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In memoria del cap. Antonio Piccini “Bepiza” di Pina Sincich Piccini
Fu provvidenziale l’arrivo di un ufficiale partigiano che parlava italiano e che convinse gli accusatori della loro non colpevolezza, per cui vennero rimandati a Lussino. Qui Antonio, già diplomato al Nautico, continuò a insegnare nell’Istituto stesso, supplendo i professori italiani titolari rientrati nella madrepatria, e fu stretto collaboratore dell’ultimo preside, il professor Carlo Hofmann. Purtroppo nel giugno 1947 arrivò l’ordine preciso di chiudere definitivamente l’Istituto Nautico italiano, come era avvenuto l’anno precedente per la scuola d’Avviamento “Carlo Stuparich”. Il preside, vinto dall’emozione, diede l’incarico ad Antonio di girare la chiave, chiudendo per sempre quella gloriosa scuola italiana che sin dal 1805 aveva formato i capitani lussignani. Nell’ottobre 1947 l’Istituto assunse una denominazione bilingue “Pomorski Technikum Ministartva Pomorska FNRJ - Lussinpiccolo Tecnico Marittimo” con due soli studenti di lingua italiana che non conclusero l’anno scolastico a Lussino. Nel 1948 fu chiesto il parere circa la sorte dell’Istituto ai signori Noè Martinolich, Riccardo Martinolich e al medico Uros Jaksa Salvi e il parere di quest’ultimo nettamente sfavorevole prevalse, per cui la scuola venne chiusa definitivamente e la sua attrezzatura trasferita a Fiume. A Trieste la notizia giunse il 6 novembre 1948.
Il Comandante Antonio Piccini
Antonio, figlio di Giuseppe e di Oliva Rizzi è nato a Lussinpiccolo il 27 ottobre 1923, il quarto di nove figli: Giuseppe, Geromin, Gianni, Antonio, Mario, Gabriele, Mina, Anna e Iva. Nella sua famiglia che non navigava nell’oro, essendo il padre pescatore, vigeva una certa disciplina nel comportamento che, aggiunta alla sua attitudine ad aiutare e a sacrificarsi per gli altri, gli procurò la stima degli amici e del suo parroco Don Ottavio Caracci. Negli anni 1946 e 1947 accettò la nomina di Presidente Diocesano della Gioventù maschile di Azione Cattolica da parte di Sua Eccellenza Mons. Pietro Doimo Munzani, vescovo di Zara, quando in questa città furono sospese tutte le attività a causa degli incessanti e distruttivi bombardamenti. Questo incarico gli costò caro durante il periodo di occupazione dell’isola da parte dei partigiani di Tito. Infatti Antonio e il suo segretario Alfeo Martinoli furono portati nel cuore dell’Istria e là, con l’accusa di essere gli organizzatori delle fughe da Lussino, rischiarono di finire nelle foibe insieme ad altri che di notte venivano caricati su camion e fatti sparire.
Antonio, chiusa la porta del Nautico giovedì 2 luglio 1947, zitto zitto, inforcò la bicicletta di suo cognato, in pantaloncini e maglietta e, fingendosi uno sprovveduto ciclista, riuscì a oltrepassare inosservato la frontiera. A Trieste il comando alleato gli diede un biglietto per Genova, e là finirono i suoi guai. Nel capoluogo ligure la Compagnia marittima dei Costa aveva acquistato navi a basso costo dai Gerolimich, armatori lussignani, con l’obbligo di imbarcare tutti i marittimi di Lussino che si fossero presentati. Così Antonio fu immediatamente assunto come allievo ufficiale e iniziò una nuova vita insieme ai tanti Lussignani già imbarcati, tra questi suo fratello Mario e alcuni vecchi amici. Navigò con la Costa per le Americhe, prima su navi passeggeri e poi da crociera, salendo fino al grado di primo ufficiale. Nel 1963 venne assunto dalla Texaco Company con questo grado; ben presto divenne comandante della nave Virginia che per 16 anni guidò in tutti gli oceani del mondo, anche in condizioni impervie; con essa attraversò il fiume San Lorenzo in Canada, completamente ghiacciato, e nel 1975 entrò per primo nel Canale di Suez dopo la guerra tra arabi e israeliani.