Lingua e habitudini: il caso dell’arte e della sua riproducibilità tecnica.

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dell'apparato tecnologico, per mettere in scena un complesso gioco di interscambio tra reale e virtuale, verificandone attraverso seducenti e fluide proposte conoscitive la sostanziale ambiguità interpretativa e suggerendo, inoltre, nuove possibilità di integrazione tra uomo e dispositivi tecnologici, in una prospettiva etica di responsabilizzazione e di rinnovato recupero della dimensione poli-sensoriale. Uno spazio socializzato è il senso primo della loro definizione di “ambienti sensibili”. Si tratta di pensare a contesti dove l’atto interattivo non sia confinato ad una dimensione individuale, come capita nella maggior parte dei casi con questi sistemi (una persona determina il dialogo con la macchina, altre, eventualmente, stanno ad osservare). Contesti in cui al dialogo con la macchina si associ e si mantenga il confronto, anche complice, con le altre persone (più persone partecipano all’interazione con il dispositivo, ma contemporaneamente mantengono un contatto tra loro, un confronto tra le loro reazioni, le loro sensibilità). È una garanzia per partecipare alle scelte, che saranno sempre più frequenti nella nostra società proprio per il diffondersi dei sistemi interattivi di consultazione, meno soli e isolati da un confronto umano ancora indispensabile. Scrive Studio Azzurro a proposito della ricerca sul video: Solitamente infatti si pensa al video soprattutto in relazione a ciò che avviene “nello schermo”: come mezzo che produce sostanzialmente immagini. Di conseguenza lo si valuta spesso come esperienza di velocità, di sinteticità, di molteplicità, di fantasmagoria, aderendo a uno stereotipo pretestuoso e superficiale. Più raramente lo si considera per quel che produce dilatandosi “fuori dallo schermo”. Questo mezzo non impedisce infatti allo spettatore durante la fruizione di dialogare con lo spazio circostante, non lo costringe ad annullarsi, dal punto di vista fisico, nel buio e nel silenzio della sala84, come avviene in una sala cinematografica, ma si prolunga al di fuori, ricomponendo significativamente quella separazione tra realtà e immaginazione che è una delle caratteristiche della nostra epoca [Cfr. Studio Azzurro, 1988, pag. 7].

L’interazione con l’ambiente, quindi, è il presupposto programmatica della loro ricerca. I monitor si inseriscono in uno spazio ma al tempo stesso lo ricreano in virtù della loro presenza oggettuale. Una videoinstallazione, infatti, assomiglia molto ad un evento teatrale che si rinnova ogni volta che viene messo in scena, dove ci sono elementi costanti ed elementi variabili. Essa crea uno spettacolo fluido che, lentamente, trasporta dentro una diversa dimensione senza che quasi lo spettatore se ne accorga: «Il perdersi è una condizione dell'uomo contemporaneo che bisogna 84

Tornano alla mente in questo passo le descrizioni di Kracauer.

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