5 minute read

LA GUARIGIONE DEL GUERRIERO

L’UNITA’ LABURISTA - 45

LA GUARIGIONE DEL GUERRIERO

Advertisement

DI CHIARA TORTORELLI

Il mondo è malato perché guardiamo dalla parte

sbagliata.

Il mondo è malato perché cerchiamo le chiavi e le risposte dove non ci sono.

Il mondo è malato perché anziché guardare dentro di noi, guardiamo fuori e contro quel fuori lottiamo, ci accaniamo, pretendiamo di cambiarlo, e abbiamo dimenticato completamente l’antico legame che univa il mondo interiore e il mondo esteriore, abbiamo dimenticato che c’è stato dato un potere, il potere della visione, e che siamo creatori unici di ciò che vediamo.

Immaginate che in un tempo molto lontano l’uomo possedeva questa conoscenza. Sapeva che ciò che vedeva nel mondo era un riflesso del suo sentire.

Immaginiamo ora che il mondo esterno sia una tela vuota, e noi siamo i pennelli che coloriamo la tela. La coloriamo con le nostre emozioni, con il nostro vissuto, con le cose che abbiamo appreso. Quei pennelli si chiamano karma, e rappresentano la nostra personalissima impronta sul mondo, ma rappresentano anche un antico legame imprescindibile, la conoscenza che ciò che c’è fuori non ha quasi niente di oggettivo, è personalizzato dall’inizio, possiede la nostra cifra stilistica, è la nostra chiave di lettura con cui decodifichiamo il mistero del vivere.

28

L’UNITA’ LABURISTA - 45

Diceva Carlos Castaneda che la realtà così

com’è noi non la vediamo, non possiamo vederla, vediamo la “visione” del mondo, che appunto perché è visione, è già “interpretazione”. Questa visione che poi diventa “condivisa” da tutti, attraverso un codice stabilito dai sistemi sociali, stabilisce un agglomerato attorno a cui ci stringiamo tutti per sopravvivere in qualche modo all’ignoto del vivere. Questo agglomerato Castaneda lo chiamava “punto di unione” ma sosteneva che il grande compito dello stregone, cioè di colui che è sul cammino dell’auto consapevolezza è quello di “spostare” il punto di unione, cambiare prospettiva cioè, proprio per poter intravedere la realtà “così com’è”.

Come si cambia il punto di unione?

Con esercizi di “smantellamento” vero e proprio del codice linguistico e sociale stabilito, tendendo “agguati” a ciò che crediamo di essere, a ciò che crediamo di pensare, e alle nostre impalcature del vivere, e attraverso l’arte del sognare, cioè quell’arte insita in ognuno di rappresentare e di creare il nuovo.

Nella tradizione sufi per simboleggiare la

nostra comune abitudine di cercare risposte lì dove non le troveremo mai, si racconta la storia del mullah Nasruddin che una sera fu trovato mentre camminava carponi sotto un lampione.

“Cosa cerchi Mullah?” gli fu chiesto.E lui rispose: “Ho perduto le chiavi di casa…”

Tutti si industriarono ad aiutarlo e tutti si misero a cercare le benedette chiavi sotto il lampione.

A un tratto dopo un lungo e infruttuoso cercare, qualcuno chiese a Nasruddin: “Mullah ma precisamente dove hai perduto le chiavi?”

“A casa”, rispose Nasruddin.Silenzio stupito di tutti.

Finché un altro ebbe il coraggio di dire: “E allora perché le stiamo cercando qui fuori!?!”

E Nasruddin impassibile si voltò e meravigliato rispose: “Ma è ovvio! Perché qui c’è più luce!”

Siamo soliti creare impalcature solide e

trame coerenti dove c’è più luce, dove è più facile indagare, addossando ad altri colpe e responsabilità, litigando con partner, amici, genitori e figli, giustificandoci continuamente e perpetrando alibi, inganni e costrutti malati.

Così viviamo prigionieri della Torre di Babele, vittime delle parole di cui non ci prendiamo alcuna responsabilità, blindati nell’oscurità della nostra mente che è abilissima nell’erigere menzogne e grattacieli, dietro le sbarre di una prigione di pietra, in compagnia del nostro ego solidificato che cerca solo di non essere messo in discussione e di avere sempre ragione.

Se solo arrivasse come nella sedicesima carta

dei Tarocchi, la Torre di pietra, appunto, un fulmine dal cielo, il fulmine dello spirito che libera l’anima e che fa cadere a pezzi la prigione asfittica e senza luce…

Se solo potesse essere liberato il nostro bambino interiore capace di creare e di essere innocente… Capace di librarsi e di volare tra le macerie dell’ego che fa sempre gli stessi discorsi, che litiga con tutti e che non conosce le gioie dell’amore…

Se solo potessimo vivere come il Matto, il

ventiduesimo Arcano dei Tarocchi che cammina sul ciglio senza averne paura perché ha fiducia nella vita e sa che non esiste il domani, ma solo l’attimo presente…

Scriveva un grande poeta e profeta dei nostri tempi, Pier Paolo Pasolini in una bellissima e immaginaria lettera a Dio, “Preghiera su commissione”

“…l’idea del Potere non ci sarebbe se non ci fosse l’idea del domani; non solo, ma senza il domani, la coscienza non avrebbe giustificazioni. Caro Dio facci vivere come gli uccelli del cielo e i gigli dei campi.”

Gli uccelli del cielo e i gigli dei campi.

Se vivessimo nella naturalità delle cose, senza l’idea del Potere che poi è la costruzione dell’ego, saremmo più liberi e felici.

Ma ci vuole fiducia, ci vuole resa incondizionata alla bontà del vivere.

Ci vuole un altro paradigma a partire da noi, a partire da questa piccola cellula vivente chiamata uomo, che grazie al suo potere d’Amore può cambiare il mondo intero.

Mi piace concludere con un ultimo pensiero castanediano.

Don Juan Matus, lo stregone sciamano da cui andò a scuola Carlos Castaneda era solito dire che lo stregone dopo anni di apprendistato, alla fine del suo cammino, diventava completamente libero.

29

L’UNITA’ LABURISTA - 45

Lo riconoscevi perché non intratteneva più relazioni speciali con qualcuno in particolare, restava nel mondo con un solo scopo: amare senza sosta la bellezza.

Il guerriero che aveva compreso la vita poteva guardare finalmente in ogni sfumatura le foglie e il cielo, assaporare il vento, e commuoversi fino al midollo.

Amava struggentemente la vita, solo quella, e così diventava pronto a salutarla.

Sapeva che a un tratto bisognava tagliare i ponti con tutto e lui, in vita, si preparava a morire.

E preparandosi coscientemente a morire comprendeva la poesia e l’eroismo degli uomini.

“La cima di questa collina, così com’è adesso, sarà il luogo della tua ultima danza…

Danzerai qui per la tua morte, sulla cima di questa collina, alla fine del giorno.

E nella tua ultima danza racconterai la tua lotta, le battaglie che hai vinto e quelle che hai perso; racconterai la gioia e lo smarrimento provati nell’incontrare il potere personale. La tua danza racconterà i segreti e le meraviglie che hai accumulato. E la tua morte starà seduta a guardarti. Il sole morente splenderà su di te senza bruciarti… Il vento sarà dolce e molle e la cima della collina tremerà. Alla fine della danza guarderai il sole, perché non lo rivedrai mai più né da sveglio né sognando, e allora la morte farà un cenno verso sud. Verso l’immensità.”

(C. Castaneda, Viaggio a Ixtlan)

30

This article is from: