Lettere a Kisima 2020

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“Nessuno è felice come Dio, nessuno fa felice come Dio: Dio è Felicità Infinita! (S.Agostino)

Lettere a Kisima

Le campane di Taizè dove è nata Kisima

Lettere a Kisima

(2015 - 2019)

Il cammino di una “piccola comunità” nella città

Chi desidera copia del libro può telefonare a: Parrocchia San Secondo, tel. 011 543191


Sopra: una prova di canto in cappella

Sopra: a Pragelato, Il nostro fondatore Don Mario con il diacono Franco A sinistra: un incontro nel prato della Casalpina A destra: la cappella della Casalpina San Secondo a Pragelato

A destra, in alto: una escursione in Val di Thures A destra: la cappella dell’Opera Madonnina del Grappa a Sestri Levante A fianco: TaizÊ


Sopra: una prova di canto in cappella

Sopra: a Pragelato, Il nostro fondatore Don Mario con il diacono Franco A sinistra: un incontro nel prato della Casalpina A destra: la cappella della Casalpina San Secondo a Pragelato

A destra, in alto: una escursione in Val di Thures A destra: la cappella dell’Opera Madonnina del Grappa a Sestri Levante A fianco: TaizÊ


Lettere a Kisima

“Nessuno è felice come Dio, nessuno fa felice come Dio: Dio è Felicità Infinita! (S.Agostino)

Lettere a Kisima

Il cammino di una “piccola comunità” nella città

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Lettere a Kisima (2015 - 2019)

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Gennaio 2020 “Io sono la luce del mondo” (Gv 9,5) Cari amici, dopo il primo libro “Lettere a Kisima”, che descrive il cammino della nostra Comunità negli anni 1973-2003 3 dopo il secondo, che narra la vita degli anni 2004-2014, ecco il terzo volume, che cerca di raccontare gli anni 2015-2019. Ho aggiunto qualche lettera che non era stata inclusa nelle precedenti raccolte, e il documento della Diocesi di Torino che ci ha riconosciuti canonicamente come Associazione Privata di Fedeli nel novembre 2016. È per noi una grande gioia sapere di essere in particolare comunione con il nostro Arcivescovo, il Pastore che ci guida con i suoi insegnamenti, la sua preghiera e la sua testimonianza di vita. Kisima è una piccola comunità nata a Taizé nel 1973, per un’intuizione che ci ha guidati in questi anni a vivere insieme nella fede, nella fraternità e nella festa di Dio, il Signore Risorto. Le lettere esprimono la vita e il cuore; vogliono essere un piccolo segno di ringraziamento al Signore e un dono reciproco per sostenerci gli uni gli altri. Viviamo in una società molto confusa sia nel pensiero che nei comportamenti e dobbiamo aiutarci ad attingere nel Vangelo e nella vita della Chiesa la luce e la forza per una testimonianza umana e cristiana sempre più vissuta nella semplicità e nella fraternità dei rapporti vicendevoli. Frequentando Taizé, dove continuamente si invita alla semplicità, alla misericordia, alla festa del cuore e della vita, cerchiamo di attingere queste luci e queste grazie, per vivere uniti nel Signore e il più possibile fra noi, per essere al servizio dei fratelli e delle sorelle, specie dei più soli e sofferenti. Mi auguro che lo Spirito ci aiuti a discernere sempre più come possiamo vivere la nostra Regola, che ci illumina nel cammino. Chiedo a tutti voi, cari amici, una preghiera per Kisima, affinché possiamo sempre più adempiere nel Signore il nostro Sì per essere più uniti a Lui e nella comunione fraterna. Affidiamo alla Vergine la nostra piccola Kisima, certi che Lei saprà donarci il “vino nuovo” che il Signore quotidianamente dà ai cuori. Grazie a tutti voi Don Mario

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Settembre 1981 1 - Bere alla sorgente Carissimo/a, il sentiero per la nostra Kisima è tracciato, chi lo percorrerà? Chi berrà alla sorgente? Penso che risponderà di SI chi ha un cuore di bimbo! Dio chiama i puri di cuore; Lui ha bisogno solo di un luogo pe regnare: il cuore. Dov’è il tuo cuore? È nel Signore e nella Vergine, è per loro? Allora puoi venire, sei chiamato. Il Signore dice a te: “Va, vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi” Vuoi con il tuo cuore cercare Gesù per tutta la vita? Vuoi fare della tua vita un dono al Signore per la tua salvezza e quella del mondo? Vuoi spendere i tuoi anni e le tue forze per i poveri, i giovani, la gente di S. Secondo? Vuoi cercare di essere “sorgente” di gioia fresca, nuova, viva per tutti? Vuoi essere “il sorriso di Dio”, il testimone della Risurrezione? Se tu senti in te, nel tuo cuore, questa voce di Dio che ti chiama, vieni Dio chiama dentro, nel cuore: è il cuore che ti rivelerà la strada, i passi che tu con i tuoi fratelli e sorelle dovrai compiere, verso la beatitudine eterna. Ascolta il tuo cuore, mettilo nel cuore di Dio e della Vergine, e saprai discernere! Non temere il futuro, non rimpiangere il passato, non scavare in te nel rimpianto o nel rimorso per ciò che hai fatto di male e non hai fatto di bene, ma accogli la pace di Gesù che ti dice: “La pace sia con te”! Partire è bello se la meta è grande. Cosa c’è di più bello e di più grande nella vita di un cammino nel Signore con dei fratelli e delle sorelle che ti amano? Cosa c’è di più affascinante di una vita vissuta con il Signore e per il Signore, nella lode e nel servizio di Dio? Cosa c’è di più beatificante del cuore di Dio nel tuo cuore? Incamminati con quest’unica meravigliosa certezza: Cristo Risorto sarà sempre con te e traccerà, aprirà il sentiero verso il futuro. Io, tu, noi non sappiamo nulla del domani se non questo: Dio è il futuro! Quando a Taizé nel 1973 siamo partiti, nessuno di noi poteva pensare a ciò che stiamo vivendo, nessuno sapeva l’oggi che stiamo cercando di vivere. Eravamo lontani, sconosciuti, ma il Signore sapeva che un giorno ci saremmo incontrati per andare lontano, verso orizzonti che solo Lui sa dove finiranno. L’essenziale è affidarsi al Signore e alla Vergine, come un bimbo che cammina tenendosi per mano al papà e alla mamma! Noi, tu, io non siamo niente, ma il Signore è grande nell’amore. A noi come a Pietro chiede: “Mi ami tu?” E tu cosa rispondi? Pregando per te la Vergine Don Mario 6


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Ottobre 1983 2 - Difficoltà della vita comune Carissimi, questa lettera vuol essere un aiuto in preparazione del nostro incontro1. “Comunione cristiana non è un ideale che dobbiamo sforzarci di realizzare, ma è una realtà data da Dio in Cristo, alla quale possiamo partecipare”2. “Chi è deluso di una comunità cristiana nella quale è stato posto, esamini prima sé stesso, se non è magari solo un ideale che Dio spezza”. “Solo la Comunità che è profondamente delusa per tutte le manifestazioni spiacevoli connesse con la vita comunitaria, incomincia ad essere ciò che deve essere di fronte a Dio. Quanto prima arriva l’ora di questa delusione, tanto meglio per tutti!” “Ogni ideale umano che venisse portato in una comunità cristiana, impedisce la vera comunione e deve essere spezzato, perché la comunità cristiana possa essere veramente cristiana e vivere”. “Chi ama il suo ideale di comunità cristiana, più della comunità cristiana stessa, distruggerà ogni comunione cristiana per quanto sincere, serie, devote siano le sue intenzioni personali”. “Che cosa è amore mi viene solamente detto della Parola di Dio”. “L’esclusione dalla comunità di chi è debole e modesto e apparentemente inutile, può addirittura comportare l’esclusione di Cristo, che bussa alla nostra porta nel fratello povero!” Ho riportato alcune frasi, perché ritengo indispensabile che prima dell’incontro si rilegga il primo capitolo de “La vita comune”: “I fondamenti della vita comune”. Quando siamo partiti, ci sembravano teorici, ora li stiamo vivendo in pieno ed è necessario “riconfrontarsi”! La comunità sta vivendo il suo più difficile momento: quello della stanchezza! Non riusciamo insieme a ritrovare serenità e pace, gioia e coraggio. Quando è così, non c’è altro da fare: stare fermi e riflettere! Dobbiamo fermarci. Fermarci dentro, fermarci tra di noi, fermarci facendo “memoria” del senso della nostra “Kisima”: che senso ha per me, per noi, per la Chiesa? Perché c’è? Viene da Dio o viene da noi, è cristiana o psichica? “L’amore psichico ama il prossimo per sé stesso, l’amore spirituale ama il prossimo per Cristo”: ci amiamo perché siamo amici, simpatici, abbiamo ideali comuni, o perché così ci dice di essere e agire Gesù? Il nostro essere insieme è fondato sulle doti nostre o sul desiderio di Gesù che nella Chiesa ci sia una piccola “Kisima”? Kisima è un insieme di belli, buoni, virtuosi o siamo dei semplici cristiani che cercano 1 Incontro del cosiddetto “ceppo”, il gruppo con maggior anzianità in comunità 2 D.Bonhoeffer – La vita comune - EDB

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di amarsi vicendevolmente, di vivere il Vangelo? Tutto qui. Dobbiamo riscoprire se ci amiamo nel Signore o in noi stessi. Se tutti e noi sei rispondiamo: noi siamo insieme perché “noi” ci siamo scelti, perché noi abbiamo voluto fare “Kisima”, la comunità ha terminato la corsa. Se invece ognuno di noi dice a sé: “sono con questi fratelli perché Gesù l’ha voluto e lo vuole, ed io voglio continuare nel suo nome”, la comunità può proseguire. Se io mi sento “vostro fratello e sorella” prima degli altri, nel senso che Dio mi dice di camminare con voi, per voi, in voi, posso andare avanti, se no deve finire questa esperienza. In tutte le comunità il problema fondamentale è la scelta di Dio. Perché i focolarini, gli ordini monastici antichi, cambiano continuamente i fratelli e le sorelle? Perché è facile credere di amarsi in Gesù e per Gesù, e invece ci si ama umanamente e psichicamente. Si ama l’altro perché si sta bene insieme e fa piacere spiritualmente, non per Gesù! L’altro può diventare un idolo, il maggior ostacolo tra sé e Dio! O non si ama l’altro perché è duro e difficile amarsi! È terribile convivere con chi è diverso da te, nel sentire e nel pensare! Ecco perché “solo chi è disposto a morire per Gesù, può entrare e vivere in comunità”. La vita di comunità è la nostra penitenza, perché esige la morte dell’io: la Croce. A me è chiesto di amare Gesù fino a morire d’amore per Lui, non è chiesto che chi è con me in comunità sia simpatico o carino, intelligente e virtuoso! Dio non mi chiederà se D. Ferruccio3 era come me o non come me, ma se abbiamo cercato di amarci il più possibile tra di noi nella preghiera, nel perdono, nel servizio, nel reciproco e continuo cercare di aiutarci a essere buoni! È l’amore il problema vero di sempre! Ed è, lasciatemelo dire con molta forza, il problema del sacrificio! In questi tempi Gesù mi aiuta a capire sempre meglio una verità semplice: il Cristianesimo è la follia della Croce. Solo amando si cambia se stessi e gli altri, il mondo! È qui il punto a cui siamo arrivati. Noi ci amiamo veramente fino ad essere pronti a morire l’uno per l’altro? Il nostro reciproco amore è nel nome e con la forza di Gesù? Siamo insieme perché ci vogliamo amare follemente e il più possibile? “Amatevi l’un l’altro”: prima tra di noi, poi verso tutti! Ecco “Kisima”: una piccola sorgente di amore di Gesù! “Cristiano è l’uomo che cerca la salvezza non più in sé, ma in Gesù”. La salvezza sta nell’attingere in Gesù in Croce la salvezza del nostro amore! Penso che solo esaminandoci personalmente e insieme, prima noi più “anziani” con semplicità e umiltà, ma con fiducia e speranza, potremo superare le difficoltà. Solo se rispondiamo a queste domande “spirituali di fondo”, sapremo discernere i tre principali problemi della comunità: 3 Don Ferruccio, viceparroco a San Secondo

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1) I rapporti tra noi anziani e i più giovani 2) I rapporti tra chi non è sposato 3) I rapporti tra chi è sposato L’unità è graduale e ordinata, non si improvvisa, ma cresce e sale lentamente. Alcune domande: noi anziani amiamo i più giovani nel Signore, come fratelli? Chi non è sposato si ama con tutta la gioia della sua verginità offerta in dono al Signore come scelta di un amore più assoluto e totale senza mediazioni umane? Chi è sposato vive il Sacramento cercandosi di “amarsi come Cristo ama la Chiesa”? Oppure se vogliamo riassumere in una domanda sola “Signore io sto amando come vuoi tu?” La tentazione di “credere di amarsi” è fondamentale. Il rifiuto di cercare in Dio la soluzione è la più frequente. L’illusione di costruire noi la comunità è ciò che inquina in profondità il tutto. In questi 15 giorni, ognuno cerchi di purificarsi il più possibile offrendo sacrifici e preghiere, per meritare dal Signore la luce e la grazia che stiamo attendendo sulla nostra piccola Kisima! L’essenziale non è che ci sia, ma è “fare la volontà di Gesù”! Don Mario

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Luglio 1984 (al ritorno da Pragelato) 3 - La nostra santificazione Carissimi, vi scrivo alcune cose che qui, a contatto con la natura, sono riemerse in me in modo più vivo e profondo. Prima di tutto questo: come stiamo santificandoci? La parola di Gesù è chiara: “Cercate prima di tutto il Regno di Dio”. È evidente il pericolo continuo di tralasciare la nostra santificazione personale per le mille cose che ogni giorno ognuno di noi deve fare: famiglia, lavoro, impegni, preoccupazioni, ecc. . La comunità deve aiutarci, prima di tutto a tendere con il desiderio, con tutte le nostre forze e possibilità, a far sì che ognuno di noi diventi sempre più “del Signore, nel Signore, per il Signore”, offrendogli uno spazio sempre più grande nella mente, nel cuore, nelle forze, nella vita. Gesù deve sempre di più essere il Signore, cioè Colui Da cui tutto nasce e a cui tutto arriva: noi dobbiamo essere suoi, di Lui, sempre di più, con una coscienza sempre più viva che il senso della nostra vita è Gesù. Come è difficile questo, oggi, in una società così materialistica! Se non stiamo attenti, Dio non diviene più “il principio di ogni cosa”, tutto in noi si offusca e si appanna: la gioia della sua incessante ricerca nella contemplazione, l’attento ascolto della Parola, l’ascolto interiore dello Spirito, la gioia della celebrazione dei Sacramenti, l’incontro quotidiano con il suo dono di amore nell’Eucaristia, il Rosario, la meditazione, la continua apertura alla presenza invisibile – ma reale – di Gesù nell’uomo! Essere santi oggi esige continua attenzione personale e comunitaria: crescere nell’unità interiore con Gesù che vuole sempre di più essere presente in noi, è compito di ogni momento, di ogni passo nel cammino spirituale. Qui a Pragelato, immerso nella realtà dei ragazzi e giovani ancor più che a Torino, ancora una volta ho capito che è necessario educare la coscienza. Coscienza è conoscenza che Gesù è il Signore e vuole essere Lui il Signore della nostra vita: vuole regnare dandoci ogni giorno la pienezza della sua vita. “Io sono pane vivo” (Jo 6,51): Gesù è vivo, è vivente di una vita di luce e di amore che ha in sé una forza santificatrice immensa e straordinariamente sempre nuova e giovane! Non c’è tempo in Dio tutto è nuovo, tutto è vivificante e corroborante se ci si accosta a Gesù con semplicità e fede: ci si sente sempre più giovani e vivi! Ecco allora il primo richiamo: cerchiamo veramente di metterci davanti a Dio chiedendogli: Signore, sei contento di me? Di ciò che faccio, di ciò che sono, di come ti cerco, ti desidero, ti conosco, ti voglio con me, ti seguo, ti vivo? Possiamo dire a Gesù: Signore, tu per me sei la vita, cioè vivo per Te, con Te, in Te, cercando sempre più di conoscerti, amarti, desiderarti, seguirti: ti voglio in me, sempre di più, verso 11


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quell’ideale di Paolo che poteva dire “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal. 2,20)? Possiamo chiedere a Gesù: Signore, che cosa vuoi da me che non ti ho mai donato, per paura, egoismo, orgoglio, pigrizia, indifferenza, comodità, conformismo, rispetto umano? Possiamo esprimere una preghiera, sincera anche se ardita: “Signore, aiutami ad essere sempre più veramente di Te”. Secondo punto: la comunità Durante la S. Messa del matrimonio di Paolo e Giuliana ho sentito dentro, fortemente, questo: questa festa non ci sarebbe se non ci fosse la comunità! La stessa sensazione di Messina: la comunità è la sorgente della festa!!! Sì, la comunità è festa, è dono Dio festa per noi, è segno di Dio sempre! Forse di questo non siamo abbastanza convinti: Dio ci ha messo insieme per donarci, qui sulla terra, un po’ di vera gioia, anticipo di quella festa eterna che è il Cielo. Ma come ci aiutiamo a gustare questa festa? Come, in comunità, ci sentiamo amici l’un l’altro, di un dono vicendevole di amore che non è nostro, non viene da noi ma da Gesù? L’amore in Gesù è sempre gioioso, anche se passa attraverso il mistero della Croce: dove c’è Gesù c’è festa vera, interiore, reale, viva, giovane, profonda, che dà forza e coraggio, che trasfigura incertezze e stanchezze. La comunità deve essere “luogo di festa”, questo vorrei dirvi, in tutti i modi e le possibilità. Oggi c’è bisogno della gioia di Gesù, della gioia di Dio più che mai (una delle osservazioni che le mamme-cuoche hanno fatto a Pragelato è tremenda: “questi ragazzi non li vediamo mai sorridere”). Sì, è così, manca oggi nel modo la gioia perché manca la presenza dell’amore di Gesù: dove c’è Gesù c’è una gioia nuova, quella della verità, della libertà, della pace, dell’impegno, della speranza! Solo Gesù, pienezza di verità, libertà, amore, può dare all’uomo, alle persone, alle famiglie, alla società, la pienezza della gioia che Lui – Dio – vuole e può donare. Tristezza, pessimismo, paura, angoscia, vittimismo, poco coraggio nel pensare, nel parlare e nell’agire non si vincono se non con una ESPERIENZA profonda, personale e comunitaria, della festa di Gesù, che continuamente dice: “Vi annuncio una grande gioia”. È una gioia-dono, frutto dello Spirito, non solo conquista nostra. Ma la comunità prega per avere sempre questo dono, per sé e per tutti? Noi chiediamo di essere nella gioia di Dio, o ricerchiamo poco questo dono grandissimo del Signore? Ogni giorno nell’Eucarestia chiediamo gli uni per gli altri questo: “Signore, dona la gioia a tutti noi per essere tuoi testimoni, testimoni di Risurrezione e di speranza”? Perché la gioia è sì un dono, ma è anche conquista, frutto di ascesi personale. Che cosa facciamo per renderci più amabili, per facilitare all’altro la comunione reciproca? Siamo sinceri, aperti, disponibili, gioiamo del bene dell’altro, cerchiamo di togliere ciò che può ferire, urtare, far soffrire, generare fatica, per amarsi? 12


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Amarsi è soprattutto intuire ciò che è il bene dell’altro: come ci sforziamo di crescere nella conoscenza reciproca per capire che cos’è il bene per l’altro? Amarsi è tendere sempre di più a far sì che l’altro si perfezioni: come preghiamo gli uni per gli altri? Con intensità, lungamente, profondamente? Chiediamo gli uni per gli altri la grazia di essere sempre di più di Dio? Più c’è il vero amore tra noi, più cerchiamo il bene, il vero bene reciproco, più crescerà la gioia in comunità. Penso sempre più che il “segno” di Gesù sia proprio questa misteriosa gioia, frutto della Risurrezione, che Lui diffonde nei cuori a misura dell’apertura al suo Essere: chi cerca Gesù è sempre più nella festa di Dio, sia personalmente sia comunitariamente. La nostra gioia deve essere dunque frutto di una grande fede e di un grande reciproco impegno di amore, ma soprattutto di preghiera, attesa, richiesta: Signore aiutaci ad essere felici per irradiare la certezza della Risurrezione nel mondo! Terzo punto: la Madonna Mi sembra di capire che solo lei è la via al Signore! La via più semplice, quella della semplicità e della confidenza. Ho letto recentemente che il Papa la prega tutto il giorno e quando può di notte, con la semplicità di un fanciullo. Se lo fa lui che ha su di sé la responsabilità della Chiesa, dobbiamo farlo sempre di più anche noi, per “restare” nella semplicità, per non complicarci, ma soprattutto per non diventare “adulti” nel senso sbagliato, cioè orgogliosi. Sì, è sempre e solo l’orgoglio spirituale, mai morto in noi, che ci impedisce di essere più uniti alla Vergine: ognuno provi a riflettere su questo. Vi scriverò un’altra lettera più avanti, sul nostro “essere testimoni” di Gesù, oggi. Cerchiamo di essere sempre più uniti a Gesù e tra di noi! Fraternamente Don Mario

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Agosto 1987 4 - Fermi nel deserto Carissimi fratelli e sorelle, tra le pietre di questa montagna, vorrei che rifletteste con calma su quanto vi scrivo, perché ho bisogno di “sentirvi” nel Signore, di sapere cioè se è con voi che devo continuare a camminare. Sì, perché sento che dobbiamo fare una sosta davanti a Dio, prima di continuare la strada. Una sosta per discernere. 1. Siamo partiti tanti anni fa Più di 10 anni! Spinti dentro da un desiderio di aiutarci, di vivere uniti, di non restare divisi, trascinati dalle circostanze; era il Signore che ci chiamava a sé! La strada è stata veramente tanta: da S. Anna a Taizé, a Spello, ai Focolarini, a Cuneo: il Signore ci invitava a “cercare”, cercare una via per vivere il Vangelo oggi. Siamo venuti a S. Secondo: quasi un “tuffo” nella città, “dentro” per cercare di capire, di sentire, di interpretare, di cogliere ciò che c’è nella vita di oggi, nell’uomo così com’è, non così come appare. Cosa abbiamo trovato? Tanta e tanta povertà di questo uomo di oggi. E ci siamo sentiti sovente “poveri”, poveri di fronte all’uomo che si sta consumando. E siamo diventati più poveri anche noi. Poveri perché il nostro ideale di comunità che ci arde nel cuore sembra che non passi, qui nel cuore della città: individualismo, ricchezza, sete di piaceri, dissipazione, stress, ecc. sembra rendano impossibile l’estendersi della comunità. Ora siamo fermi nel nostro ideale di Kisima. 2. Fermi nel deserto Così definirei dopo tanto discernimento la situazione di Kisima. Si è insieme, ma c’è nel cuore una domanda atroce: è possibile continuare? Che senso ha ancora fare una comunità per noi? Una comunità che non genera è morta, ance se c’è ancora, perché dove non c’è vita c’è morte, anche se non definitiva. Ma il Salmo 37 dice: “Sta in silenzio davanti a Dio, e ti colmerà della sua presenza” È più di un anno che sto meditando su questo versetto e mi pare ora di poter parlare e parlarvi. Che cosa sento dentro per Kisima? STA:

ecco, una comunità oggi deve “stare”, sostare, fermarsi, non muoversi, ma mettersi davanti al Signore e dirgli “eccomi”. Ecco il primo punto di revisione: occorre “stare” molto 14


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tempo davanti a Dio, perché il fuoco di Dio ci purifichi il profondo e ci converta nel cuore. Offrirsi al Signore, in ricerca di un ascolto continuo di Lui, perché solo se si rifonda Kisima sulla preghiera si può continuare ad andare avanti. Rifondare la comunità sulla preghiera, partendo dalla preghiera, in modo da poter affermare in verità: SIAMO INSIEME PER AIUTARCI PRIMA DI TUTTO A PREGARE. Camminare nella preghiera, perché solo così si può andare avanti oggi.

IN SILENZIO

Perché il frastuono della città dilaga e dirompe! In silenzio per discernere ciò che è di Dio da ciò che non viene da Lui. In silenzio per poter ascoltare Dio che ci vuole condurre. In silenzio perché tutte le altre voci non sono la voce di Dio che vuole parlarci.

DAVANTI A DIO

È il Signore la vita: noi stiamo davanti a Lui o davanti a noi e agli altri? Dobbiamo chiedere questa grazia di metterci davvero personalmente e insieme davanti a Dio e chiedergli: Signore, sei contento di me e di noi? Che cosa risponderà il Signore? Dio dà la grazia agli umili: se non “sentiamo” a fondo il Signore è perché dobbiamo umiliarci per distruggere in noi l’autosufficienza e l’orgoglio, la presunzione di essere giusti.

TI COLMERÀ

Sì, Dio è il tesoro, la pienezza, il tutto che colma l’uomo e la vita: sazia nel profondo ogni sete e ogni tormento di desideri. Ecco il secondo punto: SIAMO INSIEME PER AIUTARCI A COLMARCI DI DIO. Colmare il nostro spirito di Dio: far sì che Dio sia il Signore della nostra vita sempre di più!

DELLA SUA PRESENZA Io sarò con voi è la promessa delle promesse, è la fedeltà-fecondità di Dio; nonostante Satana, le sue tentazioni, Dio è stato in questi anni con noi sempre, è rimasto fedele! Ma noi come siamo contenti, festanti, di questo suo essere tra noi? La presenza di Gesù fra noi è il tesoro di Kisima? In che misura siamo coscienti di Gesù in mezzo a noi? Ecco allora il terzo principio: SIAMO INSIEME PER REALIZZARE SEMPRE DI PIU’ QUESTA PRESENZA. 15


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Se è così, insieme per • camminare nella preghiera • colmarci di Dio • vivere con Gesù in mezzo a noi La comunità deve andare avanti. • Un gruppo di cristiani che cercano? • Una esperienza nel deserto della città? • Poveri davanti a Dio e davanti agli uomini? • Sorgente di fede, fraternità, festa? • Lievito nella pasta? • Una fioca luce nelle tenebre? L’essenziale è vivere di: Ricerca di Dio - Cercate Conversione - Convertitevi Fede - Credete al Vangelo Amore - Amatevi gli uni gli altri Preghiera - Pregate senza stancarvi mai Ma tutto questo ha un nome: fratelli e sorelle! Fratelli nella preghiera vicendevole ricerca di Dio fede reciproca unità correzione fiduciosa e umile continua ricerca del Signore l’un per l’altro testimonianza e nel servizio. CERCARE – CONVERTIRSI – CREDERE – CONDIVIDERE – COMUNICARE – ESSERE IN COMUNIONE CON DIO Nel deserto Dio non vi pare che ci parli così? 3. Quali piste percorrere Ma ci sono delle piste oggi per la nostra comunità? a. PISTA PREGHIERA In tutti questi anni, ho cercato di cogliere lo spirito che c’è a Cuneo e mio sono reso conto che è molto difficile scoprirlo, perché esige molta umiltà. P. Gasparino è per me oggi un punto di riferimento “aperto”, nel senso che se si riesce a vivere un po’ più la preghiera, tutto si illumina, si allarga e si approfondisce. Meditando molto in questi mesi sull’esperienza di Suor Elvira, animata anche lei da questa ricerca, mi pare di poter dire che la strada è proprio la maturità nel cammino della preghiera. La Chiesa in questi ultimi 10 anni è diventata più cosciente del primato dello Spirito nella sua vita, per cui tutti gli 16


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uomini spirituali si stanno buttando sulla pista-preghiera, proprio perché lì è la sorgente! La preghiera è la vittoria di Dio sulla autogiustificazione dell’uomo: si comincia veramente a pregare quando si scopre che solo Dio è il Signore Pregare prima per essere sulla pista giusta di Dio Pregare dentro per essere uniti in sé stessi e non divisi Pregare sempre per non disperdersi nella frammentarietà di un mondo sempre più frantumato. Pregare insieme perché da soli non si riesce se non per un po’! Ma chi ci insegna questo cammino profondo di preghiera? Se i mistici affermano che la preghiera è martirio, nel senso che costa molto, come giungere a questa vita nuova di preghiera? Primo problema comunitario: da chi farsi aiutare in questo cammino di preghiera? Posso insistere sulla fraterna collaborazione di Cuneo? b. PISTA PAROLA DI DIO La Bibbia è il pane dell’uomo che cerca il Signore. È il pane che il Cielo mette a disposizione sulla terra per camminare verso e con Dio. È il dono della rivelazione del volto vero del Signore. Ma anche qui: la comunità come “soffre” questa ricerca di Bibbia? Secondo problema: la scuola di Bibbia è un fatto mio, o la comunità deve assumerla? Lo so che è un cammino aspro, ma non possiamo tornare indietro: i cristiani del futuro resisteranno solo se fondati profondamente sulla Parola. Dobbiamo preparare i nuovi cristiani per il 2000 e non ci sono altre vie, se non quella dell’ascolto di Dio oggi qui con noi! Spello-Taizé-Cuneo-Bose, ecc.: ma noi come possiamo “vivere” la Bibbia? Come la comunità vive la Parola: si nutre e nutre con essa? c. PISTA CONDIVISIONE Dopo la lettura di “Monaci nella città”, mi è nata dentro una grande luce: perché non scrivere con la vita e poi con la parola qualche cosa su “Laici nella città”? È la grande speranza del futuro della Chiesa: laici capaci di essere autonomi dai monaci e dai non-laici! Ma quanto ascolto dello Spirito ci vorrà per trovare queste linee che il Sinodo dei Laici sta ricercando e che in tutto il mondo lo Spirito sta generando! Sto pensando ai bambini della comunità: come aiutarli per essere cristiani nel domani, generatori di comunione e comunità? La comunità deve cominciare a riflettere a fondo sul problema dei nostri piccoli, perché è urgente trovare linee e esperienze per loro. I bimbi sono i nuovi poveri di Dio, i ragazzi sono più poveri dei barboni: la comunità deve sentire a fondo questo appello di Dio per loro! d. PISTA SERVIZIO Dobbiamo con tutte le nostre forze aiutare la comunità di S. Secondo a scoprire queste tre vie del Signore oggi: • la via della preghiera • la via della Parola • la via della condivisione 17


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tutto questo per noi è missione, la nostra missione personale-comunitaria. Aiutare nel concreto, nel quotidiano, nel feriale: oggi l’essere Chiesa esige più che mai concretezza, perché ogni idealismo non ha senso, se non si traduce in una prassi di vita. Servire i fratelli, aiutandoli a vivere il Vangelo con una dinamica semplice ma efficace: • presenza • testimonianza di vita e dialogo aperto e sincero • carità e servizio • evangelizzazione (Parola e Sacramenti) • comunione fraterna in comunità o gruppo e. PISTA TESTIMONIANZA Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso! (Lc 12,49) Dobbiamo essere testimoni dello Spirito, dobbiamo avere dentro di noi questo fuoco di Dio, che è l’amore. Dobbiamo essere segni del Dio invisibile, ma visibile nella comunione. Il nostro essere è la testimonianza: sarete miei testimoni (At.1,8); non viviamo per noi stessi, ma per essere testimoni: il senso profondo della comunità è la testimonianza. Si è, tanto quanto si manifesta -nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, nella vita – il Signore! 4. Dove attingere l’acqua per il cammino? Come essere sempre sorgente? Come essere Kisima? Dove è la “sorgente sorgiva perenne”? È l’Eucaristia! Nessuna sorgente dà vita più del Sacrificio del Signore; nessun tesoro è più grande della Cena del Signore; nessuna forza è più forte del Pane di vita eterna. Sono contento di sapere che molti di voi vivono l’Eucaristia ogni giorno. Sono contento che la comunità cerca di attingere luce amore e forza nell’Eucaristia quotidiana. Sono contento di sapere che l’adorazione sta diventando “problema” per la comunità. Come crescere in questa “coscienza eucaristica”? come aiutarci a vivere di più questo tesoro della Chiesa? Come far sì che la domenica sia davvero la “festa delle feste”? Se in quest’anno mariano la comunità attinge dal Signore il vino nuovo di Cana, certamente riusciremo a fare un bel tratto di cammino verso l’unità nel Signore. È importantissimo capire che la comunità è un dono di Dio! Tutto nasce da questa convinzione: è Cristo che ci ama e che ci chiama a camminare insieme con Lui e verso di Lui, per noi e per i fratelli. DIO DA’ CIÒ CHE CHIEDE SOLO DIO CHIEDE SEMPRE DI PIÙ, PER POTERE DARE DI PIÙ DIO È IL “DARE-CHIEDERE” ETERNO, È COMUNIONE INFINITA! Fraternamente Don Mario

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Deserto 1994 5 - La fedeltà di Dio e il nostro sì Carissimi, alla vigilia di questo nuovo dono del Signore, il Deserto ’94, raccolgo alcuni pensieri che offro a tutti per la riflessione in questi mesi. Il primo pensiero è un grazie al Signore per la sua Fedeltà: Dio ci ha guidato in questi mesi e ci manda due fratelli e una coppia di giovani sposi, così apriamo il nostro cuore. È un dono di freschezza e generosità, cui deve corrispondere un impegno di preghiera e di profonda comunione: nel mistero del cammino comunitario, l’unità delle forze è il segreto per realizzare il disegno che il Signore ha su ciascuno e su Kisima. È sempre difficile dire grazie al Signore, perché tutto è grazia, ma quando qualcuno si unisce a noi nel cammino, il grazie deve sgorgare vivo e interiore, perché nulla c’è di più grande nella vita dell’unità dei cuori. Ed è alla luce di questo che invito, come sempre questo è il primo impegno del deserto annuale, a fermarsi e a pregare, su quattro linee di riflessione: - la nostra tensione alla santità - lo sviluppo e maturazione del senso di appartenenza a Kisima - l’educazione al senso di appartenenza dei figli - il nostro contributo alla nuova evangelizzazione di S. Secondo 1. La tensione alla santità Donare la vita al Signore è lo scopo primo della nostra comunità: si entra, si vive, si cammina, ci si aiuta per questo farsi santi insieme il più possibile. Ognuno deve fermarsi e chiedersi: dal Deserto ’93 ad oggi come ho camminato nella mia vita spirituale? Come ho cercato di amare Gesù e di metterlo al primo posto nel cuore? La santità, nelle sue esigenze di purificazione e di ricerca del Signore, è il senso profondo, il senso primo della nostra comunità di laici. Siamo insieme per aiutarci a dire di SI’, ogni giorno, al Signore! Il tuo Sì mi aiuta nel cammino, il tuo No mi ostacola e mi ferma; insieme dobbiamo sostenerci, con l’esempio di vita più che con le parole, che a volte non sono necessarie ma a volta sono indispensabili: il silenzio tra persone, la non comunione nel dialogo possono ferire profondamente è generare dentro una ferita di non-comunione reciproca. Aiutiamoci, nella verità, a rispondere a questa domanda: come ho contribuito con la mia vita spirituale alla santità della comunità? 2. Il senso di appartenenza È sempre necessario chiedersi: come sento e come vivo la comunità? Sta crescendo in me la coscienza del dono dei fratelli e delle sorelle che Dio ha messo al mio fianco e di cui devo rispondere a Lui? Come cresce in me la coscienza che la comunità è un 19


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corpo vivo che devo continuamente alimentare con i miei doni spirituali e umani? Il grado di amore si misura dal grado di gioia: se voglio sapere quanto amo Kisima, devo guardare quanto mi sento felice di appartenervi. Nella vita, l’appartenenza ad una comunità è una delle più grandi esperienze spirituali: è così per me in Kisima? Più si coscienza del mistero della comunione-comunità, inteso come disegno di Dio, più cresce nel cuore la riconoscenza dell’appartenenza: che sarebbe la mia vita senza la comunità che mi aiuta, sostiene, incoraggia, dà forza, nel cammino umano e cristiano? L’amore vero è sempre donarsi e ricevere: come cresciamo in questo dono reciproco gli uni gli altri, nel Signore? 3. L’educazione al senso di appartenenza dei figli L’educazione comunitaria dei figli che il Signore ha dato a Kisima deve essere un compito primario per tutti, perché nel mondo individualista moderno è più difficile dare loro la gioia della vita comunitaria. Occorre uno sforzo intelligente e veramente continuo, affinché si trasmetta loro quel patrimonio di esperienza e di doni che il Signore ha dato a noi in questi anni. Soprattutto attraverso la nostra testimonianza, essi devono poter cogliere il carisma di Kisima, da vivere con semplicità ed intensità nella vita giovanile, come luce e forza potente! Occorre trasmettere la gioia di un impegno comune, che si attui in qualche segno visibile, in qualche gesto quotidiano che dia loro il senso di una identità di comunione. Le famiglie dovrebbero poter delineare quasi una “traccia” per i figli, semplice, pratica, affinché anche loro si sentano costruttori di Kisima. Alcune linee sulla natura della comunità, le finalità e gli impegni che i ragazzi e ragazze che vi appartengono possano vivere tra di loro, sotto la guida di un Responsabile dei ragazzi. Alcuni piccoli strumenti di aiuto spirituale, libri da leggere, riviste, esperienze da proporre ecc., in sintesi un breve cammino educativo comunitario per aiutare la loro formazione. 4. L’evangelizzazione a S. Secondo Quale può essere il nostro impegno comunitario a S. Secondo per la Nuova Evangelizzazione? L’esperienza di questi anni apre nuove prospettive di priorità di impegni, esigenze di coordinamento, semplificazione di programmi: è necessario valorizzare al massimo i doni e le attitudini di tutti, per un cammino grande e bello. La Parrocchia rimane sempre il grande luogo di fede e di comunione; occorre però dare spazio e fiducia ai laici, aiutando i cristiani sempre più a capire che il Vangelo è fede, fraternità, festa, gioia vera nel Signore! La testimonianza di vita, di preghiera, di vera comunione fraterna, diviene sempre più la via della nuova evangelizzazione: il Signore Risorto, donando il suo Spirito, genera sempre più nella Chiesa la gioia della sua Presenza; evangelizzare significa aiutare tutti ad incontrare il Signore! 20


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Il Signore, il Dio della vita, nostra forza e nostro canto, ci aiuti in questo Deserto ad aprire il profondo dei nostri cuori, affinché lo Spirito possa trasfigurarci e donare a ciascuno e a tutti l’esperienza sempre nuova della beatitudine della Fede e della sua Presenza. “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete” (Lc 10, 23) La Vergine del Signore ci benedica! Don Mario

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Settembre 2001 6 - L’esperienza della fede che spera e ama Carissimi, vi mando questa lettera per esprimere quanto è in me dopo la settimana di Pragelato, in cui abbiamo sperimentato la gioia della Presenza del Signore in mezzo a noi. Quanta forza e luce dà il Signore quando lo cerchiamo con intensità di fede e di amore e ci affidiamo a Lui. Vorrei innanzi tutto ringraziare Franco delle belle meditazioni che ci ha donato, aiutandoci a penetrare il dono e il mistero della preghiera, l’incontro sempre nuovo con Lui che è il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, il Dio presente nel cuore di ciascuno, l’abitante che ogni istante ci crea e ci ama, ci parla e ci sostiene, ci dona la gioia del suo amore, della sua grazia, della sua infinita gioia: chi può darci ciò che ci dà Lui, il Creatore, il Salvatore, il Santificatore, il Signore? Il cammino di preghiera è senza fine, ogni giorno bisogna ricominciare ad “accogliere il Signore che viene”, per questo Gesù dice: “pregate senza stancarvi mai” (Lc 18, 1). La comunità vive, cresce, matura, si espande in proporzione alla preghiera che vive e circola in essa! Riassumo in quattro punti di spiritualità il cammino che abbiamo fatto, riflettendo sulle virtù teologali, sulla verità, sul dono della preghiera. 1. Il primato dell’amicizia personale con il Signore La fede esige sempre più un approfondimento del nostro rapporto personale con il Risorto che vive oggi con noi. Occorre soprattutto scoprire e vivere due aspetti di questa amicizia di Cristo con noi: a. Lui ci ama INFINITAMENTE. Gesù è il Signore, quindi il suo amore per noi non è solo di dimensione umana, finito, ma è INFINITO. Che senso ha questa dimensione? Si esige tutto un cammino di ricerca, di contemplazione, di desiderio, per percepire sempre più che il suo amore è UNICO, cioè nessuno può amarci come il Signore! Il suo amore ha dimensioni di una profondità impensabile per noi, piccoli e peccatori: chi ci ama più di Dio? Chi ci ama come Dio? Chi ci cerca più di Lui? Chi desidera il nostro vero bene continuamente come fa Lui? b. Lui ci ama PERSONALMENTE “Simone di Giovanni mi ami tu?”: questa domanda ogni istante la rivolge a noi, perché Gesù è colui che vuole stabilire con noi la massima relazione di conoscenza, amore, liberazione, santificazione, per realizzare al massimo l’identità della nostra persona. Come stiamo prendendo coscienza di questo? Rispondiamo veramente con entusiasmo al suo desiderio di amarci e di vivere in noi? 22


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2. Ricerca del Cristo presente e vivente La coscienza che il Signore è con noi è primaria nella vita spirituale. È l’essenziale della fede come diceva S. Paolo ai primi cristiani: “Esaminate voi stessi se siete nella fede: riconoscete che Gesù Cristo abita in voi” (2 Cor 13,5) È necessario sempre ripartire da questa certezza: “Credi a Cristo presente in te, anche se non lo senti” (Fr. Roger). Questa vita “in presenza del Presente”, alla presenza di Cristo, ha quattro dimensioni fondamentali: • ascolto della Parola • ricerca della preghiera • celebrazione dell’Eucarestia • purificazione del cuore nel sacramento della Riconciliazione Gesù ci parla, Gesù ci attende, Gesù si dona, Gesù ci purifica: è questo il cammino che dobbiamo aiutarci a percorrere personalmente, in famiglia e in comunità. 3. Vita in Cristo della comunità Per crescere nella nostra esperienza comunitaria, è necessario tenere sempre presenti tre esigenze che fondano la nostra esperienza in Kisima: • approfondire la nostra identità • ricevere la Comunione per la nostra vita • scegliere Kisima in modo prioritario a. IDENTITÀ Più si vive l’esperienza, più è chiara la nostra identità, il nostro specifico umano e cristiano, rispondiamo sempre meglio alle domande • Chi siamo • Perché siamo insieme • Dove stiamo andando Primariamente occorre che si approfondisca e si chiarisca, individualmente e comunitariamente, il senso primo della nostra identità in cammino verso l’UNITA’. b. RICEVERE LA COMUNIONE La comunità è sempre donata dal Signore: non siamo noi che creiamo la comunione-comunità, ma noi possiamo accoglierla-viverla-comunicarla! Di qui il primato dell’ascolto-accoglienza del Signore che viene in noi e tra noi: MARANATHA, vieni Signore Gesù. Si rinnova continuamente in Kisima quanto è detto all’inizio: “Venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi” (Gv 20,19) Venuta-presenza-pace sono i fondamenti della nostra comunità! c. SCELTA PRIMARIA DI KISIMA Noi siamo chiamati a vivere il Vangelo, primariamente in Kisima, che è il luogo scelto dal Signore per noi. Non siamo noi che facciamo questa scelta, ma è il Signore che continuamente ci indica questa via: “affidati a lui come seme por23


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tato dal vento nel centro della città, per essere una piccola sorgente di pace e di speranza per tutti”. Stiamo attenti ai dubbi, alle esitazioni e divisioni interiori, perché solo scegliendo con totalità di luce e di impegno la nostra piccola Kisima vive, cresce e si diffonde. 4. Impegni personali Come sintetizzare il cammino per quest’anno? PRESENZA-FESTA-CANTO. a. Presenza Essere presenti a sé stessi e presenti a Dio è il fondamento per essere poi presenti tra di noi e agli altri. Dobbiamo vivere in profondità di attenzione e di desiderio questa presenza a Dio: mai sentirsi soli! Ogni giorno chiedersi: come sto cercando e vivendo OGGI questa Presenza? b. Festa Ricordarsi del monaco che al mattino dice: “Incomincio a essere felice”. L’esperienza della fede nel Risorto come beatitudine deve essere primaria: guai se perdiamo la gioia e la pace del Signore! Aiutiamoci a vivere nella gioia di Dio e della fraternità, per diffondere il senso della Festa intorno a noi. c. Canto “Mia forza e mio canto è il Signore (Es 15,3) “Credo nel Dio che canta e fa cantare la vita” “Nessuno è felice come Dio e nessuno fa felice come Dio” (S. Agostino) “Dio è felicità infinita” Se ci aiutiamo a vivere queste verità, davvero la nostra esperienza in Kisima sarà sempre più viva, più bella, più matura, per noi e per tanti che hanno bisogno di noi. 5. Impegni comunitari a. 8 incontri sulla Bibbia al lunedì prima di Natale • Che cosa è la Bibbia e come si legge (D. Ghiberti) • Il Vangelo di Matteo (P: Laconi) • La lectio divina (un monaco) • Il discorso della montagna • La preghiera nel Vangelo di Matteo • Le parabole • La vita della comunità cristiana • Il discorso escatologico b. Incontri di Kisima al martedì Ore 21-22 preghiera di Taizé /Ore 22-23 riunione comunitaria c. Coro al giovedì d. Letture culturali al venerdì in famiglia Lettura del libro “Prega il Padre tuo nel segreto” Lafrance OR Milano 24


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Lettura di giornali cattolici e riviste (Avvenire, Civiltà Cattolica, Città Nuova, Osservatore Romano, La voce del popolo, Nostro tempo, Dimensioni, Mondo Erre, Regno documenti, Messaggero di Padova…) e. Incontri per i bambini (al sabato mensilmente) f. Il giorno del Signore: partecipazione comunitaria alla S. Messa delle ore 11.15 g. Ritiri comunitari bimestrali e una tre giorni invernale Il cammino comunitario deve essere per tutti un impegno vissuto con cuore grande e generoso, perché Dio ama chi dona con gioia! Dobbiamo aiutarci a vivere la vita comunitaria con grande apertura, perché solo così potremo sperimentare la bellezza della vita fraterna. È la gioia l’anima della comunità, è la gioia la forza del cammino “La gioia del Signore è la vostra forza” (Neem 8,10) Prima di chiudere vorrei chiedere a tutta la comunità una intensa preghiera per la Clinica della Memoria che stiamo per iniziare a costruire. Il Signore ci aiuti e ci illumini perché tutto si svolga e si compia secondo i suoi disegni che sono certamente più grandi e più belli dei nostri. L’attenzione agli ultimi deve sempre essere al centro del nostro cuore, perché la carità è la via tracciata dal Signore. Andando a Lourdes porterò tutti voi alla Vergine, affinché Lei, che veglia su Kisima, dia forza ai cuori e pienezza di Spirito.

Fraterni saluti nel Signore Don Mario

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Agosto 2003 7 - Il nostro cammino Premessa 30 anni! Quando siamo partiti avevamo nel cuore tanti desideri e speranze: possiamo dire che mai, nel cammino, questo sono cessate! In questa settimana dobbiamo rivedere e revisionare la nostra vita comunitaria per accogliere i doni che oggi il Signore ci dona. L’atteggiamento centrale è quindi quello dell’ascolto, perché solo così possiamo discernere ciò che Dio vuole da noi oggi, così come abbiamo accolto l’invito a “partire” nel 1973. L’essenziale nella vita comunitaria sta nel vivere l’invito “vieni e seguimi” che il Signore Risorto rivolge a ciascuno e a tutti noi: Lui è la via che dobbiamo percorrere, nello Spirito che ogni giorno irradia nel profondo del cuore. La comunità è infatti “esperienza di un cammino”, un camminare, una sequela, insieme al Signore che ci raduna e ci indica la pista nel deserto del mondo. 1- La chiamata alla fede in Cristo Risorto Gesù si propone sempre a noi, chiamandoci continuamente a conoscerlo e amarlo, in una incessante rivelazione e donazione di sé nello Spirito, la comunità deve essere sempre più una esperienza di fede e con la fede; la fede, intesa come adesione al Cristo Risorto vivente con noi, tra noi e in noi, è il senso primo della comunità. “Cristiani non si nasce, ma si diventa sempre”: è il mistero di Dio, che si vuole comunicare sempre più a ciascuno e alla comunità, è l’esperienza iniziata dai primi apostoli e continuata fino a oggi: Cristo si rivela, si dona, si comunica nello Spirito a chi apre a Lui il cuore, per una trasformazione-trasfigurazione, fino a raggiungere la pienezza di cui Paolo afferma: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20) La chiamata alla fede è una “transustanziazione” continua, operata dallo Spirito del Risorto. Come lo Spirito tramuta il pane e il vino nel Risorto, così cambia i nostri pensieri, le nostre intenzioni, i nostri desideri, le nostre aspirazioni, i nostri sentimenti, le nostre azioni, nella vita che il Cristo rivive in noi! In questi anni abbiamo potuto sperimentare cosa significa credere: è una ricerca quotidiana della volontà di Dio – Signore che cosa vuoi da me, da noi, oggi? È un vivere nella certezza della Parola – fedeltà al Risorto: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla consumazione dei secoli” (Mt 28,20) Fede è questo rapporto personale-comunitario con Gesù, il Presente, il Vivente: “Non temete! Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente” (Ap 1,17) “Io sono l’Alfa e l’Omega, colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente” (Ap 1,8). È questa presenza-assenza, perché Dio non è visibile agli occhi nostri sulla terra, il mistero che occorre vivere. Credere è cercare con gli occhi della fede ciò che gli occhi della carne non possono raggiungere sulla terra: Dio è invisibile agli occhi, 26


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ma visibile a chi ha la luce della fede e della rivelazione. Come Pietro, anche noi dobbiamo ogni istante dire al Signore: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,18) e Lui ridirà a noi: “Beato te, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16,19). In questi anni abbiamo esperimentato questo dono della fede, questa grazia quotidiana di cercare il Signore! Penso di poter affermare che è cresciuta tra noi la certezza che il credere non è soltanto un sentimento, un’emozione, un’idea, una convinzione, ma è veramente il “donum Dei”, il dono di Dio: è Dio che si rivela misteriosamente nel profondo del cuore e ci fa sentire quanto è grande il suo amore per noi. Questa chiamata è credere nel Risorto, presente nel cuore e nella vita, è il fondamento della comunità: siamo insieme per aiutarci a credere, per sostenerci nel cammino di fede, per invocare gli uni per gli altri la grazia di perseverare nella fede. La perseveranza nella fede è il primo impegno comunitario, deve essere il primo pensiero che guida il cammino: come posso oggi crescere nella fede e aiutare i miei fratelli a credere, a vivere nella beatitudine della fede promessa a chi crede: “beati quelli che crederanno” (Mt 21,29)? La maturità della fede sboccia infatti proprio nella gioia di credere: più si cresce nella conoscenza e nel rapporto personale-comunitario con il Signore, più cresce questo dono dello Spirito che è la gioia cristiana, che nasce dalla grazia e dalla consapevolezza che Dio è veramente il tesoro dei tesori, il Valore per cui vale la pena vivere e spendere tutte le energie per conquistarlo sempre di più. Quanti momenti di vera pienezza spirituale abbiamo gustato e vissuto, specie quando lo Spirito ci ha fatto intuire la profondità della fede come relazione personale con il Risorto! Quante volte abbiamo potuto almeno in parte vivere la parola di S. Atanasio: “Cristo è risorto per fare della vita una festa senza fine”! Salga in noi un grande ringraziamento per questo dono continuo che il Risorto fa ai nostri cuori: veramente si capisce sempre di più che credere è partecipare alla Festa infinita di Dio! 2- La chiamata alla fede nello Spirito Santo Quando siamo partiti facevamo fatica a “camminare secondo lo Spirito”, anche perché nella Chiesa non era molto presente la teologia dello Spirito, ma grazie al Papa1 , questo grande carismatico dello Spirito, la comunità ha scoperto sempre più il ruolo dello Spirito nella vita spirituale, nella preghiera, nell’ascolto della Parola, nei rapporti interpersonali, nella guida della comunità. Come Gesù nella sua vita è stato illuminato, riempito, colmato di Spirito Santo nella sua missione di Figlio del Padre e di Salvatore del mondo, così anche noi dobbiamo cercare di conoscere e credere sempre di più nella presenza dello Spirito in noi, nella nostra vita personale e nella comunità. È difficile indicare le vie per questa crescita nella fede, ma fondamentale è la preghiera, in base alla promessa del Signore: “Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, 1 Giovanni Paolo II

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quanto più il Padre celeste darà lo Spirito a coloro che glielo chiedono” (Lc 11, 13). Solo pregando e meditando i testi biblici sullo Spirito possiamo crescere in un rapporto sempre più vivo di ascolto e di cammino con lo Spirito che prega in noi e ci santifica, guidandoci sempre più sulle vie che Dio vuole per noi. In questi anni abbiamo cercato di ricordare il grande dono della presenza dello Spirito in ciascuno di noi “o non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio e che non appartenete a voi stessi?” (1 Cor 6,19) e di attingere al grande dono dell’amore diffuso in noi “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). Quale gioia pensare che la nostra fraterna comunione è dono continuo dello Spirito! Tra i tanti doni da chiedere allo Spirito ne sottolineo uno che mi sembra essenziale per un rinnovamento profondo della comunità: dobbiamo chiedere sempre più la grazia di essere in perenne comunione di fede con il Risorto che ci abita, secondo l’invito di Paolo ai primi cristiani: “Esaminate voi stessi se siete nella fede, mettetevi alla prova: non riconoscete che Gesù Cristo abita in voi?” (2 Cor 13,5). “Operare questo esame di riconoscimento, avere questa coscienza è dunque essenziale nella vita spirituale” (E. Bianchi). È l’eco del perenne invito che risuona a Taizé: “Credi a Cristo presente in te anche se non lo senti” (Fr. Roger). Questa grazia è opera dello Spirito, il “riconoscimento” della presenza è suo dono: “Nessuno può dire che Gesù è il Signore, se non sotto l’azione dello Spirito” (1 Cor 12,3). Riconoscere la presenza del Risorto non è frutto umano, ma è grazia, è elezione, è luce interiore, è dono spirituale che trasfigura la vita: che cosa c’è di più bello di questo nel cammino cristiano? Nella vita dei santi, si nota che questo è stato sempre come un “passaggio” da una vita direi “volitiva” ad una vita più “mistica” alla presenza del Risorto. È lo Spirito che rende possibile questa vita nuova vissuta nella grazia e nella forza dello Spirito Santo “avrete forza dallo Spirito Santo” (At 1,8). C’è una seconda grazia da chiedere allo Spirito, ed è quella che riempie la nostra parola della sua presenza. Le nostre parole possono essere nostre, umane, oppure ripiene di Spirito Santo. Le parole di Gesù sono “spirito e vita” (Gv 6,63), ebbene anche noi possiamo parlare in modo nuovo, nella misura in cui ci lasciamo riempire di Spirito nel nostro parlare. Come sarebbe bello se ci aiutassimo a “parlare mossi dallo Spirito”, in un grande ascolto interiore di quanto ci viene suggerito da Colui che ci abita nel profondo. La nostra comunione reciproca, il nostro rapportarsi con gli altri, acquisterebbero quella maturità spirituale propria di chi ascolta Dio prima di rivolgersi ai fratelli. Potremmo abituarci a chiederci: che cosa il Signore vuole che dica affinché le mie parole siano sempre sagge, di edificazione, di incoraggiamento, di vera carità evangelica? Quanto è importante una parola di un fratello o di una sorella che dà luce e forza al cuore, specie nei momenti difficili! Voglio terminare queste poche parole sullo Spirito citando E. Bianchi nel suo libro “Cristiani nella società”: “Lo Spirito Santo, “compagno inseparabile” (Basilio di 28


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Cesarea) di Cristo in tutta la sua vita, resta anche per noi colui che ci accompagna nella conoscenza di Cristo e nella sequela, non solo ricordandoci le parole, gli atti e gli eventi di Gesù, ma permettendoci di viverli con lui, in comunione con lui, in modo che sia formato Cristo in noi (Gal 4,19) e sia in noi vita” (Pag.274) 3- La chiamata alla fede in Dio Padre Vorrei ringraziare in profondità Dio Padre, che in questi anni ci ha sempre dato il senso profondo dell’Amore. Mai in noi si è offuscato il suo volto di Padre, mai si è persa la certezza della sua provvidente, paterna presenza. La comunità ha camminato nel “Padre nostro”, avvolta dalla certezza che la sua bontà è senza fine. Ricordo le meditazioni ripetute “Dio ama da Dio”, che ci hanno tanto aiutato a comprendere come l’amore del Padre è veramente immenso, infinito, personale, misericordioso; siamo sempre stati avvolti da questa certezza: Dio non manca mai di amarci! Il senso della paternità di Dio ha sempre riempito i nostri cuori di fiducia e di speranza, di pace profonda non turbata né da vicende tristi, né da angosce dirompenti: sempre ha prevalso, in comunità, l’abbraccio misericordioso del Padre sulla paura di Dio. Ringraziamo di questo il Signore! Non è merito nostro la serenità nel cammino, la fiducia nel domani, il desiderio di bene, la buona volontà reciproca: sono frutti di grazia. Gesù nella vita ha rivelato il volto del Padre che ama tutti, sempre, per primo, infinitamente, e anche noi abbiamo sperimentato di essere figli nel Figlio, di essere protetti in un amore incessante: mai ci siamo sentiti soli! Mai delusi, mai smarriti, abbandonati, ma sempre sorretti da questa comunione paterna che ogni giorno rivela il tuo amore, dona la sua luce, infonde la grazia, dà il pane al cuore, colma ogni vuoto, infondendo continuamente speranza. Dio è vita d’amore, è espansione in noi di questo Amore e noi l’abbiamo sentito, vissuto, possiamo essere testimoni di quanto grande è il suo amore per noi, come dice il Salmo 136, 26: “Lodate il Signore del Cielo perché eterna è la sua misericordia” Dobbiamo essere i cantori della paternità e della misericordia di Dio, annunciare che in questi 30 anni abbiamo vissuto la parola – promessa di Gesù sulla nostra vita: “il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno” (Mt.7,32). Nulla è mancato a Kisima del necessario per una vita bella, buona e beata, come dice il Papa che deve essere oggi la vita cristiana. Dalla sua Paternità è sgorgata la vita nelle famiglie: quanti bimbi in questi anni! Quando siamo partiti, erano solo nel cuore, oggi sono una realtà, frutto del vostro SI che ha nella paternità di Dio la radice ultima. Sia grande la nostra riconoscenza per questo amore alla vita e alla famiglia, che ha segnato questi anni. Come misurare l’intensità di affetto e di benevolenza che circola nei cuori dei papà, delle mamme, dei figli di Kisima? Che dono grande l’amarsi, il volersi bene, la comunione dei cuori, l’intensità dei rapporti sempre più “uno” nel mistero della comunione reciproca! Le nostre famiglie sgorgate dalla paternità e maternità hanno nel Padre la sorgente di un 29


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amore che non sgorga solo da noi, ma dal cuore di Dio. In questi anni sovente ho meditato sul dono dell’amore unitivo e fecondo che il Padre ha sempre donato alla famiglia di Kisima. Chi come Lui vuole la vita, vuole i figli, vuole che l’amore si diffonda sempre più dai cuori alla vita? Che bello poter lodare il Padre che attraverso voi, carissimi genitori, ha arricchito Kisima di nuove speranze. Cosa c’è di più grande della “forza di speranza” che un figlio porta in una casa? I figli sono veramente il futuro di Kisima! È a loro che vorremmo trasmettere i doni, primariamente, che Dio ha fatto a noi. È a loro che affidiamo il futuro della nostra piccola Kisima, come sete portato dal vento dell’amore di Dio in centro città. È a loro che vorremmo trasmettere questa gioia della fede il Dio Padre e Figlio e Spirito Santo che ha guidato il nostro cammino. Non c’è gioia più grande, nella vita, della gioia della fede, eco dell’esperienza degli apostoli: “gioirono gli apostoli al vedere il Signore” (Gv 20,20). In questi anni abbiamo visto il Signore e le sue meraviglie operate nelle nostre vite, meraviglie di bontà e di grazia, meraviglie di amore e di reciproca comunione, meraviglie di affetto e di impegno per cercare di essere cristiani, pur nella difficoltà del cammino. Mentre ci mettiamo in atteggiamento di profondo ringraziamento per questa fede che Dio ci ha donato, cerchiamo insieme di fare nostra la supplica evangelica: “Credo, aiutami nella mia incredulità” (Mc 9, 24). Sempre la fede può e deve crescere, perché il mistero di Dio è infinitamente più grande del nostro cuore. Sempre Dio cerca nuovi spazi pe poter regnare in noi, in Kisima, fino a raggiungere la “pienezza di Dio” (Ef 3,19), cioè quel grado di grazia e di perfezione che Dio incessantemente vuole donarci, nel suo infinito desiderio di comunicarsi a noi. È la divinizzazione della vita e del cuore, è il mistero della “partecipazione alla natura divina” (2 Pt 1,4) che è il fine dell’Incarnazione del Signore. Preghiamo perché Kisima apra le porte del cuore a Dio che vuole sempre più incarnarsi in noi e attraverso di noi, irradiare la testimonianza del Vangelo di amore e di salvezza. Supplichiamo il Signore perché ci dia sempre una vigilante attesa del Dio che viene e ci aiuti a vivere sempre di più la parola-progetto di Dio su tutti: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste” (Mt 6,48). Aiutiamoci a non avere mai paura di crescere, di maturare, di andare oltre, di aprire il cuore, secondo una misura che solo Dio può indicare, nella gioia grande id un SI che è il senso profondo della fede, come Maria che ha detto il primo sì, eco del sì di Abramo, fonte di ogni sì cristiano a Dio che ci ama. Cerchiamo di vivere sempre di più nella certezza che nasce dalla verità affermata in Ef 4,6: “Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti, ed è presente in tutti” Don Mario 30


