derivanti dal lavoro sulla strada Per quanto riguarda gli operatori addetti alla raccolta dei rifiuti si possono evidenziare alcune criticità per la sicurezza come la presenza di interazioni con macchine e attrezzature, gli investimenti, e soprattutto il fatto di avere un ambiente di lavoro unico e particolare come la strada. Sia le attività manuali, meccanizzate o meccanizzate con ausilio di operatori sono svolte in aree che non rispondono al significato di luogo di lavoro così come definito dalla legislazione o nell’accezione comune. Inoltre i lavoratori non hanno una ben localizzata postazione di lavoro, intesa come la porzione dell’ambiente lavorativo dedicata a un singolo lavoratore o a una specifica lavorazione o fase di lavorazione. L’ambiente di lavoro della raccolta rifiuti e spazzamento strade, prevalentemente outdoor e notevolmente diversificato nelle modalità con cui è gestito, risulta dunque piuttosto complesso a causa della pluralità di rischi a cui i lavoratori sono esposti. Gli infortuni più frequenti sono:

• incidenti stradali; • collisioni tra mezzi e investimenti di persone; • scivolamenti e inciampi; • cadute di oggetti dall’alto; • contatto con oggetti taglienti. (Fonte: La sicurezza per gli operatori della raccolta dei rifiuti e dell’igiene urbana – INAIL Edizione 2009)

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e malattie professionali; alcuni di questi, che hanno la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto, potrebbero non essere neanche a conoscenza dei contratti stipulati, perché oggetto di trattativa tra soggetti terzi: le amministrazioni pubbliche e le imprese che gestiscono servizi di pubblica utilità.

Conclusioni A nostro avviso, è ormai necessario che tutti i protagonisti, gli operatori e gli utenti nelle attività di raccolta degli RSU assumano un ruolo centrale nel processo di valutazione dei rischi e di miglioramento della sicurezza, predisponendo modi operativi e puntuali di valutazione dei rischi di interferenza e delle necessarie misure di prevenzione e protezione. Il DUVRI deve trovare applicazione pratica tramite modalità procedurali semplici, la cui documentazione sia disponibile a chi opera o a chi è esposto al rischio, semplificando gli adempimenti per poterne assicurare l’efficacia. I datori di lavoro delle aziende di servizio possono preparare il documento di valutazione dei rischi interferenti in modo che esso svolga la funzione di fonte informativa che operatori e utenti possano e debbano completare ed aggiornare, adattandolo alle singole necessità e realtà. In questa ipotesi, il compito dei preposti (capi squadra o qualifiche equivalenti) potrebbe essere anche quello di mantenere il contatto con l’utenza, per stabilire di comune accordo le modalità e le regole per gestire le interferenze sulla base del

DUVRI, che diventa il riferimento generale. E’ indispensabile un grado di condivisione e di coinvolgimento (a partire dai responsabili, certamente, ma includendo gli operatori e i beneficiari dei servizi) nettamente più incisivo, che renda possibile una puntuale analisi dei rischi, dei provvedimenti e delle responsabilità. Ciò comporta un cambiamento più culturale che legislativo. E’ possibile e necessario adottare tecniche valutative del rischio che, a fronte della responsabilità delle decisioni, comunque chiaramente definita, producano documentazione, fissino regole comportamentali e modalità di controllo che siano frutto del lavoro e dell’apporto di tutti i soggetti coinvolti. Sono tecniche di analisi che in molti altri Paesi costituiscono base, anche giuridica, per la valutazione, ma anche per l’identificazione e l’accertamento delle responsabilità. Tra queste (HAZAN; HAZOP; FMEA, ecc.) appare particolarmente appropriata al settore di attività in esame l’analisi di sicurezza delle attività (Job Safety Analysis - JSA). Essa prevede la redazione congiunta (ad esempio, responsabile locale della viabilitàcapo squadra, capo squadra-amministratore) di un modulo da distribuire ai lavoratori e all’utenza, ove necessario. In esso è riportata la suddivisione delle differenti attività lavorative in fasi salienti (task), che sono descritte brevemente, in una colonna. Per ogni fase sono identificati i pericoli (H), con una classificazione semplificata della loro gravità (Alta,

Media, Bassa), della loro probabilità (P) e, in definitiva, del rischio (R). Quindi sono descritte le misure preventive e protettive attuate, e di nuovo la classificazione HPR, ottenuta dopo l’applicazione delle misure. Da ultimo, sono indicati il responsabile dell’attuazione ed il responsabile della verifica di quanto previsto. Gli addetti sono direttamente coinvolti nella valutazione dei rischi determinati dal lavoro che svolgono e ciò ha il vantaggio di far accrescere la consapevolezza dei lavoratori sul tema sicurezza. Il tutto è riassunto in un foglio, che è possibile inserire, per esempio, in un permesso di lavoro, e consegnato, anche giornalmente e specificamente, ai lavoratori interessati. Ormai le JSA sono disponibili in estesi archivi di attività e delle loro possibili suddivisioni in fasi, e sono pubblicate sia da privati che da enti nazionali. Da esse è possibile desumere materiale utile alla stesura e all’applicazione delle norme, sia per le piccole medie imprese interagenti tra loro, che per i sistemi complessi, quali quelli in esame. Come mostrano validi esempi attuativi in Italia, è possibile articolare tutti i documenti di valutazione su JSA generali, che completeranno i singoli interessati per ogni attività aziendale, con la collaborazione del Servizio di Prevenzione e Protezione. *INAIL Dir Generale CONTARP Centrale **INAIL Dir. Regionale Lombardia CONTARP

Job Safety Analysis Le JSA, Job Safety Analysis, sono analisi qualitative delle procedure lavorative, effettuate allo scopo di identificare tutti i possibili rischi a cui vanno incontro gli operatori – ma non solo – nello svolgimento di un’attività. Questo tipo di analisi risulta particolarmente utile nei casi in cui si stia sperimentando per la prima volta una nuova procedura, o laddove si siano già verificati incidenti. A conferma della necessità di coinvolgere attivamente tutti i soggetti che avranno un ruolo nell’esecuzione delle operazioni, il documento viene stilato da una squadra di persone, che comprende il personale che svolge o svolgerà materialmente il lavoro, i responsabili del cantiere, gli addetti alla sicurezza e, quando richiesto, specialisti del settore chiamati a dare la propria opinione in merito. Prima della stesura vengono raccolte tutte le informazioni già disponibili sulla tipologia di operazione che si pensa di effettuare; al termine della valutazione, i dati raccolti e aggiornati vengono inseriti in un database, così da renderli immediatamente disponibili per le analisi future di casi simili. Le JSA non sono obbligatorie per la legge statunitense, ma sono vivamente raccomandate dal Ministero del Lavoro attraverso l’organo dell’OSHA (Occupational Safety and Health Administration), che offre diversi servizi di assistenza alle aziende decise a seguire la procedura.

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SITI CONTAMINATI: IL CONSIGLIO DI STATO chiarisce L’ENNESIMA QUESTIONE INTERPRETATIVA Una recente sentenza mette ordine nella confusione interpretativa sulle soglie di contaminazione da MTBE e sui limiti per le acque emunte provenienti da siti in bonifica di Andrea Quaranta*

I

n relazione alla bonifica dei siti contaminati, negli ultimi anni diversi Tribunali Amministrativi Regionali hanno affrontato numerose questioni interpretative di alcune regole tecniche, fissate dal D.M. 471/99, il quale, prima della “riforma” del 2006, dettava i criteri, le procedure e le modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati. Nel passaggio dall’“effimera euforia regolamentare” – finalmente era stato approvato un regolamento per disciplinare questa delicata materia – alla sua applicazione pratica, tuttavia, le agognate regole si sono rivelate approssimative e/o contraddittorie, tanto che il Ministero dell’Ambiente ha ritenuto opportuno, in riferimento ai siti inquinati di interesse nazionale, poterle integrare e/o modificare. Nel farlo, però, ha adottato una tecnica alquanto particolare: nel tentativo – lodevole nelle intenzioni, alquanto discutibile nel merito e nel metodo – di porre rimedio a tali lacune regolamentari, il Ministero ha aggirato il procedimento e la forma dell’atto per introdurre modifiche al D.M. 471/99, recependo in toto alcuni discutibili pareri dell’ISS all’interno di conferenze di servizi decisorie nell’ambito delle quali, inoltre, sono stati imposti obblighi e oneri particolarmente pesanti in materia

di gestione delle acque emunte dalla falda. In questa sede voglio ripercorrere, a grandi linee, quanto accaduto in relazione: • all’annosa questione concernente il parametro MTBE (Methyl Tertiary Butyl Ether), che – a causa della sua fumosa classificazione (è un idrocarburo? è assimilabile agli idrocarburi totali? sulla base di quali affinità tossicologiche?) – ha creato delicati grattacapi giuridico-pratici non irrilevanti, relativi alla definizione delle soglie di contaminazione delle acque sotterranee. Grattacapi le cui “soluzioni interpretative”, non sempre omogenee, non solo hanno creato disparità di trattamento fra i diversi operatori di volta in volta chiamati in causa, ma non hanno neanche, nei fatti, garantito un'efficace tutela dell’ambiente, all’interno di una più lungimirante, razionale ed integrata politica ambientale, coerente e coordinata con altri interessi in gioco, di natura divergente ed altrettanto degni di considerazione; • all’applicabilità alle acque sotterranee emunte durante i procedimenti di bonifica della normativa sulla gestione dei rifiuti o, in alternativa, di quella sugli scarichi idrici. In relazione al primo punto, sono due le soluzioni che si sono “fronteggiate”:

• da un lato la tesi in base alla quale, dalla lettura dei criteri per le acque superficiali (allegato 1 al D.M. 471/99), si ritiene consentito scaricare le acque di falda nei corpi idrici superficiali, rispettando i limiti generali del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152 (salvo i casi in cui sia presente una normativa speciale a tutela della qualità delle acque superficiali o l'inquinamento sia ascrivibile ad un solo soggetto), mentre i limiti per le acque sotterranee (e.g.: per la reimmissione in falda) sono quelli indicati nella tabella 2, allegato 1 del D.M. 471/99. • dall’altro, quella seguita dalle Conferenze di servizi decisorie, che hanno imposto, allo scarico (di qualunque tipo) delle acque sotterranee (una volta emunte e depurate), alcuni limiti del D.P.R. 24 maggio 1988, relativo alle acque potabili. Sono seguiti inevitabilmente annosi contenziosi giudiziari (molti dei quali ancora in corso) innanzi al giudice amministrativo, chiamato ad esprimersi, e a mettere un punto fermo a tale incresciosa situazione. La vicenda che qui si commenta riguarda una recente sentenza del Consiglio di Stato (n. 5256/09), che interviene, a ben cinque anni di distanza, a precisare, in parte qua, quanto affermato dal Tribunale amministrativo di Napoli (sentenza n. 7556/04).

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La peculiarità della vicenda consiste nel fatto che il valore limite dell’MTBE (10 µg/l; oltre a quelli degli idrocarburi totali e del piombo tetraetile già esclusi, per gli stessi motivi, dal giudice di prime cure) era stato proposto, in via consultiva, dall’Istituto Superiore di Sanità (il quale, peraltro, ha successivamente “corretto il tiro”, escludendo il presupposto di fatto – vale a dire: l’assimilabilità dell'MTBE agli idrocarburi – sul quale aveva fondato la sua originaria valutazione e, quindi, proposto nuovi e diversi valori limite), ed introdotto dal Ministero dell’Ambiente come obbligo, attraverso le prescrizioni delle Conferenze di servizi decisorie, relative alla bonifica dei siti di interesse nazionale, per tutti i tipi di scarichi delle acque emunte, provenienti dalle falde sotterranee. Ebbene, il Collegio ha affermato che è illegittima l’integrazione dei parametri del D.M. 471/99 degli obiettivi di qualità da rispettare, introdotti dalla Conferenza di servizi ministeriale in base al parere dell’Istituto Superiore di Sanità, per tutti i tipi di scarico delle acque emunte e, quindi, anche nel caso di reimmissione - delle medesime ac-

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que reflue depurate - nella falda sotterranea. L’integrazione, o la modifica del D.M. 471/99 e, quindi, dei valori-limite stabiliti per la bonifica, infatti può avvenire solo con l’osservanza del procedimento, definito ex lege, dall’art. 17, comma 1, D.Lgs. n. 22/1997, e non con prescrizioni amministrative ministeriali. Questo principio era stato applicato dal giudice di primo grado ai diversi parametri degli idrocarburi totali e del piombo tetraetile, ma non anche all’MTBE, pur ricorrendone la stessa ratio. Tuttavia – e veniamo al secondo punto – nel motivare la sentenza, il Consiglio di Stato va oltre a quanto statuito dal TAR Napoli, il quale aveva affermato che non è possibile alcuna commistione tra le funzioni della normativa in materia di bonifica e quella che regolamenta gli scarichi idrici, dal momento che quest’ultima disciplina, in via ordinaria, gli scarichi in funzione “precipuamente preventiva” dell’inquinamento, mentre la prima è destinata a vietare “il trasferimento dell’inquinamento in altro sito”. Il Giudice di appello, infatti, ritiene che debba essere disattesa la tesi ministeriale in base

alla quale, “per precise ragioni di principio”, il risanamento deve garantire “l’uso incondizionato della risorsa idrica” e, quindi, l’uso potabile delle acque, ai sensi del D.M. 471/99, che privilegia la destinazione dell’acqua “in via prioritaria al consumo umano rispetto agli altri usi”. Nel precisare che tale fattispecie è stata successivamente regolata dal legislatore delegato (D.Lgs. 152/06, impropriamente conosciuto come il “Codice dell’ambiente”), il Collegio si è spinto oltre e ha sottolineato che il disposto di cui all’art. 243 del T.U.A. • “le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell'ambito degli interventi di bonifica di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto; • non ha fatto altro che chiarire “un principio già insito del D.Lgs. 152/99”. Vale a dire: gli scarichi di acque provenienti da bonifica devono “attenersi ai limiti di emissione delle acque reflue industriali” e, in relazione allo scarico in fognatura, pur considerata la norma speciale (Art. 243, comma 1, cit.), all’art. 107, comma 1, del D.Lgs. 152/06, che rinvia ai valori dell’allegato 5 e relativa tabella. Del resto, per quale motivo imporre – come era avvenuto nel caso di specie – i limiti previsti per la potabilità delle acque a reflui destinati ad essere immessi non in falda, ma in un canale-collettore nel quale confluivano tanti altri reflui industriali, per essere scaricati in mare? Quale obiettivo di qualità della risorsa idrica si persegue? Una diluizione alla rovescia? In conclusione, con questa sentenza il Consiglio di Stato ha messo un po’ d’ordine nella confusione interpretativa che ha caratterizzato negli ultimi anni la materia, statuendo in modo chiaro e netto che: • gli organi tecnico-scientifici, benché ispirati a fini precauzionali e/o conservativi, non sono abilitati, nell’espletamento dei propri compiti consultivi, ad introdurre obblighi o prescrizioni non previsti dalla norma primaria o da quella regolamentare, con effetti rilevanti – in caso di inosservanza – in sede amministrativa e/o penale;


• pretendere l’osservanza di valori-limite molto restrittivi, basandosi su astratte (per quanto condivisibili: in astratto) questioni di principio, a prescindere da qualsivoglia considerazione legislativa e da ogni contestualizzazione, rischia di creare danni inutili ed ingiustificati alle imprese coinvolte nei procedimenti di bonifica, senza peraltro garantire all’ambiente interessato dalle stesse operazioni alcun significativo vantaggio pratico. Nessuno dubita della necessità di modificare in melius le (tante, troppe) norme scritte in modo scoordinato, frammentario e contraddittorio dal nostro disinvolto legislatore (sempre più spesso delegato…): ma la ricerca di soluzioni (ambientali, economiche, sociali) adeguate (e logiche…) non può spingersi fino a piegare le regole della formazione degli atti legislativi/ amministrativi, da un lato, e a disinteressarsi dell’efficacia globale degli interventi, dall’altro. * Consulente ambientale www.naturagiuridica.com

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L’UTILIZZO DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE NEL SETTORE DELLE BONIFICHE Dall’individuazione dei rischi tipici riscontrabili nei cantieri di bonifica alla corretta selezione dei DPI idonei a garantire la sicurezza degli operatori di Filippo Bonfatti*

Q

uando si inizia un’attività di bonifica, bisogna in primo luogo tenere conto che si tratta di “cantieri” ovvero zone temporaneamente adibite ad un determinato insieme di lavori atti a realizzare un'unica finalità (opera edilizia, impianto, veicoli, ripristino ambientale). Proprio perché all’interno di un cantiere vi sono molte attività eterogenee che presentano non solo rischi specifici, ma anche correlati tra di loro, bisogna prestare particolare attenzione alla sicurezza degli operatori che vi lavorano. Nel caso delle bonifiche e relativo ripristino ambientale possiamo individuare varie tipologie di rischio: • rischio movimentazione manuale dei carichi; • rischio movimentazione con carrelli elevatori; • rischio legato all’uso di attrezzature elettriche/meccaniche; • rischi fisici; • rischi chimici da manipolazione sostanze pericolose; • rischio elettrico; • rischio da rumore/vibrazioni; • rischi vari/residuali. Dal punto di vista della sicurezza, il tema dei dispositivi di protezione individuale è trattato nel Titolo III, Capo II (artt. 74-79) e nell’Allegato VIII del D.Lgs n. 81/2008.

