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Lussino

Il violino di Carlo Stuparich di Rita Cramer Giovannini

Dopo più di novant’anni ecco che si levano nella sala le note di un violino tornato a vivere. È il violino di Carlo Stuparich, che per l’ultima volta aveva suonato nel maggio del 1916 sul ciglione del Monte Cengio, nell’Altopiano dei Sette Comuni, sotto una pioggia insistente e continua. Là il giovane sottotenente, al comando del suo plotone della Brigata Granatieri di Sardegna, “di fronte a forze nemiche soverchianti, accerchiato da tutte le parti, senza recedere di un passo, sempre sulla linea del fuoco animò ed incitò i dipendenti, finchè rimasti uccisi e feriti quasi tutti i suoi granatieri e finite le munizioni, si diede la morte per non cadere vivo nelle mani dell’odiato avversario”1. Questo avviene il 30 maggio 1916. Carlo Stuparich, di tre anni più giovane del fratello Giani, nasce a Trieste il 3 agosto del 1894 da Marco Stuparich di Lussinpiccolo e dalla triestina Gisella Gentilli. Nel 1913, compiuti gli studi primari e secondari nella città natale, segue il fratello Giani a Firenze dove partecipa al movimento “vociano” collaborando alla rivista di Prezzolini e frequenta la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università. Allo scoppio della prima guerra mondiale si arruola volontario come ufficiale dei granatieri nell’esercito italiano, con Giani e con l’inseparabile amico Scipio Slataper. In questo periodo i due fratelli Stuparich adottano il cognome Sartori, per non rischiare di essere riconosciuti come disertori, e pertanto condannati a morte, qualora fatti prigionieri dagli Austriaci. Carlo è molto legato alla sua famiglia: “Senza la mia famiglia m’accorgo che sarei perduto: da quante crisi m’ha salvato!”2. Mamma Gisella è per lui un faro che lo guida e gli illumina la strada nel mondo e nel suo io. “Mamma fu idealista prima di noi, e di quell’idealismo che non sofistica”. “Come sono grandi le parole di mia madre. A Trieste ci sono anime eroiche. Non credevo che ci fosse tale potenza di caratteri femminili. Queste donne io venero, m’inchino e ringrazio. In loro è la vera umanità, semplice, piena, attiva. Mazzini le vedrebbe con entusiasmo…”. Mazzini è la sua “Bibbia laica” e Carlo inizia a raccogliere la sua opera omnia nel 1911, mentre sarà Giani a completarne l’acquisto dopo la morte del fratello. Papà Marco è l’ “energica e sana figura che portasti note allegre e forti nella nostra mitezza, che ci por-

tasti aria fresca di vita; quanto sole quanto sole e quanta grandezza di mare vedo se penso a te, papà mio, quanta gioia ricordo”. Il mare è per Carlo l’infinito, l’oblio, la musica, la luce. Pensando al mare non può non sentirsi tutt’uno con il padre e i suoi antenati lussignani Stuparich e Ivancich3. “Per noi c’è il mare. Papà ci ha messo nel petto un gran desiderio di lui, del mare aperto schietto buon gigante che gioca fin che si arrabbia”. La sorella Bianca, di soli due anni più vecchia, tanto bella quanto sfortunata4: “grande anima in modesta persona, consolatrice….che sei stata una funzione della mia vita e avevi il coraggio della pratica per me e mi procuravi le cose, io te le dicevo e tu me le portavi serena sempre serena”. A lei il fratello è legato anche per la passione della musica. Brava pianista, si diploma al Conservatorio sotto la guida del maestro Emilio Russi. Evidentemente i fratelli Stuparich hanno il gene della musica, ereditato dal bisnonno Giuseppe Kaschmann, padre del baritono omonimo e della loro nonna Eufra-

Bianca al pianoforte e Carlo al violino


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