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Agosto 2005 - Pragelato 8 - La memoria degli inizi Premessa In questi giorni chiediamo insieme al Signore due grazie speciali: - la grazia della memoria degli inizi di Kisima - la grazia della memoria degli inizi dell’Eucaristia. Ogni comunità nasce da una chiamata iniziale, fondante, di un cammino nella vita della Chiesa. Kisima è nata da questa chiamata nel 1973 a Taizé, quando il Signore ha fatto sgorgare in noi il desiderio di intraprendere insieme un cammino di comunione nel Signore e tra di noi. In questa chiamata fondante sta la sorgente della nostra unità e del nostro essere Kisima, piccolo seme fatto sgorgare dal Signore, sorgente di fede e di comunione con Lui e tra di noi, per essere fermento di vita e di unità. Il deserto deve essere una riscoperta attualizzata di questa chiamata del Signore che alimenta con il suo Spirito la nostra comunione: è lo Spirito il dono del Risorto che cammina con noi sulle strade della vita, dando luce e forza ai nostri cuori, per realizzare il suo disegno su di noi. In questi anni abbiamo cercato di vivere la sua parola: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno” (Gv 20,29). Durante il cammino si è manifestato come sorgente di beatitudine crescente, secondo la parola di S. Agostino: “nessuno è felice come Dio, nessuno fa felice come Dio”. Cercando di vivere la fede come festa del cuore, un cuore allietato dalla certezza della sua perenne presenza: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20), eco delle sue parole “Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché odono: in verità vi dico che molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete e non lo videro, ascoltare ciò che voi ascoltate e non lo udirono” (Mt 13, 16-17). Pur nella fatica del cammino, lo Spirito ci ha aiutati a ritrovare la gioia del cuore, sorgente prima della vita di una comunità: la gioia di credere, di amare il Signore, di amarci tra noi è sempre stato il fuoco acceso dallo Spirito in noi! Come ringraziare Gesù il Signore di questo dono grandioso dell’incontro con Lui, che rallegra il profondo della nostra vita? Ma come dice la parabola del tesoro nascosto nel campo, mai si può dire di essere arrivati, sempre dobbiamo ricominciare nella ricerca ardente del Signore. Dio è mistero d’amore così infinito e trascendente che sempre ci sentiamo all’inizio della sequela e della ricerca del suo Volto umile e santissimo. In questo deserto vorremmo risentire e rivivere come non mai la Parola che Dio disse al nostro padre nella fede Abramo: “Io sono Dio onnipotente. Cammina davanti a me e sii integro” (Gen 17,1) Vorremmo riscoprire l’onnipotenza del suo amore, la gioia della sua presenza e l’integrità di un vivo desiderio di santità, per attuare sempre di più il disegno che Lui ha su di noi. Cerchiamo innanzitutto di fare memoria della grazia dell’inizio di Kisima. Che cosa ricordare in particolare e sottolineare? 31


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Gli inizi di Kisima 1. Un grande entusiasmo L’incontro con Taizé ci ha segnato dentro nella speranza! Anche se giovani, anche se pochi, sentivamo nel cuore il desiderio vivo e vero di vivere insieme, di fondare una piccola comunità cristiana; era per noi una certezza: insieme dobbiamo vivere il Vangelo e camminare uniti nella vita. Questa grazia dell’unità dei cuori e dei desideri, vista oggi, è stata veramente un dono dello Spirito Santo. Solo questo amore vero e genuino ci ha tenuti uniti nel cammino, con molta semplicità e gioia fraterna. La grazia del Concilio, il desiderio di vivere come i primi cristiani “erano un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32) è stata l’anima del nostro essere insieme. Gesù ci ha fatto capire che solo insieme si può oggi vivere il Vangelo. La forza della fraternità è la forza della fede; una fede puramente individuale non regge l’urto di una società scristianizzata. Se teoricamente ci può essere un cammino individuale di vita cristiana, la forma comunitaria è più facilitante, come attesta la storia della Chiesa. Mai è mancato l’anelito alla fraternità: chi, se non il Signore, in questi anni ha dato al cuore la gioia di sentirsi da Lui amati e il desiderio di volerci bene? Il sentiero percorso all’interno della vita parrocchiale ci ha fatto sempre più capire che la nostra via comunitaria è veramente preziosa per lo sviluppo della vita personale, di coppia, familiare; camminando è cresciuta in noi la consapevolezza che Kisima è un’esperienza semplice di vita fraterna alla luce di una certezza: il Signore è con noi sempre, sulla via che Lui traccia e che noi cerchiamo di seguire. 2. La condivisione con i poveri Taizé è sempre per noi una testimonianza di vita povera, un invito a cercare di vivere la beatitudine del Vangelo: “beati voi poveri” (Lc 6,20) Sotto la spinta della grazia del Concilio, in cui lo Spirito aveva ripresentato la Chiesa come la Chiesa dei poveri e per i poveri, abbiamo cercato di vivere questa parola del Vangelo, sforzandosi ci attuarla nella nostra comunità di laici, con una specificità familiare. Ci siamo resi conto che la povertà è un dono dell’amore: più si ha l’amore nel cuore, più si ha il desiderio della condivisione fraterna, prima fra di noi e poi il più possibile verso chi è più povero di noi. Siamo stati e siamo ben coscienti che non siamo mai abbastanza poveri, cioè liberi dalle cose e pronti al servizio degli ultimi: è una meta da continuamente ricercare, perché il peccato ci abita e il cuore fa sempre fatica a donarsi e a donare. Inostro desiderio è ricominciare ogni giorno nel cammino dell’amore, a volte più spedito, a volte più lento per l’opacità e la fatica dell’amore. In questi anni il Signore non ha mai fatto mancare tra di noi qualche fratello o sorella profeta della povertà, che ci ha aiutati in una continua ricerca di conversione del cuore. Specie con l’incontro delle realtà missionarie, con gli uomini che hanno scelto i poveri, 32


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ha sostenuto il nostro desiderio di essere uniti a chi ha bisogno. Quante volte ci siamo ricordati delle baracche di Taizé, di come si mangia e si vive in quella comunità, nella semplicità di una povertà veramente libera e liberante. Forse oggi capiamo un po’ meglio che i poveri sono veramente il dono del Signore per aiutarci a vincere il nostro egoismo e la nostra fragilità, spronandoci sempre ad una maggiore generosità nella carità cristiana. Il Signore ci conceda di capire sempre di più questa beatitudine della povertà, Lui che è stato il più povero, colui che ha donato tutto di sé per farci ricchi di Dio. 3. La partecipazione alla vita della parrocchia È questa la grazia della nostra nascita: siamo nati in una parrocchia e stiamo vivendo nella realtà di questo dono del Signore, il luogo scelto dal Signore per farsi conoscere e amare: è in parrocchia che si incontra e si vive il Vangelo! Abbiamo sempre più scoperto e capito che questo luogo di sosta è per noi una grazia speciale: è veramente una sorgente continua di vita spirituale, di fraterna condivisione e di servizio a tutti e per tutti. In questi anni abbiamo arricchito la nostra esperienza e il senso di appartenenza a varie parrocchie, cercando di essere in tutte lievito, per quanto ci è possibile. Lievito sovente piccolo, nascosto, mescolato, frammentario, ma sempre con nel cuore un desiderio vero di vita fraterna verso tutti. Radunati, specie alla domenica, da una Parola che ci illumina, santificati dall’Eucaristia, che ci sostiene e ci nutre, abbiamo cercato di mettere la nostra vita al servizio di varie comunità. Il Signore ci ha donato in profondità questo stare con la gente che è davvero una grazia di Dio: vivere tra, con, per gli altri è la spinta dello Spirito, che cerchiamo di invocare sempre di più. Quando ci chiedono: “Dove vivete? Che cosa fate nella Chiesa? Qual è il vostro posto?” sempre rispondiamo: “Cerchiamo di vivere insieme la vita di una parrocchia”! In questi ultimi anni lo Spirito specie qui in Italia ha fatto crescere questo senso del valore, direi del primato della vita della parrocchia all’interno della Chiesa. Missionari con i parroci, definiti “i primi missionari della Chiesa”, abbiamo cercato e cerchiamo di vivere il Vangelo con gli altri cristiani, che camminano con noi nella fede e nella carità. Ringraziamo il Signore di questi anni in cui siamo stati all’interno delle parrocchie in cui viviamo. 4. Una sorgente che non inaridisce Dal profondo del cuore sentiamo l’esigenza di ringraziare il Signore perché Kisima continuamente riceve l’acqua viva dello Spirito, che ci spinge sempre più a cercare insieme il Signore e a mettere le nostre vite e i nostri cuori a sua disposizione, in una comunione fraterna che cresce nella misura in cui riusciamo ad aprirci alla presenza e all’azione incessante del Signore che ci abita. Mai questa sorgente della sua chiamata, della sua presenza, del suo amore si è fermata: possiamo testimoniare a noi e a tutti che la sua fedeltà ha sempre dato forza alla nostra 33


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ricerca di vita nello Spirito. Mentre ricordiamo l’inizio della chiamata a Kisima, lodiamo il Signore perché questa sua chiamata è OGGI: oggi ci sentiamo chiamati a seguirlo insieme, come laici, in famiglia, in una parrocchia, aperti a tutti nella continua ricerca dei segni che Dio ci manda per il cammino, verso il futuro che sappiamo essere nelle sue mani e nel suo cuore a cui ci affidiamo, ricordando la sua parola: “Il Regno di Dio è come un granellino di senape” (Mc 5,31). Ci sentiamo veramente seminati dal suo infinito amore.

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Agosto 2005 – Pragelato 9 - Gli inizi dell’eucaristia Premessa Riflettere sul mistero dell’Eucaristia significa immergersi in una gioia infinita, che è Dio stesso – infinita felicità, beatitudine senza fine – per noi piccoli non comprensibile, ma solo intuita nella grazia e nella misura della fede. San Paolo, l’uomo che forse più di ogni altro nella vita ha potuto sperimentare per grazia la pienezza della festa che è Dio stesso, afferma: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste cose ha preparato Dio per coloro che lo amano” (1 Cor 2,9) Dio si è fatto uno di noi, per farci partecipi della sua natura divina (2 Pt 1,4), cioè per poter dare a noi la sua gioia, la gioia di Dio. Questo è il fine dell’amore infinito con cui Dio ci ama: farci felici come Lui, il più possibile! Riscoprire l’Eucaristia significa riscoprire il volto di Dio amore e festa infinita, che desidera fare di noi dei figli felici, il più possibile come lui capaci di ricevere amore e di amare in Dio che è Padre, Figlio, Spirito Santo. 1. La presenza di Dio L’uomo contemporaneo vive “come se Dio non ci fosse”, diceva continuamente Giovanni Paolo II. Si vive senza cercare Dio, né Lui, né la sua persona, né i suoi doni, né la sua gioia. Per molti Dio non è più il Tesoro da ricercare, ma è il Dio ignoto che non dà nulla al cuore dell’uomo e della donna di ogni, immersi in un ateismo pratico davvero assai diffuso. Dobbiamo ricordare che Dio è in se stesso il Presente, insegna la teologia. a. Dio è presente in quanto Creatore È una presenza naturale di immensità (Dio è immenso, è in ogni luogo) o meglio “tutto è in Lui”, Dio penetra e dà vita a tutto, ad ogni realtà, come ricorda esplicitamente Paolo: “In Lui viviamo, ci muoviamo e esistiamo” (At 17, 28). La sua presenza ci circonda, ci avvolge, ci penetra, ci sostiene, Dio è il principio di ogni presenza: se Dio non ci facesse passare dal non-essere all’essere attraverso il suo atto di creazione, non potremmo esistere! Se Dio sospendesse un istante il suo atto creativo, tutto cadrebbe nel nulla. È presente per essenza, a causa della creazione e della conservazione, per conoscenza, dal momento che Egli tutto vede e nulla esiste che possa sfuggire al suo sguardo di amore, per potenza, in quanto tutto dipende da Lui che tutto sostiene e governa. “Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui” (Col 1, 17) b. Dio è presente in modo soprannaturale per inabitazione del cuore Lui è presente in noi per grazia e virtù. Dio, presente nell’animo, intreccia un partico35


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lare rapporto di conoscenza e di amore, partecipando la sua stessa vita e introducendo nel mistero delle sue stesse relazioni trinitarie. Questa presenza è un invito a prendere contatto e a rimanere con Lui sempre più, per stabilire con Lui uno scambio di vita. È ciò di cui parla Gesù: “io sono la vite e voi i tralci” (Gv 15, 1), “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4), “Se uno mi ama osserverà la mia parola e noi verremo a Lui, e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 15, 23) c. Dio è presente in modo sacramentale nei Sacramenti e primariamente nell’Eucaristia Ogni Sacramento è una presenza e un’azione di Cristo, specie nel mistero eucaristico dove si realizza la massima presenza di vita e di amore del Risorto. d. Dio è presente in modo particolare nei poveri I poveri sono il corpo di Cristo. Cristo dice di loro “questo è il mio corpo” come nel mistero eucaristico: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi averte dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, carcerato e siete venuti a trovarmi, malato e mi avere visitato” (Mt 25, 35-36). Gesù ha promesso una sua presenza in chi soffre! 2. Vivere la presenza di Dio La vita di fede è una vita vissuta in Dio, alla sua presenza, mai da soli! Se Dio è tutto, infinito essere di vita, di amore, vivere in comunione con Lui è il senso primo e profondo della nostra vita. Il primo comandamento è chiaro: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,5) L’alleanza tra Dio e noi, l’offerta della sua vita di comunione infinita, è il senso primo della vita: noi viviamo nella misura in cui ci realizziamo nella nostra vocazione di persone chiamate a diventare figli suoi. Gesù annuncia la venuta del Regno, cioè della sua nuova presenza di Salvatore, di maestro, di via. Verità e vita, e invita primariamente a cercarlo: “cercate prima il regno di Dio è la sua giustizia” (Mt 6,33). L’invito continuo alla conversione ha proprio questo primo significato di riorientamento della nostra vita a Lui, fonte della vita, dell’amore e della gioia infinita, che Lui vuole comunicare sempre più “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,1): cercate prima la nuova presenza di Dio in mezzo a voi! Non siamo però noi che cerchiamo per primi Dio, ma è Dio che cerca noi: è Dio che ci ama per primo, è Lui che ci cerca per primo: non dimentichiamolo mai. “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10). È Lui per primo che cerca la nostra presenza, che vuole il nostro incontro con Lui, che chiede al cuore di lasciarlo entrare e vivere nella nostra vita: “Ecco sto alla porta e busso, se qualcuno mi apre io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Questo PRIMATO DELLA PRESENZA DI DIO deve essere al centro della nostra fede e con la fede è la nuova vita che Gesù ha portato al mondo: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Tutti i giorni, con tutti, credenti e non 36


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credenti: il Signore ci ama uno per uno e vuole donare se stesso, fonte di felicità infinita perché amore infinito. Questa ricerca di Dio è la condizione prima per capire più in profondità il mistero dell’Eucaristia, la massima presenza del Risorto oggi nel mondo e nella storia. La presenza di Gesù nell’Eucaristia è il più grande tesoro nascosto nel capo della Chiesa e della storia: mai finirà questa sua presenza, culmine dell’umiltà di Dio. Dio si dona scomparendo anche nella sua visibilità umana, quasi a manifestare l’essenza dell’amore che è lasciare l’altro nel massimo della libertà della sua accoglienza: CHI AMA VERAMENTE NON SI IMPONE MAI! Meditiamo questo bel testo di Divo Barsotti sul mistero della presenza di Dio: L’uomo è presente a Dio, ma egli non lo è all’uomo. Dio è presente in me come causa dell’essere, come amore, ma è presente a me stesso? Fino a quando Gesù è vissuto sulla terra non era presente agli uomini, ed essi non lo erano a lui. Per questo disse agli apostoli: “È bene per voi che me ne vada, perché se non me ne vado non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato ve lo manderò” (Gv 17,7). Come è meravigliosa la nostra condizione di oggi, nei confronti di Pietro, Giacomo e Giovanni! Beati noi più di coloro che lo videro: la visione corporale di Cristo era una difesa, un impedimento alla vera presenza che si compie nello Spirito. Per il dono dello Spirito Santo infatti Gesù si fa realmente presente in ognuno di noi, ed egli glorificati ci ha tutti veramente presenti. Ma è per opera dello Spirito Santo che il nostro cuore si apre e davvero conosciamo noi stessi. Nella presenza reale del Cristo, Dio diviene presente a te come tu lo sei a Lui e tu conosci te stesso nella misura in cui tu hai conoscenza di Dio. La presenza stessa eucaristica è ordinata a quella di Cristo in ciascuno di noi e in questa presenza Dio non rimane al di fuori di noi, come noi non siamo estranei a Lui. La vera vita cristiana è precisamente questa, una circumsessio1 onde noi siamo davvero nel Cristo e Lui è veramente in noi ad imitazione di quello che Egli è nel mistero della vita trinitaria: il rapporto del Padre con il Figlio. Di fatto è a questa relazione che Gesù si richiama nel discorso dopo la cena: “Come tu Padre sei in me e io in Te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato…. Io in loro e Tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amato come hai amato me” (Gv 17, 21b, 23) In questa intimità reciproca onde noi siamo tutti in Lui ed Egli tutto in noi si realizza la vita cristiana: “rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4) Tutto ciò è avvenuto per il dono dello Spirito Santo. Fintanto che il Cristo viveva quaggiù sulla terra è rimasto estraneo agli uomini: donando il suo Spirito egli si fa INTIMO A LORO. Nel dono dello Spirito egli si comunica tutto, così come ogni persona divina si dona totalmente all’altra, il Padre al Figlio e il Figlio al Padre” 1 Circumsessio, in greco pericoresi, indica la compenetrazione reciproca e necessaria delle Tre Persone divine nella Trinità, sulla base dell’unità di essenza in Dio. Le tre ipostasi del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo “si muovono l’una nell’altra”, ossia si appartengono a vicenda.

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(La presenza del Cristo - ed. fondazione Divo Barsotti, 2000 pag 141-142) 3. Come percepire questa presenza del Risorto? È la purezza dell’anima che ci fa vedere Dio! “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8). Noi percepiamo poco la sua presenza perché gli facciamo poco spazio; non essendo puri non ci lasciamo riempire da Lui, dalla sua infinita presenza di santità e di amore. Si esige una purificazione di tutto il nostro essere perché cresca la nostra fede e noi possiamo sempre più accogliere Dio. Questo è il processo dell’anima, onde Dio sempre può essere ricevuto da lei, ed ella acquista il potere di continuamente ordinarsi a Lui e perciò di essere ancor più in Cristo. Vivendo nel mondo, se le cose hanno ancora un certo potere e attrattiva su di me, mi impediscono di trasferirmi in Dio che pure è presente. Più si cresce nella santità, nella ricerca dell’amore, più – se così si può dire – si vede Dio, anticipo della vita celeste dove Dio sarà tutto in tutti (1 Cor 15,28). Più siamo puri, più Dio può donarsi a noi e diveniamo uno con Lui. Il nostro vero mondo è il Cristo, il Presente che vive e che continuamente ci chiama a sé per donarci se stesso in una donazione infinita di conoscenza, di luce, di vita, di festa. C’è un testo molto bello di S. Chiara che scrive alla Beata Agnese di Praga: “Te veramente felice! Ti è concesso di godere questo sacro convito per poter aderire con tutte le fibre del tuo cuore a Colui la cui bellezza è l’ammirazione instancabile delle beate schiere del Cielo. L’amore di Lui rende felici, la contemplazione ristora, la benignità ricolma. La soavità di Lui pervade tutta l’anima, il ricordo brilla dolce nella memoria. Al suo profumo i morti risorgono e la gloriosa visione di Lui formerà la felicità dei cittadini della Gerusalemme celeste”. I santi, ripieni della luce dello Spirito hanno già percepito in profondità il dono di una comunione personale con il Signore, fonte di perenne festa nel cuore e nella vita, vero anticipo della vita celeste, dove la comunione sarà piena e infinita. A Taizé dicono che “ogni giorno cerchiamo di vivere il mistero della Risurrezione” cioè di vivere in presenza del Risorto che vive e cammina con noi sempre, eterno viandante accanto e nell’uomo sulla via di Emmaus. Più cresce illuminati dalla lice della fede è più si comprende il mistero del Regno di Dio, cioè di Dio stesso che colma di sé ogni realtà, dando al cuore sempre più pienezza di vita, verità, amore, festa, inizio vero della vita eterna dove tutto sarà Presenza, Comunione e Festa. Vivere alla presenza di Dio significa cercare ogni giorno di rifare la scelta di Dio, cioè di mettere Dio al primo posto della nostra vita e dei nostri desideri, affinché, nell’attesa del Dio che continuamente viene e si dà a noi, noi possiamo sentire sempre più, anche 38


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da un punto di vista psicologico, la pienezza della sua presenza. Per cercare di comprendere più in profondità il mistero dell’Eucaristia, il mistero più grande della nostra fede, occorre rifare interiormente la scelta di Dio, desiderare ardentemente nella profondità del cuore il Signore, chiedergli intensamente che si manifesti a ciascuno di noi e a tutti secondo la sua parola: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21). Revisione di vita 1. La presenza di Dio è il centro della mia fede? 2. Sto crescendo nella capacità di interiorizzare la Parola? 3. Sono abituato ogni mattina a rifare la scelta di Dio? 4. Cresce in me la gioia della fede? 5. Quali i mezzi per vivere più in comunione con il Risorto?

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Agosto 2005 - Pragelato 10 - Il mistero della fede Premessa Ogni volta che si celebra l’Eucarestia, la Chiesa ci fa dire “Mistero della fede”, quasi a voler ricordare che nulla è più grande di questo mistero, che supera la nostra capacità intellettiva di comprensione. Quando per la prima volta Gesù lo ha annunciato, gli ascoltatori hanno reagito con forza, dicendo: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” (Gv 6,52) Frère Roger dice che davanti all’Eucaristia tanto comprende un bimbo quanto un teologo! Non serve dunque la ragione, occorre il dono dello Spirito Santo, principio dell’illuminazione di fede. Gesù afferma: “È lo Spirito che dà vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita” (Gv 6, 63). Questo significa che la fede è un dono di Dio (Gv 6, 65) e come frutto dello Spirito Santo che vivifica, cioè le parole di Gesù sono fatte penetrare nel cuore dall’azione illuminante dello Spirito. La carne, cioè la ragione, la natura umana da sola, non può nulla in questo campo. Per credere è indispensabile l’azione dello Spirito di verità, che fa penetrare in noi la verità, la comprensione delle parole del Signore. Di qui la necessità della docilità all’azione dello Spirito che attira verso il Signore. La fede non può essere conquistata con le sole forze umane! Il nostro ritornare all’inizio dell’Eucarestia comincia leggendo il grande capitolo 6 di Giovanni che la Bibbia di Gerusalemme titola significativamente: La Pasqua del pane di vita (nuovo rifiuto della Rivelazione). 1. Lettura di Gv 6, 1-71 Divisione del testo: 1. Il segno dei pani (1-15) 2. La traversata del lago (12-21) 3. Il discorso di Cafarnao (22-58) Può essere diviso in 5 brani: a) Il brano introduttivo (22-25) b) Operare per la fede (26-31) c) Il pane celeste e la fede (32-36) d) Mangiar il pane celeste per non morire (47-52) e) La carne e il sangue di Gesù (53-58) 4. La reazione dei discepoli al discorso di Gesù (59-71) 2. Spunti di riflessione su alcune parole del testo a. Il mistero delle fede - È necessario, prima di tutto, credere in Lui 40


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“Gli dissero allora: - Che cosa dobbiamo fare per compiere l’opera di Dio? Gesù rispose: - Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato (28-29). La fede è l’atteggiamento primo, fondamentale, che si deve avere nei confronti di Gesù: primato dell’ascolto e dell’accettazione della sua Parola. -La fede è un dono di Dio “nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (44) “E continuò: per questo vi hi detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio” (65) Da soli non possiamo credere in Gesù, la fede è una grazia, è un dono, è una luce che ci fa aderire al Signore, alla sua persona, alle sue parole di verità. -La fede è donata a tutti “sta scritto nei profeti: e tutti saranno ammaestrati da Dio” (45) Il Padre vuol dunque dare a tutti questo dono, è una grazia che il Padre vuol concedere a tutti gli uomini. -La fede esige la collaborazione umana (29) parte degli ascoltatori sottolinea l’incredulità del mondo, il rifiuto a credere da parte degli ascoltatori di Gesù (Gv 3,39 5,40) La fede è dunque un dono che esige da parte umana -un andare verso Cristo (36) -ascoltando il suo insegnamento (45) -cercando di “fare la verità” (Gv 3,21), ossia fare propria la rivelazione del Verbo incarnato, mostrandosi docili alla voce di Dio, interiorizzando la sua parola “La fede dunque implica un movimento della volontà e perciò presuppone la responsabilità dell’uomo, pur essendo dono di Dio” (I. de la Potterie) “Nessuno può credere, se non ha ricevuto questa grazia dal Padre celeste; ciononostante la fede, o l’incredulità, non sopprime la libertà umana: la creatura infatti può accettare o rifiutare questo favore divino. In realtà, il Salvatore invita tutti alla fede, però non costringe nessuno ad accogliere il suo appello” (Braun) b. Il pane celeste “io sono il pane di vita” (48). “Io sono il pane vivo disceso dal cielo” (51) “…e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (51); “se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (53-54) “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (56) “Come il Padre, che ha la vita, ha manato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me” (57) “Chi mangia questo pane vivrà in eterno” (58) Questi dieci versetti sono veramente il “vangelo dell’Eucaristia”! L’annuncio-primo che Gesù vuole donare la totalità della sua vita per amore, è la sua autodonazione al Padre, nello Spirito, e all’umanità per la gioia e la salvezza eterna. Gesù è il cibo eterno che rivela e dà l’Amore che è Dio stesso. Il Verbo incarnato è la 41


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verità che dona la vita e l’amore. Gesù, dicendo al futuro “procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà” (27), si riferisce al dono di sé sulla Croce, l’offerta della sua carne per la salvezza del mondo. Morendo e donando la sua vita in Croce, Gesù farà capire quanto è grande Dio e il suo amore infinito per noi. Gesù donerà se stesso sulla croce, ma desidera donarsi per sempre, fino alla fine del mondo, ai credenti. La sua carne e il suo sangue offerti vengono donati in cibo e bevanda ai credenti, massima possibilità di unità. Noi possiamo nutrirci della sua Persona! Il verbo usato in greco è “troigen”, che non vuol dire solo mangiare, ma masticare, indicando così più esplicitamente la finalità di nutrimento, trasmissione della vita. La carne di Gesù non deve essere solo mangiata, ma masticata. Giovanni con le espressioni “mangiare la carne del Figlio dell’uomo e bere il suo sangue” si riallaccia alla dottrina cristiana delle origini, quale ci è testimoniata dalla prima lettera ai Corinzi. In essa Paolo riporta un documento tradizionale antichissimo sull’istituzione dell’Eucaristia (1 Cor 11, 23 ss) che si esprime in modo analogo: bere il calice del sangue del Signore e mangiare il suo corpo (1 Cor 25-26). Anzi l’Apostolo aggiunge che se uno mangia indegnamente il pane eucaristico, si rende colpevole del corpo del Signore, e parimenti se uno beve indegnamente il calice del Signore, è reo del suo sangue (1 Cor 11, 27). In realtà per Paolo il calice eucaristico è la comunione con il sangue di Cristo e il pane eucaristico è la partecipazione al corpo del Signore (1 Cor 10, 16). Il quarto evangelista, nella sezione finale del discorso di Cafarnao, si ispira a questa stessa tradizione della chiesa che presentava l’eucaristia come una comunione al corpo e al sangue del Cristo glorioso. 3. L’annuncio del Signore per ciascuno di noi Vorrei volgere in preghiera quest’ultima riflessione sulla promessa dell’Eucaristia: Signore tu che mi conosci più di quanto conosco me stesso, tu che mi ami più di quanto io ami me stesso, aiutami a gustare il più possibile questo tuo massimo dono, che è la tua presenza eucaristica in noi, per noi, con noi. Tu che hai detto “chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete (Gv 6,35) saziami di te, con il tuo Spirito, con la tua presenza, con la tua parola, con il tuo amore, con la tua festa di Dio! Chi può farmi più felice di Te? Chi mi può donare ciò che sei Tu e doni Tu? Chi può “festificare” più di te il mio cuore e la mia vita? Aiutami a capire sempre più, con la tua luce e la tua grazia, che tu sei veramente nell’Eucaristia, il “tesoro nascosto nel campo” che devo continuamente cercare o meglio, devo “lasciarmi trovare da te” 42


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che mi cerchi e mi ami da tutta l’eternità, infinitamente Amen Termino proponendo alla meditazione un pensiero di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, tratto da un discorso del 1961: “Dio si è fatto uomo per salvarci. Ma fattosi uomo, ha voluto addirittura farsi cibo perché, nutrendoci di lui, diventassimo altri lui. Ora, una cosa è vedere Gesù (come se fossimo vissuti ai suoi giorni), un’altra cosa è ri-essere Gesù; poter essere un altro Gesù sulla terra. L’Eucaristia ha proprio questo scopo: nutrirci di Gesù per farci essere altri Lui, perché Gesù ci ha amati come se stesso” Revisione di vita 1. Come sto vivendo il dono immenso dell’Eucaristia? 2. Come mi lascio santificare da Gesù che viene in me? 3. Sento la gioia di accoglierlo? 4. Mi sento cristiano “beato”, veramente scelto, chiamato, felice?

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Agosto 2005 - Pragelato 11 - La profondità del mistero eucaristico Premessa Dobbiamo ricordare che l’uomo non può vivere una vita divina, soprannaturale, se non entrando nel segreto di Dio e lasciandosene assumere, tuttavia esso sempre infinitamente aldilà di ogni sua capacità di penetrarlo e capirlo. Quando nella liturgia diciamo “mistero della fede”, dobbiamo ricordarci che il mistero di Dio è infinitamente a noi superiore e quindi necessita di una continua adorazione; incessantemente dobbiamo cercare il Signore qui in terra, solo in cielo ci sarà pienezza di unità con Lui. Dio è più grande di ogni anima che possa accoglierlo e possederlo: Dio è infinitamente più grande di noi suoi figli. Nell’Eucaristia Dio fatto uomo si rende presente sotto i segni del pane e del vino, e questo noi possiamo solo crederlo-adorarlo, mai comprenderlo: è veramente il mistero della nostra fede! Nel segreto eucaristico il legame è esclusivamente con Dio fatto uomo. Dopo la consacrazione non rimangono né pane né vino, si entra immediatamente in rapporto con Cristo. Questa è la grandezza della presenza reale: l’uomo è chiamato a comunicare con lui, a riceverlo in sé, ad accogliere Dio fatto uomo che si dona all’anima come alimento. Nell’Eucaristia Dio si consegna a noi anche più intimamente dei nostri stessi sentimenti e pensieri. Il dono ci trasforma ontologicamente, ci fa un solo corpo con Cristo, veramente consorti della natura divina. Prima ancora di mutare il nostro sentire o le nostre idee, egli trasfigura l’intimo del nostro essere. Nel prologo di Giovanni si legge. “A quanti però l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome” (Gv 1,12). Mai Dio è così immanente quanto in questo mistero onde noi siamo come assunti da lui, sì da diventare con Lui un solo corpo, un solo spirito, un essere solo.1 1. L’Ultima Cena Quattro passi nel NT riportano sostanzialmente uno stesso episodio, che viene narrato in Mt 26, 26-29; Mc 14, 22-25; Lc 22, 14-20; 1 Cor 11, 23-25. Gli esegeti spiegano che i passi si rifanno a due tradizioni: - antiochiena, di Paolo e Luca (Antiochia) - marciana, di Matteo e Marco (Gerusalemme). Gli studiosi affermano che quanto è riferito nei Vangeli è frutto della tradizione culturale/liturgica delle comunità, per cui si può pensare che queste siano le parole del Signore: - “Poi prese del pane, detta la benedizione, (lo) spezzò e (lo) diede loro dicendo “questo è il mio corpo che è per voi, fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato prese il calice, dicendo “questo calice è la nuova alleanza nel mio 1 Passi liberamente tratti da Divo Barsotti – Presenza reale http://www.ansdt.it/Testi/Liturgia/Barsotti/presenza.reale.html

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sangue” (tradizione antiochiena di Paolo e Luca) - “ora, mentre mangiavano, prese del pane, detta la benedizione (lo) spezzo e (lo) diede loro e disse. “questo è il mio corpo”. E prendendo il calice avendo reso grazie, lo diede loro e disse loro: “questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti” (tradizione marciana in Gerusalemme) Ricordiamo che oggi nella liturgia si celebra la Consacrazione: “Egli, offrendosi liberamente alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi. Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. fate questo in memoria di me”. Come si nota, la celebrazione eucaristica riporta essenzialmente la Cena del Signore; Gesù dona se stesso agli apostoli e li invita a partecipare al mistero della sua donazione sacrificale e ad attualizzare fino alla fine dei tempi il suo dono di amore e di salvezza. È teologicamente esatto affermare che la S. Messa è un banchetto sacrificale, cioè un incontro con Gesù Risorto che dona oggi il suo corpo e il suo sangue versato un giorno sulla croce. a. L’Eucaristia è un banchetto celebrato in una cena di addio; Gesù dà se stesso in un gesto d’amore infinito: dona se stesso dicendo “il mio corpo, eccolo”. Questa potrebbe essere la traduzione più esatta delle parole aramaiche di Gesù (in aramaico non c’è la copula è). Quando Gesù dice “il mio corpo” indica la totalità della sua persona. In greco (το σωμα μου - to soma mou) il termine soma corrisponde all’ebraico bâsâr, che normalmente viene tradotto con carne (in aramaico bisra). Basar indica la condizione della persona fragile, cioè sottoposta alla sofferenza e alla morte. Gesù si dona agli apostoli e li invita a cibarsi di lui che sta per morire per loro. Nella tradizione antiochiena, Gesù afferma “il mio corpo che è per voi (per hymon)”, sottolineando “per voi”: che significa questa parola? Dice L. Dufour: “Questa parola significa direttamente “Io mi do in cibo perché voi viviate”, il senso è perciò “a vostro vantaggio”, perché si mangia per vivere. Una conseguenza va subito precisata. Con queste parole Gesù non afferma che va alla morte come un mezzo di salvezza, ma annuncia che rimanendo fedele a Dio e agli uomini fino alla morte, sarà sempre presente ai suoi, divenendo alimento e facendoli vivere di sé. Certo la parola viene pronunciata in una prospettiva di morte, ma di una morte salvifica; perciò è la prospettiva della vita che domina. Gesù afferma che, di là dalla sua morte accettata secondo il disegno di Dio e per amore nostro, egli ha il potere di rimanere nostro cibo di vita nel nuovo universo dell’Alleanza” (p. 125) Dicendo “prendete, questo è il mio corpo per voi” Gesù fa capire che non dichiara solo una sua nuova presenza, non dice solo di essere presente, ma precisa che tale presenza vuole essere un incontro. Gesù invita a ricevere il pane eucaristico, Egli invita a ricever45


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lo in dono. Nella sua azione e con il suo Spirito, il Risorto vuole comunicarsi personalmente alla sua Chiesa, destando così in lei la sua alleanza divina. Attraverso il miracolo della sua azione divina-umana, il Signore si rende presente misteriosamente, donandosi cioè attraverso il gesto di amore e di donazione del suo corpo di Risorto. Gesù con questo dono di sé ci fa partecipare alla salvezza che Lui ha ottenuto con il suo sacrificio di amore sulla Croce. b. L’Eucaristia è sacrificio Le parole sul calice – es. Mc “E preso il calice, avendo reso grazie, (lo) diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: “questo è il mio sangue dell’alleanza che è versato per voi” – sono di una densità straordinaria, perché ricapitolano il senso della vita di Gesù. Gesù ha annunciato il Regno, si è formato un gruppo di discepoli, è ormai di fronte alla morte imminente: con due parole, alleanza e sangue versato, sintetizza il mistero della sua vita nel disegno di Dio. - Alleanza: Gesù proclama che l’alleanza con Dio è definitivamente rinnovata, cioè la vita eterna è stata data a Lui ed egli la comunica ai suoi discepoli, offendo loro il calice. Fa comprendere che questa vita giunge loro attraverso la sua morte. - Sangue versato: non serve preservare la propria vita, perché significa perderla; è indispensabile perdere la propria vita, perché significa assicurarsela definitivamente. La vita è donata a colui che rischia la morte per essere fedele all’Alleanza. Viene proclamata l’Alleanza con Dio e il sangue di Gesù è il tramite mediante il quale gli uomini la ottengono. Bere il calice offerto da Gesù significa ricevere il sangue di Gesù, in quanto sangue dell’Alleanza. Mediante l’assunzione del suo sangue, si cresce nella vita di Dio che Lui dona, nella comunione di amore e di vita con Lui. Le parole sul calice completano quelle dette sul pane, in cui si affermava il dono totale di Gesù e la sua volontà di comunione con i discepoli, ma che lasciavano nell’ombra fra questo dono e il disegno di salvezza chiamato Alleanza. Grazie alle parole sul calice, i discepoli scoprono in pieno il significato della vita di Cristo, che è stata totalmente orientata a realizzare la comunione di vita tra Dio e gli uomini e che adesso termina in una morte violenta accettata per fedeltà e amore. - Il calice. Nella Bibbia questo termine viene usato con diverse accezioni metaforiche. Nei banchetti il capofamiglia presentava il calice già pieno, perciò bere a un unico calice simboleggia la comunione tra gli ospiti. Di qui anche l’uso metaforico di calice ad indicare la sorte di qualcuno (Mc 10,38), la prova da superare (Nm 5,12-28) o il castigo da subire (Is 51, 17). Offerto e bevuto nel Tempio, il “calice di salvezza” (Sal 116,13) significava la comunione con Dio. In questo caso, il calice è “calice di comunione” con Gesù e fra i suoi discepoli; donando la sua vita, Gesù ottiene l’Alleanza nuova con Dio, nello Spirito Santo, che infonde l’amore nei cuori, rendendo possibile la comunione con Dio e tra gli uomini - Nel mio sangue versato per voi: dicendo “versato” Gesù dice che va incontro lucidamente alla morte, per la salvezza “per voi”. Gesù si offre, nel mistero del suo amo46


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re, per la salvezza dell’umanità. Le parole sul calice si ispirano alle parole di Mosè al momento del sacrificio dell’Alleanza. “Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo dicendo: “Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole” (Es 28,8) Questo racconto è il “sacrificio di comunione” che sancisce l’alleanza tra Dio e il popolo. Il sangue di Gesù sancisce la “nuova Alleanza”, che sarà eterna, tra Dio è l’umanità: in Gesù, l’alleanza definitiva, perché Dio perdona i peccati grazie al mistero dell’amore di Gesù. - In remissione dei peccati (Mt): i peccati vengono perdonati, l’alleanza supporne il perdono dei peccati. È il mistero di un amore infinito che perdona, che dà agli uomini la possibilità di vivere nell’amore di Dio per sempre, in eterno! La nuova alleanza si realizza nel sangue versato in Croce, mediante questo evento di infinita donazione, realizzata nello Spirito: un’alleanza eterna come profetizzò Geremia “Concluderò con loro un’alleanza eterna” (Ger 32, 40) c. L’Eucaristia è memoriale - Fate questo in memoria di me Per la Bibbia ricordarsi di qualcuno non significa soltanto “richiamare qualcuno o qualcosa alla memoria”, ma significa anche agire in un certo modo: memoria e azione sono intrinsecamente legate. Ad esempio, se si dice che Dio si ricorda di Noè, di Abramo, di Rachele, significa che compie subito qualcosa di vantaggioso in loro favore. Questo legame tra memoria e azione è la caratteristica della radice ZKR (e dei suoi derivati, per es. zikkaron – memoriale) che in ebraico dice il ricordo, realtà sempre efficace. Ricordarsi per Dio significa curarsi, agire in favore del popolo: quando Dio si ricorda di Anna rende feconda l’azione del marito e le dà un figlio: “Elkana si unì a sua moglie e il Signore si ricordò di lei” (1 Sm 1,19). Dio salva l’uomo, azione memorabile, e quando si ricorda di questa azione, ritrova la fedeltà dell’alleanza. Quando il popolo ricorda i grandi fatti dell’intervento di Dio nella storia – creazione, liberazione, alleanza, ecc. – nel culto questo ricordo, questo farsi memoria attualizza il passato, l’azione creatrice o salvatrice di Dio. L’atto compiuto da Dio nel passato ha una virtù permanente, che il credente è invitato a riconoscere e a fare propria. In realtà questo avvenimento, questa azione divina non riguarda solo i suoi destinatari immediati: attraverso loro Dio aveva di mira tutti i discendenti. Per questo la Mishnah2 commenta: “Celebrando la festività, ci si deve comportare come se si fosse usciti personalmente dall’Egitto”. Questo invito a sentirsi presenti all’azione di Dio, il Deuteronomio lo suggeriva già quando amava mettere insieme la generazione del deserto e gli israeliti del tempo presente: “Il Signore nostro Dio ha stabilito con noi un’alleanza sull’Oreb. Il Signore non ha stabilito quest’alleanza con i nostri padri, ma con noi che siamo qui oggi” (Dt 5, 2-3) La festa dunque è la presenza di un’importante azione di Dio davanti all’assemblea celebrante; l’attualizzazione avviene mediante la narrazione di un solenne racconto che ricorda l’intervento divino valido ancora oggi; il credente, invece di sottrarvisi, è 2 Uno dei testi fondamentali dell’ebraismo, redatto dopo il 200 dC, designa l’insieme della Torah orale e il suo studio

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invitato a mettersi in rapporto con esso, facendoglisi presente. In tal modo, il racconto ha la funzione di trasmettere alle generazioni future l’esperienza dell’intervento di Dio. Tutti devono ascoltare e ricordare. Nella Liturgia si attualizza l’incontro tra Dio e il suo popolo: Dio agisce nella sua storia presente. Dio è presente nel divenire della storia, agisce continuamente parlando e santificando. Quando Gesù dunque dice: “Fate questo in memoria di me”, invita a fare. Si potrebbe anche dire: “fate questo ricordando la mia presenza” oppure “fate questo ricordando il mio nome” oppure “fate questo affinché io sia sempre presente tra gli uomini”. Jeremias3 propone “fate questo affinché Dio si ricordi di me”, infatti in forza dell’azione eucaristica, l’atto sacrificale di Gesù continua a essere presente al cospetto di Dio e a ottenere gli effetti redentori che ne sono il frutto. Gesù invita i discepoli e i futuri credenti a celebrare l’Eucaristia, affinché possa donare lo Spirito e la vita divina, attualizzando il mistero della sua morte e risurrezione. Lui vuole comunicare con gli uomini, donarsi nell’atto che salva il mondo. Per comprendere meglio il mistero di un atto del passato che mantiene la propria efficacia durante i secoli, può servire un’analogia simbolica. “Ogni mattina ripetiamo che il sole “si alza”, mentre sappiamo benissimo che il sole non si alza, ma che la terra gira e ogni mattina si espone al sole, centro del suo sistema di esistenza. Capita lo stesso dell’atto di Gesù che si sacrifica per tutti gli uomini. Ormai è Lui il centro del sistema cristiano, nel senso che è colui dal quale tutti dipendono e ricevono vita. Ogni mattina ripeto che rendo attuale questo atto, che lo rendo presente, ma so benissimo che la verità è proprio il contrario: ogni mattina io mi rendo presente al sacrificio di Gesù che, pur rimanendo un atto temporale del passato, possiede una dimensione sovratemporale e mi permette di rendermi presente a Lui attraverso lo spessore di questo tempo che, per me, scorre senza sosta e senza pietà. In questo modo il tempo acquisisce non soltanto la sua profondità di eternità, ma anche un dinamismo che, solidamente ancorato nell’atto salvifico di Dio, mi apre alla riconciliazione universale” (X. Léon-Dufour Condividere il pane eucaristico secondo il Nuovo Testamento LDC 1982, p.118). Dio vuole divinizzare gli uomini attraverso il mistero eucaristico! Revisione di vita 1. Quando partecipo all’Eucaristia, cerco di rivivere il mistero della Cena, della Croce, dell’Eucaristia oggi nella Chiesa? 2. Vivo l’esperienza liturgica come un incontro personale-comunitario con il Signore? 3. Mi metto alla presenza del Risorto che mi vuole in ogni Eucaristia donare se stesso, per un’unità sempre più viva e vitale? 4. Se l’Eucaristia è la partecipazione alla Cena e alla Croce del Signore, sento in me una grande luce di rivelazione e di liberazione, mi sento amato e liberato dal Signore? 5. Come cresce in me l’esperienza che la S. Messa è fonte e culmine della mia vita di credente? 3 Joachim Jeremias (Dresda, 20 settembre 1900 – Tubinga, 6 settembre 1979) è stato un teologo, orientalista ed esegeta tedesco

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Settembre 2003 12 - La grazia della comunità Premessa Mentre 30 anni fa, quando abbiamo iniziato, il desiderio della vita comunitaria, anche sotto l’influsso del Concilio Vaticano II, era assai diffuso nella Chiesa, oggi l’individualismo ha distrutto alla radice questa esigenza. È necessario riscoprire che la vita fraterna è il principio evangelico: è il Signore che ha “fondato” la vita comunitaria come via cristiana per una vita nuova. S. Tommaso dice che la grazia specifica del Battesimo è la vita fraterna, cioè la grazia di camminare e vivere insieme il Vangelo. Richiamiamo insieme alcuni punti-base per una visione essenziale sulla vita comunitaria: 1. Gesù e gli Apostoli hanno iniziato la vita delle prime comunità cristiane – Lc 6, 12-16 “In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli: Simone, che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo d’Alfeo, Simone soprannominato Zelota, Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore”. Gesù per circa tre anni visse insieme con loro, li rese fratelli, li formò prima di inviarli nel mondo intero (formazione alla comunione, prima della missione). Gli Apostoli formarono le prime comunità cristiane: a Gerusalemme: - Atti 2, 42-48: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.” - Atti 4, 32-35: “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno.” 49


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a Tessalonica: - 1 Ts 1, 1-10: “Paolo, Silvano e Timoteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace! Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo. Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui. Il nostro vangelo, infatti, non si è diffuso fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo e con profonda convinzione, come ben sapete che siamo stati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione, così da diventare modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell’Acaia. Infatti la parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia e nell’Acaia, ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne. Sono loro infatti a parlare di noi, dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, che ci libera dall’ira ventura.” Da questi testi biblici si possono raccogliere alcune indicazioni, fondamentali per la vita della nostra comunità cristiana: - è Gesù che chiama alla fede tramite la parola e la grazia - i chiamati vengono inseriti in un gruppo - che vive di alcuni elementi essenziali: - l’ascolto della parola insegnata dagli Apostoli - la vita fraterna in comunione di cuori, di azioni, di beni - uniti nella preghiera reciproca - nella celebrazione dell’Eucaristia - in una vita di fraternità feriale, semplice gioiosa - con uno spirito di vicendevole aiuto, carità, sostegno di fede e di grande umanità - testimoni visibili della Risurrezione - servi del Dio vivo e vero - in attesa del ritorno del Signore 2. La comunità è dono di Dio La via comunitaria è voluta, fondata e portata avanti dal Signore. Gesù nei secoli ha continuato a: - chiamare in gruppo le persone - trasmettere la parola - creare l’unità nella vita e nei cuori 50


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- a essere presente nella preghiera comunitaria, specialmente nella celebrazione eucaristica - a creare un nuovo modo di vivere nella fede, speranza, carità - a raggiungere l’umanità tramite la vita, la comunione, la missione, la testimonianza dei cristiani. La comunità è dunque una realtà quasi sacramentale, perché in essa c’è la presenza specialissima del Signore “In verità vi dico: dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Questa verità vale per tutta la Chiesa; il Concilio ha definito la Chiesa come sacramento: “la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1). La comunità è veramente come un sacramento, in cui si può sperimentare la presenza di Gesù che purifica, illumina, santifica, guida, dà gioia ai cuori. Quante volte lo abbiamo sperimentato in questi anni quasi una nuova coscienza che la nostra piccola Kisima ha nel Signore la fonte prima dell’unità e della comunione. La vita comunitaria è pertanto, prima di essere un impegno di amore, un atto di fede nella presenza del Cristo in mezzo a noi! Siamo insieme non per caso e neppure per motivi di efficienza, per un progetto nostro, ma per un disegno di Dio che ci ha chiamati e ci consegna come fratelli e sorelle gli uni agli altri. Possiamo veramente parlare di miracolo della comunità, che in questi anni è stata tenuta dal Signore. Dire miracolo significa affermare una realtà che ci supera ed è assolutamente impossibile alle nostre forze. Questa verità esige da noi un profondo rispetto del fratello e della sorella e dell’unità fondata su Gesù: è la nostra fiducia verso l’unità dei cuori e della vita. L’unità dei cuori è il miracolo dei miracoli, è il frutto dell’amore di Cristo e della sua preghiera: “Ti prego Padre... perché siano perfetti nell’unità (io in loro e tu in me) e il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17) 3. Scegliere ogni giorno la comunità L’unità, la comunione, esigono una scelta continua, quotidiana. Come per chi è sposato il segreto per non divorziare è riscegliersi ogni giorno, così per chi vive in comunità il segreto per l’unità è riscegliere Kisima ogni giorno. Occorre implorare nella preghiera continuamente il dono della fraternità e della comunione reciproca, e invocare lo Spirito, principio di unità e di comunione vicendevole. La vita comunitaria non sempre è spontaneità e attitudine del cuore, perché si devono superare alcuni difetti di fondo (cfr dispense di Cuneo): a. Lo spirito di indipendenza È l’attitudine a pensare, decidere, gestire la vita come se fossimo soli al mondo: “io e Dio soli al mondo” era il motto di alcuni santi eremiti, ma la nostra vocazione è camminare insieme, nel Signore e per il Signore. Occorre crescere nella mentalità di collaborazione e condivisione, per cercare quale è la volon51


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tà di Dio su ciascuno e su tutti, apportando alla vita comunitaria l’impegno e i doni personali. b. Sicurezza orgogliosa Qualche volta, almeno interiormente, si giudicano male gli altri e si ha un po’ paura di confrontarsi, per timore di perdere le proprie idee che si ritengono giuste. Si deve crescere nella capacità di ascolto reciproco, specie nei momenti in cui si è più tentati di giudizio. c. Invidia È, a livello nascosto, una difficoltà a sopportare il bene che è negli altri, i doni degli latri, le loro doti e qualità. È una strana allergia della mente e del cuore nei confronti della luce altrui, sia essa l’aspetto fisico, l’intelligenza, la virtù. Questo male, non riconosciuto e non combattuto, lacera il cuore di chi ne è afflitto e poi genera divisioni. Inconsciamente si è portati alla critica serrata del fratello, a squalificarlo, a mettere in luce i difetti: è la denigrazione o mormorazione. È necessario riscoprire i doni, evidenziare il proprio posto, nella comunità e nella vita, mettendo in luce le attitudini e i doni che Dio dà a ciascuno per il bene di tutti. d. Atteggiamento ipercritico Nasce da un vuoto di affetto nell’infanzia, per cui si diventa troppo critici nei confronti degli latri. Chi soffre di questo è perché non si sente riconosciuto come persona, è mancata la gioia di essere amati. Si supera credendo molto nell’amore di Dio e dei fratelli, sforzandosi di vedere gli aspetti positivi insiti nella vita di ogni persona, quasi una “cura di ottimismo” nei confronti del prossimo. e. Cocco di mamma “e infine ci fermiamo anche su questa stortura che può impedire la nostra maturità e la crescita della nostra vita. Il “cocco di mamma” sente il bisogno di attenzione continua e di essere in qualche modo al centro dell’affetto comunitario. Se questo non avviene scatta la sofferenza e la depressione, perché ha l’impressione di essere trascurato e abbandonato da tutti. Che senso ha la vita? Questa esigenza in qualche modo è presente in tutti. Abbiamo bisogno tutti di affetto, perché il Signore ci ha creati così. Ma questo bisogno può essere esagerato fino a diventare una stortura grave. Questo difetto può essere il risultato o di affetto mancato nell’infanzia o, all’opposto, di affetto esagerato da parte dei genitori. Se il bambino è coccolato all’eccesso e per troppi anni, finisce per diventare un “cocco di mamma” e dovrà lottare duramente per superarsi. Per superare questo stato d’animo, occorre crescere nella certezza dell’amore di Dio e della fraternità, impegnandosi a cercare di amare primariamente”. 52


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Questi difetti elencati sono le radici istintive di tutti, per cui è necessaria molta pazienza con se stessi e una continua preghiera per vincersi gradatamente. 4. L’ideale comunitario Dobbiamo “riscegliere” il Vangelo come fonte di vita! Se nel cuore si sceglie Dio, si vuole intensamente, si desidera rispondere alla chiamata del Signore, si superano tutti gli ostacoli del cammino comunitario, e si sperimenta quanto è grande il dono di Kisima. Ci dobbiamo aiutare a non spegnere lo Spirito (! Ts 5,19), cioè a vedere la comunità non tanto con i nostri occhi e sentimenti, ma con gli occhi di Dio che la guida, aiutandoci l’un l’altro a discernere il cammino da percorrere, che è sempre grande, perché il Signore indica mete stupende a chi lo sceglie. “Ecco quanto è buono e gioioso per i fratelli dimorare insieme” (Sal 133). Questo è l’inno della Sacra Scrittura alla vita in comune sotto la Parola. Volendo spiegare la parola “insieme” (cioè concordi), possiamo dire “che i fratelli dimorino insieme” in Cristo, perché Gesù Cristo solo è la nostra concordia: “Egli è la nostra pace” (Ef 2,14). Solo tramite lui possiamo incontrarci, godere gli uni degli altri, avere comunione gli uni con gli altri (Bonhoeffer). In questi anni abbiamo sperimentato la gioia della vita comune, certamente superiore alle difficoltà incontrate, la gioia di sentirsi fratelli e sorelle, la gioia di sentire che la nostra vita ha un senso vero, grande e profondo: costruire sempre più la comunità ricevendola come grazia dal Signore, in un continuo ricominciare ad amare. Termino con una parola grande di uno degli uomini che, più di ogni altro, ha il carisma comunitario: “Occorre molta pazienza per crescere. Quando una piccola quercia spunta e guarda quella grande, l’adulta vicino a lei, non deve dire: “Non ci arriverò mai”. Non dobbiamo avere fretta di crescere, accettiamo il ritmo della natura e quello della grazia. L’uva matura prima dell’autunno e a raccoglierla prima è acerba. Qualcuno pensa di non crescere nello Spirito Santo perché il suo cuore non cambia di colpo. Non lasciamoci influenzare dal secolo della fretta e accettiamo i tempi della crescita di Dio. In Brasile ho visto un albero curioso, il bachori. Cresce in Amazzonia. Da quando viene piantato, si devono attendere 40 anni prima di gustarne il primo frutto. Noi siamo tutte piante differenti, alcuni sono pomodori che crescono presto, altri sono bachori. Ai bachori non servirà nulla piangere al termine dei 39 anni perché non è un pomodoro. Abbia pazienza, un giorno darà il suo frutto.” (Jean Vanier- Povero tra i poveri pp 86-87) Il Signore ci aiuti a camminare tenendo presente questo grande invito, nella certezza che la sua grazia feconda sempre i cuori in profondità, se lo cerchiamo! Don Mario 53


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Giugno 2007 13 - Il sacramento del matrimonio oggi Premessa La crisi della coppia e della famiglia esige un ripensamento della vita della famiglia stessa, per offrire agli sposi e ai genitori un aiuto efficace in questa situazione di estrema difficoltà. Soprattutto occorre riscoprire la ricchezza e la profondità della presenza del Signore che santifica la famiglia con il Sacramento del Matrimonio, dando lo Spirito, fonte prima dell’amore matrimoniale. 1. Il primato della fede Per credere e vivere il matrimonio come sacramento, è necessaria la fede, che è adesione alla persona, alla presenza, alla parola del Signore. La fede è la luce che ci permette di vedere la realtà con gli occhi di Dio, scoprendo il mistero della presenza e dell’amore del Signore. – La fede ci fa vivere la vita con la certezza di essere amati personalmente dal Signore, infinitamente, come dice il profeta Isaia: “Perché sei prezioso ai miei occhi, io ti amo” (Is 43,4) – La fede ci fa sempre più scoprire il nostro valore e il valore di ogni persona davanti a Dio nostro Padre. Dal mattino di Pasqua sappiamo che Dio non ha esitato a donare tutto affinché non dimenticassimo mai quanto valiamo... Con la sua Risurrezione, Cristo ci unisce in modo inalienabile a Dio. Più nessuno può sentirsi escluso da questa unione e allo stesso tempo l’umanità non è più frammentata: dalla risurrezione noi apparteniamo gli uni agli altri1. – La fede ci dà la gioia di essere amati da Dio, di appartenere a Lui, di essere uniti in Lui. – Più la fede negli sposi è viva, attuale, personale, quotidiana, più il loro matrimonio diventa sorgente continua della gioia di credere, di vivere, di amarsi e di amare. 2. La santificazione della famiglia Che cosa significa che il matrimonio cristiano è un sacramento? Un sacramento è il luogo della presenza del Signore Risorto. Il sacramento è efficace perché in esso agisce Cristo, con la potenza del suo Spirito che guarisce e trasforma chi lo riceve. “Come il fuoco trasforma in sé tutto ciò che tocca, così lo Spirito Santo trasforma in vita divina ciò che è sottomesso alla sua potenza” (CCC n.1117). Gesù, che ha santificato con la sua presenza le nozze di Cana (Gv 2,1-11), si 1 https://www.taize.fr/it_article4919.html

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rende presente nelle nozze degli sposi cristiani e in tutta la loro vita, rendendo il matrimonio e la famiglia luogo della sua presenza santificatrice. La liturgia matrimoniale sottolinea questa grande realtà del sacramento: dice la formula matrimoniale “Io accolgo te mio/a sposo/a con la grazia di Cristo”. È il Signore che santifica l’IO degli sposi e li rende capaci di un NUOVO NOI, trasformando il loro amore, dando loro un cuore nuovo capace di amarsi con un amore santo, fedele, indissolubile, fecondo, che è partecipazione dell’amore con cui Gesù ha amato e ama la Chiesa. Il matrimonio cristiano significa e partecipa dell’amore infinito di Cristo per la sua Chiesa. Gesù dà agli sposi la forza e la grazia per essere capaci di un amore continuo, sempre più puro e unificante, crescente, nelle dimensioni dell’amore di Gesù per noi. È quanto dice l’apostolo: “Voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa” (Ef 5, 25-26). E aggiunge: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla sua Chiesa” (Ef 5,31-32). Questa presenza conferma, purifica, porta a perfezione la relazione matrimoniale e la vita coniugale, in tutta la sua realtà umana e cristiana. Gesù sposo è presente nella vita degli sposi, continuamente, dando loro istante per istante la grazia di amarsi come Cristo ci ama. Dio chiama al matrimonio e chiama nel matrimonio gli sposi cristiani, permanentemente. Chi ogni giorno dà loro la grazia dell’unità, del perdono, della fiducia, della speranza, dell’accettazione dei propri limiti, della comprensione viva e profonda? La famiglia diviene luogo di gioiosa gratitudine, una vera e viva esperienza di unità. Lo Spirito rende uno come Dio è uno Lo Spirito rende fedeli come Dio è fedele Lo Spirito rende fecondi come Dio è fecondità e vita Lo Spirito rende santi come Dio è santo. Dice il CC al n. 1661: “Il sacramento del Matrimonio è segno dell’unione di Cristo e della Chiesa. Esso dona agli sposi la grazia di amarsi con l’amore con cui Cristo ha amato la sua Chiesa: la grazia del sacramento perfeziona così l’amore umano dei coniugi, consolida la loro unità indissolubile e li santifica nel cammino della vita eterna”. Davvero la famiglia è il sogno di Dio! Il Signore vuole che gli sposi si amino come Dio ci ama: come è possibile questo? Questo stupendo progetto si realizza nel cammino matrimoniale lungo tutta la vita della famiglia, che diventa una “vicenda sacra”, una vera “piccola Chiesa”. Le famiglie cristiane, all’inizio del Cristianesimo come oggi, sono piccole isole di vita cristiana in un mondo incredulo, focolari irradianti di fede viva e gioiosa2. 2 Vedi Pontificio Consiglio per la famiglia - Temi di riflessione e dialogo in preparazione al IV incontro mondiale delle famiglie - La famiglia cristiana: una buona novella per il terzo millennio (Manila, 25-26 gennaio 2003)

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Il Concilio afferma che la famiglia è la chiesa domestica. È in seno ad essa che “i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l’esempio, i primi annunciatori della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo speciale” (LG n.11). dice il CCC n. 1657: “ È qui che si esercita in maniera privilegiata il sacerdozio battesimale del padre di famiglia, della madre, dei figli, di tutti i membri della famiglia, « con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e l’operosa carità ». Il focolare è così la prima scuola di vita cristiana e «una scuola di umanità più ricca». È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita.”. Il Signore, che sposa gli sposi nel SI del sacramento, accompagna con la sua presenza la vita della famiglia cristiana. Come l’acqua continuamente sgorga dalla sorgente, come il raggio emana dal calore del sole, così la vita e l’amore degli sposi vengono alimentati, sostenuti, purificati dal Signore che li guida nel mistero dell’amore familiare. Questa deve diventare sempre più l’esperienza matrimoniale cristiana, delle famiglie cristiane. 3. Risalire alla sorgente Come vivere questo mistero del matrimonio cristiano? È necessario risalire sempre alla sorgente dell’amore matrimoniale, che non è solo il cuore degli sposi, ma è il cuore del Signore che ci ama! È nel cuore del Signore che gli sposi devono attingere il pane quotidiano del loro sì, la fonte perenne della loro comunione. Questa certezza, questa coscienza, questa consapevolezza che il loro sì, il loro amore sgorga dal mistero del Signore che infinitamente ci ama, deve essere ravvivata, rinnovata, rivissuta, rivisitata ogni giorno, specie nei momenti difficili della vita e del cammino della famiglia. Rimeditiamo nello Spirito questo testo tratto dal libretto “La famiglia sogno e segno di Dio” Ogni coppia è un mistero! Mistero perché l’amore non sgorga da sé, ma viene infuso da Dio, unica sorgente del vero amore. Nessuno può “darsi” l’amore, si può solo ricevere. Sposarsi significa incamminarsi in un’avventura in cui ogni giorno si riceve da Dio l’amore, che riempie il cuore e si comunica reciprocamente. Dio non dà l’amore tutto e subito, ma giorno per giorno, incessantemente: Dio non si stanca mai di amare, di mettere nel profondo del cuore questa sorgente di unità e di vita che è il vero amore. L’amore è il pane del cuore degli sposi. È il nutrimento che colma ogni vuoto e lenisce ogni fatica nel cammino dell’amore matrimoniale. L’amore è vitalizzante, ci lo riceve si rigenera continuamente, senza mai stancarsi di accogliere e donare l’amore ricevuto da Dio. Ma quanto è difficile imparare a lasciarsi amare da Dio. È necessario diventare 56


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poveri nel cuore, coscienti che solo aprendosi a Dio si può accogliere ogni giorno quella pienezza di amore che Lui vuole donare, affinché la vita sia piena di amore. Ricevendo amore, lasciandosi amare, si diventa capaci di amare, fino a diventare amore vicendevole, pienezza di comunione. L’essenziale nell’amore è attendere, nella certezza che Dio ogni giorno mi dona l’amore per te! Tu sei amata/o da me con l’amore che Dio mette in me. Più si scopre questo mistero dell’amore che viene da Dio, più il matrimonio acquista profondità, maturità, pienezza: si diventa sempre più maturi, fecondi, vivi della forza e della pienezza di una vita continuamente ricevuta dal Dio Vivente. Lasciarsi amare infinitamente, per amare con un amore che non finisce mai, in un infinito desiderio di comunione, che diviene sempre più vero e totalizzante, in un incessante perfezionamento reciproco. Mai si può dire “oggi ti ho amato abbastanza”, ma sempre si può dire “ti amerò di più”, voglio - amandoti - imparare ad amarti sempre meglio e sempre più totalmente. Crescendo nel cammino matrimoniale, si scopre che il mistero dell’amore è sempre più bello e più grande di quanto si pensasse all’inizio, perché l’amore acquista intensità e profondità, attingendo a questa sorgente inesauribile che è il Dio amante. Molti sposi, crescendo nella spiritualità cristiana, si accorgono che la potenza di amore li trascende, che veramente Qualcuno ama in loro! Quasi si sperimenta la presenza di Colui che abita nel profondo, ci si accorge sempre più che si ama con un amore trascendente e ci si domanda: ma chi mette nel cuore questa freschezza di amore? Ogni sposo, ogni sposa, ogni coppia, vivendo, ascoltando, amando, pregando, poco per volta può sperimentare che più si ama più si vorrebbe amare: è Dio che spinge ad amare! Veramente l’amore non finisce mai, è eterno, oltre il tempo, perché Dio non è nel tempo, ma oltre: l’amore è senza tempo, solo istante infinito di pienezza. Aiutiamoci a scoprire e vivere incessantemente in questa sorgente dell’amore, eterna presenza, che Dio-Amore infinito. PREGHIERA DELLA FAMIGLIA Signore, donaci ogni giorno il dono dello Spirito Santo. Aiutaci a sentire che Tu sei con noi, come a Cana di Galilea e riempi la nostra casa di luce e di grazia! Solo tu puoi farci veramente felici, capaci di amarti, di amarci e di amare. Riempi i nostri cuori di tenerezza e di mitezza, di entusiasmo e di speranza, affinché la nostra famiglia sia sempre più una “piccola Chiesa”. 57


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Vergine di Cana, intercedi e veglia su di noi, affinché non ci manchino mai la fede, la fraternità, la festa del cuore e della vita. Amen Revisione di vita – In questi anni abbiamo percepito la grazia della presenza del Signore nella nostra famiglia? – Cerchiamo di amarci non soltanto con il nostro amore naturale, ma attingendo allo Spirito Santo che ci abita? – Come diventare sempre più segno visibile dell’amore di Dio (sacramento), dell’amore di Cristo per la Chiesa? – Riusciamo a pregare tutti insieme in famiglia? – La celebrazione della S. Messa domenicale è il punto centrale della nostra spiritualità familiare?