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In particolare il punto 4, Allegato VIII, “elemento di riferimento per l’applicazione di quanto previsto all’art. 77 (obblighi del datore di lavoro), commi 1 e 4”, riporta una tabella concernente le indicazioni per la valutazione dei DPI che può offrire indicazioni utili alla scelta dei dispositivi di protezione individuale, con riferimento particolare a: • elmetti di protezione per l’industria; • occhiali protettivi e schermi per la protezione del viso; • otoprotettori; • dispositivi di protezione delle vie respiratorie; • guanti di protezione; • calzature per uso professionale; • indumenti di protezione; • giubbotti di salvataggio per l’industria; • dispositivi di protezione contro le cadute dall’alto. Lo Stesso Comitato Nazionale dell'Albo Gestori Ambientali (già Albo Nazionale Gestori Rifiuti) emanò la Delibera n. 5 del 12/12/01, "Criteri per l’iscrizione all’Albo nella categoria 9: bonifica di siti", integrata poi dalle successive Deliberazioni n. 1 e n. 2 del 11/05/05 e dalla Deliberazione n. 2 del 10/07/06, in cui

individuava alcuni dei requisiti tecnici e di sicurezza di cui devono disporre le società che intendano effettuare tale attività. L’elenco delle attrezzature minime di cui le imprese devono disporre, fissato il valore di dette attrezzature per ogni classe d’iscrizione, è riportato nell’Allegato “A” alla Delibera 12 dicembre 2001, n. 5.

L a scelta del dispositivo di protezione individuale Nella scelta di un DPI bisogna tenere conto, sulla base dell’esperienza, della conoscenza e delle disposizioni di legge, di alcuni parametri e situazioni di utilizzo. In particolare sono necessarie le seguenti valutazioni:


• stima oggettiva del rischio; • stima dell'effettiva capacità del DPI di ridurre il rischio; • stima di quale DPI utilizzare in caso di rischi correlati che generino rischi secondari. Per scegliere i DPI idonei in relazione alle singole attività è necessario disporre inoltre di buone prassi e linee guida, infatti la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro devono inserirsi in un sistema integrato in cui sono coinvolti: il legislatore, il formatore, il fabbricante del DPI, l’organismo notificato accertatore, il datore di lavoro e, non per ultimo, il lavoratore, ovvero l’utilizzatore finale. Si tenga comunque sempre presente che prima di adottare il dispositivo personale, si deve sempre cercare di ridurre il rischio alla fonte e ove non sia possibile si devono privilegiare i sistemi di contenimento e protezione collettivi, tenendo inoltre presente che ogni dispositivo di protezione individuale presenta i seguenti limiti: • non può garantire il 100% della sicurezza; • pone restrizioni alla mobilità e/o alla visibilità; • introduce disagio e, spesso, fatica dovuta al suo peso o alla sua conformazione. Vediamo ora nel dettaglio i principali DPI adottabili nelle operazioni di bonifica, tenendo conto che i tutti i dispositivi devono riportare la marcatura "CE" ed essere corredati da nota informativa su caratteristiche e grado di protezione.

vi sono caschi che per la loro conformazione permettono l'installazione di visiere o cuffie antirumore.

Calzature di sicurezza In generale in ogni cantiere sono necessarie scarpe di sicurezza, alte o basse, con suola imperforabile, protezione della punta del piede, tenuta all'acqua e al calore e suola antiscivolamento. Per lavorazioni con rischio di penetrazione di masse incandescenti fuse, nella movimentazione di materiale di grandi dimensioni e in lavori nei quali il piede può rimanere imprigionato è richiesto lo slacciamento rapido. Nei lavori su superfici in forte pendenza le scarpe di sicurezza devono avere suola continua ed essere antiscivolo.

• meccaniche: schegge, trucioli, aria compressa, urti accidentali; • ottiche: radiazioni ultraviolette, luce intensa, raggi laser; • termiche: liquidi caldi, corpi estranei caldi. Gli occhiali devono avere sempre schermi laterali per evitare la proiezione di materiali o liquidi di rimbalzo o in ogni modo di provenienza laterale. Le lenti degli occhiali devono essere realizzate in vetro o in materiale plastico (policarbonato).

Maschera antipolvere, apparecchi filtranti o isolanti

I pericoli per le vie respiratorie sono essenzialmente di due tipi: • deficienza di ossigeno nella miscela inspirata e/o presenza di gas venefici; • inalazione di aria contenente inquinanti nocivi, solidi (polveri, fibre, amianto), gassosi (fumi e vapori di combustione e di sintesi), liquidi (nebbie prodotte da attrezzature e macchinari). La scelta del tipo di DPI deve essere fatta in relazione al tipo d'attività svolta ed all'agente inquinante presente.

Casco o elmetto di protezione Il casco o elmetto, oltre ad essere robusto per assorbire urti e altre azioni di tipo meccanico, affinché possa essere indossato quotidianamente, deve essere leggero, ben aerato, regolabile, non irritante e dotato di “regginuca” al fine di garantire la stabilità nelle lavorazioni più dinamiche (montaggio e smontaggio ponteggi, montaggio prefabbricati in genere). Il casco deve essere costituito da una calotta a conchiglia, da una bordatura e da una fascia anteriore antisudore. La bordatura deve permettere la regolazione in larghezza. L'uso del casco deve essere compatibile con l'utilizzo di altri DPI eventualmente necessari:

Occhiali di sicurezza e visiere L'uso degli occhiali di sicurezza è obbligatorio ogni qualvolta si eseguono lavorazioni che possono produrre lesioni agli occhi per la proiezione di schegge o corpi estranei o per l'esposizione a radiazioni. Le lesioni possono essere di tre tipi:

In generale sono da utilizzare autorespiratori: nei lavori in contenitori, vani ristretti, cunicoli, qualora sussista il rischio d'intossicazione da gas o di mancanza d'ossigeno; nei lavori di verniciatura a spruzzo senza sufficiente aspirazione; nei lavori in pozzetti, canali o altri vani

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sotterranei nell'ambito della rete fognaria e nei lavori di sabbiatura. Possono essere invece utilizzate maschere antipolvere monouso in presenza di polvere e fibre; respiratori semifacciali dotati di filtro in presenza di vapori, gas, nebbie, fumi, polveri e fibre; respiratori semifacciali a doppio filtro sostituibile in presenza di gas, vapori, polveri.

Otoprotettori (cuffie e tappi auricolari) La caratteristica fondamentale di un DPI contro il rumore è quella di filtrare le frequenze sonore pericolose per l'udito, rispettando nello stesso tempo le frequenze utili per la comunicazione e per la percezione dei pericoli. E' necessario pertanto nella scelta dei DPI valutare prima l'entità e le caratteristiche del rumore tenendo conto inoltre della praticità d'utilizzo per soddisfare le diverse esigenze d'impiego.

La disponibilità di tappi auricolari monouso deve comunque sempre essere prevista. Cuffie, tappi auricolari con e senza archetti e tappi monouso devono riportare il marchio "CE" ed essere corredati da etichetta in cui sia indicato il livello di diminuzione acustica, nonché il valore dell'indice di comfort offerto dal DPI; ove ciò non sia possibile l'etichetta deve essere apposta sulla confezione (imballaggio).

Guanti I guanti devono proteggere le mani contro uno o più rischi o da prodotti e sostanze nocive per la pelle. A seconda delle lavorazioni si deve fare ricorso ad un tipo di guanto appropriato secondo l'elenco riportato di seguito.

