Machiavelli Espresso V

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Cinema

BELLEZZA za vuota che rappresenta un “mulinello di insensatezza”, dove la non-comunicazione, l’ipocrisia, il gioco di ruolo sono al loro apice. Jep ne è pianamente consapevole e dalle sue parole emerge tutta la sua fragilità. La fragilità di un uomo che sa di assistere a qualcosa che non ha senso. Lo stesso che chiede ad alti prelati consiglio su questioni legate alla spiritualità, alla vita, alla morte, all’esistenza. Queste domande rimangono però inevase. E i trenini corrispondono al desiderio di evadere continuamente questi interrogativi. Jep si sente vuoto, senza motivazioni e obiettivi, sempre più lontano dalla grande bellezza. Ma è proprio la sua fallimentare ricerca del senso della vita la ragione per cui ha perso la capacità di scrivere, per cui dissipa il suo talento sedotto e deresponsabilizzato dal vizio. Dietro di sé lascia una scia di occasioni mancate e coltiva una grande passione per gli sbagli, giustificandosi che tanto è tutto inutile. Ma Jep in realtà si nasconde da quella sua parte sentimentale con cui non ha fatto i conti e che si libera emblematicamente al funerale del figlio di un’amica, dove, contrariamente alle sue stesse regole,

Jep piange. Qualcosa di importante esiste: sono il sentimento e le emozioni alla base di tutto, recuperate attraverso il ricordo. Jep capisce che non dimenticare il suo primo amore, riscoprire l’intensità della sua prima volta una notte d’estate gli permette di ritrovare quel senso che ha tanto ricercato. E la Grande Bellezza è proprio questo: il ricordo dell’attimo decisivo. È l’indimenticabile, tutto ciò che rimane impresso nella memoria. Ricostituendosi con esso si assapora l’importanza di un momento passato. Si ritrova il senso “sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore”, svelando “il silenzio e il sentimento. L'emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza.” Perché la vita è perlopiù uno spreco di tempo, i cui momenti decisivi sono tanto brevi da non esistere quasi, ma in realtà sono l’unica cosa che si trattiene e per cui vale la pena di vivere. Jep la definisce un trucco, ossia che nasconde il proprio senso, sembra farlo sparire e non esistere, ma, sotto il velo, c’è. E a questa conclusione arriva soltanto dopo aver riscoperto il suo momento decisivo. Jep ritrova le parole per scrivere, e attraverso di esse può, forse anche illusoriamente, mettere ordine in un mondo che sembra non averlo.

accostare la grandezza del passato alla decadenza delle feste, che non sono metafora di un paese in crisi, ma di uno smarrimento interiore dell’uomo; di giocare con la necessità di Jep di riconciliarsi col sublime. Ma a differenza di quella de La Dolce Vita di Fellini, realistica e fissata in un periodo preciso, la Roma di Sorrentino è quasi metafisica, aldilà del tempo, e con una forte dimensione romanzesca. Il vero punto di contatto con Fellini, a cui troppo grossolanamente si è paragonato, consiste semmai nel rappresentare, come ne La Dolce Vita, mondi che suscitano smarrimento per un’esistenza apparentemente priva di obiettivi, eppure che trasuda piacere, erotismo e suadenti promesse. Nel raccontare quell’ambiguo sentimento di attrazione indissolubilmente legato al rifiuto. E l’arrivare, come in 8½, a conclusioni ottimistiche. La Grande Bellezza non è quindi un seguito de La Dolce Vita, né un remake; è un film che deve molto a Fellini ma che sa distaccarsene seguendo una direzione del tutto personale e che consiste nell’opera più matura di Sorrentino. Roma è la scenografia perfetta Marco Ridolfi che permette a Sorrentino di II C LC

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