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Giugno 2007 14 - Riflessioni sul matrimonio e la famiglia 1. Finalità Lo scopo di queste riflessioni è quello di riscoprire il mistero dell’amore, la sua profonda bellezza, la sua gioia: l’amore è la sorgente del matrimonio e della famiglia, l’essenziale dell’alleanza matrimoniale: cosa significa amare? È necessario riscoprire: – l’amore come dono di Dio agli sposi, come progetto e disegno di Dio, che vuole il matrimonio e la famiglia per diffondere nel mondo l’amore e la vita – il valore primario della vocazione al matrimonio e alla famiglia. L’altissima dignità sponsale e coniugale: la famiglia è il centro della vita del mondo e della Chiesa – la bellezza e la preziosità dell’amore vero, uno, fedele, fecondo, indissolubile – il valore della vita e dei figli, il più grande dono di Dio agli sposi – il valore altissimo del Sacramento del Matrimonio, partecipazione dell’amore di Cristo per la Chiesa, segno e luogo dell’incontro di Gesù con gli sposi – l’altissima vocazione alla santità degli sposi e della famiglia cristiana: è una via di santità – le vie di una spiritualità coniugale sorgente continua di vita, rinnovamento, grazia, forza nuova d’amare – la missione della famiglia nel mondo contemporaneo e nella Chiesa, missione sacerdotale, profetica, regale – il grande progetto di Dio sulla famiglia, per vivere ogni giorno con festa e impegno il matrimonio cristiano. Il progetto di Dio, la famiglia, deve essere vissuto ogni giorno con il vino nuovo di Cristo, lo Spirito Santo, fonte dell’amore e della santità della famiglia. 2. Il mistero dell’amore – “ti amo per sempre” “Ti amo per sempre”: è questo il messaggio di Dio rivolto ad ogni uomo e ad ogni donna attraverso Gesù crocifisso e risorto. Senza Dio, non c’è amore vero, fedele, sicuro ed eterno. Dio garantisce il “ti amo per sempre”. “Soltanto amore, il resto è inutile” Più ami, meno osservi dall’alto. Più ami, meno giudichi. Più ami, più chiedi perdono. Più ami, più ascolti e meno parli. Più ami, meno ci tieni ad affermarti. 59


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Più ami, più ti fai da parte, diventi umile. Più ami, più diventi roccia, sicuro appoggio per l’altro. Più ami, più l’altro ti fa scendere nelle sue vergogne e miserie, perché sente che non ti scandalizzi e non giudichi. Più ami, più sei vero e scendi nella verità degli altri. Più ami, più diventi e sei te stesso: l’amore toglie il velo e fa vedere la verità su ogni cosa. Più ami, meno hai paura e fai paura. Più ami e più vinci la paura dell’altro. Più ami, più l’altro acquista sicurezza. Più ami e più diffondi luce. Più ami e più valorizzi ogni amore che ricevi e vedi attorno a te. Più ami e più non cerci altro che amore. Più ami, più ti semplifichi e riconduci ogni cosa all’essere, cioè all’amore, all’amare e essere amato. Più ami, più diventi puro. Più ami e più i veli dell’imperfezione cadono in te. Più ami, più scendi nel profondo e finisci nel trascendente. Più ami, più perdi le categorie del visibile, del tempo e dello spazio. Più ami, più diventi eterno perché sei l’eterno e hai l’eterno, che tutto riempie e informa, in te, nel tuo spirito. Più ami, più cerchi la bellezza, la verità, l’unità, la semplicità, la trasparenza, la gioia. Più ami, più sei libero, ti autodetermini nel bene, con continuità e crescita. Più ami, più ti spiritualizzi e impari a rispettare tutti. Più ami, più dilati il tuo cuore e ami tutti, li fai entrare nel tuo cuore. Più ami, più diventi infinito, grande, generoso, meraviglioso. Più ami, più ti trasfiguri e trasfiguri ogni cosa con te stesso: le tue parole, i tuoi pensieri, i tuoi occhi, il tuo sorriso. Più ami, più irradi attorno a te la gioia di Dio, la festa del Cielo. “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l’amore Né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa In cambio dell’amore, non ne avrebbe che disprezzo.” (Ct 8, 6-8) “L’amore è fatto per uscire da me e volare verso gli altri” (Michel Quoist) 60


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3. Il dono del matrimonio La storia del matrimonio può essere divisa in varie parti: a. il matrimonio alle origini: il progetto di Dio (Gen 1,2) b. il peccato rovina il piano di Dio (Gen 3) c. l’alleanza tra Dio e il popolo illumina il matrimonio (l’attesa del Messia) d. Gesù guarisce e rinnova il matrimonio: il Sacramento del Matrimonio (Giovanni 2: Nozze di Cana; Marco 10, 1-12: no al divorzio; Efesini 5, 21-33: il matrimonio è un Sacramento) e. La storia del matrimonio fino al Concilio di Trento f. Il Concilio di Trento: sessione XXIV (11 novembre 1563: dottrina sul Sacramento del Matrimonio) g. Concilio Vaticano II: Gaudium et Spes 47- 52 h. Dopo il Concilio: – Enciclica Humanae Vitae – Paolo IV – 25.7.68 – Sinodo dei Vescovi sulla famiglia – 1980 – Familiaris Consortio – Giovanni Paolo II – 22.11.1981 – Evangelizzazione e Sacramento del Matrimonio – CEI – 20.6.75 4. Il progetto di Dio sul matrimonio (Genesi 1,2) Il matrimonio secondo il disegno di Dio è una comunità di amore, la più intima e la più profonda che esista tra due persone di sesso diverso. Nella Bibbia Dio crea l’uomo e la donna, maschio e femmina, a sua immagine, affinché formino “una sola carne”, cioè realizzino la comunione tra di loro, affidando loro il compito di amarsi, di amarlo e di trasmettere la vita. Dio che è amore – Padre, Figlio e Spirito Santo – vuole che sulla terra si realizzi la comunione coniugale e familiare: Lui crea l’uomo e la donna diversi e complementari, uguali nella dignità e nel valore della persona, ma diversi nel loro essere fisico, psichico, spirituale, invitandoli a realizzare tra loro un’unità totale, fedele e feconda. Dio vuole trasmettere a loro il potere altissimo e grandissimo di generare la vita attraverso la loro unione, dando loro il “potere” di essere creatori con lui di nuove vite, della vita. La famiglia è dunque il grande progetto, il grande sogno di Dio, luogo di comunione e di amore, di vita e di festa simile alla sua. Il matrimonio nel progetto di Dio ha tre finalità: – sviluppo e perfezionamento reciproco degli sposi – procreazione ed educazione dei figli – comunione profonda con Dio per cui si può dire che: – il matrimonio è una comunità – di amore – totale. 61


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“Il matrimonio non è effetto del caso o prodotto di forze inconsce: è una sapiente istituzione del Creatore per realizzare nell’umanità il suo disegno di amore. Per mezzo della loro reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla comunione dei loro essere, in vista del mutuo perfezionamento, per collaborare con Dio alla generazione di nuove vite” (HV n.7) Testi • Genesi 1,26 sgg. (tradizione sacerdotale, V secolo a.C.) E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». 27 Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. 28 Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra». 29 … 31 Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona.” 26

Il testo insegna che: – L’uomo è creatura di Dio, fatto a sua immagine, cioè capace di dominare la terra, di trasmettere la vita, di partecipare alla comunione di conoscenza e di amore di Dio – È creato maschio e femmina per formare una comunità a due – Essi devono essere fecondi e procreare, riempire la terra – “Adam” non è uno, ma due; l’immagine non è riflessa in un volto solo ma in due, profondamente uniti nella stessa natura umana e nella complementarietà dei sessi, a tal punto da costituire insieme l’immagine di Dio. Chi è invitato a prendere possesso della terra non è un individuo, ma una coppia: l’uomo e la donna insieme costituiscono l’immagine divina. Dio è talmente profondo che ha voluto essere riflesso in modo duplice nell’uomo e nella donna. – La coppia è benedetta da Dio, cioè Dio istituisce e santifica il matrimonio: è sacro già sul piano naturale, è un dono di Dio benedetto e santo. È un’istituzione sacra, divina. 62


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– Devono essere fecondi (legge sulla fecondità) – Dio vide che era cosa buona, perché la coppia può dialogare con Lui e continuare nel mondo la sua opera creatrice. • Genesi 2, 4b-25 (tradizione jahwista – sec. X a.C.) Questo secondo racconto, più antico, si esprime con un linguaggio più popolare e tuttavia molto suggestivo. Sulla terra arida, senza vegetazione e irrigazione (2, 4b-6) Dio pone l’uomo, che ha plasmato con polvere del suolo e ha reso vivente con il suo alito di vita (2,7). Pianta un giardino e vi mette l’uomo perché “lo coltivi e lo custodisca” (2,15). Il racconto dice che però l’uomo è solo e in quella solitudine si sente a disagio e come incompleto (2,18). Di qui l’iniziativa di Dio di creare la donna (2, 21-22). È notevole che in questo racconto la donna non sia creata in relazione alla procreazione, ma al fatto che l’uomo non può stare da solo. “Non è bene che l’uomo sia solo; gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (2,18). “Non è bene” ossia “non è conveniente” o “non è secondo ciò che egli è”. “Un aiuto che gli sia simile”: un essere della stessa natura che lo completi perfettamente, uguale in dignità e insieme diverso per poter essere complementare (“simile”). La donna che Dio presenta all’uomo, come compagna di vita e collaboratrice, elimina in radice quella sorta di incompletezza nella quale l’uomo si era venuto a trovare. Il matrimonio appare come l’espressione eminente e più diretta di questo completamento. Il suo scopo è innanzitutto quello di permettere alla coppia di realizzare una comunione totale di vita e di dono di sé. “21

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Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. 22 Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. 23 Allora l’uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. 25 Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna.”

– v.21: il torpore, il sonno profondo, in ebraico tardemah, indica nella Bibbia un sonno straordinario prodotto da Dio e connesso ad un’azione straordinaria compiuta da Dio stesso (es. a proposito di Abramo si parla di un sonno profondo 63


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in occasione dell’alleanza con Dio – Gen 15,12). Gerhard von Rad1 interpreta “sonno profondo” come quello che in certe occasioni rende capaci di ricevere una rivelazione divina. Forse l’autore ha voluto a modo suo dare una spiegazione dell’attrazione sessuale. – v. 22: “la costola” esprime la verità che la donna è della stessa natura dell’uomo. Alcuni significati: – alcuni dicono che dipende dalla concezione primitiva degli ebrei secondo cui il petto, il torace, è la parte più nobile dell’uomo perché nel petto c’è il cuore (leb) che per gli antichi ebrei era il centro del pensiero e degli affetti, come per noi il cervello. Quindi la donna sarebbe stata tratta dalla parte più nobile dell’uomo. – Alcuni dicono che lo sfondo è mitico. Ci si rifà al poema sumerico “Dilmun” che darebbe ragione del doppio nome dato alla donna:’Ishshah – Hawwah (Donna – Eva). Il dio Eki soffrì un dolore alla costola (ti). Allora creò una dea che glielo guarisse, chiamata Nin-ti (donna della costola). Il termine sumerico ti indica anche “dare la vita”, quindi donna della costola = donna che dà la vita. Lo jahwista prese l’espressione “costola” per spiegare come il Signore aveva tratto “la donna dalla costola” di Adamo e ne aveva fatto la sua compagna. L’altro senso, “donna della vita”, ha dato luogo all’altro termine “Hawwah – Eva”, madre di tutti i viventi. Non può essere senza significato il fatto che i LXX hanno tradotto in greco il termine “Hawwah” con “Zoé”, cioè vita. “L’uomo chiama la donna con un nome che dice quel che significa per lui: la donna per lui significa vita, portatrice di vita” (Westermann)2 Gli arabi ancora oggi indicano l’amico più caro come la propria costola ed il nostro appellativo cuor mio esprime la stessa idea. Dio ha fatto l’uomo e la donna della stessa natura, l’uno per l’altra: la donna è l’alter ego dell’uomo. – 22b “la condusse all’uomo”: si esprime l’idea che è Dio che dona la donna all’uomo, si esprime la fede che in ogni matrimonio è Dio che dona la moglie al marito. Il matrimonio è quindi un’impresa buona e santa, che porta la benedizione di Dio nella stessa struttura che questi ha voluto dargli. La donna è un dono del Dio vivente! – v.23 “questa (zo’ht) è finalmente osso delle mie ossa e carne della mia carne”. La si chiamerà ‘ishshah (donna) perché da ‘ish (uomo) è stata tratta”. Questo è stato definito “il più bel canto dell’amore coniugale”. Il grido di gioia di Adamo 1 Gerhard von Rad (1901 –1971) fu un pastore luterano, docente universitario ed esperto dell'Antico Testamento 2 Claus Westermann - Nato a Berlino nel 1909 è stato docente di Antico Testamento dal 1958 al 1976 all’Università di Heidelberg ed è riconosciuto tra i grandi biblisti del secolo

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percorre tutta la storia del mondo! Finalmente l’uomo non è più solo. Dio gli dona la donna, che può entrare in comunione con lui, può condividere la sua vita. L’espressione “questa è osso delle mie ossa” significa l’unità di sangue, ciascuno dei due è carne della stessa carne – la parola carne indica l’intera persona, l’ego in forma fisica. – v.24 “per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”. È chiaramente espressa la legge dell’unità e della comunione sponsale: il matrimonio è l’unione totale dell’uomo e della donna, sul piano fisico, spirituale, di cuore e di mente: l’unità è il fine del matrimonio. – v. 25 “erano nudi”: si esprime così l’armonia dell’uomo e della donna, la loro comunione d’amore e con tutto il creato. Sintesi e messaggio – Il matrimonio viene da Dio, è dono, è progetto suo. – È benedetto con una benedizione che ne esprime la bontà e lo santifica, grazie ad una presenza di Dio agli sposi, di fronte a cui la vita matrimoniale è chiamata a svolgersi – Deve essere unico e indissolubile: gli sposi devono essere una sola carne e nessuno può separarli – Gli sposi ricevono il compito storico di formare una famiglia, comunità di amore e di vita, aperta all’accoglienza dei figli e chiamata a collaborare con Dio allo sviluppo della creazione – La coppia e la famiglia è chiamata a camminare alla presenza di Dio, riconoscendolo come colui che è Signore e che dà vita – Questa coppia, creata a immagine e somiglianza di Dio, porta in sé l’esigenza dell’unità che si fa comunione e dell’armonia nell’amore, un amore che deve essere senza fine. 5. Il peccato rovina il progetto di Dio (Gen 3, 1-24) Questo capitolo di Genesi ci fa vedere come il peccato offusca l’ideale del matrimonio e introduce il male all’interno della coppia, della famiglia, del mondo. C’è un grande squilibrio o disordine, che rovina il mistero della comunione con Dio, di coppia, familiare, sociale. La perdita dell’armonia con se stessi e con Dio porta alla perdita dell’armonia reciproca: la relazione uomo-donna è colpita profondamente. La donna e l’uomo si dividono, si accusano reciprocamente, si incolpano a vicenda: la coppia non si ama più e non si dona più nell’amore. L’armonia e l’unità coniugale sono incrinate: – la donna invece di essere unita all’uomo, aiuto, diventa seduttrice e tentatrice 65


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– l’uomo invece di amare la donna la dominerà: “egli ti dominerà” (v. 16) La coppia però non viene abbandonata da Dio, Dio promette la liberazione dal peccato; potrà sottrarsi al male, grazie ad una stirpe “della donna” che sconfiggerà definitivamente il male (3,15). Tutto il Vecchio Testamento è un’attesa di questa realizzazione, di questa vittoria di Dio, della nuova Alleanza che Gesù realizzerà. Tutto il VT fa risaltare che il matrimonio da una parte è sacro, dall’altra è offuscato dal peccato. È una storia di luce e di tenebre: il VT sovente presenta il peccato contro la famiglia (Gen 16, 1-4; Es 20,17; Dt 5,21). È il male che rovina e che attende una liberazione futura. Revisione di vita e confronto di coppia 1. Vivo il matrimonio realmente come un mistero di Dio che ci fa il dono di essere concreatori con Lui? 2. Vivo la vita di coppia come risposta al progetto di Dio: è Dio che ci ha chiamati, ci dona l’un l’altro, ci vuole santi? 3. In questi anni è cresciuto in noi l’amore vicendevole? Ci conosciamo, ci stimiamo, ci doniamo, ci apparteniamo di più? 4. Viviamo la sessualità come dono e mistero di conoscenza e di amore reciproco o ci sono difficoltà di possessività, di ricerca di sé, di chiusura, di strumentalizzazione dell’altro? 5. Il peccato in quale misura turba la nostra unità di coppia? - c’è stanchezza nell’amarsi? - c’è abitudinarietà e sfiducia? - c’è mancanza di sincerità e apertura? - c’è mediocrità nella crescita interpersonale? - c’è poca tensione al perfezionamento personale e di coppia? 6. Esperimentiamo la festa del matrimonio? 7. Quali sono i nostri più belli e possibili desideri per il futuro?

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Luglio 2007 15 - Discernere il cammino Carissimi, dalla pace dei monti, dopo la bella festa della Casalpina per i suoi 25 anni di vita, giunga a voi questa lettera che vuole aiutare tutti a discernere, prima del deserto di agosto della nostra Comunità. Vorrei iniziare con una storiella zen: “Nan-in, un maestro giapponese dell’era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen. Na-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite e poi continuò a versare. Il professore vide traboccare il tè e non riuscì a trattenersi: “E’ ricolma, non ce ne entra più”. “come questa tazza – disse Nan-in – tu sei colmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tazza?” 1. Chi siamo oggi 17 famiglie, più M. Teresa e M. Elena, con 37 figli e D. Mario (ringraziamo il Signore e Paolo e Francesca per l’ultimo nato, Gabriele). Sei famiglie e M. Teresa risiedono nella parrocchia di San Secondo e gli altri in altre parrocchie in e fuori Torino. Siamo 71 persone legate insieme da un progetto comune: “cercare insieme di vivere il Vangelo”. Per discernere il momento che stiamo vivendo è necessario rivisitare il passato, cogliere gli aspetti positivi e negativi del presente per camminare alla luce della Parola di Dio, il nostro futuro. 2. Rivisitare il passato Dal 1973 ad oggi abbiamo sempre cercato di vivere il Vangelo, nel primato della fede e della preghiera, nell’ascolto della Parola, nella celebrazione dei Sacramenti, nell’impegno di comunione e di servizio fraterno e apostolico, soprattutto nella vita familiare e parrocchiale. Ci ha uniti la chiamata del Signore che ci ha guidato in questi anni, aiutandoci a comprendere che il Vangelo non deve solo essere conosciuto, ma deve essere un cammino continuo di purificazione del cuore e una comunione di vita. L’esperienza personale, familiare e comunitaria ci insegna che più mettiamo il Signore al centro dei nostri desideri, intenzioni, pensieri e azioni, più cioè attingiamo sempre più in profondità la grazia e l’amore di Dio, più è grande e forte la comunione interpersonale fraterna. “Dio è luce” (1 Gv 1,5) e la sua luce entra in noi, nella misura in cui ci purifichiamo nel profondo e con umiltà lo cerchiamo con tutto il cuore. 67


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In questi anni, quante volte abbiamo sperimentato questo in Kisima! La strada della comunità è sempre stato il Signore a indicarla. 3. Leggere il presente In questi ultimi mesi è emerso che siamo divisi all’interno della comunità non tanto sul desiderio di stare insieme per aiutarsi a vivere il Vangelo, quanto sul “modo” di viverlo oggi. Sono vissute, specie nei confronti del problema povertà, due esigenze opposte: c’è chi vorrebbe che i beni delle singole famiglie o delle persone fossero intesi come “beni comuni di tutta la comunità” e chi afferma che i beni personali o familiari non sono della comunità, ma sono propri. Condivisione totale per i primi, condivisione parziale per i secondi. Questa divisione è una grazia del Signore, perché ci obbliga tutti a rispondere all’invito suo di cercare di essere poveri come Lui è stato nella sua vita. Essere poveri, amare i poveri, condividere con gli ultimi, mettersi al servizio di chi ha più bisogno, stare dalla parte di chi soffre sono tutte esigenze evangeliche. La povertà, la castità, l’ubbidienza, la vita cioè secondo il Vangelo sono un dono di grazia, una beatitudine che riempie il cuore, ed esigono continuamente una generosa, ma a volte faticosa, lotta spirituale, che non finisce mai. Quando Gesù al giovane ricco ha detto: “se vuoi essere perfetto, vai, vendi quello che hai, dallo ai poveri, avrai un tesoro in Cielo; poi vieni e seguimi (Mc 10,21), ha messo il fondamento di una sequela cristiana che esige una forte fede per essere vissuta. Solo una grande fede in Cristo poteva dare a quel giovane la forza di lasciare tutto per seguire Gesù. Non possiamo mai dimenticare il Vangelo all’interno della nostra comunità, e stupirci che la risposta alla chiamata del Signore deve essere quotidiana. Non è una regola che dà la forza di attuare il Vangelo, ma è la grazia di Dio. Mi pare quindi necessario richiamare me stesso e tutti quanti a rispondere al Signore, come sempre l’unico Maestro del cammino. 4. Quale strada percorrere Personalmente ritengo che nel deserto di gennaio 2008 potremmo rispondere con semplicità di cuore a questa domanda: “Intendo mettere a disposizione dei fratelli tutti i miei beni o dare alla comunità solo la decima di essi?”. Come nei movimenti ci sono le due posizioni o possibilità di condivisione, così può essere per Kisima. Sia che si aderisca alla prima formula, sia che si aderisca alla seconda, non dobbiamo però mai dimenticare che alla fine della vita saremo giudicati sull’amore. Questa via dell’amore è senza fine! Nessuno può amare come Gesù, ma tutti dobbiamo chiedergli la grazia che ci dia ogni giorno il suo Spirito, che è il suo modo di amare in noi. C’è una difficoltà concreta a questo proposito, però: forse non tutti sanno discernere bene da che parte stare. La comunità per questo è invitata a pregare e, per 68


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quanto posso farlo, posso mettermi a disposizione per un discernimento concreto per la scelta. 5. Il deserto di Pragelato Voi sapete che quest’anno leggeremo insieme e mediteremo la stupenda Lettera agli Efesini. Se vi è possibile meditatela già da adesso perché sono certo che la Parola di Dio vi illuminerà anche per i problemi interiori odierni. Personalmente sto meditando, per adempiere meglio le mie responsabilità, a quanto è scritto sulla Regola di Taizé circa il priore: la trascrivo perché può essere una luce per tutti. Dice la Regola di Taizé sul priore: “Senza unità non vi è speranza di servire Gesù Cristo in modo coraggioso e totale. L’individualismo disgrega ed arresta il cammino della comunità. Il priore suscita l’unità della comunità. Nelle questioni di dettagli pratici, egli indica la direttiva, ma nelle questioni importanti interroga il consiglio, prima di prendere una decisione. I fratelli mantengono con lui la loro spontaneità ma, ricordandosi che il Signore gli ha affidato un incarico, siano attenti a ciò che concerne il suo ministero. Con la loro fiducia i fratelli gli procurano un rinnovamento nella serietà della sua vocazione per la gioia di tutti, con lo spirito delle piccole rivendicazioni essi immobilizzano il suo ministero. Ogni fratello si apra a lui, in particolare per comunicargli i propri timori. La rivolta esternata davanti ad altri non può che contaminare. Satana trova qui le sue armi migliori per dividere ciò che deve essere unito. Diffidiamo delle reazioni infantili che accusano quando sarebbe giusto accusare prima di tutto se stessi. Quando lo spirito di perfezione consiste nell’imporre come il migliore il proprio punto di vista è una piaga della comunità. Il priore è sottoposto alle stesse debolezze dei suoi fratelli. Se questi lo amano per le sue doti umane, corrono il rischio di non volerlo più accettare nel suo incarico quando scoprono le sue colpe. Il priore nomina un assistente per sostenerlo e garantirgli una continuità dopo di lui. Prendere delle decisioni per il priore è un compito grave. Nella sua opera di direzione delle anime vegli a non asservire ma ad edificare tutto il corpo nel Cristo. Cerchi i doni particolari di ciascun fratello affinché questi stesso li possa scoprire. Non ritenga la sua carica superiore, ma neppure l’assuma con falsa umiltà, e si ricordi unicamente che questa gli è stata affidata dal Cristo al quale un giorno dovrà rendere conto. Stronchi in se stesso ogni sorta di autoritarismo, ma sia fervente nel mantenere i suoi fratelli sul piano di Dio. Non permetta agli autoritarismi di imporsi e dia fiducia ai deboli. Si armi di misericordia e la chieda al Cristo come grazia per lui più importante”. 69


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Aiutatemi, specie con la vostra preghiera, affinché davvero possiamo “essere e stare sul piano di Dio” e non scendere a compromessi con il Vangelo. Inoltre sto chiedendo al Signore la luce dello Spirito Santo per modificare quanto si è scritto sulla “traccia di riflessione” circa la nostra povertà. “vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri, avrai un tesoro in cielo, poi vieni e seguimi” (Lc 18,2) la comunità prega ogni giorno per avere questo dono dal Signore: non avere nessun tesoro sulla terra. La povertà nella società dei consumi, nella città, è segno di vero amore per il Signore. Essere questo segno di libertà è l’ideale, ci sta nel profondo del cuore. Essere liberi dalle cose per essere pronti ad amare il Signore. Coscienti che la povertà non è solo materiale, ma spirituale, cerchiamo ogni giorno di raggiungere la beatitudine dei poveri di spirito, chiedendo al Signore il dono dell’umiltà, della mitezza, della semplicità evangelica. Ogni fratello e sorella mette in comunità i suoi beni materiali e spirituali in una comunione fraterna continua di pensieri, parole, opere, verso l’unità perfetta: perché siate perfetti nell’unità (Gv 17,22). Ogni mese comunitariamente, si dà il superfluo ai poveri.” Prima di chiudere vorrei che la comunità pregasse prima del deserto con questa preghiera di Charles De Foucauld: “Quando preghiamo dobbiamo chiedere solo l’impossibile che è l’unica cosa ad essere divina”. Vivendo questa preghiera, otterremo la luce per discernere il futuro di Kisima, che si costruisce oggi, o meglio, che il Signore sta costruendo oggi nel cuore di ciascuno di noi! La Vergine ci ottenga per questo la coscienza e la certezza. Aiutiamoci nel cammino comunitario a realizzare l’impegno che il frère che entra nella comunità di Taizé si assume. Gli viene chiesto: “Vuoi, riconoscendo sempre il Cristo nei tuoi fratelli, vegliare sopra di loro nei tempi buoni e nei cattivi, nell’abbondanza e nella povertà, nella sofferenza e nella gioia?” “Lo voglio!” Inoltre sto chiedendo allo Spirito Santo per me e per tutti come modificare quanto è scritto nella pista di riflessione circa la povertà. Fraterni saluti a tutti, specie a Paolo e Giuliana che in Africa stanno aiutandoci con la loro grande testimonianza. Grazie di cuore! Don Mario

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Quaresima 2010 16 - “Subito dopo lo spirito lo sospinse nel deserto” (Mc 1,12) Carissimi, questa parola è sempre attuale, è l’oggi di Dio! Anche noi siamo invitati, sospinti dallo Spirito nel deserto, in questi 40 giorni che sono un grandissimo dono che Dio ci fa per darci la grazia e la gioia di prepararci alla Pasqua del Signore. Vorrei riflettere un momento con voi sullo Spirito, perché tutta la nostra vita spirituale dipende dal rapporto che noi, ogni giorno, abbiamo con lo Spirito Santo, “primo dono ai credenti”. Leggiamo insieme il n. 737 del CCC: “La missione di Cristo e dello Spirito Santo si compie nella Chiesa, corpo di Cristo e tempo dello Spirito Santo. Questa missione congiunta associa ormai i seguaci di Cristo alla sula comunione con il Padre nello Spirito Santo; lo Spirito 1. prepara gli uomini, li previene con la sua grazia per attirarli a Cristo 2. manifesta loro il Signore risorto 3. ricorda loro la sua Parola 4. apre il loro spirito all’intelligenza della sua morte e risurrezione 5. rende loro presente il mistero di Cristo, soprattutto nell’Eucaristia, al fine di riconciliarli e di metterli in comunione con Dio perché portino “molto frutto” (Gv 15, 5. 8. 16). In Quaresima dobbiamo chiedere al Signore questa grazia di vivere nello Spirito sempre più, come dice l’apostolo: “Fratelli, se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito” (Gal 5,25). Non è facile per nessuno questo passaggio da una vita nella carne a una vita nello Spirito, cioè sospinti dallo Spirito. Ma che significa un po’ concretamente, per noi, “andare nel deserto”? 1. Il deserto è un’intuizione Occorre un’ispirazione per capire che il deserto è il luogo dell’incontro con Dio. Non è forse questa la grazia che abbiamo ricevuto a Taizé? Chi, se non lo Spirito, ci ha spinto là e ci riporta in quel luogo dove “soffia” il vento della speranza e di un continuo rinnovamento? Lo so che è necessario perseverare, non stancarsi di cercare il Signore, ma siamo certi che Dio si manifesta se, con semplicità di cuore, lo cerchiamo. Più lo desideriamo, più il Signore fa sentire nel cuore e nella vita la gioia della sua presenza. In questo anno per me privilegiato, lo sto ampiamente sperimentando, con molta luce e forza interiore: Dio è sempre più felice di quanto pensiamo noi, di quanto possiamo immaginare, e desidera donarsi in questo mistero della sua festa senza fine. Perché Dio invita al silenzio, alla solitudine, alla ricerca interiore, a uscire da sé, se non per donarsi sempre di più e farci gustare la gioia di essere suoi? 71


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2. Il deserto è un cammino Quando quasi spontaneamente rivivo il cammino di questi 50 anni di ricerca di Dio, con voi e nella Chiesa, mi rendo conto di questa verità, prima solo conosciuta teoricamente: credere è davvero camminare verso Dio, senza fermarsi mai! Sempre più si diventa coscienti che noi siamo finiti e che Dio è infinito: come fa l’infinito a donarsi al finito? C’è una parola che mi affascina in questi tempi: dice l’apostolo che alla fine “Dio sarà tutto in tutti” (1 Cor 15,28; Col 3,11; Ef 4,6). Ecco, il deserto è il luogo in cui Dio si rivela e fa conoscere in profondità questa espressione che è il suo desiderio, il senso della nostra vita: diventare sempre più in comunione con Lui e tra di noi, unità. Non si è mai finito di cominciare …non si è mai esperti di deserto, capaci di incontrare il Signore, ma sempre dobbiamo “volere lo Spirito”, perché è solo Lui che ci può illuminare, dare la forza e la gioia della comunione di Dio e in Dio. 3. Il deserto è un’attrazione Che cosa è la grazia se non questa chiamata di Dio? Dio, che ama, chiama incessantemente, specie nei periodi forti della vita della Chiesa, la Quaresima è uno di questi. Il Signore ci chiama e ci invita alla fede in Lui, festa senza fine. Sono contento che il cardinale ha fatto quest’anno la lettera quaresimale su Cristo risorto, ma siamo solo agli inizi nella nostra Chiesa … il cammino è ancora lungo per avere una teologia esperienziale di Dio festa infinita … perché solo lo Spirito può illuminare i pastori, come ha fatto con fr. Roger, il profeta della festa senza fine di Dio! Dice Padre Cantalamessa che occorre parlare di “Dio che è Gesù”, prima di parlare di Gesù che è Dio. “Dio continuando ad essere Dio si è fatto uomo”, che significa: Dio continuando ad essere festa infinita si è fatto uomo, altrimenti davvero non si capisce più perché siamo “beati nel credere” …: chi è più beato, più felice di Cristo risorto e chi più di Lui può donarci una festa che solo Dio ha in sé? Credere è ricevere la beatitudine di Dio che è infinita, è ricevere in noi il Dio di una festa che per ora non possiamo valutare, ma che è sempre più grande, più preziosa, più piena di quanto noi possiamo pensare e sperimentare. Se in noi c’è questa misteriosa attrazione verso una felicità sempre più grande da cercare, invocare, possedere, sarà davvero la festa del cuore e dei cuori! Vorrei riflettere un momento con voi su tre difficoltà che ostacolano questa ricerca del deserto. Perché facciamo così fatica a cercare la solitudine in Dio? a. La difficoltà di pensare Si può credere solo con il pensiero! La fede è una illuminazione della mente, una partecipazione alla conoscenza di Dio, con cui Dio si conosce. Per noi moderni, pensare è diventato sempre più faticoso, perché siamo affascinati dalle immagini. La TV e il computer stanno distruggendo la gioia di pensare, e prevale in noi 72


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il desiderio di “vedere”, più che di capire. Sono preoccupato di quanto poco si pensa, anche all’interno della nostra comunità cristiana: chi davvero va in profondità? La morte di Don Pollano, una delle persone più “illuminate” che ho conosciuto nella mia vita, un grande pensante, oltre che un grande santo, ma forse santo perché pensante in grande … lascia un grande vuoto, direi incolmabile. Pensare, riflettere, voler capire, meditare, assimilare, sono ormai parole senza senso per tanti moderni … Se è vero che il silenzio è d’oro, siamo davvero diventati molto poveri, tutti quanti … non è forse questa una nuova forma di grande povertà? b. La solitudine del cuore Quante persone mi dicono: mi sento solo! Questa solitudine del cuore nasce perché non c’è più il gusto della vita fraterna. L’individualismo è ormai una vera piaga sociale. Quanta solitudine, quante solitudini, specie nelle nostre città. Diventa difficile stare insieme nella ricerca e nella vita cristiana. Soli davanti alle cose, a sempre più cose che ci attraggono e ci distraggono, che ci dominano, che ci comandano: chi può uscire oggi senza un telefonino o due in tasca? … ci si sente perduti … Può anche infiltrarsi in noi, in Kisima, nelle nostre famiglie, tra noi? Ci si può sentire soli anche all’interno di una famiglia o di una comunità? Può la chiusura essere più forte della comunione? C’è sempre una barriera di incomunicabilità nel mistero di ogni persona, una tentazione di separazione, di isolamento, di divisione, di ripiegamento su di sé, o per paura, o per timidezza, o per delusione dell’altro, o per il pericolo del giudizio altrui, o per timore di non essere capiti … la solita scusa: “meglio tacere per evitare guai…” Voi sapete che questa difficoltà porta anche una conseguenza di carattere spirituale: non ci si confessa più! Il sacramento della Riconciliazione è davvero trascurato dalla massa dei cattolici. Dobbiamo invocare lo Spirito, perché questa è veramente una delle tentazioni più profonde del Demonio: impedire che neanche più con il sacerdote si apra il cuore. Senza questo sacramento, che è ricevere lo Spirito Santo che ci purifica, ci rafforza, ci trasforma, ci riempie di speranza, è difficile vivere il Vangelo. Se la vita spirituale non è “revisionata”, rivisitata nel Sacramento della pace, difficilmente si può progredire nella vita cristiana, si rischia di appassire, di avvizzire, di sfinire, di perdere l’entusiasmo e la gioia di Dio. Mi chiedo come fanno tanti coniugi che hanno gravi difficoltà di relazione, di comunicazione tra loro, a superare le barriere se non si consigliano, nello Spirito, con qualche sacerdote che li aiuti a “vedersi come ci vede Dio”, a “conoscersi come ci conosce Dio”, a “guardare la vita come la vede il Signore”. Come è possibile discernere da soli la volontà di Dio, nel quotidiano, specie quan73


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do ci sono muri di incomprensione e di incomunicabilità, mai svelati, per paura o per timidezza? c. La paura del futuro A causa della crisi economica, pur grave, si è infiltrata in tanti cuori questa paura, che certamente impedisce la ricerca del deserto, perché genera tensioni e preoccupazioni. Non è facile credere che Dio è il nostro futuro, che Dio “vede e provvede”, come insegnano i santi, ma non c’è atra via, perché il futuro è solo in Dio, noi non lo conosciamo. Il Vangelo è esigente a questo proposito, direi assoluto: “non affannatevi” (Mt 6 25), ma come è possibile? Questa è fede pure. Gesù stesso ci dice: “cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33). Come aiutarsi a vivere questa parola così urgente per l’oggi che stiamo vivendo, in questo tempo di crisi? L’eccessiva preoccupazione toglie la possibilità di un deserto, perché si rischia di non incontrare Dio, ma sempre e solo se stessi con le proprie preoccupazioni e i propri affanni … Personalmente mi aiuta molto una parola di Charles De Foucauld: “Quando preghiamo dobbiamo chiedere solo l’impossibile che è l’unica cosa ad essere divina”. Davvero i santi, che per tutta la vita hanno lottato come noi e forse più di noi per vivere il Vangelo, sono delle forze di vita straordinarie. Chi può misurare ciò che è impossibile se non la coscienza che mi dice “questo ti supera”? non è forse l’umiltà la luce che mi dice: “hai bisogno di Dio”? come è possibile affidare a Dio il futuro? La fede non è proprio questo affidare e affidarsi, dire al Signore “guidami Tu”? Chiediamo allo Spirito Santo la grazia speciale, in questa Quaresima, per vincere la superficialità, la solitudine e la paura del futuro. 4. Quale è il fine del deserto, cosa ci dona? Penso che questa parola di S. Agostino riassuma: “Questa è la vita felice: gioire per Te, di Te, a causa di Te. Altra felicità non esiste” (Confessioni X,22) che è eco della grande beatitudine. “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8). Il deserto è questa purificazione, “lasciarsi fare da Dio” che ci conosce meglio di quanto noi ci conosciamo, ci ama più di quanto noi ci amiamo, ci vuole felici più di quanto noi riusciamo a darci questa felicità. Vi invito a recitare e gustare questa preghiera che viene dal monastero di S.Giulio d’Orta, là dove il Signore con la sua presenza irradia una continua grazia di comunione e di rinnovamento per tante persone: 74


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Fa’ o Signore che ascoltiamo ogni giorno il tuo richiamo e che, sapendoci eternamente da te amati, non andiamo errando lontano con la mente e con il cuore, in cerca di altri amori, di altre furtive gioie. Felici di stare alla tua presenza, fa’ che ogni giorno per noi sia festa, e tutto quello che facciamo sia al suono della cetra dello Spirito Santo e al passo della danza degli eletti. Si sprigioni dal nostro cuore Una gioia santa, contagiosa, che dilaghi su tutta la terra inaridita e la trasformi in rigoglioso giardino di grazia e di amore. Amen Anna Maria Canopi Preghiamo insieme, gli uni per gli altri, perché la Quaresima sia per tutti un incontro nello Spirito, la festa senza fine del Padre e del Figlio: chi più felice di Dio, chi può farci più felici di Lui? Fraterni saluti nel Signore Don Mario

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Maggio 2013 17 - Quarant’anni di cammino Carissimi, cerco di donarvi la gioia che ho provato a Taizé pensando ai 70 anni di vita dei frères confrontandoli con i nostri 40 anni di cammino insieme. 1. La sorgente Il Papa Beato Giovanni Paolo II1, andando a Taizé il 5 ottobre 1986 disse: “Si passa a Taizé come si passa accanto a una fonte. Il viaggiatore si ferma, si disseta e continua il cammino. I fratelli della Comunità non vogliono trattenervi, vogliono, nella preghiera e nel silenzio, permettervi di bere l’acqua viva promessa da Cristo, di conoscere la sua gioia, di discernere la sua presenza, di rispondere alla sua chiamata, poi di ripartire a testimoniare del suo amore e servire i fratelli nelle vostre parrocchie, città e paesi, nelle vostre scuole, università e in tutti i luoghi di lavoro.” Noi siamo Kisima di nome, dobbiamo e vogliamo essere sorgente! Mi sono chiesto semplicemente: a Taizé cosa troviamo e in Kisima cosa si trova dopo 40 anni di cammino? Ogni sorgente vale, è preziosa, per la qualità di acqua che diffonde e disseta. In questi giorni mi sono dissetato in profondità, perché a Taizé si percepisce in profondità quanto diceva frère Roger in un incontro: “Abbiamo camminato e siamo qui, perché il Cristo Risorto ci ha guidati e portati avanti. Noi siamo certi che è Lui che ci ha guidati e ci guida”. Penso che anche noi, seppure in modo minore per la piccolezza rispetto al frère, abbiamo sperimentato questa presenza del Signore che ci ha guidato fino a qui. Mai in questi anni è mancata tra noi la gioia di credere, di amarci fraternamente, di pregare vicendevolmente, di sorreggerci, specie nei momenti difficili del cammino. A Taizé ho percepito che i frères hanno davvero un senso molto vivo, chiaro e profondo della loro identità, della loro vocazione e missione. Dobbiamo anche noi rafforzarci nel senso di appartenenza a Kisima, affinché possiamo vivere ed esprimere il dono della nostra chiamata al cammino fraterno. 2. Il primato della preghiera La preghiera comunitaria a Taizé colpisce in profondità: è il segno visibile della loro unità ed è il centro della vita comunitaria. È il cuore del loro essere monaci e anche i giovani percepiscono questo primato nella vita di quella comunità. Pregano per loro e per tutti, con grande afflato spirituale. Vivono per cercare sempre più Dio, cui hanno consacrato la vita, per la sua gloria e la salvezza del mondo. Ho ringraziato il Signore per la loro perseveranza, per la profondità del loro impegno in una vita di santità personale e comunitaria al servizio di tutti. In questi anni in Kisima abbiamo cercato di approfondire il dono della preghiera, 1 Proclamato santo nel 2014

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anche grazie a Padre Gasparino che ci ha guidati nel cammino, affinché la preghiera sia sempre al primo posto, cercando il Signore, pur nella fatica di una vita frenetica, come si vive in città e nelle problematiche del mondo moderno. Siamo ben coscienti che dobbiamo pregare con più perseveranza e impegno e dobbiamo aiutarci in questa via per scoprire che in essa è la sorgente dell’amore vero! Più si prega, più si ama; solo pregando intensamente, direi il più possibile, si riesce a vivere alla presenza del Risorto, ricordandosi ogni giorno che non siamo mai soli, perché il Signore è sempre in noi e tra noi. Vivere insieme alla presenza del Signore, attingere quotidianamente in Lui la luce e la grazia per il cammino, esige tenacia e continuità di ricerca in Dio e per Dio: non stanchiamoci, aiutiamoci sempre più, perché più si prega, più si vive la gioia del Vangelo. 3. Il canto di lode e ringraziamento A Taizé si rivela e si capisce meglio il dono del canto, il suo mistero profondo. Perché cantare incessantemente? Cantare e ringraziare, lodare, benedire il Signore specie nella liturgia, esprime il senso profondo della vita che deve essere proprio questo: un cantico a Dio! La liturgia è, sulla terra, l’anticipo della vita celeste e in essa dobbiamo pregustare la gioia eterna, la festa senza fine di Dio! Cantare in Chiesa per avere la forza nell’impegno quotidiano di servizio e di lavoro, una gioia vera di essere figli di Dio. “Credo nel Dio che canta e fa cantare la vita” è il motto di una comunità del centro-America. A Taizé si sente che il canto è l’espressione di una comunione, di una ricerca, di un desiderio di santità e di un intenso rapporto con il Risorto che vive con noi. Si canta perché si è contenti di vivere, di credere, di amarsi, di esistere! Dobbiamo aiutarci a ringraziare sempre e di più il Signore per tutti i doni che abbiamo ricevuto in questi anni. Doni di vita, di grazia, di bene. Come ringraziare specialmente per il 44 figli che il Signore ha donato alle nostre famiglie? Il Signore ci aiuti a far fiorire tutti i doni che sono nel profondo, forse ancora nascosti, non conosciuti, affinché il nostro canto possa essere sempre più pieno e riconoscente. 4. Kisima e gli altri A Taizé, ascoltando frère Aloïs e gli altri frères che parlavano dei confratelli che vivono nei paesi poveri, ho percepito il loro grande spirito missionario. Sono spersi per i cinque continenti: bellissimo! Essere cristiani oggi è più bello che nei tempi passati, in cui non si conoscevano le ricchezze e le bellezze dei popoli lontani. Sul pullman al ritorno abbiamo potuto sentire i ragazzi cinesi raccontare la loro vita: che ricchezza di sentimenti e di desideri! La fede cresce diffondendola: come possiamo diffondere la fede attorno a noi e più lontano? Kisima si sta allargando come un piccolo seme che cresce…dobbiamo davvero chiederci: “Che cosa vuole il Signore oggi da noi, per diffondere il più possibile il suo amore agli altri?” Sono molto contento del cammino intrapreso da Daniele e Gianni verso il diaconato. Nel cuore c’è una domanda: non ci sono altre vocazioni al diaconato all’interno di 77


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Kisima? Non è proprio il carisma dei laici fermentare attraverso questa speciale consacrazione di testimonianza, servizio e missione? Inoltre: come aiutare tante famiglie che ci conoscono, sono vicino a noi, a scoprire la loro vocazione ecclesiale? E’ urgente aiutare i cristiani il più possibile a scoprire i doni, i carismi, le grazie personali, e metterli in grado di farli crescere ed espandere a tutti secondo il disegno di Dio, affinché il bene si diffonda sempre di più. In questi anni di impegno nelle varie parrocchie abbiamo fatto tante esperienze: occorre confrontarci per delineare un cammino di proposte, perché Kisima possa dare alle varie comunità ecclesiali la propria esperienza di vita, troppo preziosa per non essere irradiata. Per fare questo però è necessario che tutti lo sentano, non solo come esigenza, ma come mandato, volontà del Signore. È lo Spirito che manda, anche attraverso le parole di Papa Francesco che invita la Chiesa continuamente ad andare, aprirsi, comunicare, perché il Vangelo è per tutti! Quale gioia sono stati per me i cinque ragazzi cinesi a Taizé! Sognavo… e adesso un sacerdote cinese sarà a Torino, spero di potere almeno una volta al mese celebrare una Messa a San Secondo con loro. Quale campo si apre anche per noi… preghiamo tanto il Signore che ci illumini. 5. I giovani Quando si va a Taizé si guardano quei ragazzi: dove vengono, chi li accompagna, perché sono lì, di cosa hanno bisogno? Quante risposte e intuizioni nascono dentro, quale desiderio di dare ai giovani la possibilità di vivere Taizé anche dopo. Kisima è nata da questa grazia e vive di essa, e dobbiamo dare alle nuove generazioni la possibilità di conoscere Taizé. Ho visto di persona quanto i giovani hanno bisogno di essere ascoltati: cercano qualcuno con cui parlare, anche se per noi adulti è davvero difficile comprenderli fino in fondo, perché vivono con grande fatica la loro vita cristiana in una società praticamente solo laica. Dobbiamo pregare molto ed essere loro vicini con attenzione e amore vero, affinché possano trovare in noi dei testimoni amici, e dei fratelli più grandi che vogliono e cercano il loro vero bene. Gli educatori dei nostri ambienti parlano dell’esigenza di dare ai giovani una specie di vademecum, una forma semplice di regola di vita, per orientarli nel cammino, affinché non si disorientino e disperdano. Come comunità dovremmo aiutarci ad avere un’attenzione primaria verso i più giovani, perché solo così possiamo costruire un futuro più maturo e fecondo di frutti. PENSIAMOCI MOLTO. 6. La presenza della vergine L’icona della Vergine è ovunque a Taizé. Tutti abbiamo dentro l’esigenza di una presenza che colmi a volte grandi vuoti e i frères invitano a scoprire il mistero della maternità di Maria, colei che tutti conosce e ama come madre. Per questo il pellegrinaggio a Lourdes ha per noi un grande valore. Vogliamo chiedere all’Immacolata una particolare presenza e intercessione. Mi hanno sempre colpito le parole con cui la Vergine ha “fondato” Lourdes invitan78


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do l’umanità a recarsi là. Nella 13^ apparizione, il 2 marzo 1858, ha detto a Bernardette: “Direte ai sacerdoti di far costruire una cappella in questo luogo e di venirvi in pellegrinaggio”. Si va a Lourdes per questa chiamata della Vergine che vuole parlarci al cuore, dandoci quelle grazie che solo Lei può ottenere. Lei ci chiama là a pregare, in un luogo preciso, dove sono già passati più di trecento milioni di persone. Anche se non tutti possiamo andare a Lourdes per impegni seri, dovremo compiere uniti questo pellegrinaggio di ringraziamento, per impetrare quelle grazie e quei doni indispensabili per un cammino di comunità sempre più santo e fecondo di bene. Cerchiamo, specie con i nostri figli, di far comprendere questo dono e questa grazia, perché ci cerca la Vergine si unisce sempre più al Signore e diventa capace di vivere la gioia del Vangelo. Il mese di maggio sia vissuto con profonda fede e gioia, perché il S. Rosario è la preghiera richiesta dalla Vergine a noi cristiani. Solo chi ama può capire il senso semplice e profondo di questa preghiera che è l’espressione del cuore. Chi è innamorato capisce il senso del Rosario, direi chi ha il cuore pieno! 7. Il mio futuro Sono già molti che mi chiedono: che farai…quando sarai grande?! Rispondo che cerco di vivere l’oggi di Dio come insegnano a Taizé. Aiutatemi a vivere bene oggi, sostenuto dalla vostra fraterna amicizia e unità, affidandoci al Signore che veglia su di noi. Spero che partecipando il più possibile alla celebrazione della S. Messa possiamo attingere al tesoro dei tesori che il mistero eucaristico la luce, la forza, la gioia di essere in Kisima e di cercare ogni giorno di ricominciare a lasciarci amare dal Signore, ad amarci e amare! Vivendo bene oggi costruiamo bene il futuro. Il domani dipende dall’oggi: oggi è il seme fecondo per un domani migliore. Aiutiamoci sempre più a vivere intensamente la nostra comunione con il Signore e tra di noi, con semplicità di cuore e purezza di spirito, perché il nostro passo sia sempre più secondo il Signore, come dice il Salmo 37, 3-4: “Confida nel Signore e fa’ il bene; abiterai la terra e vi pascolerai con sicurezza. Cerca la gioia nel Signore: esaudirà i desideri del tuo cuore.” Termino invitandovi a pregare sovente con questa preghiera di frère Roger: Spirito del Cristo Risorto, presenza misteriosa donaci di vivere della tua fiducia a tal punto che le sorgenti del giubilo non finiscano mai. Lodiamo e ringraziamo il Signore. Con rinnovato affetto Don Mario 79


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Pragelato, giugno 2013 18 - Un saluto veloce Carissimi, un saluto veloce da Pragelato. Spero che tutti siate sempre più uniti nel Signore, tra di voi in famiglia e con tutti noi di Kisima. Stiamo vivendo i 40 anni nella luce della presenza del Signore che ci sta guidando. Anche se lontano, cerco di sentirvi tutti, specie nella preghiera e per telefono. Sono contento che ad Alpignano ci sono ora tre famiglie di Kisima: in una apposita riunione con loro decideremo come impostare la nostra presenza. C’è qualche difficoltà economica nelle famiglie. Destineremo perciò a loro la decima dei mesi di giugno, luglio e agosto che verserete sul conto, per aiutarle. Come sempre la Provvidenza non manca mai. Mi raccomando, ogni giorno chiedete al Signore la sua Festa senza fine! Con grande affetto Don Mario

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Settembre 2013 19 - Lourdes 2013: intenzioni e perdono Carissimi, abbiamo la grande gioia di passare insieme questi giorni: sono davvero un dono del Signore e vorrei dire ciò che sento, può essere utile per tutti. 1. Rivedere le nostre intenzioni Nulla rivela tanto l’uomo quanto le sue intenzioni: chi vuole conoscere veramente una persona cerca di conoscere le sue intenzioni. Esse rivelano ciò che pensa di sé e degli altri, ciò che si prefigge, dove vuole arrivare, che cosa sta preparando. a. Dobbiamo scendere nel profondo del cuore per accertare se vogliamo con tutte le nostre forze, con tutte le nostre energie, con tutta la nostra buona volontà, con tutta la nostra fede, con tutta la nostra preghiera costruire, portare avanti, far crescere la nostra piccola esperienza comunitaria, la nostra cara Kisima! b. Cercare di cogliere in modo nuovo, il senso grande e stupendo della comunionecomunità. Non c’è nulla di più vero, di più autenticamente umano, di più bello, che una vita comunitaria in cui si è insieme per crescere nella verità, nella libertà, nell’amore, nell’impegno, nella gioia di essere in cammino con Dio, verso Dio, al servizio reciproco, aperti ai fratelli, decisi a lottare per un mondo più santo e più bello. Ogni comunità cristiana deve rivivere, per quanto possibile, l’esperienza della prima, quella dei 12 Apostoli che sono stati riuniti da Gesù per essere segno, norma, via per tutte le comunità nei secoli. Gesù ci vuole insieme: questo è il motivo-base, ultimo, fondante del nostro essere cristiani: non siamo insieme per noi solamente, siamo insieme perché lo vuole il Signore! Cogliere in modo nuovo il senso-significato della vita comune vuol dire: - riflettere sulle origini, sulle motivazioni, sull’esperienza del passato per fare emergere il positivo e scoprire il negativo - creare legami veri fra tutti, per superare i momenti difficili nel cammino personale, quando amare diventa duro e crocifiggente - aprirsi al futuro che Dio vuole da noi, cogliendo i segni della sua presenza in mezzo a noi - rinnovare l’amore alla comunione-comunità, farne ragione di vita, motivo vero di senso e significato: più si crede ad essa, più si vive la comunionecomunità 81


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- impegnarsi con la totalità di sé ad amarsi reciprocamente, a fare cordata unita nel cammino, a dirsi e darsi fiducia-forza-coraggio nel cammino dell’amarsi, sempre nuovo, sempre diverso, sempre tanto esigente e bello! c. Fare chiarezza e unità in se stessi, per essere luce per tutti. Per amare gli altri, bisogna saper amare se stessi; per conoscere gli altri, bisogna imparare a conoscere se stessi; per aiutare gli altri, bisogna aiutare se stessi a fare la verità nel proprio essere, per quanto è possibile. Ogni forma di impegno nel conoscersi, nell’amarsi, nell’apprezzarsi, nello stimarsi, nell’accettarsi, nel volersi veramente bene, nel cercare di non farsi male dentro, nel trovare forza, fiducia, pace, gioia, motivazioni profonde, è un vero modo per fare comunità. Ogni sforzo fatto per evitare in noi: - l’orgoglio che impedisce di vedere il positivo dell’altro - l’indifferenza che blocca la comunicazione - la sfiducia che fa morire l’altro - la timidezza, la paura il vittimismo - il giudizio e l’ipercritica - il pettegolezzo e la mormorazione sugli assenti - la non volontà di dialogo, comunicazione, rapporto vero e profondo di sé - il complesso di inferiorità o superiorità - la non sincerità con se stessi - la superficialità della ricerca - la pigrizia e la mancanza di spirito di sacrificio in una parola tutto ciò che ognuno fa per rendersi buono, amabile, vero, puro, maturo, gioioso, è veramente un dono che si fa alla comunità, che è il frutto dei nostri cuori, del bene e del male che c’è in noi. Quante volte pecchiamo di indifferenza: di fronte all’altro siamo chiusi in noi stessi, nel nostro io, non ci interessa nulla dell’altro - lui fa la sua vita e noi la nostra. L’altro sovente non esiste per me, non mi interessa, non entro dentro di lui, non voglio comunicare con lui; lo conosco e lo ignoro, lo lascio stare perché non voglio essere con lui, non voglio lottare, soffrire con lui e per lui: rimango chiuso nella mia individualità. Questo specchietto dell’indifferenza mi ha fatto tanto riflettere su come io vivo la comunità, su come “soffro” ciò che c’è nella vita e nel cuore di voi tutti! Fare chiarezza e unità in sé significa davvero chiedersi con tutto se stessi, con la totalità del sé: - ma io voglio continuare a fare comunità Kisima? - per me questa via è sempre un dono-impegno, una chiamata-risposta, un grande dono dello Spirito? - è chiaro per me oggi il cammino, il fine, i mezzi, la via per creare sempre di più comunione con tutti e il più possibile? - Scelgo davvero la comunità per amare Dio nei fratelli, con i fratelli? 82