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• Guanti contro le aggressioni meccaniche: resistenti a tagli, abrasioni, strappi, perforazioni, al grasso e all'olio; utilizzati nel maneggio di materiali da costruzione, mattoni, piastrelle, legname, costruzioni di carpenteria di legno e metallica. • Guanti contro le aggressioni chimiche: resistenti ai solventi, prodotti caustici e chimici, taglio, abrasione, perforazione ed impermeabili; utilizzati per lavori di verniciatura (anche a spruzzo), manipolazioni di prodotti chimici, acidi ed alcalini, solventi, oli disarmanti, lavori con bitume, catrame, primer, collanti e intonaci. • Guanti antivibrazioni: resistenti al taglio, strappi, perforazioni, e idonei all’assorbimento delle vibrazioni; utilizzati nei lavori con martelli demolitori elettrici o pneumatici. • Guanti per elettricisti: resistenti al taglio, abrasioni, strappi, perforazioni e isolanti elettricamente; utilizzati per interventi su parti in tensione e d'emergenza in presenza d'energia elettrica. • Guanti di protezione contro il calore: resistenti all'abrasione, tagli e anticalore; utilizzati nei lavori di saldatura e di manipolazione di materiali e prodotti a temperatura elevata.

Tute, grembiuli, gambali, copricapo Oltre ai DPI tradizionali, vi sono una serie di indumenti protettivi che, utilizzati in circostanze ed attività lavorative particolari svolgono anche funzioni di DPI. Tra questi ricordiamo: • indumenti di lavoro cosiddetti "di sicurezza" (due pezzi e tuta) per la protezione dell'epidermide da prodotti allergenici, oli minerali, vernici, emulsioni, lavori di saldatura, applicazioni di fibre minerali, manutenzioni meccaniche;

• indumenti di lavoro cosiddetti "di sicurezza" (tuta) monouso per lavori di decoibentazione e/o rimozione di materiali contenenti amianto e di bonifica ambientale in genere; • gambali per lavori in immersione parziale; • giacconi impermeabili e gambali per lavori in sotterraneo in presenza di forte stillicidio; • copricapi a protezione dei raggi solari nei lavori all'aperto quando non necessiti l'uso del casco; • giacconi, pantaloni, impermeabili, gambali, indumenti termici; • indumenti ad alta visibilità: bracciali, bretelle, giubbotti, gilet fosforescenti impiegati nei lavori stradali o in zone a forte flusso di mezzi d'opera, quando sia necessario segnalare individualmente e visivamente la presenza dei lavoratori, devono essere utilizzati indumenti DPI con caratteristiche di alta visibilità, diretta o riflessa, che devono possedere intensità luminosa e opportune caratteristiche fotometriche e colorimetriche; • gilet di sicurezza, giubbe e tute di salvataggio.


Cinture di sicurezza , funi di trattenuta , sistemi d'assorbimento frenato d'energia

Nei lavori presso gronde e cornicioni, sui tetti, sui ponti sviluppabili, sui muri in demolizione, nei lavori di montaggio e smontaggio di ponteggi, strutture metalliche e prefabbricati, nei posti di lavoro sopraelevati di macchine, impianti e nei lavori simili, ogni qualvolta non siano attuabili o sufficienti le misure tecniche di prevenzione e protezione collettiva, si devono utilizzare idonei dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall'alto. Nei lavori in pozzi, fogne, canalizzazioni e attività simili in condizioni d'accesso disagevole e quando siano da temere gas o vapori nocivi, devono essere parimenti utilizzate cinture di sicurezza e funi di trattenuta per l'eventuale soccorso al lavoratore. Tali dispositivi, consistono in cinture di sicurezza con bretelle e fasce gluteali, collegate a funi di trattenuta che limitino la caduta a non più di 5 m. L'uso della fune deve essere accoppiato in generale a dispositivi d'assorbimento d'energia (dissipatori) perché anche cadute da altezze modeste possono provocare forze d'arresto molto elevate. Nei lavori in presenza di corsi e specchi d'acqua, e su natanti, quando non siano attuabili o sufficienti i sistemi di sicurezza atti ad evitare la possibilità di caduta in acqua, devono essere utilizzati indumenti DPI atti a mantenere a galla in posizione corretta le persone cadute in acqua. Tali dispositivi devono essere idonei ad un uso protratto per tutta la durata dell'attività che espone l'utilizzatore ad un rischio di caduta in ambiente liquido.

I SITI INQUINATI Il termine “sito inquinato” o “contaminato” è indicativo di un'area o porzione di territorio, geograficamente definita e delimitata, decodificata in funzione delle diverse matrici ambientali e comprensiva delle eventuali strutture edilizie ed impiantistiche presenti, che evidenzia livelli di contaminazione (o alterazioni chimiche, fisiche o biologiche del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee) tali da determinare un pericolo per la salute pubblica o per l'ambiente naturale o costruito. È inquinato il sito nel quale anche uno solo dei valori di concentrazione delle sostanze inquinanti nel suolo, nel sottosuolo, nelle acque sotterranee o nelle acque superficiali risulta superiore ai valori di concentrazione limite accettabili stabiliti per legge. Tale alterazione è provocata solitamente in maniera diretta dalle attività umane e in alcuni casi da sconvolgimenti climatici legati comunque indirettamente all’antropizzazione. La bonifica dei suoli contaminati in particolare riguarda i metodi di decontaminazione di terreni acque sotterranee dalle sostanze inquinanti, che rilasciate sui terreni o direttamente in falda ne alterano le caratteristiche o ne compromettono le funzionalità originarie. L'obbligo alla bonifica dei siti contaminati è determinato, in Italia, per il responsabile, dal Decreto Legislativo n. 152/2006 e s.m.i., che ha introdotto la possibilità di valutare la pericolosità dell'inquinamento in un sito contaminato tramite l'analisi di rischio. Secondo questo decreto è contaminato un sito nel quale i valori della concentrazione delle sostanze contaminanti superino la concentrazione massima ammissibile determinata con l'applicazione dell'analisi di rischio sito specifica (CSR). Le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) rappresentano quei livelli di contaminazione delle matrici ambientali al di sopra dei quali è necessaria l’applicazione dell’analisi di rischio sito specifica. Nel caso in cui il sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un’area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione, queste ultime si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri superati. Le concentrazioni soglia di rischio sono quei livelli di contaminazione delle matrici ambientali, da determinare caso per caso con l'applicazione della procedura di analisi di rischio sito specifica, il cui superamento richiede la messa in sicurezza e la bonifica. L'analisi di rischio sanitario-ambientale è uno strumento di supporto per la gestione della bonifica dei siti contaminati, che permette di valutare, in via quantitativa, i rischi per la salute umana connessi alla presenza di inquinanti nelle matrici ambientali (aria, acqua, suolo). Non si tratta di una valutazione dei rischi assoluta poiché riguarda situazioni di contaminazione già avvenute e non la probabilità di accadimento delle stesse. Il rischio calcolato è sostanzialmente il risultato della combinazione tra la tossicità dell’inquinante specifico e l’esposizione che interessa il target in questione. L'analisi di rischio si basa sul paradigma sorgentepercorso-recettore. La precisa definizione di quest'ultimo, detto "modello concettuale", è indispensabile per procedere a qualsiasi valutazione successiva. Creare il modello concettuale di un sito contaminato consiste sostanzialmente nel parametrizzare (ovvero semplificare) tutte la variabili che lo compongono. Le tipologie di siti inquinati presenti nella maggior parte dei casi sul territorio italiano sono raggruppabili nelle seguenti categorie: • impianti di distribuzione e depositi di carburanti; • aree artigianali o industriali in disuso o in fase di dismissione; • impianti di riscaldamento privati alimentati a gasolio e/o olio combustibile; • discariche abusive o zone di cava non correttamente riempite; • zone di deposito di rifiuti.

*consulente Ecoricerche s.r.l.

