Foglio 42

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I meriti di Don Emerico Ceci che ha molto aiutato noi esuli istriani di Piergiorgio Chersich Don Emerico Ceci era un sacerdote che, come tanti altri, ha dovuto abbandonare Lussino e trasferirsi in Italia. Egli era originario di Lagosta. Venne ordinato sacerdote nel 1934, dopo di che fu segretario del vescovo di Zara. Trasferito a Lussino nel 1936 o 1935 a seguito della morte di uno dei sacerdoti della Parrocchia di Lussino, insegnò religione negli anni scolastici 1935-36,193637,1937-38 e 1938-39. Nel 1944 fu preside nominato “ad interim” dal collegio dei professori per l’Istituto Nautico e la scuola media di Lussino. Il 27 novembre dello stesso anno Don Emerico Ceci, coadiuvato dai professori Elsa Bragato, Luisa Cosulich, Ugo Guttini, Armida Marcev, Gino Marsan, Giuseppe Surdich, Livia Tedaldi, aprì a Lussingrande una scuola privata che funzionò fino al 20 aprile ’45, giorno in cui Lussino fu occupata dai titini e le scuole vennero chiuse. Non saprei dire chi l’avesse consigliato o indirizzato verso l’Italia, ma posso confermare che egli e i suoi familiari si stabilirono a Busto Arsizio. È qui che Don Emerico fece parte dei Sacerdoti della Chiesa di San Giovanni e insegnò nelle scuole medie superiori. Io, da quando mi trasferii da Roma a Milano per continuare gli studi di canto, sovente andavo dai Ceci e a volte mi fermavo anche a dormire; così conobbi l’anziana madre, la sorella Vinca con il figlio Lino (Angelino) e l’altra sorella Etta che abitava a Borsano. Negli anni ’60, chi tornava dall’estero doveva subire uno stretto controllo da parte delle autorità ed era necessario presentarsi in questura ogni tre mesi. Io però, grazie a Don Emerico, pur rientrato dal Sud Africa, non avevo quest’obbligo perché egli aveva dichiarato che ero il suo sagrestano. Più tardi mi aiutò con altre pratiche che erano necessarie per la mia “regolarizzazione” in Italia. A Busto Arsizio Don Emerico si fece conoscere da tutti e, se un nostro profugo aveva bisogno, era subito pronto ad aiutarlo a risolvere il problema. Sempre negli anni ’60 ebbe l’idea di far costruire delle palazzine tra Busto Arsizio e Castellanza per i profughi istriani e questo divenne il Villaggio Giuliano. Naturalmente fu molto impegnato a reperire da Roma i fondi necessari, ma ritengo che anche molti bustocchi avessero dato il loro contributo.

Don Emerico diceva che era molto importante “dare alla chiesa in silenzio”. A quell’epoca in Jugoslavia non era permesso, anzi era vietato, diffondere la fede. Don Emerico invece, con i soldi che riusciva a raccogliere annualmente, faceva stampare tante immaginette e queste le portava con la sua macchina ogni estate in Jugoslavia. A me chiedeva di accompagnarlo fino ad Ancona dove prendeva il traghetto per Spalato ed io tornavo poi con il treno a Milano. Capitò un anno che gli sequestrarono la macchina e il contenuto e tornò molto più tardi del solito in quanto ci volle tutta la sua pazienza ed abilità per convincere i “drusi” a restituirgli l’auto e le sue immaginette. Questo fatto comunque non lo distolse dal suo intento e l’anno seguente era già pronto per un altro viaggio di “aiuti necessari” come lui li definiva. Fortunatamente non subì più altri sequestri. Anche se Don Emerico era originario di Lagosta, il periodo trascorso a Lussino fu molto felice. Qui mio padre lo svegliava di mattina per la Santa Messa gettando sassolini sui vetri della finestra. Più tardi, dopo l’esodo, quando i miei genitori ritornavano dall’America in Italia, non vedeva l’ora che io portassi mio padre Ottocar a casa sua. Generalmente vi andavo di sabato e lui, felicissimo, parlava a lungo con mio papà di Lussino. A me, essendo giovane, sembrava che parlassero sempre degli stessi argomenti ma erano così contenti che non chiedevo “il perché e il per come”. Riflettendo bene dopo tanti anni, ritengo che le tante cose realizzate da Don Emerico fossero state sempre improntate al silenzio, così come lui aiutava la Chiesa in silenzio. Non ho mai letto sui giornali o riviste un cenno di ringraziamento per quanto ottenuto e fatto da Don Emerico ma, conoscendolo bene, nemmeno lui ci teneva a pubblicizzare le sue imprese. A Busto Arsizio aveva anche scritto un libro sull’antica Solona, coinvolgendo gli studenti del liceo dove insegnava. È deceduto il 10 gennaio1980 a Busto Arsizio. Poiché tutti i suoi numerosi parenti sono morti, non ho potuto ottenere precise notizie su date e avvenimenti riportati ma voglio condividere con voi questo mio personale ricordo.


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