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- Sono disposto a condividere la vita e il cuore? - Come voglio e desidero la comunione: quanto sono disponibile a lasciarmi amare e amare? 2 - Rivedere il nostro SENSO DEL PERDONO Una comunità è matura nella misura in cui vive questo mistero. Nessuno può rimanere in comunità se non sa perdonarsi e perdonare, se non riceve la liberazione del proprio passato e di quello altrui! Nessuno di noi è senza peccato: più si sta insieme, più si conosce il limite, la negatività di ciascuno. Nessuno di noi riesce a sopportarsi e tanto più ad amarsi se non è continuamente liberato dal giudizio, dal senso di negatività di sé, dalla sfiducia in sé e negli altri; in una parola o il perdono distrugge la morte del male operata dal peccato in noi e negli altri, o non si riesce più a vivere l’amore di sé e del prossimo. Il perdono è veramente indispensabile per la vita della comunità. Non si può stare in comunità se non si vive giorno per giorno, sempre di più, la parola di Gesù: “non giudicate”! A noi tocca amare, aiutare, sostenere, sorreggere, pregare, compatire, dare una mano, rialzare, offrire ospitalità nel proprio cuore a chi ha bisogno, essere umili dentro, e mai giudicare, condannare, sospettare, offendere, rimuginare dentro, chiudersi perché l’altro non è come pensavamo che fosse, è se stesso! Il perdono ci libera da questa schiavitù terribile che è il giudizio, che impedisce ogni forma di vera comunicazione, comunione, dialogo fruttuoso, crescita nel rapporto fraterno. Il perdono è un dono prima per noi che per gli altri: è il dono di poter sperare sempre nell’altro, perché l’amore è più forte del male, di ogni male, perché dove c’è vero perdono c’è il Signore che porta fiducia, forza, pace. Il perdono non è solo dimenticare, non giudicare, non condannare, sperare che l’amore sia più forte del male, ma è dono dello Spirito Santo, è creazione nuova: Dio perdona dandoci se stesso, noi dobbiamo perdonare dando noi stessi per il bene dell’altro, impegnandoci al massimo per aiutarci a essere buoni e santi nel Signore. INTENZIONI e PERDONO: preghiamo Gesù Risorto che ci aiuti davvero a diventare nuovi nella verità, nella rettitudine, nel perdono grande e sincero! La Vergine “apparsa” e Immacolata rinnovi la nostra Kisima Don Mario

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Natale 2013 20 - 40 anni in Kisima La nostra è un’esperienza di famiglia nata e cresciuta all’interno di un cammino di condivisione fraterna e comunitaria di vita cristiana; vogliamo condividere degli spunti di riflessione, sperando di far sorgere delle domande e gettare semi di speranza che possano aiutare il cammino di fede. LA STORIA Percorriamo brevemente la nostra storia. Siamo cresciuti all’interno dei gruppi giovanili della parrocchia di S. Anna dove abitavamo; insieme ad altri giovani abbiamo iniziato un cammino di ricerca per vivere un’esperienza di fede condivisa avendo come modello la prima comunità cristiana descritta dagli Atti degli Apostoli. Siamo partiti dalla constatazione di quanto fosse, ed è difficile da soli mantenersi fedeli e non farsi travolgere, inglobare dagli affanni quotidiani e dai modelli proposti dal mondo che ci circonda. Abbiamo iniziato a cercare e visitare esperienze comunitarie in quegli anni (‘70/80 ) molto fiorenti e molto varie, dal Sermig a Villa Grazia (CISV), a Spello (fratel Carretto), alle comunità di base, ai focolarini, a don Gasparino a Cuneo, ricavando preziose indicazioni, ma nessun modello ci pareva corrispondere alla nostra chiamata ad una comunità che fosse un’esperienza di condivisione inserita nel quotidiano, nel nostro quartiere, nella nostra parrocchia, nella nostra attività lavorativa per chi iniziava a lavorare, in una realtà che comprendesse sposati e non sposati e fratelli in ricerca di una vocazione. L’esperienza fondante della comunità è stata Taizé dove nel ‘73, dopo un soggiorno di una settimana, è nato con un nucleo iniziale di 11 ragazzi un cammino di comunità per portare l’esperienza di Taizé a Torino, nella nostra vita divenendone testimoni. In questo cammino una presenza determinate e indispensabile e stato il nostro padre spirituale don Mario, allora viceparroco, che ci ha guidati, formati e ci ha trasmesso il suo entusiasmo, e che da allora fino ad oggi è un punto indispensabile di riferimento per tutti noi. All’interno di questa esperienza, nasce e matura in noi due la chiamata ad una vita di coppia che ci porta al matrimonio nel ’77; è questa una data di svolta perché oltre al formarsi della prima famiglia nella comunità, nello stesso periodo don Mario viene trasferito parroco a S. Secondo e decidiamo di andare ad abitare in via Parini insieme a Elena e Teresa per vivere un’esperienza di condivisione di vita. È stato questo periodo iniziale una forte esperienza di vita comune, si cenava insieme, un solo c/c e tutte le scelte economiche condivise, due anni dopo l’esperienza continua con Carla e Elio, nell’80 nasce Marco, il primo dei nostri 4 figli. Sempre in quegli anni si aggiungono nuovi fratelli e nuove famiglie, è questo l’inizio di un percorso che ci porta dopo quarant’anni alla realtà attuale di 80 membri (40adulti + 40 figli), 84


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un percorso che ha coinvolto molte persone alcune delle quali hanno condiviso una parte più o meno lunga di cammino con noi scegliendo poi vocazioni diverse, Ferdinando ha scelto un percorso di vita sacerdotale ed ora è parroco a Bricherasio, ma tutti restano nel nostro cuore. Questo cammino ci ha messo più volte in discussione, perché molti sono stati i cambiamenti che si sono dovuti affrontare considerando la realtà che man mano si modificava: la crescita del numero di fratelli, le famiglie che non vivono più tutte nel quartiere, due nuclei che si trasferirono a Greccio e a Messina dove continuano il cammino con noi insieme ad altre coppie locali, il numero dei figli che cresce, i primi figli che diventano adulti. La bussola che ci ha guidato in questo cammino è stata quella di non seguire il nostro modello di comunità iniziale, ma di essere attenti alla voce dello Spirito, alle esigenze di tutti, mantenendo l’essenza, non la struttura, dell’intuizione iniziale, vivere insieme un “esperienza di vita cristiana di amore fraterno nella gioia e al servizio dei fratelli. IL NOME, IL SENTIERO Nel 1980 l’esperienza in Africa di alcuni fratelli ci aiuta a dare un nome alla nostra comunità: scegliamo Kisima una parola in lingua swahili che significa sorgente, pozzo profondo, un nome che vuole ricordarci che la comunità deve essere un luogo dove poter trovare ristoro. Nel vangelo leggiamo “venite a me…. e io vi ristorerò”, Gesù ci dice che Lui è l’acqua, un’acqua viva che va ben oltre il dissetare come spiegherà alla samaritana. Sempre in quegli anni, crescendo in numero, nasce l’esigenza di darsi delle regole, così nasce una “Pista di riflessione” con le indicazioni di come raggiungere la “sorgente”, una pista diventata poi “sentiero” che non è una strada rigidamente definita, ma permette di avere un accompagnamento, un sostegno che ci indica il cammino. PARROCCHIA Vivere incarnati nel quotidiano ci ha portato a privilegiare l’operare in parrocchia, a volte meno gratificante di altri impegni, ma abbiamo ritenuto che l’invito “andate e predicate” debba essere attuato con chi è il prossimo più vicino. Questo è un impegno di massima, all’interno della comunità si valuta come far fruttificare al massimo i talenti. LAVORO La scelta di una vita incarnata nel quotidiano ci ha portato ad inserirci nel mondo del lavoro in attività diverse, cercando di far incontrare carismi e opportunità. Il lavoro è una parte importante della vita, molte volte è considerato un ambito in cui la fede può stare ai margini, tutt’al più controllare l’onestà, ma non è così. Paolo VI nel ‘67 scriveva nell’ enciclica Populorum Progressio: “l’uomo con il lavoro coopera con il creatore al completamento della sua creazione.” Pensiamo che questa sia la giusta visione del lavoro, di qualsiasi lavoro dal più nobile al più umile, una visione che esclude che il fine del lavoro sia il guadagno, la carriera o la soddisfazione fine a se stessa. 85


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FIGLI L’esperienza dei figli è cresciuta poco alla volta, ma è stata una vera sorpresa constatare quanto l’aspetto comunitario sia stato positivo per loro, la comunità è stata vissuta come un’opportunità in più di fare e ricevere esperienze per crescere. Sovente sono loro a stimolare la condivisione, inoltre il sentirsi inseriti in un ambito che vive certe esperienze li rende più aperti. In alcuni casi riescono loro a coinvolgere altri, certamente non è sempre tutto semplice ed esistono momenti di difficoltà, pensiamo all’età adolescenziale, ma in questi casi il condividere le esperienze aiuta anche i genitori a non arrendersi; dovendo riassumere in una frase si può dire che l’esperienza comunitaria sarebbe valida anche se fosse servita solo ai figli. VIVERE LA POVERTA’ Che la povertà sia un aspetto importante della vita cristiana, ce lo ricordano le beatitudini, la prima condizione per essere beati è “Beati i poveri” una povertà che non è solo materiale, ma anche spirituale come ci ricorda San Paolo “se anche dessi tutto… ma non ho la carità nulla mi giova”. Come comunità partendo da una ricerca di povertà in spirito, abbiamo cercato di avere anche dei segni tangibili, degli strumenti che ci aiutassero a vivere e testimoniare questa beatitudine: la condivisione iniziale totale si è modificata, ma lo spirito è rimasto: libertà dalle cose e condivisione con chi è nella difficoltà, dice S. Ambrogio: “se dai qualcosa ad un povero non dai del tuo, restituisci del suo”. SOFFERENZA Nel cammino di questi anni, la comunità si è incontrata più volte con la sofferenza, sofferenza di vari tipi: la perdita di un giovane padre, di una giovane madre, di un figlio, la separazione di una coppia, l’insorgere di gravi malattie. Eventi inaspettati, malattie incomprensibili al di là della logica umana. Momenti in cui le parole del Vangelo “chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto”, possono risuonare vuote, senza speranza, non vere. Eppure proprio in questi momenti il dono della comunità si è fatto più sentire. I dubbi che possono far vacillare, la rabbia che si può provare hanno trovato risposta e forza proprio nel calore della comunità che si è stretta con fede intorno ai fratelli più provati, ma anche allargata per accoglierli con maggiore attenzione e ascolto. GIOIA E SEMPLICITA’ Due aspetti hanno caratterizzato la nostra esperienza di fede vissuta in famiglia e in comunità, vivere questa esperienza nella GIOIA e nella SEMPLICITA’. Riguardo alla GIOIA due frasi sono impresse nella nostra storia: “CRISTO RISORTO VUOL FARE DELLA NOSTRA VITA UNA FESTA SENZA FINE” Questa frase che frère Roger ci ha fatto scoprire a Taizé (è una frase di san Attanasio) ci ha guidato a comprendere che la gioia è un aspetto fondamentale della vita cristiana, una 86


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gioia che non è solo un’esperienza umana, aspetto che va valorizzato, ma un’esperienza che trae la sua ragione nell’insegnamento e nella vita di Gesù , attraverso una lettura del vangelo che inizia con la nascita descritta da Luca “VI ANNUNCIO UNA GRANDE GIOIA” fino all’apparizione del Risorto ai dodici in Giovanni “GIOIRONO GLI APOSTOLI AL VEDERE IL SIGNORE” e nella certezza di non essere mai soli di Matteo “DOVE DUE O PIÚ SONO UNITI NEL MIO NOME IO SONO IN MEZZO A LORO” L’altra è scritta a caratteri cubitali su due grossi cartelloni rossi a i lati dell’altare nella chiesa di S. Secondo È una frase molto antica del 4 secolo, di San Agostino, ripresa da Don Mario: “NESSUNO È FELICE COME DIO, NESSUNO FA FELICE COME DIO” La SEMPLICITA’ la insegna nel vangelo Gesù quando, prima di dirci “VENITE A ME, … E IO VI RISTORERO’” ci insegna quale deve essere il nostro atteggiamento per poterlo incontrare: “SE NON DIVENTERETE COME BAMBINI……” Diventare come bambini, non dei bambini, vuol dire avere l’atteggiamento di un bambino verso il padre; Gesù, conoscendo bene la natura umana, non dice diventerete come adolescenti, per un adolescente il padre o la madre se va bene non capiscono se va male sbagliano o peggio, per un bambino, invece, il padre è il migliore anche se ha mille difetti. Questo atteggiamento di fiducia di disponibilità, di umiltà, di semplicità deve essere presente in noi per rapportarci con Dio, ma anche deve esserci reciprocamente nella coppia, nella famiglia, nella comunità, con chi incontriamo. ESEMPI Due grandi esempi ci aiutano a vivere con GIOIA NELLA SEMPLICITÁ: Maria e i primi discepoli. Se dovessimo scegliere nostra madre la vorremmo buona, intelligente, sapiente, capace, anche bella, ma Dio per scegliersi un madre ha guardato anche ad altro, ce lo racconta Maria nel Magnificat: “L’ANIMA MIA MAGNIFICA IL SIGNORE, ED ESULTA IL MIO SPIRITO IN DIO MIO SALVATORE”, esultare è la massima espressione della gioia, e per Maria è la gioia che viene dalla presenza del Salvatore “PERCHÈ HA GUARDATO ALL’UMILTÁ DELLA SUA SERVA” ecco cosa ha cercato Dio in sua madre, è bastata solo questa unica condizione. Il secondo esempio (e così concludiamo ritornando da dove abbiamo iniziato) è la comunità dei primi cristiani come ci viene descritta nella loro celebrazione eucaristica in Atti 2: “I CREDENTI STAVANO INSIEME, ... SPEZZAVANO IL PANE A CASA PRENDENDO I PASTI CON LETIZIA E SEMPLICITÁ DI CUORE“ Con GIOIA e SEMPLICITA’ possiamo continuare il nostro cammino insieme verso il mezzo secolo. Renata e Franco 87


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Gennaio 2015 21 - Una grandissima gioia Carissimi, i Magi “al vedere la stella provarono una grandissima gioia” (Mt 2,10), così descrive il Vangelo. Non dice una gioia grande, ma usa il superlativo, cosa rarissima nella Sacra Scrittura. Vorrei con voi soffermarmi su questa parola che mi sembra davvero un dono grande, specie in questi tempi in cui la società vive in grandi difficoltà di ogni genere. 1. Comunità, esperienza di festa Solo Dio è felice e sa come si fa ad esserlo nella vita, noi purtroppo non siamo capaci di vivere nella festa senza fine. Constatare questo nostro limite significa aprirsi ad una invocazione e ad una ricerca incessante, perché questo è il desiderio del Signore, farci partecipi della sua felicità divina. Mentre rileggevo le lettere a Kisima scritte dal 2004 al 2014 che vi trasmetto, pensavo proprio a questo: come la comunità è sorgente di festa per noi e per tutti? Abbiamo sempre l’esigenza personale e comunitaria di aiutarci a essere dei “cercatori della gioia di Dio”, incessantemente? Diversamente la nostra vita diventa davvero molto dura e pesante, direi troppo! È facile adagiarsi in un sottile pessimismo che può infiltrarsi nei cuori, chiudendo in noi la certezza che Dio ci fa vivere per darci ogni giorno la sua felicità. Non lasciamoci vincere dalle fatiche e dai contrasti che possono ostacolare il cammino in mille modi, ma chiediamo al Signore la grazia di vivere la grande parola dell’apostolo in catene: “Siate lieti nel Signore” (Fil 3,1), certi che è il Signore che vuole questo, è la sua volontà! 2. La nostra forza è la volontà di Dio Stando con voi a Sestri Levante, pregando, parlando, ascoltando, riflettendo, capisco sempre più che dobbiamo vivere la vita cercando con intensità e fiducia di conoscere e fare la sua volontà, che è sempre una volontà di luce, di liberazione, di comunione, di speranza, di rinnovamento, di pienezza umana e cristiana. Abbiamo bisogno di sperimentare la parola del Signore “Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a Lui” (Gv 14,21). Questa illuminazione, luce che Lui ci dona in proporzione al suo disegno e alla nostra collaborazione, è indispensabile per vivere bene e nel bene, nella gioia di un cammino fruttuoso e fecondo, essenziale e ordinato. Mi rendo conto che non è facile unificarsi nei pensieri su questo punto, in modo che questo sia alla base delle nostre scelte quotidiane. Se non siamo vigilanti è più facile scegliere in base alle emozioni, alle sensazioni, agli stati d’animo, alle sollecitazioni esteriori, alle ripercussioni in noi delle parole altrui, per cui occorre 88


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davvero un senso vigile del discernimento nei pensieri e nelle azioni. Questo dono della ricerca della volontà di Dio innanzitutto è fondamentale per la nostra vita comunitaria, specialmente adesso che la Regola ci aiuta nel cammino. È luce grande se prendiamo l’abitudine di rileggere con calma quanto il Signore ci ha donato per il cammino, specie nei momenti in cui la tentazione dell’affanno e della confusione di infiltra nei cuori. Se ci si abitua a chiedersi: “Signore cosa vuoi da me oggi, qui, ora, in questa situazione, nei rapporti con questa persona, di fronte a questa scelta?” poco per volta l’animo si affina nel discernimento e la luce cresce nel cuore, anche quando si è affaticati e perplessi nella ricerca del bene da capire e da compiere. Dio è amore e più ci lasciamo coinvolgere dal suo amore trascendente e santo, più in noi c’è luce e vita nuova. A volte sembra proprio che il Signore si eclissi durante la nostra ricerca, un po’ come i Magi che non subito e costantemente vedevano la via da percorrere per incontrare il Signore. Ma ricordiamoci sempre che Lui sa dosare i momenti di luce e di buio, il giorno e la notte, affinché il nostro cuore si abitui a percepirne la presenza incessante, anche se noi la percepiamo con fatica. 3. La preghiera continua La riflessione iniziata in comunità deve continuare, nella certezza che è la via per il nostro cammino. Da quanto sento che mi dite, più riusciamo a vivere nell’ascolto, nella risposta, nella contemplazione del Signore che è in noi e con noi, più tutto si chiarifica, si semplifica, acquista senso, profondità e bellezza interiore. Non è spontaneo prendere coscienza che il Signore vuole questo. Lui ha detto “pregate sempre senza stancarvi mai” (Lc 18,1). S. Agostino (De Trinitate 15, 28, 51) ha questa bellissima preghiera che possiamo davvero incessantemente ripetere: “Signore mio Dio, Unica mia Speranza, fa’ che stanco non smetta di cercarTi, ma cerchi il Tuo Volto sempre con ardore. Dammi la Forza di cercare, Te, che Ti sei fatto incontrare e mi hai dato la Speranza di sempre più incontrarTi. Davanti a Te sta la mia forza e la mia debolezza: conserva quella, guarisci questa. Davanti a Te sta la mia scienza e la mia ignoranza: dove mi hai aperto, accoglimi al mio entrare, dove mi hai chiuso, aprimi quando busso. Fa’ che mi ricordi di Te, che intenda Te, che ami Te. … Amen” 89


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Chiediamo la grazia e la gioia della preghiera, momento privilegiato in cui il Signore ci ristora e fa ripartire i nostri cuori, le nostre energie, le speranze, troppe volte sopite e fermate dalle difficoltà del cammino. La maturità della nostra comunità dipende proprio dalla ricerca di una comunione con Dio sempre più profonda e ricercata, nella certezza che è la sua grazia che ci illumina e ci indica il cammino che dobbiamo percorrere. Ricordiamo sempre la parola di Taizé: “Dio dà ciò che chiede”, non chiede mai senza prima dare! Dio è il Donante, è Colui che ci pensa, ci vuole, ci ama più di quanto noi lo pensiamo, lo vogliamo, lo amiamo. Lui è il senso, il significato della nostra vita. Dice un vecchio proverbio: “si può vivere senza sapere perché, ma non si può vivere senza sapere per chi”. Più preghiamo, più siamo illuminati, ci rendiamo conto, prendiamo coscienza del dono primario della vita, della forza misteriosa della fede che ci fa incontrare Colui che è, che era, che viene, il Signore. La preghiera è la via della felicità, della festa profonda del cuore, è la sorgente segreta, il segreto per una vita nuova nello Spirito. È veramente da chiedere questo dono, incessantemente. Più si prega, più si è illuminati e si può conoscere la volontà di Dio. 4. Comunicare la gioia di Dio Papa Franceso sta insistendo nel dire che ogni cristiano è “missionario”, cioè deve testimoniare e sentire la gioia di aiutare tutti a incontrare Gesù. Questo primariamente dobbiamo farlo all’interno delle nostre famiglie. Ogni figlio ha bisogno di Dio, di conoscerlo, amarlo, viverlo e noi dobbiamo sentire, come prima intuizione, che è il “primo dono” che, come cristiani e come genitori, dobbiamo trasmettere. Come ci stiamo riuscendo? I nostri figli percepiscono che Dio, la fede, la Chiesa sono davvero i primi doni che dobbiamo custodire, gustare; tesori preziosi, ricchezza delle nostre case? Oggi l’educazione è sempre più difficile … ed è per questo che dobbiamo sostenerci come comunità, aiutandoci il più possibile affinché la nostra esperienza di comunione “passi” ai figli. Vedete come la Chiesa sta “accelerando”, sta cercando di far crescere il primato della famiglia nelle coscienze, nella società, nella Chiesa stessa, proprio perché, come dice il Papa, il mondo sta “colonizzando”, sta cercando di distruggere le radici stesse della famiglia cristiana, introducendo nelle legislazioni, nei costumi, nella società una vera anti-famiglia basata su un principio diabolico: ognuno è libero di farsi la famiglia che vuole! È la negazione della famiglia come progetto di Dio, è la realizzazione della famiglia “autocostruzione” dell’uomo e della donna, la famiglia non più come dono ricevuto da Dio ma come costruzione umana. Kisima ha davvero questa missione di diffondere il profumo della famiglia cristiana, sorretta e santificata dalla presenza del Risorto, che continuamente fa 90


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risorgere nei cuori l’amore coniugale e familiare, da espandere a tutti. 5. Gesù è la nostra speranza (Col 1,27) Vorrei, andando a Lourdes in pellegrinaggio, chiedere alla Vergine per Kisima la grazia della speranza! È grande la tentazione di perderla oggi, nelle crescenti difficoltà che la crisi sta causando nel cammino della vita. Dobbiamo invocare questa grazia teologale, questa virtù, affinché i nostri cuori siano in un atteggiamento diverso rispetto alla crescente angoscia che attanaglia molte persone e famiglie. Quante volte il Papa invita tutti a “non lasciarsi rubare la speranza”! la disperazione, l’angoscia, la tristezza, sono davvero dei mali che intaccano il profondo dei cuori, impedendo lo sviluppo delle energie della vita e della grazia. Speranza che non deve essere posta su di noi, ma nel Signore, che continuamente veglia su ciascuno. È necessario vivere come Abramo, che “credette, saldo nella speranza contro ogni speranza” (Rom 4,18). Lottiamo contro ogni forma di scoraggiamento umano o cristiano, non lasciamo che il nostro cuore si indurisca o diventi pesante di fronte alle difficoltà e alle sofferenze del cammino. Ricordiamo e assimiliamo le grandi parole del Salmo 62, 6-9: “Solo in Dio riposa l’anima mia: da Lui la mia speranza. Lui solo è mia roccia e mia salvezza, mia difesa: non potrò vacillare. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria: il mio riparo sicuro, il mio rifugio è Dio”. Prendiamo esempio dai Magi, che quando non hanno più visto la via da percorrere, hanno perso di vista la stella, hanno continuato a cercare, non si sono fermati, hanno superato la notte del cuore e lo smarrimento. Affidiamoci alla Vergine, chiediamo la sua particolare presenza e intercessione, sicuri che Lei, che è la Consolatrice, darà consolazione a tutti e conforto grande ai cuori! Il Signore ci colmi della sua benedizione Fraternamente Don Mario

PS Vi invito durante le riunioni di fraternità a meditare e riscoprire il salmo 37 (36) “La sorte del giusto e dell’empio” 91


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Giugno 2015 22 - 55 anni di sacerdozio Carissimi, vi scrivo per ringraziarvi di tutte le preghiere, degli auguri, degli auspici per questi anni in cui hi cercato di camminare nel Signore. Cerco di dirvi qualche pensiero che ho nel cuore. 1. Non si è mai finito di incominciare Queste parole di S. Gregorio di Nissa, richiamate sovente nelle comunità monastiche, mi aiutano tanto nella vita. Che cos’è la vita se non una ricerca continua, che deve iniziare ogni giorno? Sì, ogni giorno, quando dico: “sia fatta la tua volontà” mi pare di sentire la risposta del Signore: “Cerca oggi di conoscere, capire, credere, ricevere e vivere il mio amore per te e per tutti, che è infinito, senza limiti, senza dimensioni, senza fine!”. Che cos’è la vita se non un perenne, eterno ricevere Dio e il suo amore gratuito, di cui non riusciamo né riusciremo mai a scoprire la profondità. Non è facile capire che Dio ci ama “per niente”, cioè gratuitamente. Tutto ciò che noi facciamo non lo facciamo mai gratuitamente… Dio invece è gratuità infinita, il suo essere è amore. Solo, sempre e tutto amore: quale abisso inaccessibile per la nostra mente e per il nostro piccolo cuore! Dio è e si dona incessantemente perché solo così – e nella misura in cui lo lasciamo vivere in noi nel tempo e nell’eternità – può trasformarci, assimilarci, farci uno con Lui e farci diventare come Lui, festa senza fine. Dio è festa perché amore, noi diventiamo festa tanto quanto permettiamo a Lui di essere in noi. Come riscoprire ogni giorno il senso, il significato profondo della vita e del suo mistero? Non è facile risvegliare ogni giorno il profondo di noi stessi per cercare di lascare che il Signore, il Risorto, il Vivente ci aiuti a scoprire il senso profondo della vita, il perché che Lui ha in sé e ci dona. Purtroppo il consumismo e l’ateismo, che sono il tessuto profondo del mondo moderno, sono i due grandi ostacoli che si oppongono a questa visione della vita come crescita, perfezionamento, partecipazione alla vita che è Dio stesso. 2. Il primato della fede In questi anni, grazie anche a Kisima e a tutte le persone conosciute, gli ambienti di testimonianza, ho sempre cercato di vivere il primato della fede. ringrazio veramente il Signore, perché nella mia famiglia, sempre e in un dinamismo crescente, la fede è stata l’anima, il senso, la sorgente prima e perenne della vita. Incominciare ogni giorno a credere è stato sempre il senso profondo del mio cam92


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mino. La fede come luce, come forza, come senso, come cammino, come strada da percorrere. Con una certezza assoluta: “Io sono con te”, “Io sono con voi”. La fede come roccia! Roccia che non crolla mai perché è il Signore che dice: “Credi più di ieri, credi di più”. Almeno una volta all’anno, quando vado a Suno a dire una preghiera sulla tomba dei miei cari, vado a “sostare” un po’ nella grande chiesa dedicata alla SS. Trinità, dove ho ricevuto la Prima Comunione, dove la mia famiglia ha alimentato la fede. e mi ricordo quando a 17/18 anni, “pregavo pregavo” e cercavo di ascoltare il Signore che mi chiamava a entrare in seminario e diventare prete. Lui è sempre Lui, la luce, la roccia, la guida, l’amico, Colui che ci fa essere, esistere, vivere, e che ci ama ogni giorno infinitamente, come noi non riusciremo mai a capire! Chi ci ama più del Signore, colui che si è fatto Uomo per cambiare in se stesso l’uomo? La fede è veramente il senso primo della vita. Dio ci dona la vita e la sua rivelazione, ci dà la possibilità di entrare nella sua conoscenza, in modo che siamo conosciuti e lo conosciamo come fonte prima della Beatitudine. 3. Beati gli invitati alla Cena del Signore Sono cinquantacinque anni che cerco di comprendere questo mistero della festa senza fine che è Dio stesso. Ogni volta che partecipiamo al sacrificio della Santa Messa siamo degli invitati: Dio è sempre colui che invita, chiama e ama, sempre per primo. Beati e invitati, beati perché ogni contatto con il Cristo Risorto è una partecipazione progressiva al mistero della vita di Dio che è festa senza fine. Mi chiedevo in questi giorni: ma tu sei più felice oggi, o quando hai cominciato a essere prete? Sinceramente oggi! Perché? Perché quando si parte si è solo all’inizio del cammino, è più una intuizione, un anelito che un’esperienza. Adesso tutto è più tangibile, quasi una trasfigurazione che il Signore opera nel cammino. La luce che in questi anni il Signore mi ha dato mai si spegne, ma mi illumina sempre di più in una certezza: Dio, solo Dio, sa come noi possiamo essere veramente felici nella vita! Kisima è, in parte almeno, questo cammino in noi e tra noi della festa di Dio. Siamo certi ormai, dopo tanti anni, che più siamo uniti nel Signore più Lui può darci la sua festa. Chiediamo sempre più la grazia non solo di conoscere o sapere questa verità, ma di sperimentarla sempre più: personalmente, nella famiglia, insieme nel cammino. Partecipiamo il più possibile alla celebrazione eucaristica, con questa assoluta certezza: Dio è uno solo ed è Festa infinita, non c’è altro volto del Cristo oggi. Lui è il risorto che vuol donare il suo Spirito a tutti il più possibile, fino agli estremi confini dei cuori e del mondo. Cristo è risorto e vuole tutto rinnovare, liberare, festificare, affinché la terra diventi, come diceva sempre La Pira “l’anticipo del cielo”. 93


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4. Laudato sii mi Signore Papa Francesco ha donato al mondo questo messaggio, rilanciando San Francesco di Assisi: dobbiamo tornare a lodare il Signore per tutto e per tutti, portando il più possibile, specie a chi è disperato e sfiduciato, la nostra e la Sua presenza di speranza. Sono molto contento e prego tanto per il viaggio che i figli di Kisima faranno in Zambia con altri giovani. Spero vivamente che da quell’esperienza nasca la comunità giovanile di Kisima, affinché la gioia che abbiamo provato noi possa continuare in loro e per i loro figli. Chi si sente amato, chi sperimenta che l’amore è la luce e la forza della vita, vuole espandere e diffondere questo tesoro che è l’amore. In questi giorni cerchiamo di prepararci bene al nostro deserto di Pragelato, affinché il Signore possa donare a Kisima la luce per il cammino che Lui conosce. Dobbiamo preparare insieme un documento da presentare al Vescovo con la Regola, affinché possa discernere e indicarci la via. Essere “identificati” dalla Chiesa è un grande dono, perché conferma l’essenziale di ogni comunità: vocazione consacrazione – missione. Chiamati – consacrati – mandati nel Signore, con il Signore e per il Signore. La nostra comunità in questi ultimi mesi è stata provata e purificata dalla grazia del Signore, per la dipartita del carissimo Enrico, per la malattia di Maria Teresa; ora può aprirsi al futuro che il Vescovo indicherà. Lo Spirito Santo ci illumini e ci aiuti a far emergere la volontà del Signore che ci ha guidati ieri, oggi e ci guiderà domani! Risuoni in tutti noi la parola della Vergine di Cana: “fate quello che vi dirà”. Cerchiamo di farle entrare il più possibile, per gustare sempre più il dono di Kisima! Fraterni saluti nel Signore Don Mario

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Agosto 2015 23 - La nostra vita in parrocchia (a partire dalla Evangelii Gaudium) La Parrocchia nel pensiero di Papa Francesco si pone sulla stessa lunghezza d’onda già indicata da Giovanni XXIII, che la definì “fontana del villaggio” a cui tutti possono andare a dissetarsi. Papa Francesco nella Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (EG) al n.28 scrive: “La Parrocchia non è una struttura caduca (transitoria, temporanea, passeggera) proprio perché ha una grande plasticità (capacità di subire grandi cambiamenti) può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità” questo suppone “che realmente (la parrocchia) stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa e separata dalla gente” . Occorre dunque che la parrocchia riscopra tutto il dinamismo della sua natura missionaria prendendo coscienza che realizza se stessa nella misura in cui diventa realmente “presenza ecclesiale nel territorio”. Non esita infatti Papa Francesco a riconoscere la lentezza e il ritardo nel processo di rinnovamento delle parrocchie, che stentano a vivere “vicino alla gente” e a divenire “ambiti di comunione viva e di partecipazione”, orientate “completamente verso la missione”. Per delineare sinteticamente il volto della parrocchia missionaria che incarna in sé questi requisiti, Papa Francesco la definisce “comunità di comunità”, luogo dove confluiscono realtà ecclesiali diverse, mosse da un’unica passione: diventare una sola famiglia condividendo la stessa vocazione missionaria. Tra queste diverse realtà ecclesiali, accanto ai movimenti e alle diverse forme associative, il Vescovo di Roma inserisce anche le comunità di base e le piccole comunità, che esprimono più pienamente se stesse nella misura in cui “non perdono il contatto con la realtà della parrocchia e si integrano con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare” (EG n.29) E ancora al n.46 Papa Francesco scrive: “Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di quel sacramento che è “la porta”, il Battesimo”. In una parola la parrocchia è “una madre dal cuore aperto” … con le porte aperte! Il Papa suggerisce nell’immediato 4 tappe o piste per una Chiesa aperta e diversa: a. Uscire verso gli altri per raggiungere le periferie umane b. Annunciare la fede e il messaggio evangelico (cfr nn. 68 e 116) c. Valorizzare la pietà popolare d. Annuncio gioioso del Vangelo (e questa è la grande scoperta che pervade tutta l’esortazione apostolica – cfr nn. 1-2) A questo proposito, durante il mio cammino di discernimento vocazionale vero 95


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il diaconato, i miei formatori mi ripetevano fino alla noia due aspetti importanti: 1. Non si può essere cristiani vivendo chiusi in sacrestia 2. Non si può essere contenti quando vediamo la chiesa piena di fedeli, ma piuttosto occorre chiedersi: e … gli altri (che probabilmente sono il 90%) dove sono? Papa Francesco ribadisce con forza (al n.48) che la Chiesa in questo dinamismo missionario deve arrivare a tutti, senza eccezioni. Ogni parrocchia è affidata alle cure pastorali di un parroco, che a sua volta può essere aiutato da un vicario parrocchiale (viceparroco) o da un diacono, o da suore presenti sul territorio, ma la parrocchia è soprattutto una comunità di persone battezzate, quindi cristiane, dove ognuno di noi è chiamato, nel luogo dove Dio ci manda, a dare testimonianza della propria fede. Allora la parrocchia non è solo l’edifico fisico definito “chiesa”, ma è lampada, luce per la presenza viva e reale di Gesù e lampada e luce per la presenza vera e reale di ciascun cristiano. Insomma la parrocchia è viva nella misura in cui ogni cristiano rende testimonianza della propria fede. Ma cosa vuol dire rendere testimonianza della propria fede? Rispondo citando la 1^ Lettera di San Paolo ai Corinzi (12, 4-11), a proposito dei diversi carismi o doni che il Signore dà a ciascuno di noi. È la verità! Dio dà a ciascuno dei doni che talvolta non sappiamo neanche di avere. Ma ci sono! Dio li ha donati, come scoprirli? La parrocchia è il luogo in cui, se ci si apre con tutto il cuore alle persone che Dio ci fa incontrare, Dio ci aiuta a scoprire il dono che è dentro di noi. È meraviglioso! E come ogni dono, ogni regalo che si riceve, non lo si può tenere per se stessi, ma si sente il bisogno, la necessità, l’urgenza di donarlo a nostra volta. Allora poco alla volta si scopre chi ha ad esempio il dono del canto, della musica, dell’animazione, della carità, della Parola, della liturgia, dell’accoglienza, della catechesi, dell’evangelizzazione, della missione, ecc. E gli altri vedono nella parrocchia un grande mosaico, che messo insieme trasmette una grande emozione che viene dal di dentro! È un’emozione indescrivibile perché viene dallo Spirito Santo, viene da Dio, e dà pace e gioia a chi la trasmette e a chi la riceve. Non solo, ma donando il regalo ricevuto da Dio, la persona, il cristiano, REALIZZA la propria vita. Infatti si cambia: rispetto a prima cambia il cuore, cambiano i valori non solo spirituali ma anche umani, cambiano le prospettive di vita, si riesce a dare un’altra scala di valori, di comportamenti, di atteggiamenti, che trasmettono dentro una gioia particolare, diversa da quella che dà il mondo; si percepisce che non siamo soli, che Dio è presente nella nostra vita. Per esempio la vocazione al Matrimonio, se arricchita dall’esperienza dell’incontro con Dio, assume un’altra realtà rispetto al matrimonio di routine. Così qualsiasi scelta, compreso per esempio anche quella comunitaria (come la nostra), 96


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arricchita dall’esperienza dell’incontro con Dio, ci aiuta a capire che il fratello/ sorella sono un dono e viceversa, così come nel Matrimonio io sono dono per l’altro e l’altro è dono per me. Questa continua donazione, questo affidarsi reciprocamente, ci arricchisce e ci aiuta nel cammino di fede, facendoci diventare testimoni credibili attraverso le opere che compiamo. Infatti chi può portare una parola di speranza cristiana nei luoghi di lavoro, in mezzo alla gente, ai bisognosi, forse i preti? Non basta! È tutta la comunità nel suo insieme che può raggiungere quei luoghi che non sono solo sacrestie, conventi, ecc., ma sono luoghi in cui ogni persona vive la maggior parte della giornata stressata e nervosa. Ma tante volte un sorriso, un atteggiamento adeguato, una voce distesa e una competenza professionale adeguata possono portare serenità in certi ambienti. E per far questo non bisogna essere teologi. Bisogna sempre attingere da quella “fontana del villaggio”, cioè dalla Parrocchia, all’interno della quale troviamo sempre presenti la Parola e l’Eucaristia, in una parola la presenza del Signore che riempie di dolcezza senza fine le nostre vite. Come in tutte le cose c’è un rischio, che è questo: che il nostro servizio verso i fratelli possa diventare potere, comando, orgoglio, egoismo. Ma Gesù ci viene incontro, ci guarda dento il cuore e ci dice: “Io non sono venuto per essere servito ma per servire” (Mt 20,28) e ancora “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8) Quindi tutto è servizio, servizio gratuito a Dio e ai fratelli! Riflessione 1. Riconosco il dono che il Signore mi ha dato, e lo metto a disposizione dei fratelli/sorelle con piena disponibilità e umiltà? 2. Prendo in considerazione una correzione dal fratello o dalla sorella per meglio crescere nella fede? 3. Vivo la mia fede in famiglia, nel lavoro, nella mia quotidianità? 4. Prendo forza dai Sacramenti (Confessione, Eucaristia…) che la Chiesa mi dà?

Franco L.

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Novembre 2015 24 - Il tesoro inesauribile Carissimi, alcuni pensieri che sono nel mio cuore, pensando al dono di Kisima. Domenica ci siamo incontrati proprio sotto la torre dove nel 1981 ho iniziato a scrivere la Regola che stiamo per presentare al nostro Arcivescovo: è stato ovvio ripensare al commino che il Signore ci ha fatto percorrere. Vi scrivo alcune riflessioni affidandole alla vostra benevola comunione sempre fraterna, anche quando ci si vede poco, per tanti motivi. 1. Il tesoro inesauribile Il tesoro della nostra vita cristiana, della nostra fede, della nostra vita fraterna, della vita nel Signore è davvero sempre più grande e bello di quanto noi possiamo immaginare. Quando ascoltavo Don Pino nella sua profonda ma stupenda semplicità evangelica, mi sgorgava dentro questa domanda: ma chi dà alla Chiesa questa freschezza che il tempo non logora, non esaurisce, non ferma e non potrà mai fermare? Chi impedisce che la vita stanchi, si appanni, si deteriori, se non il mistero della presenza di Dio che è oltre il tempo, istante perenne e infinito di festa senza fine, festa infinita? Dio è davvero il Presente infinito, pienezza di ogni bene, sommo Bene, tesoro inesauribile di amore, di luce, di grazia! E’ davvero necessario aiutarci ogni giorno a credere sempre più in profondità che Dio è la sorgente inesauribile che immette nel tempo il mistero della sua vita eternamente felice, di cui oggi noi non possiamo che scorgere alcuni bagliori, specialmente nei santi che conosciamo. Dio possiamo vederlo qui nel tempo solo nei “riflessi”; i più visibili sono proprio i santi, cioè coloro che nella vita cercano il Signore con cuore grande. Mentre nei Sacramenti – presenza primaria di Dio oggi – Dio non si vede, nei suoi santi Dio “si intravede”. Parlando un po’ con Don Pino, questo grande successore di Padre Gasparino, intravedevo in lui questo mistero della festa che è Dio, nonostante le ovvie difficoltà di una comunità come la sua sparsa in tutto il mondo, in mezzo a situazioni terribili da un punto di vista umano. Mi ha colpito quando ha detto che lui ha scritto la sua stupenda meditazione sulla preghiera nell’aeroporto di Parigi! Come è possibile nella baraonda di un aeroporto essere così vivi e illuminati in Dio? 2. La comunione interiore Sono mesi che penso – anche perché è il punto più difficile da realizzare, specie per noi che siamo nel mondo – a quanto è scritto nella Regola di Taizé e che vale 98


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per tutti: “E’ necessario cercare di mantenere il silenzio interiore per dimorare in Cristo”. Il Signore ci abita, è nel nostro cuore, ma quanto è difficile ascoltarlo, percepirne la voce, i suoi desideri, che sono la guida del nostro cuore e della nostra vita. La nostra vita personale, comunitaria, cristiana cresce nella misura in cui riusciamo a vivere nel Signore che abita e effonde nel cuore ogni giorno la gioia della sua presenza di Risorto e la sua festa senza fine di Dio. Ripeto spesso la preghiera che Madre Teresa di Calcutta diceva continuamente: “Gesù nel mio cuore ti amo, credo al tuo amore per me”. Mentre ero a Cuneo, c’era in me questa domanda: come in questi anni ci siamo aiutati a crescere in questa comunione interiore con il Signore che ci abita e come possiamo aiutarci per crescere sempre più in essa? Mi rendo conto che in una società sempre più frenetica, assordante, caotica come quella in cui viviamo, è davvero un miracolo ritrovare questa unità in noi stessi, senza mai stancarci di ricominciare ogni momento nella ricerca di questa Presenza che ci illumina, ci guida, ci dà l’orientamento nel cammino. Mi aiutano sovente questi versetti del Salmo 25, 4-6: “Fammi conoscere Signore le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella tua verità e istruiscimi, perché se tu il Dio della mia salvezza, io spero in te tutto il giorno”. A Cuneo, a Taizé, a Spello, abbiamo sentito forte questo invito all’unità della nostra vita, alla ricerca continua di questa misteriosa Presenza che ci abita, di questo incontro interiore con il Signore, ma quanto è arduo il cammino! Solo lo Spirito continuamente invocato ci può illuminare, perché è certo che più lo invochiamo, più la luce illumina la strada da percorrere. Ascoltando la testimonianza di Tornielli1 sulla persona e la vita del Papa, ho capito ancor più che è necessario aiutarsi a credere sempre più che la nostra vita è non solo nelle nostre possibilità, ma è nel Signore! Intuire che Dio è il senso della nostra esistenza, Colui in cui “viviamo e siamo” (At 17, 28) è un lungo cammino che esige davvero la perseveranza della fede e nella fede. guai se ci dimentichiamo e offuschiamo questa certezza che noi siamo di Lui, con Lui e per Lui e che Lui è il senso della vita! Dobbiamo aiutarci sempre più a “rientrare” nel profondo del nostro cuore e ascoltare il Signore che è in noi. Ma come raggiungere questa unità interiore? Meditiamo queste parole di fr. Roger: Chi ti spianerà la via per raggiungere alle sorgenti zampillanti? Solo là e non altrove si sviluppano le forze vive del rischio. Quando ti interroghi dicendo: “Come potrò realizzarmi?”, sai di aspirare ad un’esistenza di completezza e non ad una vita inquadrata e senza rischi. Non attardarti in situazioni senza via d’uscita perché vi bruceresti energie vitali. Niente compiacenze con te stesso. Va oltre, senza esitare. E scoprirai che il tuo cuore s’allarga: solo alla 1 Andrea Tornielli, giornalista e vaticanista

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presenza di Dio l’uomo si realizza. Dici a te stesso: come potrò realizzarmi se alcune immagini del passato o certe situazioni attuali nascondono le sorgenti e mettono in moto un tenace rimpianto? Non dimenticare che Dio si occupa di ciò che ti preoccupa. Perfino quando si perde il senso della vita, rimane accesa una fiammella. E basta per rischiarare la notte. Il suo amore è come un fuoco … il fuoco del suo perdono ti riempie e dissipa la tua confusione. Quel fuoco brucia le radici dell’amarezza. Quel fuoco non dice mai basta” (da Le fonti di Taizé – pag. 41) C’è in me una grande certezza: più cresciamo in questa via dell’unità interiore per acquistare sempre più il senso della presenza del Risorto nel cuore e nella vita, più Kisima avrà la luce per percorrere quella strada che Lui conosce, per cui siamo. 3. Uniti in Kisima In questi anni abbiamo potuto sperimentare cosa significa questa parola: “siate uno”: “… e la gloria che tu hai dato a me io l’ho data a loro, perché siano una cosa sola come noi siamo una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me” (Gv 17, 22-23). Chi ci ha tenuti insieme nel cammino? Chi ci dà la gioia più grande della fraterna amicizia? Chi ci fa sentire che siamo vicini anche se lontani? Più si cammina e più si è coscienti che è un dono, è una grazia, è una piccola via che il Signore ha iniziato, illumina, conduce e guida. Se c’è una verità che sento nel cuore di tutti voi è questa: “Kisima non è mia, tua, nostra: è del Signore”! Questa verità la si percepisce poco per volta, come è per tutte le esperienze della vita. Davvero il dono che Papa Francesco sta immettendo nella Chiesa e nel mondo è questo: quando afferma “il tempo è superiore allo spazio”. Tutto è cammino di conoscenza, assimilazione, esperienza, vitalità piena, sempre più viva e piena! La verità non sta nelle idee ma nella vita. Guai però a stare ai margini di essa, occorre buttarsi, dentro alla vita, con la pienezza delle energie che oggi il Signore mi elargisce. A Cuneo ho parlato con un fratello malato, molto malato. Ho visto in lui una grande sofferenza per non poter più essere ciò che era e dare ciò che ha donato, in un impegno eroico in missione per anni e anni, “mangiato” dai poveri. Ho cercato di essergli vicino, ma mi rendo conto che dobbiamo aiutarci. La terribile tentazione di un passato che è in noi e di un futuro che appanna la speranza può bloccare la vita, le energie, tutto! Ho nel cuore una parola forte di Don Pino che nella meditazione ha detto: “Nell’amore non si è mai fermi: o si indietreggia o si avanza”. Come essere e vivere oggi? Sento nei vostri cuori il senso di responsabilità che sta crescendo, perché stiamo per presentarci al Vescovo e chiedergli: possiamo andare avanti come Kisima? Non dobbiamo né avere sguardi di rimpianto per il passato, né 100


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paure per il futuro, ma chiediamo al Signore: cosa vuoi da me oggi perché Kisima sia come vuoi Tu? Il mese dei Santi, l’inizio dell’Anno Santo l’8 dicembre, il Santo Natale, le feste natalizie, il ritrovarci insieme all’Opera Madonnina del Grappa, la visita di Mons. Nosiglia a S. Secondo in gennaio, sono tutti doni che ci aiuteranno a rispondere a questa domanda. Dal 9 al 14 novembre, il Signore mi sta preparando un grande dono, perché potrò stare un po’ con P. Cantalamessa, che predicherà gli Esercizi a Pianezza. Non so quanto potrò viverli in pienezza, ma certamente è una grazia in vista di quanto il Signore ci sta chiedendo per Kisima. Dobbiamo aiutarci a vincere una sottile tentazione che può albergare nel profondo di noi stessi: ma io sono così, fragile, piccolo, debole, che posso fare? Richiamo un principio molto caro a Papa Bergoglio, uno dei pilastri dei Gesuiti, in cui si dice che Dio agisce verso il massimo partendo dal minimo: “Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo, divinum est”, che potrebbe essere tradotto così: “Non essere costretto da ciò che è più grande, essere contenuto in ciò che è più piccolo, questo è divino”. Dio è nascosto in ciò che è piccolo e in ciò che sta crescendo, anche se noi non siamo in grado di vederlo. È un criterio fondamentale percepire che Dio è contenuto anche nello spazio più piccolo e non è ristretto nello spazio più grande! Kisima è una “piccola sorgente”, ma è! Ed è, anche nella misura in cui ciascuno di noi cerca di viverla come un dono, una grazia, una luce, una forza che il Signore ci ha dato, ci dà e ci darà. Vi propongo in questi mesi di meditare personalmente lo scritto di Don Pino sul versetto del Samo 36 (37), 5: “Manifesta al Signore la tua via, confida in Lui, compirà la sua opera”. La Vergine di Cana ci aiuti nel cammino con la sua materna e dolcissima presenza, lei che è Madre ineffabile. Fraterni saluti nel Signore Don Mario

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Natale 2015 25 - La nostra comunione fraterna: con quale amore ci amiamo? Premessa La vita della comunità dipende essenzialmente dalla comunione fraterna e dall’unità tra noi. L’esperienza insegna che non si è mai finito di “incominciare ad amarci”, perché l’egoismo, l’orgoglio, le passioni possono frenare il cammino della nostra comunione ecclesiale. Questi pensieri vogliono essere un aiuto per una crescita profonda della reciprocità dei nostri rapporti, specie in quest’Anno Santo dedicato proprio alla misericordia, che deve avvolgere il nostro cuore e la nostra vita. 1. Varie forme di amore umano a. C’è un primo modo di amore reciproco, che definirei “spontaneo”, che nasce da affinità di caratteri, sentimenti, condivisione motivazione di ciascuno. b. C’è un secondo modo di amare, della “volontà”, quando i caratteri, i gusti, le affinità sono rare e diverse, soprattutto per quanto riguarda le doti e la sensibilità di ciascuno. c. C’è un terzo modo di amare, quando il contrasto e la diversità con gli altri è più profonda e la fatica della comunione e della condivisione si sente maggiormente, specie con il passare del tempo. Lo chiamerei amore di “sopportazione” … d. C’è un quarto modo di amare, direi “spiritualistico”, basato solo sulla preghiera che chiede a Dio la grazia di superare le difficoltà della comunicazione reciproca che non è mai o quasi mai immediata e semplice, senza un effettivo impegno pratico di unità. In questi quattro modi di amare, se si nota bene, si parte sempre “dall’io” per cercare di arrivare “all’altro”, cercando di uscire dal Sé per arrivare al noi. Potremmo definire questa comunione fraterna una comunione psichica, naturale, come dicono i monaci. Se nella comunità si sviluppa solo questa dimensione dell’amore fraterno, ben difficilmente la vita comunitaria può essere luogo di profonda vita cristiana e di fecondità apostolica. In ogni comunità cristiana c’è sempre il rischio, più o meno conscio, di basare la reciproca appartenenza comunitaria sulle proprie forze ed energie umane e psicologiche. Occorre vigilare perché la nostro comunione fraterna non sia “psichica”, cioè basata su scelte, criteri, valutazioni “secondo la carne”. 2. L’amore nello Spirito Santo, dato oggi dal Signore Risorto La comunità del “camminare secondo lo Spirito” (Gal 5,16) e vivere nell’amore che lo Spirito ha diffuso e diffonde nei cuori: “L’amore di Dio è stato riversato nei 102


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vostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rom 5,5). Lo Spirito infonde la carità, che è l’amore di Dio in noi, e con questo amore noi possiamo amarci e amare. Non è un amore puramente umano, ma ha dimensioni divine, che permettono la vita nuova nel Signore Risorto. La carità è la virtù che ci permette di amare Dio sopra ogni cosa per se stesso e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio, nostro Padre che ci rende suoi figli, fratelli e sorelle fra di noi. Questo amore che Dio infonde in noi nella misura della nostra vita cristiana ha alcune caratteristiche. Esso è: a. Gratuito Dio ci ama gratuitamente, ci ama per amare e per farci partecipi della sua natura divina, per comunicarci i suoi beni infiniti ed eterni. Dio non ci ama per i nostri meriti, ma ci ama effondendo se stesso in noi: la nostra comunione fraterna deve fondarsi su questa gratuità di donazione, altrimenti non si è più nella comunione cristiana, ma nell’egoismo di gruppo. b. Universale L’amore di Dio è veramente un mistero e un dono di universalità! Ogni persona è amata da Dio come fosse unica al mondo. Il suo amore si estende a tutti, nessuno escluso. Gesù ha donato se stesso per tutti. Anche noi dobbiamo superare le difficoltà che possono sorgere nei confronti di qualcuno che blocca il nostro amore. c. Continuo Dio è l’eterno amante, in lui non c’è successione di tempo, ma solo presenza eterna di un amore senza fine. Dio non può che amare! Se per un istante Dio cessasse di amare cadrebbe nel nulla, perché Lui è amore sussistente: Dio non passa mai dal non-amore all’amore, ma è sempre e solo amore infinito. Il suo amore è fonte di una freschezza di vita e di un’energia inesauribile, come dice l’Apocalisse: “Io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5). Il suo amore è veramente rivitalizzante per le nostre povere energie umane: Dio non si stanca mai di amarci! Quale grande consolazione per noi, così facili alla stanchezza della comunione fraterna, allo scoraggiamento nel cammino dell’unità! d. Misericordioso “Dio – dice San Bernardo – non ci ama perché siamo belli e buoni, ma amandoci ci rende tali”. Dio ci ama misericordiosamente perché sa che noi siamo peccatori e Lui può solo amarci, perdonarci continuamente. “Dio è misericordioso”, afferma continuamente Papa Francesco, e la sua misericordia non dipende dalla nostra accettazione o rifiuto: dio ci aspetta sempre e ci vuole perdonare sempre, come figli amati da Lui, nostro Padre con viscere di misericordia. Davvero questo amore misericordioso è la fonte della vita comunitaria. Senza perdono è impossibile la vita fraterna. È scolpita nella storia del 103


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mondo la risposta di Gesù a Pietro che chiede: “Quante volte devo perdonare? Fino a sette volte?” Gesù risponde: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18,22). Chiediamo al Signore che questo veramente sia sempre nel nostro cuore, specie quando il giudizio ci fa allontanare dal fratello. e. Preferenziale Gesù nel Vangelo manifesta delle preferenze nel suo amore. Apre il suo cuore soprattutto ai piccoli, ai poveri, ai malati, ai peccatori. “Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi, affetti da varie malattie, li condussero a lui ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva” (Lc 4, 40) “Veduta la loro fede disse: uomo, ti sono rimessi i tuoi peccati” (Lc 5,20) “Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». (Lc 15, 1-2) “Il Figlio dell’uomo è venuto a cercar e salvar ciò che era perduto” (Lc 19,21) Questa scelta preferenziale dei poveri deve essere sempre al centro delle nostre revisioni di vita comunitarie, perché è facile acquistare uno spirito mondano senza rendersene conto! f. Beatificante “Dio è sempre felice ma nessuno ci pensa” (E. Bianchi). La festa è il segreto del cuore di Dio: più si ama, più si esperimenta la gioia di amare. Dice Gesù: “nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16, 23) “Siate lieti nel signore, ve lo ripeto: siate lieti” (Fil 4,4) “La gioia del Signore è la vostra forza” (Neem 8,10) Questa via della gioia, che è il frutto della carità deve essere sempre più esperienza vissuta in comunità. “Cristo è risorto per fare della nostra vita una festa senza fine” (S. Atanasio): questa parola, che è il segreto della comunità di Taizé, deve diventare sempre più la via che dobbiamo aiutarci a percorrere, perché Dio ci vuole felici, non solo in Cielo ma anche in terra! 3. Il comandamento nuovo di Gesù “Vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13, 34) “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15,12) “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni verso gli altri” (Gv 13,35) “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13) L’avventura della comunità è veramente affascinante se si vivono queste parole del Signore! Ricevere Lui e in Lui l’amore fraterno e viverlo reciprocamente è la prima urgenza della vita fraterna. La carità è il segno della presenza del Signore, 104


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è il segno visibile perché l’amore si vede, quando è vero, concreto, fattivo. L’unità della comunità, la nostra comunione, è la prima forma di testimonianza che dobbiamo invocare nella preghiera, vivere reciprocamente e testimoniare come segno che il Cristo è davvero risorto, vivo e presente in mezzo a noi. “Dare la vita è la nostra vita”! più si impara ad amare e a donarsi per il bene reciproco, più la comunità acquista senso, profondità, significato. Formulo alcune domande di revisione, che ci possono aiutare nel cammino: – dove attingo l’amore per i miei fratelli e le sorelle? – ogni giorno l’amarsi reciproco è il primo pensiero del mio cuore? – in questi anni posso dire che l’amore fraterno sia sempre stato il mio ideale di comunità? – l’amore sta crescendo in me o sto vivendo un periodo di fatica nella vita fraterna? – so essere umile nella mia vita di fraternità facendomi aiutare dagli altri? Termino invitandovi a meditare queste parole della Regola di Taizé, davvero ispirate: I fratelli lontani “I fratelli che vivono lontani sono chiamati a essere segni del Cristo, portatori della gioia. Dovunque vivano, la presenza eucaristica può fare della dimora più povera un luogo abitato. Quando condividi le condizioni di vita dei poveri, sei abbastanza cosciente che, grazie alla tua semplice presenza, Dio trasfigura qualcosa delle sofferenze della famiglia umana? Dovunque tu sia, porti in te una chiamata. Spetta a te essere sempre attento a riflettere con la tua vita la vocazione di tutta la nostra comunità” La misericordia “Se perdessi la misericordia, la compassione, avresti perduto tutto. Ti lascerai condurre dall’assoluto dell’amore: perdonare fino a settanta volte sette, cioè sempre? Potrai, leggero, avanzare di scoperta in scoperta. Per colui che ama dimentico di se stesso, la vita si riempie di una serena bellezza. Ogni amicizia suppone un combattimento interiore. E talvolta la croce viene a rischiarare l’insondabile profondità dell’amore. Lungi dal volerti imporre suscitando attorno a te un senso di colpa e lungi dallo scivolare nell’ironia, lascerai che il tuo cuore si riempia di benevolenza? Nella trasparenza di quell’amore, riconosci con semplicità i tuoi passi falsi e non attardarti a guardare la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello. Beata la comunità che diventa abisso di benevolenza, essa lascia trasparire il Cristo, incomparabilmente”. Don Mario 105


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Gennaio 2016 26 - “Chi ascolta voi, ascolta me” (Lc 10,16) Carissimi, Gesù, nel Vescovo, ci ha dato la via per Kisima: “andate avanti”! Abbiamo pregato tanto per “vedere” la volontà di Dio su questo “piccolo seme” immesso dal Vento, nella nostra città. Il piccolo seme può, deve fiorire con più luce, forza, vitalità, perché la Chiesa ci dice che questa è la volontà del Signore che ci ha fatti nascere, ha guidato e ci guiderà nel cammino. Dobbiamo fare in fretta, perché quando Dio chiama, occorre dire SI e subito, totalmente, affinché Lui possa compiere la sua opera, come dice proprio la Liturgia di oggi: “Affida al Signore la tua vita ed egli compirà la sua opera”. Vorrei dirvi semplicemente che occorre organizzare e vivere Kisima secondo i cinque cerchi. Kisima ha oggi cinque sorgenti di vita, di esperienza, di prospettive. Primo cerchio: ci sono i “primi”, coloro che sono partiti dall’esperienza della Parrocchia di S. Anna, dove siamo nati. Secondo cerchio: coloro che sono nati nella Parrocchia di S. Secondo e qui hanno conosciuto la nostra piccola comunità Terzo cerchio: quelli che sono “lontani” nel senso che non hanno vissuto queste prime due esperienze Quarto cerchio: i vostri Figli che sono con voi, con noi, “nostri” che Dio ci ha dato e a cui per primi dobbiamo trasmettere la nostra unità Quinto cerchio: coloro che un po’ ci hanno conosciuto, ci conoscono e ci conosceranno e il Signore sa, se un giorno, entreranno in Kisima. 1. Gratitudine e consapevolezza Lasciate che vi esprima quanto sento nel profondo. Da anni in me c’era questa certezza “… prima c’è Kisima e poi il resto …” Pensavo a mons. Pinardi che aveva due incarichi “Vescovo e Parroco” … quale era per lui il primo? Non ho mai dubitato, ho sempre cercato di comprendere l’intuizione fondamentale nata a Taizé “è la comunità – comunione” che genera! Oggi la conferma del Vescovo: “occorre, nelle Parrocchie, il primato della comunione – comunità”. I nomi possono essere diversi, le strade anche, ma l’essenziale è che non si può essere cristiani da soli, e neanche preti, tanto meno Parroci! Purtroppo questo “primato” è assai raro oggi nella vita e nel cuore dei cristiani, almeno qui in Europa. L’individualismo, frutto primo del male che divide da Dio e dai fratelli, ha distrutto questo, per cui oggi la Parrocchia, come splendidamente ha affermato mons. Nosiglia, “fa tante cose, ma non genera comunità!” Se non ci fosse stata Kisima, la mia vita sarebbe stata molto diversa … perché 106


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già all’inizio del mio ministero dal 1960 al ’64 nella Parrocchia di S. Croce, dove tutto davvero era “deserto” … capii e provai quest’esigenza. Da solo il sacerdote non può generare una comunità! L’abisso di solitudine tra lui e i laici è davvero grande, non per volontà, ma per “fondo di vita”. È per questo che Kisima, è davvero un dono che il Signore ha voluto e noi dobbiamo veramente e il più possibile “essere e divenire sempre più coscienti”: non è né nostra, né solo per noi, ma adesso è della Chiesa e per essa, e per tutti! Rileggendo la Regola, c’è veramente una luce che dà senso profondo a questa realtà che oggi esiste, è! 2. Valorizzazione del dono e dei doni Questo è il punto più difficile. Non basta che il Vescovo ci dica SI, occorre che in noi si generi questa nuova realtà, con tutte le conseguenze positive che sgorgano “implicitamente” da essa. È proprio la certezza che noi siamo dei “chiamati”, non certamente per merito, ma per grazia e volontà del Signore, che dobbiamo sentirci “mandati”, secondo la grande parola di Papa Francesco, “andate verso le periferie”, verso chi soffre, è nel bisogno, per aiutare, liberare e amare secondo il disegno di Dio. Dobbiamo metterci in ascolto, affinché sempre più emerga “il tesoro nel campo” di ciascuno e aiutarsi reciprocamente nell’amore che è luce per scoprire i talenti e i doni di ciascuno, per realizzarli e metterli al servizio di tutti. “Che cosa vi ha spinto a entrare in Kisima?” Come sempre il Pastore sa andare diritto al cuore, alla sorgente della persona. Personalmente avrei risposto: “Il Signore”! “Che cosa vi ha dato?” Una visione nuova di me stesso, degli altri, della vita, perché più si cresce nell’amore reciproco, più tutto acquista dimensioni nuove e profonde. Primariamente la certezza, mai messa in dubbio, che l’amore tra noi, è davvero una corrente che ci permea in profondità e ci fa gustare quanto è bello il mistero della vita, della comunità, della Fede. Quanto è grande la chiamata alla “fede - fraternità – festa” nel cammino verso la pienezza della Festa Infinita che Dio ci ha preparato al di là del tempo terreno. La scoperta dei doni di Dio, genera un senso di positività e di forza, che apre sempre più le prospettive e speranze, non basate su noi stessi, ma nello Spirito che ci orienta, ci guida, ci sostiene e ci indica la via da percorrere. 3. I figli di Kisima Vorrei dire una parola, dopo aver sentito l’Omelia del Vescovo, su quanto ha detto sui giovani che devono essere in Parrocchia, quelli che trascinano e portano avanti tutti, grazie alle loro energie giovanili. Voi sapete che questo è sempre stato per me, un punto di particolare attenzione, ma però insufficiente, perché loro sono il futuro. Guai se noi, in qualche modo, 107