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FIRMATO L’ACCORDO DI PROGRAMMA PER IL RECUPERO DEGLI INERTI Da EXPOEDILIZIA 2009 a MADE EXPO 2010: continua il lavoro di Studi Ambientali, C.N.G. e I.N.T.E.L. per sostenere il riciclaggio dei materiali da costruzione di Anna Montefinese

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l 14 novembre scorso, in occasione di Expoedilizia 2009, è stato presentato alla Fiera di Roma l’Accordo di Programma promosso dall’Associazione Studi Ambientali per il recupero dei rifiuti inerti, finalizzato all’utilizzo di aggregati riciclati certificati nelle attività di costruzioni edili, stradali ed ambientali. Il documento, che è stato sottoscritto dal Consiglio Nazionale Geometri e dall’U.N.I.T.E.L. (Unione Nazionale Italiana Tecnici Enti Locali), ottempera al D.Lgs n. 152/2006 (Testo

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Unico Ambientale), nello specifico degli artt. 179, 180 e 181 i quali prevedono che “le autorità competenti promuovano e stipulino accordi di programma – protocolli d’intesa, con i soggetti economici interessati al fine di favorire il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti”. Gli obiettivi che i sottoscrittori intendono raggiungere sono molteplici, e potranno essere realizzati soltanto attraverso un’azione congiunta che coinvolga i professionisti e i tecnici del mondo delle costruzioni, le imprese e la Pubblica Amministrazione. I cinque punti principali sono stati indicati nel corso del convegno da Francesco Mazzoccoli, vice-presidente del C.N.G.: • riduzione della quantità di rifiuti prodotti e della loro pericolosità mediante l’adozione di modalità e tecniche costruttive e di demolizione effettuate seguendo le indicazioni previste dall’Accordo; • diminuzione del quantitativo totale di rifiuti inerti non pericolosi da costruzione e demolizione avviati in discarica; • prevenzione dei fenomeni di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti inerti sul territorio; • promozione dell’innovazione degli impianti secondo le migliori tecnologie disponibili con lo scopo di realizzare un progressivo

miglioramento delle prestazioni tecniche e ambientali; • miglioramento della qualità dei materiali inerti riciclati, previa attestazione delle loro caratteristiche nel rispetto delle indicazioni contenute nell’Accordo. Il documento stilato prevede diverse misure per la realizzazione degli obiettivi elencati: • l’adozione di tecniche costruttive che implichino un minor ricorso all’utilizzo di materie vergini e prevedano invece l’utilizzo di materiali che – in caso di successivi interventi di ristrutturazione e/o eventuale demolizione – abbiano un minor impatto sulla produzione qualitativa e quantitativa dei rifiuti; • la verifica della conformità alle norme vigenti delle caratteristiche prestazionali degli aggregati riciclati provenienti dal recupero di rifiuti inerti; • l’aumento della quota di rifiuti conferiti agli idonei centri di trattamento e riciclaggio, tramite la creazione di reti efficienti e diffuse di centri di raccolta a servizio delle imprese e dei comuni; • la razionalizzazione ed il potenziamento della rete degli impianti di trattamento attivi, concepiti e gestiti in modo da minimizzarne l’impatto ambientale e opportunamente e razionalmente dislocati sul territorio;


• la selezione e l’avvio a riutilizzo dei residui, che senza pregiudizio per l’ambiente e nel rispetto delle norme vigenti, possano essere utilmente reimpiegati quali materiali e componenti di nuove costruzioni; • la messa a punto di iniziative utili a garantire che la massima quantità possibile di materiali riciclati provenienti dal trattamento dei rifiuti e destinati all’edilizia presentino caratteristiche e livelli di prestazione – attestati e documentati – paragonabili a quelli delle materie prime; • l’adozione di prescrizioni tecniche, voci di capitolato e prescrizioni contrattuali che prevedano l’uso di materiali riciclati in miscela o in sostituzione degli inerti naturali da costruzione, per tutti gli impieghi a cui questi ultimi si dimostrino idonei. L’Accordo prevede inoltre la realizzazione delle seguenti attività:

• la promozione della “Filiera RI-inerte”, che consiste nella realizzazione di Centri di Raccolta e Recupero da parte di imprese e Comuni secondo i Piani Territoriali Regionali; • l’adozione di metodi di riciclaggio e recupero dei rifiuti inerti per garantire l’ottenimento di materiali con caratteristiche merceologiche conformi alla normativa tecnica di settore ed agli standard richiesti dalla Circolare del Ministero dell’Ambiente per gli aggregati riciclati, n. UL/5205/2005; • l’organizzazione di corsi specialistici sulla gestione dei rifiuti in edilizia, rivolti a professionisti, tecnici e operatori del settore. Nel corso del convegno sono state illustrate da Francesco Montefinese (Responsabile Programma RECinert) le modalità per semplificare il sistema di raccolta e recupero dei rifiuti da C&D, oltre alle opportunità per i professionisti e le imprese del settore edile, deri-

vanti dal recepimento della Direttiva Europea 2008/98/CE. La norma del 19/11/2008 impone infatti agli Stati membri di raggiungere entro il 2020 una percentuale di recupero di rifiuti da C&D del 70%. Bernardino Primiani (presidente UNITEL) ha illustrato invece il ruolo dei tecnici degli enti locali, ribadendo come nel caso specifico le responsabilità dei tecnici vadano di pari passo con quelle degli amministratori; una politica mirata al controllo del percorso dei rifiuti edili, attraverso la predisposizione di regolamenti specifici, oltre a limitare i casi di abbandono e degrado, può diventare occasione per produrre materia e ricchezza. La sottoscrizione dell’Accordo segna senz’altro un passo importante ma la via è ancora lunga e per concretizzare i risultati è necessario addentrarsi a fondo nelle problematiche che riguardano gli aspetti ambientali ed economici, la normativa, e le modalità effettive con cui riutilizzare i rifiuti inerti. Proseguendo il lavoro cominciato con il convegno di Roma, Studi Ambientali, in collaborazione con il Raggruppamento RECinert e gli Ordini Professionali degli Ingegneri, degli Architetti e dei Geometri proporrà il 6 febbraio 2010 un nuovo incontro dal titolo “Rifiuti inerti - Terre e rocce da scavo. Gli obblighi dei produttori e della Pubblica Amministrazione”. Il convegno avrà luogo presso la Fiera di Milano, in occasione di MADE EXPO 2010 e l'evento vedrà la partecipazione di esperti e professionisti di settore che presenteranno le proprie esperienze concrete. Tutte le informazioni relative all’incontro e il programma del convegno sono reperibili sul sito web dell’Associazione Studi Ambientali, www.studiambientali.org e su www.madeexpo.it. Il convegno "RIFIUTI INERTI - TERRE E ROCCE DA SCAVO" ha ottenuto il riconoscimento della Direzione Generale di Legambiente quale “sistema concreto e innovativo per ridurre il degrado ambientale” e dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (www.eea.eu.int) quale iniziativa “rivolta contestualmente alla tutela ambientale e sviluppo sostenibile”.

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Green Energy Economy Act in Canada Il Canada avvia la “Green Economy” e prepara un nuovo accordo economico e commerciale con l’Unione Europea di Anna Montefinese

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l Canada, e più precisamente il Governo provinciale dell’Ontario, ha emanato il 23 febbraio 2009 il Green Energy Economy Act, il primo testo unico adottato nel settore energetico nel Nord America. È una legge pensata per stimolare le relazioni d’affari e l’ingresso di nuove tecnologie ambientali nel mercato. Il documento promuove i meccanismi per un’equa partecipazione delle fonti di energia rinnovabili nello sviluppo sostenibile del settore di innovazione energetica. Nel testo si garantisce la connessione alla rete di energia elettrica alle aziende specializzate in fonti cosiddette “verdi”, che presentino progetti efficienti in termini di costi e recupero degli investimenti. Si tratta di un processo che porta alla creazione di nuovi posti di lavoro, aiutando lo sviluppo economico, la produzione di energia sicura e sistemi di protezione dell’ambiente. Fra gli incentivi economici per le aziende del settore ci sono finanziamenti agevolati per i nuovi progetti energetici, proporzionali all’investimento e senza alcuna limitazione. In questo modo le autorità canadesi vogliono stimolare l’efficienza energetica e la conversione a bassi costi per i nuovi sistemi generatori di energia. Finalmente, il 25 settembre scorso, è stato lanciato il Programma di Incentivazione per la generazione di energie rinnovabili “Feed-in Tariff Program” (FIT), come risultato della promulgazione del Green Energy Economy Act. Sono già stati individuati i parametri di pro-

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duzione di energia verde per i prossimi sette anni, nonché quelli di riduzione di emissioni e consumi per le energie “inquinanti”, come ad esempio la diminuzione del 30% del consumo di gas naturale per il 2017. La proposta del programma Feed-in Tariff (FIT) è una struttura di un fondo garantito che combina prezzi competitivi e stabili con contratti a lungo termine per generare energia usando risorse rinnovabili. I proprietari di case, i titolari di aziende e i privati che fanno già uso di una o più forme di energia rinnovabile - comprese l'energia eolica, idrica, biomassa e biogas, solare e fotovoltaico (PV) – possono fare richiesta per i fondi del Programma FIT. A tal fine poniamo l’accento sul successo degli incontri preparatori tra il Canada e l’Unione Europea per la stipula di un nuovo accordo economico-commerciale. In questa prima fase si lavora all’individuazione dei settori e delle tematiche di comune interesse: il commercio

e le barriere commerciali, la politica sanitaria e fito-sanitaria, la regolamentazione dell’origine dei prodotti, gli investimenti, la proprietà intellettuale, lo sviluppo sostenibile, l’omologazione e le certificazioni, i diritti dei lavoratori, la responsabilità aziendale e diverse altre tematiche. Nel 2008 l’export canadese verso l’UE ha raggiunto i 32,8 miliardi di euro, men-


tre le importazioni dall’UE sono ammontate a 39 miliardi di euro. Diversi studi e statistiche dimostrano che la liberalizzazione del commercio bilaterale di beni e servizi fra UE e Canada potrebbe generare, entro il 2014, un incremento del 20% del PIL del Paese nordamericano, pari ad un aumento di 5,1 miliardi di euro. L’importanza dell’interscambio commerciale tra Canada e Unione Europea è un dato che risulta con evidenza da statistiche di fonti diverse, anche in presenza di parametri non omogenei. Per il Canada, i Paesi UE sono i secondi investitori diretti, dopo gli USA, con un ammontare di 83,2 miliardi di euro nel 2008, mentre il 21,5% circa di 85,4 miliardi di euro d’investimenti canadesi diretti all’estero hanno come destinazione l’Unione Europea.

Secondo la classifica Eurostat invece, il Canada rappresenta la terza destinazione degli investimenti europei ed occupa il quarto posto nella classifica dei maggiori investitori nella UE. Fonti ufficiali del Governo centrale canadese riferiscono inoltre di ritenere prioritari i rapporti economici con l’UE, soprattutto alla

luce della difficile congiuntura attraversata dagli USA, principale partner economico canadese. Un accordo economico fra UE e Canada contribuirà certamente ad incrementare e migliorare l’interscambio in settori chiave come quello dei beni di consumo, le tecnologie aerospaziali, la chimica, la tecnologia avanzata, e ancora i settori del legno, dell’alluminio, dei veicoli leggeri e le loro componenti, i trasporti, l’engineering e l’informatica, senza tralasciare il settore agricolo e la tutela alimentare. Le prospettive che si aprono su entrambe le sponde dell’Atlantico saranno praticabili a partire dalla firma dell’accordo, che in tal modo rappresenterà uno degli strumenti più dinamici per raggiungere mercati ed opportunità fino ad oggi risultavano limitate.


vetrina

LE BENNE FRANTOIO MB ATTRAVERSANO L’INDIA

Verrà costruita la prima autostrada sulla linea indiana Hyderabad-Bangalore con le benne frantoio MB, prodotti che si distinguono per le loro caratteristiche uniche ed inconfondibili. L’autostrada si svilupperà per circa 600 km con 3 corsie per senso di marcia e rappresenterà un importante cambiamento per i trasporti in India che si sono svolti sino ad oggi principalmente per via marittima. MB S.p.a., leader mondiale nella produzione e vendita di benne frantoio, vede in questo nuovo progetto una svolta positiva per il Paese indiano, sia dal punto di vista commerciale che economico, il tutto nel rispetto dell’ambiente – tematica che viene al primo posto nella filosofia dell’azienda breganzese (in fase di certificazione ISO 14001). Non a caso le sue benne funzionano sfruttando l’impianto idraulico degli escavatori su cui vengono montate consentendo una notevole riduzione dei costi di trasporto e di smaltimento dei rifiuti permettendo così il riciclaggio del materiale inerte. Per la costruzione dell’autostrada si è scelto di utilizzare la benna BF120.4, che permetterà la creazione dello stabilizzato da fondo ogni 50 km. La peculiare caratteristica della BF120.4, è quella di essere l’unica attrezzatura in grado di rimpicciolire il granito già frantumato da 20 a 4 cm, rendendo così agevolato e versatile il lavoro.

SGS CONSEGNA IL MERIT AWARD A SCAVOLINI

Il 17 dicembre scorso presso il nuovo Store di viale Enrico Martini a Milano, Scavolini S.p.a ha ricevuto il prestigioso merit award, un ambito riconoscimento conferito da SGS Italia alle imprese che si distinguono per un esemplare controllo della qualità e per l’attenzione all’ambiente, alla sicurezza e alla responsabilità sociale. Fondata un secolo e mezzo fa, nel 1878, SGS è la multinazionale leader mondiale nei servizi di ispezione, verifica, analisi e certificazione ed è presente in Italia come organismo indipendente dal 1915, con 21 uffici e 8 laboratori. Cesare Nebuloni, Marketing and Sales Manager di SGS Italia, nel corso della cerimonia di consegna del certificato ha commentato così l’impegno dimostrato da Scavolini: “L’azienda non ha solamente curato la qualità dei propri prodotti e dei processi produttivi, ma si è preoccupata anche di tanti altri aspetti che coinvolgono tutta la comunità: il rispetto per l’ambiente e per i propri lavoratori, garantendo loro salute e sicurezza. Il raggiungimento di queste certificazioni comporta per l’impresa un lavoro notevole, che non finisce mai. Alla base c’è il concetto di miglioramento continuo, in cui ogni traguardo è un punto di partenza. Miglioramento continuo significa anche elevare i obiettivi: l’azienda deve fare tesoro delle esperienze per migliorare se stessa e tutto il personale che opera al suo interno”

SILEA: monitoraggi, valutazione dei rischi e amianto SILEA s.r.l., Società per l’Igiene Industriale del Lavoro, l’Ecologia e l’Ambiente, dal 1997 risponde in modo dinamico alle esigenze emergenti delle piccole, medie e grandi imprese. Vanta in particolare un’approfondita esperienza nel monitoraggio ambientale e nella valutazione dei rischi di esposizione alle fibre cancerogene di amianto, servizi sempre più richiesti da realtà pubbliche e private. SILEA possiede un proprio laboratorio di analisi chimiche, microbiologiche e specifiche sull’amianto, riconosciuto dal Ministero della Sanità. Il laboratorio è accreditato dal SINAL secondo la norma ISO/IEC 17025. Uno dei maggiori punti di forza della società è il confronto continuo e aggiornato con gli Organi di Controllo istituzionali (ASL, ARPA) e con strutture pubbliche di alto livello (ISPRA, Politecnico di Milano, Università di Bologna, Università di Milano). Il risultato è una risposta seria alla sfida lanciata al mercato da un nuovo sviluppo, che trasforma in risorsa il rispetto dell’ambiente e della salute.

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FORREC GUARDA AL FUTURO CON OTTIMISMO

“Forrec chiude il 2009 con un bilancio ampiamente positivo”. Questo il commento a caldo di Sandro Dengo, uno dei soci fondatori di Forrec, l'azienda trevigiana che produce macchine e impianti per il riciclo e la trasformazione dei rifiuti. Creata nel 2007 da un team di professionisti con un solido background tecnico, Forrec è riuscita in poco tempo a raggiungere posizioni di primo piano nel mercato. “Nonostante la crisi si sia fatta sentire anche nel nostro settore - dice Sandro Dengo - non abbiamo mai smesso di credere in un progetto industriale che punta sulla qualità del prodotto e, nello stesso tempo, sull'affidabilità e sulla professionalità dei servizi. Il mercato sembra averlo capito e i risultati positivi ci permettono di guardare al futuro con interessanti prospettive di sviluppo”. Con oltre trenta diversi modelli tra trituratori, macinatori e granulatori industriali e con una serie di impianti per i più diversi tipi di riciclaggio, Forrec copre ogni settore nel campo dei rifiuti solidi: dalla plastica ai rottami metallici, dai RAEE ai frigoriferi, dagli RSU ai pneumatici, senza trascurare nicchie particolari come filtri olio, toner, scarti di alluminio e molti altri. “Il nostro staff è stato tra i primi in Italia a concentrarsi sulla ricerca e a progettare tecnologie innovative per il riciclaggio - continua Sandro Dengo - Questo ci ha permesso di accumulare un prezioso know-how che ora ci mette nelle condizioni di produrre macchine dalle caratteristiche uniche e in grado di rispondere in pieno alle esigenze degli operatori". www.forrec.it