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anche soltanto con la nostra stanchezza mentale o fisica, non li lanciamo nella vita con una vera speranza in Dio che li guida con attenzione speciali, come ben aveva intuito S. Giovanni Paolo II. Non so se lo sapete, ma qualcuno ha detto che Mons. Nosiglia è un po’ “giovanilista”, nel senso che crede troppo in loro … In questi giorni, conoscendolo meglio, ho capito che tutto questo glielo ha trasmesso il grande Papa che ha inventato la GMG (… copiata da Taizé … Concilio dei Giovani – 30 Agosto 1974 …)! Sto preparando una “Lettera ai Giovani di Kisima”, in cui cercherò di far loro capire quanto noi abbiamo vissuto in questi anni, proprio perché qualcuno ci ha dato la grazia di capire che la Comunità è “la via del Signore”, per la vita! Per loro dobbiamo veramente chiederci se e quanto gli diamo di Kisima, come aiuto personale, familiare, comunitario nel cammino umano e cristiano. L’esperienza di Greccio all’inizio di quest’anno, è stata certamente un “segno”, dobbiamo aiutarli sempre più a valorizzare i grandi doni che hanno dentro, cercando di ricordare quanto diceva sempre P. Gasparino: “ai giovani occorre chiedere il massimo, centomila, per ottenere mille …”: Guai se non li lanciamo in grande! Vorrei tanto che potessero andare tutti alla GMG di Cracovia l’ultima settimana di luglio, anche quelli sposati … se è possibile. Sono 29 …, sarebbe stupendo se fossero iscritti come “Comunità Kisima”! Inoltre se venerdì 26 Agosto venissero tutti a Pragelato per una giornata con noi di Kisima, per ringraziare insieme il Signore con una S. Messa in Parrocchia e una serata cantata in Piazza a Pragelato per tutti i villeggianti! Quando dal 22 al 25 Aprile andremo a Taizé, cercheremo di capire se sarà possibile per il Capodanno 2017 organizzare a Torino, come ha chiesto il Vescovo, il raduno di Taizé in modo che i nostri figli possano esprimersi in questa città, che ha tanto bisogno di una grande testimonianza dei cuori! Sono certo che anche per la Clinica della Memoria, che speriamo di inaugurare il 21 Settembre, la loro presenza sarà di altissimo livello! Infatti il 22 sera dovranno organizzare nella Chiesa la preghiera di Taizé, che faremo per ringraziare la Vergine che in questi anni ha voluto quest’Opera, un dono per chi soffre più di noi. 4. Il centro è l’amore “Quando si avanza negli anni è facile diventare duri verso gli altri, è facile la tentazione della stanchezza e dell’impazienza” (R. Voillaume) In questi anni abbiamo cercato di mantenere in Kisima “il primato dell’amore”! Voglio ringraziare il Signore perché questo è stato il primo desiderio, l’anelito profondo che c’è nei nostri cuori: “lasciarsi amare dal Signore, amare tra noi, il più possibile”. Ogni giorno dobbiamo invocare questa “grazia primaria”: “prima di tutto o Signore, donaci la grazia che il nostro cuore accolga il Tuo amore affinché possiamo con tutte le nostre forze volere, cercare, donarci l’amore reciproco” Penso che il nostro Vescovo l’ha percepito durante la cena che ha condiviso con noi, si è sentito veramente accolto da una piccola comunità che cerca di amarsi 108


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nel profondo del cuore, dei sentimenti. In questi anni, ogni mattina, mi ricordo di quanto ci diceva P. Gasparino “Se arriveremo a 80 anni, dovremo chiedere al Signore la grazia di imparare ad incominciare a pregare e incominciare ad amare”. Sì, l’amore è un perenne inizio! Dobbiamo aiutarci, specie quando altre opinioni possono emergere in noi, a mettere sempre al centro questo essenziale del Vangelo: “amatevi gli uni gli altri, come Io ho amato voi”. Nessuno ci ama e può amarci come Gesù, ma tutti dobbiamo con intensità di impegno e di desiderio, direi di luce profonda, vivere in questa realtà e mistero che è la vita di Fede. Dobbiamo aiutarci a non fermarci a una conoscenza superficiale dei fratelli e sorelle. Talvolta scopriamo atteggiamenti che a prima vista ci risultano non simpatici e siamo tentati di fermarci a fissarci sui comportamenti negativi e questo ci impedisce di apprezzare, scoprire, valorizzare il cuore e i doni dell’altro! Cercare di guardare il fratello e la sorella di comunità e tutti con gli occhi di Dio, non è uno slogan, ma è uno sforzo continuo, quotidiano, per leggere nel cuore e non solo nel volto, per entrare in profondità e non stare in superficie. Sono lieto che nel nostro cammino abbiamo cercato di vivere la parola di Gesù “non giudicate” (Mt 7,1), ma non stanchiamoci, perché è un punto assai delicato da vivere. Facciamo attenzione perché ciò che conta, soprattutto nei rapporti interpersonali, non sono solo le parole più o meno espresse, ma le azioni di affabilità, i servizi vicendevoli, la tenerezza reciproca: tutto questo crea, in comunità, un clima di distensione, di fiducia, di positività. Vorrei qui ricordare l’amore materno, inteso come amore interiore, nel cuore. Una madre “sente” il figlio in sé, lo ama “dentro” nel profondo del suo cuore di madre! “Amarsi dentro”, “essere uno nel profondo”, sentire l’altro in sé, come lo Spirito che ci abita, è un modo per assumere l’altro per vivere in, non solo con o per l’altro! Se il Vescovo mi avesse chiesto come cerco di amare Kisima, avrei risposto proprio così: “la amo dentro al mio cuore”, “sento” in me Kisima da sempre! “Amarsi dentro”, non è una parola, ma un cercare di assumere e di assumerci, il più possibile, in questo mistero della fraternità che ci fa UNO, anche se lontani, anche se diversi, perché nessuno è uguale all’altro, ma ognuno è se stesso perché altro, perché UNICO, come ci crea continuamente il Signore! Mentre ringraziamo il Signore di questa nuova tappa nel nostro cammino di Kisima, aiutiamoci a lodare e benedire il Signore, chiedendogli la grazia di allargare i nostri cuori, avvicinandosi alle dimensioni del Suo cuore più grande dei nostri, così grande che nessuno è mai fuori dal Suo Amore e dalla Sua Festa senza fine! La Vergine di Cana ci ottenga la gioia di una comunione divina e fraterna, senso primo del nostro cammino in Kisima, per noi, tra noi e per tutti. Fraterni saluti riconoscenti a tutti e per tutto Don Mario 109


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Febbraio 2016 27 - La nostra eredità Lettera ai figli di Kisima Carissimi, dopo che Mons. Nosiglia ci ha detto che approverà Kisima, ho pensato di scrivere a voi che siete i “nostri figli”, i figli di Kisima. 1. Il primato della fede Vorrei solo dirvi questo: Kisima è andata avanti per oltre quarant’anni perché abbiamo cercato, sull’esempio di Taizé e della comunità di D. Gasparino, di aiutarci a credere, credendo insieme, sostenendoci l’un l’altro. Sempre ci siamo detti: vogliamo insieme cercare di vivere il Vangelo, di conoscere e amare Gesù, di aiutarci ogni giorno a vivere nella fede e con la fede. Ricordo quanto il mio caro papà mi diceva sempre: Ricordati che un giorno papà e mamma moriranno, ma non la fede”. Vorrei che voi metteste nel cuore questa verità base: ciò che conta nella vita è la fede, prima di tutto e soprattutto, a qualunque costo, perché “la fede vince il mondo”. La vita è un dono che Dio ci dà per credere e per credere sempre di più, affinché si possa vivere in pienezza e con molto frutto il mistero del tempo. Il tesoro della vita è l’amore di Dio, ripete continuamente Papa Francesco, ma se perdo o diminuisco la mia vita di fede, come posso capire, cercare, volere e amare con tutto me stesso questo tesoro? Quanto prego ogni giorno per credere di più? Dio è infinita verità, libertà, amore, festa, ma se perdo la fede come posso stare e vivere con Lui e avere in Lui la forza del bene e della verità? Se ogni giorno non capisco che la vita è un dono continuo di Dio, che adesso mi fa vivere perché mi ama infinitamente e mi vuole felice come Lui, come faccio a vivere nella festa senza fine, come dicono a Taizé? Quando gli ebrei chiedevano a Gesù “che cosa dobbiamo fare nella vita?”, Lui disse: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv 6,28). Credere, sempre di più convinti, perché solo così la vita diventa bella, buona e beata e si vincono tutte le difficoltà, i drammi, le tragedie, perché Dio è più forte di tutto, di ogni male! Non dimentico mai quello che i frères a Taizé, alle domande “che cosa fate qui a Taizé, perché pregate?” rispondono: “Se un giorno non preghiamo, Taizé chiude”. 2. Il centro della fede Ma dov’è il centro della fede? Che significa oggi credere? Non avevo ancora 16 anni, un giorno mi sono svegliato e ho detto alla mamma: fammi un panino, non faccio colazione. “Perché?” mi chiese, “devo andare a messa prima di andare a scuola”. Mi guardò sbalordita… da allora prima andavo a 110


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messa, poi andavo a scuola al tessile. Il Signore mi ha fatto capire che la Santa Messa vale più della vita! Gesù, oggi, è soprattutto nel mistero della fede che è la Messa. Credere che Gesù Risorto ci dona il suo corpo e il suo sangue per trasformarci sempre più in Lui è davvero un dono straordinario. Credere che Gesù ci cambia in se stesso, ci transustanzia come il pane e il vino, ci dà una gioia immensa, davvero un anticipo del Cielo! Come fa Gesù, vissuto oltre 2000 anni fa, a incontrarmi, conoscermi, amarmi, a vivere con me e in me? Mistero dell’Eucaristia! “Volete andarvene anche voi?”, disse Gesù la prima volta che parlo di questo dono di valore infinito. Chi più grande di Gesù Cristo? Carissimi, non dimenticate mai che l’azione più grande che potete fare nella vita è partecipare con fede alla S. Messa, il centro del mondo, la sorgente dell’amore per tutti. Più lasciate entrare Gesù nel cuore, più sarete felici nella vita. 3. In montagna si va insieme Lo sanno tutti: più è alta la montagna, più occorre una guida e una buona cordata. Quanti giovani che conosco si sono sfracellati nel burrone della vita, precipitati dalle altezze, perché non mi hanno ascoltato. Quante ragazze e giovani si sono persi perché erano soli, hanno voluto fare di testa propria, non ascoltare nessuno! Da soli è più facile farsi male e fare del male. La solitudine è il peggiore dei mali perché, dice la Bibbia “non è bene” esserlo. È terribile pensare che anche tra i giovani e ragazzi cristiani ci sia una grande solitudine. Ognuno fa quel che gli viene in mente, pensa e agisce senza chiedere consiglio a nessuno: è il male tremendo dell’individualismo. Faccio quello che penso, quello che voglio, quello che mi pare: io stabilisco il cammino della mia vita, io sono mio! Al posto della comunione fraterna, c’è la solitudine orgogliosa, c’è l’io che stabilisce per sé e per gli altri ciò che è bene e ciò che è male: “Io la penso così e faccio così”. E lasciatemelo dire con molta franchezza: anche i genitori moderni sovente sbagliano perché dicono: “è grande, deve farsi la sua esperienza…”. Che tristezza, Gesù cosa dice? “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”, cioè camminate insieme, da fratelli, aiutandovi vicendevolmente il più possibile, mettendovi al servizio gli uni degli altri, amandovi intensamente da veri fratelli nel Signore. Ma come è possibile che per andare allo stadio, al cinema, al bar, a ballare si va insieme e per affrontare la vita si va da soli? Chi ha messo nel cuore questo orgoglio terribile per cui non si chiede mai un consiglio, un parere, non si cercano le vere guide del cammino? In Kisima, vi possiamo dire, abbiamo sempre cercato di imparare dagli altri più avanti, più esperti di noi. Siamo andati a Taizé, a Spello, a Cuneo, dai Focolarini, nelle altre comunità, per capire, per aiutarci. In questi giorni mi sono chiesto: ma voi con chi camminate nella vita? Chi vi aiuta a discernere? Chi vi consiglia nelle 111


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scelte? Perché non vi mettete insieme, non create una Kisima-giovani? Siete ormai in 29 oltre i 16 anni di età, perché non provate una traccia di comunione-comunità? Noi adulti potremmo mettervi a disposizione la nostra esperienza, indicarvi tracciati e sentieri, aiutarvi a capire che il cristianesimo è possibile solo se si vive fraternamente, aiutandosi nel cammino umano e cristiano. Fermatevi e pensateci! 4. I giovani sono un dono grandissimo Da quando siamo stati a Taizé, abbiamo capito che il futuro è veramente dei giovani! Diceva Don Bosco: “basta che ci sia un giovane e io subito lo amo”. Quanti giovani non credono più in se stessi, perché nessuno li aiuta a emergere dal profondo della loro angoscia esistenziale; molti non riescono a trovare un senso vero, bello e profondo alla loro vita, perché nessuno li aiuta o li ha aiutati a scoprire il dono immenso della vita. Come vorremmo che voi, i nostri “figli”, foste per tutti i vostri amici e per gli adulti una vera sorgente di fiducia e di speranza, radicati in questa certezza: Dio mi ama infinitamente e vuole per me e per tutti la vera e piena felicità. Sì, Dio ci vuole felici come Lui. “Nessuno è felice come Dio, nessuno fa felici come Dio” (S. Agostino) “Cristo è risorto per fare della vita una festa senza fine” (S. Atanasio) “La gioia del Signore è la vostra forza” (Neem 8,10) “Le angosce del mondo non possono togliere la gioia del Cristo Risorto” (Madre Teresa di Calcutta) “Cerca la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore” (Sal 37,4) La speranza nasce dalla fede che Dio dà la vita! Più questa luce è in voi, più voi sarete fonte di futuro per tutti. “Non lasciatevi rubare la speranza!” dice Papa Francesco ai giovani. Guai se vi dimenticate di questa parola-luce, sognate in grande! Ogni giorno Kisima prega per voi affinché nei vostri cuori ci sia davvero questa forza misteriosa che vi aiuta ad andare avanti sulla strada che Dio segna per ciascuno. Ogni giorno dite: “Signore, insegnaci a pregare” (Lc 11,1), affinché il vostro cuore e la vostra vita siano davvero una kisima, un pozzo, sorgente d’acqua dissetante per tutti. La Vergine che a Cana ha fatto fare il primo miracolo, ottenga per tutti voi il quotidiano miracolo della risurrezione del cuore, un cuore grande, nuovo, generoso, perché tutti trovino in voi riposo e pace. Ma unite i vostri cuori in un cammino comunitario. Speriamo. Fraterni saluti nel Signore Don Mario 112


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Pasqua 2016 28 - Infinitamente amati Carissimi, è con grande gioia che vi scrivo questa lettera di Pasqua, specialmente dopo che ieri abbiamo avuto la possibilità di ripensare e meditare sui “fondamenti” della nostra vita comunitaria. Più siamo illuminati circa il senso profondo della nostra chiamata alla vita di comunione fraterna, più il cammino è spedito e sereno. 1. Riscoprire la persona del Risorto Gesù Risorto a tutti noi cristiani chiede, come a Pietro “Mi ami tu, più di questi?” La nostra vita cristiana è sempre una risposta a questa domanda eterna che ogni giorno il Signore ci rivolge personalmente. Non è sempre facile cogliere l’essenziale, occorre tempo, esperienza e discernimento, ma poco per volta si capisce il senso profondo della nostra chiamata alla fede in Cristo. La Pasqua è un dono grandissimo per rifare l’esperienza che hanno fatto gli Apostoli, quando il Signore è apparso loro dicendo “Pace a Voi!” L’esperienza della pace del Signore è il dono pasquale per eccellenza! Pace perché certi che Lui è sempre con noi, con ciascuno e con tutti, perché il Suo amore per noi è veramente senza fine, infinito, divino. Apparendo un giorno alla Beata Angela da Foligno, Gesù le disse “non ti ho amato per scherzo!”. Nei secoli i cristiani hanno esperimentato il mistero di questo Amore senza fine che raggiunge di secolo in secolo, ogni cuore. Ci sentiamo tutti noi, che non abbiamo visto il Signore fisicamente, un po’ come Tommaso … increduli, incerti, smarriti, confusi, è solo la luce della Fede che può aprire e schiarire le tenebre del cuore. Anche noi dobbiamo chiedere la grazia di poter dire “mio Signore e mio Dio”. Questo è l’essenziale della comunità cristiana, della Chiesa intera. La Chiesa va avanti nella storia, nella misura in cui “cresce nella Fede in Cristo Risorto Vivente e Presente” in cammino con noi, L’amore di Gesù è un amore infinito, di cui noi a fatica, riusciamo a capirne le dimensioni. La riscoperta direi quotidiana di questa dimensione, è la sorgente segreta, il tesoro nascosto, che alimenta il cuore, nelle profondità della Sua Presenza interiore in noi. Il Risorto ci alimenta interiormente con la Sua Presenza, oltre la possibilità della nostra percezione sensibile e tangibile. “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto”. La beatitudine non è un surplus della fede, è intrinseca ad essa! Più si crede, più si partecipa oggi della festa di Dio, che risorgendo dona il mistero della partecipazione alla sua Risurrezione, parzialmente già in questa vita terrena. L’ateismo contemporaneo ha distrutto tutto questo riducendo la fede ad una op113


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zione del singolo, distruggendo in radice il dono della vita e della fede, come festa di Dio in noi. La Pasqua deve aiutarci a riscoprire il “primato della Risurrezione” della vita di noi credenti. La festa che Dio dona al cuore è il pane del cuore; guai se noi ci dimentichiamo che solo il Signore può darci la Sua Felicità! Il rischio di vivere la vita cristiana come se Cristo non fosse Risorto, è tutt’altro che lontano, ma è dentro alla nostra vita. Il carisma che a Taizé abbiamo almeno percepito, non dico vissuto totalmente perché sarebbe troppo bello, rischia di essere soffocato dal quotidiano, dalle difficoltà anche all’interno delle comunità cristiane. Non tutti i cristiani sanno cosa significa che il Cristo è Risorto, che la vita è una partecipazione alla festa di Dio, anche perché le lotte della vita, sono a volta terribili e sembrano oscurare questa certezza della vittoria di Gesù sulla morte, il peccato, il dolore. Non è facile rapportarsi con Gesù come un Vivente oggi! Un Vivente invisibile ai nostri occhi umani, ma visibile e luminoso nella misura della luce della Fede, che trasfigura il nostro sguardo, misteriosamente, ma realmente. 2. Accogliere il Risorto Ma dove, in modo primario, possiamo rivivere l’esperienza dei primi Apostoli, quale il centro della sorgente della Sua Presenza? Anche qui occorre aiutarci a discernere che “L’Eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucaristia”! Sono duemila anni che il Signore ci dà appuntamento nel suo giorno il “dies Domini”, il giorno del Signore, l’Ottavo giorno, anticipo sulla terra della festa eterna del Cielo. Da duemila anni, il primo giorno dopo il Sabato (Gv 20,1) è scandito nella memoria di quel “primo giorno dopo il sabato” (Mc 16,2.9) in cui Cristo Risorto portò agli apostoli il dono della pace e dello Spirito (Gv 20,19-23). Vorrei insieme meditare le parole davvero profetiche di S. Giovanni Paolo II che nel 2000 scrisse nella lettera apostolica “Novo Millennio ineunte – all’inizio del nuovo millennio”: n. 35 - “La verità della risurrezione di Cristo è il dato originario su cui poggia la fede cristiana (I Cor 15,14), evento che si colloca al centro del mistero del tempo e prefigura l’ultimo giorno, quando Cristo ritornerà glorioso. Non sappiamo quali eventi ci riserverà il millennio che sta iniziando, ma abbiamo la certezza che esso resterà saldamente nelle mani di Cristo, il Re dei re e Signore dei signori” (Apc 19,16), e proprio celebrando la sua Pasqua, non solo una volta all’anno, ma ogni domenica, la Chiesa continuerà ad additare a ogni generazione “ciò che costituisce l’asse portante della storia, al quale si riconducono il mistero delle origini e quello del destino finale del mondo.” n. 36 - “Vorrei pertanto insistere, nel solco della Dies Domini, perché la partecipazione all’eucaristia sia veramente, per ogni battezzato, il cuore della domenica, un impegno irrinunciabile da vivere non solo per assolvere a un precetto, ma come bisogno di una vita cristiana veramente consapevole e coerente. Stiamo 114


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entrando in un millennio che si prefigura caratterizzato da un profondo intreccio di culture e religioni, anche nei paesi di antica cristianizzazione. In molte regioni i cristiani sono, o stanno diventando, un “piccolo gregge” (Lc 12,32). Ciò li pone di fronte alla sfida di testimoniare con maggior forza, spesso in condizione di solitudine e difficoltà, gli aspetti specifici della propria identità. Il dovere della partecipazione eucaristica ogni domenica, è uno di questi. L’eucaristia domenicale, raccogliendo settimanalmente i cristiani come famiglia di Dio attorno alla mensa della Parola e del Pane di vita, è anche l’antidoto più naturale alla dispersione. Essa è il luogo privilegiato dove la comunione è costantemente annunciata e coltivata. Proprio attraverso alla partecipazione eucaristica, il giorno del Signore diventa anche il giorno della Chiesa che può svolgere così, in modo efficace, il suo ruolo di sacramento di unità”. Questa accoglienza del Signore nel mistero della S. Messa, deve essere davvero al centro della nostra vita di Kisima. È il Signore che guida la Chiesa, attraverso al mistero dell’incontro eucaristico dove ci parla, si dona a noi, ci rafforza nel cammino. L’impressione personale è che troppo sovente si parla di comunione cristiana, ma si dimentica che la comunione è dono, è grazia, è chiamata, è accoglienza del Signore che è venuto, viene e verrà soprattutto nel mistero eucaristico. Specie in questi ultimi anni, il rischio di dimenticare questo, si è fatto più vivo e più grave, perché molti non hanno capito che Cristo Risorto è la Vita, la Luce, la Libertà, l’Amore, la Festa senza fine! Occorre una continua conversione per “ricevere il Signore” aprendo la mente, il cuore, la volontà, la vita in un’incessante offerta a Lui che ci trasforma, ci trasfigura, ci rinnova dandoci le sue energie divinizzanti e santificanti. La S. Messa è il “passaggio quotidiano e domenicale”, è il “dono dei doni”, che il Signore offre, il Sé donato, fino alla fine dei secoli! 3. L’amore diffuso “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35) Ricorda il Papa al n. 42: “La comunione è il frutto e la manifestazione di quell’amore che, sgorgando dal cuore dell’eterno Padre, si riversa in noi attraverso lo Spirito che Gesù ci dona (Rm 5,5), per fare di tutti noi “un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32). È realizzando questa comunione di amore che la Chiesa si manifesta come “sacramento”, ossia “segno e strumento dell’ultima unione e dell’unità di tutto il genere umano”. Tante cose, anche nel nuovo secolo saranno necessarie per il cammino storico della Chiesa, ma se mancherà la carità (agape) tutto sarà inutile. È lo stesso apostolo Paolo a ricordarcelo nell’inno della carità: se anche parlassimo le lingue degli uomini e degli angeli, e avessimo una “fede da trasportare le montagne”, ma poi mancassimo di carità, tutto sarebbe nulla (I Cor 13,2) 115


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La carità è davvero il cuore della Chiesa, come diceva S. Teresa di Lisieux: “Capii che la Chiesa aveva un cuore e che questo cuore era acceso d’amore. Capii che solo l’amore faceva agire le membra della Chiesa. Capii che l’amore racchiudeva tutte le vocazioni, che l’amore era tutto”. Il Papa insiste sulla necessità di una spiritualità della comunione, per fare della Chiesa “la casa e la scuola della comunione”. Al n. 43 afferma: “Occorre promuovere una spiritualità di comunione facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi in cui si plasma l’uomo e il cristiano. Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui voce va colta anche sul volto dei nostri fratelli. Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo Mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”, per sapere condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pura capacità di vedere ciò che innanzitutto c’è di positivo nell’altro per accoglierlo, valorizzarlo come dono di Dio: un “dono per me” oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è infine saper “fare spazio” al fratello, portando “i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenze, gelosie … non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita.” Vivere e diffondere quest’amore cristiano, è il “senso primo” della nostra scelta comunitaria; dobbiamo ogni giorno chiedere al Signore la grazia di essere “fruitori e diffusori del suo amore” attraverso ad una vita di fraterna e grande vita di unità, sempre più crescente, matura e attesa, intensamente. Ogni giorno dobbiamo desiderare l’unità! La Pasqua, la “festa di Dio che passa”, sia, in questo Anno Santo, davvero per tutti noi la risurrezione della speranza! Cristo risorgendo in noi oggi, ci dia una grande certezza: ognuno di noi è davvero un “predestinato alla risurrezione nel tempo e nell’eternità”. La Vergine della Risurrezione ci accompagni nel cammino

Fraterni auguri e saluti nel Signore Don Mario 116


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Maggio 2016 29 - Il segreto di Taizé Carissimi, andare a Taizé è davvero una grazia grande, per me e per tutti, sia ragazzi che adulti: ringraziamo il Signore! Vorrei cercare di esprimere quello che sento, perché mi sembra assai utile anche per Kisima. Mi sono chiesto in questi giorni: ma c’è un segreto in questa comunità di monaci che ormai da 70 anni davvero irradia una testimonianza feconda, specialmente ai giovani che da ogni parte vengono per attingere luce e forza di vita? 1. Il segreto di una presenza Mi sono stupito nuovamente di quante volte nella preghiera e nelle riflessioni essi ricordano, pregano il Cristo Risorto! La sua presenza è veramente il misterioso segreto della loro vita. Il mistero della Risurrezione a Taizé è veramente il centro della spiritualità: fr. Roger è stato davvero illuminato e ha cercato di vivere in profondità questa presenza su cui si basa tutta la nostra fede cristiana. I segni visibili della loro spiritualità sono il canto e la semplicità di vita. Ci sono momenti, nelle celebrazioni liturgiche, in cui il canto penetra nel profondo dei cuori, suscitando sentimenti davvero straordinari di slancio, di speranza e di vita. Nelle testimonianze raccolte dai giovani, il canto è sempre al centro del loro stupore, emozione e ringraziamento. È un canto che sempre esprime veramente la gioia di questa Presenza che trasfigura la vita, la gioia del Risorto. Il Signore risorto dà la sua gioia oggi a chi con fiducia si apre a Lui. Un canto che nasce da cuori in pace e di pace, non turbati perché affidati e leniti da questa misteriosa presenza cui continuamente si alimentano. C’è una preghiera di fr. Roger che esprime questo: “Gesù Cristo sei sempre stato presente in me ed io non lo sapevo. Tu c’eri ed io non ti cercavo. Quando ti ho scoperto, ho desiderato appassionatamente che tu fossi il tutto della mia vita. Un fuoco m’ardeva dentro, ma spesso di nuovo ti ho lasciato da parte e tu continuavi ad amarmi” “Sconosciuto o meno, il Cristo Risorto rimane accanto a ciascuno, anche a sua insaputa, come un clandestino”. Quante volte in questi anni queste parole del fondatore di Taizé mi hanno aiutato nella ricerca e nel cammino! 117


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Gesù, il Signore risorto, è sempre con ciascun uomo, credente e non credente, in una comunione invisibile ma reale, con una presenza interiore, non percepibile ai nostri sensi, ma vera e continua. È il mistero di un Amore senza fine che ci abita, che è al centro del nostro cuore. A Taizé si intuisce che il senso ultimo della vocazione di questi monaci è la ricerca continua della comunione con il Risorto che vive nel profondo di ogni essere umano. Aiutiamoci nella ricerca di questa presenza in noi e tra noi, nella certezza che il Signore dà vita e luce al nostro cammino personale e comunitario e che la sua presenza non ci abbandona mai. La sua festa è davvero senza fine! 2. Dio ci vuole felici I frères stanno pubblicando i testi integrali e gli scritti di fr. Roger. Sono già usciti cinque volumi di oltre 800 pagine. Ebbene, il titolo iniziale degli scritti nell’edizione francese dice: “Dieu nous veut heureux” (Dio ci vuole felici). Dopo i due documenti del Papa “Evangelii Gaudium” e “Amoris laetitia”, è davvero stupendo pensare che a Taizé la gioia di Dio è sempre stata al centro della vita della Comunità. Riporto quanto dice la loro Regola perché alla luce dei nuovi testi della Chiesa acquista una dimensione davvero grande e stupenda. “LA GIOIA La pace del cuore è una trave portante della vita interiore e sostiene l’ascesa verso la gioia. Perle del Vangelo, pace e gioia riempiono caverne di ansietà. Saprai accogliere il giorno che spunta come un oggi di Dio? Saprai cogliere stimoli di poesia ad ogni stagione, nei giorni di luce piena come nelle notti gelide d’inverno? Saprai rendere gioiosa la tua umile abitazione con segni che allargano il cuore? La presenza del Risorto apre felicità inattese; essa infrange le tue notti. “la tenebra non è tenebra per te, la notte è chiara come il giorno”. Sei chiamato alla libertà. Il tuo passato è sepolto nel cuore di Cristo e del tuo futuro Dio già si occupa. Non temere la sofferenza. In fondo all’abisso può essere donata la perfezione della gioia in comunione con Gesù Cristo. Ora rallegrati per tutto quello che Dio compie per mezzo tuo e attorno a te, così si dissolvono i pessimismi su di te e sugli altri, quei pessimismi che facevano guerra all’anima. Se dimentichi i doni dello Spirito Santo in te, se giungi fino a perdere la stima in te stesso, che vertigine … il vuoto attira, affascina. La gioia si meraviglia. Non le basta tutto il nostro essere per esplodere. Si trova nella trasparenza di un amore sereno. Se il grano non muore … la gioia pasquale guarisce le ferite segrete dell’anima. Non rigonfia il cuore. Fa a meno degli elogi. Conduce direttamente alle porte della luce: “Spirito del Cristo risorto, presenza misteriosa, donaci di vivere della tua fiducia a tal punto che le sorgenti del giubilo non esauriscano mai”. 118


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Questa certezza che Dio cerca più di noi la nostra vera e piena felicità si respira, a Taizé: là c’è veramente fiducia e speranza per tutti! La festa del cuore, della vita, delle famiglie, della società, dell’esistenza umana non è solamente un nostro sforzo umano, ma è la volontà, è il disegno di Dio. Affermare che Dio ci vuole felici, perché suoi figli, significa sottolineare oggi la dimensione profonda della vita e del suo senso. Ma allora perché tanta non-felicità in noi e attorno a noi? Affermare che Cristo ha vinto la morte significa trovare la risposta vera e attuale. La Risurrezione di Cristo vince ogni male, genera continuamente forze ed energie di vita vera, piena, elevante. Occorre una vera conversione alla festa del cuore! Non è facile perché siamo troppo abituati a vivere senza una vera ricerca della sorgente della festa che è il Signore. Solo lo Spirito può farci intuire la differenza essenziale tra le gioie umane e le gioie dello Spirito che il Risorto ci vuole donare sempre più. A Taizé la gioia non si esaurisce mai, bastano poche ore per vedere tante persone rinascere, risorgere, ripartire, piene di orizzonti e spazi nuovi nei cuori. Ho ascoltato per tre quarti d’ora una ragazza che arrivava dall’India, ferita veramente in profondità, inondata di lacrime, ma è ripartita piena di luce e di vita! È il dono, è il mistero della testimonianza di questi monaci che nella loro semplicità di vita, ma con una fede veramente contagiosa di speranza, trasformano le persone. 3. Frequentare Taizé Non mi era mai successo, in tutti questi anni, di sentire dai giovani un proposito schietto: “noi vogliamo tornare”; tutti vogliono tornare! Ho ringraziato il Signore di questa grazia. Ho ringraziato perché in questi anni il Signore mi ha fatto sempre più comprendere il dono grande di Taizé. Spero vivamente di riuscire a far organizzare un Capodanno a Torino, forse nel 2018, perché prima non è possibile. Mi sembra una “restituzione” a chi tanto ci ha donato in questi anni. I frères sono molto preoccupati perché gli italiani frequentano di meno … purtroppo anche i carismi più grandi non da tutti sono compresi e vissuti. Kisima deve “assumere” questa loro difficoltà e cercare di aiutare sempre più i giovani a conoscere, frequentare la vita e la spiritualità di Taizé. È una missione! I giovani cinesi che abbiamo portato erano davvero felici. Che gioia grande vedere questi ragazzi che hanno la possibilità di vivere la testimonianza di una comunità cristiana; ritorneranno in Cina con nel cuore questa luce, che certamente si irradierà in quella terra, così matura ormai per il Vangelo. I frères ci hanno detto che molti dei giovani, ormai diventati genitori, portano i loro figli, anche piccoli, a Taizé. Nella confusione educativa odierna, poter fare frequentare un luogo così vivo ed eloquente è veramente una grazia per le famiglie. L’esperienza della preghiera, della vita comunitaria, dell’accoglienza dei monaci, certamente entra nel profondo dei cuori giovanili, e li segna nella speranza della responsabilità di una vita bella e feconda di frutti copiosi. 119


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Forse mai come in questo viaggio ho sentito ancor più nel cuore l’urgenza di fare conoscere Taizé, specialmente a chi è smarrito, confuso da una società così povera di ideali e di speranze. Quanti giovani confusi si incontrano oggi, dobbiamo indicare loro delle vie concrete e possibili per ritrovare fiducia e amore alla vita. Vorrei tanto che Kisima meditasse con calma su questo tema dell’educazione dei giovani oggi, non solo i nostri figli. A Taizé l’invito per tutti è “allargare il cuore, aprire nuovi orizzonti, osare vie nuove”, per testimoniare la gioia e la bellezza del Vangelo e della vita cristiana. Chiediamo allo Spirito Santo la luce necessaria per capire come la nostra piccola Kisima può aiutare tante persone a conoscere e frequentare Taizé, affinché il carisma di fr. Roger possa dilatarsi nella società moderna così smarrita e divisa, perché fondata su un materialismo crescente che distrugge le radici del senso vero della vita. Cerchiamo di camminare sempre più nella fede, fraternità e festa, affinché la nostra testimonianza possa essere di aiuto a tante persone che sono smarrite nel profondo del cuore. Il Signore ci invita, attraverso la parola di Papa Francesco, a fare dei “ponti”, ad andare vero le periferie, cioè a cercar chi si è smarrito: non abbandoniamo nessuno! Affidiamo alla Vergine nel mese di maggio che inizia la nostra piccola Kisima, affinché possa percorrere sempre più la via nella semplicità della speranza. Fraterni saluti nel Signore Don Mario

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Pragelato, Luglio 2016 30 - La porta dell’anima Carissimi, vorrei scrivervi questi pensieri da questi giorni di “deserto” qui a Pragelato, dove tutto per me è come “una perenne Kisima”, una sorgente di vita e di acqua pura. 1. La porta dell’anima S. Ambrogio dice che la Fede è la “porta dell’anima” a cui bussa il Signore dicendo: “posso entrare? Ecco sto alla porta e busso” (Apc 3,20). Dice il grande Vescovo di Milano “Beato colui alla cui porta bussa Cristo! L’eco della parola del Vangelo: Io e il Padre verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. (Gv 14,23)” Quando al mattino i primi raggi di sole illuminano la Cappella di questa Casalpina che Dio ci ha donato dal 1981 … penso: il primo sole è proprio il “segno visibile” di Gesù che vuole entrare con la sua luce, la sua vita, il suo amore, la sua festa, in ogni cuore umano! Pensare che la nostra anima ha nella fede la sua porta, è un’immagine che ci deve aiutare in profondità. Che cos’è la vita se non un “ingresso” di Dio che ci fa nascere, vivere, crescere in terra e in Cielo, per poter entrare sempre di più in noi e noi in Lui? Vivere non è aprirsi alla Vita? Credere non è aprirsi all’Amore? Amare non è aprirsi a Dio festa senza fine? L’altro giorno, visitando il Museo della Val Troncea, la guida ha detto che “La Val Troncea esiste da 250 milioni di anni!!!” Voi sapete che da sempre mi chiedevo: ma nel Chisone, da quando scorre l’acqua? Dove è la sua sorgente? Che cosa sarebbe la terra, se non accogliesse più l’acqua? Come diventiamo noi se non ci “apriamo” sempre più al Signore che continuamente vuole venire in ciascuno e in tutti? 2. Il mistero del tempo Che cos’è il tempo? Come capisco meglio S. Agostino che non riusciva a rispondere alla domanda che cos’è il tempo? È bellissimo, stupendo dire che: “esisto da ottant’anni”. Ma che significa, che il mio io “è”? “Ci sono” … immagine della Parola di Dio che dice a Mosè: “Io sono colui che sono” (Es3) e di Gesù che si presenta “Io sono” (Gv 6,20). Sempre più intuisco che davvero il tempo è un’astrazione che avvolge il mistero della nostra vita. Io sono nella misura in cui “partecipo di Dio” che non ha tempo, ma che E’. Ma come è Dio? “La nostra vita dipende dall’idea che noi abbiamo di Dio” (Padre Gasparino). E 121


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l’idea di Dio cambia continuamente proprio in base a quanto apriamo al Signore la porta della nostra anima, la Fede! C’è in me, in questi tempi, una grande “partecipazione alla Festa che è Dio”. Sempre più capisco che Dio ci dà la vita per darci la Sua Felicità, come dice bene Gesù “Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nel cielo” (Lc 10,20) Come il raggio di sole con la sua luce e il suo calore, la sua vita, ci trasmette un atomo del Suo calore … così Dio attraverso alla “illuminazione” della Fede, ci “introduce” nel mistero della Sua Festa senza fine. 3. Il dono di Taizé Qui sono più vicino, anche fisicamente … basta passare le montagne e senti che Taizé è “il Dio che canta e fa cantare la vita”. Papa Francesco sta cercando, attraverso l’Anno Santo, di ottenere la purificazione dei cuori, affinché il Dio della Festa senza fine possa entrare. Il fine di questo Anno Santo è l’incontro personale con il Cristo Risorto! Ma quale Festa è Dio? Kisima sta preparando “il primo DVD”. Vorrei tanto che lo vedessimo come un “segno” che il Signore vuole fare prima di tutto a noi di Kisima, prima che altri. È la memoria “del nostro cammino”, è il ricordo dei doni e delle grazie, davvero senza fine che il Signore ci ha donato. Quanto abbiamo saputo ricevere e accogliere? Sono certo che questo dono dell’immagine che cerca di “ricordare” ci aiuterà a vivere sempre più in profondità il dono di Kisima. Preghiamo lo Spirito Santo che ci illumini e ci indichi i nuovi sentieri che dobbiamo percorrere, soprattutto per quanto riguarda la Clinica della Memoria, questo dono di valore straordinario che la Madonna sta per fare all’umanità. Lei sarà la Madre che lenirà le sofferenze fisiche e spirituali attraverso a questo “segno” di Cana oggi! Sono certo che sarà un “prolungamento” del canto di Taizé per tanti che verranno ad attingere la luce della speranza! Ci auguriamo che questi giorni prima del nostro incontro a fine agosto, siano per tutti noi, di grande “apertura” al Signore che bussa alla porta della nostra anima. Preghiamo intensamente perché Kisima diventi sempre più un segno visibile della Festa senza fine del Cristo Risorto che oggi vuole donare a tutti la gioia della Sua Presenza e della Sua Risurrezione. La luce della Fede, sia sempre più viva e splendida in noi e tra di noi, per tutti, a tutti. Questa luce di Dio ci aiuti a “vederci” come ci vuole Lui, figli suoi e fratelli e sorelle, gli uni gli altri. Ci dia il “senso della sua presenza” e della sua grazia che indica il cammino da compiere. Ci doni la sua forza e la sua pace senza fine che colma sempre più i nostri cuori. Che cos’è la Comunità se non l’anticipo sulla terra del mistero dell’eternità?

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Fraterni saluti nel Signore Don Mario


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Agosto 2016 31 - La nostra identità più profonda: perché Kisima? Giornata di deserto personale n.267 Evangelii Gaudium: Uniti a Gesù, cerchiamo quello che Lui cerca, amiamo quello che Lui ama. In definitiva, quello che cerchiamo è la gloria del Padre, viviamo e agiamo a lode dello splendore del Padre, viviamo e agiamo “a lode dello splendore della sua grazia” (Ef 1,6). Se vogliamo donarci fino in fondo e con costanza, dobbiamo spingerci oltre ogni motivazione. Questo è il movente definitivo, il più profondo, il più grande, la ragione e il senso ultimo di tutto il resto. Si tratta della gloria del Padre, che Gesù ha cercato nel corso di tutta la sua esistenza. Egli è il Figlio eternamente felice, con tutto il suo essere “nel seno del Padre” (Gv 1,18). Se siamo missionari è anzitutto perché Gesù ci ha detto: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto” (Gv 15,18). Al di là del fatto che ci convenga o meno, che ci interessi o no, che ci serva oppure no, al di là dei piccoli limiti dei nostri desideri, della nostra comprensione e delle nostre motivazioni, noi evangelizziamo per la maggior gloria del Padre che ci ama. 1. Kisima esiste perché il Signore l’ha fondata e la vuole Questa motivazione deve essere centrale e primaria, è la nostra identità: non siamo noi a “fare” la comunità, noi possiamo solo riceverla. 2. Conversione quotidiana Per vivere così, occorre una grazia quotidiana, una conversione oggi. Ricordiamo alcune testimonianze: ogni giorno occorre vivere nello Spirito… • Credi a Cristo presente in te, anche se non lo senti (Fr. Roger) • Cristo, senza averti visto, noi crediamo in te (Fr. Roger) • Gesù nel mio cuore ti amo, credo al tuo amore per me (Madre Teresa di Calcutta) • Cristo è risorto per fare della vita una festa senza fine (S. Atanasio) • Nessuno è felice come Dio, nessuno fa felice come Dio (S. Agostino) • Dio è sempre felice, ma nessuno ci pensa (E. Bianchi) • La felicità è il nostro fine ultimo (L. Bloy) • Gioirono i discepoli a vedere il Signore (Gv 20,20) • Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo (Mt 28,20) Signore, che cosa vuoi da me oggi? “L’oggi di Dio” … 123


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3. La fede quotidiana n. 278. Evangelii Gaudium La fede significa anche credere in Lui, credere che veramente ci ama, che è vivo, che è capace di intervenire misteriosamente, che non ci abbandona, che trae il bene dal male con la sua potenza e con la sua infinita creatività. Significa credere che Egli avanza vittorioso nella storia insieme con «quelli che stanno con lui … i chiamati, gli eletti, i fedeli» (Ap 17,14). Crediamo al Vangelo che dice che il Regno di Dio è già presente nel mondo, e si sta sviluppando qui e là, in diversi modi: come il piccolo seme che può arrivare a trasformarsi in una grande pianta (cfr Mt 13,31-32), come una manciata di lievito, che fermenta una grande massa (cfr Mt 13,33) e come il buon seme che cresce in mezzo alla zizzania (cfr Mt 13,24-30), e ci può sempre sorprendere in modo gradito. È presente, viene di nuovo, combatte per fiorire nuovamente. La risurrezione di Cristo produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo; e anche se vengono tagliati, ritornano a spuntare, perché la risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia, perché Gesù non è risuscitato invano. Non rimaniamo al margine di questo cammino della speranza viva! n.279. Poiché non sempre vediamo questi germogli, abbiamo bisogno di una certezza interiore, cioè della convinzione che Dio può agire in qualsiasi circostanza, anche in mezzo ad apparenti fallimenti, perché «abbiamo questo tesoro in vasi di creta» (2 Cor 4,7) Questa certezza è quello che si chiama “senso del mistero” … Forse il Signore si avvale del nostro impegno per riversare benedizioni in un altro luogo del mondo dove non andremo mai. Ogni giorno cerchiamo di credere in modo nuovo? 4. Preghiera continua “pregate sempre senza stancarvi mai” (Lc 18,1) Per vivere nello Spirito oggi, in un mondo sempre più ateo e che dimentica Dio, è necessario aiutarsi a ricordarsi di Dio, più di quanto si respira. La preghiera è il contatto personale, comunitario, liturgico con il Risorto, che • Con la parola ci parla oggi • Con la coscienza ci guida oggi • Con i Sacramenti agisce in noi, donandoci il suo Spirito; ogni sacramento è un dono di Gesù Risorto che ci dà il suo Spirito oggi, per illuminarci, liberarci, guidarci, santificarci • È necessario riscoprire, vivere il primato della grazia (CC nn 1987-2005) 124


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• Oggi è necessaria la spiritualità della Presenza, per superare la crisi epocale in cui vive l’umanità. Dobbiamo aiutarci in modo primario, in Kisima, a vivere alla presenza di Dio e nella presenza di Dio (cfr D. Barsotti) Revisione di vita 1. Sto vivendo intensamente la realtà di Kisima come “vocazione – consacrazione – missione”? 2. Quali sono le difficoltà interiori che mi impediscono l’incontro personale quotidiano con il Signore Risorto? 3. Cresce in me il senso della Festa che è Dio felicità infinita? 4. Cerco di irradiare la festa “primariamente”?

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Ottobre 2016 32 - Il corpo e il sangue di Cristo mi custodiscano per la vita eterna Carissimi, mentre vi ringrazio in modo particolare per l’unità di tutti voi in questi giorni, vorrei scrivervi qualche riflessione sul mistero dell’Eucaristia, perché sento che è essenziale per la vita di Kisima. 1. Il mistero della custodia del Signore Questa preghiera il sacerdote la dice prima di ricevere il Signore nella S. Comunione. È di una profondità straordinaria e ogni volta che la dico mi sento veramente custodito. Chi ci custodisce nel cammino della nostra vita cristiana? Sempre il Signore! La Chiesa vuole che i suoi sacerdoti siano ben coscienti di questo: è il Signore il custode della nostra vita. Davvero Lui è grande e dimostra la sua divinità proprio in questa sua presenza quotidiana nel cammino. Cosa sarebbe la nostra vita senza l’Eucaristia? Come potremmo noi vivere il Vangelo senza questa Presenza continua che attraversa i secoli, gli spazi e i tempi, e raggiunge il profondo di ogni cuore credente? Nessuna mente umana poteva inventare una realtà così profonda e santissima come il mistero di questa presenza voluta da chi ci ama infinitamente! Quando sono andato a Suno recentemente, ho sostato un po’ nella chiesa del paese, dove il 22 marzo 1943 ho ricevuto la Prima Comunione … ho cervato di immaginarmi bambino … i banchi della Chiesa sono gli stessi … per dire grazie al Signore di quel giorno in cui Lui ha voluto continuare la custodia del mio cuore e della mia vita, iniziata già nel Battesimo ricevuto sette anni prima. Cosa sarebbe la mia vita senza la S. Comunione, senza il Signore che viene in me ogni giorno per dirmi e darmi tutto se stesso? Dobbiamo veramente chiedere a Lui la grazia di capire il più possibile quanto noi abbiamo bisogno di vivere la S. Messa: è tutto per la vita dell’umanità! Meditando anche sulla mia presenza di parroco qui a San Secondo, è sempre più viva in me la certezza che solo se custoditi dal Signore si può essere cristiani nel cammino. Nessuno può sostituire l’azione della grazia nella vita. Solo se alimentati dal Signore i cristiani possono reggere l’urto del mistero del male. Solo Gesù, venendo in noi, può rafforzare la fede, accrescere la speranza, irradiare la carità, inondarci del suo Spirito affinché la nostra vita sia davvero una festa del cuore. Perché la Chiesa prima celebrava la S. Messa solo alla domenica e poi ogni giorno? Riflettiamo perché la luce dello Spirito ci illumini su come e quanto ci sentiamo custoditi dall’Eucaristia e come la cerchiamo, con quale intensità interiore. 2. La forza di Dio con noi Sento sempre di più in me questa domanda cui non so rispondere: ma i cristiani 126


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dove attingono la forza per la loro vita e la fede? non sono mai stato pessimista, ma cerco di capire quali sono oggi i punti di fragilità nei cristiani, qual è la differenza tra i credenti e i non credenti … e purtroppo la risposta che mi nasce dentro è questa: la società dei consumi sta lentamente, direi poco per volta, consumando la forza della fede, come una perdita nascosta in un tubo dell’acqua o una fessura in un muro che si allarga lentamente ma inesorabilmente. La fede cresce o diminuisce nel cuore dei cristiani? Meditando quello che dice nell’ultimo libro/intervista Benedetto XVI, è necessario che si faccia uno sforzo unitario per essere d’accordo sul fatto che il primo problema oggi della Chiesa in Europa è quello della fede. guai se ci perdiamo nel secondario, anche nella vita quotidiana; occorre chiedersi sempre: oggi come sta crescendo la mia, la nostra fede? la fede nel Signore è la forza della vita e della Chiesa, più siamo uniti in questo, più si superano le varie difficoltà esistenziali: aiutiamoci a credere! Non è facile questa conversione al primato della fede, perché a volte i problemi della vita urgono, ci fanno soffrire, ma è solo cercando prima di tutto il Regno di Dio che possiamo avere luce, forza e coraggio. Non è in noi il segreto della vittoria, sodo Dio è colui che vince il mistero del male. Quando do la S. Comunione e accolgo l’Amen dei fedeli, mi chiedo sempre: quanto è profondo, attuale, vivo, forte questo SI nella fede al Signore che viene nel mistero della nostra persona, della nostra vita? Facciamo la Comunione prima di tutto per crescere nella fede, per irrobustire la fede, per accogliere Colui che è la sorgente della fede? Che rapporto c’è tra l’incontro con il Signore eucaristico e la nostra fede? sentiamo in profondità che non esiste momento più importante e prezioso nella nostra vita? Più percepiamo che Gesù è Dio, più la nostra vita acquista dimensioni nuove di luce, di impegno, di speranza: chi può fermare l’amore e la forza di Dio? Noi portiamo nella S. Messa il pane e il vino e il Signore restituisce i nostri doni dandoci Se stesso, il suo Corpo e il suo Sangue: mistero di un miracolo che dura nei secoli fino alla fine di essi. Miracolo di una transustanziazione che non solo opera sul pane e sul vino, ma nel profondo della nostra anima, del nostro corpo, della nostra vita, che diventa una transustanziazione continua nel Cristo. Ma mentre il pane e il vino non pongono ostacolo a questo miracolo, noi purtroppo se non ci lasciamo custodire rischiamo di ostacolare questo cambiamento del cuore e della vita. Il dono del tempo Ritorno su questo tema che mi sta affascinando: che cosa posso dare al Signore che Lui non ha? La risposta che mi avvolge dentro è sempre questa: il tempo, il mio tempo! Dio non ha il tempo, è misteriosamente fuori, oltre il tempo … ma io, noi, abbiamo questo dono, siamo nel tempo … qui, ora, adesso … Ecco, io posso dare al Signore il mio tempo, questo dono per cui sono, esisto, vivo 127


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e posso dirgli: “Signore ti dono il tempo che tu mi dai”. Sto pensando al mondo contemporaneo che passa il tempo con e per gli oggetti … tutto diventa sempre più rapporto con un oggetto … l’ossessione dell’oggetto, l’oggetto al centro del cuore, del sentimento … tutto è in questo oggetto che sta per entrare sempre più come senso primo della vita. Quanto tempo do alle cose e quanto tempo do a Dio? Per chi sto vivendo, che cosa mi sta a cuore nel profondo? Per saperlo devo farmi questa domanda: quanto del mio tempo sto dando al Signore? “Signore ti do il tempo”, ti dono il mio tempo, voglio stare un po’ solo con Te: parlami, rivelati, illuminami, purifica il mio cuore, la mia mente, la mia vita, fammi capire sempre più perché io sono? Per chi? A me sembra che questo sia il centro del mistero della vita: viviamo per chi? Non stupitevi se insisto su questo, ma a forza di chiederlo e di ascoltare le persone, sono sempre più convinto che il centro dei problemi sta proprio in questo: non è chiaro il senso della vita! Se non si dà al tempo un senso vero, profondo, maturo, non si esce da questa situazione di confusione, di incertezza, direi di nebbia nel cammino, in cui vivono anche tanti cristiani che si sono lasciati confondere dentro, nel cuore. O siamo di noi stessi o delle cose, o siamo del Signore. O viviamo per le cose o per noi stessi, o viviamo per il Signore. È vero che è sempre un cammino, ma la direzione deve essere chiara, certa, appagante. La fede è una luce che illumina, non può essere una confusione dispersiva in mille rivoli secondari … per cui si ha sempre tempo per tutto, anche per le cose più superficiali e insignificanti e mai per il Signore! 3. La gioia di Dio “La gioia del Signore è la nostra forza” (Neem 8,10). Papa Francesco non si stanca di invitarci a gioire nel Signore e per il Signore. Continua a dire che non si può essere dei cristiani tristi, perché sa bene che questo è il punto debole oggi. Se non percepiamo, personalmente e insieme, questa parola, si rischia molto nella vita. Ogni giorno il Signore ci dà la vita e ci vuole felici, ma quanto si fa fatica, specie nei momenti di prova, di oscurità, di salita interiore. Non esiste un Dio triste … il Signore è risorto e vuole darci oggi la vittoria, la sua vittoria sul mistero del male. Guai se non cerchiamo di sperimentare sempre più questa verità del Vangelo, si rischia la perdita della fede veramente. Non siamo abituati a ricordare, noi cristiani moderni, quanto dicevano i cristiani dei primi tempi, degli inizi: la tristezza è l’arma del demonio. Quanto lo constato nella mia vita sacerdotale! Quanta gente avvolta nel mistero dell’angoscia e della tristezza della vita, veramente sofferenti nel profondo, oscurati da questo misterioso male interiore che morde il cuore e fa morire la gioia di vivere. Lo Spirito Santo è il principio della gioia, dobbiamo non rassegnarsi e, quando il tedio ci distrugge l’entusiasmo o le 128


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energie, veramente preghiamo che il Signore ci dia il pane della gioia, essenziale per il nostro cuore. Sono contento che la Clinica della Memoria abbia portato un po’ di questo dono nei cuori, preghiamo perché tutto si realizzi secondo il disegno del Signore! L’Eucaristia, il tempo donato al Signore, la gioia del cuore e della vita: mi sembra un bel cammino per Kisima, anche per festeggiare i quarant’anni in cui il Signore ci ha dato di vivere sempre insieme qui a San Secondo, dove ci ha voluto e ci vuole primariamente. Cerchiamo in questo mese di aiutare tutti a vivere un po’ questa gioia che abbiamo nei nostri cuori, riconoscenti perché in questi anni ci ha custodito. Sono contento e spero che in molti cuori si cominci a cercare di vivere la parola che ci ha illuminato per tanti anni “Nessuno è felice con Dio, nessuno fa felice come Dio” e spero veramente che questa si diffonda ravvivando tante persone che non hanno questa luce che il Signore ci ha donato in questi anni di cammino fraterno insieme. Prego perché diventi luce per la vita di tante famiglie che hanno urgente necessità di riscoprire la gioia di vivere, di amare, di credere, per loro e i loro figli. La Vergine apparsa a Fatima, che pregheremo per la Clinica della Memoria nella celebrazione dell’Accoglienza nella nostra cappella, ci aiuti sempre più a sentire in profondità quanto siamo fortunati perché ci sentiamo custoditi da Lei e dal Signore! Uniti anche se lontani … Fraterni saluti nel Signore Don Mario

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Gennaio 2017 33 - Grandi sono le opere del Signore (Sal. 111,2) Carissimi, è sempre una grande gioia vivere insieme qualche giorno, stare un po’ uniti nella fraterna amicizia che il Signore continuamente ci dona. Ringraziamolo per tutti i doni che in questi giorni ha seminato in Kisima, sia nei presenti fisicamente a Sestri Levante, sia nei lontani, perché Dio non ha spazio, ma è ovunque Amore senza fine, riempie ogni spazio e ogni dimensione. Vorrei riflettere brevemente sulla necessità della “purificazione della memoria, come fonte di libertà: La purificazione della memoria Dio ci concede la “memoria” una delle facoltà più misteriose e necessarie nella vita. Senza memoria la vita diviene, come purtroppo è nell’Alzheimer, impossibile. Memoria come dono per ricordare il positivo, ma anche per dimenticare il negativo. “Ricordare il positivo, dimenticare il negativo”, per poter conservare la freschezza della fiducia e la gioia della speranza! a. Ricordare il positivo nella storia biblica e umana Tutta la Bibbia è un invito a non dimenticare Dio e le Sue opere, i Suoi doni e la Sua fedeltà! Si esige uno sforzo quotidiano, per “non dimenticare”, per vivere nella Presenza del Signore che è il Fedele, Colui che regge la nostra vita e i nostri passi. La Fede è per definizione, il ricordo quotidiano del Signore che ci crea, ci ama, ci libera, ci protegge, ci conduce nella perenne comunione con Lui. Dobbiamo aiutarci a non perdere mai la dimensione storica delle vicende umane: tutto viene da Dio Creatore e Signore, Reggitore della vita! “Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre” (Sl 136,1) “Riconoscete che solo il Signore è Dio, egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo” (Sl 100,3) “Voglio cantare al Signore finché ho vita, cantare inni al mio Dio finché esisto, a Lui sia gradito il mio canto, io gioirò nel Signore” (Sal 104,33-34) “Ricordare” quanto il Signore ha fatto e fa, vivere il Credo come dono di conoscenza e di riconoscenza, camminare nella storia oggi, illuminati dal passato che Dio ha costruito nei secoli, come segno visibile della Sua Presenza e del Suo Amore Provvidente! La “memoria” diventa veramente fonte di una grande gioia di vivere, perché sia130


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mo viventi, fatti, guidati e sorretti dal Signore, il Creatore - Creante, che oggi ci ama infinitamente! b. Ricordare il positivo nella storia personale, famigliare, di Kisima La memoria deve essere veramente arricchita del ricordo di tutti i doni, le grazie, il bene, i favori, che il Signore ci ha fatto e ci dona sempre, quotidianamente. Ripensare, ricordare, rivivere i “carismi”, i doni, le intuizioni, le azioni che il Signore ci ha permesso di compiere, è davvero indispensabile per non cadere in una visione negativa della vita e delle vicende umane. Aiutiamoci a vivere questa grande parola del Sal 40,6: “Quante meraviglie hai fatto, tu, o Signore, mio Dio, quanti progetti in nostro favore: nessuno a te si può paragonare! Se li voglio annunciare e proclamare, sono troppi per essere contati!” Quante volte rileggendo le “Lettere a Kisima”, possiamo rivivere in sequenza i doni ricevuti in questi anni in Kisima, e questo ci dà veramente una grande luce sulla nostra identità comunitaria e sul senso del nostro cammino. Sorretti dalla Sua Fedeltà e dalla Sua Presenza, dobbiamo continuare il cammino, alimentandoci alla fonte della Sua perenne Preghiera e del Suo costante aiuto di grazia e di doni incessanti. Vorrei invitarvi a meditare con calma le “Lettere a Kisima”, perché è un modo semplice e fecondo, per alimentare il “senso del positivo” nella nostra vita e non lasciarci appesantire il cuore, dalle difficoltà del cammino che a volte sembra troppo faticoso. c. Dimenticare il negativo Dice fr. Roger in “Silenzio della contemplazione” (Fuoco del Tuo Amore” p. 49 – LDC): “ln ciascuno di noi esistono abissi di dubbio, di violenza, di incognito, di sofferenze intime ... e anche risvolti di colpevolezza, di cose inconfessate, fino a sentire aperta la voragine di un vuoto. Degli impulsi salgono in noi, che vengono da non si sa dove, forse da una memoria ancestrale, o genetica. Lasciamo il Cristo pregare dentro di noi, con la fiducia dell’infanzia e un giorno questi abissi saranno abitati”. ln tutto l’Anno Santo il Papa ha insistito tanto sulla necessità che si riscopra il “dono e il mistero della liberazione dal peccato e del perdono concesso da Dio Padre a tutti noi, figli peccatori, ma amati infinitamente e misericordiosamente”. La purificazione della memoria, la pace interiore profonda del cuore, l’abbandono fiducioso al Signore Misericordioso, sono doni dello Spirito e da implorare incessantemente. 131