Gruppo Cosmo: soluzioni edili, stradali e ambientali Fondato nel 1960 da Gino Cosmo ed attualmente gestito dai figli, il Gruppo Cosmo è leader nel settore degli scavi, delle demolizioni edili, delle stabilizzazioni dei terreni e nel trattamento di recupero dei rifiuti speciali, sia in ambito pubblico che privato. Nel gruppo possiamo distinguere le divisioni Cosmo Scavi, Cosmo Ambiente e CRS s.r.l. Cosmo Scavi è specializzata nella realizzazione di strade ed autostrade, anche attraverso la stabilizzazione dei terreni in loco; esegue inoltre demolizioni di opere civili ed industriali, la posa in opera di acquedotti, gasdotti, oleodotti, condotte industriali e costruisce discariche. Cosmo Ambiente si occupa principalmente del recupero di rifiuti speciali quali ad esempio terreni da bonifica e materiali da demolizione, che vengono reimpiegati attraverso un trattamento tecnologico nel campo delle infrastrutture. Dispone infatti di un impianto per rifiuti speciali, regolarmente autorizzato, che si estende su di un’area di 60.000 mq di cui 13.000 mq coperti, all’interno dei quali vengono eseguiti i trattamenti per l’ottenimento di materie prime inerti, manufatti in cemento e agglomerati cementizi. L’azienda inoltre è attiva nella realizzazione del mantenimento e della salvaguardia del territorio, nella bonifica del sottosuolo e dei materiali contenenti amianto. CRS s.r.l. opera nell’attività di analisi chimiche e geotecniche oltre a dedicarsi allo studio e alla ricerca di nuovi materiali e/o prodotti realizzati da materiali di recupero in sostituzione alle materie prime tradizionali. Il laboratorio è accreditato Sinal al nr. 1000.

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Organizzato da:

precious water

In collaborazione con:

Salon of Gas Transport and Distribution

Ferrara, Italia

19-21 maggio 2010

X MOSTRA INTERNAZIONALE delle tecnologie per il trattamento e la distribuzione dell’acqua potabile e il trattamento delle acque reflue


MADE Expo

2010

convegni

Rho (MI) dal 3 al 6 febbraio

Appuntamento con il futuro a Made Expo 2010, il salone internazionale dedicato al mondo delle costruzioni e del progetto. La terza edizione, in programma dal 3 al 6 febbraio a Fiera Milano Rho, vedrà la partecipazione di 1600 espositori, di cui 213 esteri, e un fitto e articolato programma di convegni ed eventi. Fulcro della manifestazione sarà il grande Forum sulla Tecnica delle Costruzioni e l’Ingegneria Strutturale, a cui si affiancheranno Civitas (un originale spazio multifunzione che richiama l’antica agorà, dedicato all’involucro edilizio), Borghi e Centri Storici, per promuoverne la riqualificazione a livello nazionale, InstantHouse, il concorso per gli studenti di Architettura, Ingegneria e Industrial Design promosso da FederlegnoArredo srl, e ancora Europolis, Decor & Color Show, MADE Sicura, l’area dedicata al tema della sicurezza in cantiere, e molte altre iniziative, con lo sguardo rivolto all’Expo 2015. www.madeexpo.it

Intersol

Parigi dal 16 al 18 marzo

La nona edizione di Intersol, la mostra-convegno internazionale dedicata a Suolo, Sedimenti e Acque, si apre con una domanda: Is soil a waste? Il suolo è un rifiuto? La provocazione è il punto di partenza per affrontare le tante questioni legate al settore bonifiche, che saranno discusse all’interno di tre sessioni di convegni: la prima sarà dedicata alle sfide ambientali, sanitarie e giuridiche, la seconda alle bonifiche e alla Green remediation, l’ultima ai trasferimenti di responsabilità fra i diversi stakeholders del settore. www.intersol.fr

Analytica

Monaco di Baviera dal 23 al 26 marzo

Analytica è la più grande mostra mercato mondiale dedicata alla strumentazione analitica, di laboratorio e alle biotecnologie. Questa ventiduesima edizione consentirà alle industrie leader del settore di presentare i prodotti più innovativi e le migliori tecnologie messe a punto, avvalendosi del supporto dei tanti tecnici e ricercatori che avranno modo di esporre le proprie idee all’interno delle conferenze e dei forum programmati nei tre giorni. Segnaliamo inoltre l’organizzazione del Job Day, che offre ai giovani professionisti la possibilità di farsi conoscere dalle aziende del settore, attraverso incontri e colloqui. www.analytica.de

Bauma

Monaco di Baviera dal 19 al 25 aprile

Ventinovesima edizione per la più grande fiera mondiale dedicata a macchinari e materiali da costruzione e all’industria estrattiva. Il Bauma 2010 si svolgerà a Monaco dal 19 al 25 aprile, presso il New Trade Fair Centre, uno spazio espositivo di 555.000 m² che accoglierà più di 3.000 aziende da tutto il mondo, confermandosi così l’evento chiave del business internazionale. L’edizione 2007 aveva registrato la presenza di 500.000 visitatori da più di 190 Paesi, un numero destinato a crescere anche questa volta. Oltre agli stand delle imprese, il Bauma ospiterà interessanti forum di esperti che aiuteranno i visitatori ad orientarsi nel mercato del settore. www.bauma.de

Sep

Padova dal 21 al 24 aprile

SEP Systems for Environmental Projects, il forum triennale italiano dedicato all’Ambiente si terrà Padova dal 21 al 24 aprile 2010. Durante quattro giorni di aggiornamento e confronto, gli organizzatori affronteranno le problematiche più importanti poste dal principio di sostenibilità ambientale, strumento essenziale al rilancio del mercato e delle imprese. Al forum saranno presenti le aziende più attive sul piano della promozione, formazione e comunicazione ambientale, che si confronteranno sui modelli di gestione e sugli investimenti nell’innovazione tecnologica. Questa edizione mette l’accento sul tema Città e Ambiente: dalla gestione dei rifiuti al recupero delle aree dismesse, si discuterà di come ridurre i costi e migliorare concretamente la qualità della vita nelle metropoli sempre più inquinate. www.seponline.it

Sustainabilitylive!

Birmingham dal 20 al 22 aprile

Sustainabilitylive! è una rassegna internazionale dedicata all’Ambiente, che comprende cinque diversi eventi, BEX, ET, IWEX, NEMEX e SB, ospitati contemporaneamente nel grande National Exhibition Centre di Birmingham. BEX (Brownfield Expo) è il salone delle bonifiche e del recupero delle aree dismesse; ET (Environmental Technologies) è la fiera dei macchinari e delle tecnologie per l’ambiente; IWEX (International Water & Effluent Exhibition) è l’evento dedicato all’industria che ruota attorno alla risorsa acqua; NEMEX (National Energy Management Exhibition) punta invece al settore delle energie rinnovabili, mentre SB (Sustainable Business), la novità 2010xx, è il salone dedicato alle industrie che hanno deciso di adottare modelli di gestione ecocompatibili, riducendo sprechi, costi e inquinamento. Forum, conferenze ed aree interattive accompagnano tutte le sezioni della rassegna. www.sustainabilitylive.com

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libri

GIS e ambiente, Guida all’uso di ArcGIS per l’analisi del territorio e la valutazione ambientale a cura di Giancarlo Graci, Paolo Pileri e Marco Sedazzari

Dario Flaccovio Editore s.r.l. (pagine 268 – € 35,00) GIS e ambiente è un manuale per studenti e professionisti basato su un approccio alternativo: gli autori sono partiti dalla consapevolezza che la capacità di immaginare e definire un progetto a computer spento debbano necessariamente venire prima dell’abilità nell’uso di qualunque software professionale. Il volume è rivolto principalmente a chi si approccia ad ArcGIS per la prima volta, ma che si rivela estremamente utile anche per i più esperti. E’ suddiviso in tre sezioni: un’introduzione ai GIS e ai dati di base per le analisi territoriali; una seconda parte dedicata al calcolo e alla rappresentazione dei diversi indicatori ambientali e territoriali; un’ultima nutrita sezione che spiega nei dettagli l’utilizzo di strumenti e procedure, dall’interfaccia delle varie applicazioni di ArcGIS alle analisi raster. L’obiettivo del manuale è fornire agli utenti tutte le conoscenze necessarie per calcolare e rappresentare gli indicatori più impiegati, imparando ad utilizzare i comandi specifici e tutte le possibili scorciatoie. Numerose riproduzioni delle schermate del software affiancano le spiegazioni passaggio dopo passaggio, rendendo la guida particolarmente efficace per lo studio.