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Solo lo Spirito Consolatore può sanare ferite profonde che abitano il cuore, specie quando, come ricorda fr. Roger, non sempre si conoscono le cause di tante profonde sofferenze interiori del nostro animo. “Le angosce del mondo non possono mai togliere la gioia del Cristo Risorto”, affermava sovente S. Madre Teresa di Calcutta, ben cosciente di quanto è necessaria la pace del cuore, specie quando si vive a contatto con abissi di profondi vuoti spirituali o umani. Nella mia esperienza sacerdotale di questi anni, ho sempre visto che la “pace del cuore” è davvero un dono dello Spirito Santo. Quante volte solo dopo un colloquio con qualche uomo spirituale, o dopo aver ricevuto con fede il Sacramento della Riconciliazione, si ritrova forza, serenità, equilibrio, frutto di grazia, più che di convinzione o ragionamento. Anche oggi all’interno della Comunità ecclesiale ci sono luoghi e persone che hanno questo “carisma della riconciliazione”, una fonte perenne di una speranza senza fine e per qualunque situazione anche la più sofferente. Mi permetto di riportare una delle pagine più grandi di fr. Roger nella Lettera “Vivere l’insperato” del 1972 - “Le porte della lode”: “Uno dei miei mi manifestava un giorno tutta la sua lotta interiore: “Ho conosciuto la tentazione dell’analisi di me stesso, con i suoi punti interrogativi, i suoi incessanti: chi sei?, i suoi infiniti perché. Tali interrogativi conducono talvolta alla vanità, più spesso alla tristezza, alla vergogna e talvolta al disprezzo di se stessi. Ho allora arato il mio terreno, l’ho lavorato, ho cercato di renderlo sempre più bello e finivo per fare della bellezza del terreno uno scopo, dimenticando che il fine è seminarvi il seme del Vangelo. Conoscevo la parola di Isaia: chiamerai le tue porte: “lode”. Ma chiamavo le mie porte introspezione, angoscia, scrupolo. Avevo inciso sulle mie porte: non merito più di essere chiamato tuo figlio. Sono porte troppo strette che non conducono verso l’esterno ma verso le oscure profondità di sé stessi. Chiamerò ormai le mie porte “lode”. Sono porte che s’aprono largamente verso l’esterno, verso Colui che è al di là delle cose e di me stesso” Quando l’introspezione e l’analisi ripiegano qualcuno su sé stesso, che desolazione. Chi gli aprirà le porte della lode? Poco prima della morte, nel 1943, nella prigione politica dell’Andalusia, Miguel Hernandez, confessava come un segreto: “Apri in me, Amore, le porte della piaga perfetta; apri perché escano tutte le angosce cattive, apri, ecco, viene il soffio della tua parola”. Attraverso le porte della lode usciranno e le angosce mortali e i canti senza fine. Dio imprimerà il suo sigillo sulle stesse realtà traumatizzanti. Non saranno più tormento ma energia di comunione. Chi desiderasse un’esistenza priva di contraddizioni, di avversità, di opposizioni, di critiche, cadrebbe nell’angelismo. Ma di fronte agli scossoni in noi stessi, nella 132


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Chiesa e nelle società umane, si aprono due strade: • o pene e angosce si mutano in dolorismo e amarezza, e piagnucolando sotto i pesi che lo schiacciano, l’essere umano si blocca sul posto e tutto è perduto • oppure pene e tristezze trovano uno sbocco nella lode del suo amore. Essa strappa via dalla passività e dà la capacità di affrontare decisamente ogni evento”. d. “IO faccio nuove tutte le cose” (Ap 21 ,5) Questa parola del Risorto deve essere sempre in noi! Lui è il Rinnovatore, Colui che può trasformare il cuore e la vita! È sulla certezza della sua Parola che noi dobbiamo camminare sempre in avanti, verso la meta di una comunione con Dio nell’eternità e nell’oggi, che possiamo realizzare, auspicare e invocare. Non lasciamoci mai offuscare il cuore o appesantire la speranza: il Cristo Risorto non solo è con noi ma cammina “davanti” a noi e ci invita a seguirlo verso una pienezza di vita e di risurrezione, che dà forza e fiducia incessantemente. Prima di chiudere vorrei ringraziare gli amici “nuovi” che sono venuti con noi in questi giorni. Preghiamo il Signore che ci aiuti ad essere per loro fratelli e sorelle per poter discernere la via che il Signore vuole per loro! La Vergine ci assista con la Sua materna intercessione. Fraterni saluti a tutti Don Mario

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Aprile 2017 34 - I cinesi a San Secondo Carissimi, ieri il Signore mi ha dato una gioia grande e mi pare giusto condividerla con voi, carissimi di Kisima. Da quando sono sacerdote, mai ho avuto la gioia di trascorrere una S: Pasqua così feconda e splendida di luce! Concelebrare con un prete cinese, vedere i volti radiosi di tanti parrocchiani, intuire che la via del futuro per la Chiesa sarà l’Oriente, conferma di quanto tutti i teologi e i mistici vanno ripetendo, mi ha davvero riempito il cuore. Un ragazzo di una famiglia molto cattolica, di prima media, ha detto a sua madre: “Questa è stata la S. Messa più bella a cui ho assistito!” … , davvero il Signore parla … A tavola una ragazza che ha ricevuto il Battesimo da Mons. Nosiglia diceva, con una semplicità e un ardore gioioso di fede: “Il Signore davvero mi parla nel cuore e io cerco di ascoltarlo sempre, Lui mi illumina e mi guida nella vita”. Ma dentro di me ero davvero molto contento, perché sentivo una parola che mio fratello Beppe mi diceva sempre: “Mario ricordati dei giovani … sono il futuro del mondo … cerca di occupare le tue forze soprattutto per loro …”. Vedendoli così vivi, pieni di forza e di fede, davvero percepivo che la Chiesa deve fare il massimo degli sforzi apostolici per loro, perché sono la via per costruire un mondo di giustizia e di pace. A tavola eravamo in 17, ma vi garantisco che raramente ho potuto “assimilare” la forza vitale, la voglia di vivere che ho percepito nei loro cuori. Stare un po’ a fianco di Don Chen, che rischia quotidianamente la vita per il Signore, mi ha fatto ancor più capire quanto sono grandi le chiamate e i doni del Signore che davvero è il Vivente nel profondo dei cuori, di ogni cuore. Mi ha raccontato con semplice umiltà quanto stando facendo i cristiani in Cina nel mistero della persecuzione: è davvero diabolica nelle varie forme! I cristiani cinesi sono davvero forti e perseveranti nell’amore al Signore. Cerchiamo di ascoltare quanto il Signore ci dice attraverso questo segno dei cinesi che sono qui tra noi … : come intuire che è Lui che li ha mandati e li manda nel mondo? Perché questi giovani, se possono, non vogliono più tornare in Cina e se ritornano sono veramente cambiati dentro, nel cuore? Cosa possiamo fare noi, piccola Kisima, per loro, attraverso la preghiera, l’invocazione dello Spirito, l’ascolto, l’apertura del cuore, la testimonianza della nostra fraterna comunione? La Stampa ieri, ma non lo sapevo, ha anche scritto del piccolo libretto tradotto in cinese … davvero un seme in Cina! Come diffonderlo semplicemente, ma anche con i mezzi moderni di comunicazione che io purtroppo non so usare? Chi mi può aiutare a farlo conoscere il più possibile, parola che può raggiungere cuori lontani … . 134


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Adesso voglio brevemente soffermarmi sui discorsi del Papa in questa Pasqua, secondo me impostati teologicamente in modo nuovo … anche se è azzardato dire questo … ci provo. Il Papa ha ribadito con forza il fondamento della nostra fede in tre catechesi: • Cristo è veramente risorto • È Lui che va a cercare gli uomini • Dobbiamo riconoscere che è vivo e vuole risorgere in chi soffre 1. Cristo è veramente risorto Nella S. Messa del giorno di Pasqua, afferma, con una forza davvero unica rispetto al passato, parlando dei problemi che sembrano davvero insolubili e cui sembra non esserci oggi risposta efficace: “non so come va questo, ma sono sicuro che Cristo è risorto e io ho scommesso su questo!” e aggiunge “Fratelli e sorelle questo è quello che ho voluto dirvi. Tornate a casa oggi, ripetendo nel vostro cuore Cristo è risorto” queste parole risuonano in me con la stessa luce e forza di quando per la prima volta a Taizé nel 1973 sentii fr. Roger parlare di Cristo risorto sorgente di festa senza fine! Mi sembra di poter affermare che Papa Francesco stia “lanciando” al mondo in un modo direi forte e nuovo la presenza del Cristo risorto e della sua azione oggi nel mondo e nella vita. 2. È lui che va a cercare gli uomini Il Papa trasmette in profondità la certezza che è il Signore che chiama e cerca l’umanità, attraverso il mistero della sua persona di Risorto e Vivente. Dice: “Il Pastore Risorto va a cercare chi è smarrito nei labirinti della solitudine e dell’emarginazione; va loro incontro mediante fratelli e sorelle che sanno avvicinarsi con tenerezza e rispetto a far sentire a quelle persone la sua voce, una voce mai dimenticata, che le richiama all’amicizia con Dio”. “Il Pastore Risorto si fa compagno di strada di quanti sono costretti a lasciare la propria terra a causa dei conflitti armati, di attacchi terroristici, di carestie, di regimi oppressivi. A questi migranti forzati, Egli fa incontrare dei fratelli sotto ogni cielo, per condividere il pane e la speranza del comune cammino”. Davvero il Papa in questi discorsi pasquali di quest’anno esprime una profonda fede nella presenza del Risorto che, a me sembra di poter dire, mai è stata affermata in modo così esplicito e forte nella luce dello Spirito Santo. 3. Riconoscere la sua Presenza Dobbiamo chiedere sempre più questa grazia, perché più si percepisce e si ascolta nella fede il Signore, più la nostra vita cristiana diventa forte, fedele e feconda. Sentite come il Papa parla del Risorto che appare alle donne al sepolcro: “qualcuno, ancora una volta, venne loro incontro a dire: “Non temete”, però questa volta aggiungendo: “E’ risorto come aveva detto” (Mt 26,6). E tale è l’an135


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nuncio che, di generazione in generazione, questa notte santa ci regala: non temiamo fratelli, è risorto come aveva detto! Quella stessa vita strappata, distrutta, annichilita sulla croce, si è risvegliata e torna a palpitare di nuovo (cfr R. Guardini, Il Signore, Milano 1984, p.501). Il palpitare del Risorto è ciò che ci è stato donato e che ci è chiesto di donare a nostra volta come forza trasformatrice, come fermento di nuova umanità. Con la Risurrezione, Cristo non ha solamente ribaltato la pietra del sepolcro, ma vuole anche far saltare tutte le barriere che ci chiudono nei nostri sterili pessimismi, nei nostri calcolati mondi concettuali che allontanano dalla vita, nelle nostre ossessionate ricerche di sicurezza e nelle smisurate ambizioni capaci di giocare con la dignità altrui … Ed ecco che questa notte ci chiama ad annunciare il palpito del Risorto: Cristo vive! Ed è ciò che cambiò il passo di Maria Maddalena e dell’altra Maria: è ciò che le fa ripartire in fretta e correre a dare la notizia, è ciò che le fa tornare sui loro passi e sui loro sguardi; ritornano in città ad incontrarsi con gli altri. Come con loro siamo entrati nel sepolcro, così con loro vi invito ad andare, a ritornare in città, a tornare sui nostri passi, sui nostri sguardi. Andiamo con loro ad annunciare la notizia, andiamo …. In tutti quei luoghi dove sembra che la morte sia stata l’unica soluzione. Andiamo ad annunciare, a condividere, a rivelare che è vero: il Signore è vivo e vuole risorgere in tanti volti che hanno seppellito la speranza, hanno seppellito i sogni, hanno seppellito la dignità. E se non siamo capaci di lasciare che lo Spirito ci conduca per questa strada, allora non siamo cristiani. Andiamo e lasciamoci sorprendere da quest’alba diversa, lasciamoci sorprendere dalla novità che solo Cristo può dare. Lasciamo che la sua tenerezza e il suo amore muovano i nostri passi, lasciamo che il battito del suo cuore trasformi il nostro debole palpito”. Alla luce di questi discorsi del Papa, dobbiamo veramente “andare” nel nostro cammino personale e comunitario, attenti alla voce dello Spirito che ci guida. Specie in questo unico giorno di festa, come dice la Liturgia che è il tempo tra la Pasqua e la Pentecoste, invochiamo con fede incessante il Risorto perché effonda il suo Spirito, affinché tutto diventi nuovo, nella misura e nelle dimensioni che vuole il Signore! Solo Dio sa qual è la via del mistero del tempo: affidiamoci a Lui con grande fiducia e certezza interiore, senza mai lasciarci disperdere dalle vicende contrastanti della vita che a volte possono offuscare il sentiero da percorrere. La Vergine della Risurrezione ci aiuti con la sua materna presenza ad essere attenti alla voce dello Spirito, affinché il Cristo Risorto sia sempre più la sorgente della festa senza fine. Fraterni saluti e preghiere nel Signore Don Mario 136


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Messina, agosto 2017 35 - Kisima è la casa dello Spirito Santo “In verità vi dico … dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20) Certi della presenza particolare e privilegiata di Gesù, fra poco inizierà la settimana di Pragelato. Luogo e momento privilegiato per la comunità Kisima. È la presenza del Signore viva e vera che guiderà questa settimana. Presenza costante e continua sia nei momenti di preghiera e di incontri, sia in altri più distensivi. Tra i “due o tre riuniti nel mio nome” non ci sono soltanto coloro che concretamente sono presenti a Pragelato, ma estendo l’invito ad essere presenti spiritualmente anche a coloro i quali (come me) non possono essere là quest’anno, cercando di condividere, lì dove siamo, momenti particolari come le lodi mattutine o la Messa del giorno, o il rosario, o una telefonata: in una parola avere la tensione e quella attenzione particolare di condivisione con i fratelli e le sorelle che sono presenti a Pragelato. Così facendo si sentirà certamente vibrare nei nostri cuori un’armonia di intenti, di appartenenza e di comunione alla comunità! È lo Spirito Santo che ci rende uniti. È Lui che ha fondato Kisima, è Lui che l’ha voluto ed è Lui che continua a confortarci, a consolarci e a darci forza nel cammino di fede nel Signore. Sì, lo Spirito Santo è presente in Kisima e abita in Kisima! E se abita in Kisima, mi piace affermare che Kisima è la casa dello Spirito Santo, è la casa di Dio! Il termine “casa” ci riporta ad un luogo e ad una presenza di persone che ci aspettano e che ci vogliono bene. La “casa” è anche il luogo dell’accoglienza, del sentirsi finalmente liberi dopo una giornata di stress, luogo in cui si rientra in se stessi, si riprende fiato, luogo in cui si ha voglia di abbracciare e sentirsi abbracciati dai propri cari. Questa è la settimana di Pragelato: cioè ritornare a casa, ritornare in Kisima, per accogliere l’abbraccio di Dio e dei fratelli e contemporaneamente abbracciare Dio e i fratelli. Ecco Kisima: luogo in cui si è veramente se stessi! Allora in questa settimana non bisogna “apparire” diversi da come siamo, ma “essere” ciò che veramente siamo: persone con le proprie fragilità, con il proprio peccato. Il Signore ci ama così come siamo, nella certezza che con Lui cresceremo nella fede. Apriamo il nostro cuore nei vari momenti della giornata con molta sincerità, perché il Signore vuole la sincerità del cuore. Apriamo il nostro cuore senza la paura di essere giudicati dal fratello o dalla sorella perché solo il Signore è giudice 137


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della nostra vita. Il cuore aperto crea il confronto e il confronto aiuta a crescere. Il cuore chiuso crea distacco e il distacco porta alla divisione. Oh come mi piacerebbe, nelle revisioni di vita pomeridiane e serali, fare quasi a gara a parlare, a confidarsi, a gridare le proprie gioie e non! Sono momenti preziosi che il Signore ci dà e che non vanno sprecati. Preghiamo lo Spirito Santo perché Kisima, la nostra casa dove abita Dio, possa far sentire questo profumo di “casa” anche a coloro che sono vicini a Kisima. Non profumo di santità, ma di amore, di rispetto reciproco, di umiltà, di fede, di gioia per aver capito che solo chi incontra il Signore può cambiare vita. Il resto è tutta illusione!! Prego spesso lo Spirito Santo, e mi emoziono quando prendo coscienza che lo Spirito Santo che riceviamo ogni giorno, lo Spirito Santo che ha fondato la comunità, è lo stesso, identico Spirito Santo che hanno ricevuto gli Apostoli 2000 anni fa. E mi emoziono ancora di più nel constatare che l’incontro, l’esperienza toccante con lo Spirito Santo, cambia veramente la vita di ciascuno di noi, così come è cambiata la vita degli Apostoli e di altri molti santi. Questo non vuol dire che noi di Kisima siamo migliori di molti altri. Assolutamente no! Ma il Signore ci ha scelti e ci ha chiamati per “stare con Lui”, per essere poi portatori di gioia, di vita, di amore del Signore. “poi udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?” e io risposi “Eccomi, Signore, manda me” (Is 6,8) Franco L.

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Agosto 2017 36 - Aperti allo spirito Carissimi, dopo i miei 40 giorni di deserto a Pragelato, vi scrivo qualche riflessione in preparazione alla nostra settimana comunitaria. 1. Aperti allo Spirito Dopo avere ascoltato l’ultima registrazione sullo Spirito Santo di Enzo Bianchi, che spero presto tutti possiate sentire, vi invito tutti a riflettere sul “primato dello Spirito” nella nostra vita comunitaria. Con profondità teologica e spirituale, l’ex Priore di Bose, invita, specie in questo tempo di crisi sociale e umana, a mettere al centro della nostra vita personale, famigliare, comunitaria, la conoscenza, la preghiera e l’esperienza dello Spirito come luce, forza e coraggio nel cammino. È lo Spirito il principio della nostra comunione con Dio e tra di noi. La Comunità è dono incessante dello Spirito! Papa Francesco, parlando alle persone consacrate, sta insistendo su questa verità teologica: “Ogni comunità è fatta nascere, vivere e crescere dallo Spirito che suscita nei cuori questo “primato della comunione”. Ritrovandoci nel nostro raduno annuale, dobbiamo aiutarci a “discernere” come stiamo camminando illuminati da questa certezza: Kisima cammina nella misura in cui siamo aperti alle ispirazioni, ai suggerimenti, alle mozioni interiori e comunitarie che lo Spirito infonde nei cuori e suggerisce per vivere nella volontà del Signore. Dobbiamo vicendevolmente aiutarci a invocare lo Spirito gli uni per gli altri, certi che la preghiera fraterna ottiene quelle luci, quelle forze, quelle grazie che sono indispensabili per una vita fraterna sempre più viva, concreta e profonda. Nelle meditazioni cercheremo insieme di approfondire il “frutto dello Spirito” (Gal 4,22) per un cammino sempre più fecondo di vita nuova nel Signore! 2. Fare memoria del passato Sto rileggendo la storia e le Lettera di Kisima, specialmente le prime e ringrazio Dio per la luce che emanano! Davvero il carisma “iniziale” non ha perso di forza e intensità e mi stupisco, scusate le parole, dell’attualità di quanto è scritto. Ho meditato la Lettera del 4 Febbraio 1980 “Poveri in Spirito” e mi sono chiesto: quale coscienza c’è in me e in tutti noi, di queste parole che davvero indicano una vita e una via, veramente di grande fecondità spirituale? Trascrivo da pag. 27: “… ma allora la nostra povertà è lo Spirito! Siamo poveri quando siamo Spirito Santo! Essere solo Spirito è la pienezza della festa, perché lo Spirito è il frutto dell’Amore massimo: Dio Padre si comunica ed è lo Spirito: Dio Figlio accoglie e comunica ed è lo Spirito. Allora la povertà non è dare via i soldi, vestire poveramente, stare con i poveri, non progettare e non possedere, ma è essere pieni di Spirito Santo”. 139


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“Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,22): e divennero poveri, cioè non più di se stessi, ma di Gesù, pieni di Gesù nella mente, nel cuore, nella vita, … lo seguirono. In questi anni il cammino è sempre stato più bello e fecondo, nella misura in cui siamo risaliti nella ricerca e nel discernimento, agli inizi di Kisima. Dobbiamo aiutarci a farlo anche oggi, perché la sorgente d’acqua fatta sgorgare dal Signore alle nostre origini, è sempre pura e feconda di forza e di energie che possano superare le difficoltà che ostacolano il cammino comunitario. Troviamo del tempo per risalire, per riscoprire il senso profondo di Kisima, la preziosità e la fecondità del tesoro nascosto! La nostra Comunità non è basata su noi stessi, ma sulla certezza che è il Signore che l’ha voluta e la vuole! Spero e prego che tutti noi abbiamo nel cuore questa grazia della identità di Kisima! È il punto più forte del cammino, guai se nei cuori si infiltra il dubbio su questo … facciamo attenzione gli uni per gli altri. Proprio perché siamo stati “riconosciuti” dalla Diocesi, questo ci deve rassicurare, specie quanto ci sono difficoltà interiori, personali o comunitarie. 3. La figura dell’Assistente Spirituale Nelle Comunità Monastiche il priore, come recita la Regola di Taizé, è “il servitore della comunione, il priore cerca di rendere attenti i fratelli a realizzare tutti insieme una parabola di comunione. Non si consideri al di sopra di essi, ma seguendo le opzioni della comunità senza sentirsi legato ad una maggioranza, cerchi di capire in Dio la volontà del suo amore. Se si rende conto che c’è disaccordo su una questione importante, prenda una decisione in via provvisoria, ritornandoci in seguito. Il discernimento, lo spirito di misericordia, una inestinguibile bontà di cuore, sono per lui doni insostituibili”. Ho riportato queste parole perché mi aiutiate a realizzarle e viverle, per quanto mi è possibile, al servizio di tutti voi. Non siamo monaci, ma è davvero assai utile che ci sia una profonda unità con chi il Signore vuole come “servitore della comunione”. Proprio perché laici, ci sono degli ambiti, specie per quanto riguarda la vita di famiglia, in cui il mio apporto non può che essere assai riservato, ma non per questo non è nel mio cuore e nella mia preghiera, perché la vita delle famiglie sia sempre nel Signore. La guida e il coordinamento di una comunità laicale devono avere criteri e spazi che non sono quelli di una comunità religiosa o monastica, ma è necessario richiamare il fatto che per camminare uniti, occorre semplicità di rapporti e tersità di atteggiamenti che favoriscano la reciproca fiducia e affidabilità alle relazioni. C’è un reciproco cammino nella vita di unità, che è frutto di esperienza, di sensibilità, di dialogo interpersonale, ma che è anche legato al mistero personale del cammino spirituale. La regola d’oro del Vangelo è “Portate i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2) è la parola che fa luce nel cammino delle situazioni! L’atteggiamento sempre quello della vigilanza fraterna, dell’apertura di cuore, affinché sempre 140


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nel profondo di noi stessi ci sia spazio per i fratelli e le sorelle della comunità. Nella mia preghiera c’è sempre questa domanda al Signore: “che cosa posso fare per alleviare i pesi dei fratelli e delle sorelle di Kisima?” Vorrei dire a tutti che non c’è peso troppo pesante da portare per noi cristiani, perché tutto è stato trasportato dal Signore nel mistero della Sua Croce d’Amore senza fine! 4. La Festa inesauribile Rileggendo le Lettere, sono arrivato a pag. 133: “Il sogno di Dio: “la Festa”!” Nel 1994 non c’era Papa Francesco con la sua lettera “Evangelii Gaudium”, e rileggere quanto è scritto dà veramente una grande forza spirituale! La domanda è sempre più profonda: la gioia è un hobby per pochi eletti o è per tutti? Oggi, grazie al vento nuovo che soffia nella Chiesa, tutti i teologi affermano che occorre trovare il senso della nostra vita come festa che Dio ci dà e vivere in questa festa, altrimenti la vita davvero diventa invivibile. Veramente Fr. Roger è stato il “profeta della festa di Dio”, Taizé è stato il luogo in cui Dio si è rivelato come il principio della festa senza fine! La festa è la pienezza che Dio ha in se stesso, è il primo desiderio che ha nei confronti dell’umanità: irradiare la sua festa senza fine. Intuire questa “via della Chiesa oggi”, significa ritrovare entusiasmo e forza spirituale per reagire ad ogni forma di chiusura, di pessimismo, o di paura che può bloccare i cuori! Aiutiamoci a fare in Kisima, una vera esperienza di una vittoria su tutto ciò che blocca, ferma, impedisce la festa del cuore. La tentazione da superare è sempre una sola: uscire dal nostro io, per aprirci all’Io di Dio che ci fa uscire dai nostri schemi o progetti e ci indica sempre vie nuove per una vita secondo lo Spirito e non secondo noi stessi. La Vergine Assunta in Cielo ci aiuti, con la Sua intercessione, a vivere la gioia di Kisima che è sempre un dono che Dio oggi ci dà!

Fraterni saluti nel Signore Don Mario

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Agosto 2017 -Messina 37 - Aperti allo spirito (II) Carissimi, riprendo la lettera di Don Mario e leggo: “Ogni comunità è fatta nascere, vivere e crescere dallo Spirito che suscita nei cuori questo “primato della comunione” … Kisima cammina nella misura in cui siamo aperti alle ispirazioni, ai suggerimenti, alle mozioni interiori e comunitarie che lo Spirito infonde nei cuori e suggerisce per vivere nella volontà del Signore. L’incontro di tutti noi a Pragelato è una necessità spirituale ma nel contempo rinvigoriamo il nostro corpo, la mente, la fede. Abbiamo partecipato a tutti gli incontri, con l’aiuto della tecnologia e la volontà di voi fratelli di Kisima, con particolare tensione. Le tematiche trattate sono state interessanti e coerenti con i nostri bisogni. Ringraziamo. Ci hanno permesso di riflettere sulla ns natura umana e conseguentemente sulle ns fragilità personali e comunitarie, psicologiche e spirituali, sui ns bisogni, desideri, sulle ns relazioni. Ci dispiace non aver potuto condividere l’ascolto dei fratelli, cosa che si faceva volentieri tutti gli anni. L’incontro di Pragelato è una Assemblea Plenaria che ha il compito di verificare il percorso compiuto e l’indirizzo per l’anno successivo. Quindi è il momento in cui dichiarare l’appartenenza a Kisima, per un nuovo anno, in modo chiaro, usando anche la tecnologia (sappiamo che email sono utilizzate anche ai fini legali!), che esprima la volontà, il consenso ad aderire al progetto che Dio ha pensato per noi donandoci la comunità. Non basta che altri per me metta una pietra sotto l’altare! Le persone che abbiamo conosciuto a Sestri hanno fatto esplicita richiesta di fa parte di Kisima? La scelta è sempre personale! Ma, per tutte le cose precisate da Marina e Daniele con la loro relazione, tale scelta non può essere solo individuale se si è coniugati, cioè uniti ad un’altra persona. La non condivisione e il consenso apparente di chi non condivide nella coppia la scelta sono uno di quei motivi di dissapori e disquilibrio nella coppia. Vorrei condividere con voi la “preoccupazione” di un’anziana (sia per età che per numero di anni in Kisima e da acquisita, come mi sono sempre definita non avendo vissuto i primi anni di condivisione) di evitare ai fratelli che Dio vorrà mandarci gli ingrippi mentali che noi spesso viviamo. La regola è uno strumento prezioso, in continua dinamicità, per non fare mancare a nessuno la possibilità di usare un dono dato per la ns salvezza spirituale e umana. Alla fine degli anni ’70 il contesto sociale e storico si caratterizzava per il mondo giovanile in fermento, non solo per le idee, ma anche per le risorse umane che rappresentavano. Le Comunità di Base andavano di pari passo con le Comuni. La condivisione di idee andava di pari passo con la condivisione della vita nella coerenza con le idee. 142


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Oggi, in un mondo individualista, condividere, stare insieme fisicamente è una follia! Mettere insieme le cose, materiali ed emotive, è assurdo! La felicità è solo momentanea, consumata in poco tempo. Don Mario invece non fa che esortarci a credere in una Felicità Eterna, ad una Gioia senza fine che viene da un Dio Felice che ci vuole felici. A credere al Vangelo, a un Gesù che usa un linguaggio che non appartiene più a queste generazioni. I ragazzi non capiscono più le parabole perché non comprendono il linguaggio semplice del mondo contadino. Hanno la tecnologia di internet, un linguaggio simbolico molto lontano dalla terra. Allora la Casalpina non può andare in pensione come noi anziani! Quelle settimane sono preziose per i ragazzi di oggi come lo sono state per quelli di ieri. Perché non si chiede al Vescovo di “affidarla” a Kisima? …. Un altro punto che vorrei riprendere dalla relazione sia di Alessandra e Domenico sia di Marina e Daniele è l’aiuto da dare ai fratelli di comunità. Il peso diventa più leggero. Persino Gesù si è fatto aiutare a portare la croce dal Cireneo! Non è stato Gesù a chiederlo, è stato un soldato a ordinarglielo! Capisco meglio ora che il Vangelo è per i violenti… cioè per coloro che fanno violenza a se stessi per cambiare in meglio. Bisogna violare il loro dolore, la chiusura che si procurano. Dobbiamo ricordarci che nel Vangelo è descritta la modalità di come avviene la correzione fraterna e quindi essere coscienti che il fratello che “rimprovera”, che “mette i paletti” lo fa per darci una mano a “ri-convertirici” sulla vita personale e spirituale. Molti di voi non saranno d’accordo ma rivedo storie di noi in cui l’attesa è stata la soluzione! Quante cose non fatte (omissioni), non realizzate (azioni), quanti abbracci persi, quante lacrime versate da tutti! Da chi doveva portare il peso e da chi doveva far finta di nulla! Non credo che questo abbia fatto bene alla Comunità. Vorrei regalare a chi vuole entrare in Kisima una comunità più sicura (attaccamento sicuro - Bowlby?), in cui non si ha paura di soffrire e di portare gli uni i pesi degli altri; … per noi il tempo è prezioso oggi, testimoni di una fede condivisa con altri cristiani che credono in Gesù vero Dio e vero Uomo, risorto per farci felici per sempre, perché c’è Qualcuno che ci vuole bene qui ed ora attraverso dei fratelli che ci ha messo vicini. Vi voglio bene Franca

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Ottobre 2017 – Taizé 38 - Kisima è nata a Taizé Carissimi, vi scrivo da Taizé, qui dove è nata Kisima! È sempre una grande gioia ed emozione essere qui, sorgente del nostro cammino. Scrivo alcune impressioni e pensieri immediati, così come sono dentro al mio cuore; procedo per punti: 1. Sconvolgente Ho saputo, e mi sono veramente stupito, che il Parroco di Taizé è responsabile di 16 parrocchie, un ex missionario del Congo! Inoltre, e questo ancor più mi ha sorpreso, tra i monaci – che sono qui in 90 – uno solo è sacerdote, fr. Marc, ed è veramente super-impegnato. Già i ragazzi erano stupiti che fra i monaci con cui parlavano non c’era un confessore, ma pensavo fosse una questione di lingua, invece no: un solo prete e mi sono chiesto perché. Capisco perché il Papa in questo mese missionario di ottobre ha invitato tutta la Chiesa a pregare per ottenere il dono di nuove vocazioni missionarie! 2. Tutti molto contenti! Eravamo in 48 ragazzi e ragazze e sono stati tutti veramente molto contenti, tanto che abbiamo stabilito che torneremo il 21/25 aprile del prossimo anno, a Dio piacendo… È la grazia di questa comunità per i giovani che assumono qui il dono di una presenza del Signore, testimoniata da questi monaci che esprimono il mistero della gratuità dell’amore di Dio che tutto dona e tutti accoglie. Stando con loro, ascoltandoli, confessandoli, mi rendo sempre più conto di quanto è urgente che noi adulti stiamo accanto a questa generazione, che esprime un grande smarrimento umano e spirituale, immersi in una società frenetica e confusa, che crea in loro dei veri vuoti di senso e di significati profondi della vita. Sono assetati di certezze, ma chi li aiuta concretamente nel cammino della vita? 3. Un libro-luce Ho letto un libro: “Taizé. Richiamati alla fiducia” (sottotitolo: “Meditare la Bibbia nel silenzio e nello scambio”) ed LDC. Sono 60 meditazioni bibliche, preparate dai monaci, un vero cammino spirituale che potrebbe essere molto utile, specie per le nostre fraternità o in famiglia. Sto pensando di proporlo per 8 venerdì sera prima di Natale ad un gruppo di persone che vogliano approfondire la vita cristiana secondo queste tracce, davvero frutto di vita comunitaria. Dobbiamo aiutarci ad essere sempre più uniti nel vivere la Parola, perché solo 144


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così può crescere la luce nel cuore, e così essere luce per tante persone che sono davvero smarrite e attendono qualcuno che dia loro la forza di sperare. 4. I genitori Ho chiesto se possiamo organizzare un viaggio per i genitori dei ragazzi che stanno andando a Taizé e mi hanno risposto che si può fare. Per aiutarli a vivere lo spirito di Taizé, li inviteremo al secondo martedì di ogni mese, a partecipare alla preghiera in cappella. Sapete che su questo punto ho un po’ di rimorsi per il passato, perché mi chiedo se non potevo, qui a San Secondo, aiutare di più i genitori… ma indietro non si torna e occorre fare oggi… vedremo! A Taizé, parlando con i giovani che non frequentano i gruppi giovanili, mi sono reso ancor più conto di quanto i genitori devono essere sostenuti nell’educazione dei figli, perché è davvero difficile essere all’altezza di questo compito, specie quando si ha poco tempo a causa di ritmi di lavoro davvero assai faticosi. C’è veramente il rischio che anche in famiglia non ci sia più una vera spinta al bene, una profonda educazione della coscienza, un aiutarsi a sviluppare doti e qualità e a realizzare quei doni che ognuno ha in sé ma che sovente sono sepolti nel cuore, troppe volte abbandonato a se stesso. Positivamente ho potuto constatare che molti dei giovani incontrati sono venuti a Taizé perché i loro genitori da giovani erano stati qui e li hanno invitati a fare questa esperienza. 5. Fare conoscere Taizé Anche quest’anno mi è stato fatto notare che gli italiani che vengono ogni anno a Taizé sono sempre di meno, contrariamente ai decenni passati. Come parrocchia, come Kisima, dobbiamo sentire la responsabilità di far conoscere Taizé, perché davvero questa esperienza è un vero dono di Dio. Ho chiesto se il Papa andrà a Taizé, ma non mi hanno risposto: speriamo che questo possa avvenire, perché è impressionante sentire i nostri giovani con quanta intensità di cuore parlano di Taizé e vogliono ritornare, perché dicono che qui ritrovano se stessi, a contatto con tanti giovani come loro, che stanno cercando un senso profondo alla vita. Dobbiamo pregare perché il Signore ci aiuti su questa strada di evangelizzazione aperta e possibile a tutti. Questo è il miracolo di Taizé: tutti possono andare, anche chi è lontano da sé e dal Signore, perché si sentono accolti dentro. Sto pensando se scrivere una lettera di ringraziamento a fr. Aloïs, anche per ribadire questo invito, affinché Papa Francesco possa, con la sua presenza, suscitare una nuova attenzione, specie nel clero, per questa Comunità che davvero si sacrifica tanto per i giovani e per il loro futuro. 6. La gratuità dell’amore di Dio È l’aspetto spirituale più sottolineato nei vari incontri. Evidentemente i frères sanno che la solitudine che regna oggi nei cuori è davvero grave e devastante, 145


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per cui cercano di aiutare i giovani a scoprire Dio che ci ama gratuitamente, sempre e tutti, nel mistero di una donazione senza fine. Viviamo perché amati dal Padre; dobbiamo essere in festa perché figli di Dio; la comunione con Dio è il senso della vita. Insistono sul fatto che “la vita è il primo dono di Dio per ciascuno, il primo segno che Dio ci ama, che nessuno è escluso da questo amore senza fine”. Questo primato dell’amore vissuto, trasmesso, pregato nei canti, insegnato negli incontri, è straordinariamente fonte di speranza! “Se sono amato così come sono, ho la speranza di ritrovare me stesso e il senso primo della vita” “Vivere è accogliere un amore senza fine, che non si stanca mai di amarmi”. Mi chiedevo: ma come è possibile nel nostro quotidiano, nel cammino feriale, vivere più in profondità l’amore gratuito di Dio? Scrivo questa preghiera di fr. Roger: “Dio di ogni amore, abbiamo sete di ascoltarti quando in noi risuona il tuo appello: Alzati, che la tua anima viva. Mai vorremmo scegliere l’oscurità e lo scoraggiamento, bensì accogliere il chiarore della lode”. “Dio di ogni amore”, “Dio di un amore eterno”, “Dio di un amore universale” … come non gioire di speranza al sentire questa presenza a Taizé di una comunità che vive avvolta in questo amore e che lo trasmette in una donazione senza fine? 7. Testimoni Durante le preghiere osservavo i monaci più anziani, da più di 50 anni in preghiera con e per i giovani: lì perché chiamati dal Signore ad essere testimoni silenziosi ma grandi, per i giovani che da tutto il mondo, incessantemente dal 1959, vanno sulla collina, in cerca di luce e di speranza. Ho ringraziato il Signore che lì siamo nati, che abbiamo cercato di non smarrire la strada che loro ci hanno indicato: “preghiera – lavoro – accoglienza” in una semplicità di ricerca incessante dell’essenziale, che è vivere la fede, nella fraterna comunione, in un continuo ricominciare ogni giorno. Quando al mattino risuona l’Alleluia dell’annuncio del Cristo Risorto, sembra che anche il cuore riparta, ricominci a credere, a sperare, ad amare, perché la grazia di Dio dà luce e forza anche alle stanchezze più profonde. Nulla può fermare la forza e la grazia del Cristo Risorto che fa risorgere! 8. Un amore sempre più grande Riporto questa meditazione biblica, a pag. 22 del libro citato, che mi ha fatto molto riflettere sul mistero della presenza di Dio. Mi sembra veramente “unica”: Sono io forse Dio solo da vicino – dice il Signore – e non anche Dio da lontano? Può forse nascondersi un uomo nei nascondigli senza che io lo veda? Non riempio io il cielo e la terra? Parola del Signore (Geremia 23, 23-24) 146


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“Un Dio da vicino”: questa espressione riassume l’esperienza fatta da Israele della tenerezza di Dio. Egli veglia sul suo popolo, “lo circonda, lo alleva, lo custodisce come pupilla del suo occhio” (Deuteronomio 32, 10). Ma il popolo di Dio ha fatto anche l’esperienza di un “Dio da lontano”, e Geremia se ne lamenta: “Perché vuoi essere come un forestiero nel paese?” (Geremia 14,8). È come se Dio non intervenisse più, non facesse più sentire la sua presenza, lasciando che Gerusalemme e il suo Tempio vadano in rovina. “Invoco e non rispondi” (Salmo 21-22, 3): i credenti stessi devono vivere come se Dio non ci fosse. In quell’epoca certi profeti, preoccupati di mantenere alto il morale del popolo, continuavano a fare promesse in nome di Dio, ma in realtà le inventavano. Si credevano obbligati a riempire un vuoto creatosi con l’assenza di un’esperienza sensibile di Dio. Anche Geremia soffre del silenzio di Dio, ma non vuole fingere e accetta di vivere con le sue domande. Un giorno riceve una risposta: Dio non è solo “un Dio vicino”, ma anche “un Dio lontano”. Non è solamente presente in un’esperienza di pienezza, ma anche nel vuoto di un’attesa. Non è necessario riempire il baratro che provoca l’impressione della sua lontananza poiché da sempre Dio “riempie il cielo e la terra”. L’esperienza di un Dio lontano ha introdotto Geremia in una conoscenza più profonda del suo amore: “Da lontano mi è apparso il Signore: ti ho amato di amore eterno” (Geremia 31, 3). Se Dio si sottrae alla nostra esperienza umana è per farci scoprire un amore che va oltre a ciò che possiamo immaginare. Se si “nasconde come un cervo” (San Giovanni della Croce) e ci appare lontano, è per invitarci ad andare a nostra volta lontano, molto lontano sul cammino del Vangelo. • Come reagire quando Dio mi sembra lontano o persino assente? • A quali esperienze della mia vita di fede corrispondono le espressioni “Dio da vicino” e “Dio da lontano”? • Che cosa fa crescere il nostro amore per Dio? “Gesù, amore di ogni amore, tu eri sempre in me e lo dimenticavo. Tu eri nel cuore del mio cuore e io ti cercavo altrove. Quando stavo lontano da te, tu mi attendevi. Ed ora oso dirti: Cristo, tu sei la mia vita” fr. Roger Affidiamo all’intercessione della Madonna del Rosario il nostro cammino di Kisima. Lei ci aiuti a cercare ogni giorno, in un’unità sincera di cuori, il Signore, che ci ama sempre più di quanto noi pensiamo! Fraterni saluti nel Signore Don Mario

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Novembre 2017 39 - Risposta ad una chiamata Carissimi, in vista del rinnovo della nostra promessa di adesione a Kisima, che avverrà nell’incontro di gennaio a Sestri Levante, vorrei condividere con voi alcune riflessioni. 1. KISIMA: accogliere l’Amore di Dio L’amore del Signore ci ha generati nel 1973 a Taizé e ci guida nel cammino verso il futuro. È essenziale, per tutti noi, prendere sempre più coscienza che è Lui che ci dà la vita, ci crea, ci chiama e ci ama. Il Suo Amore Eterno, Infinito, Universale, Misericordioso, Beatificante, ci precede sempre: Lui ci ama per primo! Come scrivevo nelle due lettere su questo tema “Kisima non è nostra” Marzo 1996, e “Il dono della Comunità” Pasqua 2008, è essenziale mai dimenticare la verità e la certezza che Kisima è del Signore e noi dobbiamo sempre più essere in Lui e a Lui affidarci. Kisima è una proposta che Gesù ci fa ad accogliere insieme la Sua Presenza, la Sua Grazia, per percorrere il cammino che è in Lui prima che in noi! Se cresce la certezza di questa chiamata ad un cammino di Fede vissuto insieme e il desiderio profondo e sincero di rispondere al Suo SI nei nostri confronti, la nostra comunione fraterna sarà vissuta come una grazia, una luce che il Signore ogni giorno ci dona! Aiutiamoci in questa riscoperta del primato di Dio nella nostra vita comunitaria, cerchiamo di vivere in Dio il cammino, certi che Lui apre i nostri cuori alla generosità e alla speranza. 2. Invito alla riflessione La chiamata del Signore a Kisima è una chiamata personale. Dio si rivolge sempre personalmente a ciascuno: prima di essere comunità, siamo persona. È il punto più difficile nella vita. Non è facile fermarsi e chiedersi, con semplicità e profondità:” Signore che cosa vuoi da me?”. Nessuno può rispondere per me a questa domanda che è dentro di me. Dio ci chiama uno per uno. Il Vangelo ci ricorda che quando Gesù ha chiamato i dodici, li ha chiamati personalmente e i loro nomi sono scritti per sempre: “Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello, Giacomo, Giovanni…” (Lc 6,13). La Fede, la vita cristiana, la vita comunitaria è sempre un incontro personale con il Signore che ci chiama a seguirlo nella festa del cuore. 148


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Specie oggi, in una società sempre più spersonalizzata e fluida, si esige da parte dei cristiani una scelta più profonda tra il nostro io e il TU del Signore, che ci chiama a vivere in Lui, con Lui e per Lui. Il Cristo Risorto ci fa risorgere oggi, nella mente, nel cuore, nelle energie, nella vita, affinché noi possiamo essere tralci uniti a Lui nostra vite, nostra vita: una vita veramente matura, bella, realizzante e totalizzante, il nostro essere personale, la nostra identità. “Ispira Signore, i miei pensieri” deve essere la quotidiana preghiera, affinché la luce del Signore possa illuminare i nostri passi. Molti oggi, ed è davvero una grazia dello Spirito, stanno ri-sentendo, ri-scoprendo l’esigenza del silenzio, dell’ascolto interiore dello Spirito che ci abita, per poter lasciare che la luce della Fede, la sua Parola, parli e ravvivi il cuore. Riscoprire la gioia di pensare, di meditare, di capire più personalmente, è davvero un dono dalle ricchezze incalcolabili, perché la luce di Dio è sempre più grande di quanto noi possiamo immaginare. Prima, dunque, di dire SI a Kisima, di rinnovare la nostra promessa personale, cerchiamo di metterci in questo stato interiore di ascolto del Signore che ci indica la via. 3. Il dono di nuovi fratelli Il Signore sta per farci, in Kisima, il dono di altri fratelli e sorelle. Per una Comunità non c’è dono più grande, perché questo è certamente la volontà del Signore. Nella vita non c’è certezza più profonda di quella fondata sulla volontà di Dio. Quanto ha ragione Dante quando dice: “In tua voluntade è nostra pace!” È una grande gioia e una grande responsabilità, perché dobbiamo allargare il cuore e accoglierli come dono che il Signore ci dà, affinché insieme ci “custodiamo nel Signore”! Questo momento deve spronarci a scoprire in noi tutte le capacità e i doni che il Signore ha seminato in noi, per donarli anche a loro che vengono a camminare con noi uniti dal mistero di questa chiamata alla vita di Kisima. Dobbiamo fare uno sforzo per trasmettere loro, il più possibile, tutti i tesori di vita, di esperienza, di luce e di grazia che il Signore ci ha donato in questi anni. Come due giovani sposini, quando nasce un figlio, risvegliano tutte le loro forze ed energie per dare a lui il massimo, così noi quando nuovi fratelli e sorelle vengono a vivere con noi, dobbiamo con sincerità di cuore trasmettere, il più possibile, quanto il Signore ci ha donato in questi anni di gioia e di vita fraterna! Guai se non cerchiamo di comunicare i doni e le grazie che il Signore ci ha dato, guai se non ci chiediamo: come posso aiutarli ad assaporare la gioia della Fede, della Fraternità e della Festa che noi abbiamo esperimentato nel cammino? Lasciatemi dire con estrema franchezza ciò che penso: è molto più facile dare agli altri le nostre fatiche, le nostre difficoltà, le nostre incertezze, paure o peccati, che testimoniare che non c’è nulla di più grande e di più bello nella vita, di una vita 149


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vissuta cercando di amarci nel Signore e per il Signore! Facciamo attenzione a questa sottile tentazione demoniaca, di sottolineare sempre e solo la difficoltà nel cammino cristiano, quasi a dire che la vita è fatta più di croci che di Risurrezione e di festa senza fine! Ogni giorno dobbiamo con tutte le nostre forze cercare di vivere la parola – luce di Taizé: “Cristo è Risorto per fare della vita una festa senza fine” (S. Atanasio). E dobbiamo con forza ed energia dire a questi nostri nuovi fratelli che noi siamo insieme, vogliamo cercare di esserlo, per vivere, testimoniare e irradiare questo mistero della Risurrezione del Signore! Ha detto in questi giorni il Papa: “Dove c’è Gesù, c’è la misericordia e la felicità, senza di Lui c’è freddo e la tenebra”. E fa dire al Signore “Io non sono la morte ma sono la Risurrezione e la vita, credi tu questo?” Vorrei che in profondità noi accogliessimo questo invito alla vita e alla positività, perché altrimenti lo spirito negativo, blocca i cuori e impedisce alla sorgente che è Kisima di sgorgare. 4. Un SÍ cosciente e riconoscente Attraverso alla riflessione, alla meditazione, certamente diremo un SI cosciente e riconoscente al Signore che ci chiama a rinnovare la nostra adesione al cammino di Kisima. Quando sta per arrivare la primavera, tutto si risveglia, riprendere forza e vita: rinnovare il SI significa essere veramente convinti che è una grazia camminare uniti nel Signore! Lo so che anche noi abbiamo dentro sempre, latente più o meno, la domanda: “ma ci riuscirò ad essere fedele alla Regola e a camminare nell’unità?” Ricordo come risposta, sempre ciò che insegnano a Taizé: Dio dà ciò che chiede. La grazia precede sempre la collaborazione umana! Se il Signore ti chiede di camminare in Kisima, ti darà certamente la grazia di farlo con grande entusiasmo e luce interiore. In questi due mesi, cerchiamo, sorretti anche dal Tempo Liturgico che stiamo vivendo, tempo di speranza e di Festa senza fine che Dio vuole donare, di prepararci a questo SI chiedendo allo Spirito la grazia di vivere la grande Parola dell’Apocalisse: “Io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5) Lo Spirito ci dia questo cuore nuovo, una nuova capacità di amarci e di amare, affinché si realizzi sempre più, attraverso alla nostra adesione e collaborazione, il disegno che il Signore ha su Kisima. Se qualcuno ha delle difficoltà circa la sua adesione in Kisima, venga a parlarmi o ne parli con i responsabili o con qualche fratello o sorella della Comunità. Mi auguro che tutti possiate essere fisicamente presenti alla S. Messa del SI che verrà celebrata nel giorno dell’Epifania alle ore 11, nella Cappella dell’Opera Madonnina del Grappa, a Sestri Levante. Dobbiamo solennizzare al massimo, come fanno tutte le Comunità, il mo150


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mento festoso e grande del rinnovo della Promessa Annuale della nostra vita in Kisima. La Vergine che anche Lei, prima di dire SÍ, ha chiesto chiarimenti all’Arcangelo Gabriele, ci aiuti nella scelta. Ci illumini, per comprendere sempre meglio ciò che Lei fa per noi e quanto noi, Kisima, siamo per Lei. La Sua incessante Presenza sia per noi sorgente di grande fiducia e pace! Fraterni saluti nel Signore Don Mario

P.S. – Chi per motivi validi, non può essere presente alla S. Messa del SI, ne parli personalmente con me.

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Natale 2017 40 - Il decalogo di Papa Francesco Carissimi, ho pensato di scrivervi anche per esprimervi i più santi auguri di Natale, in vista delle nostre promesse dell’Epifania a Sestri Levante. Avremo la gioia grande di accogliere nella nostra piccola comunità i nuovi fratelli e sorelle che il Signore ci dona: Christian e sua moglie Elisabetta, Laura e Roberta. Per loro è il momento del SI al Signore che li chiama a camminare con noi, e per noi è il momento del SI ad aprire il nostro cuore perché siano davvero con noi “un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32). Vorrei sottolineare a questo riguardo due aspetti che mi sembrano centrali: 1. Il Signore che ci chiama Mai dobbiamo dimenticare questo primato della vocazione che parte sempre da Lui, che continua a chiamare alla vita cristiana. “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16) La chiamata del Signore è permanente, è oggi: l’oggi di Dio, direbbero a Taizé. Gesù mi chiama oggi a essere con lui, a stare nel suo cuore, attingendo nella sua presenza la luce, la forza, la gioia del mio essere cristiano con i fratelli e sorelle nella Chiesa. Gesù chiama perché mi ama, ci ama, spinto dal suo amore senza fine che vuole partecipare a noi, affinché la nostra vita sia davvero nella festa di Dio. In questi mesi di preparazione abbiamo sperimentato quanto è vera questa certezza: il Signore ci ama sempre per primo, ci ama primariamente! Lodiamolo per questi doni e per queste grazie che fa alla nostra Kisima e aiutiamoci a capire sempre più quanto siamo fortunati, perché chiamati e amati dal Signore. 2. Un cammino tracciato: la nostra Regola Come camminare in Kisima? Questa è la domanda che abbiamo cercato di comprendere insieme. Davvero è necessario capire che la Regola esprime per noi la volontà del Signore, che attraverso ad essa ci aiuta a vivere con Lui. La nostra vita dipende dalla realizzazione della volontà di Dio su di noi. Dobbiamo ogni giorno cercare di conoscere che cosa il Signore desidera, ed è certo che la Regola è un dono per vivere in essa con la certezza che è il Signore che ha dato a Kisima la traccia per il cammino. Personalmente trovo un grande giovamento quando la rileggo e mi riprometto di farlo ancor più, perché è come una luce che rischiara la coscienza e mi aiuta a capire il senso della vita e della mia azione. Lasciarsi guidare dal Signore è il senso primo della nostra vita di fede. la Regola 152


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è certamente questo dono che Lui dà perché il nostro cammino sia sempre nella luce del suo amore che vuole stare in noi e con noi. Ritengo che dobbiamo pregare intensamente perché la Regola sia vissuta davvero come grazia, come dono, come luce di libertà e di liberazione e non come peso o limite al nostri io, che fa sempre fatica ad accettare il mistero di Dio. Lasciarsi condurre, lasciar fare al Signore, seguire il Signore: è davvero l’avventura di una vita, illuminata dalla certezza che Lui vuole la pienezza della nostra vita, la divinizzazione del nostro essere. 3. Il decalogo di Papa Francesco Vi allego questo decalogo che ha scritto Giuliano Vigini nel suo libro “Papa Francesco” ed. Paoline. L’autore è uno dei più fecondi in questi tempi e ha saputo in questo decalogo riassumere e indicare la via che la Chiesa oggi deve seguire, secondo l’insegnamento di papa Francesco. Se riuscite a leggerlo prima del nostro incontro a Sestri, lo commenteremo insieme, perché ci sono molti punti convergenti con la nostra Regola e ci dà veramente serenità nel nostro essere cristiani oggi. Vorrei riassumerlo in questa semplice affermazione: “Intensità essenziale o essenzialità intensa”. Nella babele moderna della cultura e della vita, noi cristiani è necessario che stiamo – e ci aiutiamo a essere e vivere – nell’essenziale, perché altrimenti la nostra vita diventa un caos confuso. Cercare l’essenziale continuamente è la chiave per vivere veramente bene oggi, in una società in cui tutto è secondario… ciò che conta è il conformismo esistenziale di massa… ! L’essenziale, dice il Papa, è “l’incontro con l’amore di Dio”. Quanto è vero questo, quanto è giusto, necessario, sempre di più! Senza la certezza e la pienezza dell’amore non si va da nessuna parte che sia bella, buona, beata, ma tutto è davvero nelle tenebre dell’incertezza e delle paure che bloccano la vita. Solo l’amore del Signore è luce, forza, speranza che sorregge il cammino, specie quando si fa difficile o oscuro per mille motivi. L’essenziale è aiutarci a vivere nella certezza che è il Signore che opera, è Lui che trasforma, è Lui che salva la vita dell’uomo. In questi anni di vita in Kisima abbiamo cercato di essere fedeli al Vangelo, ma siamo coscienti che la fedeltà non dipende tanto dai nostri sforzi, più o meno tenaci, ma dalla grazia proveniente dal Signore che continuamente ci cerca, ci sostiene, ci dona la sua presenza di comunione e di speranza. Leggendo gli altri punti del decalogo, troviamo molta luce e speranza. Il Signore guida la sua Chiesa nel cammino dei secoli. Chiediamo sempre la grazia di vivere in comunione universale con i cristiani che nel mondo sono segni visibili della Festa senza fine che è il Signore! In questi mesi ho incontrato parecchie persone che stanno sperimentando la necessità di una semplificazione nella fede e nella vita, e sperimentano quanto è bello essere cristiani. La gioia del Natale del Signore, che viene a donare se 153


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stesso per la nostra pienezza di vita, per partecipare a noi il mistero della sua vita divina, del suo essere non solo nel tempo ma nell’eternità della festa di Dio, sia grande nei nostri cuori! Preghiamo la Vergine di Betlemme: Lei che più di tutti ha avuto la grazia di comprendere la grandezza e la sublimità di Gesù ci aiuti a essere sempre più lieti nel Signore e a irradiare la gioia senza fine del Vangelo. Fraterni auguri a tutti Buon Natale Don Mario

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Il decalogo di Papa Francesco Al termine del primo anno di pontificato, si possono sinteticamente raccogliere in dieci punti le parole-guida del magistero di papa Francesco. In ciascuno di questi punti si coglie un aspetto del modo di «essere Chiesa» che papa Francesco vorrebbe, per ridare slancio, purezza e vigore alla testimonianza del Vangelo, in questo secondo millennio dove aumentano nel mondo le sfide e i problemi, che la Chiesa vuol affrontare con apertura e audacia nuova. 1. Cercare l’essenziale. L’essenziale è ciò che costituisce il nucleo fondamentale delle cose, sfrondato di tutto ciò che è secondario o addirittura inutile orpello o che, nel corso del tempo, è risultato superato. Per i cristiani l’essenziale è l’incontro con l’amore di Dio: l’amore che bisogna continuamente cercare e tradurre nell’esperienza, nella testimonianza e nell’annuncio, facendo conoscere e incontrare Cristo nell’oggi dell’uomo[1]. L’essenziale è anche la semplicità evangelica con cui si porta Cristo agli altri, avendo soprattutto la consapevolezza che non siamo noi ad agire, ma che «è Lui che opera, è Lui che trasforma, è Lui che salva la vita dell’uomo»[2]. L’essenziale è tutto ciò che resta dopo che ci si è spogliati di sé, delle proprie ambizioni o mire personali, ossia liberati di quello spirito del mondo che allontana dalla purezza della propria chiamata e della propria missione. Essere consapevoli di tutto questo è aver capito ciò che conta per essere fedeli al Vangelo. 2. Imparare il discernimento. Discernimento è una parola-chiave nella formazione e nella spiritualità gesuitica. Anche papa Francesco la usa spesso, per indicare il lavorio interiore attraverso il quale si impara a distinguere e a valutare, tra i tanti possibili atteggiamenti umani, quelli che provengono dallo Spirito, per essere illuminati sulle decisioni idonee da prendere per progredire nella vita spirituale e per camminare bene nella vita. «Il discernimento non è cieco, né improvvisato: si realizza sulla base di criteri etici e spirituali, implica l’interrogarsi su ciò che è buono, il riferimento ai valori propri di una visione dell’uomo e del mondo, una visione della persona in tutte le sue dimensioni, soprattutto in quella spirituale, trascendente [...]. Fare discernimento significa non fuggire, ma leggere seriamente, senza pregiudizi, la realtà»[3]. 3. Camminare. È uno dei verbi più frequenti nel lessico di papa Francesco, e questo perché in esso egli intravede l’immagine stessa della Chiesa, che nel ministero della strada riconosce la propria autentica missione. Camminare vuol dire non aspettare, ma rendersi disponibili e accoglienti nell’andare incontro; vuol dire essere presenti e rimanere in mezzo al popolo: «Pastori con l’odore delle pecore», per usare la sua felice immagine[4]. Vuol dire non avere paura della strada, delle sue difficoltà e dei suoi ostacoli; anzi, essere sempre coraggiosi e creativi 155


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nel rinnovarsi, nell’impegnarsi e nell’osare di più, perché si sa dove si va e chi ci accompagna lungo il cammino. 4. Fare comunità. La Chiesa non è una casa dove ciascuno si muove per proprio conto, senza preoccuparsi di ascoltare, dialogare, confrontarsi con gli altri che vi abitano. La Chiesa vive come famiglia dei figli di Dio nella misura in cui ogni membro che la costituisce, al di là di ruoli e responsabilità, contribuisce a farla crescere come comunità d’amore e di servizio, collaborando e sostenendo le fatiche e le gioie di tutti. Così il Papa incontra, interviene e risponde, sollecitando vescovi, sacerdoti e tutto il popolo di Dio a camminare insieme a lui nella stessa direzione. Cioè a essere uniti e solleciti tra tutti, a condividere e darsi reciprocamente la mano, per essere tutti spiritualmente più pronti e generosi nel servire Dio e l’uomo. 5. Vivere in frontiera. Siccome la fede cristiana «non è una fede-laboratorio, ma una fede-cammino, una fede storica», né è «un compendio di verità astratte»[5], bensì un’esperienza di vita, questa fede non è vissuta nel chiuso di una stanza, stando comodi a tavolino, ma viene sperimentata sul campo, in mezzo alla gente, nelle loro realtà e prove quotidiane. Questa fede che esce e cammina si allontana dal centro di ogni potere e procede, povera ma ricca della carità di Cristo che la sorregge e la spinge, verso le frontiere e le periferie dell’esistenza. 6. Usare misericordia. Già si è visto che il Vangelo di papa Francesco è, prima di tutto, il Vangelo della misericordia. Questo comporta che tutti, a cominciare dai sacerdoti, guardino di più alle persone, facendo loro sentire che nella casa del Padre non conta ciò che si è fatto, ma quello che si vuol fare oggi con il cuore pentito per vivere nello spirito del Signore. 7. Accendere il cuore. Non basta enunciare dei princìpi o formulare dei programmi, se poi non si arriva a dare calore al cuore della gente[6]. Per questo papa Francesco ricorda che prioritariamente «c’è bisogno di saper indicare e portare Cristo, condividendo queste gioie e speranze, come Maria che ha portato Cristo al cuore dell’uomo; c’è bisogno di saper entrare nella nebbia dell’indifferenza senza perdersi; c’è bisogno di scendere anche nella notte più buia senza essere invasi dal buio e smarrirsi; c’è bisogno di ascoltare le illusioni di tanti, senza lasciarsi sedurre; c’è bisogno di accogliere le delusioni, senza cadere nell’amarezza; di toccare la disintegrazione altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità (cfr. Discorso all’episcopato del Brasile, 27 luglio 2013, 4). Questo è il cammino. Questa è la sfida»[7]. 8. Seminare speranza. Per costruire il futuro, non basta l’ottimismo: ci vuole la speranza. Non, però, una speranza ingannatrice, come spesso accade nelle fug156


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gevoli promesse umane dei «tanti parolai che promettono illusioni»[8], ma la grande e durevole speranza di Cristo: quella che il Papa ha ripetutamente detto a tutti, ma specialmente ai giovani, di «non lasciarsi rubare». Ma non è solo una speranza che si riceve; è anche una speranza che va donata, attraverso gesti concreti di fraternità e solidarietà[9]. Per questo i cristiani, lungi dal farsi abbattere o lasciarsi coinvolgere in una visione pessimistica della realtà e della storia, continuano ad arare il campo per seminare nel mondo questa speranza che illumina il presente e il futuro. 9. Costruire ponti. Dal Papa ai vescovi ai cristiani, l’imperativo comune è quello di costruire tra gli uomini ponti di dialogo e di pace. Questo vuol dire innanzitutto «abbassare le difese e aprire le porte»[10], creare spazi reali di incontro e confronto sul piano religioso, etico e sociale, in uno spirito autentico di fraternità per il quale nessuno è nemico o avversario o concorrente, ma interlocutore con cui si confrontano ragioni e vie comuni per la ricerca della verità, il perseguimento della dignità di ogni persona, l’edificazione di una società a misura d’uomo, fondata sul rispetto reciproco, il senso della giustizia, il vincolo della solidarietà, l’obiettivo del bene comune. 10. Pregare. Tutto quello che si fa come strumenti nelle mani di Dio è possibile se si è uomini di preghiera. L’azione feconda nasce dalla luce e dalla forza che si riceve ascoltando, invocando, lodando il Signore, e imparando da Gesù stesso come si prega e come si vive pregando. In modo semplice, confidenziale, perseverante, abbandonati con fiducia a Lui che «non si dimentica»[11]. L’ultimo punto del decalogo di papa Francesco è dunque anche il primo, perché tutto comincia e si conclude con un atto di preghiera. (da: Giuliano Vigini, Papa Francesco. La Chiesa incontra il mondo, Paoline 2014, pp.83-91)

[1] «Tutto questo, però, nella Chiesa non è lasciato al caso, all’improvvisazione. Esige l’impegno comune per un progetto pastorale che richiami l’essenziale e che sia ben centrato sull’essenziale, cioè su Gesù Cristo. Non serve disperdersi in tante cose secondarie o superflue, ma concentrarsi sulla realtà fondamentale, che è l’incontro con Cristo, con la sua misericordia, con il suo amore e l’amare i fratelli come Lui ci ha amato. Un incontro con Cristo che è anche adorazione, parola poco usata: adorare Cristo. Un progetto animato dalla creatività e dalla fantasia dello Spirito Santo, che ci spinge anche a percorrere vie nuove, con coraggio, senza fossilizzarci! Ci potremmo chiedere: com’è la pastorale delle nostre diocesi e parrocchie? Rende visibile l’essenziale, cioè Gesù Cristo?»: [2] Discorso al Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, 14 ottobre 2013. [3] Discorso al mondo della cultura, Cagliari, 22 settembre 2013. [4] «Accogliere con magnanimità, camminare. Accogliere tutti per camminare con tutti. Il 157


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vescovo è in cammino con e nel suo gregge. Questo vuol dire mettersi in cammino con i propri fedeli e con tutti coloro che si rivolgeranno a voi, condividendone gioie e speranze, difficoltà e sofferenze, come fratelli e amici, ma ancora di più come padri, che sono capaci di ascoltare, comprendere, aiutare, orientare [...I. Siate pastori con l’odore delle pecore, presenti in mezzo al vostro popolo come Gesù Buon Pastore «: Discorso al Convegno promosso dalla Congregazione per i vescovi e dalla Congregazione per le Chiese orientali, 19 settembre 2013. [5] A. Spadaro, Intervista a papa Francesco, p. 472. [6] Discorso all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, 21 settembre 2013: ‹«Anche nel contesto della comunicazione serve una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore» [7] Ibidem. [8] Omelia nel santuario di ‘Nostra Signora di Bonaria», 22 settembre 2013. [9] «Come Chiesa abbiamo tutti una responsabilità forte, che è quella di seminare la speranza con opere di solidarietà, sempre cercando di collaborare nel modo migliore con le pubbliche istituzioni, nel rispetto delle rispettive competenze»: Discorso all’incontro con i poveri e i detenuti, Cagliari, 22 settembre 2013. Sempre sul tema della solidarietà, molto schiette e dirette le parole di papa Francesco nel suo discorso all’incontro di Cagliari con il mondo del lavoro: «Devo dirvi “coraggio”. Ma anche sono cosciente che devo fare tutto da parte mia, perché questa parola “coraggio” non sia una bella parola di passaggio! Non sia soltanto un sorriso di impiegato cordiale, un impiegato della Chiesa che viene e vi dice: “Coraggio”. No! Questo non lo voglio! Io vorrei che questo coraggio venga da dentro e mi spinga a fare di tutto come Pastore, come uomo. Dobbiamo affrontare con solidarietà, fra voi - anche fra noi -, tutti con solidarietà e intelligenza questa sfida storica». [10] Discorso alla comunità degli scrittori de «La Civiltà Cattolica», 14 giugno 2013. [11] «Ma soprattutto io so anche che il Signore ha memoria di me. Io posso dimenticarmi di Lui, ma io so che Lui mai, mai si dimentica di me»: A. Spadaro, Intervista a papa Francesco, p. 477.

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Gennaio 2018 41 - Il cammino dello Spirito Santo Carissimi, nella vita della Chiesa il primato è sempre dello Spirito che guida e indica la via da percorrere, a Lui dobbiamo affidarci sempre più, scoprendo i suoi doni sparsi nella vita e nei cuori. 1. Il carisma di Kisima Il CCC n. 799 dice: “Straordinari o semplici o umili, i carismi sono grazie dello Spirito Santo che, direttamente o indirettamente, hanno un’utilità ecclesiale, ordinati come sono all’edificazione della Chiesa, al bene degli uomini e alle necessità del mondo”. La coscienza che la nostra piccola Kisima è un carisma deve essere viva e ben presente in noi, per vivere ogni giorno nell’autenticità, fonte prima della pace interiore. L’approvazione della Chiesa, la Regola che abbiamo, sono segni del carisma e devono essere oggettivi. A Taizé insegnano che mille dubbi non tolgono una certezza, specie quando essa non dipende da noi, ma è donata dal Signore. Il senso di appartenenza ad una comunità è un dono da richiedere ogni giorno, perché questo dà forza, specie nei momenti difficili. In quest’ottica va vista soprattutto la Regola, che ci aiuta a discernere il cammino, va letta nello Spirito, meditata, assimilata e vissuta, un vero dono per la pace della coscienza. Vivere la Regola non è una formula, ma uno stile di vita, essenziale per la serenità interiore. 2. Il carisma personale Ho chiesto, nell’ultimo incontro, che ciascuno mi dica, a suo giudizio, qual è il suo carisma personale primario, affinché possa far crescere l’unità e la fecondità della comunità. Valorizzare i propri doni non è facile, ed è necessario il reciproco aiuto per il bene di tutti. Dobbiamo ricordare quanto dice l’Apostolo: “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune” (1 Cor 12,7). Ogni dono che lo Spirito effonde ha una finalità comunitaria, i doni vanno fatti fruttificare affinché tutti possano essere edificati e aiutati. Come in una orchestra, l’armonia si ottiene valorizzando al massimo le qualità di ciascuno, così è nella vita cristiana, più si è reciprocamente donati, più si cresce meglio e insieme. Non è facile questa coscienza comunitaria, perché il nostro io è sempre portato a rinchiudersi in se stesso, impedendo la comunione e la comunicazione del cuore e della vita. È necessaria una continua conversione all’apertura reciproca che a volta è spontanea e gradevole, ma a volta costa fatica, a causa del mistero del peccato che ci abita, al di là della nostra comprensione. Che fare quando il cuore si chiude e rivelarsi risulta faticoso? Come superare i momenti di chiusura che 159


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bloccano i doni, le attitudini, i carismi personali? È evidente che più sono conosciuto, amato, più posso essere aiutato, specie quando sorge la tentazione della chiusura in sé…! 3. Il decalogo della comunione nello Spirito Santo Ho pensato di offrire alla meditazione di tutti questo testo di P. Gasparino che risale a molti anni fa, ma che ha in sé una profondità direi unica e straordinaria. Meditiamolo con grande senso di riconoscenza per questo uomo di Dio che abbiamo potuto incontrare! Il testo si trova nel libro “Il segreto della gioia” ed Paoline pag. 138-40. Il Signore ci aiuti a vivere sempre con nel cuore questa certezza: lo Spirito è in me e mi aiuta costantemente affinché la mia vita sia sempre più nella festa di Dio! La Vergine di Cana ci protegga sempre Fraterni saluti nel Signore Don Mario

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Il decalogo della comunione nello Spirito Santo Padre Andrea Gasparino

I - Dentro ogni fratello c’è una presenza divina che sfugge, ma con cui devo collegarmi, se voglio il suo bene profondo. La vita spirituale comincia soltanto quando ho il coraggio di entrare nel mondo dell’invisibile che avvolge la realtà visibile, la determina e la condiziona. II - Siamo prigionieri di una specie di allergia alla realtà invisibile. Soltanto attraverso uno sforzo adeguato di fede noi rompiamo il muro del visibile ed entriamo in contatto con la realtà invisibile che ci circonda e ci sostiene: quando comunichiamo, per la fede, con lo Spirito presente in noi e in ogni persona, entriamo in contatto con una forza immensa, tutta disponibile per il bene nostro e dei fratelli. Questo impatto esige sforzo come per l’alpinista che sale verso un’altezza cui non è abituato: l’aria è rarefatta e i polmoni faticano. Occorre fare violenza alla volontà, allenarsi in modo sistematico e coraggioso. III - Prima di salutare un fratello o aiutarlo nel modo più efficace, è nella logica della fede salutare lo Spirito Santo presente in lui, entrare in contatto con chi ne ha cura e lo guida. Se non reagisco alla mia superficialità, i miei rapporti con gli altri saranno sempre lacunosi e imperfetti, mai profondi e adeguati. IV - Entrare in contatto con lo Spirito presente nel fratello non esige molto tempo, soltanto attenzione e cuore: subito è più facile comprendere e poter aiutare. Quando riesco a raggiungere lo Spirito presente nel fratello, mi collego alla fonte della forza che ci regge, mi immergo nella luce che illumina entrambi. V - Il contatto con lo Spirito Santo presente nel fratello accende sempre una potenzialità nuova per me e per l’altro, significa sempre affidare alla potenza dello Spirito la debolezza di entrambi. E’, senza alcun dubbio, il modo più utile e più intelligente per aiutarlo. VI - L’incontro profondo con una persona è sempre un avvenimento, tanto più quello con lo Spirito Santo: li trascende tutti perché vuol dire far scattare una forza latente nel fratello e che è a nostro servizio. Posso illuminare, rafforzare, guarire, confortare, cambiare una persona perché entro nel sacrario più profondo della sua potenzialità. VII - Rendersi attenti allo Spirito Santo presente nelle persone fa maturare un’attenzione nuova e profonda, fa decidere di bandire ogni superficialità nell’accostarsi agli altri e di mettere nelle mani di Dio, in modo efficace, la mia e l’altrui debolezza. 161


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VIII - Posso fare molte mancanze quando mi rapporto alle persone, ma, se mi abituo a comunicare con lo Spirito presente in loro, posso anche riparare in modo efficace e immediato a ogni mia superficialità e debolezza. Posso raggiungere la persona con il mio pensiero quando decido e voglio, perché posso farlo con la potenza dello Spirito. IX - Basta una scintilla per far divampare un incendio; un pensiero, un piccolo atto di fede può accendere il fuoco dello Spirito Santo in un cuore. Non è difficile aiutare le persone quando ci appoggiamo allo Spirito Santo: non siamo più noi a agire, ma è lo Spirito che entra in azione con noi. X - Comunicare con lo Spirito presente nei fratelli arricchisce sempre noi, mentre aiuta gli altri. È sempre più quello che riceviamo di quello che doniamo, perché, mentre comunichiamo lo Spirito Santo al fratello, lo Spirito comunica con la nostra debolezza e la modifica.

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Giugno 2018 42 - Dio festa infinita Carissimi, vi scrivo alcune riflessioni di questi ultimi mesi, anche perché sollecitato dal card. Poletto. Vi aggiorno: 1. La riscoperta della Festa nella Chiesa Sono molto contento perché lo Spirito Santo sta veramente aiutando i cristiani a riscoprire il primato della festa nella teologia, nella spiritualità e nella vita. Papa Francesco continua a fare riferimento a questo tema fondamentale per la vita dei credenti e proprio nella festa della SS: Trinità, all’Angelus ha affermato: “Il primo gradino della fede è la gioia”. Da quando a Taizé nel 1973 ho intuito questa realtà misteriosa, ho cercato di approfondire questo dono, che è un mistero della vita di Dio in sé e come effusione perenne nell’umanità. Come il sole illumina e riscalda e non può essere altro, così Dio essendo Amore infinito in sé, Amante, Amato, Amore, non può che essere essenzialmente Festa senza fine. Giustamente si deve parlare del mistero della festa, perché come i teologi e i santi nei secoli affermano chiaramente, non potremo mai comprendere totalmente la festa di Dio che è infinita. La festa di Dio è sempre più grande e sublime di quanto la nostra piccola ragione può capire. Si legge nei testi moderni di spiritualità questa affermazione: “Compito della Chiesa nel mondo è diffondere la gioia di Dio”. In modo chiaro si afferma che il Regno di Dio è “pace e gioia nello Spirito” (Rom 14, 7), per cui la nostra missione, specialmente in questo mondo così affaticato, angosciato e privo di grandi speranze, consiste nell’irradiare il più possibile la Festa di Dio nei cuori e nella vita. 2. Ma è possibile questa vita nella festa di Dio? C’è nei cuori questo dubbio, forse una tentazione o forse un’esigenza di chiarificazione. È la domanda che emerge continuamente: ma è possibile essere felici in questa vita così pesante e dura…. Specie in certe situazioni particolarmente sofferenti? Il tema umano sofferenza-gioia è sempre più discusso e dibattuto. Il male distrugge la festa della vita o la vita può prevalere sul male? La risposta è chiara: solo una forte fede può prevalere sul mistero della sofferenza e del male. Se la fede, che è la luce e la forza di Dio in noi, è debole, il male schianta nel cuore la speranza e distrugge la gioia di esistere. Senza una fede-esperienza di una Presenza e di una vita nel Signore e con il Signore, è difficile vivere nella festa del quotidiano. Diceva S. Germano di Costantinopoli: “La Chiesa è il Cielo sulla terra, dove il Dio dei cieli abita in noi”. Ma se la fede è illanguidita o spenta, se il senso del Cristo Risorto vivente in noi 163


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non è vivo, reale, pieno, difficilmente si può vivere la gioia della vita. La felicità non è solo un’emozione momentanea, il frutto di un bene passeggero, ma la realizzazione del mio essere che deve vivere a pieno ritmo, cioè illuminato, liberato, santificato dal Signore, il più possibile. La gioia di Dio, la festa del Regno, è un dono, è un frutto, è una grazia che il Signore dona continuamente, ma occorre aprirsi al mistero della sua Presenza e del suo amore incessante che ci vuole donare per saziare gli aneliti profondi dei cuori. La vita di noi cristiani deve essere sempre più vissuta nella certezza che noi siamo nuovi nel Signore, il Risorto ci abita e ci guida donandoci continuamente il suo Spirito. Non è facile questa comprensione personale della vita di fede, che ci trasforma e ci dà forza e possibilità nuove di vita e di bene. Di fronte alla crisi di fede contemporanea, tutta la Chiesa sta cercando di scoprire le cause di questo allontanamento da Dio. Anche se è difficile delinearne tutti gli aspetti, certamente il più vero sta nel fatto che la fede per molti non è un’esperienza di festa, ma una mera conoscenza intellettuale di nozioni o di tradizioni ricevute. 3. La fede come esperienza È questo il “principio teologico” che si sta esaminando a tutti i livelli nella Chiesa. Se la fede non è un’esperienza di gioia, difficilmente reggerà all’urto del mondo. Ho incontrato il cardinal Poletto, cui avevo inviato il libro “Perché vivo?” e mi ha incoraggiato a parlare di Dio felicità infinita! Per me è notevole, perché sono anni che ho cercato di sottolinearlo, che senza la certezza che Dio è e fa felici, non ci può essere una vita cristiana bella e profonda. Quando a Taizé per la prima volta sentii le parole di frère Roger: “Cristo è risorto per fare della vita una festa senza fine” (allora non sapevo ancora che erano di S: Atanasio), mi ero talmente impressionato che tra me dissi: “Qui c’è veramente un’altra Chiesa”! Ho scoperto in questi mesi un altro autore che oggi è molto letto e meditato, Alexander Schmemann1, un teologo russo, che nei suoi libri con grande profondità parla come fr. Roger, affermando con forza il primato della festa nella vita della Chiesa, specie nella liturgia, sorgente prima della Presenza del Cristo Risorto vivente con noi. Si chiede “Perché i cristiani non sono interessanti per il mondo?” La risposta è questa: “I cristiani rendono opaco il modo, invece di trasformarlo in vita di Dio”. Se la festa di Dio è nel cuore, si trasforma la vita in luce e speranza! La gioia di Papa Francesco è davvero contagiosa per tutti e noi possiamo crescere in essa, aiutandoci a farne esperienza specialmente nella vita fraterna e comunitaria. In questi mesi ho incontrato parecchie persone che hanno rinnovato la loro vita proprio attraverso incontri con persone, esperienze, comunità, che le hanno aiutate a scoprire la gioia e la bellezza di essere cristiani. Quanto è attuale la grande 1 Alexander Schmemann 1921-1983 teologo ortodosso

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parola di S. Madre Teresa di Calcutta: “La gioia è la carta d’identità del cristiano”. Giustamente si sottolinea il fatto che la fede, specie nel modo contemporaneo, si può irradiare “per attrazione”: un’esperienza positiva aiuta le persone a scoprire il dono e il mistero di una vita nel Signore. 4. Esigenza di semplificazione Lasciate che dica una parola su questo carisma di frère Roger: simplicité. Semplificare la vita significa prima di tutto controllare quanto entra nella nostra interiorità, nella nostra intelligenza. È una domanda semplice: a cosa penso di più? Qual è il corso abituale dei miei pensieri? Ancora prima: “dimmi cosa pensi e ti dirò chi sei”. Enzo Bianchi sta dicendo che è necessaria, specie per i più giovani, la riscoperta dell’interiorità, che in questo mondo digitale è sempre proiettata all’esterno. Non è possibile ritrovare il gusto di vivere se non si ferma la babele di notizie e di pensieri, di provocazioni dall’esterno, che impediscono una vita personale basata sulla necessità di pensare, amare se stessi, gli altri, il Signore, la vita. Solo riscoprendo ogni giorno la gioia della Verità, si può vivere nella gioia della vita, senza verità non c’è mai felicità personale vera e profonda. Che cos’è importante oggi per me nella vita? Che cosa devo ricercare per prima? Cos’è che mi appesantisce il cuore, la gioia di vivere? Semplificare significa chiedermi: dove cerco la sorgente del mio essere oggi? La semplificazione alla ricerca dell’essenziale, di ciò che vale, di ciò che è più importante, delinea un modo di essere più libero, più vero, più pieno. Non è facile reagire agli stimoli che la società continuamente offre, sempre alla ricerca di nuove emozioni…, occorre davvero saggezza e senso del discernimento, per rimanere liberi dalla schiavitù delle cose, dalle proposte superficiali. Semplicità e libertà per essere sempre più se stessi, in una ricerca di identità che il Signore rivela progressivamente nel cammino dell’oggi di Dio. Semplicità è ogni giorno con cuore chiedergli: “Signore che cosa vuoi da me oggi?” 5. Accogliere la festa in Kisima La festa discende, la festa è dono, la festa è grazia. “Se tu conoscessi il dono di Dio…” la comunità è proprio questa esperienza di una Festa ricevuta dal Signore, continuamente e in mille modi. Dobbiamo aiutarci a vivere questa certezza: Dio ci precede sempre, è Lui che ci vuole felici come Lui! Insisto su questo perché se ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, è segno che lui ci vuole felici come Lui. È vero che la comunità è sempre in cammino, ma facciamo attenzione a non perderci nel secondario: cerchiamo prima di tutto di essere felici nel cuore, là dove il Cristo Risorto vive e ci dà continuamente la festa senza fine. Preghiamo sempre perché in noi ci sia la certezza del senso della vita, che è una partecipazione sempre più piena allo Spirito Santo che è la vita della nostra vita. La gioia di Dio è questa grazia di 165


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partecipazione e di trasformazione della storia umana, perché nessuna forza può essere più trasformante della fede, che da Dio infonde certezza e forza senza fine. Più viviamo la nostra identità di fratelli e sorelle uniti nella festa del Signore, più Kisima può adempiere la sua missione di testimonianza, specie in famiglia e nel mondo del lavoro. Accogliere oggi la festa di Dio, entrare nel Regno dello Spirito, lasciarci plasmare nel mistero della presenza del Risorto in noi e tra di noi, è davvero un anticipo, un entrare sempre più nel regno della gioia che è Dio. Quando al mattino vi metto nel calice del Signore, invoco la sua forza affinché possiamo sperimentare sempre più la sua parola “Gustate e vedete come è buono il Signore”. L’amicizia e la vita di comunità sono davvero uno splendido dono: dobbiamo ringraziare il Signore di questa grazia e cercare di chiedere l’illuminazione della fede! Sì, la grazia della fede è veramente la prima luce da chiedere nel cammino, perché più la luce è forte, viva, più si cammina meglio! Meditiamo una parola di S. Giovanni Crisostomo che diceva: “A che serve il Cielo se io stesso non divento Cielo?” Cerchiamo di aiutarci perché cresce nella festa che Dio ci vuole domare è davvero un’avventura senza fine. Durante la settimana di Pragelato, mediteremo la lettera del Papa sulla santità “Gaudete et exsultate”. Sarebbe bello se riusciste a leggerla prima. La Vergine ci ottenga con la sua presenza nel cammino quella luce indispensabile perché il miracolo della festa nella vita non sia soltanto un’idea, ma una realtà sempre più grande per noi e da donare a tutti. Fraterni saluti nel Signore Don Mario Il vino della gioia (Fratel Carlo Carretto – Meditazioni quotidiane) Se tu bevi quel vino che Dio stesso ti offre, sei nella gioia. Non è detto che tale gioia sia sempre facile, libera dal dolo e dalle lacrime, ma è gioia. Ti può capitare di bere quel vino della volontà di Dio nelle contraddizioni e nelle amarezze della vita, ma senti la gioia. Dio è gioia anche se sei crocifisso. Dio è gioia sempre. Dio è gioia perché sa trasformare l’acqua della nostra povertà nel vino della Risurrezione. E la gioia è la nostra riconoscente risposta. Sì, il discepolo di Gesù deve vivere nella gioia, deve diffondere la gioia, deve “ubriacarsi” di gioia. E questo sarà sempre il suo vero apostolato.

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Ottobre 2018 43 - La mia vocazione è l’amore Carissimi, ho aspettato l’inizio del mese di ottobre, il mese missionario, per scrivervi qualche riflessione sul senso di questa frase che S. Teresa del Bambin Gesù ha scelto come programma della sua vita. Lei piccola carmelitana morta a soli 24 anni, è stata proclamata dalla Chiesa, Patrona delle Missioni, proprio per questa scelta essenziale per la vita dei cristiani. 1 - Il primato dell’amore La Santa afferma nella sua autobiografia – pag. 227: “L’amore spinge all’azione. Se si spegnesse, gli Apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l’amore abbia in sé tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che si estende a tutti i tempi, a tutti i luoghi, in una parola che l’amore è eterno”. Quanto sono attuali queste riflessioni! In una società tecnico-scientifica, è indispensabile avere la certezza del primato dell’amore nella vita, per il bene personale e sociale. Ma non basta saperlo teoricamente, occorre viverlo nel quotidiano, affinché la vita non si disperda e diventi fortemente invivibile. L’amore è la luce che illumina la mente, la forza che dà energia alla volontà, riempie il cuore, rianima le stanchezze. Se si ferma l’amore, si ferma la vita, si perde il gusto e la gioia di vivere! L’amore spinge alla conversione, vivifica le energie, ringiovanisce il cuore; chi ama dilata sempre i suoi sogni e i suoi orizzonti, nella continua ricerca di dimensioni nuove di impegno per il bene, per una maturazione e uno sviluppo continui delle persone e della società. Quando ci sentiamo delusi e affaticati, non è forse perché sta cessando la forza e l’entusiasmo di amare? Quando tutto sembra appannarsi e svanire, non è forse perché ci si chiude in sé e non si ha più la forza di amare? Quando la paura e il pessimismo bloccano i cuori, non è forse perché ci sentiamo annientati e incapaci di amare? Veramente possiamo dire: “Viviamo quanto amiamo”! 2 - La sorgente dell’amore Ma dove attingere questo amore? Osservando le persone, ascoltando la propria esperienza, cercando di sentire cosa dicono le varie scienze antropologiche, ben difficilmente si trova, umanamente parlando, una risposta a questa domanda. È vero che in noi c’è innata la forza e il desiderio di amare, ma concretamente 167


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quando si è in difficoltà ben difficilmente si riesce a ripartire da soli, a ritrovare la forza di amare. Il Signore dice a ciascuno la grande parola che disse un giorno alla samaritana: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice – dammi da bere – tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva” (Gv 4,10) Solo Dio che è Amore (I Gv 4,8) può darci l’amore, secondo la Sua promessa: “Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,22). La grandezza del Suo Amore per noi è indefinibile, sempre più grande di quanto noi possiamo immaginare e capire, “Dio mi conosce e mi ama più di quanto io mi conosca e mi ami”. Questa verità mi aiuta molto, specie quando è difficile e arduo il cammino personale e comunitario o nell’ascolto delle persone. Percepire che Dio è l’Amore Infinito è una grazia da chiedere ogni giorno per sé e per tutti. Sto pensando alla fatica di Papa Francesco che sta sentendo in modo particolare le dimensioni delle difficoltà della Chiesa in questi tempi. Sembra che il Male stia cercando di distruggere il bene, ma non dimentichiamo che “tutto il male del mondo è inferiore alla bontà di Dio”, proprio perché il male è finito, mentre il bene che è Dio è Infinito! Mi sta nel cuore una parola che un giorno mi disse p. Gasparino con una forza straordinaria: “Ricordati sempre che Gesù è morto in Croce per tutti e che ama tutti, più di quanto noi possiamo amare”. 3 - Le vie dell’amore Ma che significa oggi, in questo mondo frenetico e aggressivo, in cui tutto è vissuto ad un ritmo disumano e massacrante, vivere e percorrere la via dell’amore? È possibile amare, amarci, creare questa dimensione umana e spirituale? Vorrei sottolineare due aspetti, mi pare indispensabili, per vivere nella speranza e nella pace del cuore. a. La via dell’interiorità S. Agostino e la grande tradizione cristiana insistono molto sull’esigenza spirituale di ricordarsi e vivere la Presenza di Dio nella nostra anima e nella vita. “Dio è più intimo del nostro intimo” “Occorre rientrare in se stessi”. “Vivere dentro”: tutti i Santi parlano del “centro dell’anima, dove abita Dio”, dove c’è il “principio del nostro essere”, dove abita il Signore, dove è la Verità. È necessario vivere le parole del Vangelo circa l’inabitazione di Dio nel cuore “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. (Gv 14,23) “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4); “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6,56). Ricercare, ascoltare, essere in comunione con il Signore, vivente e presente in noi, è la via essenziale per riempire di luce il nostro essere e il nostro cammino cristiano. “Rientrare nelle profondità del nostro spirito”, non è sempre immediato o facile, ma è necessario per ritrovare questa unità interiore, questa comunione con il Si168


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gnore che ci abita, per attingere continuamente luce e forza per amare. Non si può essere cristiani se non si scopre che la sorgente è dentro di noi, che il Signore ci abita e trasforma poco per volta i nostri pensieri, i nostri sentimenti, i nostri desideri, le nostre azioni, vivificandoci continuamente con la Sua Grazia e il Suo incessante Amore. b. La via della semplificazione Ogni giorno il Signore rivolge a ciascuno la domanda essenziale per la nostra comunione con Lui: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?” (Gv21,15) Chi ama, suscita amore, attira a sé, crea vita nuova, dà energie nello Spirito allo spirito. Gesù, che è Dio, nella misura in cui lo amiamo, può trasformarci e trasfigurarci in se Stesso, donandoci la Sua Vita di Dio fatto Uomo, umanizzandoci in Lui, aiutandoci a fare l’unità spirituale in noi, affinché tutto diventi sempre più vita di amore e per amore, nell’amore. “Diventa ciò che sei”, dice un antico detto cristiano! Essendo battezzati in Cristo, essendo tempio dello Spirito Santo, amati come figli dal Padre, dobbiamo ogni giorno realizzare questo tesoro della nostra vita e del nostro essere uomini e cristiani avendo nel cuore il desiderio di rispondere all’Amore che ci ama e ci rende capaci di riamare e di amare. Il nostro cammino umano e cristiano è questo continuo andare oltre, andare verso senza fermarsi mai, perché il fine della vita è tendere a una perfezione nell’amore che ci sorpassa sempre, perché fatti a “immagine di Dio” (Gen 1,26), capaci di crescere infinitamente nel dono e nel mistero dell’Amore! Partecipare sempre più all’Amore è il fine della vita umana, in una ricerca di Comunione sempre più viva e più vera con Dio, che ci ama e ci vuole infinitamente amanti come Lui, nostro principio di amore senza fine. La Vergine Maria, la grande missionaria dell’Amore, ci aiuti ad essere sempre più aperti a Dio che ci ama e desidera sempre più che Lo amiamo, per poter riversare in noi la ricchezza della sua Festa senza fine, che è l’AMORE!

Fraterni saluti nel Signore Don Mario

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Natale 2018 44 - La conoscenza di Dio Carissimi tutti, vi mando qualche pensiero per questo Santo Natale, chiedendo per tutti noi un supplemento di conoscenza del Signore Gesù che si è fatto uomo per divinizzarci e donare se stesso a tutti. 1. Conoscere Dio In questi mesi ho potuto, per grazia, conoscere più in profondità il Signore, spinto da una domanda che urge nel mio cuore: perché la gente non crede più, perché non si cerca più Dio? Le chiese si stanno svuotando e specie le nuove generazioni vivono in un materialismo teorico e pratico sempre più uso e crescente. Questo porta ad una profonda solitudine dei cuori, in una specie di solitudine esistenziale, e non c’è male più grande nella vita: “non è bene che l’uomo stia solo” (Gen 2,18). Tutto si può superare nella vita, ma quando il cuore è vuoto e solo la vita diventa un viaggio in una nebbia senza fine! Da quando nel 1960 ho scritto sull’immagine della mia Prima Messa questa preghiera: “Dona o Signore a tutti gli uomini la gioia di conoscerti e di amarti” non ho mai cessato di cercare e ricercare Dio; l’ho fatto attraverso la preghiera, i libri, ma soprattutto visitando i luoghi e le persone che esprimevano nella vita questa ricerca di Dio (i focolarini, Taizé, padre Gasparino, i vari movimenti, gli avvenimenti ecclesiali, ecc.) Nella nostra piccola Kisima, abbiamo cercato insieme il Signore primariamente, ma Dio è infinitamente grande e mai si può esaurire la sua conoscenza. Medito sovente questa parola di Isaia: “Dio eterno è il Signore, che ha creato i confini della terra. Egli non si affatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile. Egli dà la forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono, ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi” (Is.40, 28-31) La grandezza di Dio è infinita e mai ci si stanca di conoscerlo e di cercarlo: più si percorre questa via incessantemente, più si comprende il grande dono della vita! 170


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2. Cercare per vivere Dio è Dio, in una dimensione di Essere e di Vita per noi – piccoli esseri e creature – inconcepibile! Chi può conoscere Dio? Come incontrarlo nelle sue immense altezze divine? Noi possiamo sempre e solo cercarlo il più possibile e poco per volta nel cammino si scopre e si realizza la parola: Cercate il Signore e avrete la vita. La vita, questo dono quotidiano, ci è data proprio per cercare Dio, come recita la prima domanda del catechismo di San Pio X: “Per qual fine Dio ci ha creati? Per conoscerlo amarlo e servirlo in questa vita e per goderlo poi nell’altra in Paradiso” Cercare è vivere. In questi anni l’ho sperimentato, comprendendo sempre di più che solo cercando Dio si ha luce, pace e gioia di vivere. Questo perché Dio è Spirito, è Luce, è Amore, è Vita, come rivela la Bibbia. Più si cerca di conoscerlo, di incontrarlo, di mettersi in rapporto con Lui, più tutto si rischiara e si illumina, si comprende sempre di più il senso profondo e vero della vita. Gradualmente, quasi come un raggio che illumina il cuore, si comprende che non sono io, non siamo noi che cerchiamo, ma è Dio che ci sta cercando da sempre, anzi da tutta l’eternità. Cercando di scoprire che si è cercati, come dice il Signore alla samaritana: “Se tu conoscessi il dono di Dio” (Gv 4, 10). Dio è sempre il primo, Lui è il creatore-creante e ogni istante bussa alla nostra vita e al nostro cuore dicendo: Fammi entrare in te! Dio ci cerca e vuole che noi lo cerchiamo incessantemente, come disse un giorno Gesù a S. Teresa d’Avila: cercami in Me e in te. Il Signore ci invita a cercarlo perché solo così Lui può realizzare il disegno per cui esistiamo: “Dio vuole comunicare Se stesso a noi”. Cercarlo per dare a Dio la possibilità di realizzare il fine per cui viviamo, divinizzarci, fino alla pienezza dei tempi, quando Dio sarà tutto in tutti (1 Cor, 15,28). Cercando di assaporare, anche se non continuativamente, la gioia di essere amati personalmente dal Signore che ci unisce sempre più a Lui! 3. Natale: Dio ci sta cercando Quando ero ragazzo, non capivo bene il senso delle feste natalizie. Mi sembrava un po’ il ricordo di un passato, troppo lontano per me. Oggi tutto è più luminoso e gioioso: Dio ha in sé questo desiderio immenso di incontrarmi per farsi sempre più conoscere e amare, per incarnarsi in me e donarmi se stesso. Ma quanto ci riesco, quanto spazio posso dare a Dio? Medito sovente questa parola molto profonda di padre Cantalamessa per esprimere il mistero dell’incarnazione: “Dio ha voluto l’incarnazione del Figlio non tanto per avere qualcuno fuori da sé che lo amasse in modo degno di sé, quanto piuttosto per avere qualcuno da amare fuori da sé, in modo degno di sé, cioè senza misura alcuna. Qualcuno che fosse capace di accogliere la misura del suo amore che è di amare senza misura” Sentirsi amati da Dio Padre che dona suo Figlio per noi, nello Spirito: è il senso di questa festa di Natale. Non basta però che Dio ci ami, occorre che noi sentiamo, 171


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quasi sperimentiamo, il suo Amore senza fine. Occorre ricordare la parola di don Bosco circa l’educazione: “non basta amare i giovani, occorre che si sentano amati”. Ma qui nasce un grave problema direi teologico: dice la Bibbia “nessuno può dire Gesù è il Signore se non sotto l’azione dello Spirito” (1 Cor 12,3). Non è possibile vivere in profondità il Natale se non si è illuminati dalla grazia dello Spirito Santo, che vivifica, santifica, libera il cuore da tutto ciò che impedisce il contatto interiore con il Signore risorto. Solo Dio porta Dio, noi non possiamo che chiedergli incessantemente il dono della fede, cioè della rivelazione al cuore del mistero della sua persona. Più la fede è forte, è ricercata, più la vita acquista certezza e luce nel Signore, che si rivela nel profondo del cuore, si incarna oggi come nella Vergine Maria. Sto riflettendo e pregando molto perché cresca anche in Kisima la certezza che, crescendo nella fede, si possano superare i vari ostacoli della vita. La fede è veramente Dio che prende possesso di noi, del nostro io profondo, infondendo la sua luce, la sua forza, il suo amore, la sua pace, Dio infinitamente festante e santificante! La fede poco per volta ci permette di attingere al mistero della festa di Dio che è senza fine; ci dona la gioia annunciata dagli angeli: “Vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo” (Lc 2,10). Questa gioia è per OGGI. Ma come è possibile? Dopo 2000 anni, per tutti i popoli? In questi anni, voi lo sapete, Dio mi ha dato quest’intuizione sempre più profonda che la gioia di Dio è infinita: è senza fine, è eternamente presente in ogni persona che si apre alla fede con continuità di desiderio e di preghiera. È oggi che Dio vuole donarsi per dare OGGI la sua gioia divina, eterna, infinitamente più grande di ciò che noi possiamo capire. Lasciatemi dire con forza che il futuro della Chiesa dipenderà da come noi cristiani riusciamo a sperimentare e irradiare questo mistero che Dio è Festa Infinita, anche se in terra siamo solo all’inizio e solo in cielo tutto sarà realizzato. Credere che Dio ci vuole felici è essenziale per noi cristiani, in una società in cui tutto è spasmodica ricerca di felicità e di sazietà, piena di desideri creati e dilatati nella tensione a spegnere le arsure insaziabili della materia. Gesù porta nel cuore una gioia nuova, non la gioia solo umana, ma la gioia divina, che diventa pace e amore, pienezza della sua presenza che colma ogni vuoto, disperde ogni paura, riempie ogni solitudine! La Vergine che per prima ha sperimentato e vissuto questa gioia di Dio in sé ci aiuti in questi giorni a chiedere con fiducia per noi e per tutti il dono della festa senza fine che Dio anche oggi vuole annunciare e donare al mondo. Fraterni auguri e preghiere nel Signore Don Mario

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Sestri Levante, Gennaio 2019 45 - La gioia in comunità Testi Biblici di riferimento della III^ Domenica Avvento (Anno C) Libro del profeta Sofonia (3,14-17) Lettera S. Paolo ai Filippesi (Fil 4,4-7) Vangelo secondo Luca (Lc 3,10-18) Dal libro del profeta Sofonia: 14Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele,esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! 15Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura. 16 In quel giorno si dirà a Gerusalemme: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! 17Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia». Da questo brano dell’A.T. appare evidente la Felicità di Dio. Si, Dio è felice! Non soltanto Dio è felice, ma Lui desidera che anche noi, ciascuno di noi sia felice! Non soltanto Lui è felice e desidera che ogni uomo e donna siano felici, ma ci mette anche nelle condizioni (se lo desideriamo) di diventare felici. Infatti il profeta Sofonia sta parlando ad un popolo che è in esilio, ad un popolo di prigionieri in terra straniera in Babilonia, ad un popolo che sta soffrendo. Come fa a dire «4Rallégrati... grida di gioia, Israele… «Non temere…17Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia». Ma non vede il Signore la sofferenza di questa gente? La vede! Ma al contrario di noi uomini, Lui già vede, al di là di questa storia, al di là di ogni nostra storia personale, familiare e comunitaria, pur fragile, UN ORIZZONTE, UNA VIA, UN CAMMINO, UN SENSO che noi non riusciamo a vedere. Per questo S. Paolo ai cristiani di Filippi, chiede: «4Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. 5La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! 6Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. 7E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù». Il Signore è vicino, anzi presente, quando nella nostra vita le cose vanno bene, o male o come noi non vorremmo. Il Signore chiede a ciascuno qui, adesso e oggi, di essere felici con Lui, cioè ESSERE ORIENTATI VERSO DI LUI. Dal Vangelo di Luca: 10Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». 11Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare 173


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faccia altrettanto». 12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». 14Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo. Il protagonista è Giovanni Battista. Perché? Perché la Parola di Dio non scende, non entra sui potenti, o su coloro che sbattono i pugni sul tavolo per potersi farsi sentire, ma su Giovanni Battista, uomo del deserto, della solitudine, un po’ schivo forse, ma tutto di un pezzo. Eppure le folle scendono da Gerusalemme e vanno verso il fiume Giordano, vicino al Mar Morto, per poter incontrare quest’uomo. A me colpisce tanto questo movimento delle folle che da Gerusalemme - luogo per eccellenza del culto, della liturgia, della presenza dei farisei, dei sadducei, dove non manca niente da un punto di vista spirituale - vanno a cercare altro. E proprio questa folla in cammino che trova e interroga Giovanni con una domanda, importante, vitale, non solo per la folla, ma anche per ciascuno di noi oggi, qui, adesso: «Che cosa dobbiamo fare?» È fondamentale interrogarsi! E il contesto è proprio questo: Quando ci viene detto che Dio è Felice e che è disposto a condividere questa felicità con noi, il primo interrogativo che dobbiamo porci è: COSA DEVO FARE IO? IL FARE vuol dire “mi metto in gioco”, il FARE coinvolge tutta la persona (dalla testa ai piedi a dentro), non aspetto dall’alto o dall’altro qualcosa che arrivi prima o poi, chissà quando! Lo so, non è facile, perché la felicità fatichiamo a trovarla, fatichiamo a realizzarla, fatichiamo ad elaborarla. Ma noi siamo nati per la felicità, dovessimo faticare tutta la vita, dobbiamo cercarla. Allora cosa dobbiamo fare concretamente? INTERROGARSI e AGIRE! Alla domanda cosa dobbiamo fare ecco che ci viene in aiuto Giovanni Battista. - «Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha» (lui che era quasi nudo) - «chi ha da mangiare faccia altrettanto» (lui che digiunava) - ai pubblicani diceva … «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato» (lui che viveva di povertà assoluta) - e ai soldati diceva... «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe» (lui che non aveva mai maltrattato nessuno). 174


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E la gente lo ascolta perché è credibile, perché vive ciò che dice. Per CONDIVIDERE LA FELICITA’ che Dio mi vuole donare devo: 1. Interrogarmi, cioè rientrare in me stesso, interrogarmi nel profondo della mia coscienza e chiedermi sinceramente cosa devo fare; 2. Agire, cominciando ad ascoltare le persone credenti, vere, autentiche, piene di fede che il Signore mi fa incontrare nella mia vita; 3. Agire, cioè condividere OGGI, non domani, non solo le tuniche, ma la mia vita con i fratelli di comunità che il Signore mi ha donato per camminare insieme. 4. Condividere, vuol dire anche confrontarsi, mettere in comune, aprirsi con cuore sincero, chiedere aiuto materiale e spirituale, sentirsi finalmente in famiglia, a casa, nella certezza che l’altro pregherà per me e per ciascuno. 5. Essere pensati nella preghiera, dona la forza dello Spirito Santo al fratello. Mentre il mondo di oggi ci vuole inariditi e rassegnati, aspettando … chissà cosa, Giovanni Battista osa chiederci di entrare in un’altra logica, se vogliamo essere felici: la logica del Vangelo! Attenzione: ciò che ci chiede Giovanni Battista potrebbe lasciarci forse perplessi, ma non sta chiedendoci di lasciare tutto e seguirlo come al giovane ricco, non ci sta chiedendo di seguire Cristo sul Calvario. Ciò che ci sta chiedendo, per essere felici, sono cose fattibili: - - - -

Capire chi sono e cosa voglio; Condividere quello che ho; Non essere un ladro anche nel tuo piccolo; Non essere un violento anche verbalmente.

In concreto ci sta chiedendo nella condizione in cui siamo: professionisti, operai, insegnanti, casalinghe, disoccupati, ecc. di vivere in maniera diversa, non seguendo le masse o il proprio istinto, ma cercando la presenza del Signore che non è lontana, non è al di là del mare, ma è dentro di noi. Ognuno di noi è tabernacolo di Gesù vivo e reale. Se prendiamo coscienza di ciò, tutto questo ci motiva già da adesso ad un cambiamento di mentalità, ad un cambiamento di vita. E questo è solo l’inizio della gioia di Dio. E anche se in questo momento, cioè oggi, siamo in “esilio”, cioè abbiamo delle sofferenze, delle malattie, San Paolo ci ripete: state tranquilli, state lieti, non angustiatevi! Se in Comunità ci sono delle situazioni difficili, nella semplicità «fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. 7E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù». La gioia di Dio, La felicità di Dio, è Dio stesso, cioè un fuoco inestin175


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guibile, non come le cose del mondo che alle prime gocce di acqua si spengono nella vita e si spegne anche il cuore dell’amore. La Felicità di Dio è un Fuoco inestinguibile! Un abbraccio Franco L. In piccoli gruppi: 1. Condividi, con la massima libertà, ciò che il cuore ti suggerisce... 2. Hai vissuto momenti “forti” che ti hanno portato ad un cambiamento di mentalità e di vita? Racconta... 3. A proposito di…” COSA DEVO FARE”. In comunità o in fraternità condividi? Ti apri col fratello/sorella con cuore sincero? Chiedi aiuto? Ti senti in famiglia? Preghi per l’altro? 4. A proposito di CONDIVISIONE… conosci il “vissuto” del fratello/sorella? Come l’aiuti se in difficoltà? 5. La felicità che Dio vuole donarci è un cammino. Sei veramente in ricerca? Sei fermo? Quali difficoltà? 6. Hai incontrato nella tua vita e quindi fatto esperienza di persone “felici”?

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Gennaio 2019 46 - Il discernimento spirituale Carissimi, dopo il nostro incontro di Sestri Levante, in cui abbiamo avuto la gioia di stare un po’ insieme, ho pensato di scrivervi alcuni pensieri su un tema molto attuale e discusso oggi nella Chiesa: il discernimento spirituale. Il libro che Enzo Bianchi ha pubblicato ci aiuta in questo cammino, specie in questa società sempre più frammentata e divisa. 1. Discernere il bene dal male La Bibbia insegna che il “peccato è accovacciato alla porta” (Gen 4,7) ed è necessario vigilare perché non entri nel cuore e nella vita. I maestri spirituali dicono che occorre sempre “sentire, esaminare, saggiare, provare la vita”, per discernere la luce dalle tenebre, il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto. È necessario non chiudere il cuore, non permettere che l’egoismo e l’orgoglio lo rendano indurito, intontito, incapace di ascoltare e di cercare il bene e la verità. La pace, il silenzio, la calma interiore, sono indispensabili per quest’opera così ardua del discernimento. La società moderna, frenetica e confusa, rende più difficile distinguere la via giusta nella vita. Se essere cristiani significa essenzialmente “seguire il Signore”, questo è impossibile senza una “regola di vita”, non dico come i monaci, ma simile. In Kisima sentiamo tutti il bisogno di un po’ di ordine, di regolamento interiore, affinché le nostre giornate siano più chiare e semplificate, alla ricerca dell’essenziale, che è sempre rispondere a questa domanda: “Signore, oggi cosa vuoi da me?” Il nostro tempo di vita è troppo frantumato e spezzato, direi che “siamo mangiati” , la vita ci mangia il tempo, non abbiamo più il tempo per noi stessi, per essere noi stessi, per avere la nostra personale unicità e identità. Mi chiedevo a Sestri, se ci aiutiamo abbastanza a vivere il “mistero eucaristico” ogni giorno il più possibile, con la gioia di ritrovare la nostra unità nel Cristo che ci unifica nel mistero del Suo Sacrificio. Mi chiedevo se nelle nostre famiglie ci si aiuta a riposare sufficientemente, a dire dei no alle cose secondarie, affinché ci sia sempre in noi il primato di Dio, come fonte prima della pace personale e famigliare. Ma soprattutto questo: quanto tempo ci diamo per parlarci in famiglia reciprocamente? Davvero il dialogo è una gioia grande della nostra comunione famigliare? 2. L’offuscamento della coscienza Dice E. Bianchi: “il discernimento è un dono che viene dall’alto, un dono dello Spirito che si unisce al nostro spirito”. Senza questo dono, c’è il rischio che la coscienza si ottenebri, vada in confusione, non distingua più il bene dal male. 177


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Il Concilio Vaticano II ricorda nella Gaudium et Spes al n. 16 che “la coscienza dell’uomo in seguito al peccato può essere erronea, incapace di vedere e discernere i peccati, il male”. In seminario ci insegnavano, quasi scandalizzandoci, che in buona fede si può uccidere. Perché la coscienza si offusca? Molti possono essere i motivi, ma mi sembra che sia la solitudine la prima causa del suo disorientamento. Le passioni, le sofferenze psicologiche e fisiche, le difficoltà nei rapporti interpersonali, le delusioni che la vita offre, possono chiudere la coscienza in un dedalo di incertezze. In questi ultimi tempi, più volte mi sono incontrato con persone che hanno cambiato profondamente la loro vita, grazie all’incontro personale (in ritiro, in monasteri, in pellegrinaggi) con guide spirituali mature, anche laici, che le hanno aiutate nel cammino e nelle scelte di vita nuova. Studiando un po’ la vita dei fondatori di comunità, sono rimasto sorpreso della loro continua ricerca, umile e costante, della verità e del bene, non solo all’interno della loro comunità, ma allargando la ricerca il più possibile, ai vari carismi esistenti ieri e oggi nella Chiesa e nella storia. La “coscienza ecclesiale” supera sempre quella personale, perché ove è la Chiesa, è lo Spirito che la guida nella sua varietà carismatica. Non è sempre facile affidarsi alla Chiesa, perché l’individualismo è profondo in ciascuno. Il Papa sta invitando a “uscire” verso le periferie. Non è un invito solo materiale, ma è un invito alla ricerca, a entrare più profondamente nella realtà. Aprirsi alla esperienza degli altri esige sempre umiltà e attenzione. Faccio un esempio personale: da giovani ci invitavano sempre ad avere un direttore spirituale, un confessore cui affidare la propria vita spirituale, con cui aprirsi e consigliarsi, per discernere il cammino; è davvero quasi impossibile vivere da cristiani, senza questa guida che indica la via, le mete e i modi per crescere nella vita cristiana. Non è nemmeno sufficiente la vita comunitaria, perché certi meandri della vita e situazioni personali, di solitudine interiore, non sono condivisibili, né devono esserlo, solo tra laici. La coscienza personale, l’io profondo, è tale che la Chiesa ordina dei sacerdoti perché la grazia dello Spirito li possa illuminare nella guida delle coscienze. È proprio del sacerdote avere la grazia di illuminare il cammino spirituale. È per questo che occorre pregare sempre perché i sacerdoti siano illuminati in questa missione così ardua e misteriosa. L’educazione della coscienza è davvero primaria nella vita. Dobbiamo aiutarci ad essere attenti e vigilanti, specie all’interno della comunità e delle singole famiglie. 3. “Chi può capire, capisca” (Mt 15,12) Questa parola del Signore riguardo alla scelta di una vita a Lui consacrata nel celibato per il Regno dei Cieli, nella verginità per il Regno di Dio, è davvero un gioiello di sapienza! 178


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Penso che si possa però applicare a tanti aspetti della vita e delle relazioni umane. Chi può capire? Quando e come si capisce? Fino a che punto si è capito? E chi non capisce adesso, potrà capire in futuro? Ognuno potrebbe rispondere in base alla propria esperienza, positiva o negativa, ma in questa parola c’è una assoluta certezza: Gesù dice: “chi può capire, deve capire!” Se la guida alpina, che è esperta, si lascia condizionare dal parere di chi non lo è, rischia di far precipitare la cordata! Se avverte che sta per scatenarsi la tempesta, deve fermare la salita, senza lasciarsi condizionare dai sentimenti di chi fa fatica a fermarsi e vorrebbe ugualmente raggiungere la cima. Guai se chi è responsabile di una vita comunitaria, di una famiglia, di un movimento, di una associazione ecclesiale, non ha questa parola nel cuore che gli dà luce e forza nel momento in cui si deve scegliere. Guai se si dimentica che “non tutti capiscono”, non per colpa o per altre motivazioni. È implicito in questa parola del Signore, che è necessario anche aiutare a capire, anche se, sovente, è molto difficile. Ricordo una parola che il card. Ballestrero diceva ai preti: “La Diocesi dipende dai preti anziani, perché se loro che hanno l’esperienza e devono parlare al Vescovo tacciono, la Diocesi va in rovina.” Questo non significa che gli anziani abbiano sempre ragione, ma guai se loro, per timore o altre motivazioni, non dicono quello che pensano. Sarà poi il Vescovo a discernere e decidere. Il Papa continuamente chiede alla Chiesa un’incessante preghiera per Lui, ben conscio di quanto è necessario che lo Spirito lo illumini per essere guida e pastore. Ma come si fa a crescere nella comprensione spirituale? Dice Mons. Bassetti: “Ognuno di noi è abitato da Dio e per questo lo conosciamo. Questa abitazione d’amore produce la conoscenza.” Più si ama il Signore, più si prega, più si cresce nell’unione con Lui. La grazia della conoscenza è veramente un dono da chiedere incessantemente, perché solo se Dio si rivela noi possiamo percepire la sua Presenza e il suo Amore personale, pienezza e principio della vera pace. 4. Invocare lo Spirito Santo Lo Spirito è la “sorgente inesauribile di luce e di forza”. La vita è a volte difficile, intricata, appesantita da debolezze e fragilità umane che stravolgono la capacità di vedere e fare il bene. Quante volte sento dire: “non ci riesco, è più forte di me, vorrei cambiare ma sono troppo fragile”. Lo scoraggiamento spirituale è davvero una tragedia. “Chi si scoraggia, è perduto” dice il proverbio. La disperazione blocca ogni forma di speranza e oscura il cuore in profondità, tutto diventa buio e oscuro, tetro e pesante. Ricordo con quanta insistenza P. Gasparino diceva parlando dello Spirito “Capite bene: lo Spirito non è solo una forza di Dio, ma è una Persona divina!” Occorre essere certi che Dio è il Dio dell’impossibile e che non c’è difficoltà che, con il suo aiuto, non si possa superare. 179


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Charles de Foucauld diceva: “Quando preghiamo dobbiamo chiedere solo l’impossibile che è l’unica cosa ad essere divina”, eco delle parole dal Vangelo: “nulla è impossibile a Dio” (Lc 2,37). Mai dobbiamo perdere questa certezza: il bene è sempre più forte del male! Nella festa della conversione di S. Paolo, c’è questa bellissima preghiera liturgica: “Accogli o Padre, il nostro sacrificio, e fa che lo Spirito illumini la tua Chiesa con quella fede che animò S. Paolo e lo fece missionario e apostolo tra le genti” Invochiamo questa crescita nella Fede per Kisima e per tutti, perché solo nella Fede sta il segreto per un cammino secondo il Signore. Più cresce in ciascuno e in tutti la Fede, la forza di Dio in noi, più la vita avrà profondità di senso e di entusiasmo, perché solo in Dio la vita acquista pienezza e gioia profonda. Termino con due domande: • come possiamo in Kisima aiutarci a crescere nella capacità di discernimento personale e comunitario? • Che rapporto c’è tra l’Eucaristia e il discernimento personale, familiare e comunitario? La Vergine ci aiuti, con la Sua intercessione, nel cammino di ogni giorno!

Fraterni saluti nel Signore Don Mario

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Pasqua 2019 47 - L'unità dei cuori Carissimi, dopo la visita a Torino di Franca e le sue parole semplici, ma profonde e vere, circa la nostra piccola Kisima, vorrei aggiungere qualche pensiero. 1. Solo Gesù è unità Non è facile accettare questa verità essenziale: Dio solo è Unità. Indiviso, Eterno, Unico Infinito Amore: noi siamo divisi e molteplici. Lui solo può farci Uno, può essere forgiatore e fonte di perenne e rinnovata comunione, con la sua Parola, la sua Grazia, il suo Corpo e il suo Sangue, il dono del suo Spirito. Noi credenti siamo unificati solo dalla sua Grazia, che unisce la mente, i cuori, la vita in un unico ideale: diventare sempre più Corpo di Cristo Risorto! Quando Gesù dice “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”, ci si chiede: ma come possibile amarci come Lui? La risposta è “Ricevete lo Spirito Santo”! Dio viene nello Spirito Santo a vivere in noi e per noi, dando Se Stesso in noi e negli altri, unificandoci nel mistero di una Comunione divina–umana, senza fine. È il dono–mistero dell’Incarnazione che continua fino alla fine dei secoli, attuando questa unificazione in Cristo di ogni essere umano. Intuire e sperimentare questo progetto eterno di Dio, che si attua nel tempo, è il senso del nostro cammino umano cristiano, della nostra vita personale e comunitaria. Viviamo ed esistiamo per fare spazio in noi alla Sua Presenza e al Suo Amore senza fine, realizzando il sogno di Dio: diffondere Se Stesso il più possibile, per farci felici di Lui e con Lui, infinitamente, nel tempo e nell’eternità. È il Regno di Dio! 2. La nostra comunione in Kisima Solo in Cristo è possibile la vita di comunione. Tutte le difficoltà che ci sono e ci saranno sempre in ogni rapporto umano, di coppia, di famiglia, di comunità, nascono sempre dal dimenticare che noi possiamo amarci tanto quanto ci lasciamo amare dal Signore e lasciamo che Lui ami, il più possibile, in noi. Sentivo una mamma che mi diceva: “ogni tanto guardo i miei figli e li sento estranei, non riesco a farmi più capire da loro …”. È così l’amore umano, anche il più sacro come quello di una madre che soffre e vive per i suoi due figli: non riesce a colmare il senso di solitudine che ha nel cuore! L’altro, gli altri, sono sempre degli estranei, dei diversi, da ciascuno di noi! Dimenticare questa verità, frutto del mistero del peccato che ci rende inconoscibili a noi stessi e al prossimo, significa vivere in uno stato di grande confusione interiore. 181


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Più si cerca il Signore, più i contrasti, le difficoltà interpersonali, le incomprensioni, le differenti visioni della vita o dei suoi passaggi, acquistano dimensioni diverse, che non tolgono la pace e la fiducia reciproca. Quando si va in montagna e si fatica nella salita, le emozioni sono diverse, personali, ma la gioia è comune perché ascendendo verso l’alto si scopre quanto è bello vivere! Più si è illuminati e si capisce il dono della Comunità (il dono dei fratelli e delle sorelle, il dono dei carismi di ciascuno, il dono della preghiera vicendevole nel Signore, il dono delle grazie che attraverso i fratelli Dio ci dona), non dico che si risolvono le difficoltà, ma certamente si attenuano e non bloccano i cuori nella gioia dell’amarsi. La tentazione interiore di chi vive in comunità è sempre una sola: lasciarsi offuscare dal negativo in sé e negli altri. È il carisma di Papa Francesco che richiama sempre l’esigenza di guardare più al buon grano che cresce, nonostante la zizzania, piuttosto che soffermarsi su di essa e le sue conseguenze. Ma qual è il segreto di una vita comunitaria serena? Quando P. Gasparino invitava a pregare il Signore 300 volte al giorno per avere l’umiltà, sinceramente non capivo tutto. Ma che cos’è l’umiltà? È la “ricerca della verità”. E dove si trova? Certamente in sé stessi se si è sinceri, ma anche negli altri nella misura in cui si guarda l’altro “come dono del Signore per me”! Se riesco a capire meglio che l’altro è un dono di Dio “per me”, lo cerco, lo ascolto, lo sento, lo percepisco e, come diceva Franca, lo “lascio entrare in me”! Mi rendo conto che dire “guardare la persona”, oggi è veramente un’utopia, in un mondo in cui tutto è guardare alle cose, al prodotto, agli oggetti! Tutto è valore produttivo, reddito, guadagno economico … ciò che conta è fare, agire, rendere di più … come si fa a dire “amatevi, amiamoci …” non è forse un perdere tempo produttivo prezioso? “Ciò che non rende, si butta”! Quante volte si è nel pericolo, di “giudicarci e giudicare” per quanto rendiamo …; ci sembra un perdere tempo chiederci: “ma tu sei contento di me, di come ti ascolto, di quanto mi dai e ti dono, perché stiamo insieme nel cammino?” Da più parti mi fanno notare che anche all’interno delle migliori comunità a volte non ci si saluta, non ci si ferma per uno sguardo sincero, per un’attenzione personale, non si dà spazio all’altro che mi dice “guarda che esisto, ma ci sono anche per te?” Siamo tutti concordi che oggi la necessità primaria è quella di “sostare con noi stessi” perché senza una unità interiore personale, con sé e con il Signore che ci abita, non è possibile una vita cristiana, tanto meno una vita comunitaria. Chi non vive dentro, in una vita interiore, non può vivere in comunione con gli altri. Chi non sa pensarsi, non può pensare agli altri. Chi non sa ascoltarsi, non può 182


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ascoltare gli altri. Chi non sa consigliarsi, non può consigliare. Chi non prega per sé, non può pregare per gli altri. Direi che la vita è un’esperienza con sé stesso, che poi trabocca nell’esperienza con gli altri. Ho sempre nel cuore, vivendo in ambienti religiosi, di quanto diceva P. Gasparino: “C’è tanta gente che parla di Dio, senza mai averlo incontrato!”. Quanto è vero questo. Applicarlo a sé stessi è davvero una grazia, perché ci si deve chiedere: “Ma io oggi chi e cosa sono, e come posso trasmettere agli altri?” 3. La solitudine spirituale Lasciate che cerchi di esprimere quanto sento su questo punto, perché sinceramente sono un po’ confuso, specialmente quando si parla con persone spirituali. Sovente mi dicono: “Non so che cosa fare, non so come comportarmi in questa o quest’altra situazione o problema”. Rispondo sempre così: “ma lei con chi si consiglia?” Nella Chiesa cattolica c’è la grazia della continuità apostolica, della successione apostolica e della Confessione sacramentale. Gesù è presente negli Apostoli e nei Confessori e, quando un cristiano ha un problema, deve parlarne in confessione con un confessore, che certamente ha la grazia sacramentale per discernere. Giustamente Franca ha ribadito la differenza tra “la grazia del fondatore e la grazia del confessore”. Il fondatore ha la grazia per il cammino della comunità, il confessore ha la grazia per chi si confessa. Guai a confondere i piani o a non distinguerli, a pensare che è la stessa cosa … Aiutiamoci in questo a livello personale e non, non complichiamoci il cammino, non aggrovigliamo i problemi, ma cerchiamo la via regale dell’essenziale discernimento che non manca mai nella Santa Chiesa di Dio! Chi si sente solo dentro, può chiedersi: “perché sono solo, mi sento solo?” Perché continuo a dire: “nessuno mi capisce o non mi sento capito?” Qual è il blocco interiore che mi impedisce la pace? Ma soprattutto: “a chi parlare, chi mi può illuminare e aiutare?” Dico questo perché tante volte consigliando così … la luce è entrata nei cuori! Vorrei ribadire quanto abbiamo imparato, primariamente: “occorre prendere un problema, chiarirlo il più possibile e metterlo in preghiera: Signore ma Tu che cosa mi dici? che cosa devo essere e fare?” È la via della pace che il Signore ci indica quotidianamente nel cammino! Sono contento che Franca ha ribadito la necessità di meditare sempre la nostra Regola, davvero un insegnamento prezioso, perché è la via che il Signore ci dà per vivere insieme nella pace. Siamo in Quaresima e come sapete ogni tempo liturgico ha delle grazie speciali e particolari: chiediamo con Fede per Kisima la semplicità dell’unità, specialmente dei cuori, perché l’unità nelle menti, come voi sapete, non è sempre facile, perché la mente spazia là dove il cuore non arriva! 183


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4. La Pasqua del Signore La grande Festa si avvicina, è ancora una volta nella storia, il Cristo Risorto ci invita a lasciarlo entrare di più nella nostra vita, affinché possa farci risorgere! Per Lui non c’è il tempo, ma solo l’Amore Infinito che lo spinge ad avvicinarsi sempre più a noi, pellegrini di Emmaus, desolati per tanti motivi! Chiediamo insieme la grazia di comprendere che il Risorto è risorto per farci risorgere in Lui e con Lui: questo è il miracolo della Risurrezione, oggi, dopo 2000 anni! Come è possibile risorgere, rinascere nella fiducia, nell’entusiasmo, nel desiderio di vivere in pienezza, dilatando gli spazi della speranza, oltre il mistero e la barriera del peccato e della morte? Sto finendo il libretto “Il segreto di Gesù”: la Sua divinità! Più cresce la Fede, più tutto diventa possibile: l’impossibile umano, l’impotenza nostra, è vinta dal Cristo Risorto che ha in sé la potenza della Risurrezione, lo Spirito Santo! Chiediamo la grazia di questa nostra personale e comunitaria risurrezione, che il Risorto può attuare, qualunque siano le nostre personali situazioni. A Taizé insegnano con profondità, che Cristo non solo è risorto in Sé Stesso, ma vuole risorgere in ciascuno, in noi: più crediamo a questo, più in noi si accrescerà la Festa che non può avere mai fine, perché la Festa del Risorto è Infinita! La Vergine della Risurrezione, ottenga per tutti noi, la festa del cuore, di un cuore sempre più unito agli altri cuori dei fratelli e delle sorelle della nostra piccola Kisima, ma pur sempre piccola sorgente di luce!