DEMOLIZIONI CIVILi E INDUSTRIALI: LINEE GUIDA – BRACCI ALTI a cura di Ivan Poroli

NAD Associazione Nazionale Demolitori Italiani (pagine 59 – € 25,00) Si chiamano Ultra-high-demolition-boom: sono i bracci alti per escavatori da demolizione, nati negli anni 60 dall’ingegno dei primi imprenditori demolitori, ed oggi strumenti insostituibili per chi si trovi ad operare nel settore della demolizione controllata. Il secondo volume della collana NAD è interamente dedicato ai bracci alti e affronta in modo organico molte domande relative alla sicurezza, ai requisiti tecnici e all’utilizzo di tali macchinari. L’obiettivo della pubblicazione è fornire un supporto a tutti gli operatori del settore, raccogliendo informazioni utili per ogni fase della demolizione, dalla valutazione dei rischi all’applicazione operativa. Il volume è provvisto di numerose tabelle che sintetizzano le principali possibilità e modalità applicative degli escavatori, confrontandone caratteristiche e funzionalità, senza tralasciare le operazioni di trasporto e posizionamento della macchina. Inoltre, presenta una panoramica di tutte le principali dotazioni di sicurezza e dei necessari controlli, includendo anche i dispositivi che non sono attualmente obbligatori per legge ma che rappresentano esempi di buona prassi che sarebbe consigliabile non dimenticare.

RIFIUTI E SITI CONTAMINATI a cura di Salvo Renato Cerruto

Legislazione Tecnica s.r.l. (pagine 336 – € 36,00) Rifiuti e siti contaminati è una guida attraverso l’intricata selva della normativa ambientale, spesso di difficile interpretazione. Il volume – aggiornato al D. Lgs. n. 208/2008, convertito nella Legge n. 13 del 27 febbraio 2009 – raccoglie tutta la legislazione vigente in materia di bonifiche e gestione rifiuti e si fonda sull’analisi del testo di legge del D. Lgs. n. 152/2006, le cui successive modifiche vengono puntualmente segnalate in nota. Il testo tratta in modo approfondito le competenze della gestione rifiuti, il servizio di gestione integrata, il tema autorizzazioni ed iscrizioni e le procedure semplificate, capi raccolti nel titolo I del decreto. Gli altri titoli riguardano la gestione degli imballaggi, le categorie di rifiuti particolari, la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, la bonifica dei siti contaminati e il sistema sanzionatorio. Grazie al ricco apparato di note, giurisprudenza di riferimento e commenti orientativi del curatore Salvo Renato Cerruto, la guida si presenta come uno strumento di grande utilità per tutti i professionisti del settore.

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PeVmedia.com

ecologia energia TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’ECOLOGIA TESECO viene fondata nel 1984 e sin dal suo esordio opera nel settore ecologico. Recupero della materia, recupero di aree inquinate e produzione energetica da fonti rinnovabili sono i cardini dell’impegno TESECO, da sempre al servizio dell’ambiente. TESECO è interlocutore unico partner ideale in grado di agire con competenza, professionalità e passione nella gestione dei rifiuti speciali e nella bonifica di aree inquinate. TESECO è certificata UNI EN ISO 9001, UNI EN ISO 14001, OHSAS 18001 TESECO è a Pisa, Torino, Milano, Trieste, Terni, Brindisi e Messina.

TESECO – trattamento rifiuti TESECO è leader in Italia nel settore di trattamento dei rifiuti speciali e delle bonifiche di siti contaminati. L’azienda gestisce, nella propria sede di Pisa, una piattaforma polifunzionale per lo stoccaggio ed il trattamento dei rifiuti speciali e delle acque e dei terreni contaminati tra le più complete ed efficienti presenti nel Paese con l’impiego di impianto di inertizzazione; lavaggio terreni (soil washing); impianto di triturazione e adeguamento volumetrico; impianto chimico-fisico; impianto biologico; laboratori di analisi.

TESECO – Bonifiche Presente con i propri cantieri in tutta Italia TESECO costituisce un punto di riferimento insostituibile per il trattamento di aree contaminate con assoluta certezza della qualità e affidabilità del lavoro svolto, nel rispetto dei limiti tabellari imposti dalla normativa. Proponiamo alla committenza due diligence ambientale e analisi del rischio; indagini ambientali; bonifiche suolo e sottosuolo; gestione delle emergenze ambientali; global service ambientale; lavori a mare; riqualificazione ambientale.

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TESECO Bonifiche da amianto TESECO affianca i clienti nelle operazioni di censimento della presenza di amianto in siti produttivi, strutture edili e navali, redige la mappatura del sito ed i progetti di bonifica, esegue gli interventi di messa in sicurezza o rimozione dei materiali e la loro sostituzione.

TESECO Energia TESECO è partner unico e qualificato in tutti i passaggi necessari per semplificare, ottimizzare e garantire alte prestazioni a chi scelga le potenzialità energetiche fotovoltaiche. L’azienda si pone come interlocutore capofila per la progettazione, realizzazione e gestione di centrali a biomasse per la produzione di energia elettrica, garantendo controllo e logistica nella scelta dei combustibili.

TESECO Sistema Integrato Qualità Ambiente Sicurezza Oggi TESECO è in grado di offrire la sua consulenza per l’ottenimento e il mantenimento delle certificazioni in base alle esigenze dell’azienda, in conformità alle normative vigenti e secondo i canoni:

... informazione e visibilità hanno nuovo PESO

UNI EN ISO 9001 • UNI EN ISO 14001 • OHSAS 18001 Il servizio di consulenza TESECO si arricchisce con l’offerta di corsi di formazione su Qualità, Ambiente e Sicurezza in grado di soddisfare ogni tipo di committenza.

Sede Legale, Direzione Generale, Tecnica e Operativa Via C.L. Ragghianti, 12, Pisa. Tel. 050 987511 - Fax 050 987575

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È DI NUOVO ON-LINE IL PORTALE DI INFORMAZIONE E AGGIORNAMENTO SUL MONDO DELLE BONIFICHE E DEI RIFIUTI.


SIA – Saccenti Ingegneria Ambientale: gestione e valutazione dei danni da inquinamento, progettazione con modellazione grafica del plume di inquinamento, progettazione ed esecuzione elaborati ai sensi del D.Lgs. 152/06, gestione dei rifiuti. Alcune Referenze: UGF Assicurazioni spa, AXA Assicurazioni, Assicuratrice Edile spa, Augusta Assicurazioni spa, Assicurazioni Generali spa, Fata Assicurazioni spa, Assitalia spa, Toro spa, P.C.A. broker, AON broker, Federtrasporti, APOGEO broker.

Operiamo in tutta Italia

Servizi: • immediato sopralluogo sul posto (possibilmente ancor prima dell’intervento dell’impresa di bonifica) • scelta dell’impresa da fare intervenire, in relazione alle prepattuizioni sottoscritte fra l’impresa e la Compagnia • controllo costante sul luogo della bonifica di 1° intervento • prelievo campioni da analizzare presso laboratorio di ns. fiducia • stesura piano di caratterizzazione da sottoporre agli Enti in Conferenza dei Servizi • contabilità lavori eseguiti • valutazione danni a terzi

Le nostre sedi: Tortona Biella Milano Genova Montecarlo Torino

Piacenza Parma Bologna Ferrara Alessandria Roma

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Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 3 n. 7 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

rapida esigenze

LA RISPOSTA ALLE VOSTRE

gennaio - febbraio 2010 anno III numero 7

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SACCENTI INGEGNERIA AMBIENTALE

Siti di interesse nazionale Le attività di decommissioning del sito Ex Stoppani Report amianto I risultati della Conferenza Mondiale Caratterizzazione ambientale Criteri tecnici e operativi nelle fasi di indagine

Real Estate e brownfields: opportunità e prospettive per il recupero di aree dismesse

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15057 Tortona (AL) – Corso Coppi, 42 – tel. 0131-821470 – fax. 0131-861974 – info@saccenti.it w

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gennaio - febbraio 2010


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