Fraterni Auguri e preghiere nel Signore Buona Pasqua Don Mario

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Giugno 2019 48 - Un sussulto di speranza Carissimi, ho aspettato, per scrivervi, la Festa della SS. Trinità che è la Festa del Mistero della Beatitudine Infinita di Dio! Noi di Kisima, nati a Taizé, abbiamo veramente necessità di approfondire e vivere il dono della Festa di Dio, per essere sempre più coerenti con il Vangelo che è un continuo invito alla festa del cuore e della vita! 1. La massima Festa cristiana Questa Festa della SS. Trinità è la massima Festa cristiana, perché vuole essere un invito per tutti a cercare di entrare nel mistero di Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo: l’Amante, l’Amato, l’Amore! Nessuno come S. Agostino ha cercato di vivere questo aspetto della natura di Dio. Molti teologi affermano, in questi tempi, che la Chiesa è in ritardo nel cercare di scrutare l’abisso della Beatitudine di Dio. Che significa affermare che Dio è “Beatitudine – beatificante?” Quale impatto umano, spirituale, personale, comunitario può avere l’affermazione: “Nessuno è felice come Dio, nessuno fa felice come Dio”? Che relazione esistenziale c’è tra la Felicità di Dio e la nostra vita di ogni giorno? È davvero necessario che in Kisima ci si aiuti a fare esperienza di quanto la Fede sia luce e forza di speranza e di vita bella, buona, beata, nonostante le difficoltà e le fatiche del cammino personale e comunitario. Gesù è il Salvatore della nostra gioia di vivere, della nostra gioia di credere, della nostra gioia di volere essere uomini e cristiani nella certezza che Dio è il Dio della festa senza fine, come fr. Roger annunciava e viveva! Si respira nella società attuale, un clima di sfiducia e di pessimismo, cui occorre reagire con una vita fondata sulla certezza che il Signore non vuole una vita disumanizzata e priva di pace. Dobbiamo essere certi che nessun male è più forte di Dio, che nulla può distruggere la pace che Dio dona nel profondo dei cuori. Se Dio ci abita, se Dio è con noi, non possiamo mai lasciarsi invadere dalla negatività che distrugge la speranza e la gioia di fare della vita un “capolavoro di Dio”. Dio attraverso a noi, vuole realizzare i suoi sogni e progetti di bene e di salvezza. 2. Custodire la nostra fraternità in Kisima Andando a Bose, ho riletto la loro storia e mi ha colpito soprattutto questo passo con cui si conclude la loro Regola che trascrivo letteralmente: “Fratello, sorella, tu hai costruito e costruisci ogni giorno la comunità. Ma non preoccuparti di dare continuità storica all’intuizione iniziale. Cerca piuttosto che la comunità sia un segno, veglia sull’autenticità di 185


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esso, e non permettere che sia reso opaco dall’istituzionalizzazione massiccia. Non pensare alla tua vecchiaia né al domani. Vivi l’oggi di Dio. Una sola cosa sia la tua preoccupazione, vivere l’evangelo nella comunità cui sei stato chiamato. Il Signore ti benedica e ti protegga, faccia risplendere su di te la sua presenza e ti dia pace: fino a quando scoprirà per te il suo volto. Amen “ (Regola di Bose 48) Rileggendo i loro inizi, ho visto con molta gioia quanto essi sono stati a Taizé e come ne hanno assorbito lo spirito! Addirittura la loro preghiera è quella di Taizé, hanno tradotto l’Office di Taizé e ancora oggi lo pregano … Enzo Bianchi parla della sua amicizia con fr. Roger e dice che per lui è stata una “grazia” … questo è un grande dono, perché ancora una volta cresce in me la convinzione che ogni comunità nasce e cresce, matura e si sviluppa in comunione con altre comunità ed insieme si percorre la strada del Signore! L’individualismo della cultura contemporanea, se non si è vigilanti, si infiltra anche nella famiglia e nella comunità, impedendo di arricchirsi e sostenersi reciprocamente. Se invece si è aperti all’oggi di Dio, che guida il cammino, si sanno cogliere quei segni e quei messaggi che ogni giorno il Signore ci dona personalmente e come comunità. Il carisma della vita comunitaria è raro oggi nella Chiesa … e parlando con p. Manicardi, mi descriveva questa difficoltà specie per le nuove generazioni. Accogliere il dono e i carismi del fratello o della sorella, con umiltà e desiderio di benevolenza, non è un fatto sempre spontaneo. Vedere nell’altro un fratello e sorella, dono del Signore, esige una profonda vita spirituale che ci fa cogliere la vita come dono da vivere insieme. “Essere fratelli e sorelle nel Signore”, uniti dalla stessa chiamata, su una strada che il Signore ha tracciato e traccia ogni giorno, è un dono grande nella misura in cui si riesce a vivere l’oggi di Dio! È sempre latente in noi, la tentazione di confrontarsi non su ciò che Dio vuole oggi, ma su altre realtà e motivazioni. Papa Francesco sta veramente insistendo sulla necessità del “discernimento” quotidiano della Presenza del Signore che vive con noi sempre! Lui è sempre con noi e ci indica la strada. Afferma con grande forza: “Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che voglio rivolgere a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo” (CV n. 1) Se in Kisima ci aiutiamo a custodire tra noi questa Sua Presenza, tutto diviene più luminoso e più semplice, della semplicità che solo l‘oggi di Dio può dare. Oggi il Signore ci dona come fratelli l’un l’altro, e insieme possiamo oggi cam186


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minare fraternamente nella gioia di una comunione che non nasce da noi, ma è dono continuo del Signore che ci chiama oggi in Kisima! 3. Semplificare il cammino: la Prima Lettera di Giovanni Ho scelto come meditazione questa Lettera perché mi sembra veramente necessario che ci aiutiamo a semplificare la vita cristiana, sovente resa complicata, direi ingarbugliata, nel secondario. La Parola ci aiuterà a ritrovare più in profondità l’essenziale che deriva non da noi, ma da Dio che si manifesta come Colui che rende la vita illuminata e quindi più semplice. È così importante la Lettera che contiene l’affermazione più forte circa la divinità di Cristo: “Egli è il vero Dio e la vita eterna” (I Gv 5.20) Commenta il biblista Maggioni: “E’ difficile nel Nuovo Testamento trovare affermata la divinità di Cristo con altrettanta chiarezza. E sono indicate le due coordinate essenziali della sua persona: è venuto da Dio ed è Dio egli stesso, è venuto per darci la vita”. (La Prima Lettera di Giovanni, pag. 178-ed Cittadella) Meditando la Lettera cercheremo insieme di rispondere a questa domanda, presente oggi: come essere cristiani nella vita contemporanea così frammentata, frenetica e dispersiva? Come aiutarci in Kisima, per vivere il Vangelo più gioiosamente e più comunitariamente? Ma soprattutto: quale cammino percorrere insieme per vivere più in profondità il Vangelo? Vi invito in questi mesi a leggere e pregare personalmente questo testo biblico, così attuale, che contiene delle indicazioni preziose per il nostro cammino. Invochiamo lo Spirito Santo, sempre più sulla nostra piccola Kisima, affinché possiamo essere “segno di comunione e di grande speranza per tutti”! Fraterni saluti nel Signore Don Mario

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PRAGELATO - Agosto 2019 49 - La chiamata in comunità Premessa: Ci sono varie riflessioni sulla chiamata comunitaria già scritte da don Mario in questi anni e pubblicate nel libro “Lettera a Kisima”. Giusto per citarne alcune: 1) La vocazione comunitaria – Aprile 1986 – 1° vol. pag. 57 2) La chiamata alla Santità – Giugno 1988 - 1° vol. pag. 68 3) L’intenzione comunitaria – Pragelato 1989 - 1° vol. pag. 73 4) Vent’anni di cammino: – Gennaio 1993 - 1° vol. pag. 119 5) Comunità e comunione cristiana - Agosto 1993 - 1° vol. pag. 131 6) Venticinque anni di cammino – Pasqua 1998 - 1° vol. pag. 203 7) La nostra vita – Giugno 1999 - 1° vol. pag. 211 8) Comunità di Kisima – Gennaio 2004 - 2° vol. pag. 11 9) Il dono della comunità – Pasqua 2008 - 2° vol. pag. 75 10) La sorgente della comunità – Pragelato 2010 - 2° vol. pag. 118 11) Kisima – Settembre 2013 - 2° vol. pag. 155 La riflessione di oggi, vorrebbe, nell’intenzione, sottolineare l’aspetto comunità da un punto di vista personale al fine di cercare di rispondere alla seguente domanda: il mio cammino comunitario a che punto è? Dal Vangelo secondo Luca 5, 1-11 1 Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, 2vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. 4 Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». 5Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. 7Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 8Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 11E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. CONTESTO: Nel racconto del 4° capitolo di Luca, Gesù è nel deserto per 40 giorni tentato da Satana, dopo 40 giorni ritorna a Nazareth e dà inizio alla “sua vita pubblica”. 188


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Entra di sabato nella sinagoga, si alza a leggere, tutti rimangono meravigliati delle parole di grazia, ma non viene accettato dai suoi concittadini, anzi viene cacciato fuori dalla sinagoga e dalla città e tentano di gettarlo giù dal ciglio del monte. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mette in cammino. A Nazareth, Gesù, non ritornerà mai più e sarà l’unica città in cui non opererà alcun miracolo. Quindi va a Cafarnao (circa 50 km da Nazareth) e anche qui in giorno di sabato insegna alla gente, e qui la gente però rimane stupita del suo insegnamento, tanto che la sua fama si diffonde in ogni luogo della regione circostante. A Cafarnao opera due miracoli: guarisce un indemoniato e la suocera di Pietro. Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. 43Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato». 44E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea”. 42

E le folle, dice il vangelo, lo cercavano e lo trattenevano perché non se ne andasse via. Si conclude così il cap. 4°. Nel 5° cap. quella stessa folla lo segue e «gli fa ressa attorno per ascoltare la Parola di Dio». Mi ha colpito questa annotazione: la folla fa ressa per ascoltare la Parola di Dio. La folla è disposta a fare km e km, è disposta ad affrontare difficoltà su difficoltà per ascoltare qualcuno che li aiuti e li sostenga, che susciti loro un’emozione. Già un’emozione…. In contrapposizione, penso a tutti quei giovani che fanno la stessa ressa e sono disposti a tutto per ascoltare magari un cantante, un gruppo musicale o altro. Si è proprio così, la gente è disposta a tutto per ascoltare qualcuno che in qualche modo riesca a nutrire e a scuotere il cuore di ciascuno, qualcuno capace ad entrare dentro noi stessi, qualcuno che ci aiuti a superare quelle difficoltà che viviamo e ci portiamo dietro e dentro, qualcuno che ha il dono di indirizzare la nostra vita, insomma se la gente è motivata si muove! Per noi qui oggi, c’è questo qualcuno? E ...se c’è chi è? Penso anche all’altra faccia della medaglia. Quante parole a volte sconclusionate, inutili, eccessive, quante false notizie girano su internet, e che inevitabilmente entrano dentro di noi e ne veniamo risucchiati. Già al mattino basta accendere il televisore o sfogliare il giornale… che le notizie che ascolti o leggi, ti spengono la gioia della giornata che il Signore ci dona. Facciamo ressa intorno a Gesù, l’unico che ha la Parola per te, per me e per ciascuno, che magari aspettavamo da tempo e che il mondo di oggi non ci darà mai, perché non la possiede. 189


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E mentre Gesù continua ancora a parlare alla folla, con la coda dell’occhio vede dei pescatori che stanno rientrando da una lunga notte di pesca infruttuosa, visibilmente scoraggiati e amareggiati. Gesù vede le ceste vuote e la barca vuota, sa che qualcosa non ha funzionato e si occupa di loro. Per un momento mi metto nel pensiero di questi pescatori, dopo una nottata di lavoro perso e inutile, e vedendo la folla lì ferma, che ascolta, mi viene da pensare: quante persone perditempo attorno a quel tale che parla! Quante volte mi sono sentito dire che ascoltare o dedicare del tempo a Dio è un perditempo. Ma torniamo al Vangelo! Quando siamo scoraggiati, stanchi, delusi, generalmente ci chiudiamo a riccio. Non vogliamo avere accanto nessuno! Gesù invece sale sulla barca vuota di Simone, Gesù entra nel cuore vuoto di ciascuno. Il Signore ci raggiunge sempre, anche quando pensiamo di avere fallito, di non aver nulla da dare e prega Simon Pietro di scostarsi da terra, prendere il largo e gettare nuovamente le reti. Il vuoto della barca, e quindi il vuoto del cuore, è esattamente ciò di cui Dio ha bisogno per potere entrare e riempirlo del Suo Amore. Fare vuoto nel cuore non vuol dire CANCELLARE i nostri giudizi, pregiudizi, paranoie, egoismi, orgoglio ecc. in quanto peccatori, ma si possono svuotare, rimuovere poco per volta, per fare spazio a Dio che potrà così riempirlo del Suo Amore. Prendere il largo: Gesù chiede a Simon Pietro di prendere il largo e di gettare di nuovo le reti. Ma è giorno! E lo sanno tutti che con la luce del giorno non si pesca nulla. E Simon Pietro glielo dice: non ha senso quello che mi stai chiedendo, ma sulla tua Parola, quella Parola che ha radunato questa immensa folla che fa ressa per ascoltarti, per quella Parola di incoraggiamento, per quel garbo che hai avuto, per quella fiducia che in questo momento sento verso di te, butterò le reti e prenderò il largo. Cioè con te rischio, oso, vado oltre, oltre il mio ragionamento umano, la mia esperienza da pescatore, inspiegabilmente mi fido, nonostante la stanchezza del lavoro a vuoto di questa nottata. Cioè metto da parte le mie certezze, mi voglio fidare! E l’amore di Dio verso l’uomo non è mai calcolato o pesato, ma è sempre smisurato, è di più, infatti hanno dovuto chiamare l’altra barca per venirli ad aiutare, tanta era la quantità di pesci che avevano pescato! E mentre gli altri della barca si danno da fare a tirare su le reti strapiene di pesci, Simon Pietro non tira le reti, ma rimane fermo, pieno di STUPORE. È impossibile descrivere il sentimento di stupore che scaturisce quando ci fidiamo di Dio! Certamente non è uno stupore di euforia o di frenesia, ma qualcosa di molto più profondo che prende e afferra tutto il nostro essere, dalla testa ai piedi, dal di dentro, dal di fuori, forse è emozione, commozione, turbamento, rivoluzione, sconvolgimento di una vita, mai provata prima. 190


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Certamente apre, scardina, il nostro modo di pensare e di agire in maniera completamente diversa, e che mai, mai avremmo immaginato! Questo è ciò che nasce nell’animo umano, quando abbiamo la grazia di fare esperienza personale DELL’INCONTRO con DIO. Ed è un incontro che non si dimenticherà mai, anzi segnerà per sempre la nostra vita, è la chiave che apre la porta del nostro cuore. LA CHIAMATA COMUNITARIA Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Mi sono sempre chiesto perché Gesù chiama Simon Pietro, Giacomo e Giovanni a seguirlo e non chiama neanche uno di quella immensa folla che faceva ressa e lo seguiva. Alla pari mi sono sempre chiesto e mi chiedo ancora, perché Gesù ha chiamato proprio me e ciascuno di voi a seguirlo in Kisima. E ancora mi chiedo perché questa settimana siamo qui per esempio e non altrove! Forse sono o siamo migliori di tanti altri? Assolutamente NO! Gesù ci ha chiamati per GRAZIA, cioè perché lo ha voluto LUI! Per Grazia, cioè per Sua Volontà. Ma io non ho chiesto nulla! È vero, ma ho fatto la sua Volontà! Siamo continuamente chiamati da Dio, perché l’iniziativa parte da Dio! Noi dobbiamo dare solo una risposta. Ognuno di noi pensi al momento della propria chiamata: Gesù, attraverso don Mario, che ha il dono del discernimento, ci ha chiamati in tanti modi diversi, da luoghi diversi, ma ci ha chiamati, nonostante le nostre fragilità, ma anche per i tanti doni che ciascuno di noi ha, che però forse non vediamo e quindi non sappiamo di avere. La PRESENZA del fratello/sorella è già un dono! Così come il sorriso, una parola, una stretta di mano, un abbraccio, una telefonata, un messaggino, la nostra testimonianza nelle realtà in cui viviamo, le riunioni, le fraternità, i nostri problemi, i nostri difetti, in una parola LA CONDIVISIONE è una PRESENZA! PRESENZA PREZIOSA, perché senza questa Presenza, senza la Comunità, la rete della mia barca sarà vuota. col rischio di affondare. LA RISPOSTA COMUNITARIA Ogni chiamata esige una risposta. La risposta di Simon Pietro è stata: “allontanati da me perché sono un peccatore”. Che vuol dire allontanati da me Signore, perché ho il mio limite, i miei pregiudizi, i miei condizionamenti, le mie convinzioni, le mie abitudini! Allontanati da me perché non riesco a vivere la tua Parola….! E Lui: «Non temere; d’ora in poi sarai…” NON TEMERE! Mi emoziona sempre questo verbo!! Lo dice l’angelo a Maria nell’Annunciazione 191


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Lo dice l’angelo a Giuseppe quando pensava di ripudiare Maria “Non temere piccolo gregge”. Lo dice il Signore a ciascuno di noi personalmente e comunitariamente! Non temere… ecco io sono voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20) D’ORA IN POI SARAI… d’ora in poi, cioè adesso! Per Gesù il passato è già passato, non esiste più, ma esiste “qui e ora”, esiste l’oggi. Esiste questo momento, esiste l’attimo, questo attimo da vivere con pienezza. Penso che per essere nuovi, dovremmo fare un atto di fede, un atto che ogni venerdì e sabato sera vivono a Taizé: l’adorazione della croce e la liturgia della luce del Cristo Risorto. Cioè deporre il nostro passato qualunque esso sia, i nostri sensi di colpa, ai piedi della croce. Gesù li farà suoi, e li trasformerà in vita nuova perché Lui è Risorto, è vivo, presente, perché… non è venuto per i sani, ma per i malati e…ancora, non è morto e risorto solo per alcuni, ma per tutti e per tutta l’umanità. Ecco allora le comunità, ed in particolare la comunità Kisima, luogo privilegiato in cui ci si aiuta a crescere umanamente e spiritualmente attraverso gli incontri, la preghiera, la condivisione, la testimonianza, la nostra personale conversione tutti i giorni. Già in Genesi 2,18 Dio disse “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. Chi si isola, chi pensa di poter vivere da solo, tradisce la parola di Dio e prima o poi si perde. Ecco perché Gesù già all’inizio della sua vita pubblica ha voluto una comunità. La Parola di Dio ci insegna che Dio è COMUNIONE e non un Dio solitario. Dio è Trinità. Mistero di comunione e d’amore. Comunità, luogo privilegiato quindi, da coltivare (mettersi a servizio) e custodire (prendersene cura) dei fratelli e delle sorelle che non abbiamo scelto noi, ma che Dio ha scelto e chiamato per noi. Mi chiedo allora, che posto occupano i fratelli e le sorelle nella mia vita di tutti giorni? Prego per loro? Li sento parte di me, cioè mi appartengono? O forse è un impegno in più da mettere in coda a tutti agli altri impegni della mia agenda quotidiana? Kisima non è una meteora! Mi piace pensarla e paragonarla, invece, ad un grande albero, che da 46 anni affonda sempre più le sue radici sul terreno, radici che non vediamo, ma di cui cogliamo forza e vitalità perché alimentati dall’amore di Dio! Mentre ognuno di noi è un ramo di quest’albero, cioè appartiene all’albero. Qualche ramo magari dà più frutti, altri meno, altri ancora sono da potare, altri fanno fatica a crescere, ma in tutti scorre la stessa linfa che è lo Spirito Santo. Anche i rami nuovi appartengono a questo grande albero di 46 anni. Allora mi chiedo ancora, che posto occupano i fratelli e le sorelle nella mia vita di tutti giorni? Il brano del Vangelo termina con “tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono”. 192


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Gesù ci ha chiamati da luoghi diversi, da esperienze diverse e ci ha messi insieme per seguirlo, per essere sale e luce per ciascuno di noi e per gli altri, nella condizione in cui ci troviamo e nei modi che il Signore vorrà. Non dobbiamo scandalizzarci se non siamo perfetti! Per esempio i 12 che Gesù ha scelto, non erano già tutti santi, infatti Simon Pietro per esempio era esuberante, ha persino tradito Gesù anche se poi, pentito, pianse amaramente. Tommaso, uomo di poca fede, incredulo dall’inizio alla fine, è arrivato ad affermare: “Mio Signore e mio Dio”, Giacomo e Giovanni volevano un posto d’onore nel Regno di Dio, sedere uno alla destra e l’altro alla sinistra del Padre, ma alla fine furono tutti toccati nel cuore dall’Amore di Dio. È un cammino, ma solo camminando, cadendo, rialzandosi, sentendosi amati e perdonati, la nostra vita avrà un senso vero, autentico e comunitario che porta alla gioia vera. Franco L.

In piccoli gruppi: 1. Condividi, con la massima libertà, ciò che il cuore ti suggerisce. 2. Prova a raccontare la tua personale esperienza dell’incontro con Dio. 3. Prova a raccontare la tua personale chiamata in Kisima. 4. Kisima è nel mio cuore? 5. Altro….

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Settembre 2019 50 - Lo guardò e lo amò Carissimi, dopo l’esperienza di Pragelato e il pellegrinaggio a Lourdes, vi scrivo qualche pensiero sul tema dello sguardo, che è uno dei più grandi doni che abbiamo. 1. Il dono dello sguardo Da un po’ di tempo mi chiedo: come si fa a conoscere di più noi stessi e gli altri? Come cercare di conoscersi e conoscere meglio per una comunione più profonda? Ci sono tre tipi di sguardo: fisico, psicologico, di fede. - Fisico: gli occhi sono un mistero di luce fantastico: attraverso essi entra la realtà. Cerco di osservare sempre lo sguardo dei bimbi: l’occhio vede attraverso il cuore. Un bimbo vede innocentemente, con stupore e trasparenza, noi adulti vediamo con intenzione buona o cattiva. L’occhio è la finestra dell’anima, attraverso l’occhio si vede la purezza interiore. Si può avere uno sguardo puro o cattivo, attento o superficiale, intenso o sfuggente, di amore profondo o indifferenza. Non dimenticherò mai lo sguardo di Chiara Lubich o di fr. Roger: davvero una luce brillava nei loro occhi! - Psicologico: è un “guardarsi dentro”, un cercare di vedersi dentro, un ascoltarsi. L’interiorità è il mistero della persona, noi siamo capaci di uno sguardo interiore. “Ascoltarsi” per rispondere alle domande che ci abitano: chi sono io? Quali sono i valori e i modelli che mi sorreggono? Come sviluppo le mie doti? Come sto maturando nella capacità di pensare, volere, amare? Come lotto contro le mie negatività? E guardando gli altri, chiedersi: chi sono gli altri per me? Stimo ogni persona come un dono? Sono davvero aperto per una comunione sempre più vera e più profonda, specie con i più vicini? Mi sforzo di intuire e cercare di capire e sentire la vita dell’altro? Questa ricerca di comunione fraterna, non finisce mai. - Di fede: che significa credere se non “cerca di vedere con gli occhi di Dio”? la fede è l’illuminazione che lo Spirito Santo nel giorno del Battesimo infonde in noi, è una partecipazione alla conoscenza di Dio. È il primo dono che ci permette di affermare che Dio c’è, che è Padre, Figlio, Spirito Santo, che si è rivelato, che si è fatto uomo, che è vissuto, morto, risorto, che è vivente in noi, con noi e per noi. La fede è la capacità di “lasciarmi incontrare dal Signore” che si vuole far conoscere e amare, e ogni giorno ci guarda e ci ama, come ha fatto con il giovane ricco “Gesù fissò lo sguardo su di lui lo amò” (Mc 10,21). La fede diventa veramente personale e profonda quando ci si interroga e ci si chiede: come mi sta guardando il Signore, come mi vede oggi? Lo sguardo di Gesù è davvero di un’intensità unica, divina, perché nel Signore tutto è amore e luce senza fine. 194


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Il Padre ci guarda attraverso al Figlio, nello Spirito Santo, come suoi figli nel Figlio, come fratelli nel Signore! “Va dai miei fratelli e dì loro: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» dice Gesù a Maria di Magdala (Gv 20,17): noi siamo fratelli di Gesù, figli del Padre, tempio dello Spirito Santo! Questo guardarsi e guardare nella fede è essenziale per la vita comunitaria, matura e feconda. La fede ci ricorda che noi siamo chiamati per essere dono l’uno dell’altro, l’uno per l’altro. È Dio che mi dona a voi e voi siete dono a me, chiamati ad essere dono vicendevole, perché figli suoi e fratelli e sorelle in Cristo. Siamo un dono che Dio fa l’un l’altro, uniti dalla stessa fede che il Signore continuamente ci dona, come luce e come amore reciproco, principio e fondamento della nostra unità cristiana. Lui ci illumina e ci insegna a vivere fraternamente, riconoscendo in noi stessi e nei fratelli e sorelle, la sua presenza perenne “Credi a Cristo presente in te, anche se non lo senti” (fr. Roger). 2. Il cammino della vita fraterna La vita comunitaria è davvero un cammino perenne, che non finisce mai, perché l’amore reciproco è essenzialmente un’esperienza dinamica, non è mai né definito né sempre uguale o identico: ad amarsi si impara sempre e non si è mai finito di imparare! Tanto più ci si sente guardati e amati dal Signore, tanto più si purifica il nostro sguardo nel confronto degli altri e poco per volta si acquista uno sguardo di benevolenza, di stima, di fiducia, di misericordia vera e personale. E’ semplice chiedersi: “come mi sta guardando e amando il Signore, così cerco di guardare il fratello e la sorella”. Poco per volta il nostro sguardo diventa quasi un prolungamento dello sguardo suo, che raggiunge il cuore dell’altro dicendogli: “ti voglio bene perché sei davvero per me un dono, un fratello e una sorella che Dio ha posto accanto a me nel cammino della vita”. Vorrei insistere un momento sul concetto di dono: ogni appartenente della comunità è veramente un dono, un grande dono di Dio! Più si vive questa realtà, più la vita comunitaria diventa feconda e fruttuosa. Non si finisce mai di capire e vivere insieme aiutandosi a scoprire tutte le sfumature di questa visione cristiana dell’altro. Fermandoci ci si può domandare: quanto ho ricevuto in questi anni dai miei fratelli e sorelle di Kisima? Quanta testimonianza di vita, fedeltà, generosità, rettitudine, impegno, ho visto in loro, che mi hanno dato forza e coraggio per continuare il cammino? Il vicendevole amore è davvero una luce e una forza, un incoraggiamento perenne, perché nulla più dell’amore è luce, forza, vita. Più il nostro cuore si purifica nel cuore e nello sguardo del Signore, che ci guarda e ci ama con intensità infinita, più il fratello e la sorella sono accolti senza giudizi e senza pregiudizi, ma nella luce della fede che ci illumina sul mistero del dono dell’altro, come presenza viva del Signore che è accanto a noi e cammina con noi. 195


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Questa purificazione e trasfigurazione avviene specialmente nel mistero dell’Eucaristia, prolungata nell’adorazione eucaristica, in cui con S. Tommaso si piò dire con profondità diversa: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28) 3. La fatica del lasciarsi guardare Il punto fragile della vita comunitaria cristiana è sempre, specialmente oggi con il ritmo frenetico della vita moderna, l’adorazione del Signore. Fermarsi davanti al Signore e dire: “Eccomi, aprimi il cuore perché possa accogliere la tua presenza e tutti i doni che Tu vuoi donarmi oggi, per colmare la mia mente con i tuoi pensieri, le mie debolezze con la tua forza, i vuoti del cuore con il tuo amore” è sempre molto arduo, una grazia da chiedere incessantemente. La S. Madre Teresa di Calcutta alle suore diceva: “Se non si fanno due ore di adorazione al giorno, non si porta nulla ai poveri”. Lei aveva il timore che se il cuore non è pieno di Dio ai poveri non si dà veramente ciò di cui, forse senza saperlo, hanno bisogno. Dobbiamo chiedere, specialmente per Kisima, la grazia primaria di lasciarsi guardare e amare dal Signore, chiedendo sempre più, oggi, il suo amore personale e comunitario, il più possibile. Meditando sul mio libretto “Perché vivo?”, mi rendo conto che il vero problema, la difficoltà prima nella vita di fede è imparare a ricevere. Perché il giovane ricco non ha seguito Gesù? Perché lo sguardo di infinito amore del Signore per lui non gli ha cambiato il cuore e la vita? Forse perché mai a quel giovane avevano insegnato che vivere è ricevere, lasciare che Dio viva sempre più in noi. Quando incontro una persona, mi chiedo sempre: quanto amore ha in sé come si sente amata, da chi e perché? Sente che il Signore la ama come nessun altro mai? La Lourdes, nella comunità di Suor Elvira, ho intuito in profondità questa verità dalle parole che mi ha detto il responsabile della comunità di 50 giovani ex tossici. Gli ho chiesto: qual è il vostro metodo educativo? Così mi ha risposto: “sono stato drogato per 23 anni, sono uscito dall’inferno della droga grazie alla comunità, poi mi sono sposato, ma non possiamo avere figli, così o capito che la mia famiglia sono questi ragazzi che Dio ha dato a me e a mia moglie. La nostra esperienza è questa: poco per volta cerchiamo di aiutare i giovani a stare mezz’ora in silenzio davanti a Gesù Eucaristia, ogni giorno. Quando riescono a pregare così, Gesù li libera, li rinnova, li fa rinascere.” Lasciarsi guardare e amare dal Signore non è facile. Riusciamo ad amare nella misura in cui ci sentiamo amati. Cito quanto scrive fratel Dario, un monaco di Bose, nel commento al Vangelo in cui Gesù invita ad amare i nemici: “Solo riconoscendoci amati potremmo amare. Ma il primo nemico da cominciare ad amare siamo noi stessi, quelle parti di noi stessi che non ci piacciono e che se percepiamo amate da Dio perderanno tutta la loro forza mortifera, avvilente e depressiva rendendoci capaci di amare in modo autentico noi stessi, chi ci è vicino e, almeno un po’, anche chi ci è nemico.”1 1

https://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo-del-giorno/13315-parole-di-un-dio-folle

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Aiutiamoci nel cammino fraterno, impariamo da Papa Francesco, un vero “carismatico dello sguardo” che guarda con un amore davvero forte, penetrante, che tocca il cuore! Ricordiamo la grande parola di San Giovanni Bosco: “Non basta amare, occorre che l’altro si senta amato”. Personalmente, cerco di guardare molto il Crocifisso, che mi dice sempre: “Nessuno ti guarda e ti conosce come me”, e questo pensiero mi aiuta molto, specie quando mi sembra che il mio amore personale non riesca a toccare il cuore di chi mi sta davanti. La Vergine ci aiuti a mai scoraggiarci nel difficile compito di ricominciare sempre ad amarci l’un l’altro, per cercare di amare tutti nel Signore! Grazie, come sempre, della vostra fraternità Nel Signore i più cari saluti Don Mario

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Allegato 1

RICONOSCIMENTO CANONICO E APPROVAZIONE DELLO STATUTO DI KISIMA COME ASSOCIAZIONE PUBBLICA DI FEDELI

1° NOVEMBRE 2016

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Allegato 2

DECALOGO PER UN ESAME DI COSCIENZA DELLA COMUNITA’ (Carlo Maria Martini)

Al seguente esame di coscienza vorrei richiamare tutte le nostre comunità -parrocchie, associazioni, gruppi, movimenti – perché esse si sottomettano volentieri e con generosità al giudizio della Parola di Dio e si aprano al soffio dello Spirito 1. Sii anzitutto una comunità di fede, nutrita della fede di tutta la Chiesa e vivi nell’adesione incondizionata del cuore e della vita al Dio vivente, che ha parlato a noi in Gesù Cristo. Coltiva la rettitudine delle intenzioni, sii gioiosa nell’afflizione, pronta nella misericordia verso i lontani e i vicini! È la tua fede quella della Chiesa cattolica? vivi intensamente l’adesione al Dio vivente che la Chiesa ti ha fatto incontrare? sei una comunità che ascolta la Parola con fede, che celebra la divina liturgia e testimonia il Vangelo del Signore Gesù? Come vivi la beatitudine dei puri di cuore, degli afflitti, dei misericordiosi? 2. Sottomettiti alla Parola di Dio nella preghiera interiore e nella comunione con i tuoi Pastori, per essere una comunità ricca di intelligenza spirituale, capace di fare sintesi in mezzo alla frammentazione e confusione del nostro tempo! Come vivi l’intelligenza spirituale? sei pronta a sottometterti alla Parola di Dio? ti lasci mettere in discussione da essa? Sei al tuo interno “scuola di preghiera” e di lectio divina? aderisci sinceramente al magistero dei Pastori? misuri l’intelligenza legata al tuo carisma e ai maestri a te interni con l’intelletto della fede cattolica e con la guida all’intelligenza delle Scritture offerta dal Papa e dal Vescovo? 3. Sii una comunità desiderosa di crescere nella scienza della fede, nutrita di solidi maestri, che siano voce della sinfonia della verità che illumina e salva, quale essa è presente nella varietà e ricchezza di testimoni donati all’intera comunione cattolica, nel tempo e nello spazio, nel passato come nel presente! Sii una comunità che scrive e attua un piano pastorale in fedeltà allo Spirito! In tutte le nostre comunità è necessario aprirsi a questo dono dello Spirito santo, in comunione con tutta la Chiesa: sei una comunità che si nutre della scienza della fede? curi la formazione catechistica e teologica dei tuoi membri? ti preoccupi di ascoltare i maestri di teologia e di esperienza spirituale, che lo Spirito suscita nella Chiesa e che essa ti propone o raccomanda? sei attenta ai progetti pastorali? 209


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4. Sii una comunità docile al dono del consiglio, rispettosa dei cammini personali di maturazione spirituale e pronta ad aiutare ciascuno a vivere nella libertà le proprie scelte sotto l’azione del Consolatore e la guida di persone sagge e interiormente libere! Il consiglio è la condizione della libertà spirituale: sei una comunità dove tale dono è apprezzato e promosso? gli itinerari di maturazione personale delle coscienze sono in te rispettati e valorizzati, anche quando possono creare fatica al comune cammino? incoraggi i tuoi membri alla pratica della direzione spirituale, vissuta possibilmente con persone che siano sufficientemente libere rispetto alla tentazione di assolutizzare l’appartenenza al gruppo? sei consapevole che il tuo movimento o gruppo è “una via”, una delle tante vie nella Chiesa? che questa “via” è veramente ecclesiale solo quando riconosce che altre “vie” sono o possono essere vocazioni di Dio e che senza di esse il piano salvifico, nell’oggi della Chiesa, non è completo? 5. Sii una comunità viva nella speranza, capace di testimoniare a tutti e sempre l’eccedenza delle promesse di Dio, che ci libera da ogni prigionia dei mali presenti e dalla paura della morte, e ci fa guardare avanti con fiducia, con distacco dai beni terreni e dai soldi, con una certezza più forte di ogni fallimento o persecuzione o sconfitta! Sei una comunità ricca di speranza? davanti ai tanti mali del tempo presente, mantieni alta la capacità di guardare sempre e comunque all’orizzonte dell’avvenire di Dio per noi? testimoni speranza a quanti ti incontrano? vivi la gioia di quanti sperano nel Signore? Vivi la beatitudine dei poveri in spirito, degli affamati di giustizia, dei perseguitati? 6. Sii una comunità che vive sotto lo sguardo di Dio, desiderosa di piacere in tutto a lui solo, e perciò vigile ed operosa nel timore del Suo santo nome, libera da calcoli e valutazioni solo mondane! Quale posto dai al timor di Dio nelle tue valutazioni e nei tuoi progetti? sei una comunità che si lascia giudicare dal Signore, preoccupata di piacere a lui in ogni cosa? ti misuri sulle esigenze del Vangelo e della sequela di Gesù o ti lasci a volte ammaliare da calcoli di riuscita terrena? 7. Sii una comunità forte nella speranza, perseverante nella via che Dio ha tracciato per te e la Chiesa ha confermato attraverso i suoi Pastori, libera e coraggiosa nella fedeltà e nella testimonianza, anche a caro prezzo, liberante per tutti i tuoi membri e per chiunque ti avvicina, nel dono della libertà vera che viene dal Signore! Sei una comunità forte nella speranza della fede? sei costante nei tuoi cammini, 210


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perseverante nella tua fedeltà alla chiamata di Dio? sei affidabile? mantieni fede agli impegni assunti, anche se questo dovesse costarti e chiederti sacrifici non indifferenti? 8. Sii una comunità viva e operosa nella carità, aperta, capace di gesti concreti di riconciliazione, accogliente e generosa verso tutti i fratelli e le sorelle nella fede, anche se diversi da te, pronta a far spazio all’altro, chiunque sia e da qualsiasi parte venga, per riceverlo con rispetto e amore e offrirgli con gratuità il dono che Dio ti ha fatto. Perdona largamente con gioia, opera con tutte le forze per la pacificazione dei cuori! Sei una comunità aperta? sei accogliente e generosa? sei rispettosa delle diversità che esistono nella Chiesa, non solo a parole, ma coi fatti e nella verità? e sei aperta e accogliente con chi dal di fuori si avvicina a te, specie con chi è in cerca del volto di Dio e desidera incontrare Gesù Cristo? sei pronta a non servirti della Chiesa, ma a servirla, perché cresca il Regno di Dio, anche se tu dovessi scomparire? Quale la tua mitezza di fronte alle incomprensioni e alle offese? Quale il tuo servizio alla comprensione e alla pace? 9. Sii una comunità ricca di pietà, innamorata di Dio e desiderosa di rispondere al suo amore con un amore umile, ma tenero, appassionato e disposto a far compagnia al suo dolore e alla sua gioia in ogni momento! Una comunità di fede, di speranza e di carità si lascia riconoscere in modo particolare dalla sua pietà. Sei una comunità tesa ad adorare e venerare Dio in ogni tua scelta? nutri nei tuoi membri questa tenerezza per Dio, che è frutto di un grande amore, ricevuto dall’alto e donato con gratuità? dai testimonianza in questo mondo dell’urgenza di amare il Signore al di sopra di tutto, con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutto il nostro essere? 10. Sii una comunità ricca di sapienza spirituale, capace di misurare e vivere ogni cosa sotto il primato della carità, che viene da Dio e ci fa partecipi della vita di Dio: fa’ strada a lui e al suo amore infinito, piuttosto che farti strada in questo mondo! Sei una comunità che vive la sapienza dell’amore e la sapienza della Croce? attui in tutto il primato della carità? ti lasci amare da Dio per essere in ciascuno dei tuoi membri accogliente e generosa nell’amore? Liberamente tratto da Carlo Maria Card. Martini - Tre racconti dello Spirito - Lettera pastorale per verificarci sui doni del Consolatore – Chiesa di Milano, Anno Pastorale 1997 – 1998 https://www.chiesadimilano.it/cms/documenti-del-vescovo/c-m-martini/cm-lettere-pastorali/tre-racconti-dello-spirito-1997-98-15075.html 211


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Allegato 3

Revisioni di vita (1994-95) La revisione di vita “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rom 12,10) “Portate i pesi gli uni degli altri” (Gal 6.2) “Confessate i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti” (Giac 5, 16) La revisione di vita è il test più sicuro di come vive una comunità: è dalla revisione di vita che si può cogliere il grado di unità e il fervore nel servizio di Dio e dei poveri. È uno degli strumenti più validi per una intensa vita fraterna: è un dono di Dio alla comunità. Si intende per revisione un comunicare ai fratelli la parte più profonda di noi stessi: non è un semplice condividere le riflessioni e le esperienze, bensì l’aprire il nostro cuore, in un clima di sincerità, ascolto, semplicità e stima vicendevole. La revisione di vita è un dare e un ricevere: chi non sa ricevere, dà anche in modo limitato. La revisione di vita va concepita come un momento di ricarica della nostra fraterna amicizia: non è mai un accusare, ma un accusarci; non è mai puntare il dito sugli altri, ma una volontà sincera di conversione. La revisione è efficace in proporzione al calore di amicizia che regna nel gruppo. Non possiamo dare sempre una risposta ai problemi dei fratelli e delle sorelle, ma dobbiamo esigere da noi stessi di essere presenti alle loro difficoltà fino a farle nostre. Un segreto per la revisione di vita è sempre la richiesta umile e sincera di perdono. Dobbiamo vigilare sul pericolo di catalogare il fratello e la sorella, perché questo costituisce una vera barriera alla revisione di vita. I pregiudizi sono la morte del comunicare profondo. Dobbiamo credere alla novità continua del fratello e alla sua possibilità di cambiare. Non andiamo alla revisione di vita impreparati: senza preghiera, senza preparazione accurata, si mette ostacolo grave alla revisione di vita nostra e degli altri. Senza preghiera e preparazione è impossibile comunicare se stessi e ascoltare i fratelli e le sorelle con verità e profondità. È importante fare con una certa regolarità la revisione di vita sulla validità e sui difetti della revisione stessa. La revisione di vita ci insegna ad incontrare Gesù lungo il nostro cammino Albert Maréchal 212


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IL PUNTO DI FEDELTÀ 1. Una comunità esiste quando i suoi membri sono uniti nel vivere il “punto di fedeltà” che è lo spirito per cui esiste la comunità: come sto vivendo questo? 2. Il punto di fedeltà esige una unificazione interiore (mente – volontà -cuore): pensare la comunità – volere la comunità - amare la comunità. Come è in me questa unificazione interiore? 3. I miei fratelli e sorelle di comunità sono dentro ai miei pensieri, voluti dalla mia volontà, amati di vero cuore? 4. La fedeltà esige una scelta continua della vita comunitaria: come sono fedele in questo? 5. La comunità è un dono del Signore: come sto accogliendo la sua comunione che mi unisce agli altri? 6. “Non bisogna cercare la comunità ideale. Si tratta di amare i fratelli che il Signore ci ha messo accanto” (Jean Vanier): per me è così? 7. Qualche volta è più facile sentire le grida dei poveri che sono lontani, che sentire e grida dei fratelli e sorelle che sono vicini: per me è così? 8. Se mi accorgo che non sono stato fedele alla comunità, so riprendermi con una preghiera di supplica e di riparazione? 9. Chi ama veramente i fratelli, cerca sempre di più Dio, per poterlo donare di più: lo sto facendo? 10. In questo mese sono stato contento di appartenere a Kisima?

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Lettere a Kisima

IL SENSO DI APPARTENENZA ALLA COMUNITA’ 1. Essere in comunità significa portare e lasciarsi portare dai fratelli: è così per te? 2. Portarli davanti a Dio nella preghiera, portarli nel cuore con affetto profondo, portarli nella vita condividendo la tua vita con loro e la loro con te: è sempre più questo il tuo cammino? 3. Più si ama, più si diventa uno nell’azione e nel cuore, uniti nel Signore e dal Signore: come sta crescendo l’unità con i fratelli e le sorelle della comunità? 4. Appartenersi significa vivere per l’altro, con l’altro, nell’altro: come sto vivendo questo? 5. I due pericoli della comunità sono le simpatie e le antipatie: come sto lottando contro questo? 6. Chi mi è simpatico rischia di adularmi e di bloccarmi nella crescita vera dell’amore: è così? 7. Chi mi è antipatico scatena in me gelosie, chiusura, paura di incontrarlo, assenza di dialogo: come cerco di reagire? 8. Come cerco di superare le chiusure nei confronti del fratello o della sorella con cui faccio più fatica a condividere il cammino? 9. Chiedo intensamente nella preghiera la grazia di superare le difficoltà di appartenenza, le divisioni, i giudizi, le tensioni? 10. Qual è il fratello o la sorella che ho amato di meno in questo mese?

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Lettere a Kisima

UMILTA’ VERSO DIO E I FRATELLI 1. Noi tutti abbiamo paura di ammettere le nostre debolezze, fragilità, peccati, ignoranza: sono sincero nell’ammettere che è così anche per me? 2. La comunità mette in luce la nostra incapacità di amare: accetto di essere verificato dagli altri? 3. So chiedere al fratello o alla sorella: tu cosa pensi di me? 4. Dio mi parla attraverso al fratello: so vedere nell’altro un dono di Dio, specie quando mi dice cose “scomode”? 5. Sono tentato di mettere la maschera e di nascondere il mio cuore agli altri? 6. Quando mi sento triste, stanco, amareggiato, deluso, sono capace di chiedere aiuto agli altri? 7. Ho l’umiltà di ammettere che ho sempre bisogno degli altri per conoscermi bene, per scoprire i miei doni, per essere fedele nel cammino? 8. Faccio fatica a ricevere il Sacramento della Riconciliazione oppure è per me veramente un incontro con lo Spirito? 9. Medito continuamente l’umiltà di Gesù e cerco di chiedergli ogni giorno questo dono? 10. Dice l’apostolo: “Dio resiste ai superbi e dà la grazia agli umili” (1Pt 4,5): come cerco di rivestirmi di umiltà, di essere veramente cosciente di essere peccatore?

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IL SENSO DELLA PRESENZA DI DIO 1. Vivere alla presenza di Dio è il senso profondo del cammino cristiano: come cerco il volto del Signore? 2. “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8): se faccio fatica a vedere Dio nelle cose e le cose in Dio, non è perché in me c’è il peccato che mi oscura la visione di Dio presente? 3. L’Eucaristia è la massima delle presenze di Cristo in terra qual è il mio rapporto con Gesù vivente e orante nell’Eucaristia? 4. “Ho bisogno di incontrarti nel mio cuore”, dice il canto: riesco a fare questo incontro nella fede, nell’ascolto, nella preghiera? 5. “Credi a Cristo presente in te, anche se non lo senti”, dicono a Taizé: come vivo questa presenza di Gesù in me? 6. Mi sento solo nella vita, oppure vivo alla presenza di Cristo che mi ama personalmente e infinitamente? 7. So accogliere ogni giorno i doni dello Spirito, la gioia e la pace che il Risorto vuole donarmi sempre di più? 8. Cosa mi aiuta di più a vivere alla presenza di Dio? 9. Ho capito che il Signore “si fa trovare sempre”? So ringraziarlo per questo? 10. Mi sento “abitato” da un tesoro nascosto che è in me?

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Lettere a Kisima

IL DIALOGO CON IL RESPONSABILE 1. Prego ogni giorno per il Responsabile affinché il Signore lo aiuti a discernere il cammino comunitario? 2. Servitore della comunione e dell’unità: come vedi il Responsabile? 3. Hai in te la convinzione che il Responsabile ha il dono e la responsabilità di guidare la comunità sulle strade che Dio indica nel cammino? 4. C’è qualche cosa in te che ti blocca e ti impedisce un’apertura profonda e sincera con il Responsabile? 5. Il rapporto fraterno con lui è veramente fondato sulla fede che ti fa superare i suoi difetti e le sue lacune? 6. Ti senti giudicato o amato dal Responsabile? 7. Hai provato a chiederti: che cosa c’è in me che non vorrei che il Responsabile conoscesse? 8. “Il Responsabile è il servo di Dio e della comunità. Non può fare ciò di cui non è capace: Dio farà il resto” (Jean Vanier): tu lo vedi così? 9. L’autorità è un’opera di amore per la crescita della persona: tu ti senti veramente amato dal Responsabile, specie nei momenti difficili? 10. Hai qualche cosa che non hai mai detto al Responsabile, ma che senti è bene che tu dica, affinché lui ti possa aiutare meglio nel cammino?

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Lettere a Kisima

LA POVERTÁ E L’AMORE AI POVERI 1. Ho coscienza di essere povero davanti a Dio, perché tutto ciò che sono e che possiedo viene da Dio creatore? 2. So ringraziare il Signore di tutti i doni e le qualità che mi ha dato e mi dona continuamente? 3. La povertà è una scelta in imitazione di Gesù che ha scelto questa via; non una motivazione umana, ma cristiana: è così per me? 4. “Non si è mai abbastanza poveri”: la povertà è una virtù da acquisire continuamente; cerco di essere nello spirito e nell’attuazione di una vita povera? 5. So reagire alle tentazioni quotidiane che mi spingono ad avere e possedere? 6. Vedo la povertà come una sorgente di vera libertà dalle cose? 7. Aiuto i poveri e amo i poveri? 8. Cerco di vedere la presenza di Cristo in loro? 9. Misuro il tempo che dono a loro o sono generoso nella condivisione? 10. Chiedo la grazia nella preghiera di scoprire il mistero nascosto della povertà che ci rende simili a Cristo povero?

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LA CASTITÁ 1. Sono convinto che la castità non è una realtà umana, ma è un dono dello Spirito (Gal 5,22)? 2. So chiedere intensamente e costantemente la castità nella preghiera? 3. Per chi è sposato: l’esercizio della sessualità vi aiuta a crescere nell’unione con Dio o è fonte di egoismo e divisione? 4. La castità nel matrimonio la vediamo come una difesa del vero amore, o la viviamo come un peso o una sofferenza? 5. Per chi non è sposato: la verginità la vivo veramente come un “segno del Regno”, “per il Regno dei Cieli”, oppure è per me più un peso, una legge? 6. So soffrire i momenti di croce e di solitudine del cuore, come partecipazione redentiva al sacrificio di Cristo o li vivo con un senso di frustrazione? 7. Nei momenti difficili so aprirmi con semplicità a qualche fratello o sorella, al Responsabile, a qualche sacerdote, per superarli? 8. So essere sobrio e vigilante affinché la castità sia possibile nella mia vita? 9. Per me la castità è veramente un cammino per amare di più nel Signore? 10. So donare sempre di più il cuore in un amore più universale, specie verso chi ne ha più bisogno?

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L’OBBEDIENZA 1. La prima obbedienza è quella alla Parola di Dio: come ascolto Dio nella mia vita? 2. Obbedire significa “evitare tutto ciò che è orgoglio”: come cerco di superare la convinzione di avere sempre ragione io? 3. L’obbedienza è un lungo cammino di purificazione della mente, della volontà, del cuore, è un mettere Dio al primo posto, al posto dei miei gusti, del mio istinto, delle mie preferenze: come mi sto liberando da me stesso? 4. L’obbedienza in comunità è l’ascolto e la ricerca continua della volontà di Dio che si manifesta attraverso i fratelli: come ascolto gli altri? 5. La traccia (regola) è la via che il Signore chi indica per la nostra santificazione: come la medito e mi confronto con essa? 6. Si è in comunità prima di tutto per ascoltare e vivere insieme la Parola: è il mio primo scopo? 7. Chiedo al Signore la grazia di ascoltarlo nella persona del responsabile? 8. So ogni giorno chiedere la grazia dell’umiltà di pensiero? 9. Sono veramente “affidato” alla volontà di Dio, la ricerco costantemente? 10. Cerco veramente di lasciare che Dio si faccia posto in me, cioè di essere abbandonato a Lui, di lasciare che sia il Signore a guidare la mia vita, attraverso la comunità?

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Lettere a Kisima

L’APERTURA AI FRATELLI E ALLE SORELLE 1. Apro sinceramente il mio cuore agli altri fratelli e sorelle di comunità? 2. Faccio fatica ad aprirmi a qualche fratello o sorella di comunità? 3. Come sono disponibile ad accogliere ed ascoltare l’altro? 4. So rendermi amabile e facilitare così il cammino di apertura dell’altro verso di me? 5. Sono convinto che Gesù mi parla attraverso gli altri in comunità? 6. In me ci sono simpatie e antipatie, per cui il rapporto è basato solo su sentimenti umani e non c’è un vero rapporto di fraternità con tutti? 7. So vedere Gesù nel fratello e nella sorella di comunità? 8. Ho paura di lasciarmi amare, per cui mi nascondo, mi isolo, mi chiudo in me stesso, o sono aperto agli altri? 9. So amare l’altro così come è, nella sua povertà, prendendo coscienza che Gesù ama dentro di me, oppure giudico continuamente l’altro? 10. So essere strumento di misericordia, di fiducia, di perdono per i fratelli e le sorelle?

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Lettere a Kisima

LA PREGHIERA 1. La preghiera non è tutto, ma tutto deve cominciare dalla preghiera e tutto deve essere completato dalla preghiera: come vivo questo? 2. La preghiera non è un dono che facciamo a Dio, è un dono che Dio fa a noi. La volontà e la capacità di pregare vengono da Dio: come vivo questo? 3. Dio fa il dono della preghiera a chi prega: sto scoprendo questo? 4. Sono fedele alla chiamata alla preghiera? Essa ha veramente il primo posto nella mia giornata? 5. La preghiera ha il primo posto nella programmazione della mia vita? 6. Gesù si ritirava in luoghi deserti a pregare (Lc 5,16): so ogni giorno ritirarmi e pregare intensamente? 7. Sento la gioia e il dovere di pregare ogni giorno per i fratelli e le sorelle della comunità? Cresce in me questo desiderio di intercessione? 8. Pregare è stare a lungo con Dio, è un aprirsi all’amore di Dio che vuole versare in noi per rinnovare la nostra fedeltà a Lui, e rinnovare il nostro amore ai fratelli: è così per me? 9. La preghiera è un dono di Dio: lo chiedo incessantemente per me e per tutta la comunità? 10. Ho capito che è lo stare con Dio che mi cambia e che ci cambia?

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Lettere a Kisima

LA CARITÁ FRATERNA 1. San Paolo traccia nella Lettera ai Corinti (1 Cor 13,1-13) un programma straordinario per la formazione del cuore alla fraternità: come lo vivo? 2. La carità è paziente: è attesa e rispetto del fratello, è fede nell’aiuto di Dio, è credere che ognuno ha i suoi tempi di maturazione; la fraternità è luogo di attesa fiduciosa e di pazienza: come sto vivendo questo? 3. La carità è benigna: sto cercando di essere veramente buono con tutti? 4. La carità non è invidiosa: le nostre diversità non ci impoveriscono, ma ci completano. Sono contento dei doni degli altri? 5. La carità non si gonfia. La carità è fatta di silenzio: Signore cambia me è la formula che cambia in me le difficoltà, perché frantuma l’orgoglio; come vivo questo? 6. La carità non manca di rispetto. L’ascolto profondo del fratello è il primo rispetto verso di lui, ma bisogna imparare ad ascoltarlo con il cuore: ascolto veramente e sinceramente gli altri? 7. La carità non cerca il proprio interesse. L’amore vero non cerca gratificazioni. Le persone cambiano solo quando si sentono profondamente amate: amo gratuitamente, amo per amare, per puro amore? 8. La carità non tiene conto del male ricevuto: la fraternità è luogo di perdono. La comunità ha sempre qualcuno che ha bisogno del nostro amore. Bisogna imparare a perdonare gli altri e a perdonare se stessi: lo sto facendo? 9. La carità tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta: occorre non reclamizzare il male, credere che i limiti degli altri sono un progetto di Dio per la nostra maturazione; la carità crede nell’amore di Dio che opera nel fratello. La carità spera sempre nell’altro; sopporta la gratuità del cammino dell’amore fraterno: è così per me? 10. Sento la gioia di essere amato da Dio, dagli altri, di amare sempre più nel Signore e con il Signore?

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Lettere a Kisima

IL DESERTO 1. Il deserto è un grande dono di Dio in cui veniamo rinnovati dal Signore: lo vivo così? 2. Il deserto è un tempo di rinnovamento interiore, di ascolto profondo di Dio, di “visione di sé” in Dio: come lo vivo? 3. Ho capito che più mi metto in ascolto di Dio, più Dio può donarsi a me? 4. Dio nel deserto ci parla e ci fa sentire il suo amore: vivo il deserto veramente con senso di attesa di un Incontro? 5. Sono convinto che nel deserto ciò che conta di più è la preghiera, per avere luce, forza, coraggio, amore dallo Spirito? 6. Dio mi aspetta: ci credo veramente? 7. Dio mi vuole rinnovare: sono profondamente certo che Lui vuole più di me la mia conversione? 8. Sento la gioia di incontrare il Signore? 9. Sono pronto ad affrontare la “lotta del deserto”: solitudine, tentazioni, distrazioni, stanchezza, paura delle decisioni da prendere per convertirmi? 10. “Fu condotto dallo Spirito nel deserto” (Mt 4,1): lo sento e lo vivo come un vero dono dello Spirito Santo?

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Lettere a Kisima

Indice Lettere a kisima Cari amici 1. Bere alla sorgente Settembre 1981 2. Difficoltà della vita comune Ottobre 1983 3. La nostra santificazione Luglio 1984 4. Fermi nel deserto Agosto 1987 5. La fedeltà di Dio e il nostro sì Agosto 1994 6. L’esperienza della fede che spera e ama Settembre 2001 7. Il nostro cammino Agosto 2003 8. La memoria degli inizi Giugno 2005 9. Gli inizi dell’Eucaristia Giugno 2005 10. Il mistero della fede Agosto 2005 11. La profondità del mistero eucaristico Agosto 2005 12. La grazia della comunità Settembre 2005 13. Il sacramento del matrimonio oggi Giugno 2007 14. Riflessione sul matrimonio e la famiglia Giugno 2007 15. Discernere il cammino Luglio 2007 16. Subito dopo lo spirito lo sospinse nel deserto Quaresima 2010 17. Quarant’anni di cammino Maggio 2013 18. Un saluto veloce Giugno 2013 19. Lourdes 2013: intenzioni e perdono Settembre 2013 20. 40 anni di Kisima Dicembre 2013 21. Una grandissima gioia Gennaio 2015 22. 55 anni di sacerdozio Giugno 2015 23. La nostra vita in parrocchia Agosto 2015 24. Il tesoro inesauribile Novembre 2015 25. La nostra comunione fraterna Natale 2015 26. Chi ascolta voi ascolta me Gennaio 2016 27. La nostra eredità Febbraio 2016 28. Infinitamente amati Pasqua 2016 29. Il segreto di Taizé Maggio 2016 30. La porta dell’anima Luglio 2016 31. La nostra identità più profonda Agosto 2016 32. Il corpo e il sangue di Cristo Ottebre 2016 33. Grandi sono le opere del Signore Gennaio 2017 34. II cinesi a San Secondo Aprile 2017 35. Kisima è la casa dello Spirito Santo Agosto 2017 225

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Lettere a Kisima

36. Aperti allo spirito Agosto 2017 37. Aperti allo spirito (II) Agosto 2017 38. Kisima è nata a Taizé Ottobre 2017 39. Risposta ad una chiamata Novembre 2017 40. Il decalogo di Papa Francesco Natale 2017 41. Il cammino dello Spirito Santo Gennaio 2018 42. Dio festa infinita Giugno 2018 43. La mia vocazione è l’amore Ottobre 2018 44. La conoscenza di Dio Natale 2018 45. La gioia in comunità Gennaio 2019 46. Il discernimento spirituale Gennaio 2019 47. L’unità dei cuori Pasqua 2019 48. Un sussulto di speranza Giugno 2019 49. La chiamata in comunità Agosto 2019 50. Lo guardò e lo amò Settembre 2019 All. 1 - Riconoscimento canonico e approvazione statuto All. 2 - Decalogo per un esame di coscienza All. 3 - Revisioni di vita (1994-95)

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“Nessuno è felice come Dio, nessuno fa felice come Dio: Dio è Felicità Infinita! (S.Agostino)

Lettere a Kisima

Le campane di Taizè dove è nata Kisima

Lettere a Kisima

(2015 - 2019)

Il cammino di una “piccola comunità” nella città

Chi desidera copia del libro può telefonare a: Parrocchia San Secondo, tel. 011 